FRUTTICOLTURA/DIFESA
Più gravi e diffusi del solito nell’inverno 2003-2004
DANNI DA SELVAGGINA
NEI FRUTTETI
Le abbondanti
nevicate hanno
coperto fonti
alimentari alternative,
ma soprattutto
piegato o divelto
le recinzioni.
Consigli utili per
ottenere l’indennizzo
e/o il contributo
per allestire strutture
di protezione.
I cervi arrecano danni
anche a prati
e pascoli di alta quota
Massimo Leonardi
TERRA TRENTINA
Servizio strutture, gestione e sviluppo delle
aziende agricole/PAT/Ufficio agricolo periferico di Malè
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Da sempre i frutteti confinanti
con zone boschive sono soggetti ad incursioni di selvatici
con intensità variabile da annata ad annata a seconda dell’andamento stagionale, del carico
di selvatici presenti, ecc.
Questo problema è particolarmente attuale in zone con molta superficie fruttettata a confine col bosco, e laddove le popolazioni di ungulati risultano
in forte espansione od evoluzione, con passaggio di prevalenza dal capriolo al cervo,
come accade ad esempio in Val
di Sole.
I danni riscontrabili nei frutte-
ti, classificati per tipo di selvatico, sono così riassumibili:
• Capriolo: brucatura della parte terminale dei germogli,
unitamente all’asportazione
delle gemme a fiore, col risultato di una ridotta fioritura
della parte bassa delle piante
(fino ad 1,10 mt. di altezza);
abitualmente questo ungulato
frequenta i frutteti anche nel
periodo estivo – autunnale
cibandosi delle foglie e dell’apice vegetativo causando
cosi piccoli squilibri sulla
pianta (parte terminale del
germoglio e gemme apicali
non ben lignificate). I danni
provocati solamente da questo ungulato diventano significativi se effettuati su giovani
impianti in allevamento o se
sommati a quelli del cervo.
• Cervo: le dimensioni, il
fabbisogno alimentare e la tendenza a raggrupparsi in piccoli
branchi fanno immediatamente comprendere che l’entità dei
danni provocati da questo
erbivoro sono di tutt’altra consistenza, anche se molto simili
come tipologia a quelli del capriolo, e si possono individuare nella brucatura della parte
tenera dei germogli (anche 15
– 20 cm) e dall’asportazione
della quasi totalità delle gemme a fiore, compreso parte
delle lamburde e borse. Il risultato si traduce in una mancata fioritura della parte medio
- bassa delle piante (fino ad
1,90 mt. di altezza) e conseguente rigoglio vegetativo nella stagione successiva. In estate generalmente questo
ungulato non provoca danni
in quanto migra verso i pascoli più alti, per tornare però a
comparire nell’autunno anche
richiamato dai frutti di cui è
particolarmente ghiotto, provocando in molti casi sì danni
diretti, ma generalmente di
entità poco significativa.
Trascurabili risultano i danni
Nell’inverno 2003/2004 si è rilevato un notevole aumento di danni arrecati alle colture agrarie da
parte dei selvatici, danni riconducibili prevalentemente ai cervi. Le
cause principali di questa criticità
vanno ricondotte all’andamento
meteorologico dell’inverno scorso che con le frequenti e abbondanti nevicate, in special modo
in quota, ha costretto parecchi
selvatici a migrare verso il
fondovalle dove la neve risultava più bassa e l’alimentazione di
conseguenza più agevole.
La massa di neve inoltre, tramite
l’azione meccanica, ha reso inefficaci parecchie recinzioni, sia
piegando e sradicando piante limitrofe che sono cadute sulle reti
e sia ammassandosi e scivolando sulla parte a monte piegando
la palificazione di sostegno, facilitando così l’accesso ai selvatici
anche in alcuni fondi chiusi.
Si può anche supporre una
maggior appetibilità degli apici vegetativi delle piante coltivate, che sembrano attrarre
particolarmente questi animali, rispetto alle colture forestali.
L’accentuarsi della rilevanza economica di detti danni è anche da
ricercarsi nel passaggio, in questi ultimi anni, a portinnesti deboli e forme di impianto sempre
più fitte che portano ad una riduzione dello sviluppo in altezza delle piante, quindi ad un abbassamento del livello di fruttificazione e conseguentemente ad
una maggior sensibilità delle
coltivazioni a queste situazioni.
TERRA TRENTINA
provocati dallo sfregamento
dei palchi sulle piante coltivate in quanto generalmente localizzati su un’unica pianta
(vale anche per il capriolo).
• Lepre: rosura ed asportazione
della corteccia dei tronchi e
delle ramificazioni basali delle giovani piantine (anche oltre il metro d’altezza in caso di
abbondanti nevicate), localizzate per lo più durante la stagione invernale e che possono, in casi estremi, portare a
morte delle piantine colpite.
Per cercare di ovviare od almeno di lenire i danni da selvaggina la PAT ha attivato la Legge Provinciale n° 24 del 09.12. 1991
“Norme per la protezione della
fauna selvatica e per l’esercizio
della caccia” che specificatamente prevede all’articolo 33,
sia la possibilità di un indennizzo da parte della Provincia per
far fronte ai danni non altrimenti risarcibili causati dalla selvaggina, sia contributi in conto capitale per iniziative atte alla prevenzione di tali danni.
Per quanto concerne l’indennizzo, l’importo minimo del danno
per essere ammesso a finanziamento deve essere superiore a
€ 1.032,91 (£. 2.000.000), mentre l’intervento contributivo è
quantificato nel 70% del danno
accertato. Va altresì ricordato che
tale indennizzo è concesso una
sola volta per particella ed il periodo utile per la presentazione
delle domande presso il Servizio Strutture Gestione e Sviluppo delle Aziende Agricole è individuato nei 30 giorni successivi la data dell’evento. I danni difficilmente quantificabili all’atto di
una prima verifica e che hanno
riflesso diretto sulla fruttificazione vengono definiti con un
sopralluogo successivo in prossimità della raccolta per quantificare più correttamente la mancata produzione.
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TERRA TRENTINA
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Di maggior interesse e altrettanto incentivate dalla normativa
sono le iniziative atte a prevenire
i danni (recinzioni, ecc.). La spesa minima ammissibile in questo
caso risulta pari ad € 2.065,83 (£.
4.000.000) e l’intervento provinciale è pari al 70% nel caso di
domande proposte da consorzi
di miglioramento fondiario e del
50% per gli altri richiedenti. L’intervento è sottoposto a vincolo
decennale e la presentazione delle domande va fatta precedentemente all’esecuzione dell’iniziativa. I lavori possono iniziare solamente successivamente al
sopralluogo congiunto effettuato dal Servizio Strutture Gestione
e Sviluppo delle Aziende Agricole e dal Servizio Faunistico. Dalle
esperienze maturate, in zone con
presenza di cervo, la recinzione
indicativamente dovrà avere
un’altezza di 2,5 mt. (ottenibile
anche con rete da 2 mt., sopraelevata mediante stesura di tre fili
di ferro), la palificazione dovrà
garantire una buona resistenza ai
tentativi di intrusione ed ovviamente il perimetro del fondo dovrà essere interamente recluso. Si
ricorda che le recinzioni in genere sono opere soggette all’acquisizione di licenza edilizia.
Concludendo sembra corretto
affermare che in particolari zone
con forte presenza di animali selvatici, con ampie aree soggette
a reimpianto o ancor meglio sot-
toposte ad opere di bonifica o
riordino fondiario, non sia da
sottovalutare l’ipotesi di eseguire contemporaneamente anche
interventi volti alla prevenzione
di questi danni. Infatti in un nuovo impianto realizzato con i più
moderni criteri colturali basta
un’annata con danni considerevoli da parte della selvaggina per
compromettere non solo la produzione di un anno, ma la validità ed economicità dell’impianto stesso.
Come ultima considerazione sul
rapporto selvaggina – superfici
coltivate, operando il sottoscritto
in Val di Sole, non può non ricordare i danni che l’elevata popolazione di cervi rilevata nel
comprensorio (oltre 2.800 capi
stimati) ha riflessi negativi anche
sulla coltivabilità dei prati stabili
e degli alpeggi, in particolare nelle aree delimitate dai confini del
Parco Nazionale dello Stelvio e
nelle zone ad esso limitrofe.
L’adattabilità e l’istinto di questo
erbivoro lo portano a concentrarsi nelle aree protette, raggiungendo densità tali da provocare, a
seguito del fabbisogno alimentare (brucatura della prima erba dei
prati e dei pascoli), perdite considerevoli di foraggio e dei ritardi
di monticazione anche di una
quindicina di giorni. Non è infatti difficile incontrare branchi numerosi di questo ungulato che si
nutrono tranquillamente sui territori solitamente adibiti all’alpeggio o nei prati stabili delle zone
montane, aggravando così ulteriormente la situazione di criticità
relativa alla coltivazione del
prativo in zone marginali. Il danno risultante, pur rilevante ai fini
pratici dell’allevatore, è di difficile quantificazione coi parametri
attuali e, pur incidendo pressoché annualmente sui bilanci
“asfittici” delle aziende zootecniche di montagna, difficilmente
supera ufficialmente i minimi previsti dall’attuale normativa. Sarebbe pertanto auspicabile da parte
di tutti gli enti operanti sul territorio una particolare sensibilità,
in questo campo anche alla luce
della “scelta” zootecnica che la
Provincia ha assunto per l’annata 2004.
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danni da selvaggina nei frutteti danni da selvaggina nei frutteti