Enciclica del Patriarcato ecumenico scritta nel 1920
dal santo sinodo della Chiesa di Costantinopoli
Alle Chiese di Cristo in ogni luogo
“Amatevi gli uni gli altri di cuore intensamente” (1a Pietro 1,22).
La nostra chiesa sostiene che un riavvicinamento fra le varie Chiese cristiane ed
una comunione fra di esse non vengono esclusi dalle differenze dottrinali che
esistono fra di esse. E’ nostra opinione che un tale riavvicinamento sia altamente
desiderabile e necessario. Sarebbe utile in molti modi per il reale interesse di ogni
chiesa particolare e dell’intero corpo cristiano, ed anche in vista della
preparazione e avanzamento di quella benedetta unione che verrà resa completa
nel futuro in accordo con la volontà di Dio. Noi consideriamo perciò che il tempo
presente sia molto favorevole per portare avanti e studiare insieme questa
importante questione.
Ed anche se - a causa di antichi pregiudizi, abitudini o presunzioni - le
difficoltà che nel passato hanno così spesso messo a repentaglio i tentativi di
riunione, possono nuovamente sorgere o fatte emergere, nondimeno - dato che in
questo stadio iniziale siamo interessati soltanto a contatti di riavvicinamento - tali
difficoltà sono a nostro parere di minor importanza. Se vi è una buona volontà ed
intenzione, esse non possono costituire un ostacolo invincibile ed insuperabile.
Perciò, considerando un tale compito essere sia possibile sia opportuno specialmente in vista dell’augurata costituzione della Lega delle Nazioni - noi ci
arrischiamo ad esprimere qui di seguito in breve i nostri pensieri e le nostre
opinioni circa la maniera in cui noi comprendiamo questo riavvicinamento e
contatto e come noi lo consideriamo realizzabile; invitiamo caldamente ad
esprimere un giudizio e la loro opinione le altre chiese sorelle dell’Est e le
venerabili Chiese cristiane nell’Ovest e ovunque nel mondo.
Noi crediamo che le seguenti due misure contribuirebbero grandemente a quel
riavvicinamento che è tanto desiderabile quanto utile, e crediamo che esse siano
di successo e al tempo stesso fruttuose:
In primo luogo, noi consideriamo necessario ed indispensabile rimuovere ed
abolire tutta quella reciproca sfiducia e amarezza fra le differenti chiese che nasce
dalla tendenza di alcune di esse a fare proselitismo attirando aderenti di altre
confessioni. Questo, perché nessuno ignora ciò che sta sfortunatamente
Anno accademico: 2013/2014
Docente: Gianpaolo Mastroianni
accadendo oggi in molti luoghi, disturbando la pace interna delle chiese,
soprattutto nell’Est. Sono tante le sofferenze e tanti i disagi ad essere causati da
altri cristiani, e si sono sviluppati l’odio e l’inimicizia, con risultati poi
insignificanti, proprio a causa di questa tendenza di alcuni a fare proselitismo
attirando i seguaci di altre confessioni cristiane.
Immediatamente dopo questo essenziale ristabilimento di sincerità e franchezza
fra le chiese, noi consideriamo che,
In secondo luogo, soprattutto, l’amore dovrebbe essere riacceso e rafforzato fra le
chiese, in modo che esse non si considerino più reciprocamente estranee e
straniere, ma familiari, come facenti parte della famiglia di Cristo e “eredi,
membra di uno stesso corpo e partecipi della promessa di Dio in Cristo” (Ef 3,6).
Infatti, se le diverse chiese fossero ispirate dall’amore, e mettessero l’amore
davanti a qualsiasi altra cosa nei loro giudizi sulle altre e nelle loro relazioni con
le altre, invece di aumentare ed ampliare le divergenze esistenti, potrebbero
essere in grado di ridurle e diminuirle. Molte buone cose verrebbero raggiunte per
la gloria ed il beneficio sia delle chiese singole sia dell’intero corpo di Cristo,
attraverso: la promozione di un appropriato interesse fraterno per le condizioni, il
benessere e la stabilità delle altre chiese; la prontezza ad interessarsi di ciò che
sta succedendo in tali chiese e ad acquisire una migliore conoscenza di esse; la
volontà di offrirsi reciprocamente mutuo soccorso ed aiuto.
A nostro parere, un tale spirito di amicizia e di gentile disposizione le une verso le
altre può essere manifestato e dimostrato particolarmente nelle seguenti maniere:
a) Con l’accettazione di un calendario comune per la celebrazione delle
grandi feste cristiane nello stesso giorno da parte di tutte le chiese.
b) Con lo scambio di lettere fraterne in occasione dei principali anniversari
delle varie chiese, ed in altre occasioni speciali.
c) Con strette relazioni fra i rappresentanti di tutte le chiese ovunque siano.
d) Con relazioni fra le scuole di teologia e i professori di teologia; con lo
scambio di riviste teologiche ed ecclesiastiche, e di altre pubblicazioni
edite in ciascuna chiesa.
e) Con lo scambio di studenti per periodi di studio specialistico fra le Facoltà
delle diverse chiese.
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f) Con la convocazione di conferenze pan-cristiane al fine di esaminare
questioni di interesse comune a tutte le chiese.
g) Con lo sviluppo di studi storici, imparziali e approfonditi, circa le
differenze
dottrinali,
sia
da
parte delle
Facoltà
sia attraverso
la
pubblicazione di libri.
h) Con il mutuo rispetto dei costumi e delle pratiche nelle diverse chiese.
i) Con il permesso reciproco all’utilizzo di cappelle e cimiteri per il funerale
ed il seppellimento di credenti di altre confessioni deceduti in paesi esteri.
j) Con la definizione della questione dei matrimoni misti fra le confessioni.
k) Infine, con un’assistenza reciproca, pienamente convinta, per tutte le
chiese nel loro impegno all’avanzamento religioso, alle opere di carità e
così via.
Un tale sincero e stretto contatto fra le chiese sarà la cosa più utile e produttiva
per l’intero corpo della Chiesa, perché svariati pericoli minacciano non solo alcune
chiese particolari, ma le chiese tutte. Questi pericoli attaccano le fondamenta
stessa della fede cristiana e l’essenza della vita e della società cristiana. La
terribile guerra mondiale appena conclusa ha portato alla luce molti sintomi
malsani nella vita dei popoli cristiani, ed ha spesso rivelato una grande mancanza
di rispetto addirittura per i principi elementari della giustizia e della carità. Ferite
già esistenti sono state peggiorate ed altre sono state aperte, di tipo più
materiale, che richiedono l’attenzione e la cura di tutte le chiese. L’alcolismo, che
cresce di giorno in giorno; l’aumento di un lusso non necessario sotto il pretesto
di migliorare e godere la vita; la voluttuosità e la lussuria a stento coperte dal
mantello della libertà e della emancipazione della carne; il prevalere di licenziosità
ed indecenza incontrollate nella letteratura, nella pittura, nel teatro e nella
musica, sotto la rispettabile definizione di sviluppo del buon gusto e coltivazione
delle belle arti; la deificazione della ricchezza e il disprezzo di ideali più alti; tutte
queste cose e altre ancora, mentre minacciano l’essenza delle società cristiane,
sono anche argomenti di attualità che richiedono ed anzi necessitano uno studio
comune e una cooperazione da parte delle chiese cristiane.
Infine, è dovere delle chiese che portano il santo nome di Cristo, non dimenticare
né rinnegare più oltre il suo nuovo e grande comandamento dell’amore. Né le
chiese devono continuare a rimanere pietosamente indietro rispetto alle autorità
politiche, le quali, applicando veracemente lo spirito del Vangelo e l’insegnamento
Il pensiero teologico moderno
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di Cristo, hanno già sotto i migliori auspici predisposto la cosiddetta Lega delle
Nazioni al fine di difendere la giustizia e coltivare la carità e l’accordo fra le
nazioni.
Per tutte queste ragioni, essendo noi stessi convinti della necessità di stabilire un
contatto e una lega (comunione) fra le chiese, e credendo che le altre chiese
condividano la nostra convinzione qui espressa, perlomeno come un inizio noi
richiediamo a ciascuna di esse di inviarci in risposta una dichiarazione riguardante
il proprio giudizio ed opinione su questa materia, in maniera tale che raggiunto
un comune accordo e una comune risoluzione, possiamo procedere insieme alla
sua realizzazione e “seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso
colui che è il capo, cioè Cristo; da lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso
mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura
del valore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore” (Ef 4,15-16).
Base del Consiglio Ecumenico delle Chiese
I. Base
Il Consiglio Ecumenico delle Chiese è una comunione (fellowship) di chiese che
confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore secondo le scritture e
perciò cercano di adempiere insieme alla loro comune chiamata alla gloria
dell’unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo ...
III. Funzioni e scopi
Il Consiglio Ecumenico delle Chiese è costituito per le seguenti funzioni e scopi:
1) richiamare le chiese all’obbiettivo dell’unità visibile, in una sola fede ed in
una comunione eucaristica espressa nel culto e nella vita comune in
Cristo, e ad avanzare verso tale unità affinché il mondo possa credere;
2) facilitare la testimonianza comune delle chiese in ogni luogo ed in tutti i
luoghi;
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3) sostenere le chiese nel loro compito missionario ed evangelistico in ogni
parte del mondo;
4) esprimere la preoccupazione comune delle chiese al servizio dei bisogni
dell’umanità, nell’abbattere le barriere tra i popoli, e nella promozione di
un’unica famiglia umana nella giustizia e nella pace;
5) promuovere il rinnovamento delle chiese nell’unità, nel culto, nella
missione e nel servizio;
6) stabilire e mantenere relazioni con i consigli nazionali delle chiese e con
le conferenze regionali, con i corpi confessionali e le altre organizzazioni
ecumeniche;
7) portare avanti il lavoro dei movimenti ecumenici Fede e Costituzione
(Faith and Order) e Vita e Azione (Life and Work), del Consiglio
Missionario Internazionale (International Missionary Council) e del
Consiglio Mondiale per l’Educazione Cristiana (World Council of Christian
Education).
2° modulo. Storia del movimento ecumenico:
la sua affermazione nell’ambito
della chiesa cattolica romana
Lo studio della storia del movimento ecumenico prosegue in questo modulo
riservando una particolare attenzione all'evolversi degli atteggiamenti della chiesa
cattolica romana - e dei suoi pontefici - nei confronti della prospettiva ecumenica.
Ci soffermeremo in particolare su tre momenti della storia di questo secolo:
1) Prima del Concilio Vaticano II:
la
reazione
al
nascente
fenomeno
del
dialogo
interdenominazionale
e
interconfessionale - con la lettura di alcuni stralci, riprodotti in questa guida,
dall’Enciclica del Papa Pio XI Mortalium animos (1928) - un documento molto
importante, di vera e propria “scomunica” dell’ecumenismo.
Il pensiero teologico moderno
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L’enciclica Mortalium animos esprime una reazione piuttosto dura e scostante
verso il movimento ecumenico, reazione fondata sulla seguente concezione della
chiesa: Cristo ha fondato una unica chiesa, le sue parole circa l’unità di questa
chiesa non sono l’espressione di un auspicio bensì indicano una verità fattuale,
realizzata dall’unica vera Chiesa di Cristo, cioè la Chiesa Romana. Pensare che la
Chiesa cattolica non sia tale realizzazione, significa bestemmiare contro la verità
rivelata da Cristo e l’opera dello Spirito Santo. Ritenere che il corpo mistico della
chiesa si trovi disgiunto e disperso è una sciocchezza.
Tra i punti di sostanziale dissenso dottrinale tra cattolici e protestanti (il
Protestantesimo viene citato solo una volta, e “ad esempio”) vengono elencati: la
tradizione come fonte genuina della divina Rivelazione; la gerarchia di vescovi e
preti come istituzione divina; la transustanziazione ed il carattere di sacrificio del
sacramento dell’eucaristia; l’invocazione dei Santi e prima di tutti di Maria Madre
di Dio, la venerazione delle immagini di costoro.
2) La svolta rappresentata dal Concilio Vaticano II - con la lettura integrale del
documento per l'ecumenismo, Unitatis redintegratio.
La Unitatis redintegratio (UR) è il testo-base dell'ecumenismo cattolico. Vi si
delinea la posizione della chiesa cattolica nei confronti delle altre chiese cristiane.
Le chiese ortodosse sono oggetto di “speciale considerazione” e sono chiamate
“chiese” (persino “chiese sorelle”), pur non essendo unite a Roma, in quanto hanno
conservato
la
successione
apostolica
(cattolicamente
intesa)
attraverso
l'episcopato storico e tutto ciò che (da un punto di vista cattolico) ne consegue sul
piano della validità dei sacramenti (UR,15). Le chiese protestanti invece non sono
considerate chiese ma “comunità ecclesiali”, in primo luogo perché non hanno
conservato l'episcopato storico (le chiese luterane scandinave, in realtà, l'hanno
indiscutibilmente conservato, ma Roma non lo riconosce, come non riconosce
quello anglicano). Il Concilio ammette che le chiese protestanti posseggano beni
autenticamente cristiani precisando però che il loro valore salvifico “deriva dalla
stessa pienezza di grazia e verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica” (UR,3).
In questo quadro si dice delle chiese evangeliche che “lo Spirito Santo non ricusa
di servirsene come mezzi di salvezza”, in quanto esse possono “realmente
generare la vita della grazia” (UR,3).
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Sono tre gli elementi di svolta - relativi allo sviluppo della sensibilità ecumenica in
ambito cattolico - da tener presenti considerando il Vaticano II:
a) Il documento Unitatis redintegratio avrebbe dovuto, in un primo tempo,
intitolarsi: “Principi dell’ecumenismo cattolico” - si intitolò invece poi: “Principi
cattolici dell’ecumenismo”.
b) Nel documento si assiste alla sostituzione della categoria “eretici” con quella di
“fratelli separati” - frates sejuncti: al centro del rapporto non c’è più dunque ciò
che oppone ma ciò che accomuna (l’essere fratelli).
c) Il documento contiene una grande visione cattolica della chiesa come luogo in
cui si ricapitola non solo il cristianesimo ma tutta l’umanità: si riconoscono
quindi i valori già esistenti nelle confessioni e nelle religioni, e anche
nell’umanità laica. La chiesa è vista come un luogo di raccolta e di sintesi
creativa di tutte queste ricchezze.
3) Il pensiero più recente del cattolicesimo in tema di ecumenismo - con la lettura
integrale della recente enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint.
Se nel documento Unitatis redintegratio i cristiani non cattolici sono ancora
chiamati “fratelli separati”, nell'ultima enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint
questa formula viene abbandonata e si suggerisce, tra le righe, quella di “fratelli
ritrovati”.
Accanto a questo elemento di superamento dei traguardi raggiunti con il Vaticano
II, dobbiamo anche segnalare un forte elemento di arretramento: in questi ultimi
anni, e specialmente con il pontificato di Giovanni Paolo II, il papato ha eclissato
quello che fu il grande tema del Concilio: la collegialità episcopale. Si deve dire,
paradossalmente, che c’è più papato oggi, dopo il Vaticano II, di quanto non ce ne
fosse all’indomani del Vaticano I!
Letture
Goosen.G, Introduzione all’ecumenismo, Claudiana, Torino 2007
“Unitatis redintegratio”, in Enchiridion Vaticanum. 1. Documenti del Concilio
Vaticano II, EDB, Bologna 1979 (11a ed.), oppure in: Decisioni dei Concili
Ecumenici, a cura di Giuseppe Alberigo, UTET, Torino 1978
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Giovanni Paolo II, Ut unum sint, Lettera enciclica sull’impegno ecumenico, EDB,
Bologna 1995: Introduzione; I. L’impegno ecumenico della chiesa cattolica; II. I
frutti del dialogo - fino al punto 49, e poi dal punto 64 fino al 76
Letture facoltative
Cereti, G., "L'ingresso della chiesa cattolica nel movimento ecumenico e l'avvento
di un unico movimento ecumenico", in Filoramo G., Menozzi, D. (a cura di), Storia
del cristianesimo, L'età contemporanea, Laterza, Bari-Roma 1997 pp. 379-387
(anche: pp. 364-368)
Ricca, P., "L'ecumenismo cattolico", in Filoramo, G. (a cura di), Storia delle
religioni, 2. Ebraismo e cristianesimo, Laterza, Roma-Bari 1995 pp. 662-663
lo stesso saggio si trova anche in:
Filoramo, G. (a cura di), Cristianesimo, Laterza, Roma-Bari 2000
Dizionario del Movimento ecumenico: Chiesa cattolica romana ed ecumenismo fino
al Vaticano II, Unitatis redintegratio, Encicliche/Encicliche cattoliche e sociali,
Direttorio ecumenico (1967-1970), Direttorio ecumenico (1993), Gerarchia delle
verità.
“La chiesa cattolica e il movimento ecumenico, 1910-1948”, in Rouse, R., e Neill,
S. C., a cura di, Storia del movimento ecumenico dal 1517 al 1948. Vol. III: Dalla
Conferenza di Edimburgo all’Assemblea ecumenica di Amsterdam, Il Mulino,
Bologna 1982 pp. 481-518; “Il movimento ecumenico e la chiesa cattolica”, in Fey,
H. E., (a cura di), Storia del movimento ecumenico dal 1517 al 1968. Vol. IV:
L’avanzata ecumenica, Il Mulino, Bologna 1982 pp. 639-722
Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, Direttorio per
l’ecumenismo, EDB, Bologna 1993; Il Regno-documenti 39 (1994) 6-35
Pio XI
Mortalium animos
(1928)
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Sulla vera unità religiosa, a proposito di adunanze così dette pancristiane
DESIDERIO DI PACE. Mai forse quanto oggi gli uomini han sentito nei loro cuori
così vivo e potente il desiderio di rafforzare e allargare, a comun bene di tutti,
quei rapporti di fraternità che tutti ci stringono e adunano, per il fatto stesso della
comune origine e natura. (…)
VANI TENTATIVI DI RIUNIR TUTTE LE RELIGIONI. (…)
VANO TENTATIVO DEI PANCRISTIANI PER UNIRE TUTTI I CRISTIANI. (…) … dove
sotto l’apparenza di bene si cela più facilmente l’inganno è quando si tratta di
promuovere l’unità tra tutti quanti i cristiani. (…)
… i cosiddetti pancristiani, gente questa più numerosa assai di qual che non si
creda … persone le quali, o la pensino in un modo o nell’altro, quello che è certo,
per lo più non sono cattoliche. (…)
… un errore dei più gravi, che scrolla dal fondo le basi della fede cattolica. La
coscienza del Nostro compito Apostolico Ci ammonisce di non lasciar circonvenire
il Gregge dal fallacie pericolose, e perciò, Venerabili Fratelli, richiamiamo la vostra
attenzione sopra questo male e il modo di evitarlo. (…)
LA RELIGIONE VERA E’ LA RELIGIONE RIVELATA. (…) … l’Unigenito Figliuol di Dio
stabilì in terra la sua Chiesa. Pertanto non ci si può professar cristiani senza
credere che Cristo ha fondato una Chiesa e una Chiesa unica. Il dissenso
incomincia allorché si vuol sapere quale deve esser questa Chiesa secondo la
volontà del suo Fondatore.
Molti cristiani, per esempio, negano che la Chiesa
debba essere visibile, almeno nel senso che il corpo dei fedeli debba apparir unico
e tutto concorde in una stessa dottrina e sotto uno stesso magistero e governo; e
intendono per Chiesa visibile una Confederazione delle varie comunità cristiane,
sebbene in particolare aderiscano a dottrine diverse, anzi opposte.
I FALSI FONDAMENTI DEI PANCRISTIANI. A questo punto val la pena d’individuare
e toglier di mezzo l’errore, in cui si fonda la questione e da cui partono le idee e
le iniziative molteplici degli acattolici, relative all’unione delle Chiese cristiane. I
fautori d’essa hanno per vezzo di tirar fuori ogni tanto Gesù che dice: “Tutti siano
una cosa sola … si farà un ovile e un pastore” (Ioan. XVII,21; X, 16); quasi che in
queste parole il desiderio e la preghiera di Gesù siano restate senza effetto.
Pensano che l’unità di fede e di regime – dote distintiva della Chiesa – non sia in
fondo mai esistita prima di ora, e non esista oggi … (…)
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Alcuni ammettono e concedono che il Protestantesimo, per esempio, troppo
precipitosamente si disfece di certi capi di fede e di alcuni riti del culto esterno,
che, al contrario, la Chiesa Romana ritiene ancora. Ma subito aggiungono che
questa pure però ha fatto cose che son venute a corrompere la religione antica,
aggiungendo e proponendo a credere dottrine non solo aliene dal Vangelo, ma
contrarie ad esso: come, si affrettano a dire, il Primato di giurisdizione attribuito a
S. Pietro e a’ suoi successori nella Sede di Roma. (…)
… di acattolici che si riempiono la bocca con queste prediche di unione fraterna
ne trovi molti; a nessuno però passa per il capo di sottomettersi e obbedire
all’insegnamento, al comando del Vicario di Cristo. Per ora affermano di voler
trattare volentieri con la Chiesa Romana, per quanto con eguali diritti e alla pari
sempre; ma se potessero fare, c’è da star sicuri che farebbero in modo da non
esser costretti in quella forma di accordo che essi vagheggiano, a lasciar quelle
idee per cui oggi si trovano fuori dell’unico ovile di Cristo, vagando ed errando.
LA VERITÀ DI DIO NON TOLLERA COMPROMESSI. Ciò posto, è evidente che la Sede
Apostolica non può in nessuna maniera prender parte ai loro congressi, e in
nessuna maniera devono i cattolici aderire o tener mano a simili tentativi;
altrimenti vengono a dare autorità ad una pretesa religione cristiana, che è
lontana le mille miglia dalla sola Chiesa di Cristo. (…)
L’UNITA’ NELLA CARITÀ PRESUPPONE L’UNITA’ NELLA FEDE. Codesti “pancristiani”,
presi come sono dall’ardore di unir chiese, parrebbero animati da un’idea
nobilissima , l’idea di accrescere la carità tra i cristiani; ma, per un altro verso,
può mai la carità far danno alla fede? (…)
… S. Giovanni stesso vietò assolutamente ogni relazione di sorta con quanti non
professavano intera ed immacolata la dottrina di Cristo: “Se vien qualcuno tra voi
e non porta questa dottrina, non lo ricevete in casa e nemmeno salutatelo” (Ioan.
II, 10). (…) … come si può pensare ad una Confederazione cristiana, i cui membri,
anche in materia di fede, possono ritenere ciascuno quel che gli pare e piace,
quand’anche gli altri hanno idee e sentimenti opposti? (…)
Con una disuguaglianza tale di opinioni (…) … quella è la via alla negligenza della
religione, o indifferentismo, e al modernismo secondo il quale la verità dogmatica
non sarebbe assoluta bensì relativa … (…)
L’INFALLIBILITÀ DEL MAGISTERO ECCLESIASTICO. (…) Tutti i veri cristiani con la
stessa fede con cui credono il dogma della SS. Trinità, credono il dogma della
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Immacolata
Concezione;
e
come
all’Incarnazione
del
Signore,
così
pure
all’infallibile magistero del Romano Pontefice … (…)
UNICA VIA DELLA PACE: IL RITORNO. … sarà ora chiaro perché la Sede Apostolica
mai abbia permesso ai suoi fedeli d’intervenire ai congressi degli acattolici: la
riunione dei cristiani non si può favorire in altro modo che favorendo il ritorno dei
dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale, precisamente, un giorno
ebbero l’infelice idea di staccarsi; a quella unica vera Chiesa di Cristo, diciamo,
che è visibile a tutti, e che tale, per volontà del suo Fondatore, resterà, quale egli
stesso la fondò per la salvezza di tutti. (…)
… nessuno sta in questa sola Chiesa di Cristo, nessuno ci persevera se non
riconosca e accetti l’autorità e la podestà di Pietro e dei suoi legittimi successori.
(…)
APPELLO. Tornino dunque i figli dissidenti alla Sede Apostolica, collocata in questa
città che Pietro e Paolo consacrarono del loro sangue, a questa Sede, ripetiamo,
che è radice e origine della Chiesa …; ma tornino non coll’idea che la Chiesa …
abbandoni l’integrità della fede e tolleri i loro errori; ma piuttosto per darsi al suo
magistero e governo. (…)
FULVIO FERRARIO
RAGIONI E CRITERI
DEL DIALOGO ECUMENICO
Le motivazioni storiche e teologiche del dialogo e “le regole del gioco”
Tratto da: Giampiccoli F. (a cura di), Giubileo ed ecumenismo. Occasione o
inciampo?, Claudiana, Torino 1999, pp. 7-16
1. Perché l’ecumenismo?
1.1.Perché Dio lo vuole
Questa è la prima ragione. Volutamente utilizzo un’espressione provocatoria, in
quanto segnata da una storia tragica. Dio lo vuole, così come Dio è con noi, è
stato, e non raramente è ancora, lo slogan di ogni forma di oppressione
religiosamente motivata e la motivazione religiosa costituisce regolarmente un
Il pensiero teologico moderno
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fattore di inasprimento e non di moderazione della violenza. Affermare Dio lo
vuole è quindi per le chiese cristiane una sfida, non da ultimo alla propria storia.
La sfida è tuttavia necessaria, in quanto l’unità costituisce, secondo le confessioni
di fede universalmente accettate, una delle note fondamentali della chiesa,
assieme alla santità, alla cattolicità, cioè al carattere universale e all’apostolicità.
Noi crediamo la chiesa una, perché uno è il Signore, una la fede, uno il battesimo,
uno l’Iddio, Padre di tutti (Ef. 5,4 s.). Rispetto a tale professione di fede, il dato di
fatto della divisione costituisce, come sempre si afferma, uno scandalo. E’ vero,
naturalmente, che occorre distinguere tra la chiesa in quanto oggetto di fede e la
chiesa in quanto oggetto d’esperienza. La chiesa creduta non coincide,
semplicemente, con quella empirica. E’ anche vero, però, che tale distinzione,
teologicamente non solo legittima ma necessaria, non giustifica in alcun modo la
divisione,
cioè
la
reciproca
scomunica.
All’affermazione
di
fede
deve
corrispondere una prassi ecclesiale di comunione. Che cosa significhi comunione
lo vedremo in seguito, ma intanto si va sul sicuro dicendo che è il contrario di
divisione. Non è quindi retorico definire la situazione creatasi nel II millennio
come ribellione alla volontà di Dio da parte delle chiese, dunque come peccato.
Dato poi che le note caratteristiche della chiesa si implicano reciprocamente, cioè
non possono sussistere indipendentemente l’una dall’altra, la compromissione
dell’unità della chiesa porta con sé anche quella della santità, della cattolicità e
dell’apostolicità.
Le chiese protestantii hanno avvertito in modo drammatico la gravità della
lacerazione di fronte al compito missionario: anzi, sono stati i rappresentanti dei
popoli convertiti dalla missione a segnalare la tragedia legata alla solidarietà della
predicazione
dell’evangelo
con
l’esportazione
non
solo
delle
specificità
confessionali, ma anche delle scomuniche ad esse legate. Gli studiosi del quarto
evangelo ci spiegano che la citazione di Giov. 17,21 in questo contesto, per
quanto sorga spontanea e risulti indubbiamente efficace, non sia correttissima dal
punto di vista esegetico, ma resta il fatto che tra ecumenismo e missione v’è un
rapporto originario e qualificante. La missione obbliga a colmare il deficit di
riflessione teologica ereditato dalla tradizione, largamente incapace di distinguere
tra l’evangelo e la sua interpretazione confessionale. Ovviamente il primo esiste
solo in forma incarnata e quindi nella seconda. Non si dà alcun evangelo
“distillato”, separato dal modo in cui viene ecclesialmente compreso e vissuto. Lo
stesso evangelo, tuttavia, può, e per molti aspetti deve, potersi esprimere in modi
Il pensiero teologico moderno
Modulo 3
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diversi e non è affatto detto che il rapporto tra le varie interpretazioni debba
essere di incompatibilità.
Ebbene, Dio vuole che questi nodi
vengano sciolti, lo vuole in nome
dell’obbedienza della fede e dell’annuncio del messaggio, che ne è una
dimensione portante. Credo dunque che chi interpreta l’ecumenismo come
espressione di una temperie culturale tra le altre, o addirittura di una concessione
alla contemporanea retorica del dialogo, sia in errore. Certo, come vedremo
subito, c’è anche questo, ma la qualità cristiana dell’utopia ecumenica si radica
nella rivelazione, cioè in Dio stesso. Ci si deve chiedere criticamente, questo sì,
come mai le chiese non se ne siano accorte prima, come mai tutte (quale in modo
più massiccio, quale in modo più differenziato: almeno questo va riconosciuto)
abbiano identificato se stesse con l’una sancta facendo in pratica della scomunica
il mezzo più significativo di affermazione dell’identità. La domanda, tuttavia, non
può
costituire
una
messa
in
questione
dell’ecumenismo,
semmai
una
sottolineatura della sua urgenza. La chiesa del XXI secolo non ha alcun diritto di
guardare alle generazioni cristiane che l’hanno preceduta con arrogante senso di
superiorità. Proprio perché, tuttavia, la comunione dei santi si estende anche
attraverso le generazioni, la nostra epoca vive la responsabilità che deriva da una
consapevolezza del carattere malvagio della divisione, consapevolezza che altri
secoli della storia cristiana non hanno avuto: tale responsabilità costituisce una
vocazione.
1.2. Pensare la verità di Dio in termini plurali
La seconda fondamentale ragione del dialogo ecumenico risiede nella necessità
delle chiese di pensare la verità di Dio in termini plurali, il che implica due
elementi.
1.2.1. L’esistenza della verità di Dio.
Nel paradigma postmoderno, non è cosa che vada da sé, anzi buona parte della
vulgata ideologica oggi corrente sostiene che la nozione di verità sia vuota sul
piano teoretico e pericolosa su quello pratico. Vuota perché l’esperienza
dimostrerebbe l’impossibilità di accordarsi sul suo effettivo contenuto: ognuno ha
il proprio rapporto con Dio o con l’Assoluto, ognuno ha dunque la propria verità.
Il pensiero teologico moderno
Modulo 3
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Assolutizzare la propria verità è arbitrario e dunque violento. In questa natura
violenta della verità consisterebbe la pericolosità della nozione per quanto
riguarda la convivenza. La passione per la verità favorirebbe lo scontro e
inibirebbe il dialogo. La fede cristiana è invece convinta che la verità di Dio esista,
si sia rivelata nella persona di Gesù Cristo. La verità è una, Gesù stesso. Tutte le
altre “verità”, tutte le altre “immagini di Dio” hanno nella rivelazione di Dio in Gesù
Cristo la loro fonte e il loro criterio. Gesù Cristo è “la via, la verità e la vita”, la
“luce del mondo”, da cui deriva, come riflesso, ogni altra luce che illumina questo
mondo. Che non si tratti di una verità violenta e assassina, ma piuttosto violentata
e uccisa, è manifesto nella croce di Gesù. L’infedeltà ecclesiastica al carattere
radicalmente non violento della verità di Dio compromette certamente la
credibilità della testimonianza, ma non la realtà testimoniata. In Gesù Cristo, Dio
si rivela come verità accogliente e umana: anzi, Gesù è il contenuto normativo di
espressioni come accoglienza e umanità, altrimenti destinate più ad evocare
sentimenti che a descrivere la realtà. La fede cristiana si caratterizza dunque come
radicale
contestazione
dello
scetticismo
postmoderno,
così
come
di
un
indifferenziato “pluralismo” che in nome del dialogo (in particolare di quelle
interreligioso) tende a sacrificare la portata veritativa dei contenuti, e dunque la
serietà stessa del confronto, che viene ridotto a pura e semplice testimonianza
esperienziale
e
dunque,
in
ultima
analisi,
a
sorda
giustapposizione
di
autobiografie.
1.2.2. La parzialità della prospettiva
Il dibattito culturale degli ultimi secoli e le sue ricadute sull’epistemologia delle
scienze tanto della natura quanto dello spirito ci hanno tuttavia mostrato che il
nostro rapporto con la verità ha carattere prospettico, il che significa anche
parziale. Non significa che conosciamo “una parte” di Dio, quasi ne esista un’altra,
estranea alla rivelazione, ma che la Totalità si dà solo nella parzialità della
prospettiva. A dire il vero la tradizione cristiana ha sempre proclamato che
“conosciamo in parte” (I Cor. 13,9) e che il criterio della nostra conoscenza di Dio
è Cristo crocifisso visto, per così dire, “dal basso”. La teologia della croce, come
teologia di una comunità in cammino, che si sa non ancora alla meta, ha sempre
costituito un baluardo nei confronti delle più svariate forme di tentazione
gnostica, propense a svincolare la nozione di Dio dalla forma concretamente
assunta dalla rivelazione sul Golgota.
Il pensiero teologico moderno
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Dall’altra parte, anche la theologia crucis è sempre esposta al rischio di
trasformarsi in theologia gloriae, che pretende di parlare di Dio ponendosi non ai
piedi della croce, ma dal punto di vista di Dio stesso. Quando ciò accade, la
teologia e la fede stessa si illudono di “possedere” la verità, di esaurirla. L’attuale
sensibilità
pluralista
aiuta
la
chiesa
a
cogliere
i
pericoli
di
un
simile
atteggiamento. Certo la verità è una, è Cristo stesso, ma tale verità non può
essere esaurita da alcuno, né da alcuna chiesa. Come la vista umana non può
cogliere gli oggetti a 360 gradi, così il conoscere della fede apprende Dio in modo
prospettico e totalizzante, “pleromatico”ii. Il carattere prospettico dell’approccio
alla verità fonda non solo la legittimità, ma la necessità di una pluralità di
prospettive. Il rapporto tra tali prospettive non è di pura e semplice
giustapposizione, né è possibile accedere alla totalità mediante sommatoria delle
prospettive parzialiiii. Occorre anche evitare, come avvertono molte teologie
femministe, di postulare troppo presto l’integrazione delle parzialità. Il darsi del
tutto nella parzialità della prospettiva è irriducibile: le diverse prospettive entrano
in rapporto solo mediante il dialogo, che diviene attesa dell’ulteriore dischiudersi
della verità. La verità dialogica, che nasce dalla consapevolezza della reciprocità
che lega le prospettive diverse, non può essere posseduta, ma solo invocata
nell’epiclesi, vissuta nell’incontro e celebrata nella dossologia. La verità, per dirla
con Kant, è noumenica e viene conosciuta, nel quadro di una sana teologia
cristiana, nella forma prospettica e parziale del fenomeno. L’assolutizzazione di
una singola prospettiva della verità assume carattere idolatrico e dev’essere
rifiutata. La verità noumenica, d’altra parte, mantiene la propria autorità di criterio
critico, di canone, rispetto al quale le diverse prospettive devono mostrarsi
convergenti.
Questo pluralismo prospettico si distingue dallo scetticismo postmoderno in
quanto presuppone una nozione forte di verità come fondamento della parzialità
del rapporto umano (ivi compreso quello ecclesiale) con essa. In tal senso, si
tratta di una posizione tradizionale, reinquadrata nei termini della sensibilità
attuale. Il dialogo è dunque il luogo di confronto e di in contro dialettico delle
varie prospettive nelle quali viene compresa la verità di Dio nella croce di Gesù. In
quanto forma della coesistenza tra le chiese esso sancisce l’abbandono della
pretesa idolatrica del possesso della verità e la rinnovata assunzione di un
atteggiamento di ascolto nel quale la verità si dischiude in una parzialità che non
è impoverimento ma condizione stessa di accoglienza.
Il pensiero teologico moderno
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1.3. Il Dio trinitario
Il fondamento ultimo della natura dialogica è naturalmente il Dio trinitario, che è
dialogo nella sia identità più profonda. Se non fosse per il rischio di cadere nella
retorica, si potrebbe affermare che, in un quadro trinitario, in principio è il
dialogo: non si tratta cioè di qualcosa di derivato, ma dell’arché, dell’origine.
Naturalmente quello trinitario non è un dialogo qualsiasi, ma dialogo che
scaturisce dalla koinonia-comunione delle Persone. Qui ha il suo relativo diritto
l’idea oggi enfatizzata in ambito ecumenico della koinonia-comunione trinitaria
come fondamento della comunione nelle chiese e tra le chiese iv: essa aiuta a
cogliere il dato centrale per cui il dialogo non è in quanto tale indice di
inadeguatezza nel rapporto con la verità, ma anche la verità escatologica sarà
dialogo, perché tale è la verità protologica, originaria (trinitaria, appunto). Occorre
però ribadire che quello dell’analogia trinitaria è un diritto relativo: quella nelle
chiese e tra le chiese può sempre e solo essere comunione imperfetta di comunità
in cammino e un ricorso disinvolto dell’immaginario trinitario rischia di farlo
dimenticare.
2. L’obiettivo del dialogo ecumenico
L’ecumenismo vuole l’unità della chiesa e la comunione delle chiese, nulla meno.
Che cosa dobbiamo intendere con ciò?
2.1. Unità non è …
Quanto abbiamo detto sul rapporto ecclesiale con la verità ci aiuta a chiarire
anzitutto che cosa non dobbiamo intendere per unità della chiesa. Unità non può
essere la pura e semplice conversione di una chiesa all’altra, l’assolutizzazione di
un modo di essere chiesa, implicitamente o esplicitamente identificato con l’una
sancta.
2.1.1. …“ritorno all’ovile”
Ciò indica la necessità di abbandonare una volta per tutte l’idea dell’unità come
“ritorno all’ovile”. Com’è noto essa ha costituito per secoli il “progetto
ecumenico”, se così si può dire, del cattolicesimo romano, il quale affermava di
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attendere fiduciosamente il ritorno dei “fratelli separati” nell’unità già data nella
comunione romana, cum Petro e sub Petro. Oggi Roma si esprime in termini
diversi, ma la è necessario verificare fino a che punto l’evoluzione riguardi la
sostanza della sua proposta e non solo il modo di formularla. Nella misura in cui il
magistero romano propone il papato come “perpetuo e visibile fondamento
dell’unità”v esso rischia di legittimare il sospetto che nulla sia innovato per quanto
riguarda l’essenzialevi. Quella intorno al papato può solo essere un’unità
“romana”. In una prospettiva ecumenica il papato può avere
un ruolo
confessionale, come espressione dell’autorità di una delle grandi famiglie
cristiane, ma difficilmente può essere inteso come struttura al servizio della
comunione universale. Qui si situa l’impasse dell’intero movimento ecumenico:
mentre le chiese evangeliche si concepiscono come espressioni confessionali
dell’unità cristiana, Roma si comprende come unica espressione in se stessa
ecumenica della cristianitàvii. In un simile quadro il card. Ratzinger può anche
adottare espressioni ecumeniche come “diversità riconciliata” senza con ciò
modificare significativamente il punto di vista della propria tradizione viii.
2.1.2. … unità organica
Più in generale l’idea che vede l’unità della chiesa come sviluppo di una struttura
unitaria, entro la quale vadano a collocarsi le diverse tradizioni (modello
dell’“unità organica”), dovrebbe essere abbandonata. In fondo essa è legata al
presupposto in base al quale la parzialità prospettica del rapporto con la verità
può essere superata mediante sommatoria o integrazione. Ciò non significa,
naturalmente, che il movimento ecumenico non debba porsi il problema di una
struttura rappresentativa dell’unità cristiana, non solo per motivi pratici, ma anche
come segno del fatto che l’unità non riguarda solo la chiesa invisibile. Il ministero
di unità, tuttavia, non va necessariamente pensato come vertice di una
superchiesa che integri organicamente le confessioni, ma può anche essere un
centro di coordinamento di chiese che restano diverse e autonome. Va detto
comunque che porre questo tema sistematicamente al primo posto nelle
riflessioni sull’unità sembra essere indice di più di una fissazione che di
un’effettiva priorità.
2.2. Comunione conciliare – diversità riconciliata
Il pensiero teologico moderno
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Una visione dell’unità che tenga conto di quanto abbiamo fin qui esposto e
soprattutto del cammino compiuto dal movimento ecumenico può essere
sintetizzata, con il Sinodo 1998 delle Chiese valdesi e metodisteix, nelle due
nozioni di comunione conciliare e diversità riconciliata. La prima viene definita
con le parole utilizzate in altro contesto dall’Assemblea di fede e Costituzione di
Salamanca 1973: “La chiesa una deve essere vista come una comunione conciliare
di chiese locali, che sono esse stesse realmente unite. In questa comunione
conciliare ogni chiesa locale possiede, in comunione con le altre, la pienezza della
cattolicità, testimonia della stessa fede apostolica e perciò riconosce le altre come
appartenenti alla stessa chiesa di cristo e come guidate dallo stesso Spirito”.
Per quanto riguarda la diversità riconciliata, il Sinodo afferma che “il cristianesimo
è apparso sul palcoscenico della storia, nel secolo apostolico, non in un’unica
forma di chiesa uguale dappertutto, ma in una pluralità di forme di chiesa che
costituisce uno dei tratti salienti e originali del fenomeno.
La diversità non è dunque un dato tardivo, che in un secondo momento è venuto a
incrinare o scomporre un ipotetico quadro uniforme delle origini ma, al contrario,
è
un
dato
presente
fin
dai
primi
giorni,
che
ha
caratterizzato
come
costitutivamente pluriforrme l’unità cristiana. Unità della chiesa e diversità delle
sue forme istituzionali sono dunque contemporanee come caratteristiche della
chiesa universale (notae ecclesiae). Come lo Spirito Santo è unico ma dà luogo a
“diversità di doni”(I Corinzi 12,4), così la Chiesa di Gesù Cristo è una e pluriforme,
non uniforme”.
Va da sé che, in questa visione, le diverse chiese non sussistono semplicemente le
une accanto alle altre, ma vivono la ricerca della verità in quel clima di dialogo,
caratterizzato in senso forte, che abbiamo delineato in precedenza. Il cammino
verso un simile obiettivo può sembrare talmente arduo da far apparire irrealistico
l’obiettivo stesso. A parte il fatto che, parafrasando l’apostolo, esiste un’utopia di
Dio che è più realistica degli uomini (e delle donne), vale la pena di ricordare che
il cammino percorso nell’ultimo secolo è stato, per dirla in modo sobrio, notevole.
Il modello di unità che abbiamo delineato non esiste solo sulla carta, ma è stato
tradotto in realtà, per quanto riguarda le chiese luterane, riformate, unite e poi
metodiste d’Europa dalla Concordia di Leuenbergx, che a sua volta ha stimolato
percorsi analoghi negli Stati Uniti e nuovi processi ecumenici in Europa xi. E’ vero
che le sirene di qualche forma più o meno riveduta e corretta di “unità organica”
centrata
su
Roma
continuano
Il pensiero teologico moderno
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ad
esercitare
un
fascino
pericoloso
per
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l’ecumenismo e questo rende incerto il futuro che, oggi come oggi, possiamo
ragionevolmente provare a immaginare ma appunto, non è detto che la
ragionevolezza ecclesiastica costituisca un criterio adeguato alla speranza
ecumenica.
i
Protestanti: il cattolicesimo romano non si è lasciato turbare nella sua coscienza di incarnare l’unità fino a tempi molto
recenti e anche qui, come si vedrà, il discorso va articolato.
ii Cfr. S. ROSTAGNO, “Verità pleromatica e pluralismo”, Protestantesimo 52 (1997), 140-154.
iii Cfr., sotto, le conseguenze ecclesiologiche di una prospettiva del genere.
iv Cfr. ad es. TH. F. BEST – G. GASSMANN (Edd.), On the Way to Fuller Koinonia, Official Report of the Fifth World
Conference on Faith and Order (Santiago de Compostela, 1993), Geneva, WCC, Publications, 1994.
v Lumen Gentium, n. 23, ripresa dall’Ut unum sint, n. 88.
vi Cfr. in proposito le osservazioni del SINODO 1995 DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE, “Il papato e
l’ecumenismo”, Protestantesimo 59 (1995), 241-245.
vii Lascio qui da parte il problema dell’autocomprensione dell’Ortodossia.
viii Cfr. ad es. J.RATZINGER-P.RICCA, “Ecumenismo, papato, testimonianza cristiana”, Protestantesimo 48 (1993), 118-129.
ix Sinodo 1998 delle Chiese evangeliche valdesi e metodiste, L’ecumenismo e il dialogo interreligioso, Torino, Claudiana,
1998, n. 48.
x “Concordia tra le chiese luterane, riformate ed altre in Europa”, in Raccolta delle discipline vigenti nell’ordinamento valdese, Torino,
Claudiana, 1983, 35-47. Sul significato ecumenico della vicenda di Leuenberg mi permetto di rinviare al mio breve saggio
“Protestantesimo come progetto ecumenico: la Comunione di Leuenberg”, premesso all’edizione italina del testo
leuenberghese La chiesa di Gesù Cristo. Il contributo delle chiese della Riforma al dialogo ecumenico sull’unità della chiesa. La Concordia di
Leuenberg, Torino, Claudiana, 1996, 5-17.
xi Alludo in particolare ai dialoghi che hanno portato le chiese dell’Evangelische Kirche in Deutschlandi e la Chiesa anglicana
a sottoscrivere la Dichiarazione di Meissen (“Verso l’unità visibile”, in G. CERETI-J.F. PUGLISI (edd.), Enchiridion
Oecumenicum, 4: Dialoghi Locali 1988-1994, Dehoniane, Bologna, 1996, 117-132); e le chiese luterane dei paesi nordici e la
chiesa d’Inghilterra a elaborare il documento di Porvoo (“Verso una maggiore unità”, Enchiridion 4, cit., 133-135), entrambi
dichiarazioni di comunione ecclesiale. Cfr. W. HÜFFMEIER – C. PODMORE, Leuenberg, Meissen and Porvoo, Frankfurt a.M.,
Lembeck, 1996; P. RICCA, “Leuenberg-Meissen-Porvoo”, Protestantesimo 50 (1995), 236-240.
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Enciclica del Patriarcato ecumenico scritta nel 1920 dal santo