12.6
Engineering plastics
La locuzione engineering plastics, sinonimo di engineering polymers (polimeri per applicazioni ingegneristiche, o tecnopolimeri), indica: «plastics which lend
themselves to use for engineering design, such as gears,
and structural members» (materie plastiche utilizzabili
per progettazioni ingegneristiche, come ingranaggi e
parti strutturali; McGraw-Hill dictionary […], 1978).
La definizione sopra riportata può essere meglio
esplicitata specificando che i polimeri inclusi in questa
classe devono possedere caratteristiche di resistenza e
rigidità sufficienti per consentire al progettista di utilizzarli in sostituzione dei più tradizionali metalli. In linea
di massima questa definizione può essere ritenuta tuttora valida, anche se include un numero di materie plastiche molto ampio, compresi i materiali termoindurenti. Un’altra definizione, più recente (Kirk-Othmer, 19781984), include solo i materiali termoplastici lavorabili
con tecnologie convenzionali proponendo quindi come
intercambiabili le espressioni engineering plastics ed
engineering thermoplastics. Essa esclude quindi le resine termoindurenti: epossidiche, fenolo-formaldeide, ureaformaldeide, buona parte dei poliuretani, ecc., ma anche
il politetrafluoroetilene (PTFE). Questa seconda definizione precisa inoltre che i tecnopolimeri devono essere
caratterizzati da stabilità dimensionale e dalla conservazione di buone proprietà meccaniche anche a temperature superiori a 100 °C. Essa quindi esclude in modo
chiaro tutti quei polimeri di largo impiego e basso costo,
generalmente indicati con l’espressione commodity polymers, ma anche altri, come per esempio gli elastomeri
termoplastici. Altre definizioni tengono conto anche del
costo, che non deve essere eccessivamente elevato, escludendo quindi polimeri per usi speciali, di alto costo e
limitato impiego (advanced polymers).
Per quanto detto è evidentemente impossibile definire in modo univoco i contorni entro cui collocare i tecnopolimeri, anche perché questi contorni possono essere mutevoli nel tempo: polimeri che alcune decine di anni
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
fa sarebbero stati collocati senza ombra di dubbio tra i
tecnopolimeri oggi vengono collocati tra i commodity
polymers, così come polimeri che anni fa potevano apparire alquanto esotici e costosi e venivano classificati come
advanced polymers, oggi sono comunemente inclusi tra
i tecnopolimeri. Ovviamente possono essere proposti
anche altri criteri di classificazione, tuttavia in questo
capitolo è stata adottata la definizione più restrittiva;
inoltre, vengono trattati solo i tecnopolimeri più importanti, includendovi tuttavia alcuni polimeri, come il PET
(polietilentereftalato) o le poliammidi aromatiche, la cui
collocazione in questa classe può, stricto sensu, essere
ritenuta discutibile.
Nella prima parte di questo capitolo vengono affrontati gli aspetti generali, mentre nella seconda viene dedicata una trattazione specifica a ciascun tipo di tecnopolimero; sono descritti, altresì, gli aspetti essenziali della
polimerizzazione, delle proprietà, della lavorazione e
delle applicazioni dei tecnopolimeri.
12.6.1 Aspetti generali
Polimerizzazione a stadi
Rinviando al cap. 12.1 per gli aspetti fondamentali
concernenti i materiali polimerici, viene qui trattata in
maggior dettaglio la polimerizzazione a stadi, in quanto
è il processo dal quale si ottiene la maggior parte dei polimeri includibili nella classe dei tecnopolimeri. La polimerizzazione a stadi viene definita come un processo
che prevede la reazione fra uno o più monomeri, aventi
ciascuno almeno due gruppi funzionali. La reazione iniziale fra monomeri porta alla formazione di dimeri, che
a loro volta reagiscono fra loro e/o con i monomeri per
formare trimeri e tetrameri. Il processo prosegue con la
formazione di oligomeri a peso molecolare via via crescente fino a ottenere macromolecole a elevato peso molecolare. Ciascuna reazione fra due monomeri/oligomeri
885
MATERIALI POLIMERICI
porta alla scomparsa di due gruppi funzionali, con o
senza formazione di sottoprodotti (si parla, rispettivamente, di policondensazione e di poliaddizione; Pilati et
al., 1999). Ciascun singolo stadio della polimerizzazione può essere schematizzato come segue:
[1]
80
70
Conversione e grado di polimerizzazione
Nel caso di una polimerizzazione a stadi di due
monomeri di tipo A-A e B-B, è possibile ricavare
il grado
2
medio numerico di polimerizzazione (Xn) in funzione
della conversione e della stechiometria iniziale per mezzo
della seguente equazione:
2
1r
Xn 111111
1r 2 r pA
in cui il parametro r corrisponde al rapporto molare iniziale fra i gruppi funzionali di tipo A e di tipo B, mentre
pA è la frazione di gruppi funzionali A che hanno reagito in un
2 certo istante. Nella fig. 1 è riportato l’andamento di Xn in funzione di pA per diversi valori del parametro r; essa illustra in modo evidente che, anche in condizioni
2 stechiometriche (r1), si ottengono elevati valori
di Xn (e quindi di peso molecolare) soltanto per conversioni molto elevate (pA0,98). È da notare che anche piccole deviazioni dalle condizioni stechiometriche portano a marcate diminuzioni del peso molecolare massimo
ottenibile (cioè per pA1,0). È possibile, inoltre, dimostrare che la presenza di un reagente monofunzionale ha
lo stesso effetto di uno sbilanciamento stechiometrico
886
r0,98
_
X n 90
Mx My Mxy S
in cui Mx, My e Mxy sono oligomeri costituiti rispettivamente da x, y e da xy unità monomeriche mentre S
è l’eventuale sottoprodotto di condensazione (i valori di
x, y e xy variano da 1 fino generalmente a qualche centinaio). Contrariamente alle polimerizzazioni a catena,
nel caso della polimerizzazione a stadi i tempi di reazione sono relativamente lunghi; inoltre, valori elevati
di peso molecolare si ottengono soltanto negli ultimi
stadi della reazione, cioè quando è maggiormente probabile la reazione fra Mx e My di lunghezza elevata.
Nel caso di monomeri bifunzionali si possono avere
diverse situazioni: un solo tipo di monomero con due
gruppi funzionali A e B capaci di reagire fra di loro (A
reagisce solo con B e viceversa); due tipi di monomeri
diversi ciascuno con due gruppi funzionali rispettivamente di tipo A e di tipo B; un solo tipo di monomero
con un solo tipo di gruppo funzionale capace di reagire
con se stesso (A reagisce con A). Se la funzionalità media
dei monomeri è uguale a 2 si parla di polimerizzazione
a stadi bifunzionale e il polimero ottenuto è a catena
lineare, mentre se è maggiore di 2 si parla di polimerizzazione a stadi polifunzionale e il polimero ottenuto, in
funzione della stechiometria iniziale, è ramificato oppure reticolato.
[2]
r1,00
100
60
50
r0,96
40
r0,94
30
20
r0,92
r0,90
10
r0,80
0
0,70
0,75
0,80
0,85
0,90
0,95
1,0
conversione dei gruppi funzionali A (pA)
2
fig. 1. Grado medio numerico di polimerizzazione (Xn) in
funzione della conversione e della stechiometria iniziale.
(eccesso di uno dei due monomeri bifunzionali, r1)
costituendo quindi un forte limite all’ottenimento di polimeri a elevato peso molecolare. In alcuni casi il reagente monofunzionale viene deliberatamente aggiunto al
sistema per controllare l’aumento del grado di polimerizzazione: si parla in questo caso di ‘terminatore di catena’ o di ‘regolatore di peso molecolare’. Altre limitazioni della crescita macromolecolare sono costituite dalla
scomparsa di gruppi funzionali attraverso reazioni di
ciclizzazione o altre reazioni secondarie oppure in seguito a processi fisici (evaporazione, sublimazione o distribuzione in fasi diverse). Considerazioni analoghe possono essere fatte anche per i sistemi del primo e del terzo
gruppo sopracitati, in cui peraltro le condizioni stechiometriche sono intrinsecamente rispettate.
Aspetti termodinamici e cinetici
delle polimerizzazioni a stadi
Molte reazioni di polimerizzazione a stadi, come per
esempio le poliesterificazioni e le poliammidazioni, possono raggiungere l’equilibrio chimico fra monomeri, oligomeri e polimeri a elevato peso molecolare. Schematizzando come segue la reazione fra i gruppi funzionali
A e B e la formazione del sottoprodotto di condensazione S, e definendo di conseguenza la costante di equilibrio K:
[3]
A + B ABS
[4]
[AB][S]
K 1121
[A][B]
si può ricavare il grado di polimerizzazione
medio all’e2E
quilibrio in un sistema chiuso (Xn ) in funzione di K in
condizioni stechiometriche (r1):
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
[5]
2E
Xn K 1
da cui si evince che, nel caso di sistemi chiusi senza rimozione del sottoprodotto di 2condensazione S, per otteneE
re pesi molecolari elevati (Xn 100) sono necessari valori di costante di equilibrio K104. Per reazioni caratterizzate da valori di K inferiori, peraltro piuttosto comuni,
è necessario condurre la polimerizzazione in sistemi aperti con rimozione del sottoprodotto S dall’ambiente di
reazione, al fine di spostare l’equilibrio verso la formazione dei prodotti e quindi di aumentare il grado di polimerizzazione. In questo caso la costante K deve essere
ridefinita in base alla concentrazione residua di S ([S]res)
e il grado di polimerizzazione medio diventa:
1141
2
K[A]
[6] Xn 1411o
[S]res
[7]
Nx
12
p(x1) (1 p)2
No
[8]
x N
Wx 131x
No
in cui x è il grado di polimerizzazione, p è la frazione di
gruppi funzionali che hanno reagito (conversione), No è
il numero di moli iniziali di monomero A-B, Nx e Wx sono
rispettivamente il numero di moli e la frazione ponderale dell’x-mero avente grado di polimerizzazione pari a x.
Le distribuzioni di pesi molecolari descritte da queste
funzioni sono dette più probabili o di Flory. Le distribuzioni numerica e ponderale in funzione del grado di polimerizzazione x sono riportate nella fig. 2 e nella fig. 3; in
(Nx/No).103
in cui [A]o rappresenta la concentrazione iniziale di gruppi funzionali A. Quest’ultima relazione mostra che il
grado di polimerizzazione è proporzionale alla radice
quadrata di K e che quindi, nel caso di reazioni con bassi
valori di K, il sistema di rimozione del sottoprodotto di
condensazione S deve essere particolarmente efficiente
per garantire bassi valori di [S]res e, di conseguenza, elevati pesi molecolari.
3
p0,92
2
p0,96
1
Aspetti cinetici
Le polimerizzazioni a stadi possono essere descritte
mediante equazioni cinetiche più o meno complesse in
relazione alla natura chimica dei monomeri e non è quindi possibile svolgere considerazioni generali. Le energie di attivazione che caratterizzano le reazioni di crescita sono in genere basse (40-80 kJmol1), mentre quelle relative alle reazioni secondarie, in particolare quelle
che comportano scissioni di catena, sono maggiori (120180 kJmol1) per cui, quando queste ultime accadono
(come per esempio nel caso dei poliesteri) è necessario
controllare accuratamente la temperatura in fase di polimerizzazione per ottenere elevati valori di peso molecolare. Con il procedere della reazione di polimerizzazione diminuisce il numero di gruppi funzionali reattivi, come anche la velocità di reazione, ragione per cui
sono generalmente necessari lunghi tempi di reazione.
Distribuzione dei pesi molecolari
La distribuzione dei pesi molecolari può essere ricavata attraverso una trattazione statistica elementare, assumendo che un processo di polimerizzazione a stadi sia
costituito da un numero molto elevato di reazioni consecutive e che la reattività dei gruppi funzionali sia indipendente dal grado di polimerizzazione di oligomeri/polimeri a cui appartengono (principio di uguale reattività).
Nel caso di una polimerizzazione a stadi di un monomero di tipo A-B in condizioni stechiometriche (r1),
è possibile ricavare le seguenti relazioni:
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
p0,98
p0,99
0
0
20
40
60
80
100
grado di polimerizzazione (x)
fig. 2. Distribuzione numerica in funzione del grado
di polimerizzazione a diverse conversioni.
0,035
Wx
p0,92
0,030
0,025
0,020
p0,94
0,015
p0,96
0,010
p0,98
0,005
0
p0,99
0
50
100
150
200
grado di polimerizzazione (x)
fig. 3. Distribuzione ponderale in funzione del grado
di polimerizzazione a diverse conversioni.
887
MATERIALI POLIMERICI
esse si può osservare come a qualunque valore di conversione p sono sempre presenti molecole di monomero
(cioè con x1), anche se diminuiscono rapidamente all’aumentare della conversione.
Un parametro molto importante, che definisce una
stima dell’ampiezza della distribuzione dei pesi molecolari, è l’indice di polidispersità Q, definito dal rapporto fra i pesi molecolari medi ponderale e numerico e
che, sulla base della trattazione precedente, può essere
determinato come segue:
23
Mw
12
[9]
Q 23 1p
Mn
L’indice di polidispersità vale 1 all’inizio della polimerizzazione, fino a tendere a 2 all’aumentare della conversione. La distribuzione più probabile è quasi sempre
verificata sperimentalmente nelle polimerizzazioni a
stadi cosiddette di ‘equilibrio’ (per esempio nel caso di
poliesteri e poliammidi ottenuti in massa e a elevata temperatura), mentre non trova sempre riscontro in quelle
di ‘non equilibrio’ (per esempio nella polimerizzazione
interfacciale), in cui la velocità del processo è essenzialmente controllata da fenomeni diffusivi.
Quando, durante il processo di polimerizzazione,
avvengono reazioni di interscambio tra gruppi terminali e gruppi interni alle catene macromolecolari (per esempio reazioni di transesterificazione, transammidazione e
transeterificazione), la distribuzione dei pesi molecolari tende al valore più probabile anche nel caso in cui la
semplice reazione di crescita porterebbe a valori di Q2.
Proprietà
Proprietà termiche. I tecnopolimeri, che devono possedere buone proprietà meccaniche a temperature relativamente elevate (100 °C), sono caratterizzati da elevati valori della temperatura di transizione vetrosa Tg
(per materiali amorfi) o della temperatura di fusione Tm
(per materiali semicristallini). Da un punto di vista applicativo una delle proprietà termiche più importanti per
definire la massima temperatura d’uso di un certo materiale è la temperatura di deflessione sotto carico (HDT,
Heat Deflection Temperature), misurata in accordo alla
norma ASTM (American Society for Testing and Materials) D 648. Il valore di HDT è solitamente di una decina di gradi inferiore a Tg per i polimeri amorfi, mentre
per quelli semicristallini può raggiungere valori prossimi a Tm nel caso di polimeri rinforzati. I valori di Tg e
Tm sono a loro volta strettamente legati alla struttura
molecolare delle catene e sono incrementati significativamente introducendovi un’elevata frazione di anelli aromatici e/o di forti legami intercatena (legami idrogeno).
Valori tipici di Tg, Tm e HDT sono riportati nella parte
di questo capitolo dedicata ai diversi materiali. Un’altra
grandezza largamente utilizzata per definire la massima
temperatura che garantisce condizioni di sicurezza per
888
oggetti in plastica sottoposti a riscaldamento continuato è l’indice termico UL (Underwriters Laboratories).
Di solito i valori di temperatura derivati in accordo con
questa norma sono più bassi dei valori HDT. Un altro
aspetto importante è il comportamento in presenza di
fiamma, quantificato di solito dalle norme UL94 che
prevedono la misurazione della velocità di propagazione della fiamma, del tempo di autoestinzione dopo rimozione della fiamma, della tendenza allo sgocciolamento del materiale incandescente e dell’indice di ossigeno
(LOI, Limiting Oxygen Index). Alcuni tecnopolimeri
sono intrinsencamente non infiammabili, come le polieterimmidi (PEI) o il polifenilensolfuro (PPS), altri possono essere resi tali attraverso l’impiego di opportuni
additivi.
Proprietà meccaniche. Le prestazioni di un manufatto dipendono da svariati fattori: la natura chimica del
materiale, il tipo e la velocità di sollecitazione, la temperatura, la natura dell’ambiente in cui si trova a operare, la geometria dell’oggetto e la storia termomeccanica
del materiale durante la lavorazione necessaria a realizzarlo; tutti possono contribuire a determinare tensionamenti nel materiale, che a loro volta possono influenzare in modo determinante il comportamento del manufatto durante l’utilizzo. Le proprietà meccaniche di
maggiore interesse per il progettista possono differire
nei vari progetti. Nel tentativo di quantificare le prestazioni meccaniche in diverse condizioni di sollecitazione, sono state messe a punto delle normative che consentono al progettista un ragionevole termine di confronto per diversi materiali. Sicuramente le norme ASTM
e ISO sono quelle più utilizzate e i valori di proprietà
riportati nei successivi paragrafi fanno esplicito riferimento a queste norme. I dati di maggiore interesse, per
i quali sono riportati in questo capitolo i valori indicativi per ciascun tecnopolimero considerato, sono: il modulo elastico (o modulo di Young), che dà indicazione della
rigidità del materiale; la resistenza (a snervamento o a
rottura), che caratterizza le condizioni in cui si può avere
cedimento del materiale; l’allungamento a rottura, che
fornisce indicazione della duttilità del materiale. Altre
proprietà meccaniche sono riportate per un determinato
tecnopolimero quando esse ne costituiscono una caratteristica peculiare.
Occorre comunque sottolineare come, in generale,
alcune delle proprietà meccaniche variano in modo rilevante all’aumentare del peso molecolare del polimero
considerato. Nella fig. 4 sono rappresentati gli andamenti
di alcune proprietà caratteristiche di un polimero in funzione del suo peso molecolare. Da essa risulta evidente
che le prestazioni meccaniche migliori si hanno per i pesi
molecolari più elevati, tuttavia non è sempre possibile
scegliere il polimero di maggior peso molecolare in quanto la scelta è strettamente legata, per ragioni di fluidità,
alla tecnologia di lavorazione che si vuole utilizzare. Per
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
stampaggio
per soffiatura
stampaggio
rotazionale
stampaggio
a iniezione
stampaggio
per compressione
estrusione
calandratura
conservare buone proprietà meccaniche a contatto con
ambienti potenzialmente aggressivi, può essere di fondamentale importanza. Non è facile definire la resistenza chimica: a volte viene definita in modo qualitativo
come eccellente, buona, discreta o scarsa, altre volte
viene definita come il tempo necessario a produrre cedimento (crazing o frattura) in un campione piegato e
immerso in un certo solvente; altre volte ancora viene
definita in modo quantitativo come percentuale di perdita di una particolare proprietà meccanica dopo un determinato tempo di contatto a una data temperatura con
liquidi o vapori. La resistenza chimica è principalmente influenzata dalla natura chimica del materiale e dal
loro grado di cristallinità, essendo maggiore per elevati
valori di cristallinità.
Lavorabilità (processing)
basso
medio
alto
ultra alto
peso molecolare del polimero
modulo di elasticità (amorfo)
modulo di elasticità (semicristallino)
resistenza all’urto (polimero duttile)
resistenza all’urto (polimero fragile)
viscosità del fuso
resistenza a: fatica, abrasione, environmental stress-cracking
fig. 4. Effetto del peso molecolare
su proprietà meccaniche e lavorabilità.
esempio, se si vogliono produrre molti pezzi di geometria complessa e a pareti sottili, la scelta cadrà per ragioni economiche sullo stampaggio a iniezione, e di conseguenza il materiale dovrà essere di alta fluidità (easy flow)
e quindi di basso peso molecolare. Oppure, se le specifiche di progetto richiedono proprietà meccaniche garantite solo da polimeri di elevato peso molecolare, sarà inevitabile ricorrere a tecnologie di lavorazione diverse dallo
stampaggio a iniezione (come lo stampaggio per soffiatura, lo stampaggio a compressione, lo stampaggio a iniezione-compressione, ecc.). Per questa ragione i produttori rendono di solito disponibili polimeri dello stesso
tipo, ma con peso molecolare diverso; il valore di peso
molecolare è raramente indicato nei bollettini tecnici forniti dai produttori che invece solitamente riportano come
misura indiretta di peso molecolare il valore di MFI (Melt
Flow Index, un indice di fluidità del flusso), tanto più
basso quanto più alto è il peso molecolare.
Resistenza chimica. Poiché molte applicazioni prevedono l’impiego del materiale a contatto con liquidi o
vapori, che com’è noto possono accelerare i processi di
cedimento delle materie plastiche (environmental stress
cracking), la resistenza chimica, ovvero la capacità di
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
La lavorabilità di un materiale è importante almeno
quanto l’insieme delle altre proprietà ai fini del suo successo commerciale. Una buona lavorabilità presuppone
la disponibilità di materiali con caratteristiche reologiche, e in particolare fluidità, adeguate alla tecnologia di
lavorazione prescelta, stabilità chimica nelle condizioni
di lavorazione, alta velocità di cristallizzazione (per polimeri semicristallini impiegati nello stampaggio a iniezione). Solitamente le aziende rendono commercialmente
disponibili diversi gradi per ciascun materiale, con proprietà reologiche adatte a differenti tecnologie di lavorazione. La principale proprietà reologica di un polimero nella fase di lavorazione è la viscosità, ovvero la misura della sua resistenza al flusso. Tanto maggiore è la
viscosità, tanto più bassa è la fluidità del materiale e tanto
più difficile sarà riempire cavità strette e sottili, come
spesso è necessario fare nello stampaggio a iniezione.
La viscosità di un materiale dipende da una serie di parametri, tra cui i più importanti sono la temperatura, il peso
molecolare del polimero, la presenza di cariche o fibre
e il gradiente di velocità (shear rate) proporzionale alla
portata. Il gradiente di velocità è diverso per tipi di tecnologie di lavorazione diversi, e quindi un confronto corretto fra le proprietà reologiche di diversi materiali dovrebbe essere fatto sulla base di curve di flusso, come illustrato nella fig. 5.
Il materiale A è caratterizzato da una viscosità superiore a bassi gradienti di velocità, ma la sua viscosità
diventa inferiore a quella di B ad alti gradienti di velocità. Il polimero A è pertanto più facilmente lavorabile
di B con le tecnologie di lavorazione che comportano
alti gradienti (per esempio lo stampaggio a iniezione),
ma B è più fluido di A per le tecnologie di lavorazione
che operano a gradienti più bassi di 100 s1. Non sempre le curve di flusso sono rese disponibili dai produttori dei materiali; più spesso, come unica caratterizzazione reologica, nelle schede tecniche viene fornito un
dato di indice di fluidità MFI che, essendo il risultato di
889
MATERIALI POLIMERICI
viscosità (Pa.s)
105
104
A
103
B
102
101
100
1
10
100
1.000
gradiente di velocità (s1)
10.000
fig. 5. Dipendenza della viscosità dal gradiente di velocità.
una misurazione per un solo valore di gradiente di velocità, è molto meno significativo dell’intera curva di flusso. Tali dati possono essere utilizzati per confrontare la
fluidità di diversi materiali, tuttavia va tenuto presente
che il risultato di tale confronto può essere fuorviante.
Per esempio, se la misura di MFI, eseguita secondo la
norma ASTM D 1238-00 (ISO 1133), comporta un basso
gradiente di velocità, il materiale B risulta più fluido di
A, ma se in realtà la tecnologia impiegata è lo stampaggio a iniezione, che prevede alti gradienti di velocità, il
materiale migliore è A e non B. La fluidità di un certo
materiale può essere modificata variandone la temperatura: un aumento di temperatura comporta una diminuzione di viscosità, e quindi può facilitare la lavorabilità
di un materiale. Tuttavia va ricordato che i materiali polimerici possono essere soggetti a fenomeni degradativi
la cui velocità aumenta anch’essa con la temperatura.
Pertanto non è possibile aumentare eccessivamente la
temperatura per migliorare la lavorabilità in quanto, oltre
un certo valore critico, le conseguenze dei fenomeni
degradativi comprometterebbero le prestazioni del materiale in uso. Dal momento che la viscosità diminuisce in
modo rilevante anche al diminuire del peso molecolare,
la lavorabilità ottimale di un materiale per una certa tecnologia è spesso ottenuta controllando la crescita del
peso molecolare in fase di polimerizzazione. Per tale
motivo a livello industriale si producono diversi gradi di
uno stesso polimero, caratterizzati da diversa fluidità.
Naturalmente, come detto in precedenza, la scelta del
materiale è anche strettamente legata alle proprietà meccaniche richieste dalle specifiche di progetto, che possono a volte condizionare la scelta della tecnologia di
lavorazione. Un’altra proprietà reologica importante, nel
caso si voglia utilizzare come tecnologia di lavorazione
lo stampaggio per estrusione-soffiatura, è la resistenza
del fuso (melt strength) che deve essere sufficientemente elevata a bassi gradienti di velocità. Raramente sono riportati dati relativi a questa caratteristica, per cui
890
solitamente ci si affida alle indicazioni del produttore
per la scelta del materiale adatto a questo tipo di tecnologia. Alle indicazioni del produttore è comunque bene
attenersi anche per la scelta di tutti gli altri parametri da
definire per un processo di lavorazione: temperatura del
fuso, temperatura dello stampo, tempo e temperatura di
essiccamento del materiale prima della lavorazione, ecc.
Queste indicazioni sono inoltre molto utili per un altro
aspetto importante della lavorabilità: il controllo del ritiro del materiale durante il raffreddamento nello stampo.
Un buon controllo è determinante per la produzione di
pezzi a bassa tolleranza dimensionale; solitamente il controllo dimensionale è più critico per materiali semicristallini. L’aggiunta di cariche e rinforzanti comporta un
aumento di proprietà meccaniche, ma anche un aumento della viscosità, che può essere molto elevato se la percentuale di carica supera il 40%. In questi casi può risultare difficile la lavorazione con tecnologie che prevedono alta fluidità. Infine va ricordato che molti tecnopolimeri
sono caratterizzati da catene polimeriche polari e quindi possono presentare problemi di lavorazione dovuti alla
forte adesione alle pareti dello stampo, a sporcamenti
delle presse, ecc. L’impiego di opportuni additivi consente in genere di superare questi problemi.
12.6.2 Poliammidi
Generalità
Le poliammidi (PA) sono polimeri caratterizzati dalla
presenza di gruppi ammidici CONH in catena
principale, genericamente rappresentabili con le formule ( NHCOR
) per le PA di tipo A e ( NH
RNHCORCO
) per le PA di tipo AB,
in cui R e/o R possono essere gruppi alifatici o aromatici. Le poliammidi alifatiche, più comunemente note
come nylon, furono introdotte sul mercato da DuPont
nel 1939, otto anni dopo la loro preparazione in laboratorio da parte di Wallace Hume Carothers. La disponibilità commerciale dei nylon ha immediatamente rivoluzionato l’industria delle fibre, e a tutt’oggi a essi è dedicata buona parte della sua produzione globale. Le PA
alifatiche vengono suddivise in due grandi classi: quelle di tipo AB, derivanti dalla condensazione di diammine e diacidi (per esempio, PA6,6, PA4,6 e PA6,10 dove
i numeri indicano rispettivamente il numero di atomi di
carbonio nella diammina e nel diacido di partenza), e
quelle di tipo A, derivanti dalla polimerizzazione di amminoacidi o lattami (per esempio, PA6, PA11 e PA12, dove
il numero indica gli atomi di carbonio del monomero di
partenza). Nonostante l’ovvia disponibilità di una gamma
assai vasta di monomeri per la preparazione di PA alifatiche, e quindi di prodotti con caratteristiche assai diversificate, sono relativamente poche quelle di rilevanza
industriale: PA6,6, PA4,6 e PA6,10 sono le più comuni
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
PA derivanti da diammine e diacidi, mentre PA6, PA11
e PA12 da lattami e/o amminoacidi. Le strutture molecolari delle più diffuse PA6 e PA6,6 sono rispettivamente:
(
O
NH
NH
CH2
( )
CH2
CH2
CH2
CH2
CH2
C
)
n
O
NH
C
O
CH2
CH2
6
CH2
CH2
C
n
In generale tutte le PA sono caratterizzate da elevato
grado di cristallinità, temperatura di fusione in genere
superiore a 200 °C e buon rapporto proprietà/costo. Il
loro limite principale è rappresentato dalla sensibilità
all’acqua, che può determinare sia degradazione idrolitica alle alte temperature e in presenza di acidi, sia scarsa stabilità dimensionale per PA non rinforzate. PA parzialmente aromatiche mostrano generalmente migliori
stabilità e mantenimento delle proprietà meccaniche a più
alte temperature rispetto a quelle alifatiche, mentre PA
completamente aromatiche (chiamate anche arammidi)
sono in genere utilizzate per produrre fibre con resistenza a trazione e modulo elastico altissimi, e con eccezionali proprietà di resistenza al calore e alla fiamma.
Polimerizzazione
Le PA di tipo AB vengono sintetizzate mediante reazione di policondensazione di diammine con diacidi, con
formazione di acqua come sottoprodotto; nel caso più
diffuso della PA6,6 i monomeri coinvolti sono esametilendiammina e acido adipico, e il primo stadio di reazione prevede la formazione dell’adipato di esametilendiammina in mezzo acquoso (210-275 °C, 1,8 MPa), la
concentrazione della soluzione al 50% in evaporatore e
il successivo caricamento in autoclave per il processo di
policondensazione (275-290 °C, pressione atmosferica),
durante il quale viene rimossa l’acqua presente e prodotta. Come terminatore di catena viene comunemente
utilizzato l’acido acetico. La reazione arriva a valori di
conversione prossimi a 1 e si possono quindi evitare
costosi procedimenti di purificazione e/o separazione,
sebbene l’elevata diluizione del monomero aumenti notevolmente i costi di movimentazione. Per la polimerizzazione della PA6, invece, che è il rappresentante più
significativo delle PA di tipo A, si ricorre a un procedimento in massa che prevede l’idrolisi del caprolattame
a temperature superiori a 250 °C in presenza di acqua,
acido fosforico come catalizzatore e terminatori di catena come acido acetico; ne segue la formazione dell’acido amminocaproico, più reattivo del monomero di partenza, la cui polimerizzazione procede fino a una conversione massima dell’85-90%. A questo punto si rendono
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
necessarie procedure di estrazione con acqua (o evaporazione) del monomero che non ha reagito e degli oligomeri a basso peso molecolare; il polimero può anche
essere essiccato senza lavaggio per produrre un materiale con maggiore tenacità, grazie all’azione plastificante del monomero residuo. I costi generali di produzione di PA6 e PA6,6 sono comparabili, anche se il processo per PA6 risulta complessivamente meno critico in
termini di gestione delle materie prime, condizioni di
processo e formazione di gel. In termini generali, i processi di polimerizzazione sopra riportati sono rappresentativi delle sintesi industriali applicate alla produzione di tutte le PA più diffuse, di cui sono commercializzati diversi gradi in un ampio intervallo di proprietà.
Gradi speciali di PA solubili adatti alle tecnologie di coating (rivestimento), spraying (spruzzatura) e dipping
(immersione) vengono preparate per miscelazione reattiva di PA6,6 o PA6,10, con PA6 in diverse proporzioni
che, attraverso reazioni di transammidazione, dà origine a copolimeri. PA completamente aromatiche vengono
in genere preparate per policondensazione del cloruro
dell’acido a bassa temperatura in soluzione, utilizzando
solventi come la dimetilacetammide o N-metilpirrolidone e in presenza di una base in grado di neutralizzare
l’acido cloridrico che si forma nella reazione. Il polimero viene quindi generalmente filato sempre da soluzione. Nel caso di PA para-sostituite (particolarmente
rigide e scarsamente solubili) il solvente è una soluzione di acido solforico ad alta concentrazione.
Proprietà
Le proprietà delle PA sono prevalentemente legate
alla presenza del gruppo ammidico in catena principale, che permette la formazione di forti legami idrogeno
intercatena. Per esempio, le temperature di fusione delle
PA variano sensibilmente a seconda della loro struttura
molecolare, ma comunque all’interno di un intervallo
di temperature molto elevate (da 179 °C per PA12 a circa
300 °C per PA parzialmente aromatiche, fino a valori
maggiori di 500 °C per PA completamente aromatiche).
Rispetto ad altri tecnopolimeri semicristallini, i manufatti in PA mantengono la loro forma anche a temperature prossime alla fusione e hanno coefficienti di espansione lineare più bassi dei comuni polimeri; in particolare, i gradi rinforzati e le PA aromatiche mostrano
maggiore stabilità dimensionale anche quando sottoposti a frequenti e sostanziali cambiamenti di temperatura. L’introduzione di gruppi aromatici in catena principale provoca un consistente aumento della temperatura
di transizione vetrosa e della temperatura di fusione. Per
esempio, la PA parzialmente aromatica poliesametilentereftalammide (PA6,T) fonde a 370 °C, mentre la PA6,6
ha una temperatura di fusione di 265 °C. Al di sopra di
300 °C sia PA6 che PA6,6 cominciano lentamente a subire fenomeni degradativi che ne alterano le proprietà,
891
MATERIALI POLIMERICI
mentre per le PA parzialmente aromatiche questo avviene solitamente al di sopra di 350 °C. Una caratteristica
del tutto peculiare delle PA è il loro elevato assorbimento di acqua, che dipende dal tipo di PA e nei gradi
non rinforzati può arrivare anche a valori superiori al
10%. Se immerso in mezzo acquoso o esposto ad atmosfera a elevata umidità relativa, in dipendenza dalla durata e dalla temperatura dell’esposizione, dal grado e dallo
spessore delle pareti del manufatto, il materiale può
assorbire una quantità di acqua tale da modificarne significativamente le dimensioni (sia per PA6 che per PA6,6
per l’1% in massa di acqua assorbita si registrano un
aumento in volume pari allo 0,9% e un aumento medio
in lunghezza dello 0,2-0,3%). In generale l’assorbimento
di acqua provoca un aumento della resistenza all’impatto e dell’allungamento a rottura, mentre diminuiscono la resistenza al creep (scorrimento a freddo), la
durezza e la rigidità. La stabilità dimensionale in ambiente umido è invece garantita per i gradi rinforzati con
fibra di vetro e minerali e per le PA parzialmente aromatiche. Le PA sono riconosciute come ottimi isolanti
per le applicazioni dell’ingegneria elettrica, grazie alle
loro elevate resistività e resistenza di superficie, che
risultano praticamente insensibili alla presenza di acqua
fino a concentrazioni piuttosto elevate; queste proprietà,
combinate con ottime prestazioni termiche e di resistenza all’invecchiamento, collocano le PA tra i migliori materiali isolanti a elevate prestazioni. L’ampio utilizzo di PA alifatiche nell’industria automobilistica è
dovuto alla loro straordinaria resistenza a lungo termine agli oli lubrificanti, agli idrocarburi, ai liquidi dei
circuiti di raffreddamento, ai solventi e ai detergenti; sia
la resistenza a flessione sia quella all’impatto rimangono
pressoché costanti anche per lunghi tempi di contatto a
120 °C con queste sostanze. In particolare le PA mostrano ottima resistenza a environmental stress cracking
(frattura indotta da fattori ambientali). Le PA alifatiche
sono attaccate da acidi inorganici anche diluiti, da agenti ossidanti e da idrocarburi alogenati specialmente a
elevate temperature, mentre quelle aromatiche mostrano una migliore resistenza chimica e ai solventi. In generale, le PA sono adatte ad applicazioni outdoor purché
siano stabilizzate con agenti antiossidanti e inibitori UV
(il nerofumo è l’additivo maggiormente utilizzato per
entrambi gli scopi). L’aggiunta di fibre di vetro alle PA
apporta sensibili miglioramenti alla resistenza a trazione, resistenza al creep, rigidità e resistenza all’impatto.
Per aumentare il modulo elastico a flessione, la resistenza all’abrasione e la durezza (sebbene a scapito di
allungamento e resistenza all’impatto), si utilizzano solitamente silici fini disperse che agiscono da agenti
nucleanti e operano un importante controllo della cristallinità delle PA. In tab. 1 vengono riportate le proprietà delle PA commerciali più comuni per applicazioni
ingegneristiche, con e senza l’aggiunta di un 30% di
fibre di vetro.
Lavorabilità
Le PA sono disponibili commercialmente in diversi
gradi che differiscono per la presenza di cariche, fibre e
additivi, ma soprattutto per le diverse viscosità, adatti alle
differenti tecnologie di trasformazione; in termini generali esse sono facilmente processabili con macchinari convenzionali. I gradi per stampaggio sono molto fluidi e hanno
punti di fusione ben definiti; l’unica precauzione da adottare è l’impiego di presse con valvole di non ritorno per
tab. 1. Proprietà delle poliammidi più comuni
Proprietà
Densità (gcm3)
Tg /Tm (espresse in °C)
HDT (1,8
MPa)(1) (°C)
Norma
PA6
PA6
caricata
con 30%
di fibra
di vetro
ISO 1183
1,13
1,35
1,18
1,68
1,14
1,36
DSC
45/220
45/220
43/295
43/295
50/260
50/260
65
210
140
290
85
255
1,7
6,5
1,0
8,0
1,5
7,5
60-90(2)
110
55-100(2)
125
60(2)
140
50
5
50
3,5
50
5
ISO 1791
(23 °C)
–/35
110/25
–/45
60/11
–/12
100/20
UL94
V-2
HB
V-2
V-0
V-2
HB
ISO62
0,3-10
0-7,5
1,3-11
1,8-9,1
0,97-8,5
0,01-6
ASTM D648
Modulo a trazione(1) (GPa)
Resistenza a
trazione(1) (MPa)
Allungamento a
Charpy(1) (kJm2)
Resistenza urto
senza intaglio/con intaglio
Resistenza alla fiamma
Assorbimento di
(1)
892
ASTM D638
rottura(1) (%)
acqua(3) (%)
PA4,6
PA4,6
caricata
con 30%
di fibra
di vetro
PA6,6
PA6,6
caricata
con 30%
di fibra
di vetro
valori relativi al materiale condizionato in ambiente umido; (2) a snervamento; (3) riferito al materiale secco.
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
prevenire l’uscita di materiale dall’ugello o il retroflusso di materiale. La finitura superficiale dello stampo assume rilevanza critica poiché la superficie del nylon riflette fedelmente le sue caratteristiche; solitamente si utilizzano stampi cromati per ottenere superfici a elevata
brillantezza. La facilità di rilascio e la possibilità di rapidi raffreddamenti rendono possibili cicli produttivi estremamente veloci. L’eccellente stabilità termica delle PA6
e PA6,6 rende possibili temperature del fuso fino a 300
°C senza effetti deleteri sulle proprietà meccaniche, purché il materiale sia mantenuto secco mediante un opportuno processo di essiccamento. Le PA per applicazioni
ingegneristiche sono anche ampiamente utilizzate come
rivestimenti protettivi di fili e cavi polimerici realizzati
con un altro materiale (comunemente PVC). Solo PA11
e PA12 possono essere prodotte sotto forma di polveri
fini adatte all’utilizzo in letto fluido o spruzzatura elettrostatica per la deposizione di coating anticorrosivi su
substrati metallici. PA completamente aromatiche hanno
temperature di fusione così elevate (comprese tra 400550 °C) che il processo viene in genere accompagnato o
preceduto dalla decomposizione. Per questa ragione, tali
polimeri vengono utilizzati quasi esclusivamente per produrre fibre da soluzione. La lavorabilità delle PA parzialmente aromatiche dipende invece dalla frazione di
anelli aromatici presente nella struttura; alcuni prodotti
commerciali sono a pieno titolo polimeri termoplastici
con temperature di lavorazione intorno a 290 °C.
Tipi commerciali e applicazioni
L’eccellente combinazione di proprietà e il costo competitivo hanno fatto della PA6 il tipo di PA più diffuso:
da sola rappresenta circa il 60% in volume di tutte le PA
utilizzate; buona parte della restante frazione è rappresentata dalla PA6,6. Entrambe sono presenti sul mercato sia in gradi semplici sia in gradi rinforzati con fibre
di vetro, riempitivi minerali, nerofumo, ecc. Tutte le case
produttrici di materiali termoplastici producono un’ampia gamma di PA per applicazioni tecniche; di seguito
ne vengono elencate solo alcune: Akulon (PA6, PA6,6;
DSM), Durethan (PA6, PA6,6; Bayer), Celstran (PA6,
PA6,6; Ticona), Radilon (PA6,6; Radici Plastics), Stanyl
(PA4,6; DSM), Rilsan (PA12; Atofina), Capron (PA6,
PA6,6; BASF), Technyl (PA6, PA6,6; Rhodia), Minlon e
Zytel (PA6, PA6,6; DuPont), Amodel (PA6,6; Solvay),
Bergamid (PA6, PA6,6; PolyOne), ecc. Le principali
applicazioni ingegneristiche delle PA alifatiche riguardano guaine per l’isolamento elettrico, superfici e manufatti a elevata brillantezza, parti meccaniche operanti in
ambienti ricchi di liquidi e di vapori organici, idrocarburi e agenti chimici, scatole a ingranaggi, cavi, ecc. PA
parzialmente aromatiche sono commercializzate da BASF
con il nome di Ultramid, da Elf Atochem con il nome
di Cristamid e dalla EMS Grivory anche addizionate
con fibre o cariche minerali. Fibre arammidiche sono
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
commercializzate da DuPont con il nome di Nomex e
Kevlar e da Akzo con quello di Twaron. Queste ultime,
grazie alla loro altissima resistenza, all’alto modulo elastico e alla bassa densità, vengono largamente utilizzate nella produzione di tessuti per indumenti ad alta resistenza, come per esempio i giubbotti antiproiettile, nel
rinforzo delle materie plastiche e delle gomme (pneumatici) e nella produzione di cordame o cavi.
12.6.3 Poliesteri alifatici-aromatici
Generalità
I poliesteri sono polimeri che si caratterizzano per la
presenza di gruppi estere, OCO, legati a gruppi alchilici o arilici nella catena principale; una formula generale per i poliesteri ottenuti da monomeri bifunzionali è quella sotto indicata, dove sia R sia R possono essere gruppi alifatici o aromatici:
[12]
( ROCORCOO
)n
In questa trattazione vengono presi in considerazione solamente i poliesteri alifatici-aromatici più importanti, PET e PBT (polibutilentereftalato), per i quali R è
un gruppo alifatico e R un gruppo aromatico.
La sintesi dei primi poliesteri risale al lavoro pionieristico di Carothers, agli inizi degli anni Trenta del
20° secolo (Mark e Whitby, 1940); tuttavia quei poliesteri, completamente alifatici, non avevano caratteristiche fisiche interessanti da un punto di vista applicativo
e solo la successiva sintesi di poliesteri aromatici-alifatici portò a prodotti con un insieme di proprietà che soddisfacevano questo requisito. Il primo poliestere di interesse commerciale, il PET, fu sintetizzato nel 1945 e
introdotto sul mercato sotto forma di fibre nella prima
metà degli anni Cinquanta. Successivamente furono sintetizzati altri poliesteri alifatici-aromatici di interesse
commerciale, come il PBT, e più recentemente il polipropilentereftalato (PPT), il poli(1,4-cicloesandimetilenisotereftalato) (PCIT) e il polietilennaftenato (PEN).
L’inclusione dei poliesteri alifatici-aromatici tra i tecnopolimeri può essere discutibile, almeno per alcuni di
questi, tuttavia in considerazione del fatto che questi
materiali non sono trattati in altri capitoli, e della larga
diffusione del PET, è stata inclusa una breve descrizione di PET e PBT.
Polimerizzazione in massa
I polimeri trattati in questo capitolo si ottengono per
policondensazione di glicoli e di acidi bicarbossilici o
loro esteri dimetilici. Fino agli inizi degli anni Ottanta, i
monomeri utilizzati per la sintesi del PET erano esclusivamente il glicole etilenico (EG, Ethylene Glicol) e il
dimetil tereftalato (DMT). Successivamente, la messa a
punto di nuove tecnologie di purificazione dell’acido
893
MATERIALI POLIMERICI
tereftalico ha reso disponibile un prodotto di purezza adeguata a quella richiesta per la polimerizzazione e ha consentito di usare direttamente l’acido tereftalico (TA,
Terephthalic Acid) al posto del suo derivato DMT. Oggi
circa la metà della produzione di PET si ottiene a partire dai monomeri TA e EG. In ogni caso, sia che si parta
da DMT sia che si parta da TA, la polimerizzazione avviene in due stadi: transesterificazione e policondensazione (Pilati, 1989a). Nei processi che utilizzano DMT ed
EG, il primo stadio del processo, di transesterificazione,
avviene a 160-210 °C e prevede una reazione di alcolisi
con formazione di oligomeri del PET e di metanolo:
H3CO
HO
(
O
O
C
C
CH2
CH2 O
OCH3 HO
CH2
CH2
OH
O
O
C
C O CH2 CH2 OH
)
x
CH3OH
La reazione è una reazione di equilibrio, con costante di equilibrio circa uguale a 1, per cui è necessario rimuovere il metanolo formatosi per spostare l’equilibrio verso
i prodotti desiderati. L’elevata volatilità del metanolo consente, alla temperatura di reazione, un’efficiente rimozione anche a pressione atmosferica. Per accelerare questo stadio di reazione e per garantire una completa rimozione dei gruppi metossilici, si usano tipicamente rapporti
molari EG/DMT2,2 in largo eccesso rispetto alla quantità stechiometrica di EG necessaria a produrre il PET.
La reazione viene inoltre accelerata attraverso l’impiego
di catalizzatori a base di sali metallici (generalmente, per
ragioni di solubilità, acetati o acetilacetonati di Zn, Mn,
Ca, ecc.). Al termine di questo primo stadio di reazione,
il reattore contiene un prodotto costituito essenzialmente da una miscela di oligomeri di basso peso molecolare
(valore medio di x circa 2). Il secondo stadio di reazione
prevede la rimozione dell’eccesso di glicole, secondo lo
schema di reazione seguente:
HO
(
CH2
CH2 O
O
O
C
C O CH2 CH2 OH
)
x
(
O
O
C
C
HO
O
CH2 CH2 O
CH2 CH2
)
n
OH
Per spostare la reazione verso la formazione di PET
di elevato peso molecolare è necessario rimuovere l’EG
che si forma, in quanto anche in questo caso la reazione è una reazione reversibile con costante di equilibrio
894
prossima all’unità. Poichè EG è un liquido altobollente,
è necessario ridurre progressivamente la pressione fino
a valori di circa 102 Pa (1 mbar). Inoltre, per accelerare
la reazione e per mantenere il prodotto allo stato liquido (il PET fonde a 265 °C), la temperatura viene progressivamente portata a 280-300 °C e mantenuta tale
fino al termine della polimerizzazione. I catalizzatori
aggiunti per il primo stadio di reazione non sono efficaci per questo secondo stadio ed è necessario aggiungere un nuovo catalizzatore, solitamente triossido di antimonio, prima di iniziare questo stadio di policondensazione. Il peso molecolare aumenta al procedere della
reazione (che dura solitamente diverse ore); tuttavia, nell’ultima parte di questa, il peso molecolare tende a raggiungere un valore costante, o addiritura a diminuire, a
causa di reazioni di degradazione (con scissione di catena) che avvengono parallelamente alla reazione di alcolisi. Per questa ragione il PET ottenuto alla fine del secondo stadio non può raggiungere un peso molecolare particolarmente elevato (viscosità intrinseca0,60-0,64 dl/g
in fenolo/tetracloroetano), anche se esso è sufficiente per
la produzione di fibre o film. Per ottenere un PET di
grado adatto alla produzione di bottiglie è necessario
aumentarne la viscosità intrinseca fino a valori di circa
0,80 dl/g (in fenolo/tetracloroetano) mediante un successivo processo di post-polimerizzazione in stato solido (SSP, Solid State Polycondensation; Pilati, 1989b),
come descritto più avanti.
A partire dagli anni Ottanta la disponibilità di acido
tereftalico di purezza elevata ha spinto molti produttori
di PET a modificare il primo stadio dell’impianto utilizzando il TA al posto del DMT. Questa modifica comporta in primo luogo una reazione di esterificazione diretta tra TA ed EG con formazione di acqua come sottoprodotto, invece di metanolo, e quindi rispetto al processo
che utilizza DMT ha il vantaggio di non prevedere metanolo come sottoprodotto da gestire:
HO
HO
(
O
O
C
C
CH2
CH2 O
OH HO
CH2
CH2
OH
O
O
C
C O CH2 CH2 OH
H2O
)
x
La scarsa solubilità del TA in EG, soprattutto all’inizio del primo stadio, richiede un mescolamento più
efficiente; la diversa reazione (esterificazione diretta)
modifica leggermente anche le condizioni in cui avviene il primo stadio, in quanto la presenza di catalizzatori è meno importante (la presenza di gruppi carbossilici è sufficiente a catalizzare la reazione); è inoltre sufficiente un minor eccesso di EG rispetto alla quantità
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
stechiometrica. Il prodotto ottenuto al termine del primo
stadio è comunque molto simile a quello ottenuto col
processo visto precedentemente (salvo un valore medio
di x leggermente più alto) per cui il secondo stadio del
processo è sostanzialmente uguale a quello già descritto a partire da DMT.
Per la sintesi del PBT si utilizzano ancora processi a
due stadi come quelli appena visti, con piccole varianti.
Per esempio si utilizza esclusivamente DMT, in quanto
TA catalizzerebbe la trasformazione dell’1,4-butandiolo
(BD) in tetraidrofurano e come catalizzatore si impiega
un alcossido di titanio, molto più efficiente rispetto a quelli impiegati per il PET (questo catalizzatore sarebbe molto
efficiente anche nella polimerizzazione del PET, ma non
si utilizza in quanto produce un PET di colore giallo) e
capace di catalizzare sia la reazione del primo stadio sia
quella del secondo. La minor volatilità di BD rende più
difficile eliminarne l’eccesso nel secondo stadio di policondensazione, pertanto il rapporto molare iniziale dei
monomeri BD/DMT è minore che nel caso del PET, solitamente 1,4. Essendo poi la temperatura di fusione del
PBT più bassa di quella del PET (Tm232 °C), la temperatura di polimerizzazione nel secondo stadio è tipicamente di 240-250 °C, con particolare attenzione a non
superare questi valori in quanto le reazioni di degradazione, più veloci che per il PET, impedirebbero di ottenere pesi molecolari sufficientemente elevati.
Altre reazioni proposte per la sintesi di poliesteri
(Pilati, 1989a) non hanno interesse industriale per questi polimeri.
Polimerizzazione in stato solido
Gli elevati pesi molecolari, richiesti al PET per la
produzione di bottiglie, non si riescono a raggiungere
direttamente nel processo di polimerizzazione in massa
e il loro ottenimento comporta quindi un successivo processo di policondensazione in stato solido (Pilati, 1989b).
In questo processo granuli (di 10-30 mm3) di PET ottenuto per polimerizzazione in massa sono sottoposti prima
a un preriscaldamento di alcune ore a 150-170 °C, per
favorire la completa cristallizzazione del PET ed evitare che i granuli si agglomerino, e successivamente a un
riscaldamento prolungato (circa 24 ore), sotto vuoto o
in corrente di gas inerte, a una temperatura inferiore alla
temperatura di fusione (220-240 °C). La frazione di materiale amorfo contenuta nel PET si trova in questo modo
a una temperatura assai superiore a Tg, consentendo un’elevata mobilità alle catene e ai loro gruppi terminali; questi pertanto, essendo il catalizzatore aggiunto nel processo in massa ancora attivo, possono dare luogo a una
reazione del tutto uguale a quella di policondensazione
vista in precedenza, con formazione di EG. Quest’ultimo diffonde attraverso i granuli solidi e viene rimosso
dalla superficie, consentendo di spostare l’equilibrio verso pesi molecolari elevati. Le reazioni di degradazione,
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
che di fatto sono la causa che impedisce il raggiungimento di elevati pesi molecolari nel processo in massa,
e che sono caratterizzate da elevati valori di energia di
attivazione, sono molto rallentate dalla diminuzione della
temperatura del processo; la loro velocità diventa quindi trascurabile rispetto a quella della reazione di accrescimento del peso molecolare (caratterizzata da energie
di attivazione inferiore). Alla fine del processo il PET
già in forma di granuli è pronto per l’impiego. Le condizioni di processo sono tali che eventuali tracce di acetaldeide, formatasi nel processo di polimerizzazione in
massa, vengono ridotte a valori (
1 ppm) tali da non
creare problemi nelle successive applicazioni (l’acetaldeide, anche a livelli di una decina di ppm, potrebbe alterare le caratteristiche organolettiche dei liquidi contenuti nelle bottiglie).
Proprietà
Il PET, la cui struttura molecolare è rappresentabile
con la formula sotto indicata, è caratterizzato da una Tg
di 80 °C e una Tm di 265 °C:
(
O
O
C
C
O
CH2
CH2
O
)
n
Il PET possiede un ottimo rapporto proprietà/costo
e, in particolare, buone proprietà meccaniche, ottime proprietà elettriche e buone proprietà di resistenza ai solventi (Jadhav e Kantor, 1988). La bassa tendenza ad
assorbire umidità gli conferisce buone caratteristiche di
stabilità dimensionale e di conservazione delle proprietà,
anche in ambienti umidi. Nonostante questo insieme di
caratteristiche, le sue applicazioni per ragioni di lavorabilità (v. oltre) sono di fatto limitate alla produzione di
fibre, film e bottiglie. In particolare, nella produzione di
fibre tessili si sfrutta il fatto che i valori di Tg e Tm del
PET rendono i tessuti facilmente stirabili e più ingualcibili rispetto a quelli prodotti con altri tipi di fibre. Le
caratteristiche termiche e di stabilità dimensionale sono
premianti anche per la produzione di film usati come
supporto per pellicole fotografiche, lastre fotografiche
per usi medici, nastri magnetici per la produzione di
audio- e videocassette e anche per applicazioni in campo
elettrico (condensatori). Le ottime proprietà di barriera
al CO2, combinate alle buone proprietà meccaniche, a
un’eccellente qualità estetica e alla possibilità di utilizzare PET privo di additivi sono invece alla base del successo nell’impiego per la produzione di bottiglie per uso
alimentare e non solo. Inoltre, il PET è probabilmente il
polimero più facilmente riciclabile e questa sua ulteriore caratteristica contribuisce a estenderne l’impiego sia
nei campi di applicazione già descritti sia in nuovi settori come per esempio tubi, lastre per termoformatura,
lastre in materiale espanso, ecc.
895
MATERIALI POLIMERICI
Il PBT, la cui struttura molecolare è:
(
O
O
C
C
O
CH2
CH2
CH2
CH2
O
)
n
è caratterizzato da una Tg di 45 °C e una Tm di 232 °C.
La struttura molecolare, le principali transizioni termiche e le proprietà meccaniche e di resistenza ai solventi sono simili a quelle del PET, ma il suo costo è significativamente più alto. Per questo i campi di applicazione del PBT sono assai diversi da quelli del PET, e in
particolare sfruttano la sua elevata velocità di cristallizzazione, che lo rende particolarmente adatto per la produzione di oggetti per stampaggio a iniezione. Nella formulazione contenente fibre di rinforzo le sue proprietà
meccaniche migliorano ulteriormente e in particolare
l’HDT si avvicina alla temperatura di fusione, consentendo impieghi a temperature superiori a 200 °C.
Le sue caratteristiche di facile cristallizzabilità e di
resistenza ai solventi lo rendono adatto alla produzione
di miscele con il policarbonato, che trovano applicazioni interessanti nel settore automobilistico (paraurti). In
tab. 2 sono riportate le proprietà tipiche di alcune formulazioni di PET e PBT.
Lavorabilità
Le caratteristiche reologiche del PET, in particolare
la resistenza del fuso (melt strength), dipendono molto
dal peso molecolare ed è per questo che l’impiego di
PET nella tecnologia di estrusione-soffiatura o di iniezione-soffiatura con cui si producono le bottiglie richiede un PET di peso molecolare ottenibile solo dopo un
processo di SSP. Il PET, come ogni poliestere, può subire degradazione idrolitica ad alta temperatura, pertanto condizione imprescindibile per ottenere prodotti di
buona qualità è un efficiente essiccamento prima della
lavorazione (il contenuto di acqua residuo deve essere
0,04% o meglio 0,02%). Le reazioni di degradazione termica inoltre richiedono un accurato controllo della
temperatura del materiale durante il processo di lavorazione. Una volta scelto il ‘grado’ adatto al particolare
tipo di lavorazione e rispettando le condizioni sopra indicate, il PET è in teoria facilmente lavorabile con qualunque tecnologia. Tuttavia, come già accennato in precedenza, la sua bassa velocità di cristallizzazione in assenza di opportuni campi di forze ne limita fortemente gli
impieghi in articoli che prevedono lo stampaggio a iniezione. Le limitate applicazioni di questo tipo prevedono
l’uso di gradi additivati di nucleanti e/o l’impiego di
stampi riscaldati (130-140 °C) per accelerare la cristallizzazione ed evitare problemi di successiva deformazione dei pezzi stampati. Al contrario, le tecnologie per
la produzione di fibre, film e bottiglie traggono vantaggio dal fatto che la solidificazione avviene sotto l’azione di un campo di forze (monoassiale o biassiale) che
accelera il processo di cristallizzazione, dando origine a
prodotti dimensionalmente stabili. A differenza del PET,
il PBT cristallizza velocemente e quindi è largamente
utilizzato nello stampaggio a iniezione. Il suo costo più
elevato e anche alcune caratteristiche reologiche ne limitano invece l’uso in tecnologie come filatura, soffiatura
di bottiglie, ecc., tipiche del PET.
Tipi commerciali e applicazioni
Il limitato uso del PET nel campo dello stampaggio
è deducibile anche dal numero relativamente basso di
gradi commerciali (
100), prevalentemente rinforzati
con fibra di vetro. Alcuni dei nomi commerciali più noti
sono: Arnite (DSM), IMPET (Ticona), Petra (BASF),
Pocan (Bayer), Raditer (Radici), Rynite (DuPont), Ultradur (BASF).
tab. 2. Proprietà tipiche di alcune formulazioni di PET e PBT
Proprietà
Densità (gcm3)
Tg /Tm (espresse in °C)
PET caricato
PBT caricato
PET
PBT
con 30% di
con 30% di
non caricato fibra di vetro non caricato fibra di vetro
ASTM D1505
1,37
1,56
1,31
1,53
DSC
80/265
80/265
45/232
45/232
HDT (1,8 MPa) (°C)
ASTM D648
85
225
55
210
Modulo a trazione (GPa)
ASTM D790
2,8
Resistenza a trazione (MPa)
Allungamento a rottura (%)
Izod (Jm1)
Resistenza urto
senza intaglio/con intaglio
Resistenza alla fiamma
(1)
896
Norma
9,0
2,3
7,6
53(1)
158
52(1)
117
300
3
300
4
ASTM D256
(23 °C)
–/43
370/101
–/53
800/96
UL94
HB
HB
HB
HB
ASTM D638
a snervamento.
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
Le principali applicazioni dello stampaggio sono in
genere limitate ad articoli per l’impiego nel settore elettrico (connettori, portalampade, ecc.) e meccanico. Naturalmente il maggior impiego del PET riguarda: fibre per
uso tessile, geotessile, per rinforzo degli pneumatici, per
riempire piumini e cuscini, ecc.; film per supporto di
pellicole fotografiche di ogni tipo, supporti magnetici,
film per la realizzazione di condensatori, lastre per termoformatura di oggetti vari (vassoi per contenere ortaggi, articoli per ristorazione, contenitori per cibi precotti, confezioni per farmaci, ecc.); espansi, bottiglie e contenitori vari per usi alimentari e non solo.
I marchi commerciali del PBT impiegati per lo stampaggio sono invece assai più numerosi (circa 500), tra cui
i più importanti sono: Arnite (DSM), Bergadur (PolyOne), Celanex (Ticona), Celestran (Ticona), Vandar (Ticona), Pocan (Bayer), Raditer (Radici), Crastin (DuPont),
Lumax e Lupox (LG Chemicals), Ultradur (BASF), Vestodur (Degussa AG). Le sue applicazioni sono in genere
legate alla produzione di piccoli oggetti, come alloggiamenti di piccoli elettrodomestici, componenti per i settori automobilistico ed elettrico, ecc.
12.6.4 Policarbonati
Generalità
Con il termine policarbonato (PC) vengono genericamente indicati i poliesteri lineari dell’acido carbonico
con composti diidrossilici alifatici o aromatici (Brunelle e
Kailasam, 2002). Nella pratica il materiale che ha trovato principale applicazione commerciale è il policarbonato
del bisfenolo A (BPA-PC), la cui struttura molecolare è:
(
O
CH3
O
C
O
C
CH3
)
n
Polimerizzazione interfacciale
Il processo industriale più largamente utilizzato per
la polimerizzazione del BPA-PC è basato sulla polimerizzazione interfacciale di bisfenolo A (BPA) e fosgene,
secondo la reazione:
OH (n1) Cl
C
CH3
O
RO
C
(
C
I processi in fuso basati su reazioni di transesterificazione rappresentano un’alternativa alla polimerizzazione interfacciale e al relativo impiego di solventi organici clorurati. Detto processo prevede la reazione di transesterificazione di BPA in presenza di difenilcarbonato
con catalisi basica. Nel primo stadio della reazione il
BPA e il difenilcarbonato vengono fatti reagire in fuso
in presenza di piccole quantità (
0,01%) di un catalizzatore basico (Na, Li, K, idrossidi o carbonati di tetraalchilammonio o di tetraalchilfosfonio). La temperatura
del sistema viene gradualmente aumentata da 180 a 300
°C. Secondo la reazione di equilibrio di seguito riportata si forma fenolo che deve essere eliminato in un secondo stadio della reazione, attraverso l’applicazione del
vuoto, in modo da spostare l’equilibrio della reazione
verso la formazione del prodotto BPA-PC a elevato peso
molecolare:
C
n HO
O
CH3
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
C
)
OH n
C
Cl
H
O
O
CH3
CH3
ROH
OH
CH3
O
Polimerizzazione per transesterificazione
(processo in fuso)
O
CH3
n HO
Tale processo prevede l’addizione, sotto forte agitazione, di fosgene a un sistema costituito da una fase
acquosa basica contenente BPA e un ‘terminatore di catena’ monofunzionale (1-5%; per esempio, fenolo, p-tbutilfenolo o p-cumilfenolo) e da una fase organica costituita da metilene cloruro contenente piccole quantità
(0,1-3%) di un’ammina terziaria che svolge la funzione
di catalizzatore ‘a trasferimento di fase’. La temperatura del sistema è generalmente mantenuta fra 10 e 35 °C.
Al fine di mantenere il pH in un intervallo di valori ottimale (pH10-12), vengono continuamente addizionate
soluzioni acquose di NaOH. L’efficienza del mescolamento è di fondamentale importanza per garantire un
efficace contatto fra le diverse fasi presenti: BPA solido, fosgene gassoso, metilene cloruro (in cui si trova
solubilizzato il polimero formato) e soluzione acquosa
(in cui si concentra NaCl, sottoprodotto della reazione).
Al termine della reazione, la fase organica viene lavata
prima con acido (per eliminare residui basici) e poi con
acqua.
(
OR 2(n1) HCl
O
O
C
CH3
(2n1)
n
C
O
cat.
CH3
O
O
C
)
O
n
OH
Negli ultimi stadi della reazione il polimero fuso
diventa altamente viscoso e sono necessari particolari
897
MATERIALI POLIMERICI
sistemi per garantire un’efficiente eliminazione del sottoprodotto fenolo.
Proprietà
La temperatura di transizione vetrosa del BPA-PC è
pari a circa 150 °C, valore insolitamente elevato se confrontato con quello tipico dei polimeri amorfi termoplastici più comuni e da attribuire alla struttura intrinsecamente rigida della sua catena macromolecolare. Conseguentemente, anche la temperatura di deflessione sotto
carico (HDT) è piuttosto elevata (circa 130 °C). Il BPAPC è inoltre caratterizzato da un’ottima stabilità termica ad alta temperatura in assenza di acqua e di ossigeno.
Il polimero essiccato può infatti essere riscaldato a 320
°C per diverse ore, o a temperature superiori per tempi
più bassi, mostrando soltanto una lieve degradazione.
Esso è inoltre intrinsecamente resistente agli acidi e alle
basi acquose, grazie al basso assorbimento di acqua della
resina, anche se basi nucleofile forti possono catalizzare la reazione di idrolisi. Come quasi tutti i polimeri termoplastici amorfi, anche il BPA-PC è scarsamente resistente ai solventi, in particolare è altamente solubile in
cloruro di metile e altri solventi alogenati (cloroformio,
cis-1,2-dicloroetilene, tetracloroetano), oltre che in tetraidrofurano, diossano, piridina e cresolo. Il BPA-PC viene
generalmente impiegato in assenza di riempitivi e rinforzanti ed è caratterizzato da valori di modulo elastico di
2-3 GPa, resistenza a rottura di 55-70 MPa e allungamento a rottura variabili fra il 10 e il 130%. Tuttavia, la
proprietà maggiormente premiante che caratterizza questo materiale nella classe dei tecnopolimeri è la sua elevata resistenza all’urto, con valori di Izod, relativamente a provini su cui è stato precedentemente praticato o
meno un intaglio, rispettivamente pari a 500-1.000 Jm1
e 1.500-2.000 Jm-1. In particolare, al contrario della
maggior parte dei polimeri che diventano fragili al di
sotto della loro temperatura di transizione vetrosa, il
BPA-PC rimane duttile fino a circa 10 °C.
Lavorabilità
Il BPA-PC può essere lavorato con tutti i processi
comunemente utilizzati per i materiali polimerici termoplastici. Il processo di trasformazione più largamente impiegato è lo stampaggio a iniezione, che tipicamente prevede temperature di processo di 275-325 °C
e pressioni di stampaggio di 70-140 MPa. Un accurato
essiccamento del materiale prima della trasformazione
è essenziale per evitare reazioni di idrolisi causate dall’acqua presente, che porterebbero a manufatti con pessime finiture superficiali oltre che a una marcata diminuzione del peso molecolare e quindi delle proprietà
meccaniche finali. Attraverso il processo di estrusione è
possibile ottenere film, fogli e profilati. Altri processi di
trasformazione utilizzati sono lo stampaggio di espansi
strutturali (structural foam moulding) che permette di
898
ottenere pezzi di grandi dimensioni con forze di chiusura relativamente basse, lo stampaggio a iniezione-soffiatura (injection blow moulding) per la realizzazione di
contenitori di diverse capacità e di globi protettivi per
applicazioni illuminotecniche e la termoformatura di
lastre estruse per schermi radar, insegne, schermi parabrezza, ecc.
Tipi commerciali e applicazioni
Di seguito sono riportati alcuni esempi di nomi commerciali del BPA-PC: Lexan (General Electric), Macrolon (Bayer), Caliber (Dow), Panlite (Teijin), Iupilon
(Mitsubishi).
Come già detto, le proprietà premianti del BPA-PC
sono la resistenza all’impatto, la trasparenza, la resistenza
alla combustione e la capacità di mantenere elevate proprietà meccaniche in un intervallo di temperature elevato, per cui il settore in cui trova la principale applicazione è quello delle lastre sostitutive di quelle in vetro
in tutti i casi in cui sono maggiormente probabili rotture (finestre e finestrini di aerei, treni, autovetture ed edifici scolastici). Esistono svariate altre applicazioni in
campi quali sicurezza (laminati antiproiettile con vetro
o altri materiali), industria automobilistica, illuminotecnica, imballaggio, applicazioni elettriche, elettroniche e
compact disc, applicazioni mediche e di prevenzione/sicurezza (caschi, bottiglie per biberon, ecc.).
12.6.5 Resine acetaliche
Generalità
Con il termine resine acetaliche si intende un insieme di polimeri e copolimeri derivati dalla formaldeide
che possiedono in catena prevalentemente unità costitutive del tipo
OCH2
n
Nel caso dell’omopolimero questa formula rappresenta anche l’unità ripetitiva, da cui il nome scientificamente più corretto di poliossimetilene (POM).
POM di peso molecolare sufficientemente alto, con proprietà meccaniche accettabili, è stato preparato per la
prima volta nella seconda metà degli anni Cinquanta
(McDonald, 1956) e introdotto sul mercato a partire dal
1960 dalla DuPont con il nome commerciale di Delrin.
Il POM con gruppi terminali OCH2OH è caratterizzato da una forte tendenza alla degradazione per depolimerizzazione. Questa sua scarsa resistenza termica ha
rappresentato uno dei principali problemi per lo sviluppo delle applicazioni di questo materiale, superato ricorrendo alla copolimerizzazione o a una modifica della
natura chimica dei gruppi terminali delle catene polimeriche. Il POM stabilizzato è un polimero altamente cristallino che possiede un insieme interessante di proprietà
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
meccaniche (modulo elastico, resistenza, tenacità, fatica), basso coefficiente di attrito, stabilità dimensionale,
buone proprietà di resistenza chimica e facilità a essere
stampato anche in forme complesse e a tolleranza ristretta (Dolce e Grates, 1985).
Polimerizzazione e stabilizzazione termica
I monomeri utilizzati per la preparazione di resine
acetaliche sono principalmente la formaldeide o il suo
derivato triossano (trimero ciclico), ma anche eteri ciclici, in particolare ossido di etilene. Per ottenere POM
omopolimero si possono usare come monomeri sia formaldeide sia triossano; la formaldeide polimerizza facilmente, con un meccanismo a catena che può essere di
tipo sia anionico sia cationico, usando iniziatori quali
ammine, fosfine, acidi minerali, acidi di Lewis, ecc. La
presenza di impurezze durante la polimerizzazione, quali
acido formico, acqua, metanolo o altri composti ossidrilati, accelera le reazioni di trasferimento del centro
attivo e limita la crescita del peso molecolare, per cui la
formaldeide usata per la produzione di POM deve essere anidra ed estremamente pura per riuscire a ottenere
pesi molecolari sufficientemente elevati. I processi industriali di polimerizzazione della formaldeide sono prevalentemente di tipo anionico e in letteratura si può trovare una descrizione dettagliata del meccanismo della
polimerizzazione (Vogl, 1975). Anche il triossano polimerizza facilmente, ma in questo caso si preferisce un
iniziatore cationico e acqua come cocatalizzatore; la polimerizzazione procede per apertura di anello e anche in
questo caso è necessario purificare a fondo i prodotti per
evitare reazioni di trasferimento, che impedirebbero il
raggiungimento di pesi molecolari sufficientemente alti.
Come accennato in precedenza, il POM con gruppi ossidrili terminali è molto instabile termicamente e come
tale non sarebbe lavorabile per cui è necessario, durante il processo di polimerizzazione o immediatamente
dopo, introdurre modifiche nella struttura molecolare
per ottenere una ‘stabilizzazione’ delle catene polimeriche. I principali metodi di stabilizzazione delle catene
prevedono la copolimerizzazione con eteri ciclici diversi dal triossano e/o la trasformazione dei gruppi ossidrilici terminali in gruppi acetossi, etere, uretano (end capping). Per questa ragione molte resine commerciali sono
dei copolimeri, generalmente ottenuti dalla polimerizzazione di triossano con ossido di etilene o 1,3-diossolano (dallo 0,1 al 15% in moli) con meccanismo cationico. Durante la polimerizzazione avvengono reazioni di
transacetalizzazione, tra i centri attivi alle estremità delle
catene in crescita e i gruppi etere interni alle catene, che
contribuiscono a ridistribuire in modo statistico le unità
OCH2 e OCH2CH2 nelle catene e determinano una distribuzione dei pesi molecolari con indice di
polidispersità, Mw/Mn, molto prossimo a 2. La presenza
in catena di unità etilenossido blocca la propagazione
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
della reazione di depolimerizzazione e rende quindi i
copolimeri intrinsecamente più stabili del POM omopolimero. Ovviamente, quanto maggiore è la percentuale
di unità etilenossido introdotte in catena nella fase di polimerizzazione, tanto più è probabile che un terminale di
catena sia di tipo OCH2CH2OH e tanto più sarà corto il segmento di catena ( OCH2
)x che verrà consumato prima di incontrare un’unità ( OCH2CH2
) che bloccherà la continuazione della depolimerizzazione. Per evitare anche questa limitata depolimerizzazione che, iniziando da un terminale di tipo OCH2CH2
( OCH2
)x OH,
prosegue fino a consumare le x unità OCH2, si può
sottoporre il copolimero a un post-trattamento di riscaldamento, generalmente in miscelatori interni o in estrusori attrezzati per lo sfiato dei gas, o di idrolisi alcalina.
Mediante questi post-trattamenti si consumano tutti i segmenti terminali ( OCH2
)x OH, lasciando alle estremità
di catena solo gruppi OCH2CH2OH incapaci di iniziare la depolimerizzazione delle catene. Poiché i centri
attivi in grado di dare inizio a depolimerizzazione si possono generare occasionalmente all’interno delle catene
per l’azione di ossigeno o di altre impurezze, la presenza di unità etilenossido in catena garantisce una maggiore stabilità delle resine acetaliche. Per il POM omopolimero, ma anche per i copolimeri, si possono disattivare i gruppi ossidrili terminali attraverso reazioni di
alchilazione, con formazione di gruppi etere terminali,
oppure di acetilazione, con anidride acetica e formazione di gruppi acetossi terminali o con isocianati e formazione di gruppi uretano. La velocità di depolimerizzazione del polimero, con formazione di monomero,
senza terminali bloccati è stata stimata in 0,4-0,8% al
minuto alla temperatura di 220 °C e può essere ridotta
allo 0,1% al minuto dopo trattamento di end capping o
per copolimerizzazione. Oltre alle cause già viste, e come
la maggior parte dei polimeri, le resine acetaliche sono
soggette a fenomeni degradativi innescati dalla presenza di ossigeno e/o radiazioni, per cui devono essere stabilizzate con adeguati antiossidanti. Inoltre, per aumentarne la stabilità, solitamente si aggiungono alle resine
acetaliche anche sostanze capaci di neutralizzare eventuali tracce di formaldeide che per ossidazione potrebbe rapidamente trasformarsi in acido formico, che a sua
volta potrebbe promuovere la depolimerizzazione, anche
se presente in piccole quantità; poliammidi solubili,
ammidine, epossidi sono esempi di additivi adatti a tale
scopo. I processi industriali per la produzione di resine
acetaliche possono essere in massa, in soluzione, in
sospensione e in fase vapore. Essi generalmente includono, oltre al reattore di polimerizzazione, sistemi per
una purificazione spinta del monomero, reattori per la
reazione di end capping nel caso di omopolimeri o sistemi di post-trattamento per copolimeri, attrezzature
per il lavaggio e l’essiccamento e infine un’unità di miscelazione degli additivi necessari (compounding). Un
899
MATERIALI POLIMERICI
possibile esempio di processo per la produzione di omopolimero prevede la polimerizzazione della formaldeide in presenza di cicloesano, iniziata da tri-n-butilammina, e di un eventuale agente di trasferimento di catena per il controllo del peso molecolare. La temperatura
del reattore è mantenuta a 40 °C e il polimero che si
forma, insolubile nel solvente, viene separato per filtrazione e quindi disperso in anidride acetica, con cui
gli ossidrili terminali reagiscono (a 140 °C) in presenza di acetato di sodio come catalizzatore. Il polimero è
quindi separato per filtrazione, purificato con solventi
dall’eccesso di anidride acetica, catalizzatore, acido acetico ed eventuali altre impurità, essiccato e additivato
con stabilizzanti. Nel caso di copolimeri un possibile
processo prevede la polimerizzazione in massa (a 170200 °C) di triossano e dei comonomeri iniziata da un
complesso formato da trifluoruro di boro e dibutiletere, ed eventualmente in presenza di un agente di trasferimento per il controllo del peso molecolare. Il polimero ottenuto, eventualmente macinato, viene inviato a un
reattore dove un lavaggio alcalino rimuove formaldeide, triossano e altre impurezze, e successivamente, a
100 °C, favorisce l’idrolisi dei tratti di catena terminali ( OCH2
)x OH. Dopo essiccamento si inglobano gli
additivi stabilizzanti. Valori tipici di peso molecolare dei
prodotti commerciali variano tra 20.000 e 90.000. A volte
si usano diisocianati per ottenere pesi molecolari maggiori attraverso la loro reazione con i gruppi terminali
OH di due diverse catene (chain extension).
Proprietà
Le resine acetaliche, caratterizzate da strutture molecolari molto flessibili e prive di gruppi laterali ingombranti,
sono polimeri altamente cristallini con gradi di cristallinità
che possono arrivare a valori prossimi all’80% in peso per
gli omopolimeri, ma che si riducono progressivamente fino
al 60% per i copolimeri, in relazione alla quantità di
comonomeri inglobati. La temperatura di fusione, Tm,
varia da 175 °C per gli omopolimeri a 165 °C per i copolimeri, e quindi le resine acetaliche sono caratterizzate
da una temperatura massima d’uso abbastanza alta, come
risulta dalla temperatura di deflessione sotto carico (HDT),
pari rispettivamente a 136 e a 110 °C (a 1,8 MPa) per
omopolimeri e copolimeri. L’elevato grado di cristallinità conferisce alle resine acetaliche un’elevata resistenza
a quasi tutti i solventi alle normali temperature d’uso;
esse diventano solubili in molti solventi polari altobollenti a temperature prossime alla temperatura di fusione
(100-160 °C). Parallelamente si osserva una buona resistenza chimica rispetto alla maggior parte dei solventi
organici, mentre va segnalata la scarsa resistenza rispetto agli acidi forti; anche ambienti alcalini possono risultare pericolosi per polimeri con terminali acetilati che
possono idrolizzarsi e dare inizio a reazioni di depolimerizzazione. Le resine acetaliche si caratterizzano per
un insieme ben bilanciato di buone caratteristiche meccaniche, riassumibili in modulo elastico e resistenza relativamente elevati, anche senza l’impiego di rinforzanti,
discreta tenacità (allungamenti a rottura relativamente
alti) e buona resistenza a creep e a fatica, anche in presenza di acqua e di alcuni tipi di solventi. I copolimeri
hanno valori di modulo elastico e di resistenza leggermente inferiori e tenacità leggermente superiore. Alcuni valori indicativi di proprietà meccaniche per omopolimeri e copolimeri sono riportati in tab. 3.
Se ben stabilizzate le resine acetaliche mantengono
buone proprietà meccaniche anche per lunghi tempi di funzionamento a temperature relativamente alte; per esempio, si è osservato che la resistenza a trazione dell’omopolimero diminuiva solo del 20% dopo riscaldamento a
60 °C per 5 anni o a 82 °C per 1,5-2 anni. In relazione
al tipo di resina acetalica le norme UL stabiliscono una
tab. 3. Proprietà tipiche di alcune formulazioni per resine acetaliche
Proprietà
Norma
Densità (gcm3)
ASTM D1505
Tg /Tm (espresse in °C) a 10 °C
HDT (1,8 MPa) (°C)
min1
DSC
ASTM D648
1,42
(1)
/175
Copolimero
non caricato
1,41
(1)
/165
Omopolimero
caricato con 25%
di fibra di vetro
1,58
(1)
/178
136
110
172
Modulo a trazione (GPa)
3,1
2,8
9,5
Resistenza a trazione (MPa)
69(2)
61(2)
140
23-75
40-75
3
ASTM D256
(23 °C)
–/69-122
–/53-80
50(3) /8(3)
UL94
HB
HB
HB
ASTM D638
Allungamento a rottura (%)
(Jm1)
Resistenza urto Izod
senza intaglio/con intaglio
Resistenza alla fiamma
(1) i
900
Omopolimero
non caricato
valori di Tg riportati in letteratura per POM variano da 85 a 10 °C; (2) a snervamento; (3) prove Charpy.
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
temperatura continua di uso di 75-100 °C per impieghi
in cui siano importanti le proprietà meccaniche con e
senza urto e di 105 °C per impieghi in cui siano importanti le proprietà elettriche.
La resistenza alla fiamma delle resine acetaliche è
bassa (HB, Horizontal Burning, secondo le norme UL94).
Una delle caratteristiche premianti delle resine acetaliche è il basso coefficiente di attrito rispetto al contatto con altre resine acetaliche, metalli e altri polimeri.
Premianti da un punto di vista applicativo sono anche le
qualità estetiche, come gradevolezza al tatto, brillantezza delle superfici, ampia scelta di colori, ecc.
Lavorabilità
La struttura molecolare delle resine acetaliche, alta
flessibilità e basso ingombro sterico, rende particolarmente facile la loro cristallizzazione e consente di raggiungere elevati gradi di cristallinità anche per raffreddamento veloce. Queste caratteristiche, coniugate a un’alta fluidità, fanno diventare molto interessanti le resine
acetaliche in termini di lavorabilità per stampaggio a
iniezione, anche con stampi a multicavità e per manufatti con pareti sottili. Naturalmente, presupposto indispensabile per una facile e buona lavorazione è che le
resine siano ben stabilizzate e che sia evitato il contatto
con contaminanti (per esempio derivanti dall’uso della
stessa pressa con cui in precedenza erano stati lavorati
altri polimeri) che possano indurre depolimerizzazione.
In particolare è da evitare lo stampaggio di resine acetaliche in una pressa in cui in precedenza siano stati stampati PVC, poliammidi o acetato di cellulosa (oppure è
necessario ‘pulirla’ molto bene).
Le temperature tipiche di stampaggio variano da 180
a 220 °C in relazione al grado impiegato. Per evitare
l’insorgere di fenomeni degradativi intollerabili in termini di deterioramento delle proprietà è bene evitare di
raggiungere 250 °C. Le temperature dello stampo possono variare da 65 a 120 °C. È tollerato l’utilizzo di
scarti di lavorazione, purché siano aggiunti in misura
ridotta (
15%) al polimero vergine. Il materiale viene
generalmente essiccato a 80 °C per 2-4 ore se il contenuto di acqua nella resina è superiore allo 0,2 %. Con
le stesse precauzioni descritte sopra, la maggior parte
delle resine acetaliche commerciali può essere lavorata anche per estrusione per produrre barre, tubi, lastre,
profilati, ecc., che possono poi essere trattati con macchine utensili. Le resine acetaliche possono essere stampate anche con stampaggio rotazionale (rotomoulding),
ma esistono invece pochi gradi commerciali per lo stampaggio-soffiatura di contenitori. È possibile ottenere
resine acetaliche espanse, con densità inferiori fino al
40% rispetto a quelle non espanse. Una mancata osservanza delle condizioni di stampaggio indicate dal fornitore può causare la formazione di formaldeide, che
può risultare nociva per la salute degli operatori in caso
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
di esposizioni prolungate; per questo è consigliabile
predisporre nella zona di lavorazione adeguati sistemi
di aspirazione/abbattimento dei vapori e di rilevazione
della formaldeide.
Tipi commerciali e applicazioni
I gradi commerciali delle resine acetaliche a diverso
indice di fluidità e variamente formulate sono oltre 700;
tra i nomi commerciali più conosciuti ricordiamo Delrin (DuPont), Celcon (Ticona), Ultraform (BASF), Alcom
(Albis Plastics), Tenac (Ashai Chemical), Kepital
(Network Polymers), Edgetek-AT (PolyOne), Pomalux
(Westlake Plastics), Latilub (LATI), RTP (RTP Company). Esistono gradi adatti allo stampaggio a iniezione di oggetti a pareti sottili (ad alta fluidità, easy flow
grades), per estrusione, rinforzati con fibre, caricati
con PTFE per prodotti a basso coefficiente di attrito e
resistenti all’usura, supertenaci, additivati con antistatici, ecc.
I principali utilizzi dei diversi gradi di resine acetaliche includono varie applicazioni: in campo automobilistico, dove si sfrutta la buona resistenza chimica rispetto a benzine, oli e vapori usualmente presenti nel vano
motore; articoli per impianti idraulici, poiché le proprietà
meccaniche di un copolimero risultano praticamente
invariate dopo un anno di contatto con acqua a 82 °C; in
ingranaggi, cuscinetti e parti di macchinari a cui siano
richieste basse tolleranze di progetto, proprietà autolubrificanti e buona resistenza all’usura e alla fatica; in
componenti elettronici, dispositivi elettrici, alloggiamenti
per piccoli elettrodomestici, apparecchiature da ufficio,
valvole, ventole, ecc.
12.6.6 Polifenileneteri
Generalità
I polifenileneteri (PPE), noti anche come polifenilenossidi (PPO) o poliossifenileni, rappresentano una
classe di polimeri ottenibili per polimerizzazione ossidativa di fenoli sostituiti (Hay et al., 1959). L’accoppiamento ossidativo del 2,6-dimetilfenolo porta alla formazione del poli(2,6-dimetil-1,4-fenilenossido) che è
di gran lunga il più importante polimero appartenente
a questa classe e attualmente il solo di importanza commerciale. Per problemi di lavorazione e costi questo polimero non viene generalmente utilizzato come tale ma
in miscela con altri polimeri come il polistirene e le
poliammidi.
Polimerizzazione
Numerose sono le reazioni proposte per la preparazione del poli(2,6-dimetil-1,4-fenilenossido), noto anche
con il nome commerciale di PPO. Limitatamente al processo industriale, una soluzione di 2,6-dimetilfenolo in
901
MATERIALI POLIMERICI
toluene viene fatta reagire con ossigeno alla temperatura di 20-60 °C in presenza di composti del rame o del
manganese e ammine. La reazione è veloce ed esotermica e, attraverso un complicato meccanismo, porta alla formazione del polifenilenossido in alte rese (White, 1989):
CH3
n
O2
OH
Cu/ammine
CH3
(
CH3
O
CH3
)
n
Al termine della polimerizzazione il catalizzatore
viene generalmente rimosso con agenti complessanti e
mediante estrazione liquido-liquido e il polimero viene
purificato e lavato tramite precipitazione utilizzando un
non-solvente come il metanolo. Il PPE commerciale risulta generalmente caratterizzato da un peso molecolare
medio ponderale (Mw) di 32.000-40.000.
Analogamente al 2,6-dimetilfenolo, altri fenoli 2,6bisostituiti con gruppi alchilici, arilici o atomi di cloro
o bromo sono stati utilizzati con successo per ottenere
mediante reazione di accoppiamento ossidativo polifenileneteri in buona resa (White, 1989). A esclusione
comunque di un parziale successo del poli(2,6-difenil1,4-fenilenossido) questi polimeri non hanno finora trovato un interesse industriale e commerciale.
Proprietà del polimero e delle sue miscele
Il poli(2,6-dimetil-1,4-fenilenossido) è un polimero
termoplastico lineare amorfo, caratterizzato da una temperatura di transizione vetrosa di 205-210 °C, una densità di 1,06 gcm3 e da buone caratteristiche meccaniche in un ampio intervallo di temperature, comprese
temperature molto basse (conserva buona resistenza
all’impatto anche a 200 °C). Altre caratteristiche premianti di questo polimero sono l’ottima stabilità dimensionale, le buone proprietà elettriche, il basso assorbimento di acqua, la buona resistenza agli acidi e alle
basi. La solubilità in alcuni solventi organici risulta al
contrario critica. Alcune delle proprietà caratteristiche
di questo polimero sono riportate in tab. 4.
Il problema maggiore nell’utilizzo del PPE è legato
alla sua processabilità: l’alta temperatura di transizione
vetrosa e l’elevata viscosità del fuso richiedono infatti
temperature di trasformazione molto alte (300-350 °C)
alle quali il PPE risulta generalmente termossidativamente
instabile. Anche per questa ragione esso non viene generalmente utilizzato come tale, ma in miscela con altri polimeri. Per esempio, la temperatura di lavorazione può essere notevolmente abbassata per semplice addizione di polistirene (PS), il quale, oltre a un costo contenuto, ha una
Tg di 100 °C, è facilmente lavorabile e termodinamicamente miscibile con il PPE a tutte le composizioni. Il
valore della temperatura di transizione vetrosa e della
viscosità in fuso di miscele PPE-PS varia con un andamento praticamente lineare tra i valori dei due omopolimeri. Le proprietà e i costi di queste miscele sono quindi facilmente modulabili sulla base della quantità di PS
e anche dell’addizione di altre sostanze come fibre di
vetro, antiUV, antifiamma o agenti rigonfianti. Per esempio, la presenza di particelle di gomma (generalmente di
polibutadiene) che derivano dall’utilizzo di polistirene
antiurto (HIPS, High Impact PolyStyrene) provoca un
significativo aumento della tenacità, mentre l’addizione
di trifenilfosfito in quantità fino al 15% permette di ottenere materiali con ottime proprietà antifiamma.
Numerosi sono quindi i materiali ottenibili da queste diverse formulazioni e attualmente commercializzati. In tab. 4 sono state riportate a puro titolo di esempio
le proprietà di due miscele commerciali PPE-HIPS non
caricate a diversa composizione (low heat a minore contenuto di PPE, high heat a maggiore contenuto di PPE)
e di una miscela commerciale PPE-HIPS caricata con
30% di fibre di vetro.
Le caratteristiche generali di queste miscele sono le
buone proprietà meccaniche ed elettriche, la stabilità dimensionale, il basso assorbimento in acqua e l’eccellente
tab. 4. Proprietà tipiche del PPE e di alcune miscele PPE-HIPS commerciali
Norma
PPE (1)
Noryl N190 (2)
Noryl 731(3)
Noryl GFN3 (4)
Densità (gcm3)
ASTM D792
1,06
1,10
1,06
1,28
HDT (1,8 MPa) (°C)
ASTM D648
174
90
130
144
2,7
2,3
2,3(5)
8,0(5)
80
45
50
120
20-40
50
50
3
ASTM D256
(23 °C)
64
250
200
80
UL 94
V-0
V-0
HB
V-1
Proprietà
Modulo a trazione (GPa)
Resistenza a trazione (MPa)
ASTM D638
Allungamento a rottura (%)
Resistenza urto Izod
con intaglio
(Jm1)
Resistenza alla fiamma
(1) poli(2,6-dimetil-1,4
fenilenossido); (2) PPE-HIPS non caricato (low heat); (3) PPE-HIPS non caricato (high heat); (4) PPE-HIPS caricato con
30% di fibre di vetro e adatto per lo stampaggio a iniezione; (5) prove ISO 527.
902
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
stabilità idrolitica. Il limite maggiore resta legato alla
bassa resistenza ai solventi organici.
Oltre al PS anche le poliammidi (PA) sono state utilizzate in miscela con il PPE. Questi prodotti sono generalmente costituiti da una dispersione del PPE in PA6 o
PA6,6. Non essendovi miscibilità termodinamica tra i
due componenti, la necessaria compatibilizzazione viene
ottenuta mediante l’addizione, o la formazione in situ,
di copolimeri a blocchi PA-PPE che favoriscono la riduzione delle dimensioni dei domini e l’adesione tra le due
diverse fasi polimeriche. La presenza della PA provoca
un netto miglioramento della resistenza ai solventi organici e una diminuzione della viscosità del fuso, mentre
il PPE aumenta la resistenza meccanica, la rigidità e la
stabilità dimensionale e abbassa l’assorbimento di acqua
della PA. Analogamente ai prodotti modificati con PS,
questi materiali possono anche essere addizionati con
gomme (copolimeri a blocchi stirene-butadiene o gomme
EPDM, Ethylene-Propylene-Diene Monomer, sulle cui
catene sono innestate attraverso una reazione chimica
unità di anidride maleica), additivi antifiamma, antiUV
o opportunamente caricati con fibre. Una delle caratteristiche più interessanti di questi prodotti è la possibilità
di essere verniciati con ottime rese estetiche anche in
linee di verniciatura a caldo, tipiche del settore automobilistico. In tab. 5 sono riportate le proprietà di alcune
miscele commerciali PA-PPE non caricate e caricate con
10% e 30% di fibre di vetro.
Lavorabilità
La grande varietà di prodotti ottenibile per miscelazione del PPE con PS e con altri additivi rende possibile la preparazione di materiali con caratteristiche adatte
alle normali modalità di trasformazione, come lo stampaggio a iniezione, lo stampaggio per soffiatura, l’estrusione e la termoformatura. La lavorabilità e la temperatura di trasformazione variano in funzione della composizione della miscela. Per miscele a minore contenuto
di PPE queste temperature sono generalmente comprese tra 240 e 270 °C, mentre miscele a più alto contenuto di PPE (high heat) prevedono temperature di trasformazione più alte, generalmente comprese tra 270 e 300
°C. Anche la lavorabilità delle miscele PA-PPE non costituisce quindi in genere un problema e può essere condotta mediante stampaggio a iniezione, estrusione e stampaggio per soffiatura. In questo caso l’assorbimento di
umidità legato alla presenza della PA rende necessaria
una fase di essiccamento a circa 110 °C prima della trasformazione. Le temperature di lavorazione variano
ampiamente in funzione della composizione della miscela: tipiche temperature di stampaggio sono comunque
comprese tra 260 e 300 °C.
Tipi commerciali e applicazioni
Questi polimeri vengono principalmente utilizzati
nel settore automobilistico, nel settore elettrico e in
quello elettronico. Grazie alle buone proprietà di resistenza all’impatto, al calore e alla fiamma e alle buone
caratteristiche elettriche e dimensionali, unite a facile
lavorabilità, colorabilità e buona estetica del prodotto
finito, PPE-HIPS viene largamente utilizzato per esempio in alcune parti del cruscotto e nei sistemi di ventilazione e riscaldamento dell’auto, così come anche nei
piccoli accessori elettrici per la casa, nei personal computer, nei televisori, nei connettori o interruttori e in
alcune parti di lavatrici e frigoriferi. Alcuni nomi commerciali sono: Noryl (GE Plastics), Luranyl (BASF),
Vestoran (Degussa), Ashlene (Ashley Polymers),
PPX/NY (Polymer Resources Corporation), Edgetek
(PolyOne), disponibili in vari gradi che si differenziano, oltre che per composizione e presenza di cariche,
anche sulla base della diversa tecnologia di lavorazione. Anche le miscele polimeriche PA-PPE sono commercialmente disponibili in numerosi gradi; alcuni
nomi commerciali sono Noryl GTX (GE Plastics) e
PPX (Polymer Resources Corporation). Questi ultimi
tab. 5. Proprietà tipiche di alcune miscele PA-PPE commerciali
Proprietà
Densità (gcm3)
HDT (1,8 MPa) (°C)
Norma
Noryl GTX914 (1)
Noryl GTX810 (2)
Noryl GTX830 (3)
ASTM D792
1,09
1,16
1,32
ASTM D648
175
225
2,1(5)
3,2(5)
7,3(5)
55
90
160
100
15
3
ASTM D256
(23 °C)
250
80
85
UL 94
HB
HB
HB
Modulo a trazione (GPa)
Resistenza a trazione (MPa)
ASTM D638
Allungamento a rottura (%)
Resistenza urto Izod
con intaglio
(Jm1),
Resistenza alla fiamma
(1)
(4)
180
(4)
PA-PPE non caricato (multi-purpose grade); (2) PA-PPE caricato con 10% di fibre di vetro;
valore di HDT determinato a 0,46 MPa (ISO 75); (5) prove ISO 527.
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
(3)
PA-PPE caricato con 30% di fibre di vetro;
903
MATERIALI POLIMERICI
polimeri, grazie a migliori caratteristiche di resistenza
chimica e verniciabilità, hanno trovato particolare applicazione nella parte esterna dell’automobile – paraurti,
griglie, spoiler, parafanghi – e nella pannellatura interna in genere.
O
O
Cl
CH3
C
n
Cl n HO
C
OH
CH3
O
(
12.6.7 Poliarilati
Generalità
I poliarilati sono poliesteri completamente aromatici generalmente preparati da acidi dicarbossilici aromatici e fenoli, che furono introdotti sul mercato nel
1974 dalla Unitika (Giappone) e nel 1978 dalla Union
Carbide (USA; Robeson e Tibbitt, 1986). A causa dell’elevato numero di monomeri potenzialmente utilizzabili, la famiglia dei poliarilati è numerosa e comprende polimeri liquido-cristallini (LC) altamente orientabili, come il poliestere dall’acido p-idrossibenzoico
(A), polimeri semicristallini ad alta e media cristallinità come quelli derivanti da diacidi e fenoli simmetrici come l’acido tereftalico e il 4-4-difenolo (B), e polimeri completamente amorfi come quello derivato dalla polimerizzazione del bisfenolo A con una miscela
di acidi iso- e tereftalico (C), che è il componente più
importante di questa famiglia dal punto di vista commerciale:
A
B
(
(
O
C
O
O
O
C
C
)
n
O
O
)
O
CH3
C
C
O
CH3
(
CH3
C
O
O
CH3
)
n
O
C
n
C
2n HCl
O
n
O
O
)
La reazione può essere condotta sia in soluzione sia
mediante polimerizzazione interfacciale. Nel processo
in soluzione, che a sua volta può essere condotto a temperatura ambiente o a temperatura più alta (200-220 °C),
i due reagenti vengono fatti reagire in un solvente in presenza di quantità stechiometriche di una sostanza in grado
di neutralizzare l’acido cloridrico, come per esempio la
piridina o la trietilammina. Il processo interfacciale si
basa invece sul contatto tra una soluzione acquosa contenente il sale di un metallo alcalino del difenolo con una
soluzione organica, immiscibile con acqua, contenente
il cloruro dell’acido. La reazione avviene in questo caso
all’interfaccia, dove si forma un film di poliarilato il cui
peso molecolare viene generalmente controllato aggiungendo opportuni monomeri monofunzionali come terminatori di catena.
Processo da diacetato. Il processo coinvolge la reazione di policondensazione di un acido dicarbossilico
aromatico con il derivato acetico di un difenolo. La
polimerizzazione viene condotta ad alta temperatura,
generalmente 270-300 °C in fuso, e necessita della continua rimozione dell’acido acetico che si forma durante la policondensazione, allo scopo di spostare l’equilibrio verso l’ottenimento di un polimero a elevato peso
molecolare:
HO
C
O
C
OH
O
n
n CH3
C
O
CH3
O
O
CH3
C
CH3
Polimerizzazione
Allo stato attuale la preparazione di poliarilati per
policondensazione diretta di acidi dicarbossilici aromatici con difenoli non ha ancora trovato realizzazione industriale; sono invece stati sviluppati vari processi a partire da alcuni loro derivati: dicloruri, diacetati ed esteri
difenilici (Dehan et al., 1989).
Processo da dicloruro. Un dicloruro acilico come
quello derivante dall’acido iso- o tereftalico viene fatto
reagire con un difenolo, come il bisfenolo A, formando
un poliarilato e acido cloridrico:
904
O
(
O
CH3
C
C
O
O
2n CH3
CH3
)
n
O
C
OH
Processo da difenilestere. In questo caso il reagente che
viene utilizzato è l’estere fenilico di un acido dicarbossilico
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
aromatico che viene fatto reagire in fuso ad alta temperatura (270-300 °C) con un difenolo aromatico. La reazione di transesterificazione porta alla formazione di un
poliarilato e di fenolo che, come nel caso precedente,
deve essere continuamente rimosso se si vuole ottenere
un polimero ad alto peso molecolare:
O
O
O
C
C
n
O
CH3
n HO
OH
CH3
O
(
O
CH3
C
C
O
O
CH3
)
2n
OH
n
In entrambi i processi condotti allo stato fuso, l’utilizzo di un estrusore dotato di sfiato per le sostanze volatili permette, al termine della polimerizzazione, una più
efficace rimozione del prodotto di condensazione. Un
incremento di peso molecolare del polimero può inoltre
essere ottenuto mediante un processo di post-polimerizzazione allo stato solido (solid state polymerization) in
modo analogo a quanto avviene per il PET.
Proprietà
I poliarilati presentano in genere proprietà termiche
e meccaniche buone o ottime. Il poliarilato derivante da
una miscela di iso- e tereftalato e bisfenolo A è, per
esempio, un polimero amorfo e trasparente che presenta
proprietà meccaniche, elettriche e di resistenza alla fiamma simili a quelle del PC ed è caratterizzato, rispetto a
quest’ultimo polimero, da un migliore comportamento a più alte temperature. La sua temperatura di deflessione sotto carico risulta maggiore di quella del PC con
un valore che dipende dal rapporto tra le unità iso- e
tereftalato (circa 160 °C per il rapporto 1:1). Alcune
proprietà di un polimero commerciale del tipo isotereftalato con bisfenolo A (Ardel D-100) sono riportate nella tab. 6. Particolarmente interessante risulta la
resistenza alla radiazione UV pur in assenza di stabilizzanti; questo materiale, quando esposto alla radiazione UV, subisce sulla superficie del manufatto un riarrangiamento molecolare (photo-Fries rearrangement)
con formazione di prodotti (idrossibenzofenoni) in grado
di proteggere il materiale sottostante. Questo fenomeno provoca un leggero ingiallimento sulla superficie
del materiale ma permette una buona conservazione
delle proprietà meccaniche anche in ambienti con forte
esposizione alle radiazioni UV. Altre proprietà caratteristiche di questo polimero sono: la buona trasparenza
(simile a quella del PC e del PMMA, polimetilmetacrilato) e le buone proprietà elettriche e di resistenza
alla fiamma.
All’altro estremo della famiglia dei poliarilati si
trovano i polimeri liquido-cristallini, che rappresentano uno degli sviluppi più interessanti e recenti nel settore delle materie plastiche (Bhowmik e Han, 1997).
Questi polimeri presentano allo stato fuso, in determinati intervalli di temperatura, caratteristiche intermedie allo stato solido cristallino (struttura ordinata) e liquido (struttura disordinata e mobile), chiamato appunto stato liquido cristallino. La struttura nematica, che
caratterizza i poliesteri LC commerciali, prevede un
allineamento degli assi longitudinali delle catene polimeriche con i centri di gravità irregolarmente distribuiti che sotto l’azione di uno sforzo di taglio, normalmente presente nella trasformazione dei polimeri
termoplastici, provoca un allineamento delle catene che
tab. 6. Proprietà tipiche di alcuni poliarilati commerciali
Proprietà
Densità (gcm3)
Norma
Ardel D-100 (1)
Vectra A115 (2)
Xydar G-930 (3)
ASTM D792
1,21
1,5
1,6
Tg /Tm (espresse in °C)
DSC
190/–
–/280
–/320
HDT (1,8 MPa) (°C)
ASTM D648
174
240
271
2,1
12,0(4)
15,8
69
200(4)
135
50
3,1(4)
1,6
ASTM D256
(23 °C)
210
55(5)
85
UL 94
V-0
V-0
V-0
Modulo a trazione (GPa)
Resistenza a trazione (MPa)
ASTM D638
Allungamento a rottura (%)
Resistenza urto Izod
con intaglio
(Jm1)
Resistenza alla fiamma
(1)
polimero isotereftalato con bisfenolo A; (2) polimero LC per stampaggio a iniezione, caricato con il 15% di fibre di vetro; (3) polimero LC per
stampaggio a iniezione, caricato con il 30% di fibre di vetro; (4) prove ISO 527; (5) prove ISO 180.
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
905
MATERIALI POLIMERICI
viene mantenuto nello stato solido ed è responsabile
delle peculiari proprietà anisotrope di questi materiali. A titolo di esempio, in tab. 6 sono riportate le proprietà caratteristiche di due di questi polimeri LC termoplastici commerciali caricati con fibre di vetro e utilizzabili nello stampaggio a iniezione. Da notare il
valore eccezionalmente alto di HDT che permette un’utilizzazione del materiale anche a temperature maggiori di 200 °C. Altre proprietà caratteristiche dei polimeri LC sono la bassa viscosità del fuso, il basso coefficiente di espansione termica, la buona resistenza ai
solventi organici, alla fiamma e alle radiazioni e il basso assorbimento di acqua. La resistenza agli acidi e alle basi forti è tuttavia relativamente bassa, così come,
per effetto dell’anisotropia, risulta minore la resistenza meccanica in direzione perpendicolare all’orientamento delle catene.
Lavorabilità
A causa della possibile degradazione idrolitica, la
lavorazione di questi materiali deve essere preceduta da
una fase di essiccamento a circa 150 °C per varie ore.
Sia i poliarilati amorfi sia i polimeri LC commerciali
possono essere generalmente lavorati e trasformati
mediante tecniche convenzionali, ivi compreso, per gradi
adatti, lo stampaggio a iniezione. In questo caso i polimeri LC, pur necessitando di alte temperature (in genere comprese tra 300 e 360 °C) a causa dell’elevato punto
di fusione, hanno la particolarità, grazie alla bassa viscosità del fuso, di riuscire a riempire con facilità anche
stampi con cavità lunghe e sottili.
Tipi commerciali e applicazioni
Poliarilati sono attualmente disponibili sul mercato
con il nome commerciale di Ardel (Amoco), U-Polymer
(Unitika) e Durel (Hoechst Celanese). Le principali applicazioni sono legate al settore elettrico ed elettronico, come connettori e interruttori, lampade, componenti
per celle solari e componenti per dispositivi ottici. In
particolare, per i polimeri LC sono in commercio alcuni prodotti che hanno come nomi commerciali Vectra
(Ticona) e Xydar (Solvay) e che finora hanno trovato
particolari applicazioni come schede e componenti per
l’elettronica, nei connettori elettrici e come componenti nei dispositivi ottici, nelle fibre ottiche, nei motori e
nei dispositivi medicali.
12.6.8 Polisolfoni
Generalità
Commercializzati per la prima volta a metà degli anni
Sessanta dalla Union Carbide, i polisolfoni (PSU, polysulphones) sono materiali termoplastici amorfi caratterizzati da elevati pesi molecolari, con temperatura di
906
transizione vetrosa piuttosto elevata, solitamente compresa nell’intervallo 180-250 °C, e rappresentano una
versatile classe di polimeri per applicazioni ingegneristiche. La struttura molecolare è caratterizzata dalla presenza del gruppo difenilensolfone in catena principale:
O
S
O
La struttura a elevata risonanza di tale gruppo conferisce una particolare stabilità termica al polimero. Il
gruppo difenilensolfone è intrinsecamente resistente
all’ossidazione; questa proprietà rende possibile l’utilizzazione anche prolungata di questi materiali a temperature molto elevate, che possono superare 200 °C, e
in condizioni di esposizione prolungata a umidità e vapore. I PSU con catena principale non aromatica risultano
meno stabili e meno interessanti dal punto di vista sia
applicativo sia commerciale. Sono commercialmente
disponibili diverse classi di PSU, che si differenziano per
la presenza, oltre a quello solfonile, di ulteriori gruppi
funzionali in catena principale, fra cui si possono citare
come maggiormente significativi i polietersolfoni, i polifenilensolfoni e i poliarileterisolfoni. Un certo grado di
flessibilità nella catena principale del polimero, altrimenti caratterizzata solo da gruppi scarsamente mobili
come il solfonile e gli anelli aromatici, risulta infatti
necessario per conferire tenacità e lavorabilità. Tale caratteristica è fornita mediante il legame etere e dal gruppo
isopropilidenico nel caso del PSU più diffuso sul mercato, il polisolfone del bisfenolo A (Udel Solvay) la cui
formula chimica è:
(
O
CH3
O
O
CH3
S
O
)
n
Polimerizzazione
I PSU possono essere preparati per policondensazione attraverso la formazione di un legame solfonilico, oppure mediante policondensazione di reagenti che
già contengono gruppi solfonilici. Sicuramente la seconda via è realizzabile in condizioni operative meno spinte rispetto alla prima, e soprattutto limita le irregolarità strutturali: ramificazioni e formazione di gel. Per
questo motivo a livello industriale è sfruttata esclusivamente quest’ultima via. In particolare dal 1965 la
Union Carbide ha introdotto sul mercato il più diffuso PSU, il polietersolfone del bisfenolo A, noto con il
nome commerciale Udel e attualmente commercializzato da Solvay. Il polimero viene preparato su scala
industriale per sostituzione nucleofila aromatica del
bis(4-clorofenil)solfone con il sale sodico del bisfenolo A secondo lo schema seguente, che può essere
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
considerato un esempio generale di preparazione industriale dei PSU:
O
CH3
ONa nCl
nNaO
S
CH3
(
O
O
CH3
O
Cl
O
CH3
)
S
O
2nNaCl
n
Per garantire elevate velocità di conversione la polimerizzazione deve essere condotta a circa 130-160 °C
in un solvente polare aprotico, come per esempio dimetilsolfossido o 1-metil-2-pirrolidinone; i pesi molecolari vengono comunemente regolati mediante aggiunta di sali fenolici con un unico idrogeno attivo oppure
mediante aggiunta di acidi protici nell’ambiente di reazione. Il cloruro di sodio, sottoprodotto della reazione,
viene eliminato per filtrazione prima del recupero del
polimero mediante precipitazione in un non-solvente.
I PSU possono essere preparati anche mediante sostituzione elettrofila aromatica (polisolfonilazione), sebbene questa sintesi non sia sfruttata dal punto di vista
industriale.
Proprietà
I PSU sono materiali rigidi, tenaci, trasparenti, con
colorazione ambrata, caratterizzati da elevata inerzia
chimica e resistenza meccanica. Le proprietà viscoelastiche, reologiche, la Tg , le proprietà elettriche e la stabilità termica sono direttamente correlate alla struttura chimica delle unità ripetitive dei PSU, quindi alla
scelta dei monomeri. Le proprietà sia fisiche che meccaniche sono inoltre dipendenti dal fatto che essi siano
o meno rinforzati da fibre di vetro o di carbonio (come
in molti gradi commerciali), poiché tali gradi rinforzati offrono una migliore rigidità e stabilità dimensionale, con conseguenti vantaggi in termini di resistenza
al creep e agli agenti chimici e di minore dilatazione
termica. In generale i PSU mostrano elevate resistenze all’impatto Izod senza intaglio (seguendo la normativa ASTM D256 non si arriva a rottura del provino)
anche a temperature inferiori a 0 °C. I valori modesti
che si registrano invece per l’impatto Izod con intaglio
limitano notevolmente la progettazione di manufatti
che presentano raccordi con piccoli raggi di curvatura
o drastiche variazioni di sezione (fattori che determinerebbero una concentrazione di tensione). La resistenza a fatica misurata a temperatura ambiente del polisolfone del bisfenolo A risulta paragonabile a quella
del policarbonato del bisfenolo A, sebbene sia inferiore a quella dei più comuni polimeri termoplastici per
applicazioni ingegneristiche. I poliarileterisolfoni, i
polietersolfoni e i polifenilensolfoni hanno temperature di deflessione sotto carico superiori a quella del polisolfone del bisfenolo A, in conseguenza delle loro più
elevate temperature di transizione vetrosa. I veri punti
di forza di questi materiali sono rappresentati dalla resistenza in condizioni termossidative e dalla stabilità idrolitica, che li rende preferibili a policarbonati, poliesteri e polieterimmidi in tutte quelle applicazioni in cui
sia richiesta una prolungata esposizione all’umidità e
al vapore, senza per questo subire significative riduzioni in termini di proprietà meccaniche. Come tutti i
polimeri vetrosi amorfi, i PSU possono dar luogo a
fenomeni di environmental stress cracking in presenza
di liquidi e vapori organici. Infiammabilità ed emissione di fumi particolarmente contenute fanno sì che i
PSU siano di rado additivati con agenti ritardanti di
tab. 7. Proprietà tipiche di alcuni polisolfoni commerciali
Norma
Polisolfone
Udel
Polisolfone
Udel
caricato con
20% di fibra
di vetro
ISO 1183
1,24
1,40
1,37
1,51
DSC
190
190
220
220
ASTM D648
174
180
204
214
2,5
5,2
2,6
5,7
ASTM D638
70,3
96,5
83
105
30
3
40-80
3
ASTM D256
(23 °C)
–/69
477/53
–/90
–/60
UL94
HB
HB
V-0
V-0
Proprietà
Densità (gcm3)
Tg (°C)
HDT (1,8 MPa) (°C)
Modulo a trazione (GPa)
Resistenza a trazione (MPa)
Allungamento a rottura (%)
(Jm1)
Resistenza urto Izod
senza intaglio/con intaglio
Resistenza alla fiamma
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
Polietersolfone
Radel A
Polietersolfone
caricato con
Radel A
20% di fibra
di vetro
907
MATERIALI POLIMERICI
fiamma o antifumo. Purtroppo l’elevata sensibilità alle
radiazioni UV ne limita le applicazioni outdoor, nel
qual caso è necessaria l’applicazione di rivestimenti
protettivi. In tab. 7 vengono riportate le proprietà dei
più diffusi PSU commerciali non caricati e caricati con
20% di fibre di vetro.
Lavorabilità
Nonostante le elevate temperature richieste, i PSU
sono lavorabili mediante le più comuni tecniche di trasformazione grazie alla loro notevole stabilità termossidativa, che li rende particolarmente adatti alla produzione di articoli stampati ed estrusi per i quali siano
richieste esplicita resistenza idrolitica e buone proprietà
elettriche. Va sottolineato però che, a differenza di quanto avviene in molti altri termoplastici, la viscosità del
fuso dei PSU è pressoché indipendente dal gradiente
di velocità; la viscosità elevata in condizioni di processing garantisce inoltre un basso grado di orientamento delle macromolecole nei manufatti e quindi un’elevata isotropia del materiale. Questa peculiarità dei
PSU richiede pressioni elevate nello stampaggio a iniezione e temperature di processo anche superiori a 300
°C. L’elevata viscosità del fuso esige inoltre la progettazione di stampi che non presentino cavità difficili da
riempire. Per la stessa ragione materozze, canali di
adduzione e orifizi di ingresso alla cavità dello stampo (gate) devono essere sovradimensionati per garantire il totale riempimento dello stampo in tempi utili al
processo. Comunque la tecnologia maggiormente utilizzata per la lavorazione dei PSU è l’estrusione,
mediante la quale si ottengono lastre e fogli di diversi
spessori e dimensioni, fili, tubi, ecc. Per il polisolfone
del bisfenolo A le temperature raggiunte dal fuso sono
comprese nell’intervallo 315-375 °C, mentre la temperatura del cilindro è solitamente compresa tra 300 e
315 °C. Sia il fenomeno del rigonfiamento del fuso
(die swell), sia l’orientamento delle catene nel manufatto sono assolutamente modesti se non inesistenti. Le
lastre di PSU possono essere lavorate con le convenzionali tecniche di termoformatura, previo essiccamento del materiale per prevenire fenomeni di formazione di bolle (blistering).
Tipi commerciali e applicazioni
Le caratteristiche fondamentali dei PSU elencate in
precedenza danno luogo a prestazioni di rilievo in svariati settori: la resistenza alle condizioni idrolitiche, agli
agenti caustici e agli acidi inorganici, agli idrocarburi
alifatici, ai detergenti, ai saponi e a determinati alcol è
buona, e questo garantisce l’applicabilità al settore biomedicale in cui la resistenza alla degradazione per sterilizzazione a vapore risulta requisito fondamentale. In
PSU vengono costruite anche le gabbie per animali da
laboratorio, che richiedono proprietà particolari, come
908
trasparenza, resistenza agli agenti chimici e resistenza
all’urto, per sopportare le operazioni di pulizia e di sterilizzazione a vapore settimanali. La resistenza all’idrolisi giustifica la costruzione di pezzi e raccordi per impianti idraulici (per esempio collettori per la distribuzione
dell’acqua). La trasparenza tipica dei PSU, associata alle
elevate caratteristiche tecniche della resina, è vantaggiosa in molte applicazioni, come caraffe per bevande
calde, lenti di protezione per apparecchiature di lavorazione, visiere dei caschi delle tute spaziali degli astronauti. Oltre alle buone proprietà di trasparenza, i PSU
presentano un alto indice di rifrazione, caratteristica
auspicabile per molte applicazioni. I PSU commerciali,
fra cui Udel (Solvay), Ultrason S (BASF), RTP900 (RTP
Company), Gafone S (Gharda Chemicals), sono disponibili anche additivati con fibre di vetro (10-40%), fibre
di carbonio (10-40%), riempitivi minerali o PTFE (520%). Lo stesso discorso vale per i polietersolfoni, fra
cui Radel A (Solvay), Ultrason E (BASF), RTP1400 (RTP
Company), Gafone (Gharda Chemicals), e per i poliarilsolfoni, fra cui RTP1600 (RTP Company) ed Edgetek
(PolyOne).
12.6.9 Poliimmidi
Generalità
Con il termine poliimmidi (PI) vengono genericamente definiti i polimeri ottenuti per condensazione di
acidi carbossilici tetrafunzionali o dalle anidridi corrispondenti con diammine primarie e successiva formazione di legami immidici lungo la catena macromolecolare principale, sia in forma lineare sia come unità eterociclica (Verbicky, 1988):
O
N
O
R
O
R
C
O
N
C
R'
Monomeri e polimerizzazione
Il numero di monomeri utilizzati per la produzione
di PI è molto elevato; essi vengono scelti, oltre che in
funzione della struttura molecolare desiderata, anche in
base al tipo di sintesi e all’applicazione finale della resina. Le diammine, prevalentemente aromatiche, che possono essere impiegate sono numerose e possono essere
ricondotte a quelle impiegate per la preparazione di poliammidi aromatiche. Alcuni esempi sono: m- e p-fenildiammina, 2,4- e 2,6-diamminotoluene, m- e p-xililendiammina, 4,4-difenildiammina, 4,4-diamminodifeniletere, 4,4-diamminobenzofenone, 4,4-diamminodifenilsolfone, 4,4-diamminodifenilsolfuro, 4,4-diamminodifenilmetano, ecc. Fra le ammine alifatiche è possibile ricordare le esa-, epta-, nona- e decametilendiammine
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
e la 1,4-cicloesandiammina. Le dianidridi maggiormente utilizzate industrialmente sono la dianidride 3,4,3,4benzofenonetetracarbossilica (BTDA) e la dianidride
piromellitica (PMDA), le cui strutture molecolari sono
rispettivamente:
O
O
C
C
n O
R
O
C
C
O
O
n
H2N
R'
NH2
O
O
O
O
O
O
C
O
O
O
O
O
O
O
Altre dianidridi utilizzabili sono le dianidridi 2,2bis(3,4-dicarbossifenil)propano, 3,3,4,4-difeniltetracarbossilica, bis-(3,4-dicarbossifenil)etere, 2,3,6,7-naftalentetracarbossilica, ecc. Analogamente, il metodo di
polimerizzazione, i catalizzatori, i solventi, il tempo e
la temperatura di reazione vengono generalmente scelti in funzione del tipo di monomero utilizzato e delle
proprietà fisico-meccaniche del polimero finale desiderate.
Diammine alifatiche. La sintesi di PI a partire da
diammine alifatiche viene condotta con acidi tetracarbossilici in massa attraverso un processo a stadi, che prevede una prima reazione fra i due monomeri a temperatura ambiente con formazione di un sale complesso e un
successivo riscaldamento a 100-150 °C con formazione
di oligomeri, che vengono poi convertiti in PI a elevato
peso molecolare a seguito di un riscaldamento prolungato ad alta temperatura (240-350 °C):
O
HO
O
C
C
OH
C
C
OH
O
O
n
R
HO
n H2N
R'
NH2
sale complesso
H2O
O
(
O
C
N
C
R
N
C
C
O
O
R'
)
HO
O
C
C
NH
C
C
OH
O
O
)
R'
R
NH
n
H2O
(
O
O
C
C
N
R
R'
N
C
C
O
O
)
n
Il metodo in soluzione può essere limitato dalla solubilità dell’acido poliammico intermedio e/o della PI.
Diammine aromatiche. La sintesi di PI a partire da
diammine aromatiche viene condotta con dianidridi aromatiche in maniera del tutto analoga a quella appena
descritta per le diammine alifatiche. La minore reattività
delle diammine aromatiche rispetto a quelle alifatiche in
genere richiede tempi di reazione prolungati.
Diesteri-diacidi aromatici. L’impiego di diesteri-diacidi aromatici in alternativa agli acidi tetracarbossilici
aromatici permette un notevole aumento della solubilità
dei monomeri e del sale complesso che si forma per reazione con la diammina e di conseguenza rende possibile l’impiego di solventi bassobollenti, quali metanolo o
etanolo. Le condizioni di reazione e gli impieghi delle
soluzioni risultanti sono analoghi a quelli sopra descritti per gli acidi tetracarbossilici aromatici.
Bisfenoli e dinitrobisimmidi. Per mezzo della condensazione di bisfenoli e dinitrobisimmidi (attraverso un
meccanismo di sostituzione aromatica nucleofila) è possibile sintetizzare una catena poliimmidica contenente
legami eterei aromatici:
n
Il processo in soluzione prevede invece la reazione
fra diammine alifatiche e dianidridi cicliche aromatiche
a temperatura ambiente in solventi aprotici polari (dimetilacetammide o N-metilpirrolidone) con formazione di
una soluzione di acido poliammico, utilizzato come rivestimento o per preparazione di film per colata ( film
casting). Detta soluzione viene quindi riscaldata a 150200 °C per 3-5 ore al fine di eliminare il solvente e formare la PI finale attraverso una reazione di ciclodisidratazione.
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
(
O
n M O
O
n O2N
Ar
N
Ar
(
Ar
R
N
Ar
O
NO2
Ar
O
O
N
O
O
R N
O
O
OM
O
Ar
O
)
2n MNO2
n
909
MATERIALI POLIMERICI
Il polimero così formato viene detto polieterimmide
(PEI). I bisfenoli utilizzabili sono: bisfenolo A, idrochinone, 4,4-diidrossidifenile, 4,4-diidrossidifeniletere,
resorcinolo, 4,4-diidrossidifenilsolfuro, 4,4-diidrossidifenilsolfone e 4,4-diidrossibenzofenone. Alcune delle
dinitrobisimmidi impiegabili nella preparazione di PEI
sono: 1,3- e 1,4-bis(4-nitroftalimmido)benzene, 4,4bis(4-nitroftalimmido)difeniletere e 4,4-bis(4-nitroftalimmido)difenilmetano.
Diimmidi aromatiche e dialogenuri alifatici. La sintesi di PI a partire da diimmidi aromatiche e dialogenuri alifatici può essere condotta in solventi aprotici polari, in presenza di basi come la trietilammina e a una temperatura di 100-150 °C. Il peso molecolare delle PI
preparate in questo modo non è però particolarmente elevato; non è inoltre possibile utilizzare dialogenuri aromatici.
Proprietà
Le PI derivate da acidi tetracarbossilici (o dianidridi) aromatici e diammine aromatiche sono caratterizzate da una stabilità termica elevatissima. A titolo di esempio, prove termogravimetriche condotte in azoto su polipiromellitiimmidi aromatiche come il Kapton di DuPont
mostrano una perdita in peso trascurabile (
2%) fino a
500 °C, temperatura assolutamente irraggiungibile per
ogni altro polimero termoplastico. Questa straordinaria
stabilità termica permette temperature massime di utilizzo in aria di 300-350 °C. Un’altra importante proprietà
è quella dell’autoestinzione, insieme alla limitata emissione di fumi in caso di combustione. I valori di temperatura di transizione vetrosa sono fortemente influenzati
dalla struttura molecolare e quindi dal tipo di monomeri utilizzati per la sintesi. L’intervallo di Tg è di conseguenza molto esteso, variando da 50 °C a 400 °C per
le PI contenenti rispettivamente componenti alifatiche o
aromatiche. Le PI presentano una buona stabilità idrolitica in ambienti acquosi neutri e acidi, mentre subiscono
processi di degradazione idrolitica in presenza di soluzioni acquose di basi forti, specialmente a temperatura
elevata. Le polipiromellitiimmidi aromatiche sono praticamente insolubili in tutti i solventi organici, mentre le
PEI, grazie alla presenza dei legami etere, mostrano una
discreta solubilità in diversi solventi quali idrocarburi
alogenati, fenoli, N,N-dimetilformammide e dimetilacetammide. Le eccellenti proprietà meccaniche delle PI,
peraltro mantenute anche a elevate temperature, rendono queste resine le candidate ideali alla sostituzione di
materiali convenzionali (vetri e metalli) in diverse applicazioni in cui siano richieste elevate prestazioni ad alte
temperature. Le proprietà meccaniche sono particolarmente buone, mostrando un’elevata tenacità e buone resistenze all’impatto. Le PI sono rigide con elevati valori
di modulo elastico che possono essere ulteriormente
incrementati attraverso l’incorporazione di riempitivi
quali fibre di vetro, grafite o cariche minerali. A titolo
di esempio in tab. 8 sono riportate alcune proprietà caratteristiche della resina Vespel SP DuPont con diverso contenuto di grafite (percentuali pari a 0, 15 e 40 rispettivamente per i gradi SP1, SP21 e SP22).
Lavorabilità
Le polipiromellitiimmidi aromatiche non sono lavorabili allo stato fuso e vengono generalmente trattate in
polvere o dagli acidi poliammici precursori in soluzione; l’applicazione combinata di riscaldamento e pressione opportuna viene utilizzata per formare il polimero completamente imidizzato nella forma desiderata. Al
contrario, le PEI aromatiche sono lavorabili con relativa facilità con le usuali tecniche di trasformazione (stampaggio a iniezione e a compressione ed estrusione).
Poliimmidi modificate. Recentemente sono state introdotte diverse PI strutturalmente modificate per applicazioni specifiche, come i materiali compositi nel settore
aerospaziale che richiede elevate proprietà meccaniche
ad alte temperature per periodi prolungati e resistenza a
tab. 8. Proprietà caratteristiche della resina Vespel SP DuPont con diverso contenuto di grafite
Norma
SP1 non caricato
SP21 caricato
con 15%
di grafite
SP22 caricato
con 40%
di grafite
Densità (gcm3)
ASTM D792
1,43
1,51
1,65
HDT (1,8 MPa) (°C)
ASTM D648
360
360
–
Modulo a flessione (GPa)
ASTM D790
3,10
3,79
4,83
86
66
45
7,5
4,5
3,0
Proprietà
Resistenza a trazione (MPa)
Allungamento a trazione (%)
(Jm1)
910
ASTM D1708
Resistenza urto Izod
senza intaglio/con intaglio
ASTM D256
(23 °C)
747/42,7
320/42,7
–/21,0
Indice di ossigeno, LOI (%)
ASTM D2863
53
49
–
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
solventi aggressivi, insieme a bassa infiammabilità. Per
tali fini esistono PI processabili e reticolabili con un
meccanismo a catena; si tratta di sistemi (generalmente chiamati PMR, Polymerization of Monomer Reactants) costituiti da oligomeri a basso peso molecolare
contenenti strutture ammidiche e terminanti con gruppi funzionali olefinici o acetilenici. Soluzioni di PMR
vengono utilizzate per preimpregnare fibre di vetro o
carbonio; dopo evaporazione del solvente questi composti preimpregnati vengono formati nella geometria
desiderata e, per applicazione di pressione e riscaldamento (250-300 °C), si forma una struttura poliimmidica reticolata con elevate proprietà meccaniche e resistenza ai solventi.
(
)
S
n
Esso possiede alcune caratteristiche particolarmente interessanti, come eccellenti proprietà meccaniche
anche ad alte temperature, elevata resistenza chimica e
capacità di autoestinzione (Geibel e Campbell, 1989).
Nonostante queste caratteristiche, il PPS è stato ed è tuttora poco utilizzato, sia per il costo relativamente elevato, sia perché poco noto, anche se a mano a mano che i
progettisti imparano a conoscerne le particolarità, i campi
di applicazione si vanno ampliando, in particolare nei
settori dei rivestimenti, dello stampaggio a iniezione, dei
film e dei compositi avanzati.
Tipi commerciali e applicazioni
Data la grandissima varietà di strutture molecolari
impiegabili, il numero di PI commercialmente disponibili è molto elevato. A titolo di esempio di seguito sono
riportati alcuni nomi commerciali di PI corrispondenti
ai principali produttori: Vespel, Kapton, Pyralin (DuPont),
Aurum (Mitsui), Upilex, Upimol (UBE), Solimide
(Degussa). Per le PEI è possibile citare: Ultem (General
Electric), Semitron (Quadrant), Tempalux (Westlake
Plastics).
Il principale settore di impiego delle PI è quello dei
trasporti e dell’industria aerospaziale. Specifiche utilizzazioni sono legate alle applicazioni strutturali (montanti, telai, supporti) nel settore automobilistico e aereo,
grazie ai valori elevati di modulo elastico a flessione e
resistenza a compressione. Le PI trovano inoltre impiego nelle applicazioni nel vano motore per l’elevata resistenza al calore e ad agenti aggressivi quali lubrificanti, fluidi refrigeranti e carburante. Oltre ad applicazioni
elettriche ed elettroniche, la ridotta emissione di fumi e
la bassa infiammabilità delle PI le rendono particolarmente adatte per applicazioni come materiale ritardante di fiamma e privo di additivi alogenati negli interni di
aeromobili, negli arredi e nell’isolamento dei cavi. Altre
applicazioni sono nei settori degli elettrodomestici, delle
cucine e dell’imballaggio alimentare grazie alla resistenza chimica verso oli e grassi, alla trasparenza alle
microonde e alla resistenza termica.
12.6.10 Polisolfuri aromatici
Generalità
Il rappresentante più importante di questa classe è
sicuramente il polifenilensolfuro, PPS, la cui prima produzione industriale risale al 1973 a opera della Phillips
Petroleum Company, che lo commercializzò col marchio
Ryton. Il PPS è un polimero termoplastico semicristallino, la cui struttura molecolare è rappresentabile con la
formula:
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
Polimerizzazione
Il processo Phillips per la preparazione di PPS consiste nella reazione di solfuro di sodio con p-diclorobenzene in un solvente polare secondo la seguente reazione:
n Cl
Cl nNa2S
(
S
)
2nNaCl
n
in cui la produzione di polimero è accompagnata dalla
formazione di cloruro di sodio come sottoprodotto. Il processo complessivo si realizza in più stadi che prevedono:
a) la preparazione del solfuro di sodio; b) la disidratazione del solfuro di sodio in presenza del solvente polare; c) la reazione del solfuro di sodio con p-diclorobenzene; d) il recupero del polimero; e) il suo lavaggio per
rimuovere il cloruro di sodio e il solvente; f ) l’essiccamento del polimero. Il polimero che si ottiene è una polvere di colore bianco sporco con peso molecolare 16.00022.000, aumentabile attraverso post-trattamenti che danno
luogo a reazioni di reticolazione o di estensione di catena (chain extension), il cui meccanismo non è ancora ben
chiarito. Sono stati messi a punto anche altri processi che,
in presenza di un carbossilato di metallo alcalino, consentono di ottenere, direttamente durante la polimerizzazione, pesi molecolari più elevati (circa 35.000) che non
richiedono un successivo stadio di post-trattamento. È
possibile ottenere anche altri poliarilensolfuri polimerizzando monomeri quali m-diclorobenzene o altri diclorobenzeni (per esempio metil-, dimetil-, tetrametil-diclorobenzeni) o copolimerizzandoli con il p-diclorobenzene.
Sia gli omopolimeri sia i copolimeri così ottenuti sono
caratterizzati da basso grado o assenza di cristallinità e di
conseguenza molte proprietà risultano modificate (generalmente peggiorate) rispetto al PPS omopolimero.
Proprietà
Il PPS si distingue dagli altri polimeri termoplastici
per alcune caratteristiche peculiari come elevata stabilità
911
MATERIALI POLIMERICI
termica, ottima resistenza chimica, eccellenti proprietà
di isolamento elettrico, buone proprietà meccaniche e,
fatto non comune per i polimeri, intrinseca resistenza
alla fiamma senza necessità di ricorrere ad additivi. Nelle
applicazioni comuni il PPS è un polimero semicristallino che può raggiungere percentuali di cristallinità del
65%, con una temperatura di fusione, Tm, di 285 °C; tuttavia, riscaldamenti a temperature superiori a Tm o riscaldamenti prolungati a temperature inferiori a Tm possono ridurre considerevolmente la frazione di materiale
cristallino, fino a dare origine a un materiale amorfo. La
temperatura di transizione vetrosa del PPS è relativamente bassa (85 °C) e ciò è vantaggioso in quanto consente una facile cristallizzazione a 120-130 °C nella produzione di oggetti stampati a iniezione. La struttura chimica e l’elevato grado di cristallinità del PPS lo rendono
insolubile in quasi tutti i solventi; se questo comportamento può costituire un vantaggio in termini applicativi, diventa un grande svantaggio in termini di possibile
caratterizzazione della struttura molecolare in quando
preclude o rende particolarmente complesso l’impiego
delle tecniche usuali per tale scopo. L’elevata temperatura di fusione consente impieghi strutturali anche ad
alte temperature, infatti la temperatura di deflessione
sotto carico risulta di 260-270 °C (a 1,8 MPa), tra le più
alte riscontrate per i materiali termoplastici (tab. 9).
L’elevata resistenza termica, ovvero la scarsa tendenza a subire fenomeni degradativi che comportino la
rottura di legami, fa sì che il PPS sia particolarmente
adatto per impieghi prolungati a elevate temperature.
L’indice di temperatura UL, definito come la massima
temperatura a cui un oggetto stampato può essere esposto continuativamente per un periodo di 10 anni con diminuzione di proprietà non superiori al 50%, risulta infatti di 220 °C, il più alto tra tutti i tecnopolimeri. Anche la
resistenza chimica, intesa come conservazione di stabilità dimensionale, proprietà fisico-meccaniche, aspetto
e peso, è eccellente rispetto alla maggior parte degli
ambienti chimici solitamente aggressivi. La resistenza
chimica diminuisce solo a elevate temperature a contatto con alcuni solventi organici (N-butilammina, toluene, 2-butanone, ecc.), acidi forti e agenti ossidanti particolarmente aggressivi. L’inerzia chimica e la tendenza
a formare residui carboniosi (char), piuttosto che a originare prodotti volatili per riscaldamento (evidenziata
per esempio dalla scarsa perdita in peso anche ad alta
temperatura in prove termogravimetriche), portano come
conseguenza un’elevata resistenza intrinseca alla fiamma. Il PPS brucia a contatto con una fiamma, ma questa si spegne appena la sua sorgente è rimossa; questo
comportamento porta a classificare il PPS come materiale autoestinguente e capace di non sgocciolare durante la combustione (non dripping).
Il PPS è caratterizzato anche da ottime proprietà elettriche, in particolare da alta rigidità dielettrica e resistività di volume e da bassa costante dielettrica e fattore di
dissipazione; queste proprietà possono essere modificate nelle formulazioni che contengono fibre e/o cariche.
Attraverso la scelta di un’appropriata formulazione è quindi possibile ottenere un buon bilanciamento di proprietà
elettriche e meccaniche che, combinate con l’elevata resistenza termica, rendono il PPS particolarmente adatto per
applicazioni elettriche ed elettroniche. L’abbondante presenza di anelli aromatici permette, attraverso l’impiego
di opportuni sostanze ‘dopanti’, di rendere il PPS un materiale conduttore con conducibilità variabili nell’intervallo tra 0,005-200 Scm1; poiché l’aggiunta di ‘dopanti’
comporta anche la demolizione delle strutture cristalline,
il PPS drogato diventa solubile in solventi, consentendo
la produzione di film conduttori resistenti e flessibili. Lo
tab. 9. Proprietà tipiche di alcune formulazioni del PPS
Norma
Non caricato
Caricato
con 40%
di fibra
di vetro
ASTM D1505
1,35
1,6
1,8-2,0
1,28
DSC
85/285
90/280
90/280
–
HDT (1,8 MPa) (°C)
ASTM D648
135
260
260
207
Modulo a flessione (GPa)
ASTM D790
3,9
11,7
15,2
2,3
65
121
74
70(1)
1,6
1,2
0,54
50
ASTM D256
(23 °C)
109/16
258/69
109/34
–/11,6(2)
UL94
V-0
V-0
V-0
–
Proprietà
Densità (gcm3)
Tg /Tm (espresse in °C)
Resistenza a trazione (MPa)
Allungamento a rottura (%)
(Jm1)
Resistenza urto Izod
senza intaglio/con intaglio
Resistenza alla fiamma
(1)
912
ASTM D638
Caricato con
fibra di vetro
e cariche
minerali
Grado
ad alta
tenacità
a snervamento; (2) prove Charpy.
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
sfruttamento di questa caratteristica peculiare del PPS è
tuttavia ancora in fase di sviluppo.
In termini di proprietà meccaniche, come evidenziato dai dati riportati in tab. 9, il PPS può essere definito
un polimero di alta resistenza e rigidità (in particolare
per prodotti caricati con oltre il 50% di fibre), di discreta resistenza all’urto (tipicamente 20-60 kJm2, ma esistono anche gradi più tenaci), alta resistenza a creep e a
fatica. Queste proprietà possono essere ulteriormente
migliorate attraverso una semplice aggiunta di fibre o
cariche rinforzanti, e gran parte dei prodotti commerciali contiene quantità di agenti rinforzanti variabili dal
10 al 60% in peso. Tra gli additivi più comunemente
aggiunti al PPS per ottenere prodotti adatti a specifiche
applicazioni ricordiamo le fibre di vetro, di carbonio, di
Kevlar, di acciaio, cariche minerali e PTFE.
Lavorabilità
La possibilità di stampare articoli in cui il PPS possieda un elevato grado di cristallinità è essenziale per ottenere prodotti dimensionalmente stabili e utilizzabili a elevate temperature. Il PPS può cristallizzare rapidamente
dal fuso, tuttavia il tipo di struttura molecolare (lineare o
ramificata) ottenuto in fase di polimerizzazione, il peso
molecolare più o meno alto e la storia termica pregressa
(post-trattamenti) possono influenzare in modo rilevante
le caratteristiche di fluidità e di cristallizzabilità del PPS.
Infatti, i valori del MFI (e quindi la fluidità del materiale
allo stato fuso) dipendono dal metodo utilizzato per la
polimerizzazione e/o dalla formulazione del PPS (non
caricato, rinforzato con fibre, ecc.) e variano da 3.0008.000 (g/10 min) per il PPS lineare di basso peso molecolare, ottenuto con il processo di polimerizzazione non
modificato, a 600-60 (g/10 min) per i PPS ottenuti con il
processo modificato o sottoposti a moderati processi di
post-trattamento o rinforzati/caricati, fino a valori prossimi a zero (g/10 min) per PPS sottoposti a estesi processi
di post-trattamento, e quindi adatti per stampaggio a compressione o a processi di sinterizzazione. Attraverso un’opportuna scelta del materiale e delle condizioni di stampaggio si possono ottenere materiali semicristallini con
elevata stabilità dimensionale e buone proprietà meccaniche anche ad alte temperature. I prodotti commerciali
sono generalmente disponibili in polvere e in granuli (pellet) e sono sottoposti a essiccamento (3-4 ore a 135-160
°C) prima della lavorazione. Questa avviene con temperature del fuso variabili da 295 a 390 °C in relazione al
tipo di formulazione commerciale impiegata (temperature più elevate per prodotti rinforzati con fibre e/o caricati). Per ottenere prodotti ad alto grado di cristallinità è
necessario utilizzare stampi riscaldati a 135-160 °C.
Tipi commerciali e applicazioni
I gradi commerciali di PPS variamente formulati sono
molto numerosi; tra i nomi commerciali più conosciuti
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
ricordiamo Ryton (Chevron-Phillips), Fortron (Ticona),
Radel R (Solvay), Tedur (Albis Plastics), Supec (GE
Plastics), Edgetek (PolyOne), ComAlloy (A. Shulman),
Larton (LATI), RTP (RTP Company), TS (Toyobo). Per
ciascuno di questi esistono vari gradi adatti per diverse
tipologie di lavorazione (easy flow per lo stampaggio a
iniezione, per estrusione, per produrre fibre, film, barre,
per stampaggio a compressione, ecc.) e per differenti
impieghi. Le principali applicazioni del PPS includono
componenti elettronici, dispositivi elettrici, bobine, alloggiamenti di lampade, componenti per il settore dei veicoli, per i quali siano richiesti elevata rigidità e resistenza
chimica a elevata temperatura (pompe, scambiatori di
calore, valvole, collettori ad alta pressione, ecc.), applicazioni dove siano richiesti basso attrito e resistenza all’usura, componenti industriali per cui sia richiesta resistenza meccanica e alla fiamma, apparecchiature da ufficio, ecc.
12.6.11 Polietereterchetoni
Generalità
I polietereterchetoni rappresentano una classe di polimeri in cui gruppi arilenici sono legati mediante legami etere e carbonile.
Fra le varie strutture molecolari possibili, è di particolare interesse per le applicazioni ingegneristiche la
resina polietereterchetone (PEEK), introdotta sul mercato da ICI alla fine degli anni Settanta sotto il nome di
Victrex PEEK. Si tratta di un polimero termoplastico
semicristallino caratterizzato da temperature di transizione vetrosa e fusione particolarmente elevate (143 °C
e 343 °C rispettivamente), con eccezionali proprietà di
resistenza ai solventi chimici e stabilità idrolitica. La
struttura molecolare del PEEK è rappresentata dall’unità ripetitiva
or ula 25
(
O
O
O
C
)
n
Altri polietereterchetoni, anche se di scarso interesse commerciale, sono riportati in tab. 10.
Il polietereterchetone è utilizzato come matrice termoplastica per applicazioni estremamente avanzate, fra
cui spicca quella nell’industria aerospaziale, per la quale
risulta particolarmente adatto grazie proprio alla resistenza termica e chimica indotte dal suo alto grado di
cristallinità.
Polimerizzazione
Il PEEK è comunemente sintetizzato mediante polimerizzazione a stadi, sfruttando la sostituzione nucleofila del 4-4-difluorodifenilchetone con il sale di potassio dell’idrochinone, secondo lo schema:
913
MATERIALI POLIMERICI
rendono il processo industriale costoso, limitando fortemente la capacità produttiva.
tab. 10. Esempi di polietereterchetoni
Tg (°C) Tm(°C)
struttura
(
(
(
O
O
)
C
O
CH3
O
O
)
C
CH3
O
O
154
367
155
–
181
–
n
n
O
S
O
)
C
O
6
n
O
n KO
(
OK
nF
O
O
O
C
C
)
F
2n KF
n
Mentre l’idrochinone è un prodotto commerciale di
ampia diffusione, l’utilizzo del costoso monomero 4-4difluorodifenilchetone è giustificato dalle alte prestazioni del prodotto finale. La polimerizzazione è eseguita
con un processo discontinuo a temperature elevate (150300 °C) e i problemi di scarsa solubilità del polimero
Proprietà
Il principale impiego del PEEK consiste nella produzione di componenti strutturali che sono esposti od
operano in continuo a temperature elevate. La particolare stabilità termica del PEEK ne permette la lavorazione a temperature anche di 350-400 °C, mentre l’utilizzazione può durare per anni a 200 °C senza significativo peggioramento delle proprietà meccaniche. La
stabilità meccanica del materiale è infatti garantita in un
ampio intervallo di temperatura sia per il polimero base,
sia per le formulazioni (compound) rinforzate a elevate
prestazioni a base PEEK. Le proprietà del grado base
Victrex PEEK e dei compound con 30% di fibre di vetro,
30% di fibre di carbonio e lubrificati con grafite e PTFE
vengono riportate in tab. 11.
Il polimero, già nello stato non rinforzato, mostra
un’eccellente resistenza al creep rispetto ai comuni materiali termoplastici ed è quindi in grado di sopportare sollecitazioni elevate e prolungate senza subire deformazioni apprezzabili. Le stesse considerazioni valgono per
la resistenza a fatica eccezionalmente alta. Il Victrex
PEEK 450G presenta il valore di resistenza all’urto Izod
senza intaglio più elevato, non arrivando alla rottura del
provino; la sensibilità all’intaglio risulta evidente per tutti
i gradi e suggerisce la progettazione di manufatti senza
spigoli acuti o drastiche variazioni di sezione. Per quanto riguarda le proprietà termiche, essendo il PEEK un
materiale termoplastico semicristallino, mantiene un elevato livello di proprietà meccaniche anche a temperature prossime al punto di fusione (343 °C). Inoltre, la temperatura di deflessione sotto carico (HDT) misurata per
Victrex 450CA30 (315 °C) e Victrex 450GL30 (298
°C) risulta notevolmente superiore a quella degli altri
tab. 11. Proprietà tipiche di alcuni gradi commerciali di PEEK
Proprietà
Densità (gcm3)
Tg /Tm (espresse in°C)
HDT (1,8MPa) (°C)
Norma
Non caricato
Caricato
con 30%
di fibre
di vetro
ISO 1183
1,30
1,51
1,40
1,44
DSC
143/343
143/343
143/343
143/343
ASTM D648
152
315
315
293
3,5
9,7
22,3
10,1
97
166
228
138
5
–
–
–
ASTM D256
(23 °C)
–/94
726/120
406/67
444/90
UL94
V-0
V-0
V-0
V-0
Modulo a trazione (GPa)
Resistenza a trazione (MPa)
ASTM D638
Allungamento a rottura (%)
(Jm1)
Resistenza urto Izod
senza intaglio/con intaglio
Resistenza alla fiamma
914
Caricato
con 30%
di fibre
di carbonio
Caricato
con 30%
di grafite
e PTFE
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
ENGINEERING PLASTICS
tecnopolimeri idonei alle stesse applicazioni a parità del
grado di rinforzo. Le prestazioni migliori vengono tuttavia registrate per il compound a base di fibra di carbonio (450CA30), comunemente impiegato per la produzione di componenti sottoposti a carichi permanenti a
temperature elevate. Grazie alla stabilità indotta dalla
struttura chimica, il PEEK non richiede additivi ritardanti di fiamma per garantire bassi valori di infiammabilità o accensione e mostra bassa emissione di fumi di
limitata tossicità. Il PEEK, sia come tale sia caricato, non
è chimicamente attaccabile né dall’acqua né dal vapore
acqueo in pressione, quindi mantiene un elevato livello
di proprietà meccaniche anche se sottoposto in continuo
a temperature e a pressioni elevate in acqua o vapore. Il
PEEK è dotato di eccezionale resistenza chimica (l’unico solvente in grado di attaccarlo a temperatura ambiente è l’acido solforico concentrato); è quindi tipicamente
adatto per realizzare componenti che devono essere posizionati in ambienti aggressivi dal punto di vista chimico e che necessitano di sopportare frequenti cicli di sterilizzazione, anche mediante radiazioni ionizzanti.
Lavorabilità
Il PEEK è considerato il materiale termoplastico semicristallino dalle migliori prestazioni, in grado di essere
lavorato tramite le convenzionali tecnologie per resine termoplastiche. Lo stampaggio a iniezione è infatti la tecnologia di trasformazione maggiormente utilizzata. Viene
commercializzato sotto forma di granuli (per stampaggio
a iniezione, estrusione e rivestimenti di monofilamenti e
conduttori), polveri (per il compounding) o polveri fini
(per i processi di rivestimento o stampaggio a compressione). La temperatura di fusione del polimero è 343 °C;
la massa fusa è stabile e può essere trasformata a temperature comprese fra 360 e 400 °C. Per tempi di permanenza fino a un’ora il materiale può essere mantenuto a
360 °C senza alcun deterioramento apprezzabile. Vista la
particolare stabilità termica del PEEK è possibile anche
il riutilizzo del materiale derivante da canali di adduzione e materozze in cicli produttivi successivi. Alle alte temperature di processo necessarie per la lavorazione, la viscosità tipica del PEEK non caricato è simile a quelle della
lavorazione del PVC non plastificato o del PC. Per la trasformazione del PEEK si utilizzano macchinari convenzionali, tuttavia le temperature di processo particolarmente
elevate impediscono l’utilizzazione per gli stampi di elementi riscaldanti in alluminio, richiedendo quelli più costosi in lega ad alta resistenza termica o materiale ceramico.
Il PEEK sotto forma di polvere fine è utilizzabile anche
per rivestimenti attraverso spruzzatura elettrostatica e per
rivestimenti in letto fluido di substrati metallici.
Tipi commerciali e applicazioni
Il prodotto commerciale più diffuso è senza dubbio
Victrex PEEK (Victrex), ma altri sono Ketron (Quadrant
VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA
Plastics), Tecapeek (Ensinger GmbH), Edgetek PK
(PolyOne), Larpeek (Lati), Gatone (Gharda Chemicals),
Luvocom 1105 (Lehmann&Voss) e RTP2200 (RTP Company). Sono praticamente tutti disponibili come resina
base (in granuli e polvere) o caricata con fibre di vetro
o di carbonio, oppure lubrificata con grafite e PTFE per
aumentarne la lavorabilità. Quest’ultimo compound è
sfruttato soprattutto per le applicazioni tribologiche del
settore aerospaziale (componenti per airbus, guaine corrugate, ecc.), mentre i compound caricati con fibre corte
sono utilizzati nel settore automobilistico (organi di trasmissione del cambio, impianto frenante ABS, filtri dell’olio, ecc.), in cui risultano fondamentali anche le caratteristiche di scarsa infiammabilità ed emissione di fumi.
In virtù delle citate proprietà di resistenza termica, meccanica e ambientale, il PEEK viene inoltre spesso utilizzato come isolante elettrico. Tutti i gradi non caricati
di polimero sono poi certificati dalla FDA (Food and
Drug Administration) per il contatto con alimenti e bevande (macchine per il caffè, componenti per imbottigliamento, ecc.). La possibilità di sterilizzare ripetutamente il materiale per via radiativa o chimica, unitamente
alle proprietà fisico-meccaniche, lo rende idoneo all’impiego nel settore biomedicale per la produzione di dispositivi impiantabili (specifico il grado Invibio). Numerose sono anche le applicazioni nel settore elettronico (connettori coassiali, connettori per ambienti sottomarini,
portawafer, ecc.).
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Francesco Pilati
Massimo Messori
Paola Fabbri
Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e dell’Ambiente
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Modena, Italia
Maurizio Toselli
Dipartimento di Chimica Applicata e Scienza dei Materiali
Università degli Studi di Bologna
Bologna, Italia
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