Museo della Scuola
Visita virtuale
A cura della Prof.ssa Anna Simone, ex
responsabile del Museo della Scuola, e degli
studenti del I F, Marco Micangeli e Gaetano
Schiavo.
Museo della Scuola del Liceo Giulio Cesare
LA SEDE
Il Museo della Scuola è situato in un’aula dell’edificio di Corso Trieste. L’ambiente è
abbastanza luminoso; purtroppo risulta ormai troppo angusto a causa del materiale che,
con il passare degli anni, grazie a numerose donazioni di docenti, alunni, genitori è
notevolmente aumentato
STORIA DELL’ISTITUZIONE
Le ideatrici di questo spazio museale sono state le professoresse Anna Simone, Maria Oriente
e Francesca Amoroso. che hanno voluto con il loro progetto di recupero della memoria
storica del patrimonio scolastico,
avvicinare i ragazzi all’appassionante percorso che la scuola italiana ha compiuto dalla legge
Casati 1859 ad oggi. Così dopo un anno di intenso lavoro, il 10 giugno 2000
le insegnanti, coadiuvate dai loro alunni delle sezioni D,M e H hanno inaugurato alla presenza
dell’ allora preside Sofia Masi e della vice-preside Maria Izzo, il Museo della Scuola.
L’allestimento della mostra è stato elaborato dai ragazzi che si sono trasformati in
organizzatori, costruttori e coordinatori artistici mostrando una straordinaria creatività ed
un gusto originale.
FINALITA’
I giovani, pur bombardati da una pluralità di messaggi dissonanti tra loro,non sono rimasti
indifferenti di fronte a un passato lontano anni luce dal loro vissuto; anzi hanno mostrato un
vero entusiasmo quando, partendo dagli oggetti esposti come il banco di legno, i libri di
cultura militare, di cultura fascista, di economia domestica etc. hanno cercato di ricostruire
storie della loro famiglia o del loro quartiere o del loro paese d’origine.
Percorsi del Museo della scuola.
Un’Aula del 1936.
Sulla parete, dietro la cattedra fornita di un’ampia pedana, si trovava il
Crocifisso in mezzo tra il ritratto di Vittorio Emanuele III e quello di Mussolini.
Nelle classi delle scuole elementari alle altre pareti si trovavano tabelloni
didattici in linea con il programma di studio dell’anno. Il Museo conserva
cartelloni elaborati da un maestro per il corso Popolare da lui tenuto negli
anni venti in un paesino della Puglia. Rappresentano il sistema scolastico
dell’epoca, i vari tipi di abitazione, diversi generi di piante, il movimento della
terra intorno al sole. Non manca la bacchetta che serviva a mettere in riga i
più facinorosi. Bisogna ricordare che le classi nell’Italia post-unitaria erano
molto più numerose di oggi (si parla a volte anche di settanta ragazzi per
classe). Soprattutto nelle classi ginnasiali abbondavano le carte
geografiche:Italia, Paesi extra-europei, Italia antica, Grecia antica, Grecia
moderna etc. Purtroppo sono andati perduti i banchi di legno in uso fino agli
anni sessanta, ma ci è stato regalato un banco monoposto molto
interessante ,che potrebbe essere quello “dell’asino”, ricordato da molti
nonni nelle loro interviste sulla scuola dei loro tempi o quello “del diavolo”,
come lo chiama Oriana Fallaci nel suo ultimo romanzo “Un cappello pieno di
ciliege”.
Lavori
donneschi
Entrando nell’Aula Museale a destra, verso la finestra,
troviamo due manichini femminili e un baule, quello della dote.
Questo è l’angolo della materia “Lavori donneschi”, oggi finalmente scomparsa,
ma presente nella scuola primaria (scuola elementare secondo la legge Casati del
1859) nella scuola complementare e normale, scuole che formavano le future
maestre, nell’istituto tecnico femminile, nella scuola di avviamento professionale
femminile e nel liceo femminile voluto da Gentile per le giovinette di buona
famiglia che si preparavano al matrimonio.
La sottogonna, il body e le calze sono opera di
una ragazza che frequentava lTF nel 1890.
Modello di vestito da sera con mantello tagliato e cucito
nella sartoria di una scuola professionale. (1920)
Puericultura
La riforma Gentile aveva scontentato un po’ tutti. Quindi i ministri
successivi vi apportarono vari cambiamenti. Sempre per
fascistizzare di più la scuola nell’anno 1927 - 1928 venne
introdotta come materia cultura fascista nella scuola di primo e
secondo grado.
In prima e seconda elementare era compresa nella voce nozioni
varie, nella terza classe era abbinata con la storia.
Nel 1934 il ministro Cesare De Vecchi introduce Cultura militare e
Puericultura nella scuola secondaria. L’obiettivo era di inculcare
nell’animo degli italiani fin da bambini il culto della Guerra e
delle armi,strumenti indispensabili per la difesa dell’impero
fascista.
La puericultura destinata alle ragazze, doveva imprimere nella loro
mente che il loro destino era quello di procreare soldati per la
patria e che nessun ruolo era più nobile di quello della madre.
La Puericultura comprende lo studio di tutti i periodi dell’infanzia
compreso il periodo prenatale e si occupa particolarmente di
tutte le norme che la madre deve osservare perché il bambino si
mantenga in buona salute.
Nel Museo è presente un bambolotto vestito con un camiciotto di piquet e le
tradizionali fasce dell’epoca,che tanti danni fecero allo scheletro osseo dei
poveri neonati, un manuale Hoepli del 1900 per l’allevamento dell’infante
e un testo di puericultura del 1940 di E. Gasca.
Il testo “Nel bambino salviamo la razza”, è adottato nelle scuole femminili di II
grado. Il titolo stesso è spia del pensiero delirante da cui l’ideologia
fascista era stata contagiata. Il sottotitolo molto interessante recita:
“Nozioni fondamentali di puericultura demografica”.
Anche in queste pagine viene ribadito il concetto che gli italiani sono di razza
italica e latina, naturalmente ariani, che bisogna mantenere pura la nostra
razza e che è merito del governo fascista avere proibito gli incroci fra la
razza bianca e le razze di colore e avere impedito gli ibridi connubi con la
razza ebraica. Secondo l’antisemitismo dilagante l’autore afferma che gli
ebrei non si sono assimilati mai con i popoli dei quali hanno sempre
sfruttato la civiltà e che bene ha fatto il regime fascista a escluderli dal
diritto di cittadinanza.
Lavori Donneschi, Puericultura e
economia domestica sono le
materie che per lunghi anni
hanno segnato la
discriminazione della donna,
visto che il suo ruolo era
unicamente quello di sposa e
madre esemplare all’interno
della famiglia.
D’altra parte la legge Casati del
1859 prevedeva classi distinte
per sesso e programmi in parte
differenziati. Nelle cartoline
dell’epoca sono rappresentate
le scuole con le uscite divise.
Ancora nel 1936 nel nostro liceo
le ragazze e i ragazzi avevano
due entrate separate.
Quindi nella società italiana erano ancora presenti alla metà dell’Ottocento
pregiudizi fortemente radicati che si opponevano all’emancipazione
femminile. Scrive nel 1870 il pedagogista Aristide Gabelli: “L’istruzione della
donna nella realtà italiana era sentita come qualcosa che debba distrarla dal
suo ufficio e poco meno che farle perdere la sua natura. Le si concede di
saper leggere, ma a condizione che di solito non legga, perché in questo
caso prenderebbe a schifo le cure modeste della famiglia nelle quali soltanto
deve trovare ogni diletto per la sua compiacenza.
“Una donna con un libro in mano, nella fantasia di non pochi è una che lascia di
fare quello che dovrebbe, e rende la stessa immagine di un uomo che
dipanasse una matassa di refe, filasse lino o facesse calze.”
La legge Casati non conteneva alcun divieto per l’ammissione delle donne
all’università, ma di fatto erano escluse perché non avevano accesso alla
scuola superiore. Negli anni settanta il ministro Ruggero Borghi con un
semplice decreto permise l’iscrizione delle donne all’università. Nel 1878
nacquero le scuole superiori femminili che però suscitarono l’ostilità di alcuni
settori governativi e di alcuni progressisti dell’epoca. All’inizio le ragazze
frequentarono i licei in classi separate, poi, dal 1904, furono formate classi
miste nei licei classici.
Mentre alla fine dell’Ottocento le
iscrizioni delle ragazze ai licei
presentavano una percentuale
molto bassa, aumentava la
presenza delle donne nella
scuola normale, che le preparava
al loro futuro lavoro di maestre,
professione considerata
congeniale alla loro personalità,
dato che la maestra era ritenuta
una seconda mamma la cui
attività era un’espansione di
quella
che doveva esplicare per
allevare i suoi figli.
Le maestre fino ai primi del
Novecento furono pagate
un terzo in meno rispetto ai
maestri, così come le ispettrici e
le direttrici.
Cultura
fascista
Cultura fascista
La riforma Gentile era stata
definita da Mussolini la più
fascista delle riforme ma ben
presto scontentò gli stessi
fascisti, che volevano una
scuola più prona alle istanze
del regime.
Così nell’anno1927-1928 viene
introdotta Cultura fascista in
tutte le classi di ogni ordine e
grado. Il museo possiede un
quaderno di storia fascista,
intitolato “Storia di ogni
giorno” che apparteneva alla
nonna di un ex alunno.
Parte dall’ ingresso in guerra
dell’Italia, 10 giugno 1940 e
arriva fino alle vicende
belliche del 1942.
Ecco due copie della “Domenica del Corriere”, rivista popolare
dell’epoca illustrata dal celebre Beltrame.
Cultura
militare
Il vero fascista doveva essere innanzitutto un
combattente, pronto a sacrificare la vita per la
salvezza della patria. Da sempre i discorsi di
Mussolini e degli alti gerarchi erano infarciti di
frasi altisonanti inneggianti alla guerra “ Credere
e combattere. La guerra è l’igiene dei popoli.
“Vincere e vinceremo”.
Così, in un clima di acceso militarismo vengono
istituiti in tutte le scuole superiori per opera del
Ministro dell’Educazione nazionale, Cesare De’
Vecchi, nel 1934, i Corsi di Istruzione Militare
con lo scopo” di dare una educazione militare
adeguata, che consentirà la migliore
utilizzazione di ciascuno nei quadri delle Forze
Armate dello Stato “. L’insegnamento di questa
materia è riservato agli alunni maschi a partire
dal ginnasio inferiore fino ai licei, ai tecnici
superiori, ai magistrali e persino all’università.
Per le ragazze invece fu istituita Puericultura,
materia che doveva servire a imprimere
nell’animo delle giovinette quale fosse il loro
alto destino di madri,procreatrici di futuri soldati.
Gli alunni delle scuole medie e
delle scuole secondarie non
potevano conseguire la
promozione o l’ammissione
alla classe superiore o il
diploma finale se non
ricevevano un attestato di
aver seguito con profitto il
corso di Cultura militare. La
stessa cosa valeva per gli
studenti dell’ università e
degli istituti superiori.
L’insegnamento di questa
disciplina era affidato a
ufficiali in servizio
permanente effettivo o in
congedo delle varie forze
armate.
Calligrafia
Nella scuola elementare istituita dalla legge Casati è presente Disegno e
Calligrafia, a partire dalla Classe terza; a volte sulle pagelle le due
materie si presentavano divise. Si studiava anche nell’Istituto tecnico
inferiore e nella scuola complementare, la scuola per i futuri maestri.
Nella scuola elementare durante il Fascismo la bella scrittura diventa
anch’essa strumento di propaganda: i maestri infatti facevano copiare
sentenze e moniti del duce.
Ogni scolaro aveva il suo pennino preferito, quello che scriveva più fine e
ti faceva prendere un bel voto nelle temibili esercitazioni, quello che
potevi scambiare all’ora di ricreazione con le figurine predilette o con
altri pennini più ambiti. Altra grande protagonista della scuola di una
volta era la carta sugante o carta asciuga,che era compagna fedele
delle vicissitudini scolastiche, salvandoti spesso dal dramma delle
orrende macchie, che potevano deturpare i tuoi preziosi compiti o
quando andavano a finire sulle mani o sul grembiule ti potevano
costare furibondi rimbrotti o punizioni.
Uno strumento molto utile era il netta pennino,che poteva anche essere
fatto a mano con gli avanzi di stoffe di vario colore nelle ore di Lavori
donneschi. Non manca il tampone del maestro e il raccogli-carte del
preside in pelle che faceva bella mostra di sé sulla scrivania della
presidenza.
Percorso
manzoniano
Dopo la pubblicazione in tre tomi dei
Promessi Sposi nel 1827, lo scrittore non
aveva più pensato a ristampare il
romanzo, anche se negli anni lo aveva
sottoposto a correzioni di diverso genere,
dopo il viaggio a Firenze, dove, come
diceva lui, “aveva risciacquato i panni in
Arno “. Poi cominciò a vagheggiare una
nuova ristampa e questa volta, la voleva
illustrata Pensava che in questo modo
non sarebbe stato più possibile il
fenomeno delle edizioni pirata,che erano
circolate per tutta l’Italia e che avevano
compromesso, ahimè, i guadagni. Per i
disegni dell’opera venne chiamato l’Hayez,
pittore molto alla moda nella Milano
dell’epoca,che era amico di Teresa
Manzoni e che alcuni anni prima le aveva
fatto un ritratto, ma le sue figure non
soddisfecero lo scrittore. Anche un altro
pittore il francese Boulanger non ebbe
l’approvazione del Manzoni che invece
apprezzò molto i disegni del Gonin.
La collaborazione tra il Gonin e lo scrittore fu assai stretta, come
documentano le numerose lettere intercorse tra i due,presenti
nel secondo volume dell’epistolario. I soggetti furono scelti e
fissati da lui, nell’intento che ogni disegno capitasse dove era
narrato il fatto.
Lo scrittore in molte lettere interviene anche sull’impostazione delle
figure. In una lettera indirizzata al Gonin, il 3 marzo 1840 per
quanto riguarda il manifesto che annunciava la pubblicazione
delle dispense del romanzo, che rappresentava due bravi di
fronte al palazzetto di don Rodrigo in compagnia di fra’
Cristoforo, trova che la figura del bravo seduto appaia un po’
sforzata e che il braccio che posa col gomito sul panchetto sia
forse troppo lungo. Scrive inoltre:”Siccome il manifesto sarà
guardato e riguardato e deve avere presa sul pubblico, vorrei
che quel difettuccio venisse tolto. Io ti manderò il legno; se c’è
qualcosa da ritoccare, avrai la santa pazienza di levare un po’ di
lapis, mettere un po’di bianco e render perfetta una cosa già
bellissima”.
In una altra lettera, a proposito della vignetta di Renzo che esce
dalla casa di Lucia nota che incominciava a imbrunire sicchè a
monte bisognava disegnare il chiaro di luna. In un altro punto
chiede che nell’introduzione venga disegnato un genietto con
faci ardenti fra due gruppi di satiri che insidiano delle ninfe.
Al II capitolo come intestazione non
vuole che si mettano le due
mani dei Promessi Sposi a cui
un pugnale vieta di toccarsi, ma
trova che stia bene al III
capitolo. “Per il secondo- dicebisogna pensare a qualcosa
d’altro”. Come si può notare, il
Manzoni prese molto sul serio
questa avventura editoriale. A
Gaetano Cattaneo chiede
ritratti fededegni di Luigi XIII, del
cardinale di Richelieu, di Filippo
IV,del conte
di Olivares suo ministro. Nel 1842
manda a Gonin un’immagine
del Muratori. Scrive“Puoi farlo
anche più giovane, circa
trent’anni. Sottana e cappa
meglio che in corto. Ti mando
insieme un ritratto di un dottore
dell’Ambrosiana (dei quali era il
Muratori ) perché tu veda la
medaglia che portavano.
Antisemitismo
L’antisemitismo era stato da sempre presente nella società italiana, soprattutto in
certi ambienti legati al cattolicesimo più retrivo e in certi organi di stampa vicini
all’ideologia più razzista del regime. D’altra parte la legislazione fascista del 1938
si ispirerà all’ antisemitismo cattolico. Infatti già nel Concilio Lateranense (1215 ),
in quello di Orleans ( 1553) e nel Concilio di Beziéres era stato espresso il divieto
per gli ebrei di possedere proprietà, di essere eletti alle cariche pubbliche, di
vivere con i cristiani.
Veniva fatto anche divieto a questi ultimi di sposare un’ebrea. Nel Concilio di
Beziéres fu sancito che i cristiani non potevano servire le famiglie ebree, che gli
ebrei dovevano portare sui vestiti un cerchio come segno di riconoscimento e non
potevano lavorare la domenica e i giorni festivi. Il giorno di Pasqua ogni famiglia
ebrea doveva pagare sei denari al curato. Però all’inizio l’antisemitismo non era
stato il principio ispiratore della dottrina fascista come era avvenuto per
l’ideologia nazista ma con l’avvicinamento dell’Italia alla Germania sempre più il
fascismo si ispirò all’antisemitismo tedesco. E se già dal 1934 era iniziata su
giornali come il Tevere, il Popolo d’Italia e altri una terribile campagna
denigratoria contro gli ebrei, è nel 1938 che il regime, dopo le visite in Italia di
Hitler, si professerà biecamente antisemita.
Si può far risalire l’inizio della politica razzista e antisemita del Fascismo al Manifesto
degli scienziati razzisti pubblicato su“ Il Popolo d’Italia ,” costituito da dieci articoli
illuminanti per capire i principi informatori del razzismo e dell’antisemitismo
italiano. Il cinque agosto esce La difesa della razza, rivista che più delle altre
concorrerà a propagandare l’antisemitismo tra gli italiani, dato che la maggior
parte degli articoli saranno dedicati alla denigrazione degli ebrei.
Dopo il 14 luglio 1938, data della pubblicazione del
Manifesto sulla razza, il Consiglio dei Ministri varò un decreto legge che conteneva
le norme antiebraiche sulla scuola (RDL 5 settembre 1938 n. 1630). Dal 16
ottobre venivano sospesi dall’insegnamento gli insegnanti ebrei, anche i liberi
docenti e gli assistenti universitari come pure i presidi, i direttori, il personale
amministrativo e di sorveglianza. Con il R.D.L. 23 settembre 1938 n. 1630 si
istituivano speciali sezioni di scuola elementare per gli alunni ebrei. Inoltre le
Comunità ebraiche potevano organizzare scuole di ogni genere se autorizzate
dal Ministero dell’Educazione Nazionale. Il R.D.L. 15 novembre 1938 n. 1779
ribadiva l’esclusione dei ragazzi ebrei dalle scuole di ogni ordine
e grado e si bandivano pure i testi curati da autori ebrei (anche le scuole intestate a
ebrei dovettero cambiare nome e lo stesso successe alle vie e alle piazze.)
Anche dalla nostra scuola sono stati espulsi gli alunni ebrei. Il 30 gennaio 2008 in
Aula Magna con il sindaco Veltroni e il presidente della Comunità Ebraica
abbiamo incontrato i nostri ex alunni ebrei e è stata inaugurata una targa che
ricordi alle future generazioni l’abominio delle leggi razziali.
L’istituzione scuola è vista sempre dalle dittature come il veicolo primario per la
formazione del consenso e per l’annullamento della coscienza critica delle
masse. Così si spiega come mai fin dai primi giorni di settembre fu la scuola il
primo settore contro il quale furono promulgate le prime leggi razziali. Bottai,
ministro dell’Educazione Nazionale il 5 agosto inviò una circolare a tutte le
scuole di ogni ordine e grado raccomandando la lettura de La difesa della
razza, rivista quindicinale, organo teorico-politico e scientifico del razzismo
fascista.”
Era importante introdurre questa rivista perché i giovani, leggendo gli articoli degli
scienziati razzisti, le menti più illuminate dell’epoca si sarebbero formati una
coscienza razzista, quella di cui aveva bisogno il popolo italiano”, così scriveva
Bottai nella circolare. Naturalmente anche il nostro liceo sarà stato abbonato a
questa rivista. Tuttavia nella biblioteca non ve n’è traccia. Nel Museo ne abbiamo
una decina di numeri, che vengono sfogliati con grande interesse dai visitatori.
Interessante è “Il primo libro del fascista “, che è edito nel 1938 dalla Libreria di
Stato di Roma ed è il libro di testo di Cultura fascista, adottato nelle scuole
medie e nelle scuole di avviamento. Qui sono dedicate alcune pagine a definire
chi erano gli ebrei secondo l’ideologia fascista. Intanto la struttura dell’opera
ricorda quella dei manuali di catechismo perché è strutturata in domande e
risposte. Naturalmente il ritratto dell’ebreo che esce fuori dalla trattazione di
questo libro è improntato all’antisemitismo tedesco: gli ebrei hanno una civiltà
completamente diversa da quella italiana; non si sono mai integrati con le
popolazioni con cui sono venuti a contatto,tuttavia hanno poi avuto un influsso
negativo su di loro e hanno anche occupato i posti migliori, togliendoli ai
concittadini italiani.
Gli stessi stereotipi antisemiti si leggono alla voce “Ebrei” del dizionario
enciclopedico di Luigi Melzi D’Eril del1938 come anche nel Dizionario
Enciclopedico Moderno,Edizioni Labor 1942. Negli Atti del II Convegno di studi
della scuola media, (Società Cooperativa Tipografica, Padova 1938) oltre che
dell’autarchia, si parla anche del pericolo del meticciato per le razze superiori e
di come il regime fascista abbia fatto bene a prendere le misure che ha preso nei
riguardi degli ebrei. C’è poi nel Museo una fotocopia di un contratto, stilato da un
notaio in cui si legge che il comparente è di razza ariana ( si tratta della vendita
di una casa effettuata a Roma nel 1939).
Ancora oggi il Museo della Scuola
continua a funzionare grazie al
sostegno del Dirigente scolastico,
Prof.ssa Carla Sbrana, e all’impegno
profuso dalla Prof.ssa Anna Simone, ex
responsabile del Museo, dalla
responsabile del progetto Carla Rolandi,
dalla Prof.ssa Francesca Amoroso,
dalla Prof.ssa Maria Clemente, dall’ex
alunno Valerio Di Vico, dagli studenti
della Ia F, Marco Micangeli e Gaetano
Schiavo.
Informazioni utili
Chi fosse interessato a visitare il Museo della Scuola del Liceo Giulio
Cesare è invitato a rivolgersi alla Prof.ssa Anna Simone (Tel.
064505063) o, in alternativa, alla Prof.ssa Carla Rolandi docente
nella Sezione H del Liceo.
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Museo della Scuola - Liceo Giulio Cesare