SANTE MESSE DELLA SETTIMANA
24 – 31 ottobre 2010
Sabato 23 ottobre
Domenica 24 ottobre
Lunedì 25 ottobre
Martedì 26 ottobre
Mercoledì 27 ottobre
Giovedì 28 ottobre
Venerdì 29 ottobre
Sabato 30 ottobre
Domenica 31 ottobre
18
Ann. MARTINETTI Eugenio
e deff. Fam. LANZA, GILARDI e SAVOIA
Ann. SOLA Antonio e deff. Fam. SOLA
Ann. D’ERICO Sabrina
Ann. BEAUFILS Joseph
Def. TORTA Vincenzo
Deff. GIORDA Antonio e Margherita
10.30 Ann. BOSTICCO Jolanda e fam.
Def. PAVESE Claudio
e deff. Fam. PAVESE, FIORE e DISCALZO
Deff. Fam. DISCALZO, BONAVERI e AUGUSTI
Def. TORTA Margherita
Deff. AGNESE Aldo e Lilì
18 no Messa
8.30
8.30 Deff. FIORE Piera, Consolina e Pia
18
18
no Messa
no Messa
Ann. TAPPO Caterina ved. AGNESE
Ann. VERSINO Pacifica ved. DOLEATTO
Ann. FILLIA Annita
Def. ORSO GIACONE Giorgio
10.30 Ann. VERSINO Elvira
e deff. fam. MAGNABOSCO, BRUNERO e VERSINO
Ann. CAMPANINO Giorgio e DAL BIANCO Antonietta
Def. CARESIO Bernardo
A V V I S I
Confessioni individuali:
individuali sabato dalle 17.15 alle 17.45 – domenica dalle 9.45 alle 10.15
Da sabato 16 a domenica 24: SETTIMANA DI SANT’ORSOLA E DEI GIOVANI
Domenica 24 ottobre: RITIRO SPIRITUALE PARROCCHIALE con don Roberto Repole (14-19)
Lunedì 1 novembre, Festa dei Santi:
Santi Santa Messa in chiesa (10.30) e al Cementiri (15)
martedì 2 novembre, Commemorazione dei Defunti:
Defunti Santa Messa in chiesa (10.30),
benedizione al Cimitero (15) e Santa Messa in chiesa per i defunti dell’ultimo anno (20.30)
• Venerdì 5 nov.: S. MESSA alla MADONNINA per il 150° della 1ª Com. M.V. Dal PdC (20.30)
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Foglio settimanale della Parrocchia San Giorgio Martire – Reano
Il
pubblicano
invece,
fermatosi a distanza, non
osava nemmeno
alzare
gli
occhi al cielo, ma
si batteva il
petto
dicendo:
«O Dio, abbi
pietà di me
peccatore».
(Luca 18,13)
QUALE IMMAGINE DI DIO?
Se domenica scorsa abbiamo meditato sulla «necessità di pregare sempre,
senza stancarsi» (Lc 18,1), oggi nel vangelo Gesù ci fornisce un altro
insegnamento sulla preghiera, ponendoci una precisa domanda: quale immagine
di Dio, di noi stessi e degli altri muove la nostra preghiera?
«Gesù disse una parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e
disprezzavano gli altri». L’annotazione con cui si apre il nostro brano tocca
ciascuno di noi: siamo infatti sempre tentati di sentirci giusti, di giustificare
ogni nostro comportamento. La via più breve per giungere a questo scopo
consiste nel condannare gli errori altrui, il che consente di lasciare in pace la
propria coscienza ed evita la fatica di ammettere i propri peccati. In questo
modo finiamo per essere ciechi davanti ai nostri errori e ci allontaniamo da
Gesù, dimenticando il suo monito: «Non sono i sani che hanno bisogno del
medico, ma i malati; non sono venuto a chiamare i giusti – cioè quelli che si
credono tali – ma i peccatori» (Mc 2,17 e par.)…
Tale atteggiamento si riflette anche sul nostro modo di pregare, come ci
rivela la parabola odierna. «Due uomini salirono al tempio a pregare, uno era
fariseo e l’altro pubblicano». A prima vista la contrapposizione non può essere
più netta: da una parte un «uomo religioso», stimato come persona pia ed
esemplare; dall’altra un pubblicano, colui che svolge il mestiere – impuro per
gli ebrei – dell’ingiusto appaltatore di tasse, la figura tipica del peccatore
pubblico, riconosciuto tale da tutti. Entrambi salgono al Tempio per entrare in
comunione con Dio, ma le loro preghiere sono agli antipodi.
Il fariseo sta in piedi, nella posizione di chi è sicuro di sé, e «si rivolge a se
stesso» in una sorta di monologo: «O Dio, ti ringrazio che non sono come gli
altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano.
Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo». Sono
parole in cui si cela uno stravolgimento della preghiera: il fariseo sostituisce il
suo «io» a «Dio» e rende grazie non per ciò che Dio, nel suo amore fedele, ha
fatto per lui, ma per ciò che lui stesso ha compiuto per Dio! È evidente che in
una simile preghiera l’intero rapporto con Dio è pervertito: la chiamata alla fede
diventa un privilegio, l’osservanza della Legge una garanzia, l’essere in una
condizione morale retta un pretesto per sentirsi superiore agli altri. Chi è
convinto di essere giusto si illude della propria pretesa perfezione e non pensa
di dover cambiare, ma è spinto innanzitutto al disprezzo verso gli altri…
«Il pubblicano invece» – continua Gesù – fermatosi a distanza, non osava
nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi
pietà di me peccatore”». I suoi peccati manifesti lo rendono oggetto di scherno
da parte di tutti; per questo egli è andato al Tempio con la coscienza, resa più
bruciante dal giudizio altrui, di essere un peccatore. Quest’uomo non osa
avvicinarsi al Santo dei santi, là dove c’è la presenza di Dio: non ha nulla da
vantare, ma sa che può solo implorare misericordia da parte del Dio tre volte
Santo. Egli prova lo stesso sentimento di Pietro di fronte alla santità di Gesù:
«Signore, allontanati da me che sono un peccatore!» (Lc 5,8). Sì, l’autentico
incontro con Dio e con Gesù Cristo coincide con lo svelamento all’uomo del
proprio essere peccatore, ossia con la scoperta dell’abissale distanza che lo
separa dal Signore. Ecco perché la preghiera: «O Dio, abbi pietà di me
peccatore» è quella che meglio esprime la nostra condizione: siamo chiamati a
riconoscere le nostre cadute e ad accettare che Dio le ricopra con la sua
inesauribile misericordia, l’unica cosa veramente necessaria nella nostra vita…
Significativa è la conclusione di Gesù, lui che era disprezzato proprio dai
farisei per il suo mangiare con i pubblicani (cf. Mc 2,16 e par.; Lc 7,34): «Il
pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo, perché chi si
esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (cf. Lc 14,11). Il pubblicano,
infatti, prega presentandosi a Dio con grande realismo, accettando di essere
conosciuto da lui per ciò che egli è: un peccatore bisognoso di misericordia.
Solo chi ha «il cuore spezzato» (Sal 51,11) da questa consapevolezza può
rivolgere a Dio, in comunione con i fratelli e le sorelle, «la preghiera dell’umile
che penetra le nubi» (Sir 35,17).
Enzo Bianchi – Fondatore e priore della Comunità Monastica di Bose
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Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno