Sviluppo di compositi e nanocompositi a matrice polimerica con capacità
autoriparanti per applicazioni aeronautiche
Prof. Alberto Mariani1 – Prof. Saverio Russo2 – Prof. Josè Maria Kenny3
1
Università degli Studi di Sassari - Dip. Chimica
2 Università degli Studi di Genova – Dip. di Chimica e Chimica Industriale - Centro di Riferimento NIPLAB – INSTM
3 Università di Perugia, sede di Terni – Centro di Riferimento NIPLAB – INSTM
INTRODUZIONE
Fra i settori di maggiore interesse applicativo vi è certamente quello relativo alla preparazione di materiali in grado di mimare i comportamenti tipici degli organismi viventi. In
quest’ambito, uno degli obiettivi principali è costituito dalla realizzazione di materiali con proprietà autoriparanti. Recentemente sono stati ideati alcuni materiali polimerici
dotati di queste caratteristiche[1-3]. Nella maggior parte dei casi, il processo di autoriparazione è innescato da stimoli esterni, anche se senza un intervento diretto nella zona da
riparare. Ad oggi è riportato un solo esempio in letteratura di un materiale polimerico autoriparante di tipo “metabolico” in cui, al pari di quanto avviene negli organismi viventi,
è il verificarsi stesso di una frattura che attiva il meccanismo di riparazione (cfr. “Il sistema metabolico di White”).
E’ ovvia l’importanza dei processi di autoriparazione nei materiali polimerici, dotati sia di proprietà strutturali che funzionali, per l’utilizzo in settori avanzati. Tra questi, appare
di particolare importanza l’applicazione dei materiali autoriparanti nell’industria aerospaziale o in campo biomedico.
Sarebbe inoltre di estremo interesse l’abbinamento del meccanismo di autoriparazione ad uno di tipo diagnostico, che consentisse di evidenziare la formazione di (micro)crepe
nelle zone interne del materiale, nelle quali il controllo diretto risulta al momento impossibile o molto problematico.
VANTAGGI DEI MATERIALI POLIMERICI
AUTORIPARANTI
 Rallentare e resistere ai processi di degradazione naturale.
 Migliorare la sicurezza e l’affidabilità di un prodotto.
 Allungare il tempo di vita del materiale.
 Ridurre i costi di manutenzione.
IL SISTEMA “METABOLICO”
DI WHITE
Questo sistema è al momento l’unico in
cui il processo di autoriparazione si
innesca in maniera automatica per effetto
stesso della formazione di crepe all’interno
della matrice. Esso è stato applicato a una
matrice polimerica epossidica [1]; in
questa sono stati dispersi un catalizzatore
in
polvere
finemente
suddivisa
(catalizzatore di Grubbs) e delle
microcapsule contenenti un monomero
(diciclopentadiene, DCPD) che ha la
funzione di agente riparante (Figura 1A).
L’insorgenza di una crepa nella matrice
provoca la rottura delle microcapsule con Fig.1 : sistema autoriparante di White.
conseguente rilascio dell’agente riparante
il quale, per capillarità, raggiunge la
regione danneggiata (Figura 1B).
Il DCPD entra in contatto con il
catalizzatore di Grubbs e polimerizza a
temperatura ambiente e in tempi molto
rapidi saldando le due facce della crepa
grazie alla formazione di un polimero
reticolato che ripristina la rigidità della
matrice (Figura 1C). Il catalizzatore,
rimanendo attivo anche dopo il termine
della
polimerizzazione,
permette
autoriparazioni multiple
PROCESSI DI AUTORIPARAZIONE
Fig.6: immagine SEM della rottura del guscio di
rivestimento di una microcapsula.
PRINCIPALI CAMPI APPLICATIVI DEI MATERIALI
POLIMERICI AUTORIPARANTI
 Applicazioni biomediche
 Settore aeronautico e
Fig.2 : protesi articolari.
Fig.3 : by-pass.
aerospaziale
Fig.4 : valvole cardiache.
Fig.5 : materiali dentali.
 Settore sportivo
 Industria automobilistica
L’APPROCCIO “NON METABOLICO”
Consiste in processi di riparazione non autonomi, ma attivabili con apposite procedure di
stimolazione esterna facenti uso di campi elettrici o magnetici, intorni chimici, temperatura, etc.
A titolo esemplificativo, in Figura 9 si riporta il sistema proposto da Aksay et al. [4,5], che si
ispira al fenomeno della coagulazione sanguigna ed è basato sul principio del flusso
elettroidrodinamico. La funzione del campo elettrico è analoga a quella dei nervi sensitivi
presenti nel corpo umano.
Un secondo esempio è quello rappresentato in Figura 10: il modello di Chen [6]. In questo
approccio si sfrutta la reversibilità di alcune reazioni chimiche al variare della temperatura.
La formazione di una crepa implica la rottura di alcuni legami chimici tra atomi posti sulle due
facce della frattura. Per riscaldamento del campione, si ottiene una rottura indotta di alcuni
legami termicamente reversibili appositamente introdotti e in grado di ricombinarsi tramite
reazioni chimiche opportune che vengono favorite dal raffreddamento del materiale.
riscaldamento
Fig.8: immagini SEM di
una superficie riparata.
Fig.7: immagine SEM della
superficie di un materiale
prima della riparazione
della crepa.
In Italia si è recentemente costituito nell’ambito del Consorzio
INSTM un gruppo di ricerca multisede che raggruppa una ventina di
ricercatori accademici dedicati allo studio dei materiali polimerici
autoriparanti.
RIFERIMENTI
[1] S. R. White, N. R. Sottos, P. H. Geubelle, J. S. Moore, M. R. Kessler, S. R. Sriram, E. N. Brown, S.
Viswanathan; Nature 2001, 409, 794
[2] J. Raghavan, R. P. Wool; J. Appl. Polym. Sci. 1999, 71, 775.
[3] P. Gould; Materials today 2003, 6 (6), 44.
[4] N. Yao, A. Y. Ku, N. Nakagawa, T. Lee, D. A. Saville, I. A. Aksay; Chem. Mater.2000, 12(6),1536.
[5] M. Trau, D. A. Saville, I. A. Aksay; Langmuir 1997,13 (24),6375.
[6] X. Chen, M. A. Dam, K. Ono, A. Mal, H. Shen S. R. Nutt, K. Sheran, F. Wudl; Science 2002, 295, 1698
Fig.9: sistema autoriparante di Aksay.
Fig.10: modello autoriparante di Chen.
TECNICHE DIAGNOSTICHE
La possibilità di evidenziare immediatamente la presenza di fratture non appena esse si siano
formate è di estrema importanza per la sicurezza e l’affidabilità del materiale polimerico. Una
possibilità, per materiali non eccessivamente spessi, è quella illustrata in Figura 11 in cui il
materiale polimerico è stato caricato con fibre di vetro cave [3, 7-10] contenenti un agente
fluorescente. La frattura provoca la fuoriuscita di quest’ultimo, evidenziando così il danno.
Fig.11: immagine della crepa sulla superficie di un
materiale rilevata sotto analisi con luce UV.
[7] C. Dry, Composite Structures 1996, 35, 263.
[8] C. Dry, Proc. Int. SAMPE Symp. Exhib. – Evolving Technologies for the Competitive Edge, 1997, 42(1), 208.
[9] S.M. Bleay, C.B. Loader, V.J. Hawyes, L. Humberstone, P.T. Curtis, Composites: pt. A 2001, 32, 1767.
[10] M. Hucker, I. Bond, S. Bleay, S. Haq, Composites: pt. A 2003, 34, 927.
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