La Biodiversità del Terminillo
Alla scoperta della vegetazione, della fauna e degli habitat dei Monti Reatini
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LA BIODIVERSITÀ DEL TERMINILLO
INDICE
Alla scoperta della vegetazione, della fauna E degli habitat dei Monti Reatini
REGIONE LAZIO
PROVINCIA DI RIETI
Accordo di programma multiregionale in materia di biodiversità nella ZPS Monti Reatini, nei
SIC Gruppo Monte Terminillo, Vallone del Rio
Fuggio, Valle Avanzana Fuscello e interventi di
riqualificazione ambientale a tutela della Batracofauna.
Con la collaborazione di
Si ringraziano
l’Arch. Roberta Galluzzi e
l’Ing. Mariangela Guerrieri.
Citazione bibliografica consigliata:
Cammerini Giancarlo (Ed), 2012.
La Biodiversità del Terminillo.
Alla scoperta della vegetazione, della fauna e degli
habitat dei Monti Reatini.
Regione Lazio, Amministrazione Provinciale di Rieti.
Regione Lazio
Amministrazione Provinciale di Rieti
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Presentazione
Coordinamento editoriale
Giancarlo Cammerini
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Scoperta e difesa della biodiversità
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La Rete Ecologica Natura 2000
30
Geografie e paesaggi
Cartografia:
Giancarlo Cammerini
50
Vegetazione e habitat
Foto:
Mauro Bernoni: pagg. 83,84,113,114 alto.
Fabrizio Bartolucci: pagg. 69, 106.
Enrico Calvario: pagg. 95, 112 basso,115.
Giuliano Cappelli (panda Photo): pagg. 90,112.
Gabriele Casciani: pag. 81.
Giancarlo Cammerini: pagg. 10,14,19,20,21,22,23,24,25,26,27,28,31,33, 34, 35, 37, 38,39,40,
42,43,45,47,48,51,55,57,58,61,63,65,66,71,73,75,76,77,78,96, 99,100,103,105,118,121,123,124 alto,
130,134,145,153,155,159,160,163,164,166,177.
Andrea Capponi: pagg. 5,9.
Romano Fabi: pag. 13.
Roberta Galluzzi: pagg. 135,136,137,138,139,140,141,142,143,144,145,171.
Mariangela Guerrieri: pagg. 146,147,148,149,150,151,152,153,173.
Domenico Marchetti: pagg. 5,9.
Gianpaolo Montinaro pagg.108,126 alto.
Guido Prola: pagg. 89,93,109,110,111,116,117.
Stefano Sarrocco: pagg. 126basso, 125 basso.
Silvia Sebasti: pag. 127 alto.
Francois Salomone: pag. 107.
Alberto Venchi: pagg. 109,123 basso .
80
La fauna
104
Specie di valore europeo
120
Progetto laghetti e fontanili
124
Gli anfibi presenti nei laghetti e fontanili ripristinati
132
Gli interventi per la tutela e valorizzazione di laghetti e fontanili
154
La cultura della montagna
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Buone pratiche e gestione dei fontanili
174
Bibliografia
Testi:
Giancarlo Cammerini
Enrico Calvario
Silvia Sebasti
Francois Salomone
Stefano Sarrocco
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Presentazione
Michele Beccarini - Assessore alle Politiche Ambientali
Q
uale è il futuro del Terminillo? Sono molti anni, oramai, che amministratori, operatori, ambientalisti e semplici abitanti dei paesi
pedemontani dibattono intorno a questa domanda, provando a
trovare soluzioni e proposte interessanti. Una delle risposte che la nostra
Amministrazione vuole dare è racchiusa in questo volume, che prova a
far emergere l’evidenza scientifica del valore ambientale e naturalistico dei
Monti Reatini.
Un patrimonio fino a oggi poco considerato, ma che è parte del mosaico di
proposte che vedono la montagna reatina protagonista in tutti i suoi aspetti
e in tutte le stagioni. Un progetto ideato per la tutela e la valorizzazione
di specie peculiari e poco conosciute, come gli anfibi, ci ha consentito di
curare la manutenzione, a volte la ristrutturazione e certamente la valorizzazione, di diciotto fontanili e due laghetti ma, soprattutto, ci ha permesso
di dimostrare come sia possibile conciliare le esigenze dell’uomo con quelle
della natura. I fontanili, per esempio, hanno un ruolo strategico per le specie animali; ma la scelta ha dovuto tenere conto delle esigenze degli allevatori che quotidianamente vi fanno riferimento per l’abbeveraggio del bestiame allevato allo stato brado e anche di offrire ai turisti luoghi di ristoro.
Ecco, nello sviluppo dei Monti Reatini si devono tenere in considerazione
molti ambiti di intervento e tra questi, sicuramente, la tutela della biodiversità deve essere messa al primo posto. La politica ha il dovere di impegnarsi nel coniugare le esigenze della tutela ambientale con lo sviluppo
economico, magari scoprendo e mostrando, come si fa in questo progetto,
che possono viaggiare sullo stesso binario.
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La conservazione è uno stato di armonia
fra gli uomini e le terre.
Aldo Leopold
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Scoperta e difesa della Biodiversità
di Giancarlo Cammerini
P
arlare della Biodiversità dei Monti Reatini, della ricchezza naturalistica delle montagne che sovrastano la città di Rieti, è probabilmente
una novità rispetto alle decine di pubblicazioni che la celebrano per
la sua storia legata alla costruzione della stazione turistica di Pian dé Valli
alle piste da sci, all’urbanizzazione capillare che nel corso di cinquanta anni
ha portato il segno tangibile, a volte sconsiderato dell’uomo su queste montagne più che in tutti gli altri gruppi montuosi appenninici.
Certamente questo tipo di sviluppo ha contribuito a dare un largo palcoscenico al Terminillo più per i suoi aspetti mondani che per il suo ambiente
naturale. Tuttavia questa è solo una visione parziale, perché su quelle rocce,
tra i boschi, nei prati ci sono persone che sono state e sono interessate soprattutto a osservare boschi e rocce, prati e farfalle, lupi e aquile; scienziati,
naturalisti o semplici appassionati che hanno percorso le valli e i versanti
dei Monti Reatini, decifrando il grande valore della loro biodiversità.
I crocus dipingono di viola
i prati nel passaggio tra
l’inverno a la primavera.
Fin dal XVI secolo sono iniziate le prime descrizioni cartografiche e relazioni scientifiche sul mondo naturale dei Monti Reatini. Nel secolo XVII,
il botanico francese Jacques Barrelier fu il primo naturalista a esplorare le
pendici del Terminillo. In seguito, considerata anche la vicinanza alla Capitale, decine di scienziati hanno continuato ad approfondire la conoscenza delle caratteristiche ambientali della montagna. Il botanico ligure Paolo
Boccone nel 1682 analizzò molte piante, specialmente quelle in quota, individuando una pianta rara come Potentilla appenninica.
Nel 1818, con grandi capacità escursionistiche, il naturalista danese Joakim Frederik Schouw giunse sino in cima dove compì la prima misurazio8
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I costoni della Valle Scura conservano gli ambienti
più preziosi del Terminillo
ne barometrica della vetta, risultò di 2150 metri dell’ornitofauna va ricordato il contributo, sia in
e la chiamò Terminillo grande, (R. Marinelli-Il termini scientifici sia culturali, del Dott. A. AuTerminillo, storia di una montagna - Il Velino). gusto Di Carlo che per alcuni anni fu medico
Con lui inizia un nuovo sistematico studio della condotto a Leonessa.
geologia, della flora e della fauna reatina, anche Arriviamo ai giorni nostri in cui alla consapevose le scienze naturali ancora non avevano la dilezza del valore della biodiversità si unisce il rivisione disciplinare che avrebbe iniziato a distinschio della sua scomparsa. Negli anni Ottanta
guerle dai primi del Novecento.
anche a Rieti la parola ecologia comincia a farCosì negli anni venti il geologo Lotti, Presidente si sentire attraverso l’impegno degli ambientalisti.
della Società Geologica Italiana, avviò lo studio Oltre alla strenua difesa della montagna dagli uldella geologia dei Monti Reatini secondo la con- timi attacchi “cementificatori”, questi cercano di
cezione moderna delle scienze della terra, Giulia- divulgare i valori della biodiversità per far conono Montelucci sistematizzò la conoscenza della scere alla grande massa di turisti che sarebbe staflora dei Monti Reatini. Sempre nell’immediato to sufficiente fare capolino dietro i casermoni di
dopoguerra fu fondato il Centro Appenninico Pian dé Valli per scorgere quella natura che ordel Terminillo, per iniziativa dello scienziato rea- mai appare solo nei documentari televisivi.
tino Carlo Jucci; il primo erbario custodito presInfatti, già nel 1988 con la pubblicazione del voso il museo di quella che in seguito sarebbe dilume Terminillo Anno Zero, da parte di W.W.F e
ventata la foresteria del Centro di ricerca reatino,
conteneva già mille esemplari e, di fatto catalizzò CAI, veniva rilevato come la percezione del Terl’interesse di molti studiosi, entomologi, erpeto- minillo doveva essere più legato agli aspetti natulogi, ornitologi che cominciarono a riempire le rali che a quelli di “Montagna di Roma”.
lacune di conoscenza, ma anche a meravigliarsi Tuttavia, a livello planetario, si stava affermando
della varietà di ambienti, a volte rari, presenti su una nuova visione nella gestione dell’ambiente
queste montagne. Per quanto concerne lo studio che a breve avrebbe portato a una riformulazio10
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Una delle farfalle diurne più comuni è il Tabacco di Spagna
Argynnis paphia, nell’immagine posata su una pianta di cardo
rosso Cardus nutans.
ne delle politiche di conservazione e alla reinterpretazione di una legislazione ormai inadeguata.
Il 5 giugno 1992 a Rio de Janeiro è sottoscritta
la Convenzione Internazionale sulla Diversità
Biologica, ratificata poi nel 1993 dalla Comunità Europea. Quest’accordo sancisce un concetto
fondamentale: la tutela della biodiversità è una
parte inscindibile del processo economico e sociale di un territorio. L’Unione Europea crea la
Rete Natura 2000, un programma per lo studio,
la tutela e la valorizzazione delle specie e degli
habitat più importanti. Anche nei Monti Reatini sono individuati gli elementi naturali più sensibili o rari e sulla base di questi create le aree
di tutela. Su alcuni di essi sono stati sviluppati
Piani di Gestione e progetti di studio e divulgazione per far conoscere la biodiversità ma anche
per promuovere un nuovo e più coinvolgente approccio alla conservazione.
Così oggi, in termini di biodiversità, c’è una visione chiara sia sulla conoscenza degli elementi
naturali sia sulle azioni da attuare per la loro tutela. Simboli rappresentativi di questa tutela sono
le specie d’interesse comunitario e in particolare quelle che nell’immaginario collettivo rappre-
sentano la natura selvaggia: dai lupi alle faggete
monumentali, dai fiori che crescono in alta quota
agli anfibi, dalla miriade di farfalle e coleotteri ai
rapaci che nidificano tra le pareti di roccia.
Tuttavia ci sono due specie che richiamano più di
ogni altro elemento la sensazione di wilderness
nei Monti Reatini: nel panorama vegetale la Betulla, in quello animale l’Aquila reale. La Betulla, specie relitta diffusasi in Italia durante le glaciazioni
è presente solo nel versante nord del Terminillo,
tra i massi della morena postglaciale (Pleistocene
sup.) e la faggeta. Le betulle sopravvivono in formazioni arbustive, sotto la parete nord del Terminillo e ci riportano ad un periodo in cui i Monti
Reatini erano ricoperti dai ghiacci e, tra i boschi
di faggio, acero, abete bianco e betulla, ancora si
aggiravano orsi, lupi, cavalli selvatici e mammut.
L’Aquila reale invece, ci testimonia ancora oggi
un ambiente sano, il suo nido ricavato su pareti strapiombanti è il simbolo chiaro di una montagna affascinante e severa, di una natura incontaminata che in parte oggi è scomparsa, ma che
guardando questo superbo rapace volteggiare
sulle alte valli è possibile richiamare, consapevoli
che per la regina di questi cieli nulla è cambiato.
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La salvezza del mondo sta
nella natura selvaggia
Henry David Thoreau
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La Rete Ecologica Natura 2000
di Enrico Calvario
SIC
VALLE AVANZANA
FUSCELLO
L
SIC
MONTE
FAUSOLA
SIC
RIO FUGGIO
a Rete Natura 2000 è un sistema europeo coordinato e coerente di
aree (Siti di Interesse Comunitario – SIC e Zone di Protezione Speciale – ZPS) che devono essere adeguatamente tutelate dagli Stati membri dell’Unione Europea, per conservare una serie di habitat e di
specie animali e vegetali indicate negli allegati della Direttiva 92/43/CEE
“Habitat” e della Direttiva 79/409/CEE “Uccelli” (sostituita dalla Direttiva 2009/147/CE). Le due direttive non solo hanno colto l’importanza di
tutelare gli habitat per proteggere le specie, recependo in pieno i principi
dell’ecologia che vedono le specie animali e vegetali strettamente connesse
con le componenti biotiche e abiotiche che le circondano ma, per la prima volta, hanno dato rilevanza agli habitat “seminaturali”, la cui presenza
e conservazione dipendono strettamente dalle attività umane “sostenibili”
che in essi si svolgono.
L’area dei Monti Reatini
è oggetto delle Direttive
emanate dall’Unione Europea
e incardinate nel sistema di
tutela da parte della
Regione Lazio.
SIC
VALLONINA
SIC
MONTE TERMINILLO
ZPS
MONTI REATINI
Per assicurare il mantenimento di uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat e delle specie di flora e fauna di importanza comunitaria,
che sono stati alla base della designazione dei Siti Natura 2000, la Direttiva
individua sostanzialmente i seguenti strumenti:
• la definizione di misure di conservazione;
• l’attuazione della procedura di valutazione d’incidenza per tutti i piani
ed i progetti che insistono all’interno dei siti Natura 2000 o che, anche se
esterni, possono produrre effetti che si ripercuotono all’interno dei siti;
• la conduzione delle attività di monitoraggio;
• L’individuazione dei Siti Natura 2000 comporta l’impegno da parte della
Regione del mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente degli
LEGENDA
Siti di Interesse Comunitario
Zona di Protezione Speciale
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habitat e delle specie per cui essi sono stati individuati, nonché il ripristino di ambienti compromessi. Nel Lazio la Valutazione di incidenza va
effettuata tenendo conto delle Linee Guida emanate dalla Regione con DGR 64/2010, pubblicata
nel supplemento n°38 al BURL del 27/02/2010,
con le quali vengono definiti in modo chiaro gli
elaborati tecnici da produrre e le modalità di attivazione della procedura.
Per quanto riguarda le Misure di Conservazione,
il Ministero dell’Ambiente ha emanato il Decreto
del 17 ottobre 2007, recante “Criteri minimi per
la definizione di misure di conservazione relative
a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e a Zone di Protezione Speciale (ZPS)”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 258 del 6 novembre 2007,
che individua una serie di obblighi, divieti ed
azioni wda incentivare all’interno dei siti Natura
2000; esso è stato adottato anche per replicare alla
Procedura di Infrazione comunitaria 2131/2006,
ove si eccepiscono evidenti carenze di misure di
protezione nei confronti delle Zone di Protezione Speciale presenti sul territorio nazionale.
La Regione Lazio ha provveduto all’adeguamento della propria normativa al citato DM 17 ottobre 2007, emanando la DGR 363/2008, successivamente modificata con DGR 928/2008 ed entrambe sostituite dalla DGR n° 612 del 16 dicembre 2011 denominata “Rete Europea Natura 2000:
misure di conservazione da applicarsi nelle Zone di protezione Speciale e nelle Zone Speciali
di Conservazione”. Infine per quanto riguarda il
Monitoraggio, La Regione Lazio, per adempiere
all’obbligo normativo previsto dalla Direttiva Habitat, si è dotata di una Rete Regionale di Monitoraggio (DGR n. 497 del 3/07/2007) che consiste in una vera e propria rete diffusa sul territorio regionale organizzata in un Centro Regionale (“Focal Point”), alcuni centri tematici (“Topic
Center”) e una rete capillare di laboratori territoriali (ubicati presso le Aree Protette regionali). La
gestione operativa del Focal Point è affidata all’Agenzia Regionale Parchi. L’ARP, con la Direzione
Regionale Ambiente e con l’Osservatorio per la
Biodiversità del Lazio, dovrà mettere a punto l’architettura relativa alle banche dati, agli standard
e a tutti gli aspetti tecnico scientifici delle attività di monitoraggio. I Monti Reatini fanno parte
della Rete Natura 2000, essendo stati designati come ZPS “Monti Reatini”, al cui interno sono stati
individuati ben cinque SIC: Vallone del Rio Fuggio, Gruppo del Monte Terminillo,Valle Avanzana–Fuscello, Monte Fausola, Bosco Vallonina.
Il moscardino è un gliride
stabilmente presente sui
Monti Reatini.
La Peonia
Paeonia officinalis è una
specie floristica localizzata
nei versanti erbosi occidentali
dei Monti Reatini.
Questo sistema di aree è un riconoscimento al
valore “monumentale” della biodiversità delle
montagne reatine, anche da considerare come
una straordinaria opportunità di studio e promozione turistica.
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La cascata di Malopasso
nella Valle Scura.
Il Monte Terminillo visto
dalle sponde del Lago di
Ventina al confine tra
Lazio e Umbria.
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Monti Reatini
ZPS IT6020005
Comuni: Morro Reatino,
Rivodutri, Poggio
Bustone, Cantalice, Castel
Sant’Angelo, Borgo Velino,
Micigliano, Leonessa, Posta,
Rieti
Estensione: 24.446,00 ha.
Monti Reatini
Valle Avanzana-Fuscello
Questo comprensorio montano ospita comunità vegetali e animali tipiche
della regione appenninica. Numerose le specie animali a elevato valore zoogeografico e le specie vegetali endemiche dell’Appennino centrale; presenti anche 12 habitat di interesse comunitario, fra cui 5 prioritari. Gli habitat
maggiormente rappresentati sono costituiti da “Faggeti degli Appennini
a Taxus e Ilex” e “Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine”, estesi
secondo il Formulario Standard rispettivamente sul 25% e sul 14% della
superficie della ZPS. L’ambiente naturale è di tipo altomontano, con faggete
di quota e forme di vegetazione al di sopra del limite dei boschi. Di notevole valenza botanica sono le praterie submontane, quelle subalpine e la
vegetazione delle rupi e dei brecciai. La composizione floristica rivela una
notevole diversificazione e ricchezza, con una elevata residualità e relittualità. Presente la specie floristica di interesse comunitario bivonea di Savi
Jonopsidium savianum.
La Valle Avanzana - Fuscello prende origine dai versanti montuosi di
Monte Tilia e Collelungo e delimita la parte nord-occidentale dei Monti
Reatini.
I monti Reatini ospitano due specie di anfibi di interesse comunitario, la
salamadrina dagli occhiali e l’ululone dal ventre giallo appenninico, e una
popolazione estremamente localizzata di Vipera di Orsini. Presente anche
il lepidottero Euphydrias aurinia. Di notevole interesse sono i mammiferi
di medie e grandi dimensioni, tra cui un nucleo stabile di lupo e alcune
segnalazioni recenti di orso bruno. Rilevante il numero di specie ornitiche.
Sul gruppo montuoso vi sono 2 coppie nidificanti di aquila reale, alcune
decine di coppie di coturnice e di gracchio corallino, e infine 3-4 coppie
di falco pellegrino. Nelle faggete d’alto fusto vi sono due specie d’interesse
legate alle comunità degli alberi vetusti, come la balia dal collare e il picchio
dorsobianco. Nidificano inoltre il biancone, la tottavilla, l’averla piccola e il
calandro.
Valle Avanzana-Fuscello
SIC IT6020004
Comuni: Morro Reatino,
Rivodutri, Leonessa,
Labro.
Estensione: 1151,3 ha
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Si tratta di una valle situata al confine con l’Umbria che si sviluppa da quota
1100 a quota 600 m s.l.m., interamente ricoperta di formazioni forestali
montane e submontane, dalle faggete ai boschi di roverella. Nel torrente di
fondovalle, fosso di Leonessa, lo scorrimento idrico superficiale, a causa
delle captazioni delle sorgenti, è discontinuo ed irregolare e si mantiene
più o meno permanente soltanto nella parte alta della valle, lungo il rio
Fuscello. A quote elevate è presente una faggeta che verso valle rimane
solo a ridosso dell’alveo. I versanti della media valle sono occupati da una
foresta mista costituita da aceri, carpini neri e, subordinatamente cerri. Il
fondo valle e alcune vallecole laterali ospitano una cospicua popolazione
di salamandrina dagli occhiali e alcuni nuclei di ululone a ventre giallo,
tra le specie faunistiche di Direttiva. Le scarpate rocciose che bordano
i versanti della valle sono occupati da una coppia nidificante di falco
pellegrino. Un problema ambientale che presenta la valle è la quasi totale
assenza dello scorrimento idrico superficiale, se non nella parte alta di
Fuscello, a seguito della captazione quasi integrali delle sorgenti. Infatti
il torrente Avanzana ha un regime torrentizio molto pronunciato, nei
mesi di maggiore piovosità e scioglimento delle nevi ha una portata che
consente la riproduzione di alcune specie di anfibi ma nel resto dell’anno
resta asciutto, sfocia nel lago di Piediluco. La valle Avanzana nei secoli ha
rappresentato un passaggio importante sia come corridoio faunistico che
per la transumanza delle greggi, un collegamento tra le montagne umbre
e la pianura reatina certamente utilizzato anche da carovane e pellegrini.
Vallone del Rio Fuggio
SIC IT6020006
Comuni: Leonessa.
Estensione: 292,9 ha
Vallone del Rio Fuggio
Gruppo Monte Terminillo
Il Vallone del Rio Fuggio corrisponde al bacino idrografico del fosso omonimo, un affluente in riva sinistra del fosso Tascino di Leonessa. Il sito è
situato ad una altezza media di 1298 m s.l.m. ed è ricoperto per buona parte da faggete ad alto fusto. Le faggete a tasso che ricoprono i versanti della
stretta valle, rappresentano una vegetazione montana relitta, sviluppatasi
nel corso della fine del Terziario, ridotta progressivamente dalle crisi glaciali quaternarie. Lungo il vallone del Rio Fuggio, sul fondo della stretta
valle, si rinvengono anche dei nuclei di foresta mista, da riferire all’habitat
prioritario delle “Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion”.
Lungo la valle, in corrispondenza delle confluenze di piccoli rii laterali alla
valle principale, è presente l’habitat prioritario denominato “Sorgenti pietrificanti con formazioni di travertino”. Sono inoltre presenti altri 3 habitat
di interesse comunitario, quali “Faggeti degli Appennini a Taxus e Ilex” ,
“Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica” e “Bordure planiziali montane e alpine di megaforbie idrofile”. Tra le specie della Direttiva
segnalate nel sito vi sono la balia dal collare, nidificante nella faggeta, e la
tottavilla, un alaudide presente nelle radure di quota. Il Piano di Gestione
ha evidenziato la necessità di migliorare l’utilizzo delle risorse idriche, evitando ulteriori captazioni e cementificazioni delle rive e dell’alveo, prevedendo, inoltre, un regime speciale di protezione che escluda tutti gli
interventi di taglio forestale e di trasformazione territoriale che possano
provocare l’alterazione delle condizioni di efficienza del flusso delle sorgenti. Risulta inoltre necessario prevedere un’adeguata regolamentazione
del transito carrabile. La risalita di questa valle conduce nei vasti prati in
quota verso i monti Tilia e Corno.
Il sito include tutte le principali cime del gruppo del monte Terminillo.
Sono presenti molti degli habitat degli orizzonti montano superiore, subalpino ed alpino, tipici della regione appenninica: faggete, cespuglieti e
praterie d’altitudine, ghiaioni e brecciai. Nell’alternarsi delle diverse morfologie, si rinvengono alcune tra le cenosi vegetali più tipiche e peculiari
dell’Appennino centrale come le brughiere altomontane, corrispondenti
all’habitat di interesse comunitario delle “Lande alpine e boreali” con popolamenti di mirtillo nero, che nel comprensorio si trova al limite meridionale del suo areale. Le praterie subalpine, corrispondenti agli habitat
delle “Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine”, delle “Formazioni
erbose a Nardus, ricche di specie, su substrato siliceo delle zone montane”,
e le comunità vegetali colonizzatrici dei brecciai e dei liscioni calcarei che
caratterizzano gli habitat dei “Ghiaioni calcarei e scisto-calcarei montani
ed alpini (Thlaspietea rotundifolii)” e dei “Pavimenti calcarei”. Il sito è l’unico del comprensorio montano dove sono distribuite le formazioni arbustive a ginepro nano, una specie rara al limite meridionale del suo areale.
Ai limiti superiori della faggeta è segnalata la presenza di popolazioni di
betulla, specie assai rara nel Lazio. Per quel che riguarda le specie faunistiche di Direttiva, nel sito sono segnalate le principali aree di alimentazione
e di riproduzione del calandro, del gracchio corallino, della coturnice e
l’unico nucleo presente nel comprensorio di fringuello alpino. Nell’area
è inoltre presente una coppia di aquila reale. Segnalata anche la Vipera
di Orsini, un serpente di piccole dimensioni, dalle abitudine schive, che
si alimenta di cavallette montane. Questa è la parte sommitale dei monti
Reatini che comprende la vetta principale e la cresta Sassetelli che rappresentano uno dei paesaggi più suggestivi e di carattere realmente montano.
Gruppo Monte Terminillo
SIC IT20007
Comuni: Leonessa,
Cantalice, Micigliano.
Estensione: 3185,7 ha
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Monte Fausola
SIC IT20008
Comuni: Rivodutri
Estensione: 143,2 ha
Monte Fausola
Bosco Vallonina
Situato nel comune di Rivodutri, il sito è localizzato nel settore nordoccidentale dei monti Reatini e include versanti e la parte sommitale di
monte Fausola. Il paesaggio del monte Fausola, che raggiunge i 1325 m
s.l.m., è caratterizzato da praterie montane ricche di specie endemiche. Da
segnalare la presenza di “Formazioni erbose secche seminaturali e facies
coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia)(*notevole
fioritura di orchidee)”, habitat di importanza prioritario esteso sull’80%
della superficie. È altresì presente il Jonopsidium savianum, una crucifera
anche nota come bivonea di Savi, in genere considerata rara, sebbene negli
ultimi anni sia stata segnalata in nuove località. Sarebbe infatti necessaria
una gestione controllata del pascolo per evitare sia l’eccesso di pascolamento, sia l’abbandono totale delle attività pastorali. La specie vegeta prevalentemente in aree a morfologia dolce, poco inclinate e subpianeggianti,
nelle radure boschive su suolo acido dai 300 ai 1300 m s.l.m. Si tratta di
un paleoendemismo relitto, molto raro e localizzato, con areale limitato a
poche stazioni distribuite nell’Appennino Umbro-Laziale e in Toscana. Le
principali cause di minaccia per questa entità risultano essere l’evoluzione
della vegetazione rappresentata dall’espansione della macchia che colonizza le praterie dove vive la specie, e la presenza di cinghiali che distruggono
continuamente le radure dove la specie è preferenzialmente presente. Sulla
strada, dal paesino di Cepparo verso Monte Fausola si trova il Faggio di
San Francesco, un esemplare monumentale di Fagus sylvatica dall’età di
circa 250 anni. La leggenda narra che la rarissima conformazione ad ombrello sia stata assunta, miracolosamente, per proteggere il Santo da un
temporale, in realtà si tratta di una mutazione genetica.
Situato a un’altezza media di 1471 m s.l.m., il sito include l’intera valle della
Meta e gran parte della Vallonina, nonché l’alta valle del fosso Tascino di
Leonessa. I boschi di faggio rappresentano la tipologia vegetazionale più
frequente nell’area, rivestendo quasi ininterrottamente le pendici dei monti
tra i 1000 e i 1900 m circa. Alle quote più elevate si rinvengono prevalentemente faggete pure, accompagnate sporadicamente da aceri, sorbi e salici.
In alcune località la faggeta si arricchisce anche di tasso e di agrifoglio, costituendo l’habitat prioritario “Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex”. Il
tasso è presente soprattutto sugli affioramenti di roccia calcarea delle pareti
delle forre, in stazioni generalmente più umide, ombreggiate e con scarse
oscillazioni termiche. I nuclei di megaforbie idrofile, caratterizzanti l’habitat delle “Bordure planiziali montane e alpine di megaforbie idrofile” si
rinvengono nella fascia della faggeta in prossimità di corsi d’acqua, nelle
radure e sui margini del bosco. È inoltre presente l’habitat “Fiumi alpini
con vegetazione riparia legnosa di Salix eleagnos”. Tra le specie faunistiche,
il lupo è presente nell’area della Vallonina in buona parte dell’anno. Tra le
specie ornitiche nidificanti, oltre alla balia dal collare, sono state recentemente segnalate tre ulteriori specie di interesse comunitario. Si tratta di un
picide, il picchio dorsobianco, e due passeriformi, il gracchio corallino e
la tottavilla. La captazione delle sorgenti del fosso di Tascino di Leonessa
e gli interventi idraulici di risistemazione in alveo hanno distrutto parte
della fascia di salici preesistente. Sarebbe inoltre necessario mantenere la
massima varietà di situazioni qualitative del legno morto in quanto questi
elementi forniscono sia cavità disponibili per la nidificazione della balia
dal collare e del picchio dorsobianco sia il substrato alle comunità animali
saproxiliche di cui queste due specie si alimentano.
Bosco Vallonina
SIC IT6020009
Comuni: Leonessa.
Estensione: 1125,3 ha
26
27
Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto,
l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può mangiare
il denaro.
Anonimo
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29
Geografie e paesaggi
di Giancarlo Cammerini
Q
uando si parla dei Monti Reatini si ha sempre un piccolo disagio
a non riuscire comunicare con completezza a quali montagne ci
si riferisce, tanto la loro conoscenza è legata alla sua vetta più alta
e famosa, il monte Terminillo. In effetti, le vette, pur rappresentando una
sintesi orografica, quasi mai ci offrono la complessità delle montagne di
cui sono il punto culminante.
Così è anche per i Monti Reatini, dove i paesaggi talvolta nascondono una
geografia articolata, a volte sorprendente che, anche nell’era della cartografia satellitare, può riservare piacevoli sorprese al viaggiatore curioso.
Infatti, se la percezione del paesaggio delle montagne reatine normalmente
lo fa apparire come familiare, domestico, tanto siamo abituati a osservarlo
velocemente tra le strade che lo attraversano, così non è per la visione geografica che ha sempre bisogno di uno sforzo per conquistare una conoscenza più approfondita, per scoprire il Genius Loci che inevitabilmente si
nasconde tra l’evoluzione storica e la natura dei luoghi.
A Roma, dalle alture del
Gianicolo, nelle giornate
con vento di tramontana è
possibile ammirare il profilo
del Terminillo al fianco del
Cupolone.
Così, se l’immagine paesaggistica del Mons Tetricus appare già nelle fonti
classiche, la sua rappresentazione cartografica ha il proprio battesimo in
una pergamena della fine del XIII secolo (anche se con rappresentazioni
fantasiose), con caratteristiche che in seguito saranno una costante anche
nelle definite carte del XVIII e XIX sec. Queste caratteristiche mostrano
il gruppo dei Monti Reatini come una serie di aspri pinnacoli, isolati e
rivolti verso sud, verso la Capitale, orientati verso il paesaggio visivo che
s’incrocia percorrendo la via consolare Salaria. Ancora oggi, percorrendo l’antica Via del Sale, già dalle colline della Sabina il Terminillo appare
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imponente rispetto a tutte le altre alture vicine.
Così la visione da sud dei tre “coni” di Terminilletto, Terminilluccio e Terminillo nel corso
dei secoli ha fissato l’icona geografica e mentale di tutto il gruppo montuoso. Un’immagine
cuneiforme che in antichità ha fatto pensare a
un vulcano spento: in realtà non è così, infatti, è
sufficiente girargli intorno per scoprire i versanti
a nord-est e capire immediatamente che la loro
conformazione è quella tipica dei massicci calcarei dell’Appennino.
La vetta del Monte Terminillo è alta 2.217 m.s.l.m.,
questa quota, rilevata recentemente dalle apparecchiature satellitari della Facoltà d’Ingegneria
dell’Università La Sapienza, è stata misurata in un
punto poco più a nord rispetto alla storica vetta
dove ancora oggi è ubicata la colonnina dell’Istituto Geografico Militare. Ecco dalla vetta, e dalle circostanti alture l’orizzonte è sempre quello di altri
gruppi montuosi, alcuni più imponenti, altri che
degradano verso la pianura e il mare.
A nord, dal sistema montuoso umbro si stagliano i monti Sibillini fino a giungere nelle marche
con il M.te Vettore 2.476 m.s.l.m. Il fiume Tronto segna lo spartiacque dal quale s’innalzano le
montagne abruzzesi che rappresentano certamente l’orografia più rappresentativa degli Appennini. I Monti della Laga (M.te Gorzano 2.458
m.s.l.m.) aprono il panorama che tuttavia è rimpicciolito dalla vicinanza del Gran Sasso (Corno
Grande 2.912 m.s.l.m.), la più alta delle vette degli Appennini. Poi lo sguardo si sposta verso le
montagne del Velino-Sirente (M.te Velino 2.487
m.s.l.m.). A sud-ovest si apre la grande pianura
reatina contornata dai monti Sabini che degradano nel sistema collinare della Sabina fino alla
pianura fluviale del Tevere. Questi gruppi montuosi hanno altezze e uno sviluppo orografico
molto ampio, fanno da quinta teatrale alle montagne più vicine ai Monti Reatini, nella provincia di Rieti. Sempre partendo da nord abbiamo
monte Pozzoni (1.903 m.s.l.m.) dalle cui pendici nasce il fiume Velino, poi a est monte Giano
(1.820 m.s.l.m.) che con i suoi scoscesi versanti
da origine alle gole di Antrodoco; al fianco si ergono il monte Nuria (1.888 m.s.l.m.) e il sistema montuoso del Cicolano che si estende fino
alle montagne della Duchessa. A sud troviamo i
gruppi montuosi che circondano le valli dei fiumi Salto e Turano, prima con i rilievi di monte
Cervia e Navegna (1.508 m.s.l.m.), più a sud con
i monti Lucretili (M.te Pellecchia 1.368 m.s.l.m.).
A sud-ovest si apre la pianura reatina, attraversata dal fiume Velino, stretta tra i rilievi dei monti
Sabini (M.te Tancia 1.292 m.s.l.m.) e i Monti Reatini per questo può essere anche definita come
conca intramontana.
Versante Nord-est dei Monti Reatini in estate
Il gruppo dei Monti Reatini ha un’estensione ben
circoscritta: i crinali, le valli, gli spartiacque definiscono nei dettagli la sua forma ed è possibile
Versante sud Monti dei Reatini in inverno
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Le caratteristiche climatiche dei Monti Reatini sono spiegate dalla posizione geografica “aperta” verso il Tirreno e pertanto esposta
agli influssi dei venti caldo-umidi provenienti dai quadranti occidentali che incontrandosi con le minori temperature determinano
copiose precipitazioni. Il rigoglio della vegetazione ne è una conseguenza. Nella foto il Terminilletto visto dalla cresta Sassetelli.
La parete est del Terminillo ricoperta da una copiosa nevicata dalla colorazione marrone. Tali eventi sono dovuti all’influsso dei venti
caldo-umidi provenienti da sud-ovest, normalmente dal nord Africa, che hanno caricato di sabbia e polvere le formazioni nuvolose
che successivamente si spostano a grande velocità verso nord.
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compiere il periplo attraverso strade asfaltate in
meno di cento chilometri. Da Rieti, si risale la
valle del fiume Velino fino ad Antrodoco, poi le
gole omonime dominanti a est, da monte Giano
fino al paese di Posta, quindi ci si orienta ad ovest
percorrendo la strada che, attraverso il paese di
Albaneto, giunge a Leonessa. Da qui si gira nuovamente a sud verso la Forca del Fuscello, poi la
strada costeggia i versanti fino a scoprire di nuovo il panorama della pianura reatina per tornare
al punto di partenza, Rieti.
Riprendendo il percorso in senso antiorario troviamo le principali valli, articolate su un profilo altimetrico che va dalla base della montagna
(500-1000 metri) fino alle aree sommitali: sono
il Vallone di Lisciano, Valle Ravara, Valle Scura,
Vallonina e la Valle di Cantalice. Da queste è possibile risalire la montagna fino alle vette maggiori,
incontrando le diramazioni di altre valli boscose
e circhi glaciali, creste, pratoni scoscesi, pascoli
in uno scenario paesaggistico di rilievo che, pur
nella limitatezza spaziale del gruppo montuoso,
riesce a offrire una bella articolazione di scenari
di montagna.
Le vette che superano i 2.000 metri sono individuate nel Terminillo e la Cresta Sassetelli
(2.217 m.s.l.m.), il M.te Elefante (2.015 m.s.l.m.)
con la cresta dei M.ti Valloni e il M.te Cambio
(2.081 m.s.l.m.) che si prolunga con una cresta
su M.teCatabio fino alla pianura di Leonessa. Le
dorsali e le creste sommitali descrivono i perimetri delle valli in quota che sono uno degli elementi più interessanti della geografia, in particolare
la Cresta Sassetelli che separa la Valle della Meta
dalla Valle degli Angeli, e tra Terminillo e Terminilletto la valle dell’Inferno, sopra Leonessa la
I crocus
vall’Organo e numerose altre valli
menodipingoconono
di
viola
i
prati
sciute, nascoste dai i boschi e dalla morfologia
e
della primavera
forse per questo più attraenti da visitare.
La città di Rieti si trova alla base dei Monti Reatini sulla pianura reatina. Dal binomio pianura- montagna e acque-boschi deriva la
bellezza e la biodiversità di questo territorio.
Tutte le altre cime non superano gli 1.800 metri, le più importanti sono Colle Leprino (1.746
m.s.l.m.), Cima d’Arme (1.678 m.s.l.m.) che insieme a Monte Rosato delimitano il versante
ovest, poi il settore leonessano con monte Corno
e Tilia (1.775 m.s.l.m.) e quello della valle del Velino con Cimata di Castello e Colle delle Porrare
(1.603 m.s.l.m.). Tutte queste cime sono intervallate da valichi e passi montani alcuni dei quali
sono una chiave fondamentale per capire la geografia dei Monti Reatini. Certamente il più famoso di questi è il passo di Sella di Leonessa (1.900
m.s.l.m.), oggi percorribile in estate da una comoda strada panoramica, collega i due versanti
nell’asse sud-nord, la città di Rieti con il paese di
Leonessa. Questa strada (da Rieti S.S. bis Salaria)
ha facilitato l’accesso in quota e al fianco della
quale sono nate le stazioni turistiche di Pian dé
Valli e Campoforogna. Un altro valico strategico
per capire la geografia dei Monti Reatini, ma anche la storia, è il Passo La Fara, tra i comuni di
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Le rocce calcaree sono sottoposte ad una costante erosione sia ad opera degli agenti atmosferici che per l’accentuato fenomeno del
carsismo che opera la dissoluzione del carbonato di calcio.
I Monti Reatini comprendono anche una rilevante geodiversità. Da Sella di Leonessa si trovano le imponenti megabrecce, ad elementi
di Calcare Massiccio (sulla sinistra della foto), presenti all’interno della formazione della Corniola. Questa formazione denominata
Megabrecce nella Corniola è uno dei geositi individuati dalla Regione Lazio nel territorio del Montepiano Reatino.
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Leonessa e Poggio Bustone-Cantalice-Rivodutri,
infatti fin dal medioevo è stato uno dei passaggi
che collegavano l’Umbria con la pianura reatina.
Certamente vi ha camminato San Francesco e
oggi sono ancora visibili le tracce di quel passato
medievale, in seguito è diventata linea di confine
tra Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie.
Versante nord di Valle Scura con la spaccatura del Fosso dei Cavalli, sovrastati da Monte di Cambio e Monte Iazzo .
Questa è una delle aree meglio conservate del comprensorio montano.
anni fa. A quote più elevate sono evidenti i circhi glaciali e le piccole valli sospese; scendendo
lungo il versante occidentale s’incontrano le Valli
degli Angeli e dell’Inferno, mentre su quello settentrionale la Vall’Organo e la Valle della Meta
che presentano tutte una tipica conformazione
a “U”, dovuta all’azione erosiva di lingue glaciali.
A quote minori, dove lo scorrimento delle acque
superficiali non ha rimodellato completamente il
paesaggio, è possibile rintracciare i resti delle antiche morene. Anche la Vallonina e la Valle Scura
sono di origine glaciale, ma la loro forma attuale
è stata fortemente condizionata dalla presenza di
corsi d’acqua che, erodendo il fondo, hanno conferito loro un profilo a “V”. Altre forme presenti
sono connesse per lo più all’erosione operata dallo scorrimento delle acque superficiali.
La geografia dei luoghi ha comunemente il destino che le rocce e la loro formazione gli hanno
assegnato. Nel massiccio del Terminillo, analogamente a quanto accade in gran parte dell’Appennino, le rocce sono di origine sedimentaria.
La dorsale montuosa dei Monti Reatini è racchiusa tra due ampie depressioni, che molti sostengono essere, tuttora in lento abbassamento: il bacino di Rieti e quello di Leonessa, originatisi tra il
Pleistocene e l’Olocene durante una fase tettonica
distensiva. Le formazioni rocciose più antiche del Tuttavia se si vuole capire veramente la storia gegruppo montuoso sono costituite da calcari mas- ologica di queste montagne bisogna andare nelle
sicci e da successioni calcaree e calcareo-dolomi- gole di Antrodoco, lì si trova un’importante struttiche di piattaforma carbonatica sub-tropicale, in- tura geologica dell’Appennino centrale: la linea di
tensamente tagliate da faglie e tra loro accavallate. faglia “Ancona-Anzio”. Si tratta di una profonda
Stratigraficamente sovrastanti vi sono altre for- frattura che divide gli appennini a metà, e che è
mazioni di natura calcarea e marnosa originatesi alla base di alcune odierne differenze ambientali.
in un ambiente marino pelagico.
Ad esempio l’area di monte Nuria fino alle montaIl modellamento del paesaggio è quello dovuto gne della Duchessa, si è originata in un ambiente
in parte alla presenza del ghiaccio ed è rilevabile marino con acque basse, con clima subtropicale,
in corrispondenza del massiccio del Terminil- con vaste aree di barriera corallina (Piattaforma
lo, dove sono ancora visibili i segni dell’ultima Carbonatica) e oggi ci appare con successioni
glaciazione, quella di Würm, risalente a 10.000 rocciose calcaree, che lasciano infiltrare gran par40
41
La vetta del Terminillo non è più di 2216 metri come riporta la cartografia ufficiale. Infatti, nel 2006 il Prof. Mattia Crespi, della
Facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza ha compiuto il rilevamento altimetrico della montagna con la strumentazione
satellitare. Il punto dove è collocato il segnale trigonometrico ha fornito quota 2215,41, vicina al 2.216 ufficiale. In quell’occasione fu
verificata anche l’altezza della vicina cima Nord, quella con la piramide di sassi, che risultò quota di 2217,13, di 1 metro più alta.
Così, la vetta del Terminillo oltre ad avere cambiato luogo e quota oggi si trova nel Comune di Leonessa.
Due classiche panoramiche dal Terminillo, la catena dei Monti Sibillini, con la vetta Monte Vettore (2.476 metri) e in basso i Monti
della Laga con il Monte Gorzano (2.458 metri) la più alta vetta del Lazio. Questi gruppi montuosi appenninci confinano con la
catena dei Monti Reatini.
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te dell’acqua impedendo lo sviluppo di una coltre
vegetale arborea diffusa e uniforme.
In quest’area le rocce, per effetto del carsismo si
sciolgono, e sviluppano inghiottitoi, grotte e lunghi reticoli carsici, per questo motivo la presenza
di acquiferi sotterranei in quota è molto scarsa,
mentre nel fondovalle c’è una straordinaria concentrazione di sorgenti, prima fra tutte quelle del
Peschiera. Questa sorgente, con una portata di
circa 20.000 l/sec e che rifornisce di acque sorgive una metropoli come Roma, ha il suo bacino
di alimentazione proprio dalle montagne che si
estendono dal Cicolano fino alla Marsica.
Per contro i Monti Reatini, pur essendo un massiccio sostanzialmente calcareo, presentano una
maggiore diversità sedimentologica dovuta alla
presenza di sabbie, marne, selce e argille. Questo
si riflette in una minore permeabilità dei suoli e
in una maggiore presenza di acqua in prossimità
della superficie che consente alla vegetazione di
giungere a quote elevate. Per tali caratteristiche il
massiccio dei Monti Reatini alimenta, oltre a falde sospese che danno origine a piccole sorgenti
poste in alta quota contiene anche una potente
ed estesa falda basale è una delle più ricche della
regione.
Guardando la vegetazione è facile capire anche la
geologia della montagna. Ad esempio nelle valli
dove l’erosione carsica drena le acque nel sottosuolo troviamo una vegetazione meno rigogliosa,
certamente non arborea; mentre nei versanti con
una stratigrafia meno permeabile si trovano le
faggete, talvolta fino a quote considerevoli. Proprio in queste aree, le rocce calcaree sono inframezzate dalle marne pertanto hanno la capacità
di sostenere acquiferi, dando origine a sorgenti
puntuali, anche a quote elevate. Tra queste ultime,
le più conosciute e frequentate sono quelle di Acquasanta, sotto la cresta Sassetelli, e di Capo Scura, nella valle Scura, rispettivamente a 1745 e 1490
metri di quota. È soprattutto a quote meno elevate, in prossimità del paesaggio morfologico dal rilievo alla Piana Reatina e alla valle del Velino, che
le acque emergono in una miriade di sorgenti la
cui portata può arrivare anche a qualche migliaio
di litri/secondo, come nel caso della sorgente di
Santa Susanna, in prossimità di Rivodutri.
Il versante nord della cresta Sassetelli conserva le tracce più evidenti dell’erosione glaciale. In alto la parete nord del Terminillo,
in primo piano la morena residuale del ghiacciaio di epoca quaternaria risalente a circa 20.000 anni fa.
Infatti, sui Monti Reatini hanno sede due bacini
idrografici che danno origine rispettivamente ai
fiumi Corno e Velino entrambi appartenenti al
bacino idrografico del fiume Tevere e tributari
del fiume Nera. Il Corno, attraversa il paese di
Leonessa, poi scorre verso la Valnerina in Umbria. Il fiume Velino invece circonda quasi completamente i Monti Reatini rappresentandone
sia il confine geografico che il corridoio ecologico per i territori circostanti e insieme rappresentano l’elemento storico-geografico e ambientale
più importante. La rete ecologica collega le aree
umide della pianura, al sistema collinare, alle
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Nelle giornate particolarmente limpide, da Campoforogna è possibile vedere Roma e fino al mar
Tirreno (la striscia chiara che attraversa l’immagine) proprio per l’assenza di montagne nel settore
sud-ovest del Lazio
aree di alta montagna, insieme conferiscono a tutto il comprensorio del
Montepiano Reatino un alto valore di biodiversità. La Valle del Velino e
la Pianura Reatina raccolgono un sistema di acquiferi e di sorgenti straordinarie che insieme ai boschi rappresentano la principale alleanza naturale di questo territorio. La diffusione capillare delle acque ci regala una
vegetazione rigogliosa anche nelle estati siccitose, il tutto si trasforma in
virtù estetica che fa annoverare questo territorio tra i più belli e suggestivi
paesaggi d’Italia, certamente meritevole di tutela e valorizzazione.
Certo, alla formazione del paesaggio attuale hanno contribuito molti elementi, naturali e generati dalla storia dell’uomo, ma il vero volto di questi
luoghi, il Genius loci dei Monti Reatini nonostante il passare dei secoli è
rimasto lo stesso.
Forse si può incontrare, osservando il massiccio da lontano, nel silenzio
invernale delle valli in quota, percorrendo una delle creste da cui si scopre
l’ampio panorama, arrampicandosi sulla gelida parete nord del Terminillo
o semplicemente percorrendo i tornanti della strada statale che attraversa
tutto il massiccio. Sì, forse l’immagine e la percezione non sono cambiate
rispetto a 2000 anni fa, quando poco si sapeva di questa montagna.
Così ancora oggi, nelle limpide giornate di tramontana, dal Gianicolo a
Roma è possibile intravedere al fianco della cupola di Michelangelo, all’orizzonte, il Monte Terminillo; e allora è facile capire che i Tetricae Horrentes rupes di Virgilio o i Gurgures alti montes narrati di Varrone non potevano non corrispondere a quel paesaggio oggi è impresso sui Monti Reatini.
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Quanto monotona sarebbe la faccia della
terra senza le montagne
(Immanuel Kant)
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Vegetazione ed habitat
di Francois Salomone
I
l paesaggio vegetale che caratterizza i Monti Reatini è costituito prevalentemente da formazioni di tipo alto-montano, rappresentate in massima parte
da faggete di quota e da forme di vegetazione che si sviluppano al di sopra
del limite della vegetazione forestale; queste ultime, in particolare, rivestono un
ruolo chiave soprattutto da un punto di vista fitogeografico, in quanto evidenziano come questo sia uno dei territori più conservativi per la flora continentale a carattere boreale di tutta l’Italia Centrale.
La maggior parte delle informazioni di seguito riportate sono tratte dal volume
“Guida ai Monti Reatini” (AA.VV., 2002) e dai Piani di Gestione della ZPS dei
Monti Reatini (AA.VV., 2004 a) e del SIC di Vallonina (AA.VV., 2004 b).
La Valle Scura è rimasta
intatta per via dei suoi
versanti scoscesi.
La relittualità, infatti, è uno degli aspetti che maggiormente caratterizza la flora
e la vegetazione di questo comprensorio: recenti indagini sulla distribuzione
altitudinale della flora evidenziano come per questo territorio sia presente un
generale fenomeno di persistenza di entità floristiche tipiche della vegetazione
steppica che durante l’ultima fase glaciale caratterizzava ampi settori dell’Italia
peninsulare. Anche la presenza della Bivonea di Savi (Jonopsidium savianum),
una specie endemica estremamente rara in Italia, è altamente rappresentativa
di una condizione di relittualità, riconducibile a nuclei di conservazione di flora
di ambienti semidesertici sopravvissuti al cambiamento climatico postglaciale.
Non meno rilevante è il valore della vegetazione forestale e delle sue forme di
transizione con la vegetazione delle praterie subalpine. Ampie e compatte sono
ancor oggi le faggete di tipo mediterraneo-montano a tasso e agrifoglio, nelle
quali si conservano popolazioni di betulla (Betula pendula), come residuo di
più complesse forme di vegetazione forestale dell’Olocene medio. Un ulteriore
elemento di relittualità e costituito dai nuclei di foresta temperata a tigli (Tilia
platyphyllos, T. cordata) e aceri (Acer sp. pl.), diffusi su alcune pendici a clima
relativamente caldo umido.
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Carta della Vegetazione
e degli habitat di interesse
comunitario.
Fonte: Piano di Gestione della ZPS dei
Monti Reatini (AA.VV., 2004 a).
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Formazioni boschive
Boschi di faggio
Nel versante nord dei Monti Reatini le faggete giungono alla
quota di 1900 metri ricoprendo i versanti fino alle praterie e alle
rocce sommitali.
I boschi di faggio (Fagus sylvatica) dominano in assoluto il paesaggio vegetale del comprensorio, ricoprendo in modo pressoché continuo le pendici dei rilievi entro una fascia altimetrica compresa fra 800-1.000 e i 1.900
metri circa. Si possono distinguere due aspetti principali:
Faggeti d’alta quota
Alle quote più elevate l’azione di pascolamento del bestiame domestico ha
determinato nel corso dei secoli un abbassamento della distribuzione altimetrica del faggio. Le faggete più elevate (in quota 1900 – 1600 m s.l.m.) sono costituite da popolamenti monostratificati a dominanza assoluta di Fagus sylvatica, in cui la presenza di aceri (Acer pseudoplatanus, A. obtusatum,
A. platanoides) testimonia eventi passati di apertura e chiusura della volta
arborea. In corrispondenza di siti rupestri al limite superiore della faggeta
tendono ad accantonarsi nuclei di rosacee legnose dominate da sorbi (Sorbus aria, S. aucuparia), mentre in condizioni di ristagno idrico compaiono
occasionalmente popolazioni di salice delle capre (Salix caprea), che, per
la capacità di resistenza della specie alle alte concentrazioni di zolfo nel
terreno, si sviluppa spesso nei pressi di terreni caratterizzati dai resti della
combustione delle carbonaie che per secoli hanno costellato la foresta.
Il sottobosco della faggeta pura è di norma estremamente rarefatto e povero a causa della competitività del faggio. Nello strato erbaceo si rinvengono la lattuga montana (Prenathes purpurea), la piroletta pendula (Orthilia
secunda), la lattuga dei boschi (Mycelis muralis), la dentaria a nove foglie
(Cardamine enneaphyllos) e la moehringia a tre nervi (Moehringia trinervia). La componente arbustiva è costituita dalla madreselva alpina (Lonicera alpigena), dal rovo ideo (Rubus idaeus), dal ranno alpino (Rhamnus
alpinus) e dal ginepro nano (Juniperus nana); quest’ultimo tende spesso
ad occupare ampie depressioni, dove pascolo, accumulo di neve, ristagno
idrico o inversione termica rendano difficile la affermazione o la riaffer54
55
mazione della faggeta. Studi di tipo dendrocronologico effettuati in aree
limitrofe hanno evidenziato che le faggete di quote più elevate ospitano
individui di faggio che, nonostante le dimensioni normali, hanno raggiunto età plurisecolari; questo costituisce un dato di estrema importanza
scientifica sulle variazioni a scala secolare e millenaria delle condizioni
ambientali a queste latitudini.
Un esemplare di tasso
(Taxus baccata), specie
caratteristica dell’habitat
di interesse comunitario
prioritario Faggeti degli
Appennini con Taxus e Ilex
Faggeti a tasso e agrifoglio
A quote più basse, entro una fascia altitudinale compresa fra 800 e 1600 m
s.l.m., si rinviene in tutto il comprensorio una faggeta più strutturata rispetto alla precedente, nella quale si riconosce uno strato dominato a tasso
(Taxus baccata) e agrifoglio (Ilex aquifolium) e uno strato erbaceo costituito da numerose specie nemorali, quali l’erba laurella (Daphne laureola), la
fusaria maggiore (Euonimus latifiolius), l’euforba delle faggete (Euphorbia
amygdaloides), la melica comune (Melica uniflora), la cinquefoglia fragolasecca (Potentilla micrantha), l’erba fragolina (Sanicula europaea), il caglio
odoroso (Galium odoratum), l’erba trinità (Hepatica nobilis), l’anemone
dell’Appennino (Anemone apennina) e l’iva comune (Ajuga reptans).
Il tasso e l’agrifoglio rappresentano gli ultimi rappresentanti (relitti) di un
paesaggio vegetale di tipo subtropicale diffuso nelle ultime fasi del Terziario; questo era dominato da specie sempreverdi di ambiente temperato
(laurifille). Progressivamente scomparso in seguito alle crisi glaciali quaternarie, i resti di questo paesaggio sono conservati all’interno della vegetazione forestale diffusasi dall’ultimo postglaciale ad oggi lungo i monti
dell’Europa meridionale.
Attualmente in Europa la faggeta a tasso e agrifoglio si presenta poco diffusa e prevalentemente disturbata dall’azione dell’uomo: questo è dovuto
soprattutto al regime d’uso a cui questa foresta è stata sottoposta nel corso
dei secoli (pascolamento e utilizzazione del materiale ligneo e della corteccia del tasso).
56
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Ai Monti Reatini un fattore decisivo è stato il pascolo ovino e bovino, che ha
determinato sia la frammentazione delle faggete sia la rarefazione delle popolazioni di tasso e agrifoglio, riducendo significativamente l’area di diffusione potenziale locale di tali consorzi a favore del bosco puro di faggio (impoverito). La faggeta con tasso e agrifoglio è tutelata dalla Direttiva 92/43/
CEE “Habitat” ed è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario
9210* Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex).
La cresta Sassettelli e la parete nord del Terminillo sono un vero
monumento naturale, sovrastano i luoghi più preziosi della
montagna, Prato Sassi, Valle della Meta, Vallonina e rappresentano uno scenario di alta montagna unico in provincia di Rieti.
Foreste decidue mesofile
Si tratta di nuclei di foresta mista accantonati su pendii acclivi a suolo relativamente maturo, presenti nei fondovalle del settore centro settentrionale
del massiccio e in particolar modo lungo il Vallone del Rio Fuggio e in Vallonina.
Questi sono costituiti dal tiglio nostrano (Tilia platyphyllos), dall’acero riccio (Acer platanoides), dall’acero di monte (A. pseudoplatanus) ,dall’acero di
Ungheria (A. obtusatum), dall’olmo montano (Ulmus glabra), dal frassino
comune (Fraxinus excelsior), dal ciliegio selvatico (Prunus avium) e dal cerro (Quercus cerris).
Questo tipo di bosco ha una distribuzione prevalentemente centroeuropeocaucasica e si caratterizza per un’elevata ricchezza floristica: il piano subordinato vede la presenza del nocciolo (Corylus avellana) e del carpino nero
(Ostrya carpinifolia), mentre nello strato erbaceo, oltre alle specie già citate
per faggeta a tasso e agrifoglio, sono presenti la campanula maggiore (Campanula latifolia), la campanula di Tanfani (Campanula tanfanii), la billeri
chelidonia (Cardamine chelidonia), la digitale appenninica (Digitalis micrantha), la balsamina minore (Impatiens parvi flora), il laserpizio del meridione
(Laserpitium garganicum), il giglio martagone (Lilium martagon), la linajola purpurea (Linaria purpurea), la sassifraga alpina (Saxifraga paniculata), il
senecione alpino (Senecio cordatus), la lingua di cane appenninica (Solenanthus apenninus) e la gramigna dell’Appennino (Trisetum villosum).
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Anche questa formazione forestale è tutelata dalla normativa comunitaria
ed è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario “9180 *-Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion”.
Foreste decidue submediterranee
Al di sotto dei 900 m di quota, si rinvengono consorzi di latifoglie decidue sub-mediterranee distinti nei seguenti tipi:
In primo piano un semprevivo maggiore (Sempervivum tectorum) sullo sfondo
il Monte di Cambio
Boschi dominati dal carpino nero
Nel settore settentrionale del comprensorio, alla base dei pendii della
bassa Vallonina e bacino di Fosso Ranaro, con esposizione verso i quadranti meridionali, si accantonano formazioni dominate dal carpino nero (Ostrya carpinifolia). Questi ostrieti si sviluppano su pendii particolarmente scoscesi con roccia affiorante, in contesti dominati dalla cerreta
mista.
Querceti a cerro e roverella
Nel territorio fra Rivodutri e Poggio Bustone e sulle pendici meridionali di
M. Calcarone, al di sotto del bosco dominato dal carpino nero, sono diffusi querceti dominati da cerro e roverella. Cerrete a carattere zonale sembrano essere presenti esclusivamente lungo i distretti a NE del comprensorio di Cittareale: in alcuni siti, infatti, il cerro si associa ad Acer obtusatum
in popolamenti misti che assumono aspetto di comunità durevole. I querceti dominati dalla roverella (Quercus pubescens s.l) costituiscono invece
le boscaglie di sostituzione che hanno riconquistato parte dei pascoli abbandonati del settore occidentale del comprensorio.
Rimboschimenti di conifere
Le aree interessate dai rimboschimenti di conifere (prevalentemente Pinus
nigra) ricadono esclusivamente in una fascia altitudinale compresa tra le
quote medie e basse. Fenomeni di inselvatichimento sono di portata limitata e pertanto facilmente controllabili.
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FORMAZIONI ARBUSTIVE
E CESPUGLIETI
Ginepreti a ginepro nano
Si tratta di comunità arbustive di alta quota dominate dal ginepro nano
(Juniperus communis subsp. nana), a cui si accompagnano la codolina alpina (Phleum alpinum), la festuca dei nardeti (Festuca nigrescens) e il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus). Queste formazioni arbustive in passato
dovevano ricoprire gran parte dell’attuale estensione dei pascoli di alta
quota, occupando le vette secondarie e lasciando alle praterie subalpine le
sommità più elevate. Questo tipo di vegetazione può essere riferito all’habitat di interesse comunitario “5130 Formazioni a Juniperus communis su
lande o prati calcicoli”. Nei Monti Reatini questi habitat sono abbsatanza
comuni sopra i 1700 metri di quota.
Paesaggio altomontano dei Monti Reatini, caratterizzato da
estese faggete di quota, praterie montane e praterie subalpine
diffuse oltre il limite degli alberi.
Brughiere altomontane: popolamenti a mirtillo nero
Di estremo interesse nel comprensorio sono alcuni lembi residuali di brughiera altomontana a mirtillo nero (Vaccinium myrtillus); questa è presente in maniera discontinua in numerose località poste al di sopra del limite della vegetazione forestale (Sella di Leonessa); rispetto a testimonianze
relative a una sua precedente diffusione locale sembrerebbe in una fase di
regresso, cosa che impone urgenti misure di tutela.
I Monti Reatini possono essere considerati il limite meridionale del mirtillo nero nella nostra penisola, sebbene esistano popolazioni molto ridotte anche nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Nel comprensorio reatino questa
specie può costituire delle vere e proprie brughiere a Vaccinium myrtillus
e può far parte di cespuglieti altomontani nei quali si accompagna al ginepro nano (Juniperus communis subsp. nana). Alcuni aspetti di questo tipo
di vegetazione possono essere riferiti all’habitat di intereresse comunitario
“4060 - Lande alpine e boreali”.
Boscaglia alveale a salice ripaiolo
Lungo le sponde del corso superiore dei torrenti si rileva la presenza abbastanza diffusa di saliceti a salice ripaiolo (Salix eleagnos); si tratta di un
piccolo alberello, adattato al disturbo meccanico del regime torrentizio dei
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corsi d’acqua in alta quota, comune sui rilievi dell’Europa centrale e meridionale. Nel comprensorio questa boscaglia ha andamento lineare parallelo al reticolo idrografico e si distribuisce in modo relativamente discontinuo su substrati ciottolosi, dove la vegetazione forestale dei pendii circostanti non riesce ad insediarsi. Questa formazione è riferibile all’habitat di
interesse comunitario “3240 Fiumi alpini con vegetazione riparia legnosa
a Salix eleagnos”.
Formazioni prative
La Betulla verrucosa (Betula pendula), specie relitta diffusasi
in Italia durante le glaciazioni, è presente solo lungo il versante
nord del Terminillo, tra i massi della morena postglaciale e la
faggeta, (nella foto la vegetazione con il verde più chiaro).
Praterie mesofitiche di alte erbe: i megaforbieti di alta quota
Al limite superiore della vegetazione legnosa su suoli umidi e ricchi di sostanza organica,si rinvengono lembi di praterie di alte erbe bienni e perenni; in corrispondenza di tali consorzi si rileva anche l’importante presenza di popolazioni di betulla (località Scangive). In questi siti la luminosità
elevata, determinata dalla rarefazione della copertura arborea, consente lo
sviluppo di numerose specie erbacee: il cavolaccio meridionale (Adenostyles australis), il geranio a petali reflessi (Geranium reflexum), l’aconito
di Lamarck (Aconitum lamarckii), il cerfoglio alpestre (Anthriscus nitida),
la lattuga dei boschi (Mycelis muralis), la salvia vischiosa (Salvia glutinosa), l’alliaria comune (Alliaria petiolata), il garofanino di Dodonaeus (Epilobium dodonaei) e la lunaria comune (Lunaria rediviva).
Digitazioni di queste comunità possono essere considerati i megaforbieti
che colonizzano piccole radure all’interno della faggeta ove si vengano a
formare accumuli cospicui di sostanza organica Questa vegetazione rientra nell’ambito dell’habitat di interesse comunitario “6430 Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbie idrofile”.
Praterie subalpine
Nonostante i Monti Reatini siano tra le montagne più elevate del territorio regionale, la fascia altitudinale di pertinenza delle praterie subalpine non è molto sviluppata: gran parte delle praterie sommitali al di sopra
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Da sinistra verso destra: la genziana maggiore (Gentiana lutea),
campanula (Campanula sp.), la pulsatilla alpina (Pulsatilla
alpina) e la primula orecchia d’orso (Primula auricula).
del limite superiore dei boschi, infatti, si è originata in seguito all’azione del
pascolo su consorzi di arbusti contorti e suffruticeti. Vengono qui di seguito elencate le principali praterie sommitali presenti nel comprensorio dei
Monti Reatini.
Seslerieti
Si tratta di comunità prative dominate dalla sesleria tenuifolia (Sesleria tenuifolia) presenti lungo le cenge rocciose del comprensorio, dove formano aggruppamenti di limitata estensione. Tra le specie più frequentemente associate compaiono la carice di Kitaibel (Carex kitaibeliana), la fienarola delle
Alpi (Poa alpina), la festuca appenninica (Festuca dimorpha), la vulneraria
montana (Anthyllis montana), l’eliantemo candido (Helianthemum canum),
la campanula graminifolia (Edraianthus graminifolius) e la sassifraga alpina
(Saxifraga paniculata); in aree caratterizzate da una elevata acclività e mobilità del substrato, compaiono il camedrio alpino (Dryas octopetala) e occasionalmente l’uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi). Queste praterie sono
ascrivibili all’habitat di interesse comunitario “6170 Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine”.
Praterie a paleo genovese
Lungo i versanti meridionali del Terminillo, tra i 1.600 e i 2.100 metri di
quota, su suoli argillosi caratterizzati da una maggiore ritenzione idrica, si
formano comunità erbacee dominate dal paleo genovese (Brachypodium genuense). La flora più frequentemente associata a B. genuense annovera la festuca pannocchiuta (Festuca paniculata), la poligala di De Angelis (Polygala
angelisii), la festuca rossa (Festuca rubra subsp. commutata), lo spillone bian66
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castro (Armeria canescens subsp. majellensis), la crocettona glabra (Cruciata glabra), l’erba lucciola comune (Luzula campestris), il capellini delle
praterie (Agrostis tenuis), la margherita digitata (Leucanthemum tridactylites), la genziana maggiore (Gentiana lutea) e la viola di Eugenia (Viola eugeniae). Scarsamente pabulabile, B. genuense, nella sua attuale tendenza
locale all’espansione, potrebbe indicare un processo di rinaturalizzazione in atto nelle praterie cacuminali. Anche queste praterie sono riferibili
all’habitat di interesse comunitario “6170 Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine”.
Jonopsidium savianum un paleoendemismo relitto, molto raro
e localizzato, con areale limitato a poche stazioni distribuite
nell’Appennino centrale, con una conspicua popolazione presente sul Monte Fausola.
Nardeti
Nei pressi di aree pianeggianti, fra 1700 e 2100 m s.l.m., si rinvengono
lembi di praterie dominate dal nardo (Nardus stricta): si tratta di una
graminacea a distribuzione boreale tipica di climi freddi; in Europa è
diffusa nelle praterie montane e alpine e grazie alla sua inappetibilità da
parte del bestiame bovino, estendendosi ampiamente al di fuori da proprio contesto ecologico primario; sui Monti Reatini, infatti, una buona
parte dei nardeti presenti alle alte quote sembra di origine secondaria.
Queste praterie rientrano nell’ambito dell’habitat di interesse comunitario prioritario “6230* Formazioni erbose a Nardus, ricche di specie, su
substrato siliceo delle zone montane e delle zone submontane dell’Europa continentale”.
Praterie montane: i brometi
Nel comprensorio reatino le praterie continue che prevalgono al di sopra
dell’attuale limite superiore degli alberi sono costituite prevalentemente da
comunità erbacee dominate dal forasacco eretto Bromus erectus. I brometi
sono presenti anche alle quote più basse, al di sotto del limite superiore degli alberi, in contiguità sia con la foresta mista decidua sia con la faggeta a
tasso e agrifoglio. In tal caso costituiscono praterie secondarie caratterizzate dalla presenza di specie relativamente esigenti in fatto di umidità edafica
(brometi mesofili) e si collocano pertanto sui substrati più ricchi di argilla.
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Un esemplare di sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia).
Nella foto piccola un particolare delle foglie del sorbo farinaccio (Sorbus aria).
Questi sono spesso caratterizzati dalla presenza del paleo rupestre (Brachypodium rupestre), della covetta dei prati (Cynosurus cristatus), del loglio comune (Lolium perenne), della sonaglini comuni (Briza media), del
paleo odoroso (Anthoxanthum odoratum), dell’erba mazzolina comune
(Dactylis glomerata), della codolina comune (Phleum pratense), della festuca dei prati (Festuca pratensis) e della gramigna comune (Agropyron
repens).
A quote maggiori, in ambiente decisamente montano, in contatto con la
faggeta pura e oltre i suoi limiti altitudinali, compaiono il garofano minore
(Dianthus deltoides), la festuca rossa (Festuca rubra),la festuca dei nardeti
(Festuca nigrescens) e la cinquefoglia irta (Potentilla hirta). Salendo si ha la
graduale scomparsa di Brachypodium rupestre che viene sostituito da Brachypodium genuense, specie maggiormente diffusa alle quote più elevate.
Lungo le fasce altitudinali superiori, oltre il limite degli alberi, si sviluppano i brometi a carattere più “xerico” e continentale; questi costituiscono l’aspetto dominante delle praterie pascolate di alta quota con copertura
dello strato erbaceo a carattere discontinuo.
In questi consorzi a Bromus erectus si associano la festuca debole (Festuca inops), la codolina meridionale (Phleum ambiguum), il paleo meridionale (Koeleria slendens), le vedovelle appenniniche (Globularia meridionalis), la peverina a foglie strette (Cerastium arvense), il lino montano (Linum tenuifolium), il camedrio comune (Teucrium chamaedrys), il
timo con fascetti (Thymus longicaulis), la finocchiella abrotanina (Seseli
montanum), la santoreggia montana (Satureja montana) e il citiso spi70
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noso (Chamaecytisus spinescens). Queste formazioni prative sono riferibili all’habitat di interesse comunitario “6210 Formazioni erbose secche
seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (FestucoBrometalia)”.
Vegetazione dei
depositi travertinosi
In prossimità delle sorgenti del Rio Fuggio, in alcuni tratti dell’alto corso
dello stesso fiume e lungo l’alto corso della Valle Scura si verificano venute a giorno d’acqua con conseguente deposizione di depositi travertinosi.
Questi costituiscono le aree di presenza potenziale per l’erba-unta di Reichenbach (Pinguicula reichenbachiana), specie delle sorgenti stillicidiose,
già segnalata per i massicci limitrofi e della quale si ipotizza a ragione la
presenza nel comprensorio. Questo tipo di vegetazione rientra nell’habitat di interesse comunitario prioritario “7220* Sorgenti pietrificanti con
formazione di tufi (Cratoneurion)”.
Vegetazione degli
ambienti rocciosi
Per quanto riguarda gli ambienti rocciosi del comprensorio dei Monti Reatini, di seguito se ne descrivono i principali tipi di vegetazione presenti.
Agrifoglio sulle pendici di Monte Fausola, sullo sfondo Cima
d’Arme. In quest’area è frequente incontrare raggruppamenti e
esemplari arborei di Agrifoglio.
Vegetazione dei brecciai
Le porzioni sommitali del gruppo di M. Terminillo sono caratterizzate da
vaste superfici occupate da brecciai, ghiaioni e pietraie; si tratta di ambienti rocciosi instabili in continuo movimento, non adatti all’insediamento di
vegetazione arbustiva e arborea e colonizzati in genere da comunità vegetali altamente specializzate.
Nel comprensorio questa vegetazione è rappresentata da popolamenti più
o meno radi a festuca appenninica (Festuca dimorpha), dripide comune
(Drypis spinosa), glasto di Allioni (Isatis allionii), kummel rupestre (Carum heldreichii) e carice appenninica (Carex macrolepis). Questo tipo
di vegetazione è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario
“8160* ghiaioni dell’Europa centrale calcarei di collina e montagna”.
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Boscaglia alveale a salice ripaiolo: lungo le sponde del torrente
Scura c’è una presenza diffusa di saliceti a salice ripaiolo (Salix
eleagnos); si tratta di un piccolo alberello, adattato al disturbo
meccanico del regime torrentizio dei corsi d’acqua in alta quota.
Vegetazione delle rupi sommitali
Sulle vette più elevate del gruppo di Monte Terminillo, in condizioni di
elevata acclività o su emergenze rocciose d’alta quota, si rinvengono aggruppamenti di specie capaci di colonizzare questi ambienti estremi. Si
tratta di comunità erbacee costituite dalla campanula maggiore (Campanula latifolia), dalla campanula di Tanfanii (C. tanfanii), dalla sassifraga meridionale (Saxifraga lingulata), dalla sassifraga alpina (S. panicolata), dalla primula orecchio d’orso (Primula auricula), dalla cinquefoglia penzola (Potentilla caulescens) e dal ranno spaccasassi (Rhamnus
pumilus). Questo tipo di vegetazione, poco diffuso ed estremamente localizzato all’interno del comprensorio, rientra nell’ambito dell’habitat
di interesse comunitario “8210 Pareti rocciose calcaree con vegetazione
casmofitica”.
Vegetazione dei liscioni calcarei
I liscioni e le spianate calcaree diffusi lungo le vette sommitali si caratterizzano per una flora adattata a suoli estremamente superficiali in grado di
attecchire nei rari punti dove è possibile il radicamento. Si tratta di specie
succulente o a ramificazione strisciante: la peverina di Thomas (Cerastium
thomasii), la peverina tomentosa (C. tomentosum), e numerose specie del
genere Sedum. Questa forma di vegetazione, piuttosto rara e localizzata, è
riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario “8240* Pavimenti calcarei”.
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Faggio di San Francesco.
La leggenda vuole che la
sua forma così particolare
sia dovuta al miracolo che
piegò l’albero per riparare
il Santo durante un temporale. In realtà si tratta di
una rarissima mutazione
genetica.
I Monti Reatini,
esposti a sud-ovest, sono
oggetto di pertubazioni
temporalesche che
possono formare
bizzarre formazione
di ghiaccio.
Nell’immagine un
faggio su Cima d’Arme,
colpito da una tempesta
di neve.
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La grandezza di una nazione e il suo
progresso morale si possono giudicare
dal modo in cui tratta gli animali.
M. K. “Mahatma” Gandhi (1869-1948)
Faggetta di Monte Cardito
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La Fauna
di Stefano Sarrocco e Enrico Calvario
N
Un Lupo attraversa di
giorno la faggeta nel
Vallone di Lisciano.
L’immagine è stata
scattata con una foto
trappola.
el Lazio, la Provincia di Rieti spicca per gli elevati valori di Biodiversità faunistica e ciò soprattutto a causa della presenza di significativi gruppi montuosi, di un sistema idrografico di importanza
strategica per l’Italia centrale e di una bassa densità abitativa. In un documento preparato nel 2004 dal gruppo del Prof. Boitani per conto della Regione Lazio (Boitani et al., 2004), questo aspetto viene messo fortemente
in evidenza, soprattutto in riferimento all’area dei Sabini, dei Monti Reatini e del Cicolano che raggiungono tra i più elevati valori dell’indice di
biodiversità, riferito ai Vertebrati, del Lazio. Inoltre nel documento citato
viene introdotto il concetto di “irreplaceability” (letteralmente “insostituibilità”), una misura legata all’importanza conservazionistica di un’area: se
un’area è difficilmente sostituibile per i valori naturalistici che ospita e per
il ruolo ecologico-funzionale che svolge, in uno schema di aree da sottoporre a conservazione, viene classificata con elevati valori di “irreplaceability” (cioè non può essere facilmente sostituita da nessun altra area nello
schema di conservazione).
Al contrario, bassi valori di “irreplaceability” indicano che l’area considerata è relativamente non importante (perché facilmente sostituibile da altre aree) per raggiungere l’obbiettivo di conservazione che ci si è prefissi.
Ebbene, anche in questo caso la zona dei Monti Reatini (dei Sabini e del
Cicolano) hanno raggiunto i valori più elevati del Lazio, mettendo in luce
la peculiarità di questo comprensorio.
Le prime esplorazioni ed i conseguenti contributi scientifici ragionati sulla
fauna a Vertebrati di questo gruppo montano sono riportati in alcuni studi
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svolti da Di Carlo negli anni 1954-58 (Di Carlo
1956, 1958); questo autorevole naturalista ci ha
lasciato un quadro di riferimento notevolmente esauriente sugli uccelli presenti negli anni ’50
su queste montagne, indispensabile per qualsiasi
indagine successiva.
In tempi più recenti, le informazioni su queste
montagne e più in generale sull’Appennino Centrale si possono trovare nel volume pubblicato
dalla Società Italiana di Biogeografia (AA.VV.,
1971) in cui sono riportati per alcuni gruppi di
Artropodi dei contributi organici ed esaurienti, quali quelli sugli Oribatei (Acarida) (Bernini,
1971), sui Collemboli (Dallai, 1971) e sui Coleotteri Cicindelidi e Carabidi (Magistretti, 1965).
Alla fine degli anni ’80 il WWF di Rieti ha raccolto e pubblicato, con l’aiuto di numerosi specialisti di diverse discipline, un articolato dossier
sullo stato dell’ambiente del Terminillo (AA.VV.,
1988), riportando nei due volumi dell’opera anche
una raccolta di informazioni sugli invertebrati e
sui Vertebrati presenti sul gruppo montuoso (Audisio e Vigna Taglianti, 1988; Bagnoli, 1988; Sarrocco, 1988). Nel 2002 la Provincia di Rieti, con
il Patrocinio del CAI e del WWF Rieti, pubblicò
una “Guida ai Monti Reatini” (AA.VV., 2002) che
riportava tra l’altro una serie di informazioni faunistiche sul comprensorio. Il quadro delle cono-
scenze del gruppo montuoso non sarebbe completo senza citare le numerose indagini settoriali
su gruppi animali specifici, svolte nell’ambito di
diversi progetti: gli studi sulle comunità ornitiche
delle praterie di quota realizzato dall’Università di
Roma “La Sapienza” nell’ambito del “Piano Pluriennale Regionale per la tutela e la difesa della
Fauna autoctona in via di estinzione ” (Calvario e
Sarrocco, 1989) e le raccolte di dati faunistici per
gli atlanti regionali degli uccelli (Brunelli et al.,
2011), degli Anfibi e Rettili (Bologna et al., 2000)
e dei Mammiferi (in corso di completamento).
Balia dal collare, un
piccolo Passeriforme
che nidifica nelle
faggete dei Monti
Reatini
E’ inoltre opportuno sottolineare che i Monti Reatini sono inseriti tra le “Aree Importanti in Europa per gli Uccelli” (Important Birds Areas in Europe) e ritenuti per tale motivo tra i siti europei a
priorità di conservazione secondo un censimento svolto dall’autorevole associazione internazionale BirdLife International (Heat & Evans, 2000).
Successivamente gli studi sono continuati soprattutto grazie alla presenza della Rete Natura
2000 ed alle politiche messe in campo dalla Regione Lazio che ha finanziato una serie di Piani
di Gestione di SIC e ZPS che sono stati l’occasione per reperire nuovi dati e mettere a sistema le
conoscenze pregresse; e così sono stati realizzati
il Piano di Gestione della ZPS di Monti Reatini e
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di due SIC inclusi (AA.VV., 2004a) e il Piano di Gestione del SIC Vallonina
(AA.VV., 2004b). Da questi documenti citati sono state tratte per lo più le
informazioni necessarie a comporre questo capitolo.
Il Picchio dorsobianco,
un picide associato alle
foreste mature di latifoglie
montane.
Nella descrizione che segue si è fatto esclusivo riferimento ai Vertebrati ed in
particolare ad Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi, suddividendone la trattazione secondo le diverse fasce vegetazionali che si possono incontrare procedendo dagli ambiti collinari e submontani fino all’orizzonte alpino. Gli invertebrati sono stati trattati in una sezione separata e le informazioni sono
state per lo più desunte dal Piano di Gestione della ZPS dei Monti Reatini
(AA.VV., 2004 a).
La fauna dei querceti e dei boschi misti
Lasciati i coltivi che ricoprono gran parte della Piana di Rieti, dell’Altopiano
di Leonessa o della Valle del Velino si incontrano le fasce arborate a querce
caducifoglie ed i boschi misti a carpini ed aceri che bordano gran parte dei
versanti del gruppo montuoso. Queste formazioni forestali si estendono in
modo continuo dai 500-600 fino agli 800-1000 metri di quota. Le comunità
forestali presenti sono quelle tipiche di gran parte dei boschi di caducifoglie
dei piani collinare e submontano della Penisola. Tra le specie maggiormente
tipiche e visibili possiamo ricordare tra i Rettili la Lucertola muraiola (Podarcis muralis) che predilige soprattutto i versanti più soleggiati ed il Saettone (Elaphe longissima), un innocuo serpente dai costumi arboricoli.
Gli uccelli comprendono numerose specie, soprattutto quando i boschi sono maturi e ben conservati (tipici esempi di queste formazioni sono i boschi
presenti lungo Valle Avanzana di Morro Reatino e lungo i versanti della Val
Carpineto di Leonessa); tra i rapaci diurni possiamo ricordare la Poiana (Buteo buteo), frequente un po’ dappertutto e lo Sparviere (Accipiter nisus), difficile da osservare per le sue abitudini schive, ma con una distribuzione forse
più vasta di quella che fanno supporre le sue sporadiche apparizioni.
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Spesso, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, lo si può osservare mentre svolge le sue
parate nuziali, volteggiando al di sopra del bosco.
Gli ambienti dove è più facile incontrarlo sono quelli di contatto tra il bosco di querce ed i boschi di conifere di impianto o tra i questi ed i faggeti; ad esempio lungo la Valle di Fuscello e lungo la Val Carpineto. I picchi tipici di questi boschi sono il Picchio
rosso maggiore (Dendrocopos major), il Picchio verde (Picus viridis), il Torcicollo (Jynx torquilla) ed il
Picchio rosso minore (Dendrocopos minor).
Le prime tre specie sono molto frequenti, difficili
da vedere, ma facili da sentire; mentre il Picchio
rosso minore è alquanto localizzato ed ha abitudini più elusive. La presenza del Picchio rosso
maggiore è spesso rilevata dal tipico tambureggiare sui tronchi, prodotto soprattutto all’inizio
della primavera, prima della comparsa delle foglie. Questa specie frequenta soprattutto i boschi
maturi, le fustaie ed i cedui composti. Le altre due
specie hanno una maggiore diffusione, in quanto
occupano anche i boschi aperti, intervallati da radure. Il Picchio verde è riconoscibile dal verso, caratteristico, simile ad una risata, emesso per gran
parte dell’anno; il Torcicollo è un migratore estivo
che produce un canto ripetuto, sonoro e nasale.
Altre specie caratteristiche di questi boschi sono
il Colombaccio (Columba palumbus) e la Tortora
selvatica (Streptopelia turtur), entrambi appartenenti alla famiglia dei Columbidi. La comparsa
del Biancone (Circaetus gallicus) con 1-2 coppie
nidificanti è alquanto recente e nel corso della
tarda primavera è alquanto facile vedere, nelle
stazioni di presenza, quest’aquila di medie dimensioni a caccia di serpenti nelle praterie della
fascia submontana e montana.
Analoga è la distribuzione di un altro roditore
arboricolo, il Ghiro (Glis glis), presente in modo
regolare nei boschi del piano montano. Un po’
dappertutto è anche visibile lo Scoiattolo (Sciurus
vulgaris) con individui dal caratteristico mantello nero e dal ventre bianco, con una predilizione per le pinete a Pino nero (Pinus nigra) di
impianto artificiale che bordano le medie quote
della dorsale montuosa.Nei boschi più termofili,
fino ad almeno 700-800 metri, è anche presente l’Istrice (Istrix cristata) ed un po’ dappertutto
compaiono la Faina (Martes foina), il Cinghiale
(Sus scrofa), la Volpe (Vulpes vulpes), più localizzata la Puzzola (Mustela putorius).
Nei boschi del gruppo è anche segnalata la Martora (Martes martes), un Mustelide forestale dal
comportamento schivo, molto difficile da osservare in quanto di abitudini crepuscolari e notturne; la specie è presente con un numero di individui contenuto, ma verosimilmente in continuità ecologica con la popolazione appenninica; ciò
dovrebbe assicurane il mantenimento nel lungo
periodo (AA.VV., 2004).
Durante l’inverno nelle radure tra i boschi e nei
cespuglieti si possono fare delle interessanti osservazioni. Infatti la disponibilità di bacche di
ginepri rossi e comuni, di biancospini e di rose
canine attirano una moltitudine di specie, prime
tra tutte quelle appartenenti ai Turdidi; si possono osservare gruppi di Tordi comuni (Turdus
philomelos) e sasselli (T. iliacus), Tordele (T. viscivorus) e Cesene (T. pilaris); tra i Fringillidi vi
sono stormi di Fringuelli (Fringilla coelebs) e di
Frosoni (Coccothraustes coccothraustes).
Tra i Mammiferi forestali si può citare la presenza del Quercino (Elyomis quercinus) e del Moscardino (Muscardinus avellanarius), due piccoli
roditori, schivi e poco visibili, ma discretamente
diffusi. Tra l’altro entrambe le specie sono presenti anche nella faggeta, infatti il Quercino è
stato rinvenuto fino alla quota di 1700 m nella
Vallonina ed il Moscardino fino a circa 1400 m
sempre nella stessa località.
La fauna delle faggete
La fauna delle faggete non è particolarmente numerosa sia in termini di ricchezza di specie che
di abbondanza di individui. Generalmente nel
corso di una passeggiata non sempre si riesco86
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no ad osservare specie significative; è invece più
semplice rilevare la presenza degli onnipresenti Scriccioli (Troglodytes troglodytes), Pettirossi
(Erithacus rubecula), Cinciarelle (Cyanistes caeruleus) ), Cince more (Periparus ater) e Cince bigie (Poecile palustris). Tuttavia il gruppo dei
Monti Reatini è un comprensorio che ospita numerose specie tipiche dei boschi montani. Nelle sue faggete è infatti presente il Picchio dorsobianco (Dendrocopos leucotos), un Picide distribuito in poche località dell’Appennino centrale
e sul Promontorio del Gargano. Si tratta di una
specie legata alle faggete mature, con un abbondante numero di alberi vestusti e marcescenti.
Alcune coppie sono presenti nell’alta Vallonina e
in altre comprensori caratterizzati dalla presenza
di faggete in buono stato di conservazione .
Di notevole interesse sempre nelle faggete del
gruppo è la presenza della Balia dal collare (Ficedula albicollis), un Passeriforme di interesse
conservazionistico tipico dei boschi montani,
che presenta una distribuzione alquanto localizzata in Italia. Sempre tra gli uccelli tipicamente
montani si possono inoltre ricordare il Luì verde
(Phylloscopus sibilatrix) e il Ciuffolotto (Pyrrhula pyrrhula, tre Passeriformi frequenti nella faggeta. Inoltre, Di Carlo negli anni’50 (Di Carlo,
1956) segnalava l’osservazione di Regoli (Regulus
regulus) in periodo riproduttivo nel bosco della Vallonina; purtroppo di
questo interessante Silvide montano a distribuzione per lo più alpina, non
vi sono più notizie di nidificazione sulle nostre montagne.
L’Aquila reale nidifica con
due coppie nel comprensorio
dei Monti Reatini
La specie è comunque molto comune e numerosa durante l’inverno per
l’arrivo delle popolazioni settentrionali migratrici; in questa stagione è facilmente visibile all’interno dei rimboschimenti a Pino nero. Altrettanto significativa la conferma della nidificazione del Rampichino alpestre
(Certhia familiaris), un piccolo Passeriforme dal becco rivolto all’ingiù,
del peso di circa dieci grammi, con una distribuzione localizzata in poche aree dell’Appennino che necessita di una gestione forestale sostenibile
(non solo produttiva), tale da conservare alberi vetusti e legno morto, tramite regolamentazione degli usi civici.
La Salamandra giallo-nera (Salamandra salamandra) è un’altra delle entità da ricercare. Infatti le ultime osservazioni di questo raro anfibio si riferiscono agli anni’70, in cui Bruno (1973) lo segnalava nella Vallonina,
mentre le successive ricerche effettuate hanno sempre dato esito negativo.
Pochi sono i mammiferi tipici della faggeta, ricordiamo, tra questi, il
Topo selvatico collogiallo (Apodemus flavicollis), presente sulle montagne reatine ed il Lupo (Canis lupus); questo Canide sebbene frequenti
un’ampia varietà di habitat, trova nelle zone montane densamente forestate e ben conservate, delle aree vitali per la sua sopravvivenza. La specie è distribuita con continuità dall’Aspromonte alle Alpi Marittime, con
importanti espansioni in corrispondenza del Lazio settentrionale e della
Toscana centro-meridionale; la sua popolazione è stimata in circa 400500 individui.
I Reatini sono interessati dalla presenza stabile del Lupo ed il gruppo è
frequentato da alcuni individui (Boitani, Fabbri, 1983; AA.VV., 2004;
AA.VV., 2007). Per la Provincia di Rieti è stato pubblicato un volume su
questa specie (Cammerini, 1998). L’Autore sottolinea che nel territorio
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provinciale, nel quinquennio 1991-1995, la tendenza all’incremento della
popolazione di Lupo si è mantenuta stabile e ne stima la presenza di 10-12
individui: sui Monti Reatini, in particolare, dovrebbe essere presente un
nucleo composto da non meno di tre individui.
Un altro mammifero forestale presente è il Gatto selvatico (Felis sylvestris);
di questo interessante Felide, minacciato di scomparsa in molti comprensori italiani, si hanno alcune notizie per il gruppo montuoso tra cui una
segnalazione relativa ad una femmina catturata a Cantalice e conservata
in pelle (Ragni,1974) ed una osservazione alle pendici di Monte Cambio
all’inizio degli anni duemila (F.M. Angelici, com.pers.).
La Coturnice è presente nei
Monti Reatini con le densità
più elevate resgistrate nel
Lazio.
Un’altra presenza estremamente significativa anche se saltuaria e irregolare
è quella dell’Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus). La presenza
per l’area del Reatino è documentata fin dal secolo scorso con segnalazioni continue per l’area della Laga, del Turano e della Duchessa, registrate
fino al febbraio 2003. La frequentazione è limitata, ma caratterizzata da
continuità temporale, dovuta a fenomeni di dispersione ed erratismo, data
la continuità territoriale ed ambientale con le porzioni centrali dell’areale
distributivo nei monti del PN d’Abruzzo, Lazio e Molise. Recentemente la
specie è stata segnalata specificatamente per i Monti Reatini, nell’ambito
delle ricerche effettuate per il Progetto PATOM (Piano d’Azione Nazionale
per la tutela dell’Orso Bruno Marsicano).
La fauna delle praterie montane e dei cespuglieti subalpini
Le praterie montane sono costituite da radure più o meno ampie situate in aree dove originariamente erano presenti boschi montani. Ne sono
un esempio tutte quelle aree che si trovano al di sopra dei 1000 metri
di quota, come i versanti di Monte Tilia, le praterie di Monte Rosato e
di Collelungo e i pascoli di Costa Piana, sopra Micigliano. Attualmente
queste praterie, originatesi in seguito al taglio dei boschi per ricavarne
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legname, per farne pascoli o prati da fienagione, tendono a richiudersi,
in quanto le attività agrosilvopastorali tradizionali stanno rapidamente
scomparendo.
L’Orso bruno marsicano è
una specie dal forte valore
simbolico che frequenta
irregolarmente le
montagne reatine.
Queste praterie seminaturali sono di grande interesse faunistico ed attraggono nel corso della migrazione autunnale e durante l’inverno numerose
specie di uccelli. In praterie quelle più cespugliate compaiono alcuni Alaudidi, Turdidi e Fringillidi; tra questi la Tottavilla (Lullula arborea), un Alaudide in decremento in tutta Europa, e salendo di quota, il Prispolone (Anthus trivialis), un piccolo uccello dalle tonalità marroni, tipico delle zone
di margine tra il bosco e la prateria. I rettili che vivono in questi ambienti
non sono particolarmente numerosi, un po’ dappertutto la solita Lucertola
muraiola, il Ramarro (Lacerta bilineata) ed il Colubro liscio (Coronella austriaca); quest’ultima insieme alla Vipera comune (Vipera aspis) frequenta
le praterie meglio esposte e con una discreta copertura di rocce.
In queste praterie sono anche frequenti i piccoli cumuli di terra smossa
dagli scavi della Talpa romana (Talpa romana), un insettivoro localizzato
in Italia centro meridionale. Particolarmente significativa inoltre appare la
presenza della Lepre italica (Lepus corsicanus) sul Monte Cambio, registrata nel corso dello studio per la redazione Piano di Azione della specie (Guglielmi et. al., 2011); una specie che presenta una distribuzione ristretta alla
sola Italia centro meridionale e Sicilia, ritenuta estinta e riscoperta recentemente negli anni’90 del secolo scorso.
Salendo di quota, oltre il limite degli alberi, compare una stretta fascia di praterie cespugliate, in gran parte ricoperte da Ginepro nano (Juniperus nana); un
arbusto prostrato e dalle foglie poco coriacee, a cui si associano il Mirtillo nero
(Vaccinium myrtillus), l’Uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi) ed il Ranno alpino (Rhamnus alpinus). Nell’insieme queste praterie cespugliate hanno dei lineamenti simili a quelli dei prati cespugliati descritti nella fascia dei querceti e dei
boschi misti, ma occupano una fascia altitudinale superiore , intorno ai 18001900 metri di quota. Sono arbusteti originari delle montagne appenniniche in
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quanto in equilibrio con le condizioni climatiche
ed edafiche di questi territori.
Come per la faggeta, le specie animali non sono
numerose, ma in questo caso ciò è dovuto anche alle limitate estensioni di questi ambienti.
Nonostante queste dimensioni ristrette, alcune
specie presenti sono di notevole interesse zoologico, prima fra tutte la Vipera di Orsini (Vipera
ursinii), un serpente di piccole dimensioni, dalle abitudine schive, scarsamente velenoso, che si
alimenta di cavallette montane.
La specie è stata segnalata solo recentemente sui
Reatini (Capula, & Luiselli, 1992 in Bologna et
al., 2000; Corti et. al, 2010), ma la segnalazione
riveste un’indubbia significatività in quanto questo piccolo Viperide è minacciato in quasi tutto il suo areale europeo. In Italia è ritenuto raro, presente soltanto in pochi massicci montuosi
dell’Appennino centrale.
Nei cespuglieti subalpini è anche presente la Coturnice (Alectoris graeca), uno dei tipici Fasianidi delle aree di media ed alta montagna; frequenta le praterie acclivi, ricche di rocce e con presenza di arbusti di ginepro e mirtilli. Nel corso
dell’inverno la specie diventa gregaria e forma
dei gruppi composti di alcune decine di individui. Sui Reatini è ben rappresentata, grazie anche al vincolo venatorio vigente nel comprensorio (l’area rientra in un’Oasi di Protezione e Rifugio per la Fauna), e nel corso della predisposi-
Il Fringuello alpino presenta una colororazione criptica che
maschera la sua silouhette tra le rocce dei brecciai
zione del piano di azione regionale della specie
(Sorace et al., 2011), si è avuto modo di accertare che sui Monti Reatini sono state registrate le
densità più elevate del Lazio (2,53 cp/kmq DS +
- 2,02); tra l’altro uno dei motivi per l’istituzione
dell’Oasi del Monte Terminillo è legata proprio
alla conservazione di questa specie vulnerabile.
La fauna delle praterie d’altitudine
Tra gli ambienti che si possono visitare su queste
montagne sicuramente le praterie di quota o d’altitudine sono gli ambiti di maggior pregio e valore, quelli che meglio esprimono i caratteri delle
montagne appenniniche. Sulle cime più elevate,
al di sopra del limite degli alberi e degli arbusteti subalpini, si estendono delle praterie naturali
o primarie costituite per lo più da graminacee,
composite, ombrellifere e orchideacee. Si tratta
di estese praterie interrotte nella loro continuità morfologica da vallette nivali, brecciai, pareti
rocciose, macigni e rocce. Una buona parte delle specie animali presenti sulle montagne reatine
sono osservabili in questi ambienti aperti. Infatti
le praterie costituiscono habitat riproduttivi per
alcune specie e habitat trofici per gran parte degli animali, anche per quelli che si riproducono
nei boschi e nei cespuglieti sottostanti.
Durante la bella stagione, tra giugno ed agosto, la
passeggiata potrà essere molto fruttuosa. In questo periodo è possibile osservare i Gracchi corallini (Pyrrhocorax pyrrhocorax), i Gheppi (Falco
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Le radure svolgono un ruolo ecologico-funzionale
molto importante, il loro mantenimento risulta
vitale per molte specie animali.
tinnunculus), le Aquile reali (Aquila chrysaetos),
le Tordele (Turdus viscivorus), le Coturnici (Alectoris graeca) e le lepri (Lepus sp.), intenti a cercare cibo in questi spazi aperti. Inoltre si possono
incontrare numerose altre specie simbolo delle
alte quote delle montagne mediterranee, quali
il Fringuello alpino (Montifringilla nivalis), un
Passeridae a distribuzione ristretta, limitata alle Alpi ed all’Appennino centrale. Il maschio e la
femmina sono facilmente riconoscibili in quanto
presentano gran parte delle ali bianche. E’ possibile osservarli passando nel tratto di strada che
collega la Sella di Leonessa con il Rifugio Sebastiani anche se la sua presenza in questo settore
del Lazio si è estremamente ridotta. Sempre tra
le specie caratteristiche è poi da segnalare, la presenza numerosa dello Spioncello (Anthus spinoletta) e nelle cime più elevate del Sordone (Prunella collaris), un Passeriforme dal becco sottile e
dalla gola lunettata di bianco e nero.
Nelle aree in cui le praterie vengono interrotte da
rocce e macigni è facile inoltre osservare i Culbianchi (Oenanthe oenanthe) ed i Codirossi spazzacamini (Phoenichurus ochruros), entrambi Turdidi di medio-piccole dimensioni. Il primo deve il
suo nome al sopraccoda bianco ed il secondo alla
sua abitudine di frequentare anche i tetti delle abitazioni. Se si è fortunati, è anche possibile osservare uno degli uccelli più colorati della montagna,
il Codirossone (Monticola saxatilis), un Turdidae
delle dimensione di un merlo; il maschio presenta
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dei colori netti e sgargianti, con il capo grigio-azzurro e il petto e la pancia intensamente aranciati.
Quasi assenti i mammiferi o almeno quelli caratteristici, le uniche specie discretamente frequenti
sono il Topo selvatico (Apodemus sylvaticus), presente con popolazioni abbondanti, recente rilevate (2011) nel corso di trappolamenti svolti dall’Agenzia regionale per i Parchi (Capizzi D., com.
pers.) e le lepri. Come già accennato in precedenza, in Italia peninsulare esistono due specie di
Leporidi: nel settore centro-settentrionale è presente la Lepre europea (Lepus europaeus), specie eurasiatica ad ampia distribuzione, autoctona
solo nelle regioni settentrionali; mentre in Italia
centrale e Sicilia è presente la Lepre italica anche
se probabilmente in forte declino. Quando in sintopia la Lepre italica adotta abitudini più montane della sua congenere. Nel complesso montuoso
la prima delle due specie è con molta probabile
stata introdotta a seguito di immissioni venatorie.
Alle specie sopra richiamate se ne potrebbe aggiungere una ulteriore, tipica di questi ambienti
cacuminali oromediterranei, l’Arvicola delle nevi
(Chionomys nivalis), un roditore dalla folta pelliccia grigia, di cui si hanno alcune generiche segnalazioni che necessitano conferma.
La fauna degli ambienti rupestri
Le scarpate e le balze rocciose sono luoghi inaccessibili e di spettacolare bellezza, presenti un
po’ dappertutto su queste montagne.
Vi sono tuttavia alcune valli che racchiudono
complessi rupestri particolarmente estesi, ne sono un esempio la Valle Scura, il Vallone di Lisciano, il Vallone di Cantalice, la Valle di Poggio
Bustone, l’alta Vallonina ed i versanti delle gole del Velino. Sono questi ambiti estremamente
sensibili in cui si concentrano gran parte dei siti
riproduttivi delle specie rupicole. Sui Reatini infatti sono presenti ben due coppie nidificanti di
Aquila reale (Aquila chrysaetos), una specie simbolo dei comprensori montani. Anche il Falco
pellegrino (Falco peregrinus), nidifica nel gruppo con almeno due-tre coppie.
Tra le specie rupicole vi è poi il Gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), un Corvide d’alta
quota, gregario, che forma degli stormi costituiti
da decine di individui. Generalmente la mattina i gruppi abbandonano i dormitori situati sulle pareti rocciose e si dirigono verso le praterie,
dove pascolano a caccia di insetti. Il nero lucente
del piumaggio ed il lungo becco arcuato arancione, lo rendono inconfondibile.
Queste caratteristiche si associano anche ad un
comportamento poco elusivo che ne permette
facilmente l’osservazione. La Sella di Leonessa e
la cresta di Sassetelli nonché le praterie che ricoprono i versanti di Monti Porcini sono località ideali per osservarlo. Almeno altre tre specie
rupicole sono presenti sulle montagne reatine, la
Rondine montana (Ptyonoprogne rupestris), lo-
calizzata in pochi siti, il Picchio muraiolo (Tichodroma muraria) ed il Rondone maggiore (Apus
melba); queste ultime due specie, tra l’altro, non
sono state rilevate negli ultimi anni.
Le faggete in quota, con alberi di notevoli dimensioni, sono un
ambiente di grande valore ambientale perchè ospitano specie
animali caratteristiche e poco diffuse.
Gli invertebrati di particolare interesse
Il Massiccio del Terminillo rappresenta uno dei
comprensori montani più rilevanti sotto il profilo faunistico e naturalistico dell’intera area laziale-abruzzese sia a causa di fattori bioclimatici
sia a seguito del suo relativo isolamento geografico essendo collocato in posizione marginale rispetto alla dorsale che include gli altri principali gruppi montuosi dell’Appennino Centrale. Un
primo dato emergente è la ricchezza in specie di
molti gruppi faunistici, che si manifesta soprattutto tra gli Insetti fitofagi (Ortotteri, Coleotteri Nitidulidi, Lepidotteri), come d’altronde era
prevedibile in funzione della notevole ricchezza
e diversificazione floristica e vegetazionale del
comprensorio.
Tra l’entomofauna fitofaga, vi sono un cospicuo
contingente di specie orofile a distribuzione per
lo più medio-sud-europea nelle fasce vegetazionali caratteristiche delle quote maggiori (oltre
i 1100-1300 m s.l.m.), a fianco di una notevole
componente di elementi schiettamente mediterranei, xerotermofili o perfino caratteristici della
vegetazione mediterranea costiera, che colonizzano i settori di media e bassa quota, e che rag98
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giungono in queste località altezze del tutto inconsuete. Relativamente modesto appare invece il numero di elementi più tipicamente settentrionali (alpini o centro-nordeuropei s.l.), che raggiungono il Terminillo solo nei suoi
settori più elevati; per questa sola categoria di specie il comprensorio appare
distintamente più povero rispetto ai più elevati massicci montuosi dell’ Appennino centrale (Gran Sasso e Monti della Laga, in particolare).
Il Massiccio dei Monti Reatini visto da ovest.
Per quanto riguarda i Lepidotteri, i dati sono stati estratti dai cataloghi di Prola, Provera, Racheli e Sbordoni (1978 a, 1978 b) e di Prola e Racheli (1979,
1980), relativi ai Macrolepidotteri dell’ Appennino centrale; un primo dato
rilevante è rappresentato dalla numerosità delle specie presenti; 580 specie sicuramente note nell’ambito del Massiccio del Terminillo su un totale di 1259
entità presenti complessivamente in Italia centrale (Audisio & Vigna Taglianti,
1988). In particolare, tra i ropaloceri, che sono certamente i meglio conosciuti
sotto il profilo faunistico, sono presenti almeno 109 specie su 153, ossia oltre i
due terzi dell’intera fauna dell’Italia centrale.
Tra i Coleotteri Carabidi (Magistretti, 1965; Audisio & Vigna Taglianti, 1988)
sono note circa 100 specie per il Terminillo, non poche delle quali caratteristiche ed endemiche delle aree centro-appenniniche e più o meno strettamente
localizzate in stazioni montane di media e alta quota.
Di grande rilievo è inoltre la presenza di Duvalius sp. cfr. straneoi Jeannel, elemento endemico dei Monti Reatini, presente nell’ambiente sotterraneo superficiale del Terminillo alle quote più elevate, sia nelle faggete che al limite dei
piccoli nevai primaverili-estivi presso la vetta, da 1600 a 2200 m di quota (Vigna Taglianti, 1970, 1982; Audisio & Vigna Taglianti, 1988).
Tra i Coleotteri Scarabeoidei, sono significative le presenze del Melolontide Amphimallon fuscus (Scop.), caratteristico elemento dei pascoli appenninici di alta quota, del raro Rutelide Anisoplia bromicola Germ. e del Glafiride Anthypna carceli (Cast.). Di grande rilievo è senza dubbio la fauna
ortotterologica, attentamente studiata da Baccetti (1971); questo Autore
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segnala ben 66 specie di Ortotteroidei nell’ambito del comprensorio dei
Monti Reatini, tra le quali alcune specie di Ortotteri orofili endemici di
questo massiccio montuoso.
Da rilevare l’interessante presenza del Crostaceo Anostraco Chirocephalus diaphanus (Prev.) nel Lago Tilia (1680 m s.l.m.), ove è rappresentato
da una popolazione costituita da esemplari di dimensioni inconsuete e alquanto cospicue (Cottarelli, 1966, sub C. stagnalis Shaw). mente i meglio
conosciuti sotto il profilo faunistico, sono presenti almeno 109 specie su
153, ossia oltre i due terzi dell’intera fauna dell’Italia centrale.
Le pareti scoscese sono
il luogo preferito per la
nidificazione dei falco
pellegrino Falco peregrinus.
Tra i Coleotteri Carabidi (Magistretti, 1965; Audisio & Vigna Taglianti,
1988) sono note circa 100 specie per il Terminillo, non poche delle quali
caratteristiche ed endemiche delle aree centroappenniniche e più o meno strettamente localizzate in stazioni montane di media e alta quota. Di
grande rilievo è inoltre la presenza di Duvalius sp. cfr. straneoi Jeannel,
elemento endemico dei Monti Reatini, presente nell’ambiente sotterraneo
superficiale del Terminillo alle quote più elevate, sia nelle faggete che al limite dei piccoli nevai primaverili-estivi presso la vetta, da 1600 a 2200 m
di quota (Vigna Taglianti, 1970, 1982; Audisio & Vigna Taglianti, 1988).
Tra i Coleotteri Scarabeoidei, è da rilevare la presenza del Melolontide
Amphimallon fuscus (Scop.), caratteristico elemento dei pascoli appenninici di alta quota, del raro Rutelide Anisoplia bromicola Germ. e del Glafiride Anthypna carceli (Cast.).
Di grande rilievo è senza dubbio la fauna ortotterologica, attentamente
studiata da Baccetti (1971); questo Autore segnala ben 66 specie di Ortotteroidei nell’ambito del comprensorio dei Monti Reatini, tra le quali le specie di Ortotteri orofili endemici di questo massiccio montuoso
Da rilevare l’interessante presenza del Crostaceo Anostraco Chirocephalus diaphanus (Prev.) nel Lago Tilia (1680 m s.l.m.), ove è rappresentato
da una popolazione costituita da esemplari di dimensioni inconsuete e alquanto cospicue (Cottarelli, 1966, sub C. stagnalis Shaw).
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Specie di valore europeo
di Enrico Calvario e Stefano Sarrocco
I
Monti Reatini ospitano diverse specie di flora e di fauna di interesse comunitario. I Formulari Standard dei siti Natura 2000 del comprensorio
elencano la presenza di 17 specie di rilevanza europea, cui si devono aggiungere il Tritone crestato italiano Triturus carnifex ed il coleottero Rosalia
alpina Rosalia alpina, per un totale di 19 specie di valore conservazionistico.
Tra gli Uccelli sono presenti e nidificanti, l’Aquila reale Aquila chrysaetos, il
Biancone Circaetus gallicus, il Falco pellegrino Falco peregrinus, la Coturnice Alectoris greca, il Picchio dorsobianco Dendrocopos leucotos, la Tottavilla
Lullula arborea, il Calandro Anthus campestris, la Balia dal collare Ficedula
albicollis, l’Averla piccola Lanius collurio ed il Gracchio corallino Pyrrhocorax pyrrhocorax. Tra i Mammiferi sono segnalate due specie emblematiche,
il Lupo Canis lupus e l’Orso bruno marsicano Ursus arctos. Passando agli
Anfibi e Rettili il Formulario Standard riporta la presenza di Ululone ventre giallo Bombina variegata (ora pachypus), Salamandrina dagli occhiiali
Salamandrina terdigitata, Vipera di Orsini Vipera ursinii ai quali si deve
aggiungere il Tritone crestato italiano Triturus carnifex ritrovato nel corso
del Progetto di ripristino dei fontanili. Tra gli invertebrati sono segnalati il
Lepidottero Euphydryas aurinia, una farfalla le cui larve si nutrono all’interno di una coppia di foglie, unite con la seta, e, successivamente, costruiscono nidi di seta collettivi dove svernano e il coleottero Rosalia alpina, la
cui presenza nel comprensorio è stata messa in luce nel corso della stesura
del Piano di Gestione del SIC di Vallonina (Biscaccianti in verbis).
Occorre infine ricordare la presenza di una rara pianta montana, la Bivonea di Savi Jonopsidium savianum che vede sul Monte Fausola, la popolazione più significativa del Lazio. Tra queste “19 perle”, abbiamo scelto di
decrivere quelle che hanno anche un forte valore simbolico.
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Bivonea di Savi
Rosalia alpina
Jonopsidium savianum è una rara pianta erbacea a ciclo annuale appartenente alla famiglia delle Crucifere, con distribuzione mediterraneo-occidentale e a fioritura primaverile (marzo-aprile). In Italia è segnalata per
Toscana, Umbria e Lazio, dove è stata indicata in tre stazioni in provincia
di Rieti,(Colle i Tre Confini, Monte Fausola e Monte Tancia). In Umbria
e Lazio è stata rinvenuta in prati aridi e sassosi, fenditure rocciose e margini di sentieri a quote comprese fra i 900 e i 1300 m. In Toscana è stata
ritrovata in radure boschive e della macchia mediterranea su suolo acido,
a quote comprese fra i 300 e i 650 m. Nel territorio dei Monti Reatini, va
considerata, come una estrema propaggine delle popolazioni della Toscana metallifera, livornese e campigliese, là accantonate in siti su rocce intrusive, vulcaniche, e, quindi, coda di una lenta erosione di un precedente
margine orientale dell’areale, avvenuta negli ultimi millenni di miglioramento climatico postglaciale a favore di foreste montane. La stazione di
Monte Fausola, che rientra nell’omonimo SIC, raccoglie una popolazione
che costituisce più del 15% dell’intera popolazione nazionale. Presso la
stazione di Colle i Tre Confini la specie risulta essere molto rara, mentre
sul Monte Tancia si presenta localmente abbondante. Le principali minacce per questa specie sono costituite dal pascolo eccessivo, dai cambiamenti di uso del suolo e dalle raccolte botaniche. Considerata la ristrettezza
dell’areale della specie e la sua endemicità, occorre assicurare la protezione
attiva delle stazioni attualmente note. Sarebbe utile, inoltre, programmare
una campagna di raccolta dei semi da donare a differenti banche del germoplasma italiane.
Coleottero Cerambicide di aspetto inconfondibile e particolarmente vistoso, per le dimensioni medio-grandi (tra 20 e 38 mm di lunghezza), il colore
azzurro cenere, con nette macchie nere su pronoto ed elitre, le antenne lunghe, azzurre, con un folto ciuffo di peli neri all’apice di ciascun segmento.
Specie montano subalpina, legata al faggio, da 500 a 1800 m di quota.
Le uova vengono deposte su faggi morti o deperienti, parti morte di piante
sane, ceppi e tronchi caduti, di preferenza esposti al sole. Occasionalmente
è stata rinvenuta su altre latifoglie (noce, castagno, quercia, salice, tiglio,
acero, olmo, frassino). Lo sviluppo larvale dura di solito tre anni, l’impupamento avviene in primavera, l’adulto compare in giugno-agosto ed è attivo
di giorno. Si osserva su piante morte o su tronchi abbattuti di recente, spesso in pieno sole. Al contrario di altre specie di Cerambicidi, gli adulti non
si rinvengono sulle infiorescenze di piante erbacee o legnose. Dopo l’accoppiamento le femmine depongono le uova nel legno delle piante ospiti.
La conservazione di questa “specie bandiera” dipende dalla tutela delle
faggete mature e dal ripristino della loro complessità strutturale, soprattutto con la conservazione dei vecchi alberi, del legno morto, con il mantenimento delle radure e con la istituzione di riserve integrali ed orientate,
che possano ridurre la ceduazione, la “pulizia” del bosco e la eccessiva
fruizione antropica, con i conseguenti rischi di incendi, calpestio e prelievo di esemplari. Dati inediti (A.B. Biscaccianti), segnalano la specie per il
Monte Terminillo, Bosco Vallonina e Vallescura.
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Ululone appenninico
Vipera di Orsini
Si tratta di un anuro raro e localizzato in forte decremento, nel Lazio, assieme alla Salamandra giallo nera, è la specie di anfibio maggiormente minacciata di estinzione. Numerose popolazioni note fino agli anni ’70 del XX
secolo non sono più state confermate soprattutto nelle aree planiziali in cui
l’intervento antropico è risultato più intenso. La vulnerabilità di gran parte
delle popolazioni del Lazio, come ad esempio di alcune del Reatino, è dettata, inoltre, dal modesto numero di individui adulti di cui sono costituite.
E’ una delle specie di serpenti maggiormente minacciata di estinzione in
Italia. Esclusiva dei pascoli di alta quota, ove vive intorno ai pulvini prostrati di ginepro. In particolare, predilige le aree dove i cespugli di ginepro
sono molto aggregati, di ampio diametro (> 6 m), e interconnessi tra loro
(Filippi & Luiselli, 2004). Esclusivamente diurna, esce di rado dai pulvini
di ginepro ed è pertanto di solito difficile da osservare anche in aree dove
è ancora abbondante. Il ciclo riproduttivo è biennale, e le femmine partoriscono in agosto 3-4 piccoli vivi. L’accoppiamento avviene in maggio,
e i maschi lottano per il possesso delle femmine mediante ‘danze rituali’
piuttosto spettacolari. Il ciclo trofico è costituito da due fasi (Agrimi &
Luiselli, 1992): in primavera si nutrono solo le femmine, che catturano
lucertole e arvicole neonate mentre in estate si nutrono sia i maschi che le
femmine e le prede principali sono gli ortotteri atteri. La specie è rarissima
nel Lazio, dove sono conosciute solo tre popolazioni (Luiselli 2004). La
popolazione delle Montagne della Duchessa è costituita da poche decine
di individui adulti; quella del Terminillo è quasi estinta (non sono stati
catturati esemplari vivi negli ultimi cinque anni) e quella del versante laziale del Parco Nazionale d’ Abruzzo è a status sconosciuto, essendo stato
catturato un solo esemplare a circa 2000 m di altitudine. Tutte le misure
tese a salvaguardare le aree di pascolo d’alta quota ove la specie vive sono
direttamente utili alla tutela di questo viperide. Particolare attenzione deve
essere posta al contenimento del sovrappascolo e del traffico veicolare in
alta quota. La popolazione presente sul Terminillo vive in un’area attraversata da una strada d’alta quota abbastanza trafficata e uno degli ultimi
esemplari raccolti fu trovato investito nel luglio del 1997 (Luiselli, 2008).
Specie diurna, eliofila e termofila, attiva da marzo ad ottobre con un picco
di attività, nel Lazio, concentrato nel bimestre maggio-giugno. I siti riproduttivi consistono prevalentemente in piccole raccolte d’acque poco profonde, spesso soleggiate e caratterizzate da prosciugamenti estivi. Si rinviene anche nell’alto corso di ruscelli ed in abbeveratoi. Le uova sono deposte
in gruppi di qualche decina di unità e lo sviluppo larvale può eccezionalmente completarsi in poco più di un mese. La colorazione addominale particolarmente vistosa della specie costituisce un segnale di avvertimento per
i suoi potenziali predatori; infatti, qualora disturbato o attaccato, assume
una strana posizione difensiva, coprendo gli occhi con gli arti anteriori,
inarcando la schiena e sollevando gli arti anteriori verso l’alto e rendendo
visibile quindi la colorazione ventrale giallo-nera. Inizia quindi a secernere
dalle ghiandole cutanee una secrezione bianca vischiosa, dal vago odore
di aglio, che per contatto, può causare ulcerazioni e irritazioni alla pelle e
alle mucose del momentaneo “nemico”, facendolo desistere dall’attacco. Nei
Monti Reatini, è stato segnalato presso Valle Avanzana e Pian de’Valli (AA.
VV., 2004a). Le piccole e frammentate popolazioni laziali sono sottoposte a
potenziali fenomeni di inbreeding e di isolamento riproduttivo.
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Aquila reale
Falco pellegrino
L’ Aquila reale occupa nel Lazio gli ambienti montani a scarsa antropizzazione con orografia movimentata e versanti fortemente acclivi. Ogni coppia nidificante possiede un territorio che può arrivare a 250 km2 e comprende vari tipi di habitat quali le formazioni rupestri per lo più calcaree,
le praterie cacuminali, i boschi e le aree con vegetazione arbustiva rada.
Prevalentemente il periodo riproduttivo inizia nel mese di marzo e si conclude in quello di luglio. La specie preda elettiva è la Lepre (Lepus sp.) che
può arrivare a coprire il 70% in biomassa dell’alimentazione del rapace
(Borlenghi, 2008). Più in generale preda mammiferi di piccole e medie
dimensioni, compresi alcuni ungulati domestici quali agnelli e capretti; la
dieta comprende anche uccelli e rettili. Nella stagione invernale la specie
è moderatamente necrofaga. Considerata minacciata nella Lista Rossa regionale (Calvario et al., 2011), nel Lazio la consistenza della specie è stimata in otto coppie nidificanti stabili e 2 di nuova formazione ed i Monti
Reatini con le loro due coppie di adulti e la presenza di alcuni individui
immaturi ne ospitano una consistente porzione della popolazione regionale (Borlenghi, 2011). Una criticità rilevante per la specie è dovuta alla
realizzazione di impianti eolici in vicinanza dei siti riproduttivi come anche importante è il mantenimento di significative estensioni di zone aperte
in quota, utilizzate a scopi trofici dalla specie, libere da qualsiasi disturbo
e/o attività sportiva. Per quanto riguarda il disturbo indiretto e gli abbattimenti illegali si deve operare verso un miglior controllo del territorio da
parte degli organismi preposti. Infine, il rischio di elettrocuzione con gli
elettrodotti deve trovare mitigazione in opere di modifica di alcune infrastrutture impiantistiche.
Grande falcone dalla struttura compatta e robusta che nel Lazio nidifica in
vari ambienti: dalle falesie costiere alle pareti rocciose in zone montane, dalle
scarpate tufacee a quelle di arenaria, nonché su edifici in aree urbane e industriali. La distribuzione altimetrica dei siti di nidificazione evidenzia una
preferenza per le aree poste fino a 250 m s.l.m. e comunque entro i 1000 m
s.l.m., oltre questa quota le segnalazioni subiscono un netto decremento, fino
ad arrivare alla quota massima registrata nel Lazio di 1300 metri s.l.m.
Il nido è costituito da cavità o cenge poste nelle zone sommitali o mediane
delle pareti rocciose, direttamente sul terreno o all’interno di nidi abbandonati di Aquila reale e Corvo imperiale. Gli adulti occupano il sito gia in gennaio-febbraio e la deposizione avviene in marzo-aprile. Le covate sono formate da 3-4 uova che vengono incubate principalmente dalla femmina per un
periodo di 28-33 giorni. L’allevamento della prole dura 40 giorni dopo i quali
avviene l’involo, evento che si verifica generalmente nei mesi di maggio e giugno. Il successo riproduttivo medio è di 2,3 giovani involati per coppia che ha
allevato giovani (Brunelli, 2007, 2008). La dieta è costituita quasi esclusivamente da uccelli, che cattura in volo, anche di taglia medio-grande. In passato
i principali fattori di minaccia erano costituiti dalla persecuzione diretta e dal
furto di piccoli e uova. Altri fattori limitanti sono costituiti dal disturbo provocato dall’attività venatoria presso i siti di nidificazione, dall’impatto con le
linee elettriche, dall’arrampicata sportiva. Un ulteriore fattore di rischio può
essere rappresentato dagli impianti eolici. Anche in termini di consistenza
numerica vi è stato un forte incremento, passando dalle 25-30 coppie stimate
negli anni’80 alle attuali 92-106 (Brunelli et al., 2007), sui Monti Reatini sono
presenti 4 coppie nidificanti.
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La Coturnice
Picchio dalmatino o dorsobianco
La Coturnice è un Galliforme della famiglia dei Fasianidi appartenente al
gruppo delle “pernici dalle zampe rosse”. Nidifica nei soli paesi del Mediterraneo centrale e orientale, con popolazioni cospicue in Italia. Nel Lazio
alla specie è stato dedicato un Piano di Azione (Sorace et al., 2011) che
ha consentito di fare chiarezza sul suo stato di conservazione: sono state
stimate 171-342 coppie e sui Monti Reatini sono state registrate le densità
più elevate del Lazio (2,53 cp/km2). L’altitudine media delle osservazioni
è risultata di 1.663 m con solo l’11,1% delle osservazioni sotto i 1.300 m
s.l.m. Si alimenta principalmente di parti vegetali (foglie, germogli, semi e
frutti) e di invertebrati, in particolare insetti.
Nonostante il nome, la sottospecie lilfordi non presenta il dorso bianco ma
fittamente barrato. Il becco è lungo e scuro, il vertice è rosso nel maschio e
nero nella femmina, la parte ventrale è bianca finemente barrata di scuro. I
principali caratteri diagnostici sono quindi costituiti dalla barratura bianca e nera del dorso e dal vertice rosso del maschio. In considerazione della
frequenza della specie, il principale rischio di confusione è con il comune
Picchio rosso maggiore Dendrocopos major, frequente in tutti i tipi di bosco, ma leggermente più piccolo, provvisto di due ampie spalline bianche
facilmente visibili anche in volo. Il tipico tambureggiare con la fase finale
accelerata ed il verso, simile a quello di un Merlo, costituiscono utili caratteri di riconoscimento, dal momento che le osservazioni nel bosco risultano spesso difficoltose. Si tratta di una specie strettamente associata alle
foreste mature di latifoglie montane dove si riproduce, scavando il nido
nel tronco di piante di grandi dimensioni, solitamente morte od in forte
stato di deperimento; in tal senso assume molta importanza la gestione
del legno morto nell’ambito delle pratiche forestali. La distribuzione della
specie riguarda due ambiti geografici principali: l’area dei Monti ErniciSimbruini-P.N. d’Abruzzo, Lazio e Molise, che costituisce il più importante
settore occupato dalla specie in Italia ed è collocato soprattutto in Abruzzo
e l’area del Monte Terminillo-Monte Nuria-Monte Giano. Queste due aree
rappresentano i soli territori sicuramente occupati dalla specie in Italia,
dove complessivamente sono stimate 240-300 coppie nidificanti, 60-80
delle quali nella regione Lazio (Bernoni & De Sanctis, 2011) ed una decina
nei Monti Reatini (Bernoni, 2004). In questo comprensorio montano occupa esclusivamente le faggete, tra i 1000 ed 1800 metri di quota.
Le attività territoriali della Coturnice iniziano già alla fine dell’inverno;
per esempio, il 10 marzo 2008 nelle Mainarde, due maschi hanno risposto all’emissione del canto territoriale mentre sui Monti Reatini, il canto
territoriale della specie era udibile già il 6 febbraio dello stesso anno. Specie monogama, con alcune coppie che formano legami di lunga durata,
occasionalmente bigama. Il nido, costituito da un’incavatura naturale del
suolo viene rivestito con materiale vegetale, Il periodo della deposizione
delle uova è compreso tra aprile e giugno e viene effettuata una sola covata
annua (8-14 uova), con eventuale covata di sostituzione.
La cova inizia dalla deposizione dell’ultimo uovo ed è effettuata dalla sola
femmina per 24-26 giorni. I pulli sono nidifughi e vengono accuditi
da entrambi i genitori. L’involo avviene a circa 21 giorni e le dimensioni
dell’adulto vengono raggiunte a 50-60 giorni. I giovani sono in grado di
riprodursi a un anno di età.
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Balia dal collare
Gracchio corallino
E’ un piccolo Passeriforme migratore, nidificante nei boschi di caducifoglie
(principalmente faggete), con predilezione per quelli in buono stato di conservazione, maturi e ricchi di cavità naturali. Nel Lazio la specie presenta
una distribuzione ristretta al piano montano; nidifica lungo l’Appennino,
nel settore nord-orientale e meridionale, e su parte delle dorsali dell’Antiappennino (Monti Lepini), tra i 1100 ed i 1800 metri di quota.
È il più raro Corvide europeo ed è in declino in buona parte del suo areale
ove il decremento interessa circa il 90% delle popolazioni europee conosciute. È una specie tipica d’alta montagna che occupa le praterie montane
e d’altitudine, utilizzate per la ricerca del cibo e le pareti rocciose sulle
quali nidifica, in anfratti o cenge.
È una specie dal comportamento gregario e, dove numerosa, tende a nidificare in forma coloniale. Nel Lazio è nidificante, con una distribuzione
ristretta, concentrata esclusivamente lungo l’Appennino. Frequenta le praterie montane e d’altitudine, dai 1000 m s.l.m. sino alle massime quote.
La specie è sedentaria, con erratismi durante il periodo invernale che la
portano a frequentare le pianure intramontane ed anche i gruppi montuosi più costieri (Antiappennino) dove non nidifica. Attualmente nel Lazio
la specie nidifica lungo la dorsale appenninica, occupando i monti della
Laga e i Reatini, la Duchessa, i monti Simbruini, Ernici e della Meta e le
Mainarde. In un recente lavoro sono state censite nella regione 65 coppie
di cui 34 nidificanti certe e 31 probabili, 18 delle 65 coppie sono state rinvenute entro una fascia di 2 km dal confine regionale. Sui Monti Reatini
sono state stimate dalle 11 alle 24 coppie nidificanti (Bernoni et al., 2009).
Nel corso degli studi effettuati per la redazione del Piano di Gestione del
SIC “Bosco di Vallonina IT6020009” sono state effettuate delle stime della
specie nel sito che hanno consentito di valutare la consistenza della popolazione nidificante tra le 157 e le 219 coppie, con densità di 0,28-0,30 coppie
per ettaro (Sarrocco e Calvario, 2004).
Nel Lazio la popolazione nidificante è probabile che superi le 1.000 coppie
riproduttive (Brunelli et al., 2011). La ridotta disponibilità di cavità naturali può rappresentare un fattore limitante per la specie; a tal riguardo la
Regione Lazio ha finanziato al Comune di Leonessa uno specifico progetto
finalizzato all’installazione di nidi artificiali con l’obiettivo di rendere disponibili delle cavità artificiali in particelle forestali da sottoporre a tagli di
utilizzo, quale misura di conservazione attiva prevista nel Piano di Gestione del sito. Nel corso del mese di novembre 2008 nella faggeta del SIC “Bosco Vallonina ” sono stati installati 300 nidi artificiali, collocati tra 1.100 e
1.600 m di quota, ad una altezza di 3-5 metri dal suolo. Il controllo dei nidi
ha evidenziato l’occupazione del 12,5% dei nidi. Le covate controllate erano
costituite da un numero medio di 5,9 uova ed hanno prodotto una media
di 4,6 giovani all’involo(Sarrocco et al., 2009).
Oltre a cause di livello globale (cambiamenti climatici), la specie potrebbe
essere sottoposta anche a fattori limitanti di scala regionale, come la riforestazione naturale dei pascoli montani, in corso nelle aree sommatali
delle montagne appenniniche e la diminuzione dell’intensità di pascolamento che sembra interferire con l’alimentazione della specie.
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Lupo
Orso
Specie con abitudini prevalentemente notturne, vive in unità sociali stabili (branchi), fortemente gerarchizzate, che cacciano, allevano la prole e
difendono un territorio di dimensioni variabili (in Italia 150-250 km2), in
maniera integrata e coordinata. Il branco corrisponde ad una unità familiare che si forma quando due individui di sesso opposto si incontrano e
si riproducono su un territorio idoneo. In Italia la dimensione del branco
è di 2-7 individui. La dieta è costituita prevalentemente da ungulati selvatici ma anche da ungulati domestici, rifiuti organici e materia vegetale
(Boitani, 2008).
L’Orso bruno è presente in Italia con due popolazioni disgiunte, quella
Alpina e quella dell’Appennino centrale (geneticamente separate). Negli
anni ‘70 la popolazione appenninica di Orso bruno era oramai confinata
al territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo ed alle aree montane immediatamente circostanti. Attualmente l’areale della popolazione si estende
all’interno del Parco Nazionale Abruzzo Lazio Molise (PNALM) che, con
le aree contigue, comprende una superficie di 1.500–2.500 km2 mentre,
nelle zone periferiche a tale area, solo periodicamente si registra la presenza di individui erratici che presentano quindi densità estremamente
contenute. Sui Monti Reatini, i Monti della Laga ed i Monti della Duchessa
la sua presenza è limitata, ma caratterizzata da continuità temporale, ed
è dovuta a fenomeni di dispersione ed erratismo data la continuità territoriale ed ambientale con le porzioni centrali dell’areale distributivo del
PNALM (Bologna e Vigna Taglianti, 1992). Le informazioni disponibili sulla dimensione della popolazione hanno portato ad una prima stima
(2004) di 43 orsi (min. 35 - max. 67) all’interno dell’area centrale di presenza, mentre una seconda stima (osservazioni dirette, catture) ha ridotto
a 40 gli orsi presenti nell’area centrale, con una densità di 3,3 orsi/100 km2.
La specie per il rifugio predilige aree con copertura forestale, ma frequenta
anche praterie, zone rocciose e coltivi. L’alimentazione onnivora è basata
su risorse trofiche vegetali (erba, frutti carnosi e secchi) e animali (insetti,
carcasse). Un fattore limitante è la disponibilità di siti di svernamento su
aree impervie e indisturbate. Il dato più recente di presenza della specie
riferito ai Monti Reatini è quello relativo al 2010 sul Monte Terminillo
(Banca Dati Progetto PATOM).
Complessivamente in Italia si stima la presenza di 500-800 lupi ma questo valore è puramente indicativo (Boitani, 2008). Nel Lazio comunque
la specie sembra discretamente ben conservata, come testimoniato dagli
avvistamenti regolari e dai danni causati al bestiame domestico. Sui Monti
Reatini la specie è presente stabilmente: nel periodo 1992-1995 nove
lupi sono stati uccisi nell’area, 4 di questi tra Leonessa, Poggio Bustone e
Rivodutri. Un esemplare è morto per un laccio, due esemplari sono stati
investiti, tre sono morti avvelenati. Tra gli esemplari morti, due esemplari
giovani di 6 e 12 mesi. La presenza nell’area viene stimata in non meno
di 3 esemplari (Cammerini 1998). La principale misura di conservazione
da attuare con urgenza è una credibile lotta all’uso dei bocconi avvelenati
e una graduale modifica dei sistemi di caccia al cinghiale. Inoltre si deve
espandere l’uso dei cani da guardia per le greggi e migliorare la gestione ed
il controllo del pascolo brado per equini e bovini.
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Laudato si’, mi Signore, per sor’acqua, la quale è molto utile et hùmele et pretiosa et casta
San Francesco
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Progetto laghetti e fontanili
di Enrico Calvario e Silvia Sebasti
S
ui Monti Reatini, come in numerose altre località appenniniche i
“fontanili”, ossia gli abbeveratoi costruiti dall’uomo per dissetare il
bestiame domestico al pascolo, rivestono una notevole importanza
anche dal punto di vista ecologico per le comunità di Anfibi, che trovano
in queste strutture un habitat ideale per l’approvvigionamento trofico di
larve e adulti e per completare il loro ciclo riproduttivo. Ciascun fontanile è di solito composto da una o più vasche di raccolta dell’acqua, da un’
opera di presa che ne garantisce l’adduzione idrica da pozzi o falde, da un
“troppo pieno” che ne mantiene stabile il livello.
Nel tempo però queste strutture, laddove non adeguatamente mantenute
e restaurate, essendo soggette ai danni causati dalle gelate e all’usura da
parte del bestiame, appaiono spesso deteriorate, fatiscenti, in alcuni casi
dirute. Divengono così inadeguate sia all’abbeveraggio che alla riproduzione degli Anfibi, perdendo completamente il loro ruolo funzionale. In
questo contesto, la Provincia di Rieti, mettendo in atto alcune azioni di
conservazione previste dal Piano di Gestione relativo alla ZPS dei Monti
Reatini ha ultimato i 2 progetti di seguito indicati, destinati a ripristinare
la funzionalità di fontanili e laghetti montani per renderli di nuovo idonei
per l’abbeveraggio del bestiame e, con l’aggiunta di piccoli accorgimenti
tecnici e di migliorarne l’idoneità per l’utilizzo da parte degli Anfibi:
• Interventi Urgenti per la conservazione dei siti Natura 2000 Monti Reatini,
Vallone di Rio Fuggio e Gruppo Monte Terminillo - “Interventi Urgenti
per la Riqualificazione dei Laghetti Montani” e “Interventi Urgenti per la
Riqualificazione Ambientale a tutela della batracofauna”. Docup 2000-2006.
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• Accordo di programma multiregionale in materia di biodiversità (APQ)
nella ZPS “Monti Reatini”, nel SIC“Vallone del Rio Fuggio”, nel SIC “Gruppo Monte Terminillo” e nel SIC “Valle Avanzana - Fuscello”; interventi di
riqualificazione ambientale a tutela della batracofauna.
Sotto la cresta Sassetelli si trova la sorgente più alta di tutti i
Monti Reatini, si tratta del fontanile di Acquasanta che nella
foto si trova nella radura tra i due lembi di faggeta.
Le opere realizzate sono finalizzate al mantenimento in buono stato di
conservazione e alla ristrutturazione dei fontanili montani presenti nel
comprensorio dei Monti Reatini, per preservarli dal naturale degrado e
ripristinarne la totale funzionalità.
Il progetto ha apportato migliorie ecologiche e funzionali mediante:
• interventi per il miglioramento della capacità idrica dei fontanili (risistemazione delle opere di presa e delle tubature, impermeabilizzazione interna delle vasche);
• interventi sulle strutture murarie danneggiate (rimozioni di vasche dirute
o crollate e di vasche non idonee, ripresa di pareti in cemento armato);
• interventi per permettere la fruizione delle strutture da parte dell’erpetofauna (creazione di piccole zone umide recintate a valle dei fontanili stessi
e di rampe di risalita interne alle vasche);
• interventi di miglioramento della naturalità complessiva dei siti (risistemazione della pavimentazione perimetrale, copertura in pietra locale
dell’esterno delle vasche e delle spallette, consolidamento di argini tramite
viminate);
• monitoraggio dell’habitat e delle specie.
Il progetto nel suo complesso ha agito nel pieno rispetto delle caratteristiche naturali del contesto territoriale in cui si inserivano i singoli interventi
e utilizzando materiali locali. Si è operato secondo criteri che hanno tenuto in considerazione la biologia delle specie di Anfibi presenti o potenzialmente presenti nella zona.
La direzione lavori si è avvalsa del supporto di un erpetologo al fine di
evitare qualsiasi danneggiamento o disturbo alle specie di Anfibi presenti
nell’area durante i lavori di ripristino.
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ANFIBI URODELI
GLI ANFIBI PRESENTI NEL COMPRENSORIO
DEI LAGHETTI E DEI FONTANILI RIPRISTINATI
di Enrico Calvario e Silvia Sebasti
S
ulla base delle segnalazioni bibliografiche disponibili e delle presenze accertate durante il procedere dei lavori dei progetti, le specie di
Anfibi che frequentano o possono potenzialmente frequentare i fontanili e i laghetti dei Monti Reatini sono le seguenti:
- URODELI
• Salamandrina dagli occhiali Salamandrina perspicillata (Savi, 1821)*
• Tritone crestato italiano Triturus carnifex (Laurenti, 1768)
- ANURI
• Ululone dal ventre giallo appenninico Bombina pachypus (Bonaparte,
1838)
• Rospo comune Bufo bufo (Linnaeus, 1758)
• Rane verdi Pelophylax bergeri Günther, 1985 e Pelophylax kl. hispanica
Bonaparte, 1839
• Rana appenninica Rana italica Doubois, 1987
Salamandrina dagli occhiali
Salamandrina perspicillata
(Savi, 1821)*
Tritone crestato italiano
Triturus carnifex
(Laurenti, 1768)
Riportiamo di seguito qualche cenno sulla biologia di questo gruppo animale con l’obiettivo di contribuire a farne meglio comprendere le esigenze ecologiche. Di origine greca, la parola “Anfibio” significa letteralmente
“doppia vita”. Il ciclo vitale degli Anfibi è infatti solo parzialmente adattato alla vita nell’ambiente subaereo; la dipendenza dall’acqua rimane più o
meno marcata per la riproduzione, per lo sviluppo larvale e, in alcuni casi,
anche per la sopravvivenza degli stessi adulti: in queste specie più nettamente acquatiche infatti la cute, che svolge anche un’importante funzione
respiratoria, è ricoperta solo da un sottile strato corneo, che deve essere
mantenuto umido per evitare la disidratazione.
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ANFIBI ANURI
Ululone dal ventre giallo
appenninico
Bombina pachypus (Bonaparte, 1838)
Rane verdi
Pelophylax bergeri Günther, 1985 e Pelophylax
kl. hispanica Bonaparte,
1839
Rospo comune
Bufo bufo
(Linnaeus, 1758)
Rana appenninica
Rana italica
Doubois, 1987
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Le uova degli Anfibi possono essere deposte:
- in grosse masse globulari flottanti sulla superficie dell’acqua o sul fondo (rane rosse e rane verdi),
- in cordoni, in piccoli gruppi o anche singolarmente adesi alla vegetazione acquatica, alle pareti dei pozzi o dei fontanili, a sassi (Ululone appenninico, Rospo comune, Salamandrina dagli
occhiali).
- singolarmente chiuse in foglie di vegetazione
acquatica (tritoni).
Dopo la schiusa, le larve hanno bisogno, a seconda della specie, della tipologia di raccolta d’acqua
e delle condizioni atmosferiche stagionali, di un
periodo di tempo abbastanza lungo (cfr. tabella 1)
per raggiungere la metamorfosi (per metamorfosi
si intende il processo graduale attraverso il quale,
sotto il controllo degli ormoni tiroidei, le larve si
trasformano in individui adulti).
Negli Anfibi Urodeli (salamandrine e tritoni)
sono presenti casi di “neotenia”, in cui gli individui mantengono la morfologia larvale (e continuano quindi a respirare in acqua attraverso le
branchie) ma sono in grado di riprodursi come
adulti veri e propri. In questi casi, il prolungarsi
dello stadio larvale consente alle specie neoteniche di raggiungere dimensioni corporee maggiori e di sfruttare meglio l’ambiente acquatico,
almeno finché le condizioni ambientali rimangono favorevoli. In caso di presenza di individui neotenici, che non possono sopravvivere
fuori dall’acqua, è necessario porre particolare
attenzione durante eventuali lavori di restauro
a lasciare sempre sufficiente disponibilità idrica
nell’invaso.
Fra le specie sopra elencate, talune (Salamandrina dagli occhiali, Rospo comune, Rana appenninica), una volta raggiunta l’età adulta, sono
svincolate dall’ambiente acquatico e tornano
all’acqua solo nel periodo riproduttivo, a volte
attardandosi anche dopo la riproduzione (Rane
appenninica). L’Ululone appenninico è anch’esso
svincolato dall’ambiente acquatico al di fuori del
periodo riproduttivo, che però può durare diversi mesi (da aprile a ottobre), durante i quali gli
animali permangono in acqua o nelle immediate
vicinanze. I tritoni invece sono gli anfibi che restano maggiormente legati all’ambiente acquatico durante il loro ciclo vitale, permanendo spesso per tutto l’anno, con escursioni terrestri nei
periodi estivi, quando i corpi idrici si possono
prosciugare.
A seconda poi delle caratteristiche climatiche di
ogni area, è possibile che talune specie possano
essere presenti in acqua in stagioni differenti, a
seconda della disponibilità di acqua, come per
esempio la Salamandrina dagli occhiali, che può
riprodursi anche in autunno o in inverno (vedi
Tab. 1).
TABELLA n.1
Periodi di presenza e fasi biologiche delle specie di Anfibi presenti nel comprensorio dei Monti Reatini (secondo Bologna et
al., 2000). I dati sotto riportati sono da intendersi puramente
indicativi perché la fenologia subisce variazioni profonde
a seconda dell’altitudine, dell’esposizione al sole e del clima
dell’anno. La verifica da parte di un erpetologo è sempre auspicabile prima di qualunque intervento sulle raccolte d’acqua.
GEN
FEB
MAR
APR
MAG
GIU
LUG
AGO
SET
OTT
NOV
DIC
Salamandrina
dagli occhiali
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Trirone
crestato italiano
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Rane
verdi
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A
-
Rane
appenninica
A
A, U
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A,U,L
L,N
L,N
N
A
-
-
-
A
Ululone a
ventre giallo
Rospo
comune
LEGENDA: A:Adulti, U:Uova, L:Larve, N:Neometamorfosati
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Abbiamo la Terra non in eredità dai
genitori, ma in affitto dai figli.
Proverbio Indiano
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GLI INTERVENTI PER LA TUTELA E VALORIZAZIONE
DI FONTANILI E LAGHETTI
LEGENDA
Di seguito si riporta una descrizione sintetica dei 2 laghetti e dei 18
fontanili ripristinati a seguito della realizzazione dei progetti, la loro
localizzazione, la potenzialità per le specie di Anfibi di interesse comunitario segnalate nei Siti Natura 2000 interessati. I fontanili e i laghetti
interessati si trovavano, nel complesso, in uno stato di conservazione
mediocre, presentavano alcuni difetti e/o cedimenti strutturali che si
è ritenuto opportuno sistemare prima che ne venisse ulteriormente e
definitivamente pregiudicata l’integrità ecologica. La presenza in quota
di numerose risorgive sui Monti Reatini ha permesso la costruzione di
molti fontanili alcuni dei quali presenti già in epoca medioevale, anche
se la loro diffusione in tutto il territorio risale al “900. Inizialmente
erano costruiti in legno, i trocchi, poi convertiti in pietra quindi in muratura. Dagli anni “80 con l’abbandono progressivo da parte di greggi e più in generale delle attività dell’uomo in montagna hanno perso
di importanza e anno dopo anno si sono deteriorati, talvolta distrutti.
Per questo il progetto di ristrutturazione dei fontanili, funzionale alla
presenza di anfibi si è ampiamente guadagnato il merito di restituirci
anche dei monumenti della vita in montagna. La loro individuazione, avvenuta in collaborazione con i Comuni, si è anche basata sulla
potenzialità della presenza di anfibi segnalate. Tuttavia bisogna considerare, al fine della conservazione di queste specie, che la rete dei
fontanili presenti nei Monti Reatini supera le cento unità e quasi tutti
sono collegati o raggiungibili dalla rete di sentieri del CAI. Il progetto
si è occupato di quei fontanili particolarmente strategici in condizioni
non ottimali sia da un punto di vista strutturale che per la necessaria
funzionalità alla riproduzione degli Anfibi.
LAGHETTI:
1- LAGO DI MONTE TILIA
2- LAGO DELLA CROCE
FONTANILI:
3- FONTE DELLA ROCCA 1200 m.
4- FONTE FORCELLA 1200 m.
5- FONTE MIGLIONICO 1.315 m .
6- FONTE PORCINI 1482 m.
7- FONTE DEL PERO 1300 m.
8- FONTE CASALE D’ANTONI 1264 m.
9- FONTE DEI CAVALLI 1580 m.
10- FONTE PORCINI 1564 m.
11- FONTE DI CAMBIO 1779 m.
12- FONTE PORANA 1372 m.
13- FONTE PACCE-GROTTA 600 m.
14- FONTE DEL FAGGIO 990 m.
15- FONTE TRONCHETTO 1200 m.
16- GALAFONTE 1.153 m.
17- FONTE DEL BOBB0 954 m.
18- FONTE COLLE CROCE TOSTONE 1022 m.
19- FONTE DEL PRATO SANTO 1206 m.
20- FONTE ARACUCCA 1089 m.
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LAGO DEL TILIA 1.600 m
LAGO DELLA CROCE 1.550 m
(Comune di Leonessa)
(Comune di Leonessa)
La riqualificazione del laghetto e dei fontanili presenti su
Monte Tilia (Fonte Forcella e
Fonte della Rocca) risponde
alla strategia di realizzare una
rete di raccolte d’acqua tale da
supportare la diffusione degli individui nel territorio, offrendo loro la possibilità di
raggiungere altre popolazioni
già presenti oppure di rappresentare propaguli potenzialmente capaci di colonizzare
nuovi siti riproduttivi.
Il laghetto della Croce o della Guardia è situato nel mezzo di un pascolo in quota,
circondato da una faggeta.
Come tutti i laghetti montani, è un habitat in rarefazione. L’importanza del recupero di queste tipologie di
raccolte d’acqua, ormai sempre più rare, non è solo fin
lizzata a mantenere siti riproduttivi di Anfibi, ma soprattutto a costituire una riserva idrica utilizzabile in
quota, dalla fauna domestica
e selvatica.
Il sentiero che parte da Leonessa (970 m.) è di facile percorrenza, sale attraversando la
faggeta fino a giungere ai prati
in quota, il lago di Monte Tilia
si trova nel naturale catino formato dai versanti.
Quello che giunge al Colle La
Croce (1.626 m.) e all’ omonimo laghetto, per i Leonessani, è molto più di un sentiero. Infatti rappresenta una
sorta di pellegrinaggio che
ogni anno, in agosto, compiono per onorare il loro patrono, San Giuseppe da Leonessa. Dal laghetto inizia una
lunga dorsale che conduce ai
Monti Catabio e Cambio.
134
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FONTE DELLA ROCCA 1200 m.
FONTE FORCELLA
(Comune di Leonessa)
(Comune di Leonessa)
Proprio per la sua collocazione, all’interno di un matrice forestale ricca di arbusti, il
fontanile costituisce un buon
sito riproduttivo e di rifugio
per gli Anfibi.
Il fontanile insieme al Laghetto del Tilia ed alla Fonte della Rocca forma una rete di raccolte d’aqua. Questo
aspetto insieme alla presenza di vegetazione acquatica
al suo interno e alla vicinanzacon il bosco lo rendono
fortemente idoneo quale sito
riproduttivo per Anfibi.
Il fontanile si incrocia proprio
su un tornante del sentiero
che collega Leonessa (969 m.)
a Monte Tilia (1.775 m.). Vale
la pena percorrere la variante
del sentiero che giunge alla
Rocca di Leonessa, una fortificazione nata nel XIII sec. per
volontà di re Carlo d’Angiò.
Dalla rocca si gode una vista
molto ampia su Leonessa e altopiano.
Il sentiero è lo stesso che parte da Leonessa e attraversa i
prati intorno al laghetto di
Monte Tilia, infatti il fontanile si trova poco più a valle
del lago. Il percorso continua
verso Monte Corno e Collelungo, sullo storico confine
tra Stato della Chiesa e Regno
di Napoli, segnalato dai cippi
di confine, il sentiero scende
alla Forca del Fuscello.
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1551 m.
FONTE MIGLIONICO 1.315 m
FONTE PORCINI 1482 m.
(Comune di Rieti)
(Comune di Borgovelino)
La fonte, situata all’interno di
una faggeta, presenta elevate potenziali biologiche per la
riproduzione degli Anfibi. Lo
stato di degrado in cui versava
però la muratura del fontanile
non consentiva la permanenza di adeguati livelli di acqua
all’interno delle vasche.
Il fontanile, privo di acqua a
causa della perdita dell’impermeabilità dellevasche, si
trovava in forte stato di degrado. La sua collocazione
prossima ad un vasto sistema forestale lo rendeva idoneo quale sito riproduttivo
di Anfibi e quindi meritevole
di ristrutturazione.
Il fontanile Miglionico si trova sull’omonimo fosso e si può
raggiungere su un comodo sentiero che congiunge due delle località più frequentate dei
Monti Reatini, Pian dé Valli e
Pian dé Rosce.
Al fontanile di Monte Porcini si può giungere attraverso
una strada sterrata dalla località Cinque Confini. In inverno quest’area è percorsa
da un’ottima rete di piste per
lo sci di fondo.
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FONTE DEL PERO 1300 m.
FONTE CASALE D’ANTONI 1265 m.
(Comune di Cittaducale)
(Comune di Cittaducale)
Il fontanile denotava segni
di rottura in alcuni punti del
muretto di contenimento, sia
a monte che a valle; ciò avrebbe potuto, nel tempo, pregiudicarne la stabilità e la funzionalità ecologica, quale sito
riproduttivo di Anfibi.
Anche in questo caso il fontanile mostrava segni di cedimento in alcuni punti del
muretto di contenimento con significativa perdita
d’acqua che non lo rendeva
idoneo ad ospitare popolazioni di Anfibi.
Al fontanile di Monte Porcini si può giungere attraverso
una strada dalla località Cinque Confini.
Il fontanile si trova al fianco
dell’omonimo casale. Si raggiunge da Cittaducale attraverso una comoda strada.
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FONTE DEI CAVALLI
(Comune di Posta)
FONTE PORCINI 1564 m.
1580 m.
(Comune di Posta)
Il fontanile, prima dei lavori
completamente dismesso, presentava, per la sua collocazione, caratteristiche idonee alla colonizzazione da parte di
Anfibi. Quest’area è infatti una
delle più interne e intatte dei
Monti Reatini.
Il fontanile, prima del ripristino, non presentava caratteristiche idonee a svolgere
il ruolo di sito riproduttivo
per Anfibi.
Quest’area è una delle più interne e intatte dei Monti Reatini. Si raggiunge attraverso
un sentiero panoramico che
parte dalla Sella di Jaccio Crudele, scende al rifugio Porcini
per poi risalire i costoni di
Valle Scura.
A fianco del fontanile si trova
un rifugio montano un tempo utilizzato dai pastori. Infatti quest’area è stata sempre
frequentata da greggi per la
ricchezza dei pascoli e disponibilità di acqua.
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FONTE DI CAMBIO 1779 m.
FONTE PORANA 1372 m.
(Comune di Leonessa)
(Comune di Leonessa)
Fontanile particolare e suggestivo, formato da una serie
di vasche posizionate all’interno di un vasto sistema forestale. La naturalità dell’area e la presenza di numerosi
nascondigli caratterizza questa raccolta d’acqua, lasciando presupporre una elevata
potenzialità quale sito riproduttivo per Anfibi.
Il fontanile si trova sul versante ovest del Monte di Cambio,
al limite della vegetazione boschiva. Sullo stesso gruppo
montuoso sono presenti ulteriori raccolte d’acqua artificiali.
La più vicina si trova nei pressi
del vicino Rifugio di Vallebona, mentre, sul versante nord
del Monte di Cambio, si trova
la Fonte Porana e, a sud-est, la
Fonte dei Cavalli. Vicino Monte Porcini è inoltre posizionata l’omonima fonte. La strategia di riqualificare un sistema
di punti d’acqua spazialmente tra loro in relazione, tende
a facilitare i contatti riproduttivi tra le popolazioni di Anfibi
presenti sul territorio.
Questa fonte è raggiungibile sia dal paese di Albaneto, per un percorso più lungo, che attraversando i Monti Reatini partendo dalla Sella di Leonessa, salendo su
Monte di Cambio per ridiscendere a Albaneto.
Il fontanile si raggiunge percorrendo uno dei sentieri che
conducono al Monte Cambio. Si trova dopao la faggeta
prima dei pendii che conducono sulla vetta.
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FONTE PACCE-GROTTA 600 m.
FONTE DEL FAGGIO 990 m.
(Comune di Morro Reatino )
(Comune di Morro Reatino )
Il fontanile, composto da 3
vasche e una grotticina artificiale, si trovava in un discreto
stato di conservazione ed ha
necessitato di limitati interventi di ristrutturazione. Presenti Characee e numerose
specie di Invertebrati acquatici: è stata inoltre accertata la
presenza della Salamandrina
dagli occhiali.
Il fontanile, composto da 5
vasche, si trovava in un discreto stato di conservazione e presentava buone potenzialità per gli Anfibi.
Il fontanile si trova in un contesto paesaggestico di grande
bellezza, si può raggiungere
attraverso una strada carrabile dal paese di Morro Reatino.
Dal fontanile è possibile percorrere la valle sia verso Leonessa, attraverso il Passo del
Fuscello, che verso valle raggiungendo il lago di Piediluco.
Questo fontanile si trova
sulla strada provinciale che
collega Morro Reatino a Leonessa. Si raggiunge dalla strada attraverso un facile sentiero.
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FONTE TRONCHETTO 1200 m.
FONTE ARACUCCA 1089 m.
(Comune di Rivodutri )
(Comune di Cantalice )
Il fontanile, composto da 11
vasche, si trovava in un discreto stato di conservazione. L’apporto d’acqua era abbondante
in tutte le vasche anche se era
presente una forte perdita idrica. E’ stata accertata la presenza della Salamandrina dagli
occhiali
Il fontanile, composto da
una lunga vasca, si trovava
in un discreto stato di conservazione ed è stata accertata la presenza della Salamandrina dagli occhiali. Fonte
molto frequentata da bestiame domestico.
L’interessante percorso che
conduce al fontanile parte dal
paese di Rivodutri, la strada
sale alla località il Cepparo,
poi continua verso l’area in
cui si trova il Faggio di San
Francesco.
Il fontanile si trova sulla
strada sterrata che collega
Cantalice al Rifugio Castiglioni.
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GALAFONTE 1.153 m.
FONTE DEL BOBBO 954 m.
(Comune di Poggio Bustone )
(Comune di Poggio Bustone )
Il fontanile, composto da 3 vasche in cemento, si trovava in
cattivo stato di conservazione.
L’apporto d’acqua era scarso e
discontinuo, le vasche presentavano crepe e discontinuità che non permettevano una
costante presenza dell’acqua
all’interno.
Il fontanile, composto da
una sola vasca, si trovava in
un discreto stato di conservazione.
La strada per giungere aquesto fontanile è quella che da
Poggio Bustone conduce quasi in cima a Monte Rosato. Il
fontanile si trova sulla strada.
Questa fonte è raggiungibile
sempre da Poggio Bustone.
Il toponimo “Bobbo” sta a significare spauracchio. Questi nomi erano tipici nelle
aree di confine, come questa
tra Rivodutri e Poggio Bustone.
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FONTE COLLE CROCE TOSTONE 1022 m.
FONTE DEL PRATO SANTO 1206 m.
(Comune di Poggio Bustone)
(Comune di Poggio Bustone)
Il fontanile, composto da 5
vasche in cemento e 1 vasca
finale aggiunta, formata da
una vasca da bagno casalinga
(!), si trovava in uno stato di
conservazione discreto. L’apporto d’acqua era molto abbondante ed era presente un
cospicuo sversamento all’esterno. Un leggero dissesto
del terreno a monte causava
inoltre ingresso di terriccio e
fango all’interno delle vasche.
Il fontanile è composto da 3
vasche di cui la finale era completamente diruta. Buona la
potenzialità per gli Anfibi.
Questo itinerario può avere il
suo inizio dal santuario francescano di Poggio Bustone, da
dove una strada sterrata risale
e attraversa la Valle Petrinara
fino a giungere in un pianoro dove si trova il fontanile.
Anche da qui vi sono ottimi
panorami sia sulla pianura reatina che verso il Terminillo.
Per raggiungerlo si percorre
la strada sterrata che sale su
Monte Rosato fino a giungere
ai Prati di San Giacomo. Da
qui si osserva uno dei panorami più suggestivi sulla pianura reatina. Quest’area è anche frequentata come base di
lancio per deltaplani e parapendio.
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La cultura della montagna
di Giancarlo Cammerini
C
hi è stato il primo uomo a salire sul Terminillo, cima più alta dei
Monti Reatini? La prima ascesa documentata risale al 1818, protagonista un botanico danese. Ma se pensiamo che la vetta del Gran
Sasso – la più alpina di tutte le vette appenniniche – sia stata scalata nel
1573, è facile supporre che i prati erbosi di Terminilletto e poi le rocce di
Sassetelli siano stati scalati molti anni o secoli prima.
La scomparsa dei
montanari ha portato
via tremila anni di storia,
ovvero da quando l’uomo
inizio a valicare queste
valli con greggi e mandrie.
Forse a salire per primo è stato un uomo delle popolazioni sabine che, nel
celebrare il rito della primavera sacra, offrendo sacrifici agli déi, ha pensato di violare la loro casa giungendo fino in cima. O forse è stato qualche
uomo delle legioni romane, dopo aver disboscato i pendii boscosi, o qualche pellegrino medievale che nell’intento di trovare spiritualità, espiazione
ha voluto toccare la vetta per sentirsi redento; o magari qualche viaggiatore rinascimentale desideroso di ammirare la bellezza del panorama nella
sua massima ampiezza.
A me piace credere che sia stato un semplice montanaro, di qualche epoca
passata – non è importante quale – a valicare uno dei tanti passi che conducono alla vetta del Terminillo e che abbia avuto, per scelta o per destino,
la volontà di salire fino in cima; e vista la consuetudine di questi uomini
nel valicare i passi e attraversare valli, può anche darsi che non gli abbia
dato nemmeno importanza. Del resto, quello che noi chiamiamo escursionismo, per loro era soltanto la vita quotidiana. In questa, come in altre
pubblicazioni, con dovizia di particolari, si cerca di fare una descrizione
delle valli e delle cime dei nostri monti, descrizioni che non sarebbero servite ai montanari di allora, perché la montagna era il loro luogo nativo,
dove vivere e lavorare.
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Così se ci si domanda a chi appartiene la cultura delle montagne reatine, la
risposta è semplice: senza dubbio alla gente che nei secoli ha popolato la corona di paesi che circonda i monti reatini. Gioielli che al viaggiatore restituiscono la lentezza e la saggezza della cultura della montagna, di quel modus
vivendi che fino agli anni Sessanta ancora sussisteva incontrastato le valli e i
boschi di questi monti.
Fin dall’età del bronzo sono state rilevate tracce dell’uomo, almeno sulle pendici della montagna. Con il passare del tempo la presenza umana è aumentata, grazie alla romanizzazione della Sabina ad esempio, ma è con l’incastellamento medioevale che si evolve in una vera e propria occupazione di tutti i
versanti dei Monti Reatini, le cui vestigia è possibile vedere ancora oggi. Dai
paesi pedemontani, ci si spostava in alto con eremi, chiesette, stazzi, terrazzamenti, roccaforti, vedette e si attraversavano valichi fino ai 1900 metri, la
presenza umana era paradossalmente più viva allora di quella di oggi.
Poi, nel Settecento inizia una nuova frequentazione, c’è il Gran Tour, i rampolli delle nobili famiglie viaggiano cercando le bellezze artistiche ma anche
avventure tra le montagne appenniniche. I Monti Reatini rimanevano fuori
dai grandi circuiti più famosi, tuttavia anche qui giungono le pulsioni del romanticismo che vede nei paesaggi montani un’inesauribile fonte d’ispirazione, portò tra queste montagne viaggiatori, artisti, letterati e scienziati.
Una delle figure che ci ha lasciato, con i suoi disegni e scritti, una testimonianza preziosa del tempo è l’inglese Edward Lear, fa un bellissimo racconto di queste montagne le descrive impervie, però guardandole da lontano,
senza addentrarsi, altrimenti avrebbe scoperto che sui passi, nelle valli era
un pullulare di attività e quei luoghi erano molto familiari alle popolazioni
dei paesi pedemontani. Invece un uomo che farà una conoscenza più approfondita, e giungendo sino alla vetta più alta è il naturalista olandese Joakim
Frederik Schouw, un autorevole botanico che farà una ricognizione naturalistica dell’area, di fatto iniziando l’esplorazione naturalistica dei Monti Reatini. Nell’Ottocento e poi in maniera più decisa nel Novecento inizia una
frequentazione della montagna completamente slegata dalle esigenze ma156
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teriali, la montagna diviene luogo di ardimento, di svago, di studio e di
contemplazione, inizia l’epoca delle salite alpinistiche, una forma di conoscenza e di cultura dello stare in montagna incomprensibile per chi viveva
di montagna. Per i montanari era già talmente dura la vita che non vi era
motivazione di prendere altri rischi e fatiche, tuttavia i più validi e intraprendenti trasformarono in un lavoro extra quello di fare da guida a chi
veniva dalla città offrendogli riparo, cibo e indicazioni per esplorare quelle
valli e crinali che loro già conoscevano bene. Nel paese di Lisciano, la guida Giuseppe Munalli era una delle più rinomate. Questa attrazione per le
vette e la voglia di conquista provenivano da chi le montagne le guardava
da lontano, come sfida, gioco, rigenerazione per la stanca routine della città, certamente un altro percorso culturale. (R. Marinelli, Terminillo. Storia
di una montagna, cit.).
Dal dopoguerra inzia un rapporto con la montagna sempre più funzionale al divertimento, inizia il turismo di massa. La montagna viene spogliata
dei molti valori culturali e ambientali e viene allegerita la sua severità semplicemente ricostruendo un parco giochi cittadino sulla neve. Tutto inizia
con una gita di Benito Mussolini che, aiutato dai valligiani, a dorso di mulo, giunse fino all’attuale Pian de Valli. Era il 22 gennaio 1933, una salita invernale che cambiò la storia del Terminillo. Il Duce alla fine dell’escursione
pronunciò la famosa frase: “La prossima volta tornerò in automobile”.
Da quel momento nascono i progetti di urbanizzazione del Terminillo; i
reatini si sforzano di dare un nuovo volto alla montagna, di farla conoscere
a coloro che avrebbero talmente fuorviato la cultura di quei luoghi da farla
chiamare “Montagna di Roma”. Di seguito, la costruzione di alberghi e piste
da sci ha dato il via al turismo, prima borghese, poi di massa della Capitale.
Probabilmente la montagna non è dei Romani ed è poco dei Reatini, da
sempre legati più alla nebbiosa pianura che alle cime assolate del Terminillo. Per questo hanno imparato a conoscere questa montagna insieme ai
turisti romani e riconducono la sua storia principalmente agli eventi che
hanno portato alla costituzione della stazione sciistica e al conseguente svi158
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luppo; a quei processi cioè che hanno definitivamente portato all’emarginazione delle genti di montagna e della loro cultura. Certo, anche a Rieti si formò un gruppo di forti scalatori del CAI che nel corso degli anni sono stati
protagonisti della storia dell’alpinismo locale.
Tuttavia, ancora oggi si tende a concepire lo spazio montano come un luogo
privo di storia naturale e umana, a uso di un popolo di pendolari provenienti
dalla città. Questi però ignorano i sentieri che attraversavano le valli, gli antichi ripari e la lentezza di una vita certamente più dura, ma soprattutto non
comprendono la natura e il valore scientifico e culturale che essa contiene.
Eppure il matrimonio tra uomo e montagna in tutte le culture ha rappresentato un elemento costante e vivo. Fin dall’antichità, con la loro bellezza, le
montagne hanno conquistato artisti, filosofi e mistici, diventando simbolo di
ascesi in senso fisico, morale e spirituale. Certo, anche altri ambienti offrono scenari “fantastici”, come i mari, le foreste, le pianure e i deserti che sono
uno spettacolo della natura. Come dice Dino Buzzati: La montagna ha due
dimensioni eccezionali, la ripidezza e l’immobilità: la prima moltiplica la sensazione di lontananza e accresce il senso del mistero; la seconda crea una fatale
tendenza dell’uomo a uno stato di tranquillità.
Tuttavia l’idea dell’ascesa-ascesi, della montagna come dimora degli dèi celesti o luogo eletto per l’iniziazione al mistero divino, della congiunzione terracielo nella sublimità delle altezze, è costante in tutte le culture. È il Sinai di
Mosè e, nel Nuovo Testamento, il Monte degli Olivi e il Golgota. Ma è anche
l’Olimpo dei Greci, nella tradizione Indù, il monte Meru nella catena dell’Himalaya, è il luogo dove Shiva medita e si realizza spiritualmente; gli antichi
ariani dell’India non avevano templi, era sulle cime dei monti che compivano
i loro rituali. Nelle più antiche tradizioni elleniche, l’eroe sparisce tra le cime
delle montagne; in quelle buddhiste si parla di una montagna, dove scompaiono gli uomini giunti al risveglio spirituale; in quelle taoiste c’è l’immagine del
monte Kuen-Lun, dove esseri regali bevono la bevanda dell’immortalità. Nelle
civiltà precolombiane, gli imperatori, sacralizzati, si occultavano sui monti dopo la morte che, anche qui, non è vista come dissoluzione ma come apertura
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verso l’aldilà. La montagna, che si configura come luogo di ascesa spirituale
ma anche arena di azione e ardimento (l’uomo che si arrampica), secondo il
filosofo René Dumal mette in opera una sorta di metafisica pratica, l’ascensione: quando diviene ascesi affranca i muscoli dalla fatica e si giunge alla
conquista contemplativa della vetta e di se stessi.
Nel XII secolo San Bonaventura, autore di un Itinerarium mentis in Deum,
notava Ascender in montem, id est in eminentiam mentis. Salire dunque voleva dire saggiare il corpo e lo spirito. Anche Dante dopo essersi tuffato
nell’abisso infernale per conoscere il male e superarlo, opera la propria purificazione salendo, di grado in grado, su per il monte Purgatorio, verso il
Paradiso terrestre che gli schiuderà la vista dei cieli; anch’egli cresce in salita, libero e leggero, tanto da avvertire sempre meno il fardello del proprio
corpo. La montagna è il passaggio verso l’alto, della rilevazione e del dono:
sopra Poggio Bustone, San Francesco riceve da Dio conferme della propria
conversione, come Petrarca giungerà al momento risolutivo della propria
crisi spirituale ascendendo al monte Ventoso, in Provenza. Lo sguardo diviene puro di fronte al paesaggio montano, corre libero dalle stagnazioni e incrostazioni che la pianura ha creato. Il Discorso della Montagna, il
sermone rivolto da Gesù ai suoi discepoli, riportato nel Vangelo secondo
Matteo 5,1-7,28 è uno dei messaggi più forti del Cristianesimo.
Nel libro, Il Monte Analogo di Daumal, la montagna ha una cima inaccessibile ma una base accessibile. Questo incontro tra azione e contemplazione è uno dei principi guida di uno dei più grandi alpinisti, l’italiano Walter
Bonatti. Recentemente scomparso, faceva la cronaca delle sue prodigiose
scalate descrivendo la sintesi tra sforzo fisico e tensione morale, un infinito che è dentro e che utilizza le vette e l’ascesa per venire a galla. Sempre
Daumal scriveva: Non si può restare sempre sulle vette, bisogna ridiscendere... A che pro, allora? Ecco: l’alto conosce il basso, il basso non conosce l’alto:
salendo, devi prendere nota delle difficoltà del tuo cammino; finché sali, puoi
vederle. Nella discesa, non le vedrai più, ma saprai che ci sono, se le avrai
osservate bene. Si sale, si vede. Si ridiscende, non si vede più; ma si è visto.
Esiste un’arte di dirigersi nelle regioni basse per mezzo del ricordo di quello
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che si è visto quando si era più in alto. Quando non è più possibile vedere, almeno è possibile sapere.
Questa filosofia della montagna, forse si sposa più con una visione cittadina,
meno con il duro lavoro del montanaro, tuttavia ci lascia una metafora molto
efficace della vita e un aspetto della cultura alpinistica molto profondo.
Tuttavia se la montagna è un Pantheon di miti e simboli arcaici, oggi questi
simboli possono vivere anche attraverso la Natura, la montagna non solo come ascesa-ascesi ma anche come giardino dell’Eden popolato da migliaia di
specie animali e vegetali. Anche qui la visione di una natura incontaminata
da ammirare e tutelare spesso si è scontrata con la lotta che il montanaro ha
sostenuto per proteggere i suoi greggi dai lupi: celebri i Lupari di Leonessa,
che della caccia al famoso mammifero ne fecero una professione. Una lotta che spesso si è trasformata in un abbraccio, perché non si può non amare
l’ambiente in cui si nasce e si vive. La millenaria cultura della montagna ha
interpretato la difficile sfida del vivere in un ambiente tanto magnifico quanto severo, elaborando soluzioni di equilibrio tra le proprie esigenze e il mantenimento di quelle condizioni, senza di cui la vita stessa sarebbe diventata
precaria, mediante una cura paziente, tenace e normalmente lungimirante
che le ha consentito stabilità e perduranza fino a poche generazioni fa.
Oggi questo mondo è quasi scomparso, come stanno scomparendo molte
specie animali; la perdita di una cultura o di una forma vivente ci fa sempre
sentire tutti più poveri. Per questo i Monti Reatini oggi sentono il bisogno
di valori prima che di opere: non si tratta di recuperare la figura mitica del
montanaro o del buon selvaggio, ma di costruire una cultura della montagna
che abbia come fulcro la storia umana e la biodiversità, perché se riportare
indietro la storia non è possibile, tutelare l’ambiente sì, cercando di coglierne
non solo l’evidente valore scientifico, ma anche quello culturale. Infine, può
esserci una sintonia, culturale, tra le esigenze degli uomini di oggi e “loro”,
gli uomini delle montagne che mossero i primi passi attraversando queste
catene montuose per andare a caccia, per guidare gli armenti, per prendere
il ghiaccio o più semplicemente per soddisfare quell’insopprimibile esigenza
di cercare, attraverso la montagna, l’armonia della vita.
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Abbiamo la Terra non in eredità dai genitori,
ma in affitto dai figli.
Proverbio Indiano
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APPENDICE
BUONE PRATICHE E GESTIONE DEI FONTANILI
di Enrico Calvario e Silvia Sebasti
Normativa di riferimento sulla tutela degli Anfibi.
Alcune specie di Anfibi presenti nel Reatino (Salamandrina perspicillata, Triturus carnifex, Bombina pachypus, Rana dalmatina, Rana italica) sono incluse nell’Allegato IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE come “specie animali e vegetali di
interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa”. Bombina pachypus, Salamandrina perspicillata e Triturus
carnifex sono inclusi anche nell’Allegato II della stessa Direttiva, come “specie animali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di Zone Speciali di Conservazione. La Direttiva sancisce che: “Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari atti ad istituire un regime di rigorosa tutela delle specie animali di cui all’allegato IV, lettera
a), nella loro area di ripartizione naturale, con il divieto di:
Nel Lazio, in particolar modo sulla dorsale appenninica e antiappenninica, è particolarmente importante sostenere con ogni mezzo possibile le
attività di pascolo, oltre che per il profondo e radicato significato socioeconomico che rivestono e per le economie che possono indurre, anche in
quanto esse contribuiscono in modo diretto e significativo a contrastare
il fenomeno della chiusura delle aree aperte e delle radure così importanti
per il mantenimento di importanti elementi di biodiversità.
In tale contesto e soprattutto se ci si trova in zone carsiche con limitata disponibilità di risorse idriche superficiali, i fontanili, le pozze e le cisterne
per la raccolta dell’acqua piovana, rappresentano manufatti insostituibili
necessari per l’abbeveraggio ed il ristoro del bestiame allevato. Essi inoltre rappresentano spesso una valida ed efficiente alternativa agli ambienti
umidi naturali (sempre più rari) anche per la riproduzione, l’alimentazione e lo svernamento di diverse specie di Anfibi.
a) qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata di esemplari di tali specie nell’ambiente naturale;
b) perturbare deliberatamente tali specie, segnatamente durante il periodo di riproduzione, di allevamento, di ibernazione
e di migrazione;
c) distruggere o raccogliere deliberatamente le uova nell’ambiente naturale;
d) deterioramento o distruzione dei siti di riproduzione o delle aree di riposo.”
Hyla intermedia e Rana dalmatina sono anche segnalate come specie “vulnerabili” sia nella Lista Rossa degli Anfibi e dei
Rettili del Lazio (Bologna et al., 2000) sia nel “Libro Rosso degli animali d’Italia” (Bulgarini et al., 1998). Tre specie figurano
inoltre nell’Annesso II della Convenzione di Berna: Triturus carnifex, Hyla intermedia e Rana dalmatina.
Nella Regione Lazio tutte le specie di Anfibi, escluse le “rane verdi” (P. bergeri/hispanica), Rana temporaria e Ichthyosaura
alpestris, sono protette dalla L.R. 18, 5/IV/1988 “Tutela della fauna minore”, che vieta:
a) qualsiasi forma di cattura, di detenzione e di uccisione;
b) il deterioramento o la distruzione dei siti di riproduzione e di riposo;
c) il molestare la fauna selvatica minore, specie nel periodo della riproduzione, dell’allevamento e dell’ibernazione, nella
misura in cui tali molestie siano significative in relazione al raggiungimento delle finalità di cui al precedente articolo 1;
d) la distruzione o la raccolta di uova dell’ ambiente naturale o la loro detenzione quand’anche vuote;
e) la detenzione, il trasporto ed il commercio di tali animali, vivi o morti, come pure imbalsamati, nonché di parti o prodotti facilmente identificabili ottenuti dall’animale, nella misura in cui ciò contribuisce a dare efficacia alle disposizioni del
presente articolo.”
Il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle raccolte d’acqua naturali e artificiali appare perciò di fondamentale importanza
sia per soddisfare le esigenze di abbeveraggio e ristoro per il bestiame
domestico sia per la conservazione degli Anfibi. Occorre quindi trovare
un necessario punto di equilibrio affinché le necessarie azioni di manutenzione di tali raccolte d’acqua (pulizia delle vasche, lavori di restauro)
vengano condotte con modalità tali da garantirne la piena funzionalità
per entrambe le componenti (bestiame ed anfibi) ed in modo da non causare danni diretti agli Anfibi che, lo ricordiamo, sono anche protetti da
specifiche norme di tutela sia di carattere comunitario che regionale.
Per la conservazione di queste specie è fondamentale quindi la gestione appropriata delle raccolte d’acqua ristrutturate.
Alcune di queste, principalmente quelle artificiali, assolvendo alla funzione di abbeveraggio del bestiame al pascolo, hanno
bisogno di manutenzione regolare, non solo strutturale ma anche per ciò che concerne la pulizia interna.
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Indicazioni sui criteri progettuali da seguire nella ristrutturazione dei fontanili
e suggerimenti per la loro manutenzione e gestione
Il fontanile dei Cavalli, posto in un’area di particolare pregio naturalistico è stato il fontanile che ha richiesto più lavoro sia nella ristrutturazione che per la collocazione difficilmente raggiungibile.
Di seguito si riportano gli aspetti salienti su cui porre l’attenzione per far sì che le raccolte ristrutturate assolvano alla funzione di sito riproduttivo
per Anfibi e di punto di abbeveraggio per il bestiame.
1) MANTENIMENTO DEI MANUFATTI
I manufatti esistenti che versano in buone condizioni strutturali e funzionali vanno preservati dal naturale degrado e da ulteriori ed accidentali
ammaloramenti controllando periodicamente che:
- non vi siano captazioni che alterino significativamente il livello dell’acqua nella vasca,
- l’afflusso idrico sia garantito, monitorando eventuali ostruzioni alla sorgente, nei tubi di afflusso e/o nelle canaline di adduzione,
- il pietrame (o altro materiale) che costituisce le pareti sia integro e non vi siano consistenti perdite d’acqua,
- funzioni un sistema di “troppo pieno” verso una piccola zona umida,
In siti ricadenti su sentieristica è possibile prevedere l’istallazione di cartellonistica informativa per la divulgazione di tematiche relative alla
conservazione degli habitat e delle specie.
2) OPERE DI RESTAURO DEI MANUFATTI
Nella realizzazione delle vasche di raccolta delle acque si dovranno tenere in conto i criteri che prendano in considerazione la biologia delle specie di Anfibi (Scoccianti, 2001; Carpaneto et al., 2004), utilizzando materiali che permettano la fruizione del fontanile da parte dell’erpetofauna
(principalmente pietra), assicurandosi che le superfici esterne abbiano una scabrosità idonea all’accesso e quelle interne siano adeguate all’ovodeposizione (ovvero non siano cementate e presentino uno strato adeso di vegetazione acquatica spontanea).
Come nel caso precedente, qualora l’opera di restauro interessi fontanili/pozzi adiacenti a sentieristica, è possibile prevedere l’istallazione di cartellonistica informativa.
3) COSTRUZIONE DI STRUTTURE ATTE A MIGLIORARE LA FUNZIONALITÀ DELLE RACCOLTE D’ACQUA COME SITI DI RIPRODUZIONE PER GLI ANFIBI
• a. Rampe di risalita
In alcune condizioni (ad es. repentino abbassamento del livello delle acque) i fontanili possono costituire vere e proprie “trappole ecologiche” per
Anfibi e per altre specie animali (Scoccianti, 2001).
Una semplice quanto efficace “rampa di risalita” potrà essere costruita, anche a fontanile funzionante, mediante una lastra in pietra ancorata sul
bordo, larga circa 20 cm e inclinata di 45°.
In alternativa, qualora si stia lavorando in un fontanile asciutto, la rampa può essere costruita anche mediante pietrame posto direttamente nella
vasca, eventualmente stabilizzato con malta per rendere più solida la struttura.
Per evitare che manufatti di tipologia differente dal fontanile (pozzi o cisterne) si trasformino in trappole ecologiche è possibile prevedere misure
di salvaguardia quali la copertura dell’imbocco con una grata metallica a maglie sottili (ø < 1 cm) o la realizzazione di una rampa di risalita a
gradoni lungo la parete interna del pozzo stesso.
• b. Zone umide derivanti da “troppo pieno”
Nell’area circostante i fontanili, antistante o laterale, nei casi in cui l’intervento sia ritenuto attuabile, si dovrà prevedere il mantenimento o il ripristino di una piccola zona umida idonea alla riproduzione di specie quali l’Ululone dal ventre giallo. La piccola zona umida potrà essere realizzata
in un’area depressa mediante un piccolo canaletto per il deflusso delle acque del “troppo pieno” provenienti dal fontanile stesso. È importante che
tale zona umida sia collocata in una zona franca dal calpestio o dal transito del bestiame; in tal senso si suggerisce, quale intervento migliorativo,
la sua recinzione con una staccionata in legno (vedi punto successivo).
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Fonte di Pacce, si trova nella Valle Avanzana, a lato un
particolare costruttivo della rampa di risalita, per
permettere agli Anfibi di uscire dal fontanile,
anche con livelli idrici molto bassi.
• c. Recinzioni
Per preservare la zona umida derivante dal troppo pieno dal calpestio di bestiame domestico o da altri ungulati selvatici è opportuna una recinzione in legno (staccionata) dell’area umida. Tale recizione dovrà essere realizzata in legname locale, resistente e alta almeno 1,50 m.
In alcuni casi, qualora il fontanile non sia utilizzato dal bestiame, è consigliabile apporre una recinzione attorno alla vasca, in modo da evidenziare
che l’area è sottoposta a manutenzione e tutela.
• d. Fasce di rispetto e creazione di microrifugi
In previsione di una corretta ripresa dell’attività riproduttiva da parte della comunità di Anfibi, è utile ricordare che questi necessitano non solo
di un habitat acquatico (nel quale svolgono la fase trofica e riproduttiva) ma anche di un habitat terrestre dove adulti, giovani e metamorfosati
possono trovare rifugio durante le fasi di prosciugamento degli invasi. Per aumentare l’idoneità della raccolta d’acqua per scopi riproduttivi è
bene prevedere una fascia di rispetto intorno al bacino, intesa come una zona lasciata libera di evolvere in modo spontaneo o parzialmente gestita
secondo criteri coerenti con la conservazione delle specie animali e degli habitat. Per gli anfibi si dovrebbe prevedere una zona larga almeno 20
metri (Scoccianti, 2001). Inoltre, qualora l’area ne sia sprovvista, è utile realizzare nelle immediate vicinanze della raccolta d’acqua un’opera che
comprenda dei microrifugi per anfibi, ad es. cataste di legna, vecchie ceppaie estirpate, piccoli tratti di muretto a secco, di dimensioni minime 5 x
2 metri (altezza 1 metro). Il legno deve essere lasciato allo stato naturale e non deve essere stato precedentemente trattato. I rifugi devono essere
esposti al sole, riparati dai venti ed elevati quanto basta perché non siano soggetti ad allagamento.
4) TEMPI E MODALITÀ DI PULIZIA DI FONTANILI E POZZI
• a. Periodo per la pulizia
La pulizia deve essere effettuata nei mesi autunnali (fine ottobre-novembre). Si ritiene comunque sempre opportuno verificare l’effettiva assenza
di anfibi: nel caso siano ancora presenti stadi larvali o adulti la pulizia deve essere rimandata di qualche settimana.
• b. Modalità di pulizia:
- le operazioni devono avvenire manualmente e non con mezzi meccanici;
- non è consentito l’utilizzo di sostanze chimiche erbicide, corrosive o tossiche (inclusi candeggina e acidi), ricordiamoci che tali sostanze sono
nocive anche per il bestiame domestico;
- solo la vegetazione in eccesso deve essere rimossa, è opportuno infatti lasciarne una parte che costituirà la base della ricrescita primaverile e il
nascondiglio per gli esemplari che rimangono nella raccolta d’acqua; la rimozione non deve avvenire mediante raschiatura delle pareti;
- si raccomanda di lasciare a lato dell’invaso il materiale asportato, in modo che eventuali individui, prelevati accidentalmente assieme alla vegetazione o al fango, possano uscire indenni e tornare nella zona umida.
- è opportuno lasciare, durante le operazioni di pulizia, uno strato di almeno 10 cm di acqua sul fondo del fontanile; il rispetto di questa regola è
fondamentale in quanto la mancanza d’acqua potrebbe lasciare all’asciutto le uova e/o le larve eventualmente presenti,condizionandone irreversibilmente la schiusa e lo sviluppo.
5) NORME DI BUON SENSO
• a. È vietata l’introduzione di ittiofauna e di altre specie di animali acquatici
Alcune specie esotiche di Invertebrati (Gamberi di fiume americano e turco), di Anfibi (Rana toro), nonché numerose specie autoctone ed esotiche di Pesci sono potenziali predatori e competitori per le risorse trofiche per gli Anfibi. La loro introduzione va evitata al fine di non arrecare
disturbo alle popolazioni locali (SHI, 2007).
• b. Si sconsiglia il lavaggio di stoviglie, biancheria, automezzi ed il risciacquo di utensili da lavoro che possono compromettere la qualità delle
acque con seri danni al bestiame domestico ed agli Anfibi. Si sconsigliano fortemente tutte quelle attività che possono determinare lo sversamento di detersivi, olii, solventi, vernici, polveri e altre sostanze inquinanti che possono alterare l’habitat acquatico con conseguenze anche letali per
il bestiame domestico e la fauna selvatica.
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Italiano percorre la gran
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Marzo 2012
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