Liceo “B. Varchi”
Montevarchi
anno scolastico 2007-2008
Il volume raccoglie gli interventi dei relatori
del ciclo di conferenze Dell’Estetica presentate
al Liceo “B. Varchi” di Montevarchi nell’anno
scolastico 2007-2008.
Ideatrice del progetto e curatrice della raccolta:
Libera Bramante
Grazie al Liceo “B. Varchi” di Montevarchi
che ha consentito la realizzazione
dell’iniziativa. Grazie ai ragazzi che l’hanno
sollecitata. Grazie a tutti coloro che l’hanno
condivisa.
Al testo è allegato un compact disc che
contiene le immagini presentate durante
le conferenze ed alcune foto dei “piatti
della bellezza” che ne hanno addocito lo
scenario.
Liceo Scientifico e Classico “B. Varchi”
Montevarchi
Sommario
Premessa................................................................................................ p. 7
Libera Bramante
Introduzione......................................................................................... p. 9
Nedo Migliorini
La bellezza e il “sé immagine”........................................................ p. 11
di Libera Bramante
Il bello artistico tra epoche e stili.................................................... p. 27
di Giuseppe Pristerà
Religione e velo: prescrizione o scelta?......................................... p. 39
di Cristina Viglianisi
La donna salvifica in Dante e in Montale...................................... p. 49
di Giuliana Simonti
Il sorriso di Venere la bellezza attraverso la lettura dei classici....... p. 65
di Carla Mugnai
Dell’estetica ovvero del corpo in movimento............................... p. 83
di Alessandra De Mori
Dialogo sul bello in matematica.................................................... p. 99
di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
L’estetica tra forma e sostanza....................................................... p. 127
di Carlo Nocentini
Premessa
L’idea di questo libro è nata lo scorso anno scolastico 2007/2008
quando, durante gli incontri pomeridiani tenutisi nel nostro Liceo sul tema Dell’Estetica, si sentì la necessità di “fissare” in uno
scritto quei contenuti di riflessione a carattere multidisciplinare,
quasi per impedire che il tempo disperdesse l’entusiasmo profuso durante la loro preparazione ed esposizione. Un entusiasmo
inizialmente timido forse a causa del timore che la disabitudine
a lavorare insieme, prerogativa spesso peculiare della scuola secondaria superiore, potesse far naufragare sul nascere tale iniziativa.
Di fatto il desiderio da più parti avvertito e mai apertamente palesato di costruire un qualcosa dove si imponesse forte un “noi”
piuttosto che tanti “io” isolati, ha avuto il sopravvento.
Differenti approcci, specifiche competenze, multiformi sensibilità e un libro: Dell’Estetica.
Libera Bramante
7
Introduzione
Non c’è alcun dubbio che la vita umana trovi una delle modalità della propria più significativa espressione e rappresentazione
nelle forme della bellezza.
Si potrebbe dire che, proprio per lo stringente legame tra bellezza e vita umana, i termini umanità e bellezza siano non solo
genericamente correlati ma addirittura in relazione necessariamente biunivoca: la bellezza in sé, fuori dalla coscienza umana,
ha infatti poco senso in quanto solo gli esseri umani sono in grado di esprimerne i tratti siano essi della natura, dei corpi, delle
anime o degli stessi prodotti umani dell’arte e dell’intelligenza
in tutte le forme.
Segno della bellezza sono i sentimenti di affezione, attrazione e
piacere, dunque tutte espressioni emozionali dal contenuto positivo, che si determinano nella coscienza in relazione alla qualità
delle cose percepite siano esse appunto produzioni della natura o
creazioni umane. Che tali sentimenti si producano in virtù di un
canone di riferimento interiore innato, oppure acquisito per educazione e/o consuetudine sociale, è motivo di confronto da secoli
tra filosofi; nessuno tuttavia dubita quale sia l’effetto di questi sentimenti: essi contrassegnano in modo specifico l’esistenza umana.
Circondarsi di bellezza è una delle prerogative più caratterizzanti
della natura umana tanto che etnologi ed antropologi hanno sottolineato come questo tratto comune ad ogni contesto sociale costituisca un universale della cultura .
E sono proprio l’universalità e la connessa molteplicità dei contenuti di esperienza capaci di indurre questi sentimenti positivi e piacevoli le testimonianze più evidenti della pervasività
dell’esperienza estetica: gli uomini cercano la bellezza ovunque
e cercano altresì di produrne sempre di nuova.
9
Niente di più naturale ed al tempo stesso interessante, allora, per
una comunità di docenti professionalmente dediti ad educare
alla bellezza, (bellezza dell’arte, della letteratura, della poesia,
della scienza, del pensiero, della corporeità,…) che interrogarsi
sull’Estetica. Essi infatti non solo hanno il dovere di approfondire le proprie conoscenze già esperte di tali forme di bellezza,
ma hanno anche quello di ricercare i modi e le strategie migliori, magari utilizzando quelle stesse emozioni positive che tali
espressioni inducono, per educare i giovani a riconoscerle, ad
apprezzarle e valorizzarle oltre che, eventualmente, a produrne
di nuove.
Nedo Migliorini
Dirigente scolastico
Liceo “B. Varchi” Montevarchi
10
La bellezza e il “sé immagine”(*)
di Libera Bramante
Cosa possiamo dire riguardo alla bellezza? Intanto possiamo
fare una parziale mappatura, ovviamente incompleta, del suo
codice genetico e delle sue odierne manifestazioni e come punto
di partenza respingere l’illusione che della bellezza “esistano definizioni preliminari semplici e univoche quasi fossero forme immobili,
monoliti di cristallo perfettamente squadrati e fuori del tempo o canoni
assoluti che si impongono automaticamente e perentoriamente alla percezione e al gusto”.1
Si tratta al contrario di nozioni complesse e stratificate nel tempo, con registri simbolici e culturali non omogenei, riflesso di
analisi e desideri degli uomini.
Prima di addentrarsi nel nucleo del problema è però necessario
fare un piccolo excursus sulla terminologia legata al concetto di
bello perché attraverso l’analisi di essa possiamo comprendere
interessanti sfumature. La ricerca linguistica e terminologica ci
fa inquadrare il termine bello come legato all’interno di sistemi
di valore e pone in risalto la connessione del bello con i concetti
(idee) di eccellenza e perfezione morale. Ma ciò che è più singolare
è che esso ha una natura “quasi ubiqua rinvenibile nelle più distanti
culture”.2
In latino bellus, diminuitivo di bonus (dweno–los, bonulus) in origine significava abbastanza buono, ma non eccellente (appena sopra
la media), piccolo e grazioso. In giapponese yoshi ha lo stesso legame con il buono. Così come in greco kalokàgathos, uomo esemplare
(*) Questa relazione è corredata da immagini contenute nel compact disc allegato al
volume.
1 R. Bodei, Le forme del bello, Il Mulino, Bologna, 1995, pag. 8.
2 Ivi, pag.13.
11
Dell’Estetica
(kàlos, buono; originariamente kalim, attrarre a sè) e (àgatos, buono).
O in cinese l’ideogramma mei (bellezza come un grande agnello)
posto in rapporto con shan (buono).
Bello in latino, pulcher (di origine incerta) riferito a bontà e potenza divina e umana o aptus, bello in quanto funzionale allo scopo
(da cui l’opera di Agostino De pulchro et apto).
Infine in tedesco (da Hegel ad Heidegger) schön (bello) ha lo
stesso etimo di schein (brillare, splendere, pieno di luce) come nelle concezioni tardo antiche e medievali dove il bello è associato
all’Aglaia, allo Splendor e alla Caritas.
Questo per quanto riguarda la terminologia.
Ma cosa troviamo se andiamo alla ricerca delle tradizioni che
maggiormente hanno segnato la nostra concezione di bellezza?
Troviamo come prima quella che si richiama alle idee di misura e di ordine, le cui premesse (nella Grecia arcaica) risalgono
a Zeus che, dopo aver vinto le forze delle tenebre, imprigiona
dopo un colpo di stato il padre Kronos sull’Erebo e stabilisce le
proprie leggi fondandole sulla nozione di misura. E insieme al
figlio Apollo custodisce queste Metra secondo regole codificate e
trascritte sulle mura esterne del tempio di Delfi con una scritta che
così suonava: “il più giusto è il più bello, osserva il “limite” 3 (concetto
di perfezione nella mentalità arcaica). [D1]
Questi ideali di misura vengono per la prima volta trasposti
dal piano religioso a quello filosofico grazie alla scuola pitagorica che avvia le prime articolate riflessioni sul bello. Si attribuisce
proprio a Pitagora l’inscrizione di ogni forma di bellezza in un contesto globale. Nessuna civiltà prima dei Greci era riuscita a codificare con tanta astrazione le leggi di questo ordine. In tutte le civiltà
gli uomini si sono sempre lasciati attrarre dai fenomeni (legati ai
concetti) di ordine e simmetria, che suscitano sensazioni di sicurezza ed equilibrio. La percezione è tanto più forte quando questi si
riscontrano in natura (es. contorni della luna che si stagliano nel
cielo stellato; le macchie rosso fuoco sul dorso di un insetto etc.).
Percezione più forte di quella che si prova quando si riflette sulla
simmetria assiale (speculare delle due metà del corpo).
Pitagora chiama il mondo Kosmos, termine che in preceden3 Ivi, pag. 17.
12
La bellezza e il “sé immagine” di Libera Bramante
za indicava solo l’ornamento o il maquillage delle donne, i nostri
odierni oggetti di cosmetica. L’intento di Pitagora era quello di
trasferire anche sulla terra l’ordine (apparentemente minato dal
caos del cielo stellato) che si riscontrava dall’osservazione dei
corpi celesti e dei loro ritmi e cicli. Solo così, secondo Pitagora,
gli uomini avrebbero imparato a distinguere il vero dal falso, il
bello dal brutto, il buono dal cattivo e sarebbero stati in grado di
elaborarlo nelle leggi della politica. Solo così queste leggi sarebbero state perfette come quelle che regolano i corpi celesti.4 Per
Pitagora la misura e l’ordine si manifestano nell’armonia sonora
e nella simmetria visibile, concetti che implicano una relazione
o proporzione ordinata di parti dove ordine e proporzione coincidono con la bellezza. Così la bellezza è concepita come proporzione e appropriata disposizione delle parti. Per i pitagorici
l’armonia sonora e la simmetria visibile, che sono la più esplicita
manifestazione della misura, sono riconvertibili l’una nell’altra
così come il sensibile è traducibile nell’intellegibile e viceversa.
Essi sostengono che non vi è scissione fra i piani di realtà, tra il
piano sensibile e quello intellegibile, ma essi sono “traducibili”
l’uno nell’altro. Inoltre per i Pitagorici le misure del mondo sono
conoscibili perché obbediscono a leggi che si mostrano attraverso numeri [D2]. Il numero è l’archè, l’origine, l’essenza della realtà e non è separato dagli enti, non è una astrazione5; ha aderenza
con la realtà perchè non vi è scissione tra i piani di realtà (Platone
opererà questa separazione).
Per Pitagora la “riconvertibilità” dei concetti di armonia sonora e simmetria visibile, che sono alla base del concetto di misura,
è testimoniata da un racconto. Si narra che Pitagora, udendo dei
colpi di martello sull’incudine, si rese conto che l’armonia dei
suoni prodotti, un accordo secondo la proporzione 3:4:5, non dipendeva nè dalla forma del martello nè dalla forza, ma dal loro
peso. Questa armonia trovava poi riscontro nella costruzione geometrica di due triangoli che alla fine di alcune operazioni forniva tre segmenti la cui rispettiva lunghezza corrispondeva a quel4 Cfr. R. Bodei, Le forme del bello, op. cit. pag. 19.
5 Cfr. Aristotele, Metafisica, 987b, in Collana I Grandi Filosofi, opere scelte da
Armando Massarenti, Laterza, Bari, 1999.
13
Dell’Estetica
la delle corde “do”, “mi”, “la” a testimonianza della traducibilità
del visibile nell’udibile come del sensibile nell’intellegibile.
Per tale motivo il bello sensibile risultava non divergere da
quello artistico in uno scambio reciproco di forme sensibili e di
forme intellegibili.
L’applicabilità del numero e della misura anche alla simmetria
visibile, oltre che all’armonia sonora, è per i pitagorici testimoniata nella scultura, nell’ architettura e nella pittura. E l’anello
di congiunzione tra armonia e simmetria è indicato dal ritmo:
regolare ritorno degli stessi elementi o strutture. Nella scultura
la simmetria è resa dai rapporti di misura tra le parti della statua
(es. rapporto tra la testa e il corpo: la testa un decimo rispetto al
corpo). Oppure nelle arti visive con la sezione aurea, divisione di
un segmento in due parti diseguali tali che queste stiano tra loro
in un rapporto corrispondente a quello che l’intero segmento intrattiene con la prima parte.
Quindi l’armonia, la simmetria e un cosmo retto dal numero
presuppongono la misura, il rapporto di proporzione senza residui, l’unione di bello, buono, vero.
Così il pensiero di Pitagora svilupperà un’iniziale sinonimia
della trinità vero, bello, buono.
Se il mondo è governato da leggi che si basano su misure calcolabili, armoniche e simmetriche, che i sensi e l’intelletto sono
capaci di cogliere e reinvertire reciprocamente, esse sono belle,
vere e buone.
Il bello quindi è buono, è giusto, retto dalla giusta misura,
dall’equilibrio e dall’armonia che sono virtù. Per cui se la virtù
coincide con l’adeguarsi alla forma razionale del mondo, il bello è
qualsiasi atteggiamento morale che si ispira alla misura.
La trinità pitagorica comincerà ad incrinarsi solo con Platone,
quando il vero e il buono perderanno la loro “immediata coincidenza
con il bello”.6
Ma con quale bello? Quello sensibile e quello dell’arte.
Questo perché per Platone, rispetto a Pitagora, c’è scissione
6 R. Bodei, Le forme del bello, op. cit. pag. 30.
14
La bellezza e il “sé immagine” di Libera Bramante
tra sensibile ed intellegibile. Per Platone il mondo intellegibile
o iperuranio o mondo delle idee custodisce le essenze vere della
realtà, gli archetipi, i modelli di cui il mondo sensibile è copia. Qui
bisognerà fare una precisazione perchè erroneamente si vede
Platone avversario tout court dell’arte quando, in realtà, il suo è
solo timore della potenza ammaliatrice di essa che tocca la parte a-razionale dell’anima, allontanando dal vero, dalla ragione.
Platone avversa quindi solo quella potenza dell’arte “istigatrice”
di sentimenti irrazionali che distoglie dal coglimento del vero,
bello e buono intellegibili. Per Platone il sensibile è funzionale
all’intellegibile, la bellezza sensibile a quella intellegibile. L’ordine cosmico non è altro che una copia dell’intellegibile e la bellezza rinvia ad un aldilà ultrasensibile, di cui la parte sensibile di
essa ne è solo un riflesso. Quindi la bellezza vera, quella che potrà
ricostituire la trinità vero, bello, buono, rinvia a ciò che si può
cogliere oltre i sensi.
In particolare in due dialoghi, il Convito ed il Fedro, [D3] Platone definisce i caratteri della bellezza, ne ribadisce il legame con il
buono ed il vero intelligibili, ma anche con l’amore, Eros, che è un
grande demone (ciò che sta tra dio e il mortale), che è amore del
bello, Eros di bellezza, messaggero dagli uomini agli dei. Egli ha
il compito di cogliere la bellezza sensibile e da lì si fa veicolo per
ascendere dalla bellezza dei corpi alla Bellezza in sé.
Nel Convito, Socrate, invitato a cena da Agatone ed esortato a
parlare di questioni riguardanti l’amore riferisce il dialogo avuto
con Diotima di Mantinea, portatrice di arte divinatoria, esperta
in cose d’amore, e così dice:
[…] “E quando alcuno […] sollevandosi dalle cose di quaggiù, prenda
a contemplare quella bellezza, allora può dirsi che abbia quasi toccato
la meta.
Perché questo appunto è sulla via d’amore procedere o essere guidato dirittamente da un altro: muovendo dalle belle persone di quaggiù
ascendere via via sempre più in alto, attratto dalla bellezza di lassù,
quasi montandovi per una scala, da un bel corpo a due, e da due a tutti i
bei corpi, e da’ bei corpi alle belle istituzioni e dalle istituzioni alle belle
scienze per finire dalle scienze a quella scienza che non è scienza d’altro
se non in quella bellezza; e pervenuto al termine, conosca quel che è il
bello in sé.
15
Dell’Estetica
Questo, mio caro Socrate, se altro mai, diceva l’ospite di Mantinea, è
il momento della vita degno per un uomo d’esser vissuto, allorché egli
può contemplare la bellezza in sé. Ed essa, ove mai tu la veda, non ti
parrà comparabile né con oro né con vesti né con quei bei fanciulli e
giovanetti, al cospetto dei quali rimani ora sgomento e sei pronto, e tu e
molti altri, guardando codesti vostri amati e standovi con loro, se fosse
possibile, sempre, a non mangiare né bere, ma soltanto a contemplarveli
e starci insieme.
E che sarebbe, diceva, se a qualcuno riuscisse di vedere il bello in sé,
schietto, puro, sincero, non infarcito di carni umane e di colori e di
tante altre vanità mortali, ma potesse scorgere la divina bellezza in sé
medesima, uniforme ?[…]
O non pensi, disse, che quivi soltanto, a lui che vede la bellezza con
quello per cui essa è visibile, verrà fatto di partorire, non immagini di
virtù, perché non è in contatto con immagini, ma virtù vera, perché in
contatto col vero; e che, avendo generato e nutrito virtù vera a lui solo è
concesso di divenir caro agli dei, ed anche, se altri mai fu tale al mondo,
immortale ?”7
Quindi Platone non disdegna la bellezza sensibile. Nel Convito
si parla di amore per la bellezza di un corpo e poi di altri corpi e
così per via ascensiva si arriva all’essenza suprema della bellezza. La bellezza rende immortali nel corpo (propagazione della
specie) e nell’anima. Quindi egli non solo non disdegna la bellezza sensibile, ma le affida la responsabilità di condurre l’uomo in
ascesa dal sensibile all’intellegibile. 8
E infatti nel Fedro dice:
[…] “Quanto alla bellezza, essa, come s’è detto, sfolgorava allora nella sua
essenza tra quegli spettacoli; e noi, venuti quaggiù, l’abbiamo senz’altro
riconosciuta alla sua luminosità mediante il più luminoso dei nostri sensi.
La vista è infatti il più acuto dei nostri sensi corporei, ma con essa non
si vede la sapienza – che desterebbe in noi ardentissimi amori, se la sua
7 Platone, Convito, XXIX, 210/211 - 211/212, in PLATONE, Tutte le opere, Sansoni
Editore, Milano, 1993.
8 Cfr. F. Rella, Il mostruoso dentro di noi, in La Repubblica del 12 Giugno 2007; S.
Givone, La bellezza? La bellezza non deve essere perchè è falsa, in SWIF, L’Unità 16
Gennaio 2002, (http://swif.uniba.it/lei/rassegna020116c.htm); T. Mann, La morte
a Venezia, introduzione di Cesare Cases, traduzione di Bruno Maffi, Milano:
Rizzoli, 1987.
16
La bellezza e il “sé immagine” di Libera Bramante
immagine si offrisse altrettanto chiara al nostro occhio – come del resto
non si vedono le altre amabili essenze.
Ora invece alla sola bellezza toccò questo privilegio d’essere la più evidente e la più amabile […]”9
Quindi in Platone il concetto di bellezza ha un duplice significato: da un lato è Eros che genera l’immortalità nella bellezza,
dall’altro è coglimento di verità e di bene.
Ma se Eros genera l’eterno nella bellezza allora la bellezza sarà
l’origine dell’eternità e dell’immortalità. La bellezza come origine.
Queste considerazioni passeranno poi attraverso la concezione
plotiniana della bellezza come sgorgante dal nulla, [D4] un nulla
inteso come libero sgorgare dall’Uno, un nulla alto e non basso
che è nel cuore dell’essere e lo fonda. Quindi l’essere non sarà
che libertà e la bellezza manifestazione dell’essere come libertà.
Nel corso dei secoli la riflessione e gli interrogativi sul concetto
di bellezza oscilleranno tra il bello inteso come libertà creatrice e
il bello come fondamento di verità e bene.
Ma già a partire da Plotino, come abbiamo visto, la bellezza
sottratta dal suo fondamento (in quanto intesa come libero sgorgare dall’Uno, quindi come libertà) si sottrarrà a se stessa e si
farà sfuggente ed inafferrabile. E così per secoli, fino ad arrivare
a pensare che la bellezza non ha più a che fare con la bellezza, ma
con altro. Il suo altro che ne porta alla luce la verità, negandola.
La bellezza ha a che fare con il nulla. E come sostiene Sergio Givone: “con ciò il cerchio sembra chiudersi”.10
Da qui una domanda che ci riguarda da vicino. [D5]
È ancora cosa, è ancora ideale per noi la bellezza? “O non è
che un guscio vuoto, un simulacro, un’idea svuotata di senso?” 11
Viviamo in un mondo che è paradosso di bellezza, che la insegue
forsennatamente, ma che non sa più cosa essa sia.
9 Platone, Fedro, XXXI, 250/251, in PLATONE, Tutte le opere, Sansoni Editore, Milano,
1993.
10 S. Givone, Prima lezione di estetica, Laterza, Bari, 2006, pag. 49.
11 Ibidem.
17
Dell’Estetica
Solo ciò che è bello sembra degno di esistere, ma il risultato poi
è il trionfo di quella parodia del bello che è cosmesi a tutti i costi.
Il paradigma estetico viene così esteso pervasivamente ai più
diversi ambiti dell’esperienza, secondo quel fenomeno che Mario
Perniola12 definisce dimensione estetizzante delle masse. Difatti
a prima vista la bellezza pare ancora una volta, come già Platone
ci aveva fatto notare, il concetto più adatto a gettare un ponte,
ma questa volta, tra l’atmosfera cosmetico-massmediale pubblicitaria e la tradizione culturale. Quindi la bellezza è più popolare, più connessa con il sentire delle masse che non i concetti di
verità / virtù / bontà. Intanto oggi, sulla base di accreditati dati
statistici, sembrerebbe che pochi si curano della coerenza dei loro
pensieri o della purezza delle proprie azioni, ma moltissimi si
interrogano sull’avvenenza del volto o del corpo, affollando maniacalmente palestre, centri estetici, intraprendendo diete drastiche e comprando cosmetici che promettono miracoli. In tutto
questo contesto pervasivamente estetizzante non c’è più posto per
la tradizione culturale, per la plurimillenaria riflessione filosofica intorno alla nozione di bellezza. Le moltitudini estetizzanti
ritengono di non avere più nulla da imparare dalla tradizione
culturale intorno al concetto di bellezza. Questo divario, sempre
più marcato tra la nozione di bellezza e le moltitudini estetizzanti, non è così immediato e passa attraverso una patologia sociale
chiamata narcisismo. Il termine è mutuato dalla tradizione mitologico letteraria.13 [D6]
Narciso è una figura mitologica greca, figlio di Cefiso, divinità
fluviale e della ninfa Liriope. Secondo il mito narrato da Ovidio, Narciso era un bellissimo giovane di cui tutti, sia uomini
che donne, si innamoravano alla follia. Tra gli spasimanti anche
la ninfa Eco, condannata da Era a ripetere le ultime parole che
le venivano rivolte, poiché le sue chiacchiere distraevano la dea
impedendole di scoprire gli amori furtivi di Zeus. Incapace di di12 Cfr. M. Perniola, Che fine ha fatto la bellezza, in Diario di Repubblica, 12 Giugno
2007; M. Perniola, La battaglia per la bellezza, in SWIF, L’Unità, 15 Settembre 2002
(http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020915d.htm).
13 Ovidio, Metamorfosi, trad. L. Koch, a cura di A. Barchesi/G. Rosati, Mondadori,
Milano, 2007.
18
La bellezza e il “sé immagine” di Libera Bramante
chiarare il suo amore, Eco fu respinta brutalmente dal bel giovane,
trascorrendo, consumata dall’amore, il resto della sua vita in valli
solitarie e destinata a rimanere solo un’eco lontana.
Gli dei adirati allora decisero di punire Narciso facendolo innamorare della sua immagine. Così Narciso, avvicinandosi ad
una fonte chiara, non appena vide riflessa la sua immagine se ne
innamorò perdutamente. Quell’amore, che gli veniva al tempo
stesso concesso e negato, cominciò a struggerlo di dolore e insieme a farlo godere del suo tormento fino a quando il povero
giovane non morì di languori e il suo bel corpo si trasformò in un
narciso, il fiore che cresce ai bordi delle fonti.
Da qui il narcisismo, come malattia psichica, che ha per l’affettività contemporanea14 un’importanza paragonabile a quella
dell’isteria e della nevrosi al tempo di Freud.
Il termine narcisismo, usato per la prima volta in psicanalisi
da Ellis, poi ripreso da un discepolo di Freud (J. Singer) e nel
1914 da Freud15 stesso, comunemente sta ad indicare uno stato
psichico in cui il soggetto preoccupato solo di sè stesso, esclude
tutti gli altri.
Come sostiene Freud, il narcisista è un soggetto la cui libido si
ritira su sè stessa, tant’è che si parla di ritiro narcisistico inteso
come un ritrarsi su sé stessi: come direbbe A. Lowen “un soggetto
in grado di agire quasi completamente in assenza di sentimenti”. 16
“Egli stesso diventa il proprio mondo e crede di essere lui il mondo
intero” 17 (Theodore Rubin).
Freud nel 1914 in Introduzione al narcisismo individua due tipi
di narcisismo: un narcisismo primario che non è una perversione,
bensì il completamento libidico dell’egoismo, della pulsione di
auto-conservazione, una componente che appartiene legittimamente ad ogni essere vivente, da intendersi come normale fase
evolutiva nella formazione della personalità, istinto di sopravvi14 Cfr. M. Perniola, La battaglia per la bellezza, art.cit. (http://lgxserver.uniba.it/lei/
rassegna/020915d.htm).
15 S. Freud, Introduzione al narcisismo, in Freud Opere, Boringhieri, Torino, 1975, pp.
441-472.
16 A. Lowen, Il narcisismo. L’identità rinnegata, Feltrinelli, Milano, 1985, pag.35.
17 T. Rubin, Goodbye to death and celebration of life, Vol. II, Event, 1981, p. 64.
19
Dell’Estetica
venza ed auto-tutela; e un narcisismo secondario. Quest’ultimo è
un nuovo ritirarsi narcisistico, un nuovo ritrarsi sull’Io (dagli oggetti) riproducendo quella onnipotenza infantile negata dall’incalzante maturità o dovuta all’influenza di quegli aspetti involutivi e nevrotici della società, che si esprimono attraverso la ricerca
del piacere ad ogni costo, con eccessi di consumismo di cibo e/o
di generi vari alternati ad atteggiamenti anoressici e ricerca, nei
casi più gravi, di bellezza e felicità originaria attraverso paradisi
artificiali.
Oltre a questo può esserci un narcisismo secondario più sano,
inteso come autodifesa, causato da traumi emotivi, esperienze
negative (esempio: un ritiro in sé stesse da parte di donne che
hanno subito esperienze negative con uomini cattivi e incapaci
di amare).
Se consideriamo il quadro socio-culturale in cui viviamo oggi,
possiamo affermare che il narcisismo secondario, che già nel 1914
fu oggetto di studio da parte di Freud, sia un tratto caratteristico
della nostra epoca.
L’amplificazione iperbolica dell’immagine dell’io a detrimento
della sua realtà conduce così ad un totale appiattimento sui modelli proposti dalla pubblicità, dalla televisione e dalla moda, che
ha assunto nel corso degli ultimi tempi l’aspetto di una catastrofe
culturale, politica e sociale in cui sono coinvolte l’arte e la scienza
non meno della filosofia e della religione. Tant’è che già nel 1980
la personalità narcisistica acquistò una tale importanza sulla scena psichiatrica da essere inclusa nel DSM-III dall’Associazione
psichiatrica americana. 18
Ciò anche a causa degli sviluppi avvenuti sia in campo sociale,
con la pubblicazione del libro di Christopher Lasch La cultura del
narcisismo (1978) 19 in cui si indagano le cause sociali che hanno
stravolto le categorie esistenziali dell’uomo facendolo ripiegare
su sé stesso, sia in ambito psicoanalitico grazie alle teorie di un
18 DSM-III-R, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Ed. Masson, Milano,
1981.
19 C. Lasch, La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano, 1978.
20
La bellezza e il “sé immagine” di Libera Bramante
autorevole analista di Chicago, H. Kohut, 20 che ha stimolato l’interesse intorno alla personalità narcisistica ispirando un grosso
movimento interno alla psicoanalisi definito “Psicologia del sé”.
La crisi dei valori, l’esibizionismo, la smania di costruirsi
un’immagine vincente agli occhi del mondo sono tutti fattori che
hanno certamente contribuito allo sviluppo incalzante delle personalità narcisistiche.
Dal punto di vista più propriamente sociologico, C. Lasch nel
libro La cultura del narcisismo sostiene che Narciso è l’immagine
simbolo del nostro tempo, dell’io incapace di aprirsi al riconoscimento dell’altro. Un io auto-proclamatosi ombelico del mondo,
origine e fine di ogni cosa. A suo avviso la nostra epoca vive un
individualismo narcisistico, ansioso ed inquieto, ripiegato su se
stesso, mosso dal desiderio di possesso e benessere senza limiti.
Mentalità proposta e imposta dai nuovi soggetti di potere che
impediscono la formazione di sane personalità, di sani Io nella collettività. Qui i soggetti sociali finiscono diritti nelle bocche
del cannone del consumismo. Senza un io correttamente formato
l’uomo è condotto alla ricerca di soddisfazioni effimere21, di una
bellezza/apparenza vuota che è il nulla.
Un nulla che sta in basso, che è simulazione, e che non è quello
alto di Plotino.
Certamente è l’eccessiva importanza legata all’immagine,
all’immagine bella, un indizio inequivocabile della tendenza al
narcisismo. I narcisisti dimostrano, è vero, una mancanza di interesse per gli altri, ma sono allo stesso modo indifferenti ai propri
più veri bisogni. Spesso il loro comportamento è autodistruttivo.
Inoltre, quando parliamo dell’amore dei narcisisti per se stessi,
dobbiamo operare una distinzione. Il narcisista denota un investimento nell’immagine invece che nel sé. I narcisisti amano la
propria immagine, non il loro sé reale. Amano il loro sé immagine.
Hanno un senso di sé debole e non è in base ad esso che orientano le loro emozioni. Ciò che fanno è piuttosto diretto ad in20 H. Kohut, Narcisismo e analisi del sè, Boringhieri, Torino, 1971; H. Kohut, La
guarigione del sé, Boringhieri, Torino, 1977; vedi anche H. Rosenfeld, Comunicazione
e interpretazione, Boringhieri, Torino, 1989, pp. 54-55.
21 Vedi S. Givone, Prima lezione di estetica, op. cit. pag. 51.
21
Dell’Estetica
crementare l’immagine, spesso a discapito del sé. L’ammirazione
che il narcisista riceve gonfia solo il suo io e non fa nulla per il se.
Alla fine il narcisista respingerà gli ammiratori allo stesso modo
in cui ha respinto il proprio sé autentico.
Il ritirarsi su di sé è non amore di sé, è incapacità di amare. Si cura
la propria immagine bella (come Narciso), ma non ci si ama. Si
insegue l’eterna giovinezza, si uccide a poco a poco il proprio
sé (come Dorian Gray22 [D7]) inseguendo una bellezza ideale e
non reale, sotto i ferri del chirurgo plastico o smettendo di cibarsi in un alterato rapporto dialettico con il cibo, fino a rendere
la propria immagine una rappresentazione spettrale/fantastica
nell’agonia anoressica. [D8]
In questo contesto in cui l’estetica, la bellezza, sembra reggersi solo sul culto dell’immagine narcisisticamente intesa, in cui
si è smarrito il nesso bellezza/realtà, bellezza/verità a favore
dell’apparenza e del non amore di sé, c’è ancora posto per la
bellezza che è eros, amore di bellezza e quindi amore di verità?
Amore che, veicolato dalla bellezza e veicolante la stessa, passa
prima attraverso i corpi, i corpi belli, per poi valorizzare la vera
essenza dell’uomo. Corpi belli che non sono (non devono essere)
immagine, ma che sono sé reale, sono sana autocreatività, autopoiesi23 e non simulazione e massificazione su modelli proposti dai
media e dal marketing. In tal senso per non lasciarsi sopraffare
dal nulla delle apparenze, si può rivolgere lo sguardo a quello
stesso narcisismo dai risvolti naturali, positivi, “sani” come direbbe Kohut. Narcisismo che può essere indirizzato in positivo e
curato, ossia coltivato, e che può diventare un’arma di difesa nei
confronti di un mondo pervasivamente estetizzante e legato al
culto dell’immagine tout-court.
Il narcisismo come amore e cura di se stessi può costituire un
aspetto certamente ambivalente, ma non necessariamente e sempre negativo della società contemporanea. Ciò se si presta un oc22 Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, collana Universale Economica «I Classici»,
traduzione di Benedetta Bini, Feltrinelli, 1991.
23 Vedi H. R. Maturana, F. J. Varela, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente,
Marsilio, Padova, 2001, pag. 39; N. Luhmann, Sistemi sociali fondamentali di una
teoria generale, trad. it. Il Mulino, Bologna, 1990, pag. 415.
22
La bellezza e il “sé immagine” di Libera Bramante
chio più attento e volto a filtrare quegli aspetti involutivi della
nostra epoca dove bellezza sembrerebbe essere solo immagine.
All’istinto di Narciso sono infatti collegate l’ambizione personale, la volontà di migliorarsi rispetto al passato, di auto-affermarsi, la difesa dei propri interessi.24 Secondo Freud esso costituisce
una spinta originariamente erotica di perfezionamento, ossia di
perfezionamento della pulsione libidica. Unito ad altre caratteristiche della personalità, il narcisismo può avere importanti
valenze sociali a patto che siano tutelate certe condizioni quali
l’indipendenza individuale, la libertà di scelta e l’identificazione
dell’individuo con scopi socialmente compatibili.
Tali caratteristiche pare siano tipiche nella fase adolescenziale
[D9] in cui l’io dei giovani, affrancatosi dai limiti posti dall’infanzia, raggiunge un livello di massima autodeterminazione creativa, di massima creatività autonoma o anche detta autopoiesi.
Tale creatività che è anche individualità e che è naturalmente
narcisistica si manifesta con:
- amore e rispetto verso se stessi, dimostrato non solo nell’autoconservazione e nell’autotutela, ma anche nella coltivazione
sana della propria persona sia dal punto di vista formale ed
estetico, che dal punto di vista intellettuale;
- amore per l’ambiente, naturale ed umano, coltivato dal punto
di vista estetico e sociale, nel quale al giovane piace “riconoscersi” e stare a proprio agio.
Questo tipo di amore e di carica di autodeterminazione creativa,
di tutela della propria individualità e libertà auto-creativa deve
fare i conti con le restrizioni e i vincoli sociali che l’adolescente vive e che l’entrata nella vita adulta con le sue responsabilità
metterebbe a rischio.
È questa la ragione per cui l’eterna giovinezza costituisce un
mito e un’utopia che accomuna la società contemporanea a quella passata e la perdita di giovinezza un rimpianto altrettanto universale, perchè si perde l’autonomia individuale creativa.
24 Cfr. S. Freud, Introduzione al narcisismo, op. cit. pag.46.
23
Dell’Estetica
Pertanto, come insegna la sociologia, è possibile sfruttare l’impulso alla creatività autopoietica ai vari stadi del ciclo di vita, per
socializzare, educare e produrre, e sublimarlo a scopi, non solo
individuali di chiusura e ripiegamento su se stessi, ma anche sociali, senza privare l’individuo di un senso di soddisfazione e
felicità.
E chissà che indirizzando e coltivando un naturale narcisismo
primario non vi sia ancora spazio per una bellezza del sé reale e
non più del sé immagine, dove l’ideale bellezza/verità/bontà,
forse anacronistico ma nostalgico, lasci intravedere spiragli di
ottimismo. E allora, la bellezza salverà il mondo? 25
25 Cfr. F. Dostoevskij, L’idiota, Einaudi, Torino, 1994.
24
La bellezza e il “sé immagine” di Libera Bramante
Riferimenti bibliografici
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da Armando Massarenti, Laterza, Bari, 1999.
•R. Bodei, Le forme del bello, Il Mulino, Bologna, 1995.
•F. Dostoevskij, L’idiota, Einaudi, Torino, 1994.
•DSM-III-R, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.
Ed. Masson, Milano, 1981.
•S. Freud, Introduzione al narcisismo, in Freud Opere, Boringhieri,
Torino, 1975.
•S. Givone, Prima lezione di estetica, Laterza, Bari, 2006.
•H. Kohut, La guarigione del sé, Boringhieri, Torino, 1977.
•H. Kohut, Narcisismo e analisi del sè, Boringhieri, Torino, 1971.
•C. Lasch, La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano, 2001.
•A. Lowen, Il narcisismo. L’identità rinnegata, Feltrinelli, Milano,
1985.
•N. Luhmann, Sistemi sociali fondamentali di una teoria generale, trad. it. Il Mulino, Bologna, 1990.
•T. Mann, La morte a Venezia, introduzione di Cesare Cases, traduzione di Bruno Maffi, Milano, Rizzoli, 1987.
•H. R. Maturana, F. J. Varela, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Marsilio, Padova, 2001.
•Ovidio, Metamorfosi, trad. L. Koch, a cura di A. Barchesi/G.
Rosati, Mondadori, Milano, 2007.
•Platone, Convito, in PLATONE. Tutte le opere, Sansoni Editore,
Milano, 1993.
•Platone, Fedro, in PLATONE. Tutte le opere, Sansoni Editore,
Milano, 1993.
•H. Rosenfeld, Comunicazione e interpretazione, Boringhieri,
Torino, 1989.
•T. Rubin, Goodbye to death and celebration of life, Event, Vol.
II., 1981.
•Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, collana Universale
Economica «I Classici», traduzione di Benedetta Bini, Feltrinelli,
1991.
25
Il bello artistico tra epoche e stili (*)
di Giuseppe Pristerà
Introduzione
Il concetto di estetica nell’arte inteso come ricerca del bello,
ossia forme armoniose giuste proporzioni ecc., è variato notevolmente nei secoli e nelle epoche, mutando in funzione dei parametri storici, sociali, stilistici e culturali.
Ciò che era considerato bello dagli artisti medioevali, non lo
era più per gli artisti del Rinascimento che definivano l’arte gotica “barbara”. Ciò che era bello per gli artisti barocchi dei secc.
XVII e XVIII non lo fu più per i neoclassici nell’Ottocento che
condannarono gli eccessi e gli abusi dell’arte barocca e roccocò e
definirono quel periodo artistico un periodo di “disordine”.
Ciò si spiega con il fatto che gli artisti hanno interpretato il concetto di estetica nel loro particolare momento storico e secondo
precisi parametri figli di ispirazioni e aspirazioni stilistiche sociali, economiche, artistiche e culturali in genere.
Kalòs kai agathòs
Nel mondo greco il concetto di bello coincide con quello di
buono, ossia giusto, eroico, onesto.
Kalòs Kai agathòs ossia “quel che è bello è buono”.
Nell’arte greca la bellezza esteriore è frutto di precisi rapporti
proporzionali tra le parti, equilibrio nei gesti, ponderazione delle
parti, compostezza nel mondo che circonda l’uomo, pacatezza
nella gestualità.
(*) Questa relazione è corredata da immagini contenute nel compact disc allegato al
volume.
27
Dell’Estetica
Il mondo rappresentato dagli artisti greci era un mondo interiore senza tensioni, concetto incarnato in modo esemplare dal
Dorifiro di Policleto. L’ideale policleteo rimane inalterato per tutto il classicismo e l’artista greco ricerca la bellezza quasi esclusivamente nel corpo maschile. Si tratta di corpi nudi e atletici in
quanto rappresentano spessissimo atleti.
Si sa infatti che l’atleta, per tutta la durata delle manifestazioni
olimpiche dell’antichità, era considerato un vero eroe che godeva di un trattamento sociale privilegiato (per esempio le sue imprese gli assicuravano un vitalizio, i posti migliori a teatro e ogni
sorta di riguardo).
Si capirà bene che allora un individuo così amato dal mondo
che lo aveva prodotto, non poteva che diventare un modello, lui
e la condizione che lo caratterizzava: nudità e prestanza fisica veniva così immortalata da artisti sommi come per esempio Mirone
nel Discobolo.
Per i greci l’atleta nudo era simbolo di perfezione e permetteva
di ammirare le proporzioni e la bellezza del corpo umano, ma
maschile.
Con Prassitele inizia il concetto di bellezza femminile.Nasce
così l’esempio di bellezza femminile ideale coniata con Afrodite al
bagno, primo esempio di una dea rappresentata nuda, a cui faranno riferimento gli artisti successivi, primo fra tutti l’artista della
Venere di Milo, fino agli artisti del Rinascimento che riprodurranno tale modello di bellezza femminile quali Botticelli e Raffaello.
Nell’Afrodite al languore sentimentale si unisce la flessuosità del
corpo, un corpo femminile dalle forme tornite.
Il concetto di bellezza subisce delle variazioni già presso i
romani. Pur rimanendo legato a quello greco, mostra però apporti di maggiore naturalismo e realismo essendo legato a
una visione più concreta dell’arte. Si sa infatti che per i romani l’arte viene concepita come documento non come filosofia.
Lo dimostrano le matrone romane, denudate a mo’ di Veneri, o
gli imperatori con le teste fisionomiche su corpi che non sono
loro poiché si rifacevano ai modelli greci della perfezione. È un
realismo quello degli artisti romani che deriva anche dalle civiltà
italiche.
Inoltre i romani contestavano l’esibizione del proprio corpo
28
Il bello artistico tra epoche e stili di Giuseppe Pristerà
se pur per motivi sportivi. Questo senso di pudicizia però non
era poi così genuino. I romani deploravano i greci che correvano nudi nell’agone olimpico ma poi la notte a teatro chiedevano
il denudamento delle mime (ballerine) che avveniva alla fine di
alcuni spettacoli.
Il corpo tempio dell’anima
Con la spiritualizzazione paleocristiana si perde il senso del
corporeo. Scompare il nudo nell’arte come veicolo di sollecitazione corporea.
L’uomo è simbolo di creazione divina tendente al ricongiungimento col suo Fattore. Quindi nell’arte scompare la corporeità,
infatti le Vergini di Sant’Apollinare Nuovo sono interamente ricoperte da abiti preziosi e appaiono come figure prive di peso, quasi incorporee.
Nell’arte medioevale il nudo si lega al peccato, quel peccato
che portò all’allontanamento dell’uomo da Dio e alla presa di coscienza della pochezza della condizione umana.
Nell’Inferno del Mosaico del Battistero di Firenze, eseguito su disegni di Coppo di Marcovaldo, il nudo è un nudo deformato perchè è fonte di peccato. I corpi sono fortemente plastici ma anche
scheletrici, a tratti mostruosi quindi inquietanti.
La Grecia classica rivista dai rinascimentali
Nella stagione rinascimentale c’è un recupero della bellezza
classica anche se con un diverso approccio e diversi risultati stilistici da parte degli artisti del Quattrocento e del Cinquecento.
Nel primo rinascimento c’è una ricerca dell’equilibrio e della
compostezza, dell’armonia e della perfezione che si rifà a quella
raggiunta dagli artisti della Grecia classica.
Ciò accade nelle opere di Piero della Francesca, di Antonello da
Messina in pittura, vedi ad esempio il Battesimo di Cristo di Piero
o il San Sebastiano di Dresda di Antonello Da Messina, dipinti costruiti secondo il rigore della prospettiva e nei quali i corpi, quasi
dei solidi geometrici, sono caratterizzati da un senso profondo
dell’equilibrio.
29
Dell’Estetica
In scultura mirabile esempio di nudo di ispirazione antica è
il David Bronzeo di Donatello in cui lo scultore si rifà al modello
prassitelico.
Nel solco di quest’indirizzo culturale e programmatico che
vuole far rivivere Atene sulle sponde del Tevere o su quelle
dell’Arno, si pone anche il genio di Michelangelo.
Intenzionato a rivaleggiare con gli antichi, come dimostra fin
dagli esordi con la realizzazione di quel capolavoro che è il Bacco
del Bargello, il Buonarroti si ispirò per questo soggetto direttamente alla statuaria classica, infatti la statua risulta molto simile
all’Antinoo come Bacco del Museo Nazionale di Napoli.
Chiaramente il maestro riproduce qui la “ponderatio” classica
del Doriforo di Policleto ammorbidendola però con una fisicità
molle e ambigua che pare l’immagine stessa dell’ebbrezza.
Michelangelo insomma non reinventa l’antico, non lo copia,
così come del resto faranno più tardi Canova, David e tutti quelli
che aggiungono del loro alla tradizione.
Colpisce la rappresentazione del corpo femminile in Michelangelo, come chiaramente dimostra il Tondo Doni.
La donna michelangiolesca appare sempre possente, muscolosa in quanto l’artista trasferisce la bellezza maschile nella figura femminile e ciò perchè per Michelangelo uomo e donna sono
frutto di una stessa matrice.
Il desiderio e la capacità di stupire
La Venere di Botticelli è l’incarnazione magistrale dell’ideale
della bellezza femminile del Rinascimento.
È la Venere di Prassitele rivista in chiave neoplatonica. Venere è
una visione ultraterrena, è l’ideale di bellezza neoplatonica, cioè
quella bellezza che avvicina l’uomo a Dio ossia alla perfezione.
La dea dell’amore, infatti, era nata dalla spuma del mare sollevata dalla caduta del fallo di Saturno evirato da Giove.
Venere di Botticelli rappresenta la bellezza ideale secondo il
concetto platonico: bellezza classica a cui corrisponde purezza
dell’anima quindi bellezza la cui contemplazione nobilita l’animo umano. È una bellezza da contemplare, non da “toccare”.
In questo modo, di conseguenza, non c’è carnalità, non c’è ero30
Il bello artistico tra epoche e stili di Giuseppe Pristerà
tismo. Inoltre è una figura realizzata non per massa e volume
ma per linee, perché deve esprimere purezza ma anche vaghezza
di quell’età che non tornerà più (di doman non v’è certezza). È il
sentire la caducità delle cose terrene. È una visione dolce-amara
dell’esistenza, tipica di tutta l’epoca di Lorenzo il Magnifico.
In Leonardo l’uomo e la donna vivono in armonia con la natura, non c’è l’angoscia della morte perché dalla morte c’è la rinascita, lo dimostra perfettamente La Gioconda, il cui sorriso è
quello di chi è in perfetta armonia con la natura.
Il modello di bellezza muta visibilmente con Tiziano, nelle cui
immagini femminili c’è la passione, il risveglio dei sensi, c’è la
quotidianità.
La Venere di Urbino, dono di nozze, rappresenta una Venere che
risponde al gusto dell’epoca: bella, carnale, sensuale ma non appariscente, così come si conviene a una moglie devota. Infatti nel
quadro è presente il cagnolino, simbolo di fedeltà e il mazzolino
di rose che rimanda ai piaceri e alle pene d’amore (non c’è rosa
senza spine…).
La poetica del Barocco
Nel sec. XVII, con l’arte barocca, si assiste alla nascita di una
nuova poetica e di una nuova estetica con forti componenti scenografiche e di spettacolarizzazione.
Sia in pittura che in scultura la figura umana, sia maschile che
femminile, è spesso nuda, che si tratti di soggetti mitologici oppure di soggetti sacri.
La visione del corpo umano, spesso rappresentato nella sua nudità, acquisisce una sua pregnanza scenografica e accattivante.
Grande importanza assume la figura femminile in pittori quali
Pietro da Cortona, Guido Reni, Pieter Paul Rubens. In particolare
i dipinti di Rubens eseguiti in Italia, negli stessi anni in cui dipingeva Caravaggio, propongono un modello di donna che risponde al gusto dell’epoca: una donna opulenta, di grande sensualità,
viva e pulsante.
Lo dimostrano ad esempio Le Tre Grazie del Museo del Prado
di Madrid oppure il dipinto Sbarco di Maria De’ Medici a Marsiglia
del Louvre in cui le tre Mereidi che spuntano dalle onde del mare
31
Dell’Estetica
per accompagnare l’approdo di Maria sono tre ritratti di donne
italiane dell’epoca, miracolosamente e abbondantemente in carne, di grande potenza espressiva.
I corpi di Rubens sono trionfanti, figli dell’antica Grecia e di
Roma, ma anche morbidi e sensuali o turgidi di muscoli, percorsi
dal sangue e dal respiro della vita.
Nel sec. XVIII, con il Rococò, prosegue l’immagine della donna
sensuale e ammaliatrice. Sono le donne dipinte da pittori come
Boucher in Leda e il Cigno del 1741 o Diana esce dal bagno del Louvre: sono le donne dell’alcova, donne che suscitano sensi, sono le
donne dei boudoirs.
I soggetti sono quasi sempre mitologici ma sempre estremamente carnali, fatti di carne viva e pulsante, di strabordante sensualità,
sono immagini dipinte per l’aristocrazia decadente e malata, sempre più chiusa nel suo mondo dorato e distante dalla realtà.
Neoclassicismo: la riscoperta della purezza.
Con il celebre trattato Storia dell’arte dell’antichità del 1764 Jahann Joachin Winckelmann detta un nuovo canone estetico, la
figura umana si deve ispirare, egli afferma, agli ideali e agli insegnamenti degli artisti greci dell’antichità che avevano fissato
proporzioni e rapporti con il fine di costruire la bellezza assoluta,
la perfezione.
Con il Neoclassicismo c’è quindi un recupero della bellezza
classica, del bello ideale.
Scrive Winckelmann: la bellezza è percepita dai sensi, ma è riconosciuta e compresa dall’intelletto, anche se i sensi così sono resi meno
sensibili.
Leggendo questa frase del Winckelmann si comprende meglio
perchè non ci sarebbe stato più spazio per opere come Diana esce
dal bagno di Boucher e per la strabordante sensualità delle donne
dipinte nel ‘600 e ‘700.
Con il Neoclassicismo il corpo si va raggelando, non deve più
suscitare forti emozioni. Un esempio è Amore e Psiche di Francois
Gerard de1798 dove, nonostante i colori e il soggetto, tutto pare
di marmo.
Quello degli amanti è un bacio platonico che non ha niente di
32
Il bello artistico tra epoche e stili di Giuseppe Pristerà
carnale e peccaminoso. Davvero qui si tratta di forme per l’intelletto, come sosteneva Winkelmann, lontane dalla carne, perfette
nelle proporzioni dettate dai canoni classici. Il valore del corpo è
cambiato: esso rappresenta lo spirito.
In epoca neoclassica il nudo femminile passa in secondo piano;
principale è quello maschile, che è spesso eroico. Un artista che
ha espresso il nudo femminile in perfetta sintonia con il canone
estetico del neoclassicismo è Canova che con Paolina Borghese, ad
esempio, propone una visione di bellezza femminile intesa come
mezzo di consolazione, che aiuta l’uomo a nobilitare il suo animo.
Paolina, rappresentata da Canova come Venere vincitrice, del
1804, è figlia dell’estetica neoclassica, capolavoro di equilibrio fra
il ritratto verista e l’idealizzazione della figura che viene appunto identificata come Venere.
L’opera si rifà al mito di Afrodite che tiene in mano il pomo che
le assegnò Paride in quello che potremmo definire il primo concorso di bellezza della storia (Paride doveva scegliere fra Afrodite, Atena e Giunone, la dea più bella).
Qui Canova, proponendo un mito classico, in realtà celebra
l’avvenenza di Paolina che si trasforma nella metafora dell’ideale di bellezza di un’epoca, quella del Neoclassicismo in cui gli
artisti cercano di replicare la bellezza pura e ideale classica.
L’Ottocento romantico: verso altri miti.
Con l’Ottocento si torna a sbirciare dietro la tenda, nelle alcove,
nelle stanze delle donne.
Gli artisti ricercano sempre la purezza delle linee del corpo di tali
donne perchè il Neoclassicismo non è passato invano e Canova ha
lasciato il segno, ma questa “purezza ideale” è subito “scaldata”
dalla presenza di elementi di intimità (una tenda, un turbante, dei
cuscini ecc…) perchè ora subentra l’evocazione dell’oriente.
Il mistero del culto dell’oriente, culto tipicamente romantico,
porta con sé il corpo femminile visto nella sua misteriosità ed
esotismo. La bagnante di Valpincon di Jean Auguste Dominique
Ingres del 1822, già nella scelta del soggetto, non più classico
o tratto dai miti, lascia percepire un profondo cambiamento di
mentalità: quella dipinta da Ingres di certo non è una dea, ma
33
Dell’Estetica
una donna che sta preparandosi per il bagno alle terme.
Il fatto che sia seduta in una sorta di spogliatoio, le cui pareti
sono costituite da tende, una di queste è stata spostata per permetterci di osservarla di nascosto, ci fa percepire il profondo
mutamento di mentalità rispetto alla Paolina Borghese e quindi
all’estetica neoclassica.
È, quella proposta da Ingres, una nuova poetica aperta all’evocazione di realtà più carnali e concrete, come dimostra anche il
dipinto Bagno Turco (Louvre) oppure L’odelisca con le schiave del
1839, dove si dimostra che il fascino dell’oriente è il tarlo che
corrode l’algida bellezza neoclassica e la scalda. Tutta l’atmosfera del quadro vuole alludere alla lascivia e al peccato. Del resto
tutti i cinque sensi sono sollecitati: odorato e gusto con il narghilè,
tatto e vista con le stoffe e la pelle diafana delle fanciulle.
Ma Ingres non fa che aprire la strada a nuovi e inaspettati sviluppi. La riflessione su una nuova estetica non si ferma qui.
Ci sono ora artisti romantici, come William Blake, Henry Fussly, Eugene Delacroix, che ricercano una nuova estetica alla luce
di altri miti come Michelangelo, Shakespeare, Dante: in particolare Michelangelo, annerito dal fumo delle candele di ben tre secoli di preghiere, ha assunto un aspetto romantico.
Il gigantismo, l’eroismo, il pathos delle figure michelangiolesche ispirerà questi artisti.
Nella Morte di Sardanapalo di Delacroix (Louvre) i nudi carnali e
sanguigni riflettono una visione del mondo non distaccata come
quella di Canova, ma drammatica, nella quale si affrontano amore e morte cioè le radici della stagione romantica.
Con il realismo poi del secondo Ottocento si crea una nuova
estetica: la bellezza femminile, con i realisti quali Courbert prima
e con gli impressionisti poi, è ispirata ora al reale. Sono donne
comuni trasformate ora in Veneri, ora in Ninfe. Sono le donne e
gli uomini di quella società, di quel tempo.
Ad esempio La colazione sull’erba di Manet presenta una donna
nuda accanto a due giovani borghesi con abiti dell’epoca, sfacciatamente nuda e quindi scandalosa per la benpensante borghesia
dell’epoca. Cosi come in Olympia si perde la contemplazione della bellezza: è la realtà di un nudo comune, anche un po’ sgraziato, che però esprime sensualità.
34
Il bello artistico tra epoche e stili di Giuseppe Pristerà
Nelle Bagnanti, Renoir riprende temi che erano stati del secolo precedente, ma con spirito nuovo. Le pose delle sue modelle
sono tratte dal repertorio classico, ma queste sono modelle reali
in carne ed ossa, estremamente spontanee anche se di grande
eleganza e levità soprattutto per l’uso dei colori chiari e la leggerezza del disegno.
Novecento: allontanarsi dalla realtà
È difficile definire il concetto di estetica relativo all’arte del Novecento, perchè il concetto stesso di bello è variato notevolmente
da artista a artista e forse in un certo senso si è perso, poiché la
ricerca artistica ha preso nel Novecento altre strade.
Il Novecento ha visto una accelerazione nel campo economico
e sociale, è stato un secolo di grandi conquiste in campo tecnologico, ma anche un periodo di colossali contraddizioni, di atroci
crudeltà, di grandi slanci umanitari. Nell’arte da una parte si è
cercato di distruggere l’idea stessa di figura, considerandola un
inutile ingombro al processo creativo, e dall’altra se ne è fatto lo
strumento principale dell’espressività umana.
La pittura in particolare ha perso la sua funzione di riproduzione della realtà, soppiantata in questo dalla fotografia che nel Novecento è ormai un mezzo affidabile, un mezzo che si dimostra
subito molto più rapido ed efficace per rappresentare la realtà
con fedeltà. Questo spiega, in parte, perchè l’arte del Novecento
si è avventurata su strade diverse da quelle che battevano la riproduzione della realtà.
Gli artisti del Novecento perciò hanno via via svincolato la loro
creatività dal bisogno di riprodurre la realtà.
Questo lo avevano già iniziato a fare i pittori post-impressionisti alla fine dell’Ottocento, quali Van Gogh, che nei suoi dipinti
passionali giungeva a stravolgere la realtà in funzione dei suoi
sentimenti, o Gauguin, ad esempio in Due donne tahitiane in cui
c’è la riscoperta sì della bellezza del nudo femminile, legato però
al mondo esotico e quindi primitivo, quello che lui vagheggiava.
Le sue donne sono cariche di sensualità, che però è una sensualità indigena.
Tutto questo lungo processo, che era emerso nel corso dell’ulti35
Dell’Estetica
mo tratto del XX sec., aveva poi trovato un momento topico nella
celebre mostra del 1905 al Salon D’Automne di Parigi, quando
una decina di artisti aveva esposto quadri che provocarono l’ira
della critica e del pubblico, da cui il soprannome di fauves ossia
belve, a loro affibiato.
I corpi da loro dipinti erano realizzati con tratti duri, semplificati, che disegnavano le forme senza entrare nei dettagli. I colori
erano piatti, senza sfumature e per nulla realistici.
Per esempio quando si adoperava il rosa, come nel caso del
Nudo Rosa di Henri Matisse, questo colore non aveva nulla a che
fare con quello della pelle; era piatto, senza chiaroscuri né sfumature mentre il corpo perdeva le proporzioni ideali.
Ma il corpo umano subisce una radicale trasformazione con
il cubismo. Picasso sottopone, a partire da Les Demoiselles d’Avignon, il corpo umano, in questo caso quello femminile, ad una
operazione scientifica di smembramento, scomposizione e valorizzazione come piani luminosi incastrati fra loro.
Una stagione dai mille risvolti
Dopo la scomposizione c’è la ricomposizione della figura, ovvero il ritorno all’ordine, trasversale per tutta l’Europa.
Uno dei primi artisti ad effettuare la ricostruzione del corpo
umano è Amedeo Modigliani.
Passato da Parigi, l’artista livornese che tutti chiamavano Modì
non aderì mai ad alcun movimento, inclusi il Cubismo e Futurismo nei quali gli avevano chiesto di entrare, perchè seguiva una
propria strada, quella della linea le cui radici arrivavano a Ingres
e Canova. Così egli dipinge la figura costruendola attraverso la linea con colori piatti, come meravigliosi arabeschi. Sono per lo più
donne esili (Nudo sdraiato 1918) longilinee, dalle linee sinuose. Le
sue figure assumono connotati nuovi rispetto al passato.
In Europa a cominciare dal 1924, il Surrealismo propone l’immagine femminile in particolare, come fonte di pulsazioni erotiche studiate in questi anni da Freud e Yung. Dalì, ad esempio,
usò quasi sempre come musa ispiratrice la moglie (Mia moglie in
contemplazione).
Il tormento della figura moderna comincia con Egon Schielle,
36
Il bello artistico tra epoche e stili di Giuseppe Pristerà
fortemente influenzato dalla scoperta freudiana dell’inconscio
che avvenne proprio nella sua Vienna. La conseguenza fu lo stravolgimento dei modelli estetici dell’arte dell’epoca.
Nuovi temi ispirano Schielle ma anche altri pittori dell’epoca
quali Klimt, Kokoschka e poi Munch, cioè tutti quelli influenzati dalla psicoanalisi: angoscia esistenziale, solitudine, malattia,
morte ma anche pulsioni erotiche represse, e ciò si riflette nella
rappresentazione dei corpi che diventano emaciati, a volte stravolti.
Guardare le mie figure significa guardare dentro, disse Schielle. Ormai è superato l’ideale classico, ossia quello accademico e la figura umana esprime ora il disagio interiore. (Egon Schiele Madre
defunta, nudo femminile.)
Negli anni sessanta, in America, invece con la Pop Art si sperimentano nuovi linguaggi e la figura umana incarna l’immagine
del consumismo stesso, mentre dagli anni settanta in poi con la
Body Art la figura umana viene elevata a opera d’arte da firmare.
Sulla scia della Body Art si collocano tutti quegli artisti degli
anni ottanta fino ad oggi che, firmando un oggetto, anche un
qualsiasi oggetto, gli attribuiscono il valore di opera d’arte che,
altrimenti, non avrebbe mai posseduto.
Avevano iniziato a farlo all’inizio del Novecento i dadaisti con
la famosa Fontana di Duchamp che altro non era che un water, poi
Manzoni con le sue scatole contenenti Merda d’artista.
Oggi si può dire che più che una ricerca dell’estetica intesa
come tutto ciò che attiene al bello, inteso come componente o fine
dell’arte, l’arte sia prima di tutto provocazione e di conseguenza
anche denuncia.
Afferma Maurizio Cattelan, uno dei più noti e celebrati artisti
contemporanei: A volte credo che il mio lavoro incarni alcuni valori
dei quali dovremmo essere imbarazzati. Ma l’arte è uno specchio: ci
restituisce l’immagine di ciò che siamo, o di ciò che diventeremo. E gli
specchi attraggono, anche quando sono poco lusinghieri.
37
Religione e velo:
prescrizione o scelta? (*)
di Cristina Viglianisi
Nell’ambito di questo progetto dedicato all’estetica e vista la
materia che insegno in questo liceo, mi è parso opportuno dedicare il mio intervento ad una tematica troppo spesso legata ad
episodi nei quali scarsa informazione e diffidenza nei confronti
di alcune forme di diversità, portano a prese di posizione che a
volte, hanno tutto il sapore dell’intolleranza.
Le ricerche che ho effettuato per preparare questo intervento
hanno rafforzato in me la convinzione che questa sia un’occasione valida non tanto per dare delle “soluzioni” al quesito iniziale,
perché soluzioni in senso tecnico non ci sono (e vedremo perché)
quanto per porsi delle domande e per tentare di riflettere insieme
su una tematica sempre più di attualità.
La scorsa settimana l’intervento della prof.ssa Bramante ha sottolineato, tra l’altro, come il concetto di estetica ci rimanda di fatto al concetto di “Bello” inteso come sistema di Valori che tende
all’eccellenza ed alla perfezione morale… Quindi “il più giusto è
il più bello” ed il “bello è qualunque misura morale che si ispira
al giusto”. Ha richiamato il legame tra bellezza e libertà ed in
questo senso diventa interessante indagare circa le implicazioni
che un pezzetto di tessuto posto sul capo può avere. [D1]
Per effettuare questa riflessione mi pare opportuno fare una
distinzione tra tre fondamentali aspetti legati all’uso del velo:
- Aspetti teologico/religiosi;
- Aspetti giuridici;
- Aspetti sociali.
(*) Questa relazione è corredata da immagini contenute nel compact disc allegato al
volume.
39
Dell’Estetica
Aspetti teologico/religiosi
L’utilizzo del “velo” non è, come a volte frettolosamente ed erroneamente si crede, una prerogativa del mondo islamico.
È diffuso nelle religioni e culture orientali ed è presente
nell’ebraismo e nel cristianesimo.
Per semplicità, farò riferimento solo alle tre religioni
monoteistiche.
Nell’ebraismo l’uso del velo era presente. Ne troviamo
traccia nell’Antico Testamento, già nella Genesi, in Isaia, nel
Deuteronomio e nel Cantico dei Cantici dove esplicito è il riferimento quando si legge:
”Come sei bella amica mia, come sei bella:
Gli occhi tuoi sono colombe dietro il tuo velo…
Come spicchi di melagrana risplende la tua gota attraverso il velo”.
All’interno del rito del matrimonio è prevista la cerimonia del
“velamento“, in ebraico “bedekken”.
Consiste nel porre un velo sul viso della sposa poco prima di
dare inizio alla cerimonia. Questo rito ricorda la benedizione che
nella Bibbia fu data a Rebecca.
Rebecca fu la prima donna della Bibbia a coprirsi con un velo
prima di procedere verso la “chuppà” (in ebraico significa protezione), che indica la tenda che copriva gli sposi durante la cerimonia nuziale (Gn 24,65-67), con il suo sposo Isacco.
Dunque il velo assume un duplice significato simbolico:
- indica la condizione di donna sposata;
- invita alla modestia in modo da insegnare all’uomo che ciò
che conta davvero è la personalità della donna, ovvero la
sua bellezza interiore e non quella fisica.
Il velo coprendo l’esterno indirizza l’attenzione verso l’interno.
Nel cristianesimo troviamo oltre ai riferimenti dell’A.T. citati
in relazione all’ebraismo, nel N.T. c’è un riferimento preciso nella
lettera ai Corinzi al cap. 11,5-6-10 quando leggiamo:
40
Religione e velo: prescrizione o scelta? di Cristina Viglianisi
“Ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al suo capo, come se fosse rasa; che se una donna non si copre si
tagli pure i capelli, ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o
essere rasa allora si copra… La donna deve portare un segno di dipendenza sul capo, a motivo degli angeli.”
S. Paolo segue le consuetudini del tempo circa l’onorabilità
nell’abbigliamento femminile, ma l’indicazione riguarda solo il
momento della preghiera in assemblea.
Il Giudaismo infatti prescriveva alle donne sposate di portar
fuori casa un velo sul capo in segno di appartenenza e sottomissione al marito. La società greca era più emancipata ma le regole
della buona società si ispiravano alla norma di Plutarco secondo
la quale era “più conveniente per gli uomini presentarsi in pubblico a capo scoperto e per le donne invece con il capo velato”.
Nell’islamismo il riferimento al velo è contenuto nel Corano
nella Sura 23 al versetto 5 e alla Sura 24 (capitolo) al versetto 31.
Nella Sura 23, versetto 5 leggiamo:
“O Profeta dì alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di
coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate”
Nella Sura 24, versetto 31 invece:
“E dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non
mostrare i loro ornamenti se non quello che appare; di lasciare scendere
il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai
loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle
schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi sì da mostrare gli ornamenti che celano….”
Non procederò all’analisi interpretativa di questo testo perché
richiederebbe anche e soprattutto un lavoro di contestualizzazione storica e sociale che necessiterebbe di molto più tempo di quello a mia disposizione; questo perché l’esegesi di un testo religioso
non può prescindere dalla contesto culturale nel quale nasce.
41
Dell’Estetica
È importante sottolineare la delicatezza del lavoro interpretativo,
perché per chi vive in Occidente e conosce l’Islam solo attraverso i
mezzi di comunicazione di massa è presuntuoso interpretare dando
valore di Verità e Certezza ad un testo dove ogni parola, ogni frase
sono espressione di modelli di vita culturali molto diversi dal nostro
e che dunque vanno tenute in debito conto all’analisi interpretativa.
Tuttavia mi preme mettere in evidenza come il “fine” di quello che ha più il sapore di un suggerimento che di un’imposizione (in
genere quando una cosa è imposta viene prevista almeno una
sanzione per chi non esegue quanto indicato…e qui non ci sono
sanzioni), è protettivo nei confronti della donna e di “quell’interesse “particolare, non affettivo, che potrebbero provare gli uomini non legati a lei da vincoli familiari.
Niente sottomissione dunque ma segno di appartenenza religiosa e
familiare!
Si copre il corpo per affermare la persona… e questo ci richiama alla memoria la corrente del personalismo.
Da notare inoltre che anche all’interno del mondo islamico non è
unanime l’interpretazione del significato del velo: per alcuni rappresenta un semplice invito alla modestia del vestire delle donne e non
una prescrizione tassativa, per altri una tradizione antica ormai da
superare, per altri ancora una prescrizione che indipendentemente
dall’obbligatorietà và mantenuta a difesa dell’identità islamica.
Un discorso a parte sarebbe necessario per il burka, abito di colore solitamente blu, che copre sia la testa che il corpo dotato di
una retina agli all’altezza degli occhi che permette di vedere senza
scoprire gli occhi della donna. Il burka introdotto in Afganistan
è stato reso obbligatorio per imposizione dei Talebani. Dunque il
discorso intorno al burka diventa spiccatamente di tipo politico
ed esula dalla finalità di questo approfondimento. [D2,3,4,5,6]
Aspetti giuridici
Dal punto di vista giuridico la situazione in Italia è la seguente:
in Italia la nostra Costituzione garantisce la libertà religiosa.
Il Codice penale contiene norme che fanno riferimento ad un
abbigliamento idoneo ad indurre una falsa individuazione sociale della persona (art. 498 c.p. e 640 c.p.).
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Religione e velo: prescrizione o scelta? di Cristina Viglianisi
L’art. 5 – L.152/75, riguardante le disposizioni a tutela dell’ordine pubblico così recita: “è vietato l’uso di caschi protettivi o
di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico,
senza giustificato motivo“.
Dunque non è lecito utilizzare in luogo pubblico abiti, caschi
o maschere che rendano difficoltoso o impediscano il proprio riconoscimento; se invece rimangono ben visibili i tratti del viso
della persona, il limite della riconoscibilità non viene valicata.
In Francia è in vigore la legge del 15 Marzo 2004 che vieta nelle
scuole, nei collegi e nei luoghi pubblici il portamento di segni o
abbigliamento con i quali gli allievi manifestano ostentatamente
un’appartenenza religiosa.
In Germania il problema si è posto in passato solo per l’hijab
delle insegnanti, e si è concluso con una sentenza che lo ha consentito; occasionalmente si apre qualche polemica.
In Gran Bretagna la questione è di fatto inesistente perché nessuno ha mai chiesto restrizioni in tal senso e addirittura in passato è stato consentito ai sikh di derogare all’obbligo del casco per
poter indossare il turbante.
In Spagna il foulard è accettato dagli istituti scolastici pubblici.
In Finlandia e Svezia l’uso del velo è ammesso a scuola con
l’unica distinzione per il burka, che è vietato. Tuttavia nel 2003
è stata introdotta la possibilità di vietarlo, alla luce però di uno
spirito di dialogo sui valori di uguaglianza dei sessi e del rispetto
del principio democratico sul quale si basa il sistema educativo.
Nei Paesi Bassi la questione non è stata affrontata dal punto di
vista religioso ma da quello della discriminazione sociale, ed è
generalmente tollerato. Fa eccezione il burka che non è ammesso
perché non consente di identificare le allieve.
In Russia, Romania, Ungheria, Grecia, Repubblica Ceca,
Slovacchia e Polonia, la questione del velo non è ancora stata oggetto di una discussione giuridica approfondita ed è dunque ammesso.
In Turchia, Azerbaigian, e Albania, il dibattito ruota non solo
intorno alla libertà personale ma anche sul significato politico
legato all’uso del velo islamico.
Solo in questi tre paesi l’uso del velo è regolamentato anche
nello spazio universitario.
43
Dell’Estetica
E proprio dalla Turchia è partito nel 1998 il ricorso di una studentessa della facoltà di medicina alla quale era stato vietato
l’uso del velo durante le lezioni. Il ricorso diretto alla Suprema
Corte per i Diritti Umani di Strasburgo (CEDU), ha portato alla
sentenza del 10 Novembre 2005 con la quale: “la Corte afferma
che esaminando la questione del velo islamico nel contesto turco
bisogna tener conto dell’impatto che può avere questo simbolo,
presentato o percepito come dovere religioso, su coloro che hanno scelto di non portarlo”.
Con questa sentenza di rigetto del ricorso della studentessa
turca la Corte Europea aveva di fatto tentato di realizzare un bilanciamento tra le esigenze individuali e quelle collettive partendo dalla considerazione soprattutto del significato politico e
delle sue conseguenze sul piano anche sociale che un pronunciamento diverso avrebbe prodotto. In Turchia infatti le istanze di
tipo religioso rischiano di divenire facile veicolo di esportazione
e diffusione di rivendicazioni politiche di tipo fondamentalista.
In Turchia proprio da pochissimi giorni la questione legata all’uso
del velo è stata riaperta. A tempo di record il 9 Febbraio 2008, il
Parlamento turco ha approvato gli emendamenti alla Costituzione
che stabiliscono la libertà di portare il velo islamico all’università.
Rimane quindi il divieto nei luoghi pubblici e nei licei.
Non è semplice interpretare questo fatto: per alcuni è un pericoloso passo indietro che poco ha a che fare con il diritto delle
donne di indossare il velo e che nasconde invece risvolti politici
ancora non ben visibili; per altri è semplicemente la vittoria della
libertà di scelta.
Mi è parso interessante a questo proposito il commento di Orhan
Pamuk, scrittore e premio Nobel, che ha dedicato un libro “scandalo” per il mondo turco, sulla questione del velo, dal titolo Neve.
Pamuk intervistato su questo cambiamento all’indomani di
questa decisione a chi gli chiede se questa sia la conquista di un
diritto o un’imposizione, risponde :”più uno ritiene di avere la risposta e più diventa l’idiota successivo che impone la soluzione
sbagliata. L’ideale è rispettare i comportamenti, avere comprensione e decenza, cercando di capire e guardando alle persone ed
ai problemi non in modo autoritario”.
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Religione e velo: prescrizione o scelta? di Cristina Viglianisi
Aspetti sociali
Abbiamo visto che l’uso del velo non è prerogativa solo del
mondo islamico.
Molte delle discussioni che in questi ultimi tempi hanno animato trasmissioni televisive e non solo (uno per tutti il famoso
caso della Santanché!) partono dall’idea che l’uso del velo sia lesivo dei diritti fondamentali della donna.
Ma è davvero e dappertutto così?
Se per un momento prescindiamo dal suo uso per motivi religiosi, ci accorgiamo che per esempio in Sardegna ed in alcune
zone dell’entroterra siciliano le donne anziane portano ancora
il fazzoletto in testa e non se lo tolgono mai, nemmeno d’estate.
Nessuno le obbliga a portarlo, ma si sentirebbero molto a disagio senza. Leggendo un articolo di una giornalista sarda, Barbara
Fois ho scoperto addirittura l’uso in alcune zone più interne
dell’isola, della benda saracena, ovvero un fazzoletto che chiude
anche la parte inferiore del viso, non solo la fronte. Dunque rimangono scoperti solo gli occhi ed il naso, il resto rimane avvolto in questa benda nera. La cosa interessante è che nessuna
di queste donne bendate è succube del proprio marito o degli
uomini della propria famiglia. Al contrario il contesto sociale è
fortemente matriarcale e la donna è rispettata e le viene riconosciuto un potere e una considerazione pari a quelli riservati ai
maschi. Sono donne forti e di profonda fede alle quali oggi sarebbe difficile spiegare che “devono” togliersi il loro fazzoletto
radicato nella loro cultura e nei loro costumi. [D7]
Se ripensiamo al cinema degli anni sessanta, a quei simboli di
bellezza che sono state Grace Kelly, Audrey Hepburn per esempio e ai film nei quali apparivano nelle scene in auto con i loro
capi avvolti in splendidi foulard annodati proprio come hidjab,
ricorderemo come quelle immagini creavano desiderio di imitazione di quello che era per l’epoca simbolo di una moda e di una
bellezza eterea cui tendere. [D8, 9]Allora se oggi fa tanto scalpore
un foulard forse c’è qualcosa in più che non è solo legato al motivo religioso, né alla tutela della libertà delle donne.
Nel 2004 mentre si discuteva in Francia della legge che avrebbe vietato l’uso del velo sono stati scritti diversi libri: tra questi
45
Dell’Estetica
ricordo La forza della ragione scritto da Oriana Fallaci scrittrice formidabile ma notoriamente antiislamica.
A questo libro ne è seguito un altro di Stefano Allievi, sociologo e specializzato in sociologia delle religioni e in studi sul
mutamento culturale, che partendo dalla sua conoscenza diretta
del mondo islamico risponde alla Fallaci con un libro dal titolo
Ragioni senza forza. Forze senza ragione.
In quel libro Allievi evidenzia tre contraddizioni di fondo intorno a questa legge che stava per essere varata e della quale si
discuteva tanto anche in Italia:
- In un Occidente che si definisce liberale si discute, di fatto, del
diritto a vestirsi come si vuole;
- Nel paese che ha fatto della laicità una sorta di religione di
stato, lo Stato si impone sulle religioni con la forza della legge;
- La legge che avrebbe dovuto regolare l’uso dei simboli in generale, di fatto è stata voluta, e nessuno lo ha negato, per regolare la questione del velo islamico.
A Milano nell’aprile del 2007, si è svolta una conferenza dal
titolo La questione del velo tra libertà e rispetto. Dai vari interventi è
emerso che se il velo è simbolo di subordinazione non è possibile
per uno stato laico sottoscrivere questa subordinazione.
Ma se, come molte donne islamiche dichiarano, l’uso del
velo ha solo una valenza legata all’identità, all’appartenenza
ad un mondo ed a una cultura il discorso assume un sapore
diverso.
Pamuk nel suo libro Neve, per scrivere il quale ha svolto molte
ed accurate ricerche, racconta che ci sono studentesse a Kars, città al confine con l’Armenia, che si suicidano perché obbligate a
togliere quel pezzo di stoffa per entrare all’università.
Perché si arriva a tanto? Le ragazze che dicono di avere scelto l’uso del velo affermano di sentirsi nude senza, indifese, vulnerabili… e questo in fondo ci richiama ad un concetto antico,
richiamato mirabilmente dal prof. Pristerà la settimana scorsa,
quando ci ricordava come nell’arte greca il nudo era simbolo di
perdita di dignità quindi riservato agli schiavi.
Allora perché l’Occidente così attento ai valori legati all’arte e
alla cultura, non riesce ad ammettere la possibilità che una don46
Religione e velo: prescrizione o scelta? di Cristina Viglianisi
na possa avere scelto liberamente di velare il proprio capo e che è
proprio velandosi che sente di essere veramente libera?
In altre parole, se fosse espressione di una scelta di valore libera?
E qui il discorso si complica perché la libera scelta è spesso influenzata dai condizionamenti sociali: per esempio, se all’interno di
un gruppo, una scuola un piccolo nucleo sociale, si diffonde l’uso
di un determinato capo di abbigliamento in modo libero spontaneo
ma condiviso e accettato da tutti come identificativo dell’appartenenza al gruppo di cui sopra, ed un soggetto volesse discostarsi (per
libera scelta) da questo uso, subirebbe dei condizionamenti ?
Io credo che la risposta sia non un sì secco ma un sì SE la comunità cui appartiene cominciasse a farlo sentire un diverso…
Allora il punto, a mio modesto avviso non è se il velo è più o
meno lesivo dei diritti della donna, se è più o meno prescritto dal
Corano, ma se noi società civile siamo veramente tali nell’accettazione di chi per cultura, usi e costumi è diverso da noi.
In altre parole la domanda di partenza era: il velo prescrizione o
scelta? La risposta di fatto è duplice perché per alcuni è una prescrizione che non può essere disattesa, per altri è una libera scelta.
Serve allora un presupposto fondamentale: quello della civiltà,
l’unico in grado di garantire libertà, rispetto dei diritti di tutti e
delle diversità.
Il presupposto della civiltà ci aiuterebbe a sostenere il diritto di
quelle donne che non vogliono l’uso del velo, come affermazione
della loro emancipazione, senza battaglie senza scontri ideologici, ed al tempo stesso a rispettare senza additare chi viceversa in
quel velo trova identità e affermazione del proprio credo.
Un ricordo doveroso va a Benazir Bhuto, donna islamica moderna che lottava per il suo paese contro ogni forma di fondamentalismo, e che con grande orgoglio ostentava il suo foulard.
È con questo grande presupposto, quello della civiltà appunto
che:
- si smorzerebbero i toni di tanti dibattiti che in fondo nascondono solo una grande paura verso l’Islam visto, vissuto, e giudicato in termini troppo sommari e riduttivi e molto
spesso solo identificativo di in piccolissimo Islam: quello dei
fondamentalisti;
47
Dell’Estetica
- si potrebbero cogliere, in un rapporto di arricchimento reciproco, le differenze con altre culture;
- si favorirebbe la diffusione di un clima sereno di dialogo
all’interno del quale le diverse esigenze e rivendicazioni potrebbero trovare adeguata soluzione rispettosa delle esigenze
dei singoli e di quelli più ampi della collettività;
- si potrebbe affermare davvero e fino in fondo il valore della laicità che vuol dire solo e soltanto libertà e rispetto della
diversità.
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La donna salvifica in
Dante e in Montale
di Giuliana Simonti
Quando si parla di bellezza è impossibile non parlare di poesia
e quando si parla di poesia è impossibile non parlare della donna
quale ispiratrice di poeti di ogni tempo.
Dante e Montale non si sottraggono a questo.
Certo, il tempo che li separa, la differente Weltanschauung che li
caratterizza, segnano un discrimen tra i due poeti, ma in entrambi
la donna assume un valore fondamentale: diventa elemento salvifico per l’uomo.
La salvezza a cui mira Dante, e a cui Beatrice lo condurrà, è
quella eterna. Per Montale si tratta di resistere alla sofferenza di
questo mondo, ma salvare dal “male di vivere”, per un uomo del
Novecento, è molto.
La donna di Dante, Beatrice, è colei che porta alla beatitudine.
La donna cantata da Montale è rappresentata da figure diverse, ha nomi differenti: Esterina, Annetta-Arletta, Dora Markus,
Gerti, Clizia, Volpe, Mosca, ma in ogni caso risulta elemento positivo, capace di sostenere il poeta nella “disarmonia”, come lui
chiama l’esperienza esistenziale.1
Tra tutte Clizia assume un significato salvifico particolare.
A livello iconografico della Beatrice dantesca non abbiamo che
immagini successive di secoli al periodo in cui visse. Pensiamo
per esempio a Beatrice e Dante a ponte Santa Trinita di Henry Holiday del 1883 o alla più intensa e conturbante Beata Beatrix di
Gabriele Rossetti del 1863 o ai vari tentativi di rendere in pittura
la Beatrice del Paradiso.
1 Intervista radiofonica a Eugenio Montale, raccolta in E. Montale, Sulla poesia, a
cura di G. Zampa, Mondadori, Milano, 1976.
49
Dell’Estetica
Di Clizia abbiamo solo qualche foto, ma le caratteristiche che i
due poeti sottolineano nelle due donne hanno elementi comuni.
Fondamentali per entrambi gli occhi dell’amata. Per Dante quelli
di Beatrice sono occhi da cui come ch’ella li mova / escono spirti
d’amore infiammati (Vita Nova, XIX). Beatrice negli occhi porta amore / per che si fa gentile ciò ch’ella mira (Vita Nova, XXI).
Clizia per Montale ha occhi d’acciaio, capaci di opporsi al male
(Le Occasioni, Nuove Stanze) e il poeta a volte si augura di fuggire
dal bagliore dei suoi cigli (La bufera, Su una lettera non scritta).
Beatrice è angiola giovanissima (Vita Nova, II), è mirabile visione
(Vita Nova, III), è gentilissima salute (Vita Nova, XI). Di lei il poeta
può dire:
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta
ch’ogne lingua deven tremando muta
e li occhi no l’ardiscon di guardare (Vita Nova, XXVI).
Oppure:
Vede perfettamente onne salute
chi la mia donna tra le donne vede (Vita Nova, XXVI).
Dante vede dunque in Beatrice l’angelo, il miracolo che appare
in terra per condurre l’uomo alla salvezza eterna, oggetto di fede
incrollabile per il poeta profondamente cristiano.
Montale ha della vita un’esperienza differente. Non proietta
l’uomo in una dimensione ultraterrena, ma circoscrive la sua
analisi a questo mondo di cui egli ha fondamentalmente esperienza del male, nel quale tuttavia l’apparizione della donna ha
in sé qualcosa di miracoloso.
Fin dalla sua prima opera, Ossi di seppia del 1925, traspare la
consapevolezza del male di vivere a cui si può sfuggire grazie
a un varco, a una via di fuga, come si legge nel testo proemiale
50
La donna salvifica in Dante e in Montale di Giuliana Simonti
In limine:
Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ho pregato, - ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine…
Oppure ne I limoni sempre da Ossi di seppia:
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
La salvezza in questa stagione montaliana è legata alla possibilità di oltrepassare il muro. Un muro che si rivela, per il poeta,
invalicabile, come dice nel più antico degli Ossi, Meriggiare pallido e assorto del 1916:
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Il poeta non riconosce a se stesso la possibilità del varco, la possibilità di gettarsi nel mare della vita, come vede fare in Falsetto
ad Esterina, la splendida Esterina Rossi (immortalata anche dallo
scultore Messina) che il poeta conobbe sulla spiaggia di Genova
Quarto nel 1924:
Esiti a sommo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t’abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t’afferra.
Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.
51
Dell’Estetica
A lui è concesso solo di resistere, grazie, appunto, alla presenza
degli ossi di seppia, elementi minimi, caricati però di valenza
altamente positiva (eccellenti i limoni, il croco, il girasole, per
esempio, per la forza vitale del loro colore, capace di opporsi al
grigiore della vita). Ma il poeta può augurare ad altri la possibilità di evadere, a quel tu a cui spesso si rivolge.
Il tu degli Ossi non è ancora Clizia, ma fondamentalmente
Annetta-Arletta (a volte un amico, come in Ripenso il tuo sorriso,
dedicata al ballerino russo Boris Kniaseff) ma proprio in questa
prima opera si può, secondo me, recuperare un’anticipazione di
Clizia.
Dice il poeta in Portami il girasole del 1923, nella sezione Ossi di
seppia dell’omonima raccolta:
Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.
Il poeta invita quel tu, a cui si rivolge, a portagli un girasole
da poter trapiantare nel suo terreno bruciato dal salino, nella sua
vita riarsa. Un girasole capace di mostrare all’azzurro del cielo
l’ansia del suo volto, espressa da quel colore giallino con cui si
chiude la prima strofe. Tutto ciò che è oscuro tende alla luce; gli
elementi si annullano in un fluire di colori e questi svaniscono in
musiche. Dunque al poeta sembra proprio che l’avventura più
grande sia quella di svanire, di perdere la propria pesantezza,
52
La donna salvifica in Dante e in Montale di Giuliana Simonti
la propria corporeità. Per questo torna a chiedere che gli venga
portato il girasole impazzito di luce, ebbro di luce (una ebbrezza
assolutamente positiva) che può condurre dove la vita sublima
quale essenza.
In questo caso, dunque, non al tu, alla donna, ma al girasole
che lei può portare è legata la possibilità di uscire dall’arsura.
Perché mi piace vedere nel girasole degli Ossi l’anticipatore
di Clizia? Perché Clizia è il girasole secondo il mito riferito da
Ovidio: la ninfa Clizia, figlia di Oceano, innamorata di ApolloFebo, avendo per la sua gelosia provocato la morte della ninfa
Leucotoe, viene abbandonata dal dio, vive di brina e lacrime e si
trasforma in girasole, la pianta che gira sempre la sua corolla alla
ricerca del suo amato.
Clizia, anche se mai nominata in questa seconda opera, è la
figura fondamentale delle Occasioni del 1939. Non l’unica (Annetta-Arletta è ancora la donna de La casa dei doganieri, Dora Markus è quella della prima parte dell’omonima poesia, Gerti Frankl
della seconda, l’ebrea Liuba è la protagonista di A Liuba che parte,
Maria Rosaria Solares, una peruviana conosciuta a Firenze, si ritrova in altri testi della collezione, come vedremo in seguito) ma
sicuramente la più importante. A lei fu dedicata l’intera opera
dall’edizione del 1949 in poi con le iniziali del suo vero nome: A
I.B., cioè a Irma Brandeis.
Irma Brandeis è una giovane ebrea americana, studiosa della
poesia medievale italiana, allieva di Singleton, che nel 1933 era
giunta a Firenze e si era recata al Gabinetto Viesseux, dove Montale lavorava dal 1929, con l’esplicito desiderio di conoscere il
poeta. Fu un classico coup de foudre intellettuale ed affettivo. Irma
ripartirà presto per l’America; tornerà più volte a Firenze fino al
1938, quando, in seguito alle leggi razziali, dovrà abbandonare
definitivamente l’Italia. Di questa relazione rimangono oggi le
155 lettere che Montale scrisse alla donna dal 1933 al ’39 (anno
della separazione definitiva anche a causa della presenza sempre
più insistente di quella che poi diventerà la moglie del poeta:
Drusilla Tanzi, la Mosca di Satura). Queste lettere sono state pub53
Dell’Estetica
blicate per la prima volta, da Mondadori, solo nel 2006.2
Clizia nelle Occasioni è la figura femminile assente fisicamente,
ma sempre presente nella mente del poeta. In questa stagione
montaliana la salvezza è proprio legata a questa donna lontana
(non sfugga il legame con l’amore de loin dei Provenzali ripreso
dai nostri Stilnovisti) che il poeta recupera continuamente nella
memoria e di cui può percepire la presenza tramite segni che lui
solo può cogliere. Se questi segni mancano l’inferno è certo:
Lo sai: debbo riperderti e non posso.
Come un tiro aggiustato mi sommuove
ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
salino che straripa
dai moli e fa l’oscura primavera
di Sottoripa.
Paese di ferrame e alberature
a selva nella polvere del vespro.
Un ronzio lungo viene dall’aperto,
strazia com’unghia ai vetri. Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch’ebbi in grazia
da te.
E l’inferno è certo.
Questo dice il poeta nel primo dei venti Mottetti, che rappresentano la sezione centrale delle Occasioni, scritto nel 1934.
La consapevolezza estrema di dover lasciare la donna è sottolineata nel primo verso da quell’assertivo Lo sai e dalla spiegazione che segue i due punti: debbo riperderti e non posso.
Il poeta si trova nella zona portuale di Genova (il quartiere di
Sottoripa paese di ferrame e alberature). Ogni voce, ogni segno di
lavoro, come un tiro preciso nei suoi confronti, lo costringono al
sobbalzo. Colpiscono la sua mente assorta, compresa quell’aria
che sa di sale che supera i moli e produce l’oscura primavera del
quartiere. Neppure la stagione positiva addolcisce la situazione.
2 Eugenio Montale, Lettere a Clizia, a cura di R. Bettarini, G. Manghetti, F. Zabagli,
Mondadori, Milano, 2006.
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La donna salvifica in Dante e in Montale di Giuliana Simonti
L’ossimoro oscura primavera rimanda alle primavere che non fioriscono del Carnevale di Gerti, sempre delle Occasioni e anticipa la
tragica piagata primavera della Primavera hitleriana nella Bufera. Il
ronzio lungo che giunge all’orecchio del poeta produce un effetto straziante, strazia com’unghia ai vetri. E quel verbo, dolorosissimo nel suo significato, posto in posizione principe nel verso,
rima con il termine che chiude quello successivo e che rimanda
al suo significato opposto: strazia-grazia. È per grazia, non per
merito del poeta che un tempo egli ricevette un pegno da lei.
Ora egli cerca un suo segno. La pausa prima del verso finale
indica l’impossibilità di trovarlo. E la sofferenza è infinita.
Dai critici, anche per certe affermazioni di Montale, si è pensato, fino all’uscita del già citato Lettere a Clizia, che questo
Mottetto non fosse stato scritto per la giovane americana. Nella
lettera del 15 gennaio 1935 però leggiamo: “… i famigerati Mottetti (i primi tre) furono scritti prima della conoscenza di Irma
Brandeis. Di quella redazione sopravvisse solo il Mottetto n. 3;
nel Mottetto n. 2 l’immagine di I. B. abitante a Costa S. Giorgio
andò a coincidere con Maria Rosaria Solares, nata a Genova,
città di S.Giorgio e il drago…. Il primo Mottetto è invece interamente tuo e a Sottoripa noi abbiamo consumato ‘l’ultima cena’
(dalla Carlotta). Se rileggo i tre Mottetti ci ritrovo una Miss
Gatu che sia stata anche in un sanatorio dove si gioca a bridge”.
Non ci stupisca questa sovrapposizione di figure di riferimento
in Montale, perché per il poeta la verità biografica può contare poco,
essenziale é la verità poetica. A questo proposito bisogna tener conto anche di quanto l’autore ha scritto nella poesia posta in limine a
Satura, quarto libro montaliano, uscito nel 1971, intitolata proprio Il
Tu: in me i tanti sono uno / anche se appaiono / moltiplicati dagli specchi.
Se l’inferno è certo quando il poeta non riesce a trovare un segno di lei, Clizia può miracolosamente balzare nella memoria
anche quando si era persa la speranza di rivederla ancora. Un
segno improvviso può avere un carattere epifanico, può rimandare a lei:
La speranza di pure rivederti
m’abbandonava;
55
Dell’Estetica
e mi chiesi se questo che mi chiude
ogni senso di te, schermo d’immagini,
ha i segni della morte o dal passato
è in esso, ma distorto e fatto labile,
un tuo barbaglio:
(a Modena, tra i portici,
un servo gallonato trascinava
due sciacalli al guinzaglio).3
Il poeta ricorda che un giorno, a Modena, la speranza di rivedere la donna lo abbandonava. E ricorda di essersi chiesto se tutti
quegli aspetti di vita, distrazioni, che intorno a lui gli impedivano
di cogliere qualche presenza di lei, fossero segni di morte, per lui
estraniato, oppure se proprio in quelli potesse improvvisamente
apparire, balzare dal passato, un segno di lei, un tuo barbaglio, una
luce improvvisa, anche se distorta e resa flebile dalla lontananza.
Ed ecco il segno: tra i portici / un servo gallonato trascinava / due
sciacalli al guinzaglio. Montale stesso ha spiegato questi ultimi versi
in un articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” il 16 febbraio
19504: “Mirco (il nome che il poeta dà a se stesso) era a Modena…
A Clizia piacevano gli animali strani. I due sciacalli rimandano a
lei, richiamano lei”. Ecco come l’occasione suscita il bagliore che
anima la memoria grigia in cui spesso il poeta si trova immerso.
E proprio i barbagli dell’aurora che improvvisamente colpiscono un
ramo di palma contro un muro possono offrire un altro segno di lei:
Ecco il segno; s’innerva
sul muro che s’indora:
un frastaglio di palma
bruciato dai barbagli dell’aurora.
Il passo che proviene
dalla serra sì lieve,
3 Si tratta del sesto Mottetto, scritto nel 1937.
4 Montale iniziò a collaborare al “Corriere” nel 1946. Nel 1948 fu assunto
definitivamente. L’articolo citato è entrato a far parte del volume di scritti Sulla
poesia, già citato.
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La donna salvifica in Dante e in Montale di Giuliana Simonti
non è felpato dalla neve, è ancora
tua vita, sangue tuo nelle mie vene. 5
Il poeta cerca in altri scatti improvvisi la presenza della donna:
Il ramarro, se scocca
sotto la grande fersa
dalle stoppie –
la vela, quando fiotta
e s’inabissa al salto
della rocca –
il cannone di mezzodì
più fioco del tuo cuor
e il cronometro se
scatta senza rumore –
Ma la delusione lo sorprende:
e poi? Luce di lampo
invano può mutarvi in alcunché
di ricco e di strano. Altro era il tuo stampo. 6
E allora il poeta si chiede:
Perché tardi? Nel pino lo scoiattolo
batte la coda a torcia sulla scorza.
La mezzaluna scende col suo picco
nel sole che la smorza. È giorno fatto. 7
All’interno dei Mottetti, precisamente nel dodicesimo, di data5 È l’ottavo Mottetto, scritto nel 1938.
6 Mottetto n. 9, scritto nel 1937.
7 Mottetto n. 10, 1938.
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Dell’Estetica
zione incerta (gennaio 1940?)8, assistiamo ad una trasformazione
di Clizia, a un’anticipazione di quello che sarà nella Bufera:
Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l’alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.
Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l’ombra nera, s’ostina in cielo un sole
freddoloso; e l’altre ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui.
Clizia è ormai una figura metafisica il cui intervento può davvero salvare il poeta, salvarlo dal male di vivere, s’intende.
La donna lo ha visitato, è scesa dall’alto9, ha attraversato alte
nebulose (dense? lontane?). Ora è qui con le penne a brandelli, rovinate dalle tempeste (i cicloni anticipano già la Bufera). Si sveglia
d’improvviso, a scatti, e il poeta con delicatezza estrema le libera
la fronte dai ghiaccioli che ha raccolto nel suo viaggio. È un mezzogiorno opaco: nel riquadro della finestra il nespolo allunga la
sua ombra nera, ma in cielo resiste il sole che, pur freddoloso e
lontano dalla solarità rappresentata dal giallo negli Ossi di seppia,
rimane sempre elemento positivo. E gli altri non conoscono il
segreto del poeta, non sanno che lei è giunta.
Nella Bufera, terzo libro montaliano, del 1956, a Clizia viene affidato il compito di salvare tutti. La situazione collettiva è diventata tragica: la seconda guerra mondiale ha infestato il mondo.
Già nelle poesie di Finisterre, uscite nel 1943 grazie a Gianfranco
Contini che le aveva portate a Lugano, e più tardi entrate come
prima sezione nella Bufera, Clizia diventa l’angelo visitatore.
Nella famosa Intervista immaginaria pubblicata sul primo numero
de “La Rassegna d’Italia” del gennaio 1946 Montale disse: “Ho
8 Il Mottetto uscì per la prima volta sulla rivista “La Ronda” nell’aprile del 1940.
9 Già nei versi finali del decimo Mottetto la donna è vista scendere dall’alto: nulla
finisce, o tutto, se tu folgore / lasci la nube.
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La donna salvifica in Dante e in Montale di Giuliana Simonti
proiettato la Selvaggia o la Mandetta o la Delia (le donne cantate
rispettivamente da Cino da Pistoia, da Guido Cavalcanti e dal
poeta francese del Cinquecento Maurice Scève n.d.r) la chiami
come vuole, sullo sfondo di una guerra cosmica e terrestre, senza
scopo e senza ragione, e mi sono affidato a lei, donna, angelo o
procellaria ”.
La donna dunque scende dall’alto. In varie poesie della Bufera si ripete questa caratteristica: ne La frangia dei capelli Montale
dice: l’ala onde tu vai… scesa d’un balzo; in Giorno e notte: o perigliosa annunciatrice dell’alba; in Iride la chiama la messaggera di Dio:
l’Iri del Canaan; ne L’orto si legge: messaggera / che scendi, prediletta
del mio Dio. D’altra parte la condizione estrema della guerra potrebbe trovare un antidoto solo in un intervento straordinario.
Ricordiamo che Montale (1896 – 1981), a differenza di Ungaretti,
non ha lasciato segno nei suoi versi della prima guerra (anche se
marginalmente vi partecipò nel ’18, in Vallarsa) la seconda, invece, fa da sfondo a buona parte del terzo libro e in questo Clizia
assume valore salvifico per eccellenza con caratteristiche tipicamente cristiane (in questo caso risulta evidente la sua vicinanza
con la Beatrice dantesca) anche se è cantata da un poeta che non
crede alla salvezza ultraterrena, ma che concepisce la salvezza di
tutti dalla bufera della guerra solo grazie all’intervento eccezionale di lei. Esempio di questo La primavera hitleriana:
Folta la nuvola bianca delle falène impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come su zucchero il piede; l’estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito,
si sono chiuse le vetrine, povere
e inoffensive benché armate anch’esse
59
Dell’Estetica
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate,
di larve sulle golène, e l’acqua séguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.
Tutto per nulla, dunque? – e le candele
romane, a S. Giovanni, che sbiancavano lente
l’orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa
dell’orda (ma una gemma rigò l’aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia, i sette, la semina
dell’avvenire) e gli elitropi nati
dalle tue mani – tutto arso e succhiato
da un polline che stride come il fuoco
e ha punte di sinibbio…
Oh la piagata
primavera e pur festa se raggela
in morte questa morte! Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi,
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbàcini nell’Altro e si distrugga
in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda, si confondono già
col suono che slegato dal cielo, scende, vince –
col respiro di un’alba che domani per tutti
si riaffacci, bianca ma senz’ali
di raccapriccio, ai greti del sud…
Nell’epigrafe alla poesia la spiegazione del nome dato dal poeta alla donna, in questo testo per la prima volta chiamata Clizia:
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La donna salvifica in Dante e in Montale di Giuliana Simonti
Ne quella ch’a veder lo solo si gira…(Dante (?) a Giovanni Quirini)10,
fanciulla trasformata in girasole, appunto, colei che il non mutato
amor mutata serba, come dice Montale citando ancora l’antico poeta che forse è Dante (quasi a chiudere il nostro discorso che ha
preso il via proprio nel suo nome).
Iniziata nel ’39 e terminata nel ’46, questa poesia è fondamentale per capire il nuovo ruolo di Clizia. L’immagine iniziale rimanda ad una situazione tragica: intorno alle deboli luci dei lampioni del lungarno fiorentino turbina una nube di farfalle notturne
impazzite. Molte cadono a terra a formare una coltre sulla quale
il piede stride come se si muovesse sullo zucchero. L’aria è fredda, l’estate ormai vicina libera il gelo della notte, che durante la
stagione invernale era rimasto chiuso nei suoi antri nascosti, giù
per le terre che dalla località di Maiano giungono fino alle rive
dell’Arno. Hitler, tra le grida acclamanti dei suoi sgherri, è accolto dalla folla esultante. Sono stati chiusi i negozi con le vetrine
ornate di giocattoli di guerra. La violenza si coglie in quei musi
di capretti uccisi infiorati di bacche che si mostrano dalle macellerie. La festa dei miti carnefici, potente ossimoro per indicare i
tanti che ancora non si sono macchiati di sangue, ma che presto
lo faranno, si è, nell’ora della sera, trasformata in una immonda
danza di ali spezzate, di larve di farfalle su quella striscia di terra
che separa l’argine dal letto del fiume. E l’acqua continua a corrodere le rive (la storia non si ferma) e ormai nessuno può dirsi
senza colpa.
La violenza riesce a corrompere tutto? Non sono valse a niente
le cerimonie religiose con i fuochi d’artificio (ma proprio il termine candele rimanda al contesto sacro) in occasione della festa di
S.Giovanni? A cosa è valsa la storia privata con l’esperienza della
separazione dalla donna, vissuta come un sacrificio, con i pegni e
i saluti scambiati con la forza di un impegno religioso? Non sono
valsi a fermare la sciagura della guerra, anche se qualche segno
10 Da ricordare che proprio nel ’39 Gianfranco Contini, amico di Montale, aveva
pubblicato le Rime di Dante tra cui si trova il sonetto Nulla mi pare mai più crudel
cosa di dubbia attribuzione, da cui sono tratti i versi riportati da Montale.
61
Dell’Estetica
positivo filtra goccia a goccia dalla terra di lei11, i girasoli nati
dalle sue mani? (la poesia?).
Tutto ormai sembra bruciato e annullato dalla furia travolgente
di folate di vento sferzante. Eppure la primavera ferita, straziata,
è ancora festa se congela nella morte la situazione nefasta che di
per sé è già morte. E allora la salvezza di tutti è legata solamente a lei, a Clizia, colei che pur essendo cambiata, conserva in sé
un amore immutato, che, guardando fissamente in alto, offrirà,
come sacrificio per la salvezza di tutti, a Cristo salvatore.
Forse proprio per questo i fischi delle sirene e i rintocchi delle
campane che salutano Hitler e Mussolini, i mostri, nella sera del
loro passaggio a Firenze (ma nel termine tregenda anche il significato di convegno di demoni) si mescola col suono che, liberato
dal cielo, scende e vince il male con il sollievo di un’alba che possa portare sulla terra riarsa una speranza priva di paura.
Clizia ha assolto il suo compito. Già ne L’ombra della magnolia
a lei si dice Addio. Ne Il gallo cedrone Clizia è scomparsa. Nella
prima poesia dei Madrigali privati, sesta e penultima sezione della Bufera, appare già un’altra donna: Se t’hanno assomigliato / alla
volpe sarà per la falcata / prodigiosa, pel volo del tuo passo / che unisce
e che divide, che sconvolge / e rinfranca il selciato …
La Volpe appunto, la poetessa Maria Luisa Spaziani, una figura
totalmente terrena, importante per il poeta, ma che poco ha da
spartire con Clizia.
11 L’immagine biblica degli angeli di Tobia, i sette, la semina dell’avvenire, tratta
proprio dal Libro di Tobia (12, 15) è segno di un qualcosa di positivo che è successo
nella terra di lei e che potrebbe riferirsi anche (ricordare la lunga gestazione del
testo) alla decisione degli Americani di intervenire contro il nazifascismo.
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La donna salvifica in Dante e in Montale di Giuliana Simonti
Riferimenti bibliografici
•Eugenio Montale, Poesie, a cura di Angelo Marchese,
Mondadori, Milano, 1991.
•Eugenio Montale, Le occasioni, a cura di Dante Isella, Einaudi,
Torino,1996.
•Marco Forti, Eugenio Montale, La poesia, la prosa di fantasia e
d’invenzione, Mursia, Milano, 1973.
•Eugenio Montale, Lettere a Clizia, a cura di Rosanna Bettarini,
Gloria Manghetti, Franco Zabagli, Mondadori, Milano, 2006.
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Il sorriso di Venere la bellezza
attraverso la lettura dei classici (*)
di Carla Mugnai
La bellezza di Elena
Ringrazio prima di tutto il Liceo Varchi, che ci ospita in questa occasione di scambio, interessante e spero non unica; saluto e ringrazio
quindi la prof. Bramante, collega sensibile e colta nonché amica gentile, che ha organizzato questi incontri di riflessione intorno al tema
dell’estetica - cioè del dono prezioso e difficile della bellezza - e soprattutto saluto e ringrazio voi che siete intervenuti così numerosi e
avrete la pazienza di ascoltare il mio contributo di questa sera.
Questa nostra conversazione ha un titolo suggestivo, ma anche
un po’ ambiguo: il sorriso di Venere. [D1]
Non un semplice titolo, ma piuttosto una citazione, che si riconduce facilmente al sonetto di Foscolo dedicato alla sua isola natale – Zacinto - che si specchia nel mare greco; quel mare da cui nacque Venere
e rese felici e fertili quelle terre col suo sorriso, tanto che la bellezza di
quel cielo e di quel mare ispirarono la grande poesia di Omero e il suo
racconto del nòstos, del ritorno in patria, di Ulisse.
Rileggiamo insieme l’incipit del sonetto di Ugo Foscolo: [D2]
A ZACINTO
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso…
(*) Questa relazione è corredata da immagini contenute nel compact disc allegato al
volume.
65
Dell’Estetica
Venere / Afrodite, la dea dell’amore carnale, è qui rappresentata mentre esce dalle onde del mare ellenico e col sorriso, il primo
sorriso dell’Amore, fa nascere la bellezza e la poesia: la grande
poesia di Omero.
Mi è sembrata la metafora più immediata per alludere al nostro
tema: la bellezza attraverso la lettura di alcuni testi della letteratura classica greca e latina.
In primo luogo nell’Iliade , dove la dea Afrodite è ben presente.
La troviamo come nume tutelare, protettrice e pronuba della
coppia prediletta: Elena e il suo amante-non amato Paride Alessandro.
Entrambi, in modo molto diverso, come vedremo, hanno ricevuto da Afrodite il dono della bellezza, in forma di potere di
seduzione.
Dono fatale
Elena è l’unica figlia femmina fra i figli mortali di Zeus.
Elena dunque è stata ed è il simbolo stesso della bellezza, colei
a cui Venere ha riservato il suo più seducente sorriso; di lei e
della forza che a lei deriva dalla sua bellezza possiamo dire come
dicevano gli antichi:
La bellezza è la più ammirabile, la più preziosa e la più divina delle
cose. Ed è facile giungere a comprendere la sua potenza: infatti risulterà
evidente che le realtà che pure non hanno in sé una parte di virtù o di
sapienza o di giustizia sono apprezzate più di ciascuno di questi valori,
mentre riscontreremo che delle realtà che sono rimaste prive di bellezza
nessuna è amata, ma tutte sono disprezzate, eccetto quante siano entrate in contatto con questa forma ideale, e riscontreremo anche che la
virtù è così rinomata soprattutto per il fatto che è la più bella fra tutti
gli oggetti di dedizione. Ancha a partire da un altro punto di vista si
potrebbe comprendere quanto la bellezza si distingua dagli altri beni,
considerando cioè gli atteggiamenti che noi assumiamo verso ciascuno
di essi. Infatti, degli altri beni di cui ci troviamo ad aver bisogno, noi
vogliamo soltanto entrare in possesso, ma non ne restiamo più a lungo
toccati nell’animo. Invece delle cose belle sorge in noi un amore, che
è dotato di forza di desiderio tanto più grande, quanto più pregevole
è l’oggetto d’amore. Inoltre nei confronti di coloro che si distinguono
in intelligenza o in qualche altra caratteristica noi proviamo invidia, a
66
Il sorriso di Venere: la bellezza attraverso la lettura dei classici di Carla Mugnai
meno che essi beneficandoci di giorno in giorno non ci attraggano a sé e
non ci costringano ad amarli; invece nel momento stesso in cui vediamo
delle persone belle diventiamo ben disposti nei loro confronti e soltanto
a loro, come a divinità, non ci esimiamo dall’attribuire venerazione.
(Isocrate, Elena, 54)
Elena – la donna più bella del mondo - come la rappresenterà
Saffo: [D3]
“Elena che superava ogni donna in bellezza, abbandonato il suo illustre marito, andò a Troia per mare scordando del tutto la figlia,
e i genitori.
La dea di Cipro tutta la travolse nel folle amore” Eppure a tanto splendore di grazia e di seduzione si intrecciano segni inquietanti di lutto e di timore. Nel poema omerico che
per primo la celebra e ne costruisce il mito, Elena compare infatti
come premio della Eris, della contesa, da cui deriva Ares, la guerra.
Già nell’Iliade dunque è una figura ambigua: è dono di Afrodite
a Paride ed è sciagura per il popolo dei Teucri.
A questo proposito, Eschilo dirà di lei: “Il nome di Elena, la sposa di guerra, la donna contesa; poiché Elena, la sterminatrice di navi,
di uomini, di città, lasciando le preziose coltri del talamo, salpò via,
portata dal soffio di un vento gagliardo… “ (Eschilo, Agamennone,
691-698) [D4]
Sul nome Elène Eschilo costruisce le figure retoriche dell’enumerazione e dell’etimologia, derivando il nome stesso della donna dall’azione di sterminare e declinandolo in tre variazioni [D5]
Elène diventa così :
di navi
èlaunos,
èlandros,
la sterminatrice
di uomini
di città
elèptolis
67
Dell’Estetica
Siamo di fronte al potere grande e temibile di una donna fatale,
dove Fatale ha ancora il significato originario del termine, derivato da Fato.
Fatale è quindi attribuito alla persona che con la sua sola presenza può cambiare il destino degli uomini che incontra , in
modo drammatico e spesso con esiti tragici.
Fatale infatti è anche Achille per Andromaca, lui che le ha ucciso padre e fratelli in un sol giorno, trasformando la sua esistenza
da quella di pricipessa onorata nella sua terra a straniera in cerca
di rifugio e che poi le ucciderà anche il marito e la ridurrà da moglie amata, anche se straniera e fuggitiva, in schiava degli Achei.
Questo è il potere che Venere ha donato col suo sorriso alla sua
protetta, alla prediletta, a Elena scegliendola come esempio insuperabile di incanto e seduzione per ogni uomo che la ammiri.
Oggetto del desiderio
La donna Fatale che ti cambia il destino, Elena splendente, bellissima, meraviglia per i mortali .
Eppure Omero non la descrive mai nei suoi tratti somatici.
Quando il poema la presenta per la prima volta, nel terzo libro,
essa è intenta a tessere: [D6]
Iris intanto venne messaggera ad Elena dalle bianche braccia…
La trovò nella stanza: quella tesseva un gran manto
doppio, tinto di porpora, e molte avventure ci ricamava
che i Troiani, provetti cavalieri, e gli Achei vestiti di bronzo
affrontarono a causa di lei sotto i colpi di Ares.
(Iliade III , 121/191 trad. G.Cerri)
Iride la convince a recarsi sulle mura della città, per assistere
al combattimento, infondendole il desiderio di rivedere la sua
gente, il suo primo marito e forse i suoi fratelli – Castore e Polluce – che Elena crede ancora in vita .
Sulla torre, vicino alle porte Scee, incontra Priamo e tutti i nobili anziani della città che ne ammirano la bellezza, ma vorrebbero
allontanarla: [D7]
68
Il sorriso di Venere: la bellezza attraverso la lettura dei classici di Carla Mugnai
Non è motivo di biasimo, se per tale donna a lungo
Troiani e Achei sopportano dolori:
maledettamente somiglia d’aspetto alle dee immortali
Ma tuttavia pur così bella sulle navi ritorni,
che a noi e ai nostri figli non resti sventura in futuro.
(ibidem)
La messaggera degli dei l’ha condotta sulle mura per assistere
al duello tra il suo primo marito Menelao e l’attuale compagno
Alessandro, duello di cui ancora una volta Elena sarà il premio
promesso al vincitore:
In duello si batteranno per te:
di chi riuscirà vincitore sarai detta sposa legittima.
(ibidem)
Elena è premio, oggetto della contesa (oggetto del desiderio potremmo dire secondo la terminologia di Propp) e come oggetto
è rappresentata .
Seguiamo quello che dice Nicole Loraux in Il femminile e l’uomo
greco nel suo intervento intitolato Il fantasma della sessualità: [D8]
Elena vive al di fuori di Elena come oggetto bramato e per questo
sono usati ampiamente i neutri
àgalma (¥galma), kallìsteuma, (kall… steuma) tèras (tšraj) thàuma (qaÚma) cosa preziosa,
cosa bella,
cosa straordinaria,
cosa prodigiosa,
ma anche
pèma (pÃma) flagello
Successivamente la incontriamo a parlare per sette volte e ogni volta
sarà per cercare di mettere a distanza colei che parla da quella che gli
altri vedono
La bellezza che Elena ha ricevuto in misura superiore a ogni
69
Dell’Estetica
altra donna sulla terra è dunque una misteriosa e potente energia
che attrae su di sé gli sguardi e i desideri degli uomini conquistati dalla sua immagine , senza alcuna volontà da parte sua.
Molti eroi saranno vittima di questo potere seduttivo.
Teseo la rapì quando era ancora una fanciullina.
Tutti i principi greci la desiderarono in moglie e Tindaro che
l’aveva allevata nella sua casa pretese da loro il patto di solidarietà - stipulato tra tutti i testimoni del matrimonio di Elena col
prescelto Menelao - che spingerà gli stessi, con a capo Agmennone, a dichiarare guerra a Troia.
Paride la rapirà per compiere la promessa di Venere.
Alla morte di Paride sarà ancora contesa tra altri due figli di
Priamo: Eleno e Deifobo e verrà assegnata al più valoroso Deifobo.
Il mito ci dice che Elena odiava il suo terzo marito Deifobo tanto da ucciderlo lei stessa, secondo una tradizione o comunque
tanto da festeggiare alla notizia della sua morte per mano di Menelao, il marito col quale voleva tornare.
L’amante : Alessandro – simile-a-un-dio
Femme fatale. Oggetto del desiderio. Dotata di grande potere di
seduzione.
Eppure oltre che seduttrice l’Elena di Omero appare anche e
soprattutto come sedotta. [D9]
Lo vediamo nel suo rapporto con Paride Alessandro l’amante
che l’ha rapita dal palazzo dov’ era ospite e l’ha condotta a Ilio:
anche a lui la dea Afrodite ha sorriso, in lui si compiace in modo
particolare e a lui ha donato parte del suo potere, come ha fatto
per la figlia di Leda e di Zeus: Elena di Sparta.
Ma mentre nella donna splendente e maledettamente bella il
dono divino del fascino è vissuto in modo drammatico come
conflitto tra istinto e ragione, tra piacere e virtù e poi diventerà il conflitto tra apparire ed essere, Alessandro mostra un altro
aspetto del dono, del sorriso di Venere.
In lui, come in Elena, la bellezza è dono divino.
Quando entra in scena, all’inizio del terzo libro, nell’episodio
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Il sorriso di Venere: la bellezza attraverso la lettura dei classici di Carla Mugnai
del duello con Menelao, Omero lo designa con un epiteto che lo
accompagna sempre: Alessandro – simile-a-un-dio: [D10]
Quando (i due eserciti) furono di fronte,
alla testa dei Troiani era Alessandro -simile-a-un-dio;
sulle spalle una pelle di pardo e l’arco ricurvo e la spada.
(Iliade III, 15-17)
Bello ed elegante con le sue armi e le pelli esotiche. Poco oltre
dirà: [D11]
[come un leone affamato che si imbatte in un cervo o in un capro
selvatico]
così gioì Menelao dinanzi a sé vedendo Alessandro – simile-a-un-dio
e ancora:
Ma non appena lo vide,
Alessandro – simile-a-un-dio rimase atterrito in cuor suo
e si tirava indietro nel gruppo dei compagni per schivare la morte.
Come uno che ha visto un serpente…
(Iliade III, 30-33)
Bellezza, splendore, eleganza, ma non accompagnate dalle virtù dell’uomo antico: onore e coraggio.
Come gli rimprovera il fratello Ettore, che lo vede ricoprirsi di
infamia davanti a tutti, perché non ha il coraggio di affrontare in
battaglia il primo marito della donna che lui ha rapito, violando
i doveri dell’ospitalità.
Ettore ci dà la sintesi della natura e del carattere di Alessando: [D12]
Paride maledetto, per bellezza il più valoroso, pazzo di donne,
ingannatore… ridono gli Achei
a pensare che il nostro campione primeggia, perché ha bello
l’aspetto, ma non ha forza nel cuore né un po’ di coraggio.
Non affronteresti dunque Menelao?
Capiresti che uomo è colui del quale possiedi la sposa fiorente;
non ti sarebbe d’aiuto la cetra né quanto ti ha dato Afrodite,
la bellezza e la chioma, quando fossi lì nella polvere a batterti.
(Iliade III, 40 - 55)
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Dell’Estetica
C’è un riferimento diretto alla bellezza del corpo, in particolare
ai lunghi capelli biondi, sciolti sulle spalle, e all’abilità nella musica, nel canto e nella danza.
Queste attività nella società greca di epoca classica erano spesso esercitate con grande abilità da uomini d’arme senza nessuno
scandalo, basta pensare a quello che ci dice Plutarco a proposito
del generale tebano Epaminonda, grande stratega e esperto musicista e ballerino .
Al contrario nella civiltà di cui Ettore fa parte - più arcaica e
orientalizzante- come poi sarà nel mondo romano , musica, canto
e danza sono attività ritenute effeminate, inadatte ad un uomo e
in particolare ad un combattente.
Il duello tra Paride e Menelao
Vediamo cosa risponde Paride al fratello Ettore: [D13]
A lui disse in risposta Alessandro – simile-a-un-dio
(hai ragione anche se le tue parole sono taglienti come la scure
che taglia il legno per le navi)
non mi rinfacciare i gradevoli doni di Afrodite d’oro:
non si possono certo respingere i doni preziosi degli dei,
quelli che loro concedono, né si può scegliere a proprio piacere.
(Iliade III 64 - 66)
Ecco che il nostro eroe, per così dire, si giustifica dicendo, in
sostanza, non è colpa mia se sono fatto così.
Ma poi continua dichiarandosi pronto ad affrontare il rivale in
un duello che metta fine alla contesa e alla guerra .
Sappiamo come andrà a finire il duello, con Menelao che lo
vince e, afferrato il rivale per la criniera dell’elmo, lo trascina verso l’esercito acheo, ma Afrodite interviene e spezza la cinghia del
sottogola, liberando il suo pupillo: una fortuna sfacciata che a
volte tocca ai giovani imprudenti che osano sfidare la sorte.
A Menelao furioso resta in mano solo l’elmo, mentre Paride
scompare sotto gli occhi di Elena e di tutti i presenti.
Elena, che poi sarà chiamata dalla dea a raggiungere il suo
amante con queste parole: [D14]
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Il sorriso di Venere: la bellezza attraverso la lettura dei classici di Carla Mugnai
Su vieni, Alessandro ti manda a dire di tornartene a casa.
Lui è già in camera, sopra il letto tornito con arte,
splendente di bellezza ed eleganza; non diresti davvero
che torni da uno scontro corpo a corpo, ma piuttosto che vada
ad un ballo, o abbia smesso appena e si riposi dal ballo.
Elena risponde con sdegno al richiamo d’amore, accusa Afrodite di volerla trascinare nel fango , le chiede provocatoriamente
se non vorrà portarla ancora ad altri letti, in altri paesi, ancora
più lontano dalla sua terra, seguendo qualche altro uomo caro
alla dea: [D15]
Io non andrò laggiù a preparare il suo letto
– sarebbe vergognoso davvero.
E anche quando la dea la costringe con minacce di morte a
seguirla fino nella stanza e lei stessa pone un sedile proprio di
fronte a Paride:
Elena figlia di Zeus vi si mise a sedere distogliendo altrove lo sguardo
e rimproverando lo sposo di non essere piuttosto caduto in
duello, lo sfida a ritornare sul campo e ad affrontare di nuovo
Menelao che lui tante volte si è vantato di superare in forza e
abilità.
La regina di Sparta dimostra tutto il suo tormento per il disonore di avere un amante così poco valoroso, la vergogna di fronte
alle donne Troiane che sparleranno di lei, la mancanza di stima
per questo sposo leggero e incostante; l’amante non-amato di cui
abbiamo detto.
Ma, mentre mostra tanto sdegno, non può del tutto nascondere l’emozione forte che la possiede di fronte all’uomo che l’ha
sedotta, inducendola ad abbandonare marito, famiglia e patria:
tutto per lui ha lasciato la regina sposa del re di Sparta Menelao.
Già al primo richiamo della dea dell’Amore Elena ha avuto un
sussulto, un tremito del cuore al pensiero dell’amante in attesa
di lei: Disse così, e le scosse l’animo in petto… ebbe allora un sussulto.
Quando poi gli è di fronte nella stanza da letto, distoglie lo
73
Dell’Estetica
sguardo in segno di disprezzo, ma anche per tentare di evitare la
seduzione di Paride, perché si sente invadere dal desiderio di lui.
Infine davanti alla forza seduttiva delle sue parole cede senza
ritegno: [D16]
(non mi tormentare, dice Paride, oggi ha vinto lui e domani sarò
io il vincitore)
Ma vieni, mettiamoci a letto e godiamo l’amore:
mai il desiderio di te mi ha sconvolto la mente con tanta violenza
neppure il primo giorno in cui mi sono unito a te d’amore e di letto
tanto ora ho voglia di te e dolce mi prende il desiderio.
Disse e s’avviò al letto per primo: lo seguì la sua donna .
Seduzione e narcisismo
Ritroviamo Paride Alessandro nel VI libro, quando Ettore, tornando in città per chiedere sacrifici ad Atena, lo va a cercare nelle
sue stanze, e di nuovo si mostra pronto a combattere .
Ettore sorride e crede al cambiamento.
Omero ce lo descrive mentre va verso il fratello, correndo veloce, orgoglioso e felice del proprio corpo, del vigore giovanile di
tutte le sue membra: [D17]
come un cavallo stallone appena nutrito alla greppia
strappa la corda e galoppa felice nel piano
…orgoglioso tiene alta la testa, intorno i suoi crini
svolazzano sopra le spalle; egli gode del proprio vigore.
Paride, a differenza di Elena, non manifesta mai sensi di colpa;
i doni di Afrodite che egli ha ricevuto sono bellezza seduttiva e
amore per i piaceri della vita, così come leggerezza di mente e di cuore.
Agisce senza pensare alle conseguenze dei suoi atti, promette e
dimentica le promesse, fa dei propositi ai quali non tiene fede,
segue l’istinto e il piacere del momento.
Un attimo prima si presenta davanti agli eserciti schierati provocando i più forti eroi, fiero delle sue armi esotiche e lucenti, un attimo dopo si ritira timoroso; sfida a duello il rivale per compiacere il
fratello e poi scompare senza vergogna nelle sue stanze per giorni,
mentre fuori continua la carneficina che lui stesso ha provocato.
74
Il sorriso di Venere: la bellezza attraverso la lettura dei classici di Carla Mugnai
Quella di Paride è forse la forma più potente di seduzione: è il
potere seduttivo dei bambini, l’irresistibile grazia dei giovanissimi, la magica onnipotenza narcisistica di un individuo egocentrico
prima della costruzione di una coscienza di sé in relazione agli
altri e alle regole della convivenza.
Ad Alessandro simile a un dio,come ai bambini, tutto si finisce
per perdonare, il suo fascino è ben lontano da quello fatale e tragico di Elena, ma non meno intenso.
L’idolo delle genti
La questione della colpa di Elena è stata a lungo dibattuta, già
dagli antichi : possiamo ricordare la difesa di Gorgia e soprattutto la palinodia di Stesicoro.
Ma qui vorrei solo accennare a questa tradizione secondaria,
posteriore ad Omero e molto più, diremmo, moderna e cioè la
leggenda di Elena che non andò mai a Troia.
Già nel mito narrato da Stesicoro nella sua Palinodia Elena segue Paride a Ilio soltanto come eidolon (idolo), immagine; in realtà la regina si rifugia in Egitto.
Euripide nella tragicommedia Elena segue la variante di Stesicoro e ne fa oggetto di riflessione profondamente moderna .
“Il pensiero corre, per associazione, a Platone che afferma nella Repubblica che il piacere sessuale è il fantasma del vero piacere e per questo
èeidolon si combatte come si combatteva sotto Troia per il fantasma di
Elena, non conoscendo la verità.”(N. Loraux)
In Euripide (nel V sec. a.C.) Elena prende subito distanza dal
mito e dato che a Troia è stato portato un fantasma, Paride a Menelao non ha sottratto la sposa, ma ha rapito solo una bambola
d’aria, (èidolon èmpnoun) come dice Euripide, un fantasma che
vaga sempre oltremare. L’Elena condotta a Troia è un idolo, cioè
una apparenza vuota, un’immagine d’aria [D18].
La vera Elena si è rifugiata in Egitto dove Menelao la ritroverà
nel nòstos, nel viaggio di ritorno.
Ecco il momento in cui la regina rivela la verità al messaggero
che la incontra sulla spiaggia d’Egitto: [D19]
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Dell’Estetica
Teucro “… alla marina Cipro, ove l’oracolo
d’Apollo disse che abitato avrei,
che il nome avrei di Salamina all’isola
posto, in ricordo della patria antica…
Elena
Quella è un fantasma: a Troia io non andai…
Nunzio
Che dici?Le nostre pene furono per una nuvola?”
(Euripide, Elena - trad. E. Romagnoli)
L’incontro con la persona reale dimostrerà al re, agli achei (e a
tutti noi) due verità incontestabili: che la guerra non ha mai una
ragione reale e che la fama di una persona vive una vita distinta
dal soggetto che l’ha ispirata.
È ancora per questo che immagini fatte di luce, proiettate sul
piccolo o sul grande schermo, sono così pronte a trasformarsi in
idoli per la folla che le ammira, senza conoscerle.
La potenza di Eros
Paride ed Elena, una coppia male assortita si direbbe, eppure
unita da un vincolo fortissimo, che va contro ogni ragione.
Paride non fa niente per compiacere Elena, non capisce i suoi
desideri, trova fastidiose le sue osservazioni, le sue promesse
sono scritte nel vento.
Elena non ha stima del suo compagno, sente la colpa e il biasimo degli altri su di loro, questa situazione le fa perdere anche la
stima di se stessa (io, faccia di cagna – dice al cognato – meglio sarebbe non fossi mai nata) [D20], ma entrambi sono attratti in modo
irresistibile dalla dea Afrodite, e da suo figlio, simbolo della forza
primordiale dell’eros.
Di quel dio terribile così cantato da Saffo: [D21]
Eros,
belva dolce-amara,
invincibile,
simile a vento scatenato fra querce sui
monti,
nell’intimo
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Il sorriso di Venere: la bellezza attraverso la lettura dei classici di Carla Mugnai
mi eccita e sconvolge,
Eros scioglimembra
Gli antichi sapevano bene quanto potesse essere travolgente,
quindi anche distruttiva, la forza del desiderio: è significativo
il quarto coro dell’Antigone, in cui Sofocle presenta la triplice
potenza che presiede alla passione e alla sessualità (Eros, Imeros, Afrodite). Una potenza che invade ugualmente animali, dei
immortali e uomini mortali, simile alla follia, che fa delirare e
suscita guerre tra padri e figli; accesa da niente altro che dalla
curva tenera della guancia di una ragazza o dalla vibrazione di
luce che emana da sotto le sue ciglia:
Eros,
nella lotta invincibile,
Eros, che sulle bestie ti slanci
e vigili sulle tenere guance
della ragazza,
tu che scavalchi il mare
e penetri anche nelle capanne dei poveri:
non immortale,
non umano, che campa una giornata,
può sfuggirti.
Delira chi è colmo di te.
Anche la mente dei giusti
tu trascini all’ ingiustizia,
e al disastro;
tu hai scatenato questa
guerra
fra consanguinei.
Desiderio,
nato dagli occhi
della donna, dell’incanto
lucente vibrazione
dalle ciglia della donna amata:,
potere che siede tra Potenze regolatrici della vita
sta fra le leggi fondamentali del mondo,
splendente trionfa.
È nel gioco la celeste
Afrodite, che disarma.
77
Dell’Estetica
Seduce invincibilmente
la dea Afrodite.
(Sofocle, Antigone)
Elena suscita l’hìmeros, il desiderio amoroso; ma lei non ricambia questo desiderio e vi soggiace solo dopo l’imposizione di
Afrodite. Sembra più forte la dimensione del pòthos del desiderio
di ciò che è assente, che essa stessa prova e di cui è oggetto.
Li unisce dunque un amore, per così dire, a una sola dimensione, è il desiderio nato dalla bellezza, che si nutre di possesso,
indifferente a qualsiasi altro valore e che di questo nutrimento
non è mai realmente saziato né può godere.
Amore e Psiche
Per avvicinare un concetto diverso della bellezza e trovare altre
dimensioni dell’amore prendiamo in considerazione, questa volta
più brevemente, un testo latino molto posteriore, ma altrettanto famoso: la novella di Amore e Psiche, dal romanzo Metamorfosi di Apuleio. [D22]
Il titolo Metamorphoseon libri conobbe presto la concorrenza di
quello con cui l’opera fu indicata da Agostino di Ippona nel De
civitate Dei (XVlll, 18): Asinus aureus, L’asino d’oro.
Le Metamorfosi di Apuleio - sotto l’apparenza di una lettura di
puro svago, intessuta di episodi umoristici e licenziosi - assume
in realtà i caratteri del romanzo di formazione. [D23]
Nella vicenda del giovane Lucio, che, trasformato in asino
dalla sua curiosità , deve affrontare e risolvere diverse peripezie
per riconquistare l’umanità perduta, viene rappresentato simbolicamente il passaggio dall’adolescenza, governata dall’istinto,
all’età della ragione.
La favola di Amore e Psiche, grazie al rilievo derivante dalla posizione centrale nel romanzo e dalla lunga estensione (64 capitoli), assume valore di premonizione nei confronti del destino di
Lucio, il protagonista del romanzo.
Il nostro eroe, nella sua nuova forma di asinello, è caduto nelle
78
Il sorriso di Venere: la bellezza attraverso la lettura dei classici di Carla Mugnai
mani dei predoni che se ne servono per trasportare le merci rubate nella loro caverna; qui è tenuta prigioniera una giovane, rapita
poco prima e affidata ad una vecchia governante.
Per consolare e distrarre la giovinetta dai suoi terrori, la governante le racconta la favola di Psiche, mentre l’asino Lucio, in
disparte, ascolta con attenzione. [D24]
La trama rispecchia tradizioni favolistiche note in tutti i tempi:
Psiche, la figlia minore di un re, suscita l’invidia di Venere a causa della sua straordinaria bellezza, e viene, per volere della dea,
data in preda a un mostro.
Cupido, figlio di Venere, vedendola, se ne innamora e la libera,
portandola al sicuro in un castello, dove ne diviene l’amante.
Alla fanciulla, che ignora l’identità del dio, è negata la vista
dell’amato, pena l’immediata separazione da lui. Tuttavia, istigata dalle due sorelle invidiose, Psiche non resiste al divieto e
spia Amore mentre dorme: dalla lucerna accesa una goccia di
olio bollente cade sulla spalla di Cupido che si sveglia.
Il giovane, gravemente ferito, è costretto ad abbandonare la
sua sposa e rifugiarsi nel palazzo della madre per essere curato.
La prova che Psiche ha fallito è la fiducia nello sposo e la ferita
che mette in pericolo Amore è stata in realtà inferta al loro legame.
Le prove per ritrovare Amore
All’inevitabile, immediato distacco pone rimedio la dolorosa
espiazione cui Psiche si sottomette, attraverso varie esperienze.
La fanciulla si presenta infatti da Venere per chiedere di rivedere lo sposo e la dea ha l’occasione per compiere la sua vendetta:
la fa tormentare dalle sue ancelle Solitudine, Tristezza e Angoscia, la insulta e percuote in ogni modo e poi le propone tre prove
impossibili. [D25]
Psiche le supererà, ma non da sola, bensì con aiuti straordinari:
saranno le formiche a insegnarle la pazienza assolvendo per lei
l’incarico di separare una montagna di sette tipi di semi diversi.
I giunchi del lago le insegneranno l’umiltà che induce a piegarsi alle circostanze, suggerendole il modo migliore di raccogliere un ricciolo d’oro
dal vello di capre feroci, che Venere pretende come seconda prova.
L’acqua nera della roccia dei draghi sarà infine raccolta da
79
Dell’Estetica
un’aquila che, volando alto, le mostra come liberarsi dal peso
dell’angoscia che opprime, dal male di vivere che gli antichi
chiamavano accidia e che scorre nel profondo della nostra anima
come nera palude custodita dai nostri mostri.
Ma Venere ha in serbo per lei un’ultima trappola e la incarica di
recarsi nell’ Orco per portarle un po’ della bellezza di Proserpina.
Quando la giovane si trova tra le mani la preziosa cassettina che
Proserpina le ha affidato, non resiste alla tentazione di aprirla.
Ora che le prove sono finite, ella sta per rivedere finalmente lo
sposo, ma teme che lui la trovi troppo sciupata dalle sofferenze e
allora perché non usare per sé appena un soffio di quella magica
pozione? Dallo scrigno esce un Sonno Mortale che la avvolge;
questa volta sarà però Amore stesso, ormai guarito dalla ferita,
a salvarla.
La novella si conclude felicemente con gli onori tributati a Psiche, assunta a dea, e le nozze con Amore; i due vivranno insieme
e dalla loro unione nascerà Voluptas, cioè la Gioia di vivere.
Bellezza e amore come dono di sé
Quale significato ha quest’opera? Oltre ad avere introdotto il
genere narrativo della novella fantastica con elementi magici
possiamo vedere altri aspetti.
I protagonisti sono : Cupido, cioè il desiderio d’amore, l’eros, il
corpo e Psiche, la conoscenza, lo spirito, l’anima.
Amore non vuole essere visto nel suo aspetto esteriore, ma avvicinato da ogni altro senso tranne gli occhi.
Le prove a cui Psiche si è sottoposta per riconquistare lo sposo
perduto, al servizio della dea Venere sono il dono di sé, oltre ogni
fatica, fino al sacrificio. [D26]
Il lieto fine rappresenta una nuova capacità di amare attraverso
il ricongiungimento di corpo e anima. Amore che non è soltanto eros ma anche filia. Filia come conoscenza dell’altro, della sua
interiorità.
Filia è anche fiducia e complicità, nello stesso senso in cui Catullo dice a Lesbia: [D27]
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Il sorriso di Venere: la bellezza attraverso la lettura dei classici di Carla Mugnai
Dicebas quondam solum te nosse Catullum
Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.
Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam
sed pater ut gnatos diligit et generos.
Ti ho amato non solo come amante ma anche come padre verso i figli
Amore come dono di sé e scoperta dell’altro, dove la bellezza ha molte dimensioni e dall’infatuazione si passa al legame affettivo profondo.
È il foedus, il patto di eterna amicizia che Catullo prega gli venga concesso dagli dei: [D28]
Iucundum, mea vita, mihi proponis amorem
hunc nostrum inter nos pepetuumque fore.
Di magni, facite ut vere promittere possit,
atque id sincere dicat et ex animo,
ut liceat nobis tota perducere vita
aeternum hoc sanctae foedus amicitiae
(grandi dei, fate che sia consentito a noi per tutta la vita rispettare questo eterno patto di santa amicizia)
Seguendo i testi abbiamo dunque tracciato un percorso letterario che dalla seduzione e dall’eros ci ha portato al dono di sé e
alla filia. [D29]
Manca ancora una dimensione all’amore come noi oggi lo concepiamo ed è l’agape, la comunione, non in senso sacro, ma come
condivisione di un progetto di vita comune.
Perché questo si realizzi, almeno culturalmente, occorre che il
cristianesimo celebri il mistero di Maria e dia alla donna la pari
dignità, fondando la coppia sul consenso reciproco. [D30]
Questo è il senso dell’annuncio di Gabriele alla giovane, scelta tra
tutte le donne e invitata a rispondere liberamente alla chiamata.
Qualcuno ha detto che in quel momento, dopo le parole dell’angelo, in quel momento eterno di silenzio, Dio tremava d’amore in
attesa della risposta, che viene con semplicità: Eccomi.
Ci dobbiamo fermare qui, anche se il percorso è stato solo tracciato.
Grazie a voi tutti per la straordinaria cortesia e attenzione che
mi avete dimostrato.
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Dell’Estetica
Riferimenti bibliografici
•L’asino d’oro. Metamorphoseon libri, Apuleio.
•Passato prossimo, Cantarella E.
•Liber, Catullo.
•Elena, Euripide, trad. E. Romagnoli.
•Sonetti, Foscolo U.
•L’immaginario epico, Longoni V.
•Il fantasma della sessualità’ in Il femminile e l’uomo greco...,
Loraux N.
•Iliade, Omero, trad. G.Cerri e V. Longoni.
•Antigone, Sofocle, trad. E. Romagnoli.
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Dell’estetica ovvero
del corpo in movimento (*)
di Alessandra De Mori
AVVERTENZA
Lo scritto che segue acquista un senso se viene accompagnato dai filmati inseriti nel cd allegato alla pubblicazione e da quelli fruibili sottoforma di link,
quindi disponendo del collegamento ad internet durante la lettura.
L’avvertenza è d’obbligo poichè la tematica oggetto della mia breve trattazione, se legata alla sola parola, è tarpata della sua componente vitale: il corpo
in movimento.
Per collegarsi al link premere il tasto Ctrl + cliccare con il tasto sinistro del
mouse sull’indirizzo interessato all’apparire della manina.
Il corpo in movimento, attraverso la parola, è complicato da
descrivere e, soprattutto, difficile da comprendere, assai noioso da
seguire. Il corpo in movimento ha bisogno di essere almeno osservato, se non davvero vissuto, per essere compreso. Ecco perché
l’intervento collegato alla disciplina dell’educazione fisica, inserito nel ciclo di incontri “Dell’Estetica”, non ha potuto che muoversi attraverso lo scorrere di filmati che hanno aiutato a raccontare alcuni degli aspetti dell’universo che può esprimere la persona
quando si muove.
La parola precedeva, seguiva o accompagnava l’esperienza visiva: giustificava le scelte di chi andava raccontando del corpo in
movimento attraverso le immagini, aiutava a sottolineare alcuni
elementi particolari.
Alla richiesta di aggiustare il materiale della conferenza per
inserirlo in una pubblicazione ho risposto che non aveva senso
parlare del corpo in movimento, anzi del bello del corpo che si
muove, immobilizzandolo dentro alla parola, schiacciandolo su
(*) Questa relazione è corredata da filmati contenuti nel compact disc allegato al
volume.
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Dell’Estetica
una pagina, niente filmati, niente immagini, niente movimento.
D’altro canto il gruppo di lavoro del Liceo Varchi, nella diversità
degli elementi scelti, delle discipline implicate, dei tagli e degli
stili utilizzati, aveva lavorato sodo, si era divertito, aveva raccolto delle soddisfazioni: mi dispiaceva togliere dal gioco proprio la
disciplina che attraverso il gioco esprime una parte importante
di se stessa anche se certamente non l’unica. Diciamo che il gioco si è trasformato in sfida, sfida nel tentare di narrare del bello
del corpo in movimento: piccola sfida se il lettore terrà conto del
suggerimento dato nell’avvertenza.
Dell’ Estetica ovvero Il corpo in movimento
1° sfida
Quale corpo? Il corpo dell’essere umano inteso come persona
in qualsiasi fase del suo sviluppo.
Perché ho sentito di dover specificare dell’essere umano inteso
come persona ?
Rispondo riportando fedelmente da uno scritto di U.Galimberti
e proseguendo in modo autonomo:
[…] Da centro di irradiazione simbolica nella comunità primitiva, il
corpo, infatti, è diventato in occidente “il negativo di ogni valore” che
il gioco dialettico delle opposizioni è andato accumulando. Dalla “ follia
del corpo” di Platone alla “maledizione della carne” nella religione biblica dalla “lacerazione” cartesiana della sua unità alla sua “anatomia”
ad opera della scienza[…].
Il corpo è stato considerato, ed ancora troppo spesso è considerato, come altro e non come significante, come realtà in stretta osmosi con la parte psichica/intellettiva dell’essere umano,
nel suo percorso di crescita e formazione dalla nascita sino alla
morte. Insomma mi sono trovata nella necessità di stigmatizzare da subito, per comprendere lo sviluppo della mia piccola
riflessione sull’Estetica come Corpo in Movimento, che il corpo
è manifestazione della persona totale, della sua preziosità e della sua
relazionalità.
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Dell’estetica ovvero del corpo in movimento di Alessandra De Mori
2° sfida
Quale movimento? Movimento naturale, movimento artistico,
movimento tecnico.
Per esempio strisciare-rotolare-camminare-correre-saltare-lanciare-afferrare-arrampicare-giocare-teatro-danza-mimo-attività circense-ginnastica artistica/attrezzistica-ritmica-pattinaggio artistico-nuoto sincronizzato-tufffi-yoga-arti marziali-tutti gli altri sport
individuali e di squadra… e si potrebbe continuare.
Idealmente mi sono proposta di abbracciare qualsiasi forma del
movimento umano; concretamente ed ovviamente il campo si è
limitato ad alcune di queste.
3° sfida
Movimento e tempo:
corpo e movimento considerati nel tempo.
Come età della persona -come evoluzione della tecnica -come
sviluppo della tecnologia- come cambiamento della moda- come
adattamento alla “cultura”.
La categoria temporale condiziona in modo inevitabile qualsiasi analisi si voglia affrontare rispetto al corpo in movimento;
si può affermare , nello specifico, che la relazione estetica/corpo
in movimento/tempo, porterebbe allo sviluppo di una trattazione
lunga e articolata: porto solo due brevi esemplificazioni.
Rispetto al terzo punto (sviluppo della tecnologia) per esempio, uno sport come lo sci da discesa ha visto un cambiamento
sbalorditivo nell’utilizzo dei materiali e della tecnologia legata
agli strumenti di questa attività che partendo dall’applicazione
nel campo agonistico di alto profilo, si è estesa rapidamente coinvolgendo anche l’attività amatoriale. Grazie a questo apporto, apparentemente, si è semplificato l’iter per imparare a sciare; rispetto
ad un paio di decenni fa sono molto più numerose le persone
che scendono dalle piste apparentemente danzando, godendosi la
piacevolezza della curva facile ed esprimendo globalmente un
movimento anche bello ma gli incidenti con traumi gravi o gravissimi, sono così aumentati da portare alla formulazione di una
legge (n.363/24dicembre2003) atta a normare la sicurezza sulle
85
Dell’Estetica
piste da sci che impegna gestori ed utenti in modo tassativo e
che, purtroppo, non è bastata ad evitare numerosi incidenti mortali anche nella stagione in corso.
Rispetto all’ultimo punto (adattamento alla cultura) vorrei esemplificare ponendo l’attenzione alla consuetudine del mordi e fuggi
tipica anche del mondo del movimento e mi riferisco a tutta quella
pletora di novità” nel campo di tecniche e metodiche di lavoro che
si susseguono di anno in anno nelle varie palestre, centri fitness e
luoghi addetti alla cura e al culto del corpo perché vi è la necessità
della cosa nuova, diversa, sempre più efficace, sempre più rassicurante in termini di conquista di un corpo à la page.
Dopo aver lanciato la sfida, ho meditato e scelto. Scelto di sviluppare la riflessione attraverso dei quesiti aperti, aperti a chi mi
sta leggendo e riferiti in successione al movimento definito artistico, tecnico, naturale: tra le righe apparirà anche la mia risposta,
ma il mio obiettivo è che ciascuno confezioni la sua risposta.
1° quesito
IL MOVIMENTO ARTISTICO: BELLO QUANDO?
Quando esprime ritmo, espressività, emozione, sentimento,
relazione, sensazionalità e quando “racconta” e suscita
meraviglia, stupore, gioia, ognuno potrà aggiungere, togliere,
modificare qualcosa.
C’È UN PREZZO PER CHI LO PRATICA ?
SE SI’, È SEMPRE BELLO ?
La prima domanda ha una risposta abbastanza semplice da
confezionare, per lo meno nelle linee essenziali: la visione dei
filmati vi aiuterà a strutturare la vostra risposta.
Momix
http://www.youtube.com/watch?v=X8zxhugbZ_g
Plushenko
(Pattinaggio artistico su ghiaccio olimpiadi invernali Torino 2006)
http://www.youtube.com/watch?v=RupZUDcsRIk&NR=1
Fusarpoli Margaglio in Romeo Giulietta
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Dell’estetica ovvero del corpo in movimento di Alessandra De Mori
http://video.libero.it/app/play?id=428a11478d758c066d3f43a517d90b26
Carolina Kostner
http://www.youtube.com/watch?v=nfUTDkfx70g
Acrosport
http://www.youtube.com/watch?v=5jkjSF2VwP4
Ginnastica ritmica olimpiadi di Atene 2004
http://full.it.netlog.com/go/explore/videos/videoid=766760
La risposta alla seconda e soprattutto alla terza domanda invece è davvero difficile.
Vi accompagno nell’analisi di alcuni dei filmati indicati, per
darvi degli spunti di riflessione che possono aiutarvi nella scelta
della vostra risposta.
Il primo filmato è quello dei Momix o meglio di due danzatoriacrobati dello storico gruppo dei Momix
Momix è un gruppo di ballerini-illusionisti capeggiato
dall’americano Moses Pendleton.
Il gruppo, noto nel mondo per le opere di eccezionale bellezza
ed inventiva, fin dalla nascita ha acquisito grande fama per la
sua capacità di evocare un mondo di immagini surreali usando
corpo, costumi, attrezzi, luci e giochi d’ombra.
Il nome della compagnia è quello di un assolo creato da
Pendleton per le Olimpiadi Invernali di Lake Placid nel 1980.
Vi chiedo uno sforzo anzi, un quadruplo sforzo, valido per tutti i filmati ( sarebbe bene visionarli due volte almeno):
1- osservare, non guardare;
2- farsi investire visivamente dai corpi che si muovono nella
loro globalità;
3- osservare alcune zone, alcuni punti di questi corpi: in particolare la colonna vertebrale con speciale riguardo per il
tratto lombare e cervicale, le ginocchia, la morfologia delle masse
muscolari;
4- memorizzare alcune delle cose osservate.
Dalla prima volta che ho preso visione di questo filmato e sempre quando l’ho rivisto, lo sbalordimento ed i brividi sono stati
87
Dell’Estetica
presenti. La musica certo fa la sua parte ma il dialogo dei due
corpi è davvero straordinario.
Al di là delle abilità che manifestano, sono davvero dei corpi
che muovendosi raccontano, che diventano attrezzo, aiuto, supporto per l’altro riuscendo ad investire di tutto questo anche chi
osserva, comunicano un vissuto intenso, a suo modo straordinario, che investe totalmente l’osservatore. Le abilità motorie si
esprimono al massimo livello e l’espressione corporea trova degli alleati d’eccezione nei fattori esecutivi e psicomotori dei due
danzatori
MA
avete colto il carico di lavoro nelle zone critiche del rachide a
livello cervicale e soprattutto lombare, in tutte le occasioni nelle
quali si va cercando o viene richiesta un’estensione massima della colonna vertebrale?
Vi suggerisce qualcosa la morfologia di alcune masse muscolari (es. arti inferiori, zona del dorso, ma non solo) chiaramente
molto sviluppate, tanto da far cogliere un dato morfologico che
forse non è compatibile in forma ottimale con un dato fisiologico?
Il 15 febbraio 2008, all’incontro con i Proff. Bramante e Pristerà, si
è fatto riferimento al concetto di limite – misura – equilibrio come
presupposti della cosa Bella, della cosa Buona, della cosa Vera
nella filosofia antica e nell’arte antica ed il rispetto del limite,
della misura, dell’equilibrio ( lo possiamo chiamare concetto di
omeostasi riferito nello specifico all’organismo umano) rimangono elementi portanti per il rispetto della persona, per la persona
nella sua interezza anche nel ventunesimo secolo! Quante ore di
lavoro, quante continue ripetizioni per arrivare ad essere quasi
perfetti? E quanto carico sulle strutture articolari? Vedi le ginocchia per esempio.
La ricerca di raggiungere escursioni articolari, cioè ampiezze
di movimento, molto oltre il fisiologico, lascerà indenni le strutture articolari o renderà più precoci o più pesanti le conseguenze
dell’invecchiamento fisiologico?
Vi siete mai domandati perché sono così frequenti gli incidenti
ed i traumi negli sportivi di alto livello, ma non solo?
88
Dell’estetica ovvero del corpo in movimento di Alessandra De Mori
Passiamo al filmato su Plushenko.
Evgenij Viktorovič Pljuščenko (Solnečnyj, 3 novembre 1982) è
un pattinatore di figura di nazionalità russa. È stato sei volte campione nazionale, cinque volte campione europeo, tre volte campione del mondo e vincitore della medaglia d’oro alle Olimpiadi
di Torino 2006 nel singolo uomini.
Il filmato che vi propongo merita, a mio avviso, il titolo di poesia dei piedi e dei salti.
La capacità interpretativa ed espressiva di questo atleta è straordinaria: senza voler lasciare andare troppo l’aspetto emotivo a
scapito del dato razionale, vi devo dire che la fanciullezza di P.
è stata piuttosto difficile ed ancora giovanissimo, aveva 11 anni,
è stato lasciato dalla madre a San Pietroburgo, affidato al suo
leggendario allenatore - la famiglia di P. non poteva permettersi
l’accudimento del figlio per ragioni economiche - che lo ha cresciuto e mantenuto, oltre che allenato, ma in un regime di grande
severità.
Forse la capacità interpretativa nasce anche dall’esperienza
non certo facile della prima parte della vita di Plushenko
MA
ridiamo un’occhiata ai punti stilati per il filmato sui Momix ed
aggiungiamo, nello specifico, che la dinamicità, che è una delle
caratteristiche del pattinaggio (tra l’altro Plushenko è un pattinatore particolarmente veloce), pur eliminando fasi e posture davvero statiche, richiede tempi e carichi di lavoro notevolissimi.
Non sono pochi gli atleti, anche in questo caso, che interrompono la carriera o fanno lunghe interruzioni per problemi traumatici, non dovuti alle eventuali cadute sui pattini e Plushenko
è tra questi.
Passiamo al filmato sull’acrosport.
Lo sport acrobatico fa parte a pieno titolo ( anche se soltanto
dal 1999) dell’ampia famiglia della Ginnastica e delle sue competizioni sportive. Quali che siano le caratteristiche tecniche di
ogni disciplina della ginnastica, tutte però sono improntate agli
stessi significati essenziali: la ricerca della spettacolarità,il domi89
Dell’Estetica
nio ed il controllo delle difficoltà, il senso estetico del gesto. Il
corpo proprio ed il corpo dell’altro/gli altri diventano oggetto
nel senso che si trasformano in attrezzi; il dialogo diventa più di
tipo tonico ( muscolare) nel senso di percepire in continuazione
qualsiasi cambiamento o nuova situazione che possa richiedere
un adattamento all’altro.
Gli sport acrobatici (ACRO) derivano da una attività che vanta
origini molto antiche, di grande impegno muscolare e che richiede atti di equilibrio e di statica particolarmente sofisticati. Il suo
nome proviene dal greco arcaico acrobateo, elevarsi sugli arti,
e la sua pratica è testimoniata da documenti risalenti all’antico
Egitto.
Questa attività, considerata di tipo circense, in Italia è poco
praticata mentre è diffusa nell’Europa dell’est e negli USA.
Il filmato non può che lasciare a bocca aperta: la fluidità, la
morbidezza, la ritmicità e la perfetta coordinazione di ogni fase
fanno apparire facile e semplice quanto invece è assolutamente
impegnativo da un punto di vista dell’acrobazia ma anche di capacità ed abilità legate alla forza, alla mobilità articolare, all’equilibrio, alla strutturazione spazio/temporale
MA
pur amando il movimento da sempre e osservando con occhi
stupiti e meravigliati quanto atleti,danzatori e funamboli possono riuscire a realizzare, ho concluso che non c’è normativa 626
( vedi legge sulla sicurezza, oggi D.Lgs 81/2008) che tenga in
queste situazioni non c’è una rete, non un sistema di “sicurezza”;
potrebbe bastare un piccolo errore per incorrere in gravi conseguenze. Certamente questi acrobati sanno cadere, aggiustarsi al
momento opportuno ma che la quasi perfezione (poiché la perfezione assoluta pare non essere prerogativa dell’umano) possa
reggere tra le mani l’incolumità delle persone mi pare essere pensiero perlomeno superficiale.
A questo punto vi dico che la mia personale riflessione nel cercare la risposta ( la mia) alla seconda e soprattutto alla terza domanda, si è trovata a combattere tra la seduzione della meraviglia del
movimento e la crudezza della esasperazione del movimento stesso.
90
Dell’estetica ovvero del corpo in movimento di Alessandra De Mori
Ho trovato la mia bussola tuffandomi nel pensiero antico: nella
teoria della kalokagathia che affermava che le attività fisiche e le
virtù morali sono così connesse ed inscindibili da far coincidere
Bellezza e Virtù.
Siamo nel V secolo a.C. ad Atene, tre maestri ripartiscono
l’educazione il citaredo,il grammatico e l’insegnante di ginnastica o pedotriba e, come scrive J. Ulmann autore dello straordinario testo “Dalla ginnastica agli sport moderni” del 1965 […]
“È indispensabile ricordare che per il pensiero ellenico la Virtù e la
Bellezza vengono attribuiti ad un essere che assolve perfettamente la
propria funzione e la mediazione per questo è il Coraggio: la Bellezza
è il corpo dell’atleta, immobile in un atteggiamento o in movimento e
sia che abbia dato lui stesso una forma al proprio corpo, o che sia uscito
vincitore da una competizione o che abbia accresciuto l’efficienza dei
suoi movimenti, è un essere dotato di coraggio, è coraggioso nella lotta
che sostiene con gli altri ma anche contro se stesso”[…].
Infatti se il negativo di quanto si può cogliere nel prezzo da
pagare lo vediamo come coraggio nel mettere la propria persona,
il proprio organismo anche a repentaglio pur di offrire agli altri,
oltre che a se stessi, la possibilità di godere di un’esperienza bella, straordinaria, unica, significativa, ecco che il negativo assume
quasi il simbolo di un sacrificio, nel senso di sacrum facere, rendere sacro. Il prezzo può essere anche molto alto, ma la Bellezza,
straordinaria e, forse, sacra ne nobilita il costo.
2° quesito
MOVIMENTO TECNICO: BELLO QUANDO?
Quando esprime coordinazione, armonia, potenza, forza, velocità, resistenza, efficacia, risultato, performance, strategia,
collaborazione…
C’È UN “PREZZO” PER CHI LO PRATICA?
SE IL PREZZO FOSSE “L’IMBROGLIO”, “IL DANNO A SE’
STESSI”, È SEMPRE BELLO ?
Passiamo a considerare il movimento più fortemente tecnico
per così dire. In questo caso , nelle mie domande, sono andata
giù un po’ più bruscamente perché il collegamento immediato
è stato al doping, al calcio scommesse, alle problematiche più o
91
Dell’Estetica
meno limpide relative alla crescita sportiva dei giovani più promettenti, alla problematica dello sport spettacolo, agli aspetti ed
ai risvolti di tipo economico e finanziario legati al grande circo
dello sport mediatico.
La risposta poi all’ultima domanda si fa ancor più delicata di
quella rivolta al movimento artistico.
Anche in questo caso la visione di alcuni filmati aiuterà a meditare e a trovare la propria risposta.
Pallacanestro
Micael Jordan filmato su cd allegato
Harlem street ball filmato su cd allegato
Atletica leggera
Europei di Goteborg 2006
http://www.youtube.com/watch?v=5Gni7s0eqa4
Salto in alto (Sotomayor) filmato su cd allegato
Salto triplo
http://www.youtube.com/watch?v=_in5a610k3M
Salto in lungo (Powell) filmato su cd allegato
Pallavolo Olimpiadi Pechino
http://www.youtube.com/watch?v=nAX30lqdmVE&featur
e=PlayList&p=0CC6CAC3A23E1845&playnext=1&playnext_
from=PL&index=36
Calcio
Ronaldinho
http://www.riminibeach.it/immagini/video/video-ronaldinho
The best soccer moments filmato su cd allegato
Il primo filmato nel quale vi accompagno potrebbe avere come
sottotitolo “La persona umana è atta a volare”.
Siamo nel parquet della pallacanestro e il corpo in movimento
è quello di M.Jordan.
Michael Jeffrey Jordan (Brooklyn, 17 febbraio 1963) è annoverato tuttora fra gli sportivi più popolari al mondo in virtù dei
titoli conquistati, dei primati personali conseguiti e, soprattutto,
92
Dell’estetica ovvero del corpo in movimento di Alessandra De Mori
per l’impatto rivoluzionario del suo stile di gioco sullo sviluppo
della pallacanestro moderna, è quasi unanimemente considerato
il più credibile aspirante al titolo di migliore giocatore di tutti i
tempi.
Timido, poco brillante a scuola, pratica diverse attività sportive:
nel basket il ragazzo se la cava, ma, paradossalmente, quello che
diventerà il più ammirato giocatore di tutti i tempi, viene escluso
dalla squadra di basket della sua scuola, la Laney High School,
quando era un sophomore (studente del secondo anno), dato che
alle selezioni l’allenatore non lo ritiene abbastanza dotato.
Invece di perdersi d’animo, Jordan si allena per un anno intero
per conto proprio, pronto a ripresentarsi alle selezioni dell’anno
seguente. Nel frattempo, all’età di 14 anni, per la prima volta
riesce a schiacciare nel corso di una partita di street basket in un
playground, era alto solamente 172 cm.
Il suo corpo in movimento è ancor più magico se pensiamo che
per un altezza di 198 cm. ed un peso di 98 kg. muoversi con leggerezza, velocità, ritmo e fluidità è davvero un’impresa.
Questa riflessione mi permette di formulare un’ipotesi, certamente tutta da dimostrare:
non sarà che il nostro Jordan ha realizzato una meraviglia motoria grazie anche al fatto di essersi sperimentato in una molteplicità di sport come football americano, baseball, nuoto?
Dimostrando che la attuale metodica di precocizzare assolutamente l’impatto anche tecnico con una specialità sportiva ( nel
nuoto, nella ginnastica, nello stesso calcio e non solo) non è la
strada da percorrere per formare i talenti del futuro; semmai è
un percorso contro la persona e che, più che dare abilità trasferibili, trasforma i piccoli sportivi in futuri poco abili motori oltre che
magari poco belli motori?
Il secondo filmato si riferisce agli europei di atletica leggera di
Goteborg (2006) in cui atleti come Baldini Stefano, maratona, oro
alle olimpiadi di Atene, Andrei Howe, salto in lungo, Rigaudo
Elisa con la 20 km di marcia ed altri, vengono colti non solo
nell’istante preciso della loro prova ma anche con qualcosa di
più, istanti di concentrazione, momenti di esultanza, visi, facce,
loro e del pubblico che meritano davvero l’espressione di epifa93
Dell’Estetica
nia del volto forgiata da Emmanuel Lévinas (Kaunas 1905 - Parigi
1995 filosofo lituano naturalizzato francese di origini ebraiche):
almeno così io ho interpretato quanto visto. In verità ho scelto,
tra i molti possibili, questo filmato per farmi aiutare dall’ottimismo della volontà. Infatti trovare una risposta alla terza domanda forse è anche semplice, ma trovare il coraggio di credere o di
continuare a credere nello sport conoscendo i non pochi neri risvolti di questo mondo, necessita davvero di molta volontà ed
ottimismo. Anche per questo ritorno brevemente sul concetto di
epifania del volto di Lévinas che ha inteso dare tre contenuti a
questa affermazione; il volto indica:
[…] il tu dell’altro che vuole essere riconosciuto nella sua singolarità,
con il suo proprio nome e il suo essere unico […]
[…] la nudità del volto simboleggia che egli, la persona, è un io aperto
al dialogo, un appello vivente, un invito all’incontro […] l’incontro
con l’altro non è mai un incontro neutrale, è sempre un accadimento
etico […]
[…] il fondamento ultimo di questa eticità risiede nel fatto che il volto
dell’altro è il simbolo e, in un certo senso, la presenza dell’Assolutamente-Altro nel mondo […]
E nel filmato, che volti belli abbiamo visto, che espressioni, che Altro
al di là della prestazione e del risultato: forse abbiamo potuto
cogliere quel coraggio che per Platone ed i suoi contemporanei
mediava Bellezza e Virtù portando l’essere umano ad esprimersi al
massimo livello nell’agone sportivo, al massimo senza imbroglio.
3° quesito
MOVIMENTO NATURALE: BELLO QUANDO ?
Quando esprime coordinazione, armonia, efficacia…
L’arrampicare è una delle capacità motorie dell’essere umano;
è considerato uno dei movimenti naturali. Nel filmato che segue
più che capacità di arrampicare vediamo abilità ed altro ( http://
www.youtube.com/watch?v=ZZ8yL4uSl6Y), ormai l’occhio si è
fatto esperto, il commento è libero perché il fatto è stupefacente in
tutti i sensi!
94
Dell’estetica ovvero del corpo in movimento di Alessandra De Mori
I primi quattro minuti circa del filmato sono una vera e propria
danza sulla roccia, con la roccia, “nella” roccia: una danza leggera,
rapida, bella, forse troppo per essere così bella, a lungo, nel tempo.
Il protagonista del video è Dan Osman (11 febbraio 1963 Yosemite National Park, 23 novembre 1998) alpinista arrampicatore e praticante di sport estremi statunitense. Conosciuto per
il pericoloso sport di “free soloing” (arrampicata senza corde o
altro sistema di sicurezza) e controlled free-falling (salto nel vuoto con l’uso di una normale corda semi elastica da arrampicata come sistema di sicurezza) con il quale ha stabilito il record
di 305 metri, è morto il 23 novembre del 1998 all’età di 35 anni,
dopo che la sua corda si è spezzata mentre tentava di battere il
record (di free-falling stabilito da lui stesso pochi giorni prima)
dalla Leaning Tower, formazione rocciosa alta 700 metri situata
nel parco nazionale dello Yosemite. Le cause esatte della rottura
della corda sono tuttora sconosciute.
E IL MOVIMENTO DELLA PERSONA DIVERSA, DISABILE,
DIVERSAMENTE ABILE, HANDICAPPATA?
Prendiamo visione dei filmati
http://www.youtube.com/watch?v=1so1ZMgpg2w
http://www.youtube.com/watch?v=7UQ82PWrwxE
http://www.youtube.com/watch?v=r2CllUdbQGs&feature=related
Il protagonista del primo filmato lo avete riconosciuto tutti, è
Oscar Pistorius (Pretoria, 22 novembre 1986) atleta sudafricano,
campione paraolimpico nel 2004 sui 200 m piani. Soprannominato
The fastest thing on no legs, Pistorius è un amputato bilaterale detentore del record del mondo sui 100, 200 e 400 m piani.
Corre grazie a particolari protesi in fibra di carbonio. Pistorius
è nato con una grave malformazione (non aveva i talloni), che
lo costringe, all’età di undici mesi, all’amputazione delle gambe. Negli anni del liceo pratica il rugby e la pallanuoto, poi un
infortunio lo porta all’atletica leggera, dapprima per motivi di
riabilitazione, poi per scelta.
Il primo appuntamento ufficiale di rilievo sono le paraolimpiadi di Atene del 2004. Al Gran Gala di Roma, il 13 luglio 2007, gli è
95
Dell’Estetica
stata data la possibilità di gareggiare nel gruppo B con i normodotati ed ha ottenuto il secondo piazzamento.
Dopo una lunga battaglia gli è stato consentito di partecipare
alle Olimpiadi di Pechino con la clausola di realizzare un tempo
minimo di ammissione. Il tempo non è stato realizzato: è sufficiente osservare la tabella che riporta i tempi di Pistorius confrontati con i record di Powel e Johnson per capire che le diatribe
sulle protesi di Oscar Pistorius (la federazione internazionale di
atletica sosteneva che le protesi utilizzate da Pistorius aumentavano le sue possibilità di un 30% rispetto alla corsa di un normodotato) non hanno mai avuto troppo senso.
mt.
Pistorius
200
21” 58
100
400
10” 91
Asafa Powell
9” 77
46” 56
M. Johnson
19” 32
43” 18
Se Oscar Pistorius è un personaggio, i protagonisti del secondo
e del terzo filmato sono degli emeriti sconosciuti per tutti noi
MA
sono le persone che davvero mi aiutano di più a mantenere fede
ad uno degli obiettivi che il gruppo di lavoro si era proposto
nel realizzare le chiacchierate sulla tematica “Dell’Estetica”: il
tentativo di far cogliere ai nostri ragazzi, quindi agli studenti
del Liceo Varchi, che Il Bello/La Bellezza, ancor più, Il Bello e La
Bellezza Veri sono ciò che si percepisce, si vive, si vede, si gusta,
si annusa, si tocca, si sente come BELLO ma ad una condizione:
la condizione è che si senta dentro, che ci allarghi il cuore in
un sorriso che trasmetta il coraggio di comprendere che non
è BELLO ciò che è bello come apparenza, ma che lo è quando
è coraggio per sostenere al meglio fatica, dolore, svantaggio,
fragilità, ingiustizia, perseveranza, determinazione, ricerca, gioia
di vivere… sempre e solo nel rispetto di sé e degli altri.
96
Dell’estetica ovvero del corpo in movimento di Alessandra De Mori
Riferimenti bibliografici
•Umberto Galimberti, Il Corpo, Feltrinelli, Milano, 1996.
•Jaques Ulmann, Ginnastica, Educazione Fisica e Sport dall’antichità ad oggi, Armando Editore, Roma, 1973.
•Jean Le Boulch, Sport Educativo, Armando Editore, Roma,
1991.
•Michael Argyle, Il Corpo e il suo linguaggio, Zanichelli, Bologna,
1992.
97
Dialogo sul
bello in matematica(*)
di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
Due insegnanti di matematica dialogano e discutono sui materiali da presentare alla conferenza “Dialogo sul bello in matematica” che dovranno tenere la settimana successiva. Sono in una
stanza dell’istituto presso il quale lavorano.
Propongono argomenti sui quali convengono o dibattono,
mettendo in evidenza luci ed ombre del lavoro dei matematici,
ma, in ogni caso, traspare tutta il loro amore per la disciplina
e il loro coinvolgimento nel Bello Matematico che mostrano di
apprezzare.
La prima insegnante, Teresa, rappresenta una insegnante più
razionale, ironica verso il proprio lavoro, anche perché è la più
anziana delle due. La seconda insegnante, Paola, è ironica, competente; è più entusiasta e rappresenta l’interfaccia fra il matematico e il pubblico, preoccupata di coinvolgerlo nelle proprie
emozioni.
La scena prevede un tavolo con libri sparsi ovunque e con due
lampade; Teresa e Paola sono sedute l’una di fronte all’altra, da
parti opposte al tavolo, volgono le spalle al pubblico e osservano uno schermo, dove vengono proiettate le immagini della loro
presentazione.
Il palcoscenico è al buio: inizia la rappresentazione.
Teresa accende la propria lampada, Paola l’altra.
Inizia la proiezione delle diapositive riguardanti le sette meraviglie del
mondo antico e del mondo moderno, come emblemi del bello e del sublime nel corso dei secoli, e loro stanno in silenzio, fin quando non appare
il triangolo rettangolo…
(*) Questa relazione è corredata da immagini contenute nel compact disc allegato al
volume.
99
Dell’Estetica
Teresa:
Ecco, Paola, tra le tante meraviglie concepite dall’uomo, potremmo iniziare la nostra conferenza della prossima settimana
proprio da questo antico capolavoro della matematica.
È conosciuto da tutti, cento volte dimostrato, eppure… riesce
sempre a stupirmi!
Paola:
Vedo comunque che almeno questa volta hai dato ascolto ai
miei consigli scegliendo il Teorema di Pitagora!
Teresa:
Sì, è proprio così!
Ma lasciami ripercorrere ancora una volta, solo per noi due, la
dimostrazione che lo stesso Euclide ne ha dato nei suoi Elementi.
È così semplice, bella, eterna, che tutti potranno valutare come
possa avere la dignità di essere inserita fra i capolavori degni di
essere tutelati sul pianeta!
(Teresa prosegue con la dimostrazione del teorema di Pitagora secondo
Euclide…)
Teresa:
… non ti sembra sorprendente? Gli angoli retti sono entità familiari… Compaiono nella vita di ogni giorno e non solo come
manufatti dell’uomo… cosa ci può essere più naturale di un angolo retto?… Nessuno potrebbe pensare cosa possa avere a che
fare una cosa familiare e naturale come un angolo retto con una
equazione astratta e precisa quale a2 + b2 = c2… eppure questo
teorema mette insieme questi due aspetti…
Paola:
… In effetti è geniale come Euclide porti l’ascoltatore verso la
dimostrazione della verità del teorema di Pitagora attraverso
due dimostrazioni simmetriche, analoghe, come usano dire i matematici… e poi quella precisione nei singoli passaggi, la strutturazione del pensiero che accoglie nozioni già provate, più
antiche, che indicano la profondità di un percorso di ricerca… e
100
Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
poi l’ equilibrio con cui viene condotto l’ascoltatore alla nuova
verità. Niente è ridondante, superfluo: il percorso appare elegante e profondo!
Teresa:
Cosa ti dicevo? Un’opera d’arte vera e propria, degna di essere
esposta insieme a tutte quelle che rendono unico il nostro pianeta e soprattutto l’opera che l’uomo vi ha costruito.
Paola:
Ma… forse non saremo convincenti sulla particolarità dell’opera di Euclide… non è forse cosa nota a tutti, che già gli egizi conoscevano le proprietà delle terne di numeri che poi furono chiamate pitagoriche… che sono state ritrovate tavolette in Cina che
testimoniano una conoscenza del teorema di Pitagora addirittura
1000 anni prima della nascita di Pitagora stesso e di cui avevano
dato addirittura una dimostrazione grafica molto interessante…
e anche in India era già noto ancor prima… perché allora, si chiederanno, ci raccontano proprio la dimostrazione di Euclide?…
cos’ha in più?
Teresa:
E da chi iniziare, altrimenti? Euclide sta fra i grandi della matematica essenzialmente per aver scritto gli Elementi, che non
sono altro che una enorme raccolta di tutto il sapere matematico
del tempo: pochi dei teoremi presenti in questa opera sono dovuti personalmente a Euclide… Ma il genio di Euclide consiste
nel presentare la matematica già nota, in modo del tutto chiaro,
organizzato e logico: a lui si deve lo sviluppo assiomatico della
matematica… ed è questa la differenza cruciale con tutti i matematici che lo avevano preceduto.
Quello che vogliamo comunicare è che Euclide ha preso le singole opere d’arte, arte matematica, che le menti dell’uomo avevano costruito ed ha saputo collocarle in una corrente di pensiero, come… un fiume che sgorga da una sorgente e via, via… si
allarga… ed ogni suo passaggio è giustificato dal precedente… e
tutto acquista un senso e una visione di globalità!
101
Dell’Estetica
Paola:
... È vero… e in più, una dimostrazione del collegamento fra
il problema aritmetico e il corrispondente problema geometrico,
cioè il collegamento fra le terne pitagoriche e il triangolo rettangolo, che possiamo definire l’inverso del teorema di Pitagora, si
trova soltanto in Euclide.
Teresa:
Vedi che saremo convincenti?… Stai tranquilla…
Paola:
Quindi, mostreremo il Teorema di Pitagora come una singola
opera d’arte inserita all’interno della sua corrente! Come per un
quadro, come per una corrente artistica!
Questa immagine può essere comprensibile anche da un pubblico
di non insegnanti o studenti… ma diventerà tutto più complesso
quando cercheremo di spiegare come Euclide ha costruito la sua
teoria… di illustrare il suo metodo, innovativo per quei tempi
Teresa:
Infatti… vediamo come possiamo fare… Euclide parte con una
serie di asserzioni di base (gli assiomi e le definizioni) che sono i
fondamenti per dimostrare la prima proposizione.
Fatto ciò, sulla base dei fondamenti e di questa prima proposizione, può dimostrare la seconda e così via…
Gli Elementi hanno rappresentato un modello per tutto il lavoro matematico successivo…
È impossibile non partire da questo dato per far apprezzare la
potenza e la bellezza dell’opera di Euclide nella matematica!
Paola:
… (euforica) l’opera di Euclide è rimasta così intatta nella sua
importanza, nella sua eterna verità!
… (dubbiosa) ma… allora… come giustificheremo la presenza
delle geometrie non Euclidee? Anche Euclide è stato superato…
ed esistono mondi dove le sue stupende dimostrazioni non
valgono più!…
102
Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
Teresa:
Certo. Ma come le correnti artistiche si modificano nel corso
dei secoli, così la geometria Euclidea ha subito differenti sviluppi
nel corso del 19°secolo, dando vita alle geometrie non euclidee.
Però, come il “Giudizio” della cappella Sistina rimane comunque
una opera d’arte, anche al di fuori della corrente artistica che l’ha
generata, così la dimostrazione del teorema di Pitagora fatta da
Euclide, rimane un’opera d’arte nel campo della matematica…
una singola opera bella ed eterna!
Paola:
… giusto… e poi quello che di eterno rimane di Euclide è il metodo: ancora oggi nelle branche più disparate della matematica,
per primi vengono presentati gli assiomi e poi vengono costruite
le teorie… ancora dopo 23 secoli dalla sua morte!… le opere matematiche belle ed eterne!
Questo è davvero un concetto intrigante!… Pensi che saremo
convincenti nell’esporre questo concetto?
Teresa:
Ci proviamo!… E se non riusciamo a convincere noi, potremmo
sempre citare quella frase di Hardy che ci aveva tanto coinvolto…
Paola: (legge)
Si… quando afferma:
come dimostra ampiamente la storia, l’opera matematica, quale che sia
il suo valore intrinseco, è la più duratura di tutte. … Le civiltà dei babilonesi e degli Assiri sono morte, Hammurabi, Sargon e Nabucodonosor
non sono che dei nomi, ma la matematica babilonese ci interessa ancora
e la numerazione sessagesimale è ancora usata in astronomia
Teresa:
Poi, l’esempio decisivo su come le opere d’arte della matematica
siano perenni è quello dei greci. Ancora oggi li consideriamo
matematici “veri” perché, come abbiamo visto con l’opera di
Euclide, sono stati i primi a usare un linguaggio che ancora i
matematici moderni capiscono… dopo tanti secoli!
103
Dell’Estetica
Paola:
Certo, senti come continua Hardy:
la matematica greca è “perenne”, ancora più della letteratura greca.
Archimede sarà ricordato quando Eschilo sarà dimenticato, perché le
lingue muoiono ma le idee matematiche no…
Teresa:
Già… le idee. Forse ci sbagliamo… Certo un’opera d’arte è…
più tangibile!
Come possiamo fare a stravolgere il pensare comune… a convincere che un matematico è un artista e non solo uno scienziato,
che non è solo… uno scopritore di proprietà…
Paola:
Diremo allora che il matematico, come il pittore e il poeta, è un
creatore di forme… Il pittore crea forme con i segni e con i colori, il
poeta con le parole… il matematico, invece, non ha altro materiale
con cui lavorare se non le idee… quindi il matematico è un creatore
di forme fatte di idee ed è per questo che le forme che crea sono più
durature delle forme create dal pittore o dal poeta … perché le sue
sono fatte di idee e hanno qualche probabilità di durare più a lungo…
perché le idee si usurano meno delle parole e delle immagini.
Teresa:
Bene. A questo punto dovremmo essere riuscite a convincere
che anche un matematico è un creatore di forme fatte di idee…
Allora… saremo anche in grado di convincere che un’opera
matematica è… bella! Citando ancora Hardy: Le forme create dal
pittore o dal poeta, per essere perenni devono essere belle: la bellezza è
il requisito fondamentale perché un’opera superi il passare del tempo.
Quindi anche per le forme create dal matematico deve valere lo stesso
requisito: al mondo non ci può essere un posto perenne per la matematica
brutta… E noi abbiamo iniziato presentando un’opera che vive da
23 secoli… (con enfasi) Non può essere allora che meravigliosa…
Paola:
Ecco, sento che dovremo percorrere questa strada… È senza
104
Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
dubbio difficile definire la bellezza matematica. Ma dopotutto
questo è altrettanto vero per qualsiasi genere di bellezza.
Possiamo anche non sapere che cosa intendiamo per “bella
poesia”, ma questo non ci impedisce di riconoscerne una quando
la leggiamo… le idee, come i colori o le parole, per essere belle,
devono legarsi armoniosamente… guarda… (si volgono verso lo
schermo a leggere la diapositiva)
Not all the water in the rough rude sea
Can wash the balm from an anointed King
(Nemmeno tutta l’acqua del mare rude e violenta
Può cancellare il crisma di un re consacrato.)
(Shakespeare Riccardo III, atto III, scena II)
Non ti sembrano belli questi versi?
Teresa:
Belli questi versi,… davvero,… nonostante la banalità e la falsità
delle idee che esprimono!… La povertà di idee difficilmente
guasta la bellezza delle forme verbali…
Paola:
Il matematico, invece, non ha altro materiale con cui lavorare
se non le idee… quindi, se il matematico vuole creare un opera
duratura, può produrre solo belle idee… Ma come far capire cosa
intendiamo per “bella matematica” ?
Possiamo avvertire una bella melodia, o una bella poesia o provare ammirazione per un quadro o per una costruzione pur senza sapere perché… ma come suscitare lo stesso sentimento per la
matematica… sarà la nostra scommessa far vedere tutto quello
che di bello c’è nella matematica! Naturalmente, aspettiamoci
anche delle opposizioni…
Teresa:
Anche perché per la maggior parte delle persone la matematica
è una austera disciplina intellettuale, comprensibile solo a
pochi eccentrici professori universitari. Poche persone mettono
in discussione la verità della matematica, ma la bellezza… è
105
Dell’Estetica
l’ultimo degli aggettivi che attribuirebbero a questa materia!
Paola:
Secondo me dovremmo trovare una immagine concreta per far
comprendere come i matematici intendano il concetto di bellezza.Potremmo trovare un parallelo tra matematica e architettura.
Costruire una teoria matematica è come costruire una cattedrale: diversi artigiani lavorano contemporaneamente a parti differenti della costruzione, ciascuna parte permeata da una costante
ricerca di equilibrio tra estetica e funzionalità, ma la cattedrale trae
forza dall’impatto visivo del suo insieme. La matematica è un
edificio astratto, la cui elegante struttura esprime un progetto
d’insieme di bellezza, in cui la raffinatezza del dettaglio può essere colta se ci addentriamo nella sua intricata argomentazione e
la cui solidità è rafforzata dalle sue molteplici applicazioni pratiche. Come afferma Hardy, la bellezza di un teorema dipende
anche dalla significatività delle idee matematiche che esso mette
in relazione: un’idea matematica è significativa se la si può collegare in modo naturale e illuminante a una vasta rete di altre
idee matematiche… perciò un teorema matematico bello è un teorema che porterà molto probabilmente grandi progressi in matematica… in una costruzione infinita di idee… la cattedrale…
Teresa:
È vero.… Non solo: sia nella matematica che nell’architettura le qualità
la cui somma crea bellezza sono l’eleganza, la simmetria, l’equilibrio, la
precisione, la profondità. Credo che questo sia proprio il concetto che
dovremmo sviluppare… (dubbiosa) Tuttavia penso che il fascino estetico
della matematica alla fine non lo avvertiranno tutti… la matematica
è per pochi, mentre la musica, la poesia, la pittura raggiungono una
più vasta platea… Quante persone, anche colte, che apprezzano la
Letteratura, la Musica le Arti Figurative, che hanno maturato il gusto
del bello nelle varie forme della creatività umana, considerano la
Matematica come una disciplina misteriosa, riconoscendole la giusta
importanza per lo sviluppo della scienza, ma non l’apprezzano certo
per la sua bellezza , anzi… la considerano sgradevole.
Spesso il loro ricordo scolastico confina con l’incubo: la maggior
106
Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
parte della gente è così spaventata al solo nome della matematica
che è portata esagerare la propria stupidità matematica…
E certo anche i matematici… come diciamo, i nostri “artisti”, non
aiutano molto a far apprezzare al grande pubblico il bello delle
loro costruzioni.
Paola:
Eh sì… nell’immaginario collettivo il matematico è quello
“strano”… Anche nei film visti dal grande pubblico… In Beautiful
mind, ad esempio, abbiamo un matematico (beh, non proprio
tale) geniale ma molto strano!
E che dire delle donne poi? Hermann Weyl usava questa brutta
battuta a proposito delle donne matematiche: “solo due donne
matematiche nella storia, Sof’ja Kpovalevskaja ed Emmy Noether: ma la
prima… non era una matematica e la seconda… non era una donna”.
Teresa:
E questo è un punto dolente! Quella battuta poi è molto cattiva
e in fondo non veritiera… Pensa alle ragazze che studiano
matematica… molto incoraggiante!
Sulle donne e la matematica, sulle loro difficoltà, dovremmo
organizzare un’altra conferenza… è un piccolo mondo, ma un
mondo di donne coraggiose tutto da scoprire.
Paola:
Ma torniamo alla stranezza attribuita al matematico, alla sua
immagine di appartenere a un mondo a sé. Del resto anche Jean
Dieudonné, descrivendo i matematici del secolo scorso, non offre
immagini molto accattivanti per il grande pubblico…
Teresa:.
Sarà perché, come per tanti scienziati, la vita dei matematici è
dominata da una curiosità insaziabile, un desiderio di risolvere i
problemi studiati che confina con la passione, che arriva a far sì
che il matematico si astragga quasi completamente dalla realtà
circostante.
La storia della matematica è piena di bizzarrie di matematici
celebri… Ricordi l’avventura che Platone attribuisce a Talete, che
107
Dell’Estetica
cadde in una buca… Anche la sua serva rise di lui: “Tu cerchi di
sapere tutto quello che è in cielo… e intanto… non vedi quello che c’è
sulla terra…”
Come se ci dicessero che i matematici sono incapaci di capire
qualcosa del presente… quante le battute che essi stessi inventano sul loro mondo… (legge, divertendosi… mentre entrambe guardano insieme il foglio con una rassegna di epigrafi di matematici…)
A queste coordinate giace Cartesio
Eulero costante
Pascal giace qui, probabilmente
(Pascal giace qui, potete scommetterci)
Riemann riposa sotto la superficie
In questo spazio giace David Hilbert
Qui ha scelto di stare Godel, incompleto
… Divertenti…, non è vero, eh?
Paola:(gesto di disappunto… e disperazione)
Già… battute che solo loro possono capire… Uhm… forse è
meglio sfumare sulla figura dell’uomo, dell’artista… meglio
quindi parlare di come lavora! Tante volte abbiamo citato
l’attività della dimostrazione che varrà la pena soffermarsi un po’!
Teresa:
Ma anche qui non sarà facile trasmettere al pubblico quanto è
apprezzata dai matematici questa attività. E anche quanto senso
di soddisfazione estetica ne traggano… e forse, anche questa è
un’arte che sta scomparendo, o forse sta solo mutando, come
mutano le matematiche!
Paola:
Certo che è difficile parlarne! Del resto, se un tuo studente
ti chiedesse di dargli una definizione di dimostrazione, cosa
risponderesti istintivamente?
Teresa:
Forse direi: “NON LO SAI? Ma che anno fai? Incredibile!… Una
108
Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
dimostrazione è quello che mi hai visto fare alla lavagna almeno tre
volte la settimana per tutti questi anni!”
… ecco, credo che istintivamente risponderei così… E poi mi
pentirei.
Paola:
Già, perchè lui ti ha chiesto una definizione…
Teresa:
Infatti. Ti ho detto che mi sono già pentita… Allora gli direi
che l’intera faccenda è stata chiarita dai logici. Quello che si deve
fare è questo: trascrivere gli assiomi della teoria in un linguaggio
formale con una data lista di simboli o alfabeto. Poi, nello stesso simbolismo, scrivere l’ipotesi del teorema. Poi mostrare che è
possibile trasformare l’ipotesi passo dopo passo, usando le regole della logica, sino ad ottenere la tesi. Questa è una dimostrazione. Gli direi ancora che una dimostrazione buona deve essere
quindi formalizzabile, ma anche convincente e… ispezionabile!
Paola:
“Davvero???”- credo ti risponderebbe… - “Che strano! Non ho
visto fare mai, durante l’ora di matematica, una cosa del genere!!”
Teresa:
Oh!! Naturalmente nessuno fa davvero così! Ci vorrebbe una
vita! È sufficiente sapere che… si potrebbe fare!
Paola:
Quindi… i matematici non fanno mai delle dimostrazioni
vere…? Vogliamo affermare questa tesi?
Teresa:
Certo che le fanno! Se un teorema non è dimostrato non è … niente!
Paola:
(con tono eccitato e ironico) Allora, cosa vogliamo dire che sia una
dimostrazione? Bisogna sapere tutto sui linguaggi formali e la
logica formale prima di fare una dimostrazione matematica?
109
Dell’Estetica
Teresa:
Naturalmente no! Anzi, forse… meno ne sappiamo e meglio è!
Paola:
(con tono risoluto)Ma allora che cosa è una dimostrazione?
Teresa:
Semplicemente, essa è un ragionamento che convince chi
conosce l’argomento!
Paola:
Ma allora la definizione di dimostrazione è soggettiva! Dipende
da particolari persone e prima di decidere cosa è una dimostrazione
devo decidere chi sono gli esperti. Quindi siamo NOI che decidiamo
che cos’è una dimostrazione e se uno non impara a decidere nello
stesso modo NOI decidiamo che non ha attitudine!
Teresa:
No. Non è così… Anche se questo strumento che i matematici
utilizzano dall’antichità per costruire le loro opere non è alla fin
fine così chiaro da spiegare al pubblico…
Con le tue battute mi hai quasi stretto all’angolo!…. Dimostrazione…. che mostra a partire da, oppure dal greco “apodeixis” [ápodeixis], atto di mostrare, di indicare con l’indice.
Paola:
…certo, è una parola che evocava il portare alla luce qualcosa
che era nascosto… anche le parole teoria e teorema derivano da
termini che si riferiscono all’atto del vedere… dal greco oraw
[órao], osservare …
Teresa:
Già … quasi a sottolineare il fatto che la verità matematica
si viene a conoscere mediante una sorta di “terzo occhio” che
permette di accedere al mondo dei numeri e delle figure…
sembrerebbe una specie di esperienza mistica…
E in effetti, molti matematici percepiscono la loro attività come
110
Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
qualcosa di inconscio e che, talvolta quando uno meno se lo
aspetta, affiora al conscio… l’intuizione matematica!
Paola:
Ed è a questo punto che la dimostrazione permette di confermare o
confutare l’intuizione… E la ricerca della dimostrazione dell’intuizione
può talvolta durare secoli… Che dire infatti dell’ormai celebre “ultimo
teorema di Fermat”, formulato da Pierre de Fermat nel 1637 :
“L’equazione an+bn=cn con a, b, c interi e diversi da zero, non ha
soluzione per n maggiore di 2”
Egli affermò di averlo dimostrato, ma scrisse solamente, ai
margini di una copia dell’Arithmetica di Diofanto “Dispongo di
una meravigliosa dimostrazione di questo teorema, che non può essere
contenuta nel margine troppo stretto della pagina”.
Teresa:
E così iniziò una delle sfide più lunghe e intense della storia
della matematica. Molti matematici si susseguirono nella ricerca
della dimostrazione di un teorema il cui enunciato così semplice
dava da ritenere che anche dimostrarlo non sarebbe stato così
difficile e invece…Solo nel 1994, oltre 350 anni dopo la sua
formulazione, Andrew Wiles riuscì in tale impresa…
Paola:
Già… come non può affascinare quest’arte dell’intelletto…
quale e quanta passione, al pari di tanti pittori, poeti, letterati,
architetti, ardeva in questi matematici…
Wiles rimase affascinato dal teorema di Fermat quando ne
venne a conoscenza per caso in una biblioteca della sua città.
Aveva poco più di 10 anni… risolvere quel problema divenne il
suo sogno e a questo sogno ha dedicato la sua vita.
Teresa:
Sì, è affascinante. Parlare del Teorema di Fermat richiederebbe
un’altra conferenza e non basterebbe, viste le connessioni e gli
sviluppi che ha portato nel corso di questi 350 anni… sarebbe
necessario troppo tempo…, non divaghiamo… torniamo a noi…
La dimostrazione è stata considerata nella matematica classica
111
Dell’Estetica
un cammino razionale nel senso più letterale del termine fin dai
tempi di Aristotele, il quale ne individuò le leggi e le espose nella
sua opera Organon. E sono quelle della logica.
Paola:
Però non possiamo dare l’idea che tutto, da Aristotele in poi,
è restato immobile….che non c’è stato più nulla di nuovo… La
matematica è eterna, ma non statica…
Teresa:
Forse sarà sufficiente osservare che, come tutte le arti hanno
sviluppato nel corso dei secoli tecniche sempre nuove per
manifestare l’ingegno e il genio creativo dei propri artisti, anche
la matematica ha sviluppato tecniche più recenti e nuove…
Ad esempio a cavallo tra il 1800 e il 1900 il matematico italiano
Peano formalizzò una tecnica dimostrativa innovativa: la tecnica
di dimostrazione per induzione, mai utilizzata prima… E altre
tecniche sono sorte, tant’è che il concetto di dimostrazione, che
nei secoli precedenti sembrava unico, nell’ultimo secolo sembra
aver perso la sua assolutezza…
Paola:
Potremmo citare ciò che William Thurston, medaglia Fields
1982, il premio Nobel della matematica, disse:
“…che la matematica si riduca alle dimostrazioni formali è un’idea
senza solide basi… In pratica i matematici dimostrano i teoremi in un
contesto sociale… Il loro è un corpo di conoscenze e di tecniche soggetto
a condizionamenti sociali”
Dimostrare non sembra più avere il significato di arrivare
attraverso passaggi indiscutibili ed eseguibili direttamente
dall’uomo ad affermare una verità. In questi ultimi tempi i passaggi
intermedi che costituiscono una dimostrazione non sempre sono
evidenti, anzi, a volte sono occulti, e sempre meno sono direttamente
compiuti dall’uomo, ma sono invece ottenuti tramite elaborazioni
al computer… tant’è che la stessa comunità dei matematici appare
divisa sul ruolo che deve avere una dimostrazione…
112
Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
Teresa:
… basta pensare alla crisi suscitata dal teorema dei quattro colori!
Paola:
Il teorema dei quattro colori afferma che, data una superficie
piana divisa in regioni connesse, come ad esempio una carta geografica
politica, sono sufficienti quattro colori per colorare ogni regione facendo
in modo che regioni adiacenti non abbiano lo stesso colore. Due regioni
sono dette adiacenti se hanno almeno un segmento di confine in comune,
non solo uno o più punti isolati.
La definitiva dimostrazione del teorema per quattro soli
colori fu fornita nel 1977 da Appel e Haken, due matematici
dell’Università dell’Illinois, però solo grazie a un complesso
algoritmo informatico e questo sollevò molte perplessità.
Teresa:
Già … il problema dell’accettazione di questa dimostrazione divise il mondo dei matematici. E non solo. Quando alcuni alla fine
del secolo scorso hanno provato a fare il punto della situazione
hanno incontrato metodi diversi per affrontare le ultime sofisticate
ricerche in campo matematico: parlano di dimostrazioni di tipo
probabilistico, di video-dimostrazioni… boh…
Chissà cosa accadrà in questo secolo!
Paola:
Forse l’arte della dimostrazione matematica consisterà nel
trovare una cornice, una scena in cui tutto quello che uno cerca
di dimostrare diventi quasi ovvio!
La creatività matematica si sta già manifestando nel trovare
questi contesti… Qualche volta si trovano nel ricco mondo degli
oggetti materiali, qualche volta uno se li inventa… ancora un
mondo fatto di idee! E questo mondo di idee e di costruzione di
idee è così avvincente!
Teresa:
Hai ragione ad esserne tanto coinvolta!… E comunque,
nonostante queste luci ed ombre, l’operare del pensiero nel
condurre i suoi ragionamenti deduttivi è così complesso, ricco,
113
Dell’Estetica
affascinante che credo valga la pena richiamarlo al pubblico…
magari citando qualche grande dei secoli passati.
Paola:
Credo che basti questo brano tratto da Cartesio, che mette in
luce come la difficoltà nell’applicare le tecniche della deduzione
sia comune a molti, anche a personaggi del calibro di Cartesio
stesso e non solo a noi poveri e comuni mortali “Talvolta la
deduzione si dà con una così lunga serie di conseguenze che, quando
siamo arrivati alla fine, non ci ricordiamo più facilmente del cammino
che abbiamo percorso fino là; per questo diciamo che dobbiamo soccorrere
la debolezza della memoria con un movimento continuo del pensiero…
[…] Allora [se non posso ricordarmele tutte] io le percorro più volte con
un movimento continuo dell’immaginazione che, nello stesso tempo deve
avere l’intuizione di ciascuna cosa e passare alle altre, finché non imparo
a passare dalla prima all’ultima così rapidamente da non lasciare alcun
ruolo alla memoria, e avere, sembra, l’intuizione tutto in una volta”.
Teresa:
Bello!… Vale la pena leggere queste parole… Ma non facciamoci
prendere la mano dalle nostre passioni… Occorrerà analizzare
altri , non possiamo certo fermarci al teorema di Pitagora!
Paola:
Eh si… ce ne sono così tanti… Ricordi che nel 1988 la rivista The
Mathematical Intelligencer ne ha fatto addirittura una classifica?
Guarda: i 5 teoremi più belli …
Posizione
1
Teorema
eiπ+1=0 Formula di Eulero
2
V+F=E+2 (formula caratteristica di Eulero per i poliedri)
4
Esistono 5 poliedri regolari
3
5
I numeri primi sono infiniti (Euclide)
1+1/22+1/32+1/42+…=π/6 (Eulero)
114
Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
Teresa:
Pensa,… ben tre di questi capolavori sono dovuti a Eulero… un
artista molto fecondo… e pensa che tutti coinvolgono idee già in
possesso di ogni studente delle superiori! Anche la Formula di
Eulero, la prima classificata!
Paola:
Fu Feynman , un fisico americano premio Nobel nel 1965, uno
dei primi ad eleggere la formula di Eulero la formula più bella
di tutti i tempi, quando solo all’età di 13 anni la inserì con tale
appellativo nel suo quaderno di liceale… e tutt’ora la maggior
parte dei matematici la considerano tale .
Agli occhi di persone, diciamo, “ non addette ai lavori”, può
sembrare una cosa insignificante, priva di qualsiasi fascino…
E’ bene allora presentare quelli che sono i protagonisti di questa
storia: i numeri e e π, legati tramite il numero immaginario i ai
numeri più elementari dell’aritmetica,1 e 0 in una relazione che
più semplice non si poteva, tramite gli operatori fondamentali
della aritmetica:uguaglianza, addizione, moltiplicazione e
potenza (legge la formula):
eiπ+1=0
Ecco il primo protagonista, π,… presentato addirittura da
Dante…
“Qual è’l geometra che tutto s’affigge
Per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder volea come si convenne
l’’imago al cerchio come vi s’indova.”
(Dante, Paradiso XXXIII,133-138)
… 3,14, è nozione comune di ogni studente, è quel numero che
serve ad esempio a calcolare l’area di un cerchio. Nei libri scolastici
troviamo che π è definito come il rapporto fra una qualsiasi
circonferenza C e il suo diametro d… una formalizzazione
tutto sommato recente, una conquista del 18° secolo. La storia
di questo numero, in realtà, ha origine con la storia dell’uomo.
115
Dell’Estetica
Infatti sul Papiro Rhind lo scriba Ahmes scrisse:
Togli 1/9 a un diametro e costruisci un quadrato sulla parte che ne
rimane; questo quadrato ha la stessa area del cerchio.”
Teresa:
Il problema della quadratura del cerchio!….
Paola:
… problema che appassionò gli antichi greci e che ha
attraversato i secoli, fino al 1800…: Archimede di Siracusa (287212 a.C. ca.), adottando i risultati noti fino ad allora, fu il primo
a giungere con successo a una approssimazione del rapporto tra
circonferenza e diametro . Egli concluse che:
“La circonferenza di ogni cerchio è tripla del diametro, più una parte
minore di un settimo del diametro e maggiore di dieci settantunesimi “
… che ricondotto al linguaggio moderno, fornisce, per il
rapporto tra circonferenza e diametro, un valore approssimato
pari a 3,14…
Teresa:
Certo che la storia di pi greco attraversa davvero tutta la storia
della matematica, ed è senza confini… dalla Cina, all’India,
all’Europa.
Paola:
E poi,
quanti matematici importanti hanno cercato di
comprendere la natura di questo numero, fornendo formule che lo
legassero a numeri “normali”: Viète, John Wallis, James Gregory…
E finalmente Eulero, che dal 1736, utilizzò regolarmente il simbolo
π per indicare il numero “misterioso”, con il sospetto che fosse un
numero molto… molto “strano”! Egli scrisse infatti:
“È probabile che il numero π non sia neppure contenuto nelle irrazionalità algebriche, ossia che non possa essere una radice di un’equazione
algebrica con un numero finito di termini, i cui coefficienti siano razionali. Pare però molto difficile dimostrarlo in modo rigoroso.”
116
Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
In sostanza Eulero afferma che non c’è nessuna, dico… nessuna
equazione espressa da un polinomio a coefficienti interi di cui π
sia soluzione!
Teresa:
Già… un numero “trascendente”. Come scoprì Lindemann
nel 1882. E questa scoperta equivaleva ad abbandonare
definitivamente il sogno nato sulle sponde del Nilo: quello di
trovare un quadrato con la stessa area del cerchio utilizzando
solo una riga e un compasso! Il problema della quadratura del
cerchio è impossibile… E poi la corsa per calcolare le sue infinite
cifre decimali… Fine ‘800… se ne conoscono 707!
Alla fine del 2002… le cifre calcolate sono oltre 1 2 4 1
MILIARDI! E la gara continua… ormai è una prova di forza fra π
e i calcolatori! (Legge:)
“… Esplorare π è come esplorare’Universo…” (David
Chudnovsky)
“Il numero pi greco, correttamente interpretato, contiene l’intera
storia dell’umanità.” (Martin Gardner)
Paola:
E che dire del secondo protagonista della formula?… il numero
e:
L’incendio suo seguiva ogni scintilla
Ed erano tante, che’l numer loro
Più che’l doppiar delli scacchi s’inmilla
Dante,Paradiso, X XVIII 91 – 93
Dante fa riferimento a una famosa leggenda in cui si narra
la storia dell’inventore degli scacchi, che chiese in regalo al
suo sovrano, entusiasta del gioco, un chicco di riso sulla prima
casella della sua scacchiera 8 per 8, il doppio sulla seconda, cioè
2, il doppio ancora sulla terza, cioè 4, e sempre raddoppiando,
8, 16, 32, 64 e così via sulle caselle successive, fino all’ultima, la
sessantaquattresima. In matematica scriviamo: 21, 22, 23, ..., 2n cioè
117
Dell’Estetica
una potenza dove l’esponente aumenta via via, anche di poco, ma
determinando un notevole aumento del valore di tutta la potenza.
Il risultato della somma di queste potenze è un numero
impressionante, 3 chicchi e mezzo per ogni centimetro quadrato
della superficie terrestre…
Anche nel linguaggio corrente, spesso sentiamo parlare di crescita
esponenziale, per indicare una crescita molto veloce legata a
fenomeni socio-economici o alla crescita di una popolazione, alla
diffusione di un’epidemia.
Il numero e , quindi, anche se non è molto noto come π,
meriterebbe maggior considerazione. Anch’esso affonda le sue
origini in problemi molto antichi,dai primi che si sono chiesti
quale potesse essere il miglior investimento di un capitale: su
una tavoletta babilonese del 1700 a.C è stato trovato un problema
che nel linguaggio moderno sarebbe così…
Quanto tempo ci vorrà perché una certa somma di denaro raddoppi, se
ogni anno aumenta del 20%?
… è un tipico esempio di calcolo di interesse su un capitale… Il
secondo protagonista della formula di Eulero ha origine qui, ma
viene definitivamente alla luce solo all’inizio del diciassettesimo
secolo, un periodo di grandi sviluppi finanziari, con un’attenzione
particolare quindi per il problema dell’interesse composto. Infatti
e deriva dalla formula del capitale M che si ottiene al termine di
un anno, facendo maturare un capitale iniziale C ad un tasso di
interesse I secondo la formula dell’interesse composto
M = C(1 + i/n)n
con C uguale a 1, i uguale a 1 e con n, che è il numero di volte in
cui viene calcolato e capitalizzato l’interesse nell’arco dell’anno,
tendente all’infinito. Cioè e è il risultato di (1 + 1/n)n per n molto
molto molto grande…
2,718281828459045235360287… = e.
Hermite provò che anche e è un numero trascendente… e,come
per π, molti matematici competono per calcolare le sue cifre
decimali…
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Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
Teresa:
Lo so!… attualmente il record 51 539 600 000 cifre decimali !!…
Scusa se ti interrompo, ma questa formula è troppo ricca ed i suoi
protagonisti si contendono la nostra attenzione…
Come pensi di introdurre l’unità immaginaria? Dire che
si tratta di un numero che moltiplicato per se stesso da
come risultato -1… Quando si è visto qualcosa del genere?
Facciamo magie?…si cambiano le regole del gioco?… non sarà
sufficiente…
Paola:
È vero, far comprendere come la mente umana possa avere
concepito quantità non reali, ma che, eppure grazie alla loro
esistenza permettono di ottenere soluzioni reali di problemi reali
non è facile… però ho trovato qualcosa in cui si avverte lo stesso
senso di smarrimento che si prova quando cerchiamo di figurarci
tali numeri…
Sempre caro mi fu quest’ermo colle
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il
guardo esclude.
dell’ultimo orizzonte il guardo
esclude. Ma sedendo e mirando,
interminati spazi di là da quella,
e sovrumani silenzi, e profondissima
quïete io nel pensier mi fingo,
ove per poco il cor non si spaura.
E come il vento odo stormir tra queste piante,
io quello infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei.
Così tra questa immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare
Teresa:
… Non credi che questo accostamento sia azzardato? Sento già
che ci accuseranno di voler spiegare tutto, solo con la matematica.
Ci diranno che vogliamo scalare la montagna della scienza e
119
Dell’Estetica
dell’arte con uno zaino pieno solo di matematica… Mah!… Non
staremo osando troppo?…
Paola:
A me piace… l’accostamento mi è venuto in mente leggendo
questo brano tratto dal libro di Peter Hoeg “Il senso di Smilla per
la neve”… ascolta…
“Alla base della matematica ci sono i numeri. Se qualcuno mi chiedesse cosa mi rende veramente felice io risponderei: i numeri. La neve, il
ghiaccio e i numeri. E sai perché? Perché? Perché il sistema numerico
è come la vita umana: per cominciare ci sono i numeri naturali. Sono
quelli interi e positivi. I numeri del bambino.
Ma la coscienza umana si espande. Il bambino scopre il desiderio e sai
qual è l’espressione matematica del desiderio? Sono i numeri negativi.
Quelli con cui si dà forma all’impressione che manchi qualcosa.
Ma la coscienza si espande ancora e cresce e il bambino copre gli spazi
intermedi. Fra le pietre, fra le parti di muschio tra le pietre, fra le persone. E fra i numeri.
Sai questo a cosa porta? Alle frazioni. I numeri interi più le frazioni
danno i numeri razionali.
Ma la coscienza non si ferma lì. Vuole superare la ragione. Aggiunge
un’operazione assurda come la radice quadrata. E ottiene i numeri irrazionali. È una sorta di follia, perché i numeri irrazionali sono infiniti.
Non possono essere scritti. Spingono la coscienza nell’infinito.
E addizionando i numeri irrazionali ai numeri razionali si ottengono i
numeri reali…
Non finisce. Non finisce mai. Perché ora, su due piedi, espandiamo i
numeri reali con quelli immaginari, radici quadrate dei numeri negativi. Sono i numeri che non possiamo figurarci, numeri che la coscienza
normale non può comprendere. E quando aggiungiamo i numeri immaginari ai numeri reali, abbiamo i numeri complessi .
È come un grande paesaggio aperto. Gli orizzonti. Ci si avvicina ad
essi e loro continuano ad allontanarsi”.
… poi continuerei con una piccola storia di i: solo per inquadrarlo
storicamente….
Teresa:
Basta… basta… Io direi solo che fu Bombelli, un matematico
del 1500, che li creò chiamandoli “quantità silvestri” e che il
120
Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
nome di numeri immaginari, poi, lo si deve a Cartesio e che forse
tanto immaginari questi numeri non lo sono se un ingegnere
elettrotecnico americano, Steinmetz, alla fine dell’Ottocento
sviluppò la teoria delle correnti alternate basandosi sui numeri
complessi…Meno male che i prossimi numeri della formula non
hanno bisogno di presentazione
Quando si parte il giuoco della zara,
Colui che perde si riman dolente,
Repetendo le volte, e tristo impara;
Con l’altro se ne va tutta la gente;
Qual va dinnanzi, e qual di dietro il prende,
E qual da lato li si reca a mente (Dante, Purgatorio, V I , 1-12)
Tu credi che a me tuo pensier mei
Da quel ch’è primo, così come raia
Dall’un, se si conosce, il cinque e ‘l sei ( Dante ,Paradiso XV, 55-57 )
Paola:
Qui Dante fa riferimento al gioco della zara, un gioco fatto con
tre dadi che venivano disposti su un banco: vinceva chi, prima
che i dadi fossero lanciati, indovinava la combinazione vincente,
proclamandola ad alta voce. Il termine zara si riferiva alla
combinazione sfavorevole, cioè a quella che aveva meno probabilità
di uscire… L’aleatorietà dei fenomeni, degli eventi: 0 e 1 non sono
solo numeri importanti in aritmetica, ma esprimono i valori estremi
della probabilità di un evento: 0 se l’evento è impossibile, non si può
verificare, 1 se l’evento è certo, si verifica in ogni caso.
Teresa:
… e con 0 e 1 termina la rassegna dei protagonisti della formula
di Eulero… E adesso, spero, sarà più chiaro perché è stata definita
la formula più bella di tutti i tempi…
Paola:
È vero… dietro ci sono idee che spaziano attraverso le epoche
e i luoghi che hanno fatto la storia della matematica: tutte le
volte che mi soffermo sulla formula mi chiedo com’è possibile
che queste entità fondamentali e apparentemente lontane tra
121
Dell’Estetica
loro possano intrecciarsi così semplicemente, elegantemente e
armoniosamente.
Teresa:
Sì, presentiamo solo idee semplici… e… belle, semplici e…
ricche… ed io concluderei presentando un altro capolavoro di
Euclide… Che ne dici se provassimo con il Teorema fondamentale
dell’aritmetica?
Paola:
Certo, mi sembra proprio adatto: anche Hardy lo
approverebbe… ricordi?
Ha detto che un opera matematica è bella se è significativa, se
può collegarsi ad altre idee matematiche, portando così grandi
progressi in matematica… e quante idee sono legate da questo
teorema… fondamentale e quindi… elementare: per capire la sua
grandezza servono solo nozioni alla portata di uno studente di
12 anni, serve solo ricordarsi dei numeri primi… 2, 3, 5, cioè, tutti
quei numeri maggiori di 1 che hanno come divisori solo uno e
loro stessi, e infine il concetto di divisore.
Teresa:
Allora… inoltriamoci… nell’infinito! Questa parola, infinito,
che, nell’enunciato del teorema, Euclide pare non osare neanche
pronunciare! Lui dice infatti:
“Esistono sempre numeri primi in numero maggiore di quanti numeri
primi si voglia proporre”
… E poi… via con l’opera d’arte di cui Hardy ebbe a dire:
“Questa dimostrazione conserva la freschezza e l’importanza di quando
è stata scoperta: duemila anni non le hanno lasciato una ruga!”
Paola:
… Ne sono sempre più convinta: è un’opera indispensabile per
cogliere l’arte dello stile euclideo, in cui egli mette a punto via
via tutto ciò che gli serve per giungere alla conclusione finale,
122
Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
che viene condotta utilizzando una tecnica dimostrativa molto
sopraffine: la Reductio ad Absurdum: la dimostrazione per
assurdo. Come dice Hardy:
La reductio ad absurdum, tanto amata da Euclide, è una delle più belle
armi di un matematico. È un gambetto molto più raffinato di qualsiasi
gambetto degli scacchi: un giocatore di scacchi può offrire in sacrificio
un pedone o anche qualche altro pezzo, ma il matematico offre la partita. Teresa:
Giusto! E con quale eleganza Euclide se ne serve e ci conduce
per mano a quella verità in pochissime mosse
Prima ci dimostra che se due numeri sono divisibili per uno
stesso numero, lo è anche la loro differenza, per esempio, se 18 è
divisibile per 3, e 12 è divisibile per 3, lo è anche la loro differenza
18-12, cioè anche 6 è divisibile per 3! Facile, no?
Con una seconda mossa ci convince poi che ogni numero
naturale, 1, 2, 3, 4, 5,6,… o è primo o è possibile scriverlo come
prodotto di numeri primi…, i quali saranno, quindi, tutti divisori
del nostro numero…I numeri primi… ce li fa immaginare…
come se fossero… atomi!
Ci fa vedere i numeri primi come i componenti fondamentali di
tutti gli altri numeri!
E come terza mossa Euclide ci dimostra che quel prodotto in
numeri primi è unico… i numeri primi sono, alla fine, non solo i
componenti, ma addirittura il codice genetico di ciascun numero
naturale…! 15, ad esempio, lo posso scrivere solo come prodotto
dei numeri primi 3 e 5, e basta… non ho un’altra possibilità!
Ma a questo punto con tre battute messe a segno Euclide ha
preparato i suoi lettori ad apprezzare il suo capolavoro, cioè può
dimostrare che i numeri primi sono infiniti…
Perché… se… non lo fossero… Prendiamoli tutti, i nostri numeri
primi, : A,B,C, D,… M e scriviamo un nuovo numero, dove li
abbiamo moltiplicati tutti insieme, ed abbiamo aggiunto una
unità
N = A · B · C · · · ·M+1
Bene, se N è primo, ne ho trovato un altro e posso continuare
allo stesso modo, con un altro e un altro ancora… quanto
123
Dell’Estetica
voglio… all’infinito… Se N non è primo, però, Euclide ci ha
insegnato già che ci sarà, fra tutti i nostri numeri primi, almeno
un numero primo, chiamalo G, che lo divide! Quindi, G è
contemporaneamente un divisore del numero che è il prodotto
di tutti i nostri numeri primi
A · B · C · · ·G · · ·M
Ma è anche un divisore di N!
Ne segue che G dovrà essere anche un divisore della differenza
dei nostri due numeri
(A · B · C · · · ·M+1) - A · B · C · · · ·M
Che è 1 !!!!! Ma… può G, primo, essere divisore di 1 essendone
maggiore?
(si guardano con evidente e crescente stupore e poi eclamano insieme…)
Teresa e Paola:
ASSURDO!!!!
Teresa:
No, evidentemente, quindi G è il nuovo primo… e via : la
dimostrazione che l’insieme dei numeri primi è infinito… è fatta!!
Paola:
Ecco: e tutto avviene con eleganza, equilibrio, precisione,
profondità… qualità fondamentali per …la nostra cattedrale!
Quali altre opere potremmo presentare per convincere della
bellezza della matematica?
Una bellezza davvero senza tempo!!!
Teresa: (guardando l’orologio…)
Già… il tempo… ma è tardissimo!… E noi siamo ancora qui
a preparare il materiale: la prossima settimana abbiamo la
conferenza… Andiamocene… o ci chiuderanno dentro la scuola.
124
Dialogo sul bello in matematica di Paola Pieralli e Paola Stoppielli
Paola:
… Eppure…conosco ancora una meravigliosa dimostrazione…
(rimettendo anche lei i fogli, ma guardandone uno con più attenzione)…
Teresa:
Non c’è tempo… non c’è tempo
Paola:
… (tenta di trattenersi)… Potrei scrivertela… entrerebbe in una
diapositiva…
Teresa:
(con voce ferma) e lo spazio (ridacchiando) non è sufficiente!!!
Paola:
(guarda anche lei l’orologio...)… è tardi… lo spazio è davvero
troppo piccolo…non c’è tempo!
(Si spengono le luci)
Riferimenti bibliografici
•William Dunham, Viaggio attraverso il genio
•Godfrey H. Hardy, Apologia di un matematico
•Che cos’è una dimostrazione?, Quaderni ELEUSI-PRISTEM
•Michael Francio Atiyah, Senza bellezza non c’è verità scientifica
•Corriere della sera ,14 marzo 2007
•Euclide, Elementi
•Gabriele Lolli, Il riso di Talete, La crisalide e la farfalla
•Cartesio, Discorso sul metodo
•Peter Hoeg, Il senso di Smilla per la neve
•M. Machover, The Mathematical Intelligencer
•Jean Dieudonné , L’arte dei numeri
•Piergiorgio Odifreddi, Idee per diventare Matematico
125
L’estetica tra
forma e sostanza
di Carlo Nocentini
A me non piace fare conferenze. Penso alla cultura non come
ad un processo di trasmissione, ma come ad un processo di crescita insieme, in cui si confrontano e si verificano punti di vista e
riflessioni.Per cui, fondamentalmente, le mie sono solo riflessioni
ad alta voce.
Il nostro oggetto è la natura del bello. Il concetto di arte, l’oggetto dell’estetica.
La prima cosa che mi è venuta in mente è che, in linea
generale,mi sembra, per noi è molto più facile applicare categorie estetiche alla poesia, alla pittura, alla scultura che non al
romanzo.E la differenza tra queste cose risiede nel fatto che, nel
romanzo, c’è una storia. Ci sono categorie di spazio, di tempo,
di causalità, di prima e dopo. E, per quanto ci riguarda, quando
parliamo di bello, noi tendiamo a prescindere da queste categorie. Il bello è al di fuori della storia.
La seconda cosa che mi è venuta in mente è che il bello è comunque una rappresentazione che ricade sotto i sensi, ma in
questo suo ricadere sotto i sensi, nel processo che porta alla sua
creazione, nel sentito che origina la sua realizzazione, mi sembra
si possa dire che ci siano due tipi di modalità.
Arte con - una unità tra il sentito e il rappresentato, in cui anche
la materia, lo strumento dell’arte è in qualche modo inestricabilmente connesso a questa unità, come avviene nella pittura, e
ancor di più nella musica, - e arte su. In qualche maniera, se non
altro per un certo lungo periodo, queste differenze di modo nel
collegarsi con il bello, sembrano anche state legate al materiale
che veniva usato per rappresentarlo.Come se il materiale, con
la sua matericità e con le sue limitazioni, imponesse percorsi diversi.
127
Dell’Estetica
Se mi si passa una dicotomizzazione estrema, sto pensando alla
differenza che esiste, già nell’antica Grecia, tra le statue e le pitture sui vasi. Spesso stilizzate, queste ultime, evocatrici, partecipi
degli elementi magici delle pitture rupestri neolitiche. Molto più
solide e particolareggiate le statue, come se l’intervento dell’artista, in questo caso, fosse necessariamente quello di infondere alla
pietra, che risponde a sue proprie leggi in modo molto più greve
della pittura e del colore, o della musica, un modello , in qualche
misura razionale e razionalizzato, armonico secondo rigorosi codici di gestione del materiale, con cui opera.
Perché il bello ha carattere di universalità. E, in qualche modo,
l’universalità noi la troviamo solo in due aree dell’uomo. Nella
profondità dell’istinto ancestrale, o nell’astrazione matematica.
Le culture sono tra loro differenti, gli istinti profondi no.
Il bello ha a che fare con il nulla, ci ha ricordato la prof. Bramante, citando Adorno. Dentro, insieme al bello, in fondo ad esso è
sempre in agguato un meccanismo di dissoluzione. Di unità primigenia nella quale vi è perdita dell’Io. E l’arte è il tentativo di
rendere fruibile il nulla. Perché il bello è desiderio, e il desiderio
come una delle sue polarità ha appunto la dissoluzione con il desiderato. Nell’agito dell’orgia sacrificale dionisiaca si inserisce la
narrazione, non storicizzata, che si muove in un eterno presente,
e abbiamo la tragedia, che è esorcismo, unità di estetica ed etica,
ma nella quale lo spazio del logos, della storia e del tempo è estremamente ridotto.
Momento diadico, dove Dioniso (l’agito) e Apollo ( il racconto)
coagiscono, ma non interagiscono.
È come se il coro, unica realtà, producesse fuori di sé la visione e parlasse di essa e su di essa con tutto il simbolismo della danza, del suono
e della parola (Nietsche,).
È una sorta di incantesimo; lo spettatore diventava Satiro e guardava
fuori di sé quella visione che era il compimento apollineo del proprio
stato dionisiaco.
Attraverso l’azione dell’attore, l’uomo cominciava il lungo percorso
della sua individuazione.
È Socrate, secondo Nietsche, che uccide la tragedia, quando ad
essa applica il logos.
128
L’estetica tra forma e sostanza di Carlo Nocentini
Solo apparentemente diverso è il discorso nelle arti plastiche,
soprattutto la scultura. Il terzo polo, il logos, la legge del padre è
rappresentato dalla pietra. La pietra e il metallo sono, in maniera
decisamente superiore a tutte le altre forme espressive, insensibili
al desiderio. La loro trasformazione in opera d’arte non è più il
risultato, più o meno immediato, del desiderio, ma richiedono, intrinsecamente, una tecnica, un logos per poter essere trasformati.
I greci conoscono il pericolo della bellezza? Suppongo di sì,
perché la esorcizzano. Le assegnano una funzione etica. Operano
un processo di sublimazione ante litteram.
La tragedia pone di fronte agli uomini gli impulsi passionali
e irrazionali (matricidio, incesto, cannibalismo, suicidio, infanticidio…) che si trovano, più o meno inconsciamente, nell’animo
umano, permettendo agli individui di sfogarli innocuamente, in
una sorta di esorcizzazione di massa.
Nietzsche affermerà l’esistenza, nella cultura greca, di un contrasto, enorme per l’origine e i fini, fra l’arte plastica, cioè l’apollinea, e
l’arte non plastica della musica, cioè la dionisiaca.
Questi due istinti così diversi camminano uno accanto all’altro, per lo
più in aperto dissidio, stimolandosi reciprocamente a sempre nuove e
più gagliarde reazioni per perpetuare in sé incessantemente la lotta di
quel contrasto, su cui la comune parola di “arte” getta un ponte che è
solo apparente: finché in ultimo, riuniti insieme da un miracolo metafisico prodotto dalla “volontà” ellenica, essi appaiono finalmente in
coppia e generano in quest’accoppiamento l’opera d’arte della tragedia
attica, che è tanto dionisiaca quanto apollinea.
In psicoanalisi si sono succedute diverse interpretazioni del
bello e dell’arte.
Freud ritiene che l’arte rappresenti il ritorno del rimosso e usi il
linguaggio dei sogni; Jung pensa che l’arte sia espressione degli universali archetipici sepolti nell’inconscio collettivo dei quali l’inconscio individuale è partecipe. Melanie Klein, invece, considera l’arte
come espressione della fantasia del mondo interno, uno spazio della mente in cui si muovono personaggi interiorizzati. Quelli cattivi
attaccano gli oggetti buoni facendo emergere il senso di colpa e in
fine la riparazione. L’arte diviene così un mezzo di riparazione.
129
Dell’Estetica
Infine il modello della mente di Bion, arte come elaborazione
del processo di pensiero che si libera dalle richieste del potere
(Superio) e pensa per se stessa. Così nascono i volumi della Recherche di Proust
Per i post-kleiniani, fondamentalmente, l’arte trova il suo fondamento nella fase pre-edipica, all’interno dell’universo conflittuale – ma simbiotico- del rapporto madre-bambino, prima che il
padre intervenga a costituire il triangolo, a spostare il codice del
mondo da duale a ternario, in una parola a consentire l’ingresso
del logos in quello che era solo l’universo del desiderio.
Il mistero dell’opera d’arte coincide col mistero che è l’oggetto
materno per il bambino.
E la differenza tra arte apollinea ed arte dionisiaca corre, in
qualche modo per tutti questi secoli, con differenza di accentazioni.
Arte come espressione di un sentito, voce di un mondo interno
che si esprime attraverso la trasmissione primaria di sensazioni,
cui piega la materia, arte come espressione ed arte come modello
universale, come rappresentazione, come trasferimento di universali dal pensiero umano alla materia.
Non vedo, dalla Grecia a non molti anni fa, una scultura monumentale che si esprima come evocazione di sentiti, non rappresentativi. Compare in questi ultimi decenni. Mi viene in mente
Henry Moore, ma ce ne saranno, ovviamente molti altri.Nella
scultura decorativa invece forme altamente simboliche, o che
agitano evocazioni profonde, compaiono dal gotico in poi. Fino
ad arrivare a Gaudì, e alla Sacrada Familia, in cui, alla rigorosità
dei calcoli che determinano la struttura portante, si sovrappone
un impianto decorativo esclusivamente simbolico.
Allora, da tutte queste notazioni sparse vorrei far emergere un
concetto.
L’arte, originariamente, appartiene a due mondi tra di loro
completamente diversi. L’apollineo e il dionisiaco. Diversi modelli, diversi percorsi, un momento unificante che è la tragedia. Il
modello dionisiaco viene lentamente spinto ai margini, per tutta
la classicità, e si affaccia sporadicamente. Sto pensando relativamente al suo ri-emergere, ad alcuni polittici di Jeronimus Bosh, o
appunto, ad elementi decorativi nelle chiese. O anche a El Greco,
130
L’estetica tra forma e sostanza di Carlo Nocentini
che per certi versi mi desta assonanze con l’Urlo di Munch.
È un processo, quello apollineo, nel quale la trasmissione del
sentito passa attraverso una rigorosa disciplina di tipo logico
formale - si chiami prospettiva, sezione aurea o disegno - che
canalizza in qualche modo l’espressione. È a partire dagli ultimi
decenni dell’800 che il dionisiaco ri-esplode. Se noi prendiamo
un pittore che penso tutti conosciamo, Van Gogh, è solo nel suo
ultimo periodo, Arles, Saint Remy, Auverse sur Oise, gli anni
dall’88 al 90, che i suoi quadri trasmettono sensazioni attraverso
il colore, svincolandosi in maniera quasi completa dal disegno.
È fondamentalmente dall’inizio del Novecento, con l’esplosione del surrealismo, e con le varie diramazioni che da esso si
spandono che riprende corpo l’arte come espressione, senza la
mediazione della ragione.
È Breton che, nel Manifesto dei surrealisti, definisce il movimento come automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale
funzionamento del pensiero. Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale.
Tutte le correnti contemporanee, se si fa eccezione per il cosiddetto realismo socialista, ormai scomparso, si rifanno a questo
tipo di impostazione.
Arte come ritorno al dionisiaco, come espressione dei contenuti inconsci, al di fuori di qualsiasi processo regolatore rappresentato da ragione, etica, morale, codici. Arte come immediatezza
del sentire. Si ripropone una dimensione che è pre-tragica.La
percezione si sposta da percezione del mondo a percezione del
mondo interno. Cassirer, nel 1968, scriveva:
Soltanto ciò che si dimostra essenziale per l’insieme del nostro vivere e
del nostro agire viene scelto e osservato.
Qualunque cosa appaia importante per il nostro desiderare e il nostro volere,
per le nostre esperienze e angosce, per agire e per fare, quello e soltanto quello
riceve il timbro del significato verbale. Possiamo ritrovare la matrice unitaria
dei processi di costruzione della realtà, in quanto l’itinerario maturativo di
ordine cognitivo non viene disgiunto dall’itinerario psicoaffettivo.
L’essenziale per il vivere e l’agire sembra essersi trasformato.
131
Dell’Estetica
Dalla natura, alla religione, alle originarie pulsioni affettive pretragiche. Già Fornari notava:
“Il linguaggio artistico trasforma la presenza in rappresentazione attraverso un processo singolarissimo collocabile in una zona intermedia
tra immaginario e reale, a metà strada tra il principio del piacere e il
principio della realtà in quanto l’esame di realtà (che permetterebbe di
collocare l’esperienza nell’uno o nell’altro dei due principi) non è negato (come avviene ad esempio nell’allucinazione) ma semplicemente
lasciato sospeso” (Fornari, 1970).
Ma, mi pare, si possa aggiungere che in questa zona tra immaginario e reale il pendolo si sposta, o verso l’una o l’altra parte.
Si potrebbe, penso, notare anche un’altra relazione. Nelle società
centrate sui diritti il pendolo è più spostato verso l’immaginario,
nelle società in cui l’individualità ha una rilevanza più marginale
rispetto al collettivo sociale, appare prevalente l’esame di realtà. C’è una notazione di Freud, che mi pare interessante.Nella
verbalizzazione del sogno la parola privatizza il linguaggio pubblico, nella poesia pubblicizza il linguaggio privato. Ogni sogno
racchiude in sé tutto l’universo del sognatore e l’interpretazione
analitica può solo esaurire una faccia del poliedro, lasciando la
possibilità ad altre molteplici interpretazioni. Osserva Fornari:
“Se le emozioni incontrollate portano l’uomo alla sofferenza e alla percezione
dolorosa della ̓ʼmancanzaʼ, l’esperienza artistica permette che le emozioni trovino spazio per esprimersi grazie al controllo dato sia dall’ordine del processo
culturale estetico, sia dalla possibilità di mettere a confronto i significati primari con i significati storici”.
Proviamo a vedere se si conclude qualcosa.
Il bello è una sensazione trasmessa. La sensazione non può mai
essere trasmessa in quanto tale, senza passare attraverso un
linguaggio, cioè attraverso un sistema di regole. Questo sistema può essere più o meno ampio e vincolante, ma comunque
sistema di regole è. Per potere avere una valenza“ ampia”, in
epistemologia diremmo essere oggetto di validazione intersoggetiva, linguaggio e sensazione sottostante debbono parlare o
dell’armonia dell’universo (categoria pura a priori di kantiana
memoria) o degli elementi profondi sepolti nel nostro inconscio.
132
L’estetica tra forma e sostanza di Carlo Nocentini
Nel primo caso il linguaggio è molto più articolato, formalizzato,
stringente. Nel secondo caso è molto più “libero”, creazionista.
Ma, e qui sta il problema, la libertà del linguaggio che incrocia
la libertà dell’inconscio si pone a rischio dissoluzione. Rimanda (può rimandare) direttamente alla perdita del sé pre-tragica,
propria dell’orgia dionisiaca. L’opera d’arte vive su un crinale.
Il sistema formalizzato di regole la uccide. L’universo della non
regola, della semplice esplosione del sentito, che la esalta in massimo grado, la rende intrasmissibile e rischia di portare con sé la
dissoluzione dell’artista. In questo si ravvisa una fortissima analogia col processo psicoanalitico. La cogenza delle regole scatena
la nevrosi. La dissoluzione nelle pulsioni la psicosi. Non a caso
oggi si parla della psicoanalisi come di una “estetica”.
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Grafica e stampa
Industria Grafica Valdarnese
Finito di stampare nel mese di maggio 2009
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Liceo “B. Varchi” Montevarchi