DISFUNZIONI MITOCONDRIALI E DIABETE DI TIPO 2
Lowel e Shulman (2005) Science Vol. 307 (allegato in formato PDF)
Il diabete di tipo 2 è la malattia metabolica più diffusa nel mondo. Il diabete di tipo 2
sta rapidamente diventando una pandemia e si prevede che nel 2025 saranno oltre 300
milioni gli individui affetti nel mondo con un marcato aumento dei nuovi casi in
India e in Asia. Malgrado la causa principale di questa malattia sia ancora
sconosciuta, è chiaro che l’insulino-resistenza gioca un ruolo essenziale nella
patogenesi e che un difetto nella secrezione di insulina da parte delle cellule β è
strumentale nella progressione verso l’iperglicemia. In questa review viene formulata
l’ipotesi che insulino-resistenza e iperglicemia siano entrambe attribuibili a difetti
mitocondriali.
RUOLO DEL METABOLISMO DEGLI ACIDI GRASSI NELL’INSULINORESISTENZA
Molte evidenze indicano che l’insulino-resistenza sia il tratto principale del diabete di
tipo 2. Infatti, tutti i pazienti con diabete di tipo 2 sono insulino-resistenti e studi
prospettici hanno dimostrato che questa insulino-resistenza si sviluppa 1-2 decadi
prima della malattia. Inoltre, l’insulino-resistenza nei figli di genitori affetti da
diabete di tipo 2 è il miglior fattore predittivo per lo sviluppo successivo della
malattia. Infine, fattori che riducono l’insulino-resistenza prevengono lo sviluppo del
diabete.
Il muscolo scheletrico ed il fegato sono i due organi chiave per il mantenimento della
normale omeostasi del glucosio e la loro transizione ad uno stato di insulinoresistenza spiega la maggior parte delle alterazioni del metabolismo glucidico
osservato nei pazienti con diabete di tipo 2. Prima di considerare se le disfunzioni
mitocondriali contribuiscano o meno allo sviluppo dell’insulino-resistenza in questi
organi, è opportuno capire i meccanismi cellulari responsabili dell’insulino-
resistenza. Come discusso da Lazar et al. ci sono evidenze sempre più numerose che
le citochine circolanti secrete dal tessuto adiposo possano modulare la risposta
all’insulina del muscolo e del fegato. Comunque i metaboliti degli acidi grassi quali
gli acilCoA, il diacilglicerolo o le ceramidi si pensa possano avere un ruolo critico.
Circa 40 anni fa, Randle et al. dimostrarono che gli acidi grassi causavano insulinoresistenza in una preparazione in vitro di muscolo di ratto, ed essi ipotizzarono che
questo avvenisse per un meccanismo di competizione di substrato. In accordo con
questo modello, l’aumentata ossidazione degli acidi grassi nel muscolo produce un
aumento dei livelli intracellulari di acetilCoA e di citrato, che possono di
conseguenza inibire rispettivamente due enzimi coinvolti nell’utilizzo del glucosio: la
piruvato deidrogenasi e la fosfofruttochinasi. L’inibizione del pathway glicolitico in
questi step potrebbe incrementare il glucosio intracellulare e la concentrazione di
G6P, che in ultimo determina una riduzione dell’assunzione di glucosio in risposta
all’insulina. Tuttavia, studi più recenti usando il
13
C e il
31
P nella spettroscopia di
risonanza magnetica (MRS) hanno dimostrato che questo meccanismo dell’insulinoresistenza indotta dagli acidi grassi nel muscolo scheletrico umano non regge,
piuttosto gli acidi grassi sembrano causare insulino-resistenza attraverso la diretta
inibizione dell’attività di trasporto del glucosio stimolata dall’insulina. Questa
inibizione è probabilmente dovuta all’accumulo intracellulare di acilCoA e
diacilglicerolo, i quali poi attivano pathway di trasduzione del segnale critici che alla
fine portano alla soppressione del segnale dell’insulina (Figura 1). Quindi si potrebbe
pensare che qualsiasi perturbazione metabolica che promuova l’accumulo di acidi
grassi nel fegato e/o nel muscolo e/o ogni difetto nella capacità di questi organi di
metabolizzare gli acidi grassi potrebbe indurre insulino-resistenza. Inoltre, difetti nel
metabolismo degli adipociti, che si verificano in condizioni quali la severa
lipodistrofia (mancanza di tessuto adiposo), possono determinare la prima
condizione, mentre difetti nell’ossidazione mitocondriale degli acidi grassi può
determinare la seconda condizione e possono essere responsabili per le comuni forme
di insulino-resistenza.
Fig.1 Probabile meccanismo mediante il quale la disfunzione mitocondriale induce insulino-resistenza nel muscolo
scheletrico. Una diminuzione dell’ossidazione mitocondriale degli acidi grassi dovuta ad una disfunzione mitocondriale
e/o ad una riduzione del numero dei mitocondri, produce un aumento dei livelli intracellulari di acilCoA e
diacilglicerolo. Queste molecole attivano una proteina chinasi C, la quale attiva una cascata di fosforilazioni su residui
di serina compresi quelli del substrato del recettore dell’insulina IRS-1. L’aumentata fosforilazione su residui critici di
serina (es. il residuo Ser 307) blocca la fosforilazione di IRS-1 sui residui di tirosina operata dal recettore dell’insulina
(che in seguito al legame con l’insulina acquisisce attività tirosina-chinasica) e di conseguenza inibisce l’attività della
fosfatidil-inositolo 3 chinasi. Questa inibizione determina la soppressione del trasporto del glucosio in risposta
all’insulina.
DISFUNZIONI MITOCONDRIALI, ACIDI GRASSI INTRACELLULARI E
INSULINO-RESISTENZA
E’ noto che la funzione mitocondriale è richiesta per la normale secrezione
dell’insulina stimolata dal glucosio
da parte delle cellule β. Recenti studi
suggeriscono che molti lievi difetti nella funzione mitocondriale possono avere un
ruolo nella patogenesi dell’insulino-resistenza e nel diabete di tipo 2.
Petersen et al hanno trovato che, rispetto ai controlli giovani, i soggetti anziani magri
e sani hanno una severa insulino-resistenza nel tessuto muscolare, così come un
livello significativamente più alto di trigliceridi sia nel muscolo sia nel fegato. Questi
cambiamenti sono accompagnati da una diminuzione sia dell’attività ossidativa dei
mitocondri sia della sintesi di ATP mitocondriale. Questi dati supportano l’ipotesi
che l’insulino-resistenza nell’uomo derivi da difetti nell’ossidazione mitocondriale
degli acidi grassi che, di conseguenza, porta ad un aumento di metaboliti degli acidi
grassi intracellulari (acilCoA e diacilglicerolo) che alterano il segnale dell’insulina.
Alterazioni nel DNA mitocondriale sono state correlate con l’invecchiamento e un
recente studio su topi manipolati geneticamente ha fornito evidenze che tali
alterazioni possono giocare un ruolo nell’invecchiamento. Se le disfunzioni
mitocondriali viste negli anziani studiati da Petersen siano o meno legate alle
mutazioni del DNA mitocondriale accumulate negli anni non è ancora chiaro. Altri
studi usando la tecnica MRS hanno rilevato simili diminuzioni nell’attività
mitocondriale e aumenti del contenuto di grasso intramiocellulare in giovani con
insulino-resistenza figli di genitori con diabete di tipo 2, i quali hanno una forte
tendenza a sviluppare diabete più tardi nella vita. Inoltre, rispetto ai controlli
insulino-sensibili, i soggetti insulino-resistenti hanno una più bassa percentuale di
fibre di tipo 1 rispetto alle fibre di tipo 2. Le fibre di tipo 1 sono principalmente
ossidative e contengono più mitocondri rispetto a quelle di tipo 2 che sono più
glicolitiche. Questi individui possono avere meno mitocondri nei muscoli,
probabilmente perché c’è una diminuzione di espressione di geni nucleari che
regolano la biogenesi mitocondriale quali il coattivatore 1α e 1ß del perossisoma
proliferator-activated receptors (PGC 1 α e PGC 1β). Studi di microarray supportano
questa idea: i geni responsivi a PGC 1 α e PGC 1β sono essi stessi down-regolati nei
Caucasici obesi con un’alterata tolleranza al glucosio e diabete di tipo 2, e PGC 1 α e
PGC 1β sono essi stessi down-regolati sia negli obesi diabetici sia nei messicaniamericani sovrappeso non diabetici. In alternativa la riduzione dell’attività di
fosforilazione ossidativa mitocondriale negli individui insulino-resistenti può essere
dovuta, non ad una diminuzione del numero dei mitocondri, ma piuttosto ad un
difetto della funzione mitocondriale. Questa ipotesi è supportata da studi su biopsie
muscolari. In uno studio, l’attività degli enzimi ossidativi mitocondriali era più bassa
nei soggetti affetti da diabete di tipo 2 mentre in un altro l’attività della NADH
ossidoreduttasi mitocondriale era più bassa. Comunque, a differenza degli studi di
MRS, questi studi erano condotti sui mitocondri isolati ottenuti da soggetti diabetici
che erano anche obesi. Dal momento che individui obesi hanno mitocondri più
piccoli con una ridotta capacità bioenergetica rispetto a quelli dei controlli magri, le
anomalie mitocondriali in questi soggetti potrebbero essere in relazione allo stato di
obesità piuttosto che all’insulino-resistenza. Il ruolo dell’obesità nella downregolation di PGC 1 α e PGC 1β discussa sopra,è una domanda importante a cui
bisogna ancora dare una risposta.
Fig 2 Probabile meccanismo mediante il quale la disfunzione mitocondriale mediata da UCP-2 compromette la
secrezione di insulina da parte delle cellule beta pancreatiche. A: la proteina UCP2, l’anione superossido e la secrezione
di insulina stimolata dal glucosio. La secrezione di insulina è accoppiata al metabolismo del glucosio dall’aumento del
rapporto ATP/ADP in seguito all’ossidazione del glucosio, che determina la chiusura del canale del potassio (K). In
questo modo la membrana si depolarizza, si apre un canale del Ca++, il successivo ingresso di calcio determina la
secrezione dell’insulina. Ucp-2 fa diminuire la secrezione di insulina indotta dal glucosio perché disaccoppia
l’ossidazione del glucosio dalla fosforilazione ossidativa e quindi si produce meno ATP. Il superossido generato
dall’attività della catena di trasporto degli elettroni stimola l’attività di UCP-2.
B: Gli effetti dell’obesità, dell’iperglicemia e dei lipidi si UCP-2. L’ obesità, iperglicemia e gli alti livelli di lipidi
inducono ognuno l’espressione di UCP-2 nelle cellule pancreatiche. Questi stimoli fanno aumentare anche la
produzione di superossido da parte della catena di trasporto. Come conseguenza UCP-2 viene attivata portando ad un
aumento della fuga di protoni mediata da UCP-2. Questa fuga di protoni altera la secrezione di insulina in risposta al
glucosio determinando quindi disfunzioni della cellula beta.
DISFUNZIONI MITOCONDRIALI E SECREZIONE DELL’INSULINA NELLE
CELLULE β PANCREATICHE
Molti individui obesi con marcata insulino-resistenza non sviluppano diabete. In
questi individui le cellule β-pancreatiche si adattano a rispondere alla più elevata
domanda di insulina. Questo adattamento coinvolge l’espansione della massa
cellulare β, così come il mantenimento di una normale responsività delle cellule beta
al glucosio. In contrasto, negli individui obesi destinati a sviluppare il diabete di tipo
2, le cellule β non secernono abbastanza insulina per compensare l’aumentata
richiesta. Questo difetto delle cellule èβ probabilmente causato da una inadeguata
espansione della massa cellulare β e/o da un difetto della massa cellulare β esistente a
rispondere al glucosio. La massa cellulare β è regolata da vari fattori tra cui le
dimensioni delle cellule β, la velocit
à di replicazione e/o differenziamento delle
cellule β, la velocità della morte cellulare per apoptosi delle celluleβ. Nonostante le
difficoltà a quantificarla, la massa cellulare β sembra diminuita negli individui con
diabete di tipo 2 rispetto a quella osservata in individui con gradi simili di insulinoresistenza. Benchè le cause di questa diminuzione relativa nella massa delle cellule
β sia sconosciuta, l’aumentata velocità di apoptosi può avere un ruolo importante. I
segnali da e per i mitocondri che regolano l’apoptosi nelle cellule β e l’effetto del
mezzo prediabetico su questi segnali sono completamente sconosciuti, ma saranno
probabilmente oggetto di studi futuri. Numerosi studi hanno documentato che in
individui con diabete di tipo 2 le cellule beta non percepiscono propriamente il
glucosio e quindi non rilasciano appropriate quantità di insulina. La percezione del
glucosio richiede il metabolismo ossidativo mitocondriale che porta alla generazione
di ATP. Questo aumento del rapporto ATP/ADP nelle cellule beta porta ad una serie
di eventi: inibizione del canale del potassio regolato dal rapporto ATP/ADP, la
depolarizzazione di membrana, l’apertura di un canale del calcio, afflusso di calcio e
la secrezione di insulina. Anche se la secrezione di insulina è modulata anche da altri
stimoli che operano indipendentemente, è chiaro che il metabolismo ossidativo
mitocondriale ha un ruolo centrale nella secrezione dell’insulina stimolata dal
glucosio. Il ruolo critico dei mitocondri è evidente nei rari disordini mitocondriali
ereditari in cui le disfunzioni delle cellule beta sono state ricondotte a specifiche
mutazioni del genoma mitocondriale. Dato il ruolo centrale del mitocondrio nel
percepire il glucosio, è probabile che una diminuzione della funzione mitocondriale
nelle cellule beta, analogamente a quanto osservato nel muscolo scheletrico, potrebbe
predisporre gli individui a sviluppare disfunzioni delle cellule beta e diabete di tipo 2.
Comunque questa interessante ipotesi non è ancora stata verificata sperimentalmente
dal momento che è difficile avere campioni di cellule beta. La disfunzione delle
cellule beta si pensa sia secondaria ad una aumentata esposizione delle cellule beta al
glucosio (glucotossicità) e/o ai lipidi (lipotossicità), frequentemente associata con
l’obesità e lo stato di insulino-resistenza. Un certo numero di ipotesi sono state
proposte per spiegare come queste condizioni inducano disfunzioni alle cellule beta.
Una di queste ipotesi si focalizza sui cambiamenti nell’espressione e nella funzione
della proteina della membrana mitocondriale interna UCP-2. Per capire il ruolo di
UCP-2 è necessario riprendere alcuni aspetti di rilievo del metabolismo ossidativo. Il
metabolismo ossidativo del glucosio coinvolge il trasferimento dell’energia contenuta
all’interno dei legami del carbonio del glucosio al terzo legame fosfato dell’ATP.
Questa reazione complessa inizia con il trasferimento degli elettroni dei legami
carbonio al NAD e al FAD i quali poi li donano alla catena di trasporto degli
elettroni, una unità multiproteica divisa in 4 complessi (I, II, III, IV), tutti localizzati
nella membrana mitocondriale interna. Infine gli elettroni sono condotti alla loro
missione finale, la riduzione dell’ossigeno ad acqua. I complessi I, III e IV sono
pompe protoniche guidate da ossidoriduzioni che usano l’energia portata dagli
elettroni per pompare protoni fuori dalla matrice, creando un gradiente di potenziale
elettrochimico protonico attraverso la membrana interna. Questi protoni poi rientrano
nella matrice mitocondriale via ATP-sintasi con l’uso dell’energia immagazzinata
all’interno del gradiente elettrochimico per guidare la sintesi di ATP da ADP.
L’UCP-2 è una proteina integrale di membrana che, quando attivata, trasporta protoni
attraverso la membrana interna, disaccoppiando il metabolismo ossidativo del
glucosio dalla produzione di ATP. Dal momento che questo fa diminuire la quantità
di ATP generata dal glucosio, l’UCP-2 può regolare negativamente la secrezione di
insulina stimolata dal glucosio. Evidenze sperimentali hanno mostrato che ciò è
possibile. La forzata iperespressione di UCP-2 nelle cellule beta in coltura determina
una diminuzione della secrezione di insulina in risposta al glucosio, mentre
l’inattivazione del gene UCP-2 nel topo ha l’effetto contrario. Da notare che
l’inattivazione di un solo allele (eterozigosità) produce un effetto che è intermedio
tra quello osservato nel topo wild type e nell’omozigote, indicando che cambiamenti
relativamente piccoli nell’espressione di UCP-2 hanno effetti significativi nella
secrezione di insulina in risposta al glucosio. UCP-2 esercita sostanziali effetti
negativi nel controllo della secrezione di insulina in risposta al glucosio. Può la
aumentata espressione di UCP-2 avere un ruolo causale nelle disfunzioni delle cellule
beta nel diabete di tipo 2? Questa idea è supportata dal fatto che l’espressione di
UCP-2 è stimolata in vivo ed in vitro dall’iperglicemia e dai lipidi, oltre che in
modelli animali di diabete di tipo 2. La deficienza genetica di UCP-2 nei modelli
animali di obesità/diabete determina un significativo miglioramento della funzione
delle cellule beta. Questi dati suggeriscono che UCP-2 nei modelli animali ha un
importante ruolo patogenetico. Un ruolo simile potrebbe averlo anche nel diabete di
tipo 2 umano, perché UCP-2 è espresso dalle cellule beta e la sua espressione
aumenta con l’iperglicemia. Inoltre un polimorfismo nel promotore del gene UCP-2
umano, che incrementa l’espressione di UCP-2, è stato legato alla riduzione della
secrezione di insulina e ad una più alta frequenza e/o più precoce comparsa del
diabete di tipo 2. E’ stato recentemente scoperto che il superossido, un sottoprodotto
dell’attività della catena di trasporto degli elettroni, stimola l’attività della UCP-2
quando viene aggiunto a mitocondri isolati, o quando è generato in situ all’interno
delle cellule beta intatte. Il meccanismo attraverso il quale il superossido attiva UCP2 è sconosciuto ma può coinvolgere la generazione di intermedi dei radicali liberi. La
stimolazione dell’attività di UCP-2 da superossido è rilevante nello sviluppo delle
disfunzioni delle cellule beta, perché la produzione di superossido aumenta nelle
cellule beta dei roditori con diabete di tipo 2 ed in cellule beta in coltura esposte
all’iperglicemia e a elevati livelli di lipidi. Questo aumento di perossido, accoppiato
all’aumento nella proteina UCP-2, porta ad una marcata stimolazione della fuga di
protoni che porta alla disfunzione delle cellule beta. La rimozione del superossido
endogeno nelle cellule beta che non rispondono al glucosio, sia perché esposte
all’iperglicemia in vitro o perché in presenza di uno stato diabetico o di obesità in
vivo, inibisce notevolmente l’attività di UCP-2 e ripristina la secrezione di insulina
stimolata dal glucosio. Queste evidenze suggeriscono la possibilità che inibitori di
UCP-2 possano essere usati per trattare o prevenire il diabete di tipo 2.
CONCLUSIONI
Molti diversi esperimenti supportano l’ipotesi che i difetti mitocondriali possano
giocare un ruolo critico nei due principali aspetti del diabete di tipo 2. L’insulinoresistenza e la disfunzione delle cellule beta. Varie domande restano ancora aperte:
1) la riduzione in vivo della funzionalità mitocondriale è dovuta alla perdita di
mitocondri, o a difetti funzionali dei mitocondri o a entrambe le cose?
2) La down-regolazione dei geni responsivi a
PGC-1α/PGC-1β è un evento
primario o secondario nella patogenesi del diabete di tipo 2? Se è un evento
primario, quali sono i geni a monte responsabili della loro alterata espressione?
3) Può l’UCP-2 giocare un ruolo nella disfunzione della cellula β pancreatica nei
pazienti con diabete di tipo 2?
Rispondere a queste domande potrà fornire nuovi bersagli farmacologici per la
prevenzione e il trattamento della più diffusa malattia metabolica del mondo.
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DIABETE DI TIPO 2 e disfunzioni mitocondriali