Monachesimo a Capraia nell’Alto Medioevo
Il monachesimo cristiano si sviluppò tra il III e il IV secolo d.C. in Egitto e poi si diffuse in
tutto il Medio Oriente. Le sue prime esperienze sono di tipo anacoretico (uomini che
vivevano in completa solitudine nei deserti come Sant’Antonio la cui vita fu narrata da
Atanasio) ma, quasi contemporaneamente si sviluppò anche l’esperienza cenobitica
che ebbe il suo capostipite in Pacomio. Questi nel 320 fondò a Tabennesi nell’Alto
Egitto, il primo cenobio, cioè una comunità alloggiata in uno spazio recintato,
assoggettata a un regime di preghiera e di lavoro, sottoposta ad un superiore. Requisiti
irrinunciabili per l’appartenenza alla comunità pacomiana erano la povertà del singolo, e
dunque la rinunzia ad ogni bene personale, e l’obbedienza al superiore. I cenobiti
vivevano solitari ciascuno nella propria abitazione, e si riunivano solo per i pasti e per la
preghiera in comune. Notizie di queste esperienze furono portate in occidente da
Atanasio nel 340 durante il suo esilio in Italia e dai pellegrini che visitavano la Terra
Santa. Nella seconda metà del IV secolo sorsero, in Italia e in Francia ( nell’isola di
Gallinara, lungo la costa ligure e in Aquitania ) diversi cenobi che probabilmente
seguivano la regola di Pacomio.1
Le isole dell’Arcipelago Toscano – Elba, Capraia, Gorgona, Montecristo, che a quel
tempo erano poco abitate e quindi ideali per assicurare ai monaci l’esercizio delle loro
pratiche religiose, divennero sede di cenobi.
La prima testimonianza sulla presenza di monaci nelle isole dell’Arcipelago Toscano
riguarda i monaci della Capraia dei quali parla Orosio quando racconta le vicende di
Gildone e Mascezel nel 398 d.C.. In quell’anno il generale Gildone, al quale nel 393
l’imperatore Teodosio aveva concesso enormi poteri in Africa, avendo saputo della
morte dell’imperatore, si ribellò al suo successore Onorio, imperatore d’occidente.
Mascezel, fratello di Gildone e buon cristiano, spaventato dalle trame del fratello scappò
in Italia presso la corte imperiale, lasciando in Africa i suoi due figli che furono uccisi da
Gildone. Nella primavera del 398 a Mascezel fu affidato un esercito per combattere il
fratello Gildone. Partito da Pisa e giunto nei pressi di Capraia scese a terra e prese con
se alcuni monaci che lo seguirono commossi dalle sue preghiere. Per diversi giorni e
notti, Mascezel e i monaci, pregarono e salmodiarono senza cibarsi. Arrivato in Africa
presso il fiume Ardalione, Mascezel, dopo una notte trascorsa a vegliare tra preghiere
ed inni, anche se in inferiorità numerica, sconfisse il fratello Gildone, che si diede alla
fuga ma, fu poi catturato e strangolato.
Dobbiamo assumere che i dettagli di questo episodio siano veritieri in quanto Orosio
ebbe modo di raccogliere notizie di prima mano durante il suo soggiorno in Africa, dove
1
S. Pricoco, Il monachesimo, Bari 2003, pp. 7-14.
tra il 415 e il 417 d.C., per incarico di Sant’Agostino, scrisse la sua opera più famosa Le
storie contro i pagani. 2
Sempre intorno allo stesso anno, Sant’Agostino ricevette, nella sua sede vescovile di
Ippona, la visita dei monaci Eustazio ed Andrea che venivano da Capraia e gli
portavano notizie di Eudossio, abate dei monaci dell’isola. A lui Sant’Agostino scrisse
una lettera per esortarlo a usare della quiete per fomentare la pietà, non la pigrizia e a
non rifiutare l’opera richiesta dalla Chiesa, cercando sempre la gloria di Dio. La lettera si
chiude con questa frase:
“Poiché già la precedente fama ed ora i
fratelli Eustazio e Andrea, giunti da parte
vostra, hanno recato fino a noi il buon
profumo di Cristo che emana dalla vostra
santa condotta. Di essi Eustazio ci ha
preceduto in quella pace, che non è
battuta da nessun'onda, come lo è la
vostra isola, e non sente più desiderio
della Capraia, poiché non ha più ormai
bisogno di cingere il cilizio”. 3
Questa lettera e la visita dei due monaci
al Santo ci portano a ritenere che i
monaci di Capraia avessero abbracciato
la “Regola ad servos Dei” che Agostino
aveva probabilmente scritto nel 391
quando giunto ad Ippona come
coadiutore del vecchio vescovo, fondò il
suo primo monastero.4
Una ventina di anni dopo un’ulteriore
testimonianza della presenza dei monaci
a Capraia ci viene fornita da un pagano,
Rutilio Namaziano, nell’opera De reddito
suo.
Nel 416, Rutilio Namaziano, nato forse in
Gallia, ma cresciuto Roma dove perseBotticelli, Sant’Agostino
guì una brillante carriera di funzionario,
decise di ritornare in Gallia dove aveva dei possedimenti. Costeggiò la costa italiana e
2
Orosio, Le storie contro i pagani, vol. II, Milano 2001, pp. 366-371: “Igitur Mascezel, iam inde a
Theodosio sciens, quantum in rebus desperatissimis oratio hominis per fidem Christi a clementia Dei
impetraret, Caprariam insula adiit, unde secum sanctos servos Dei aliquot permuto precibus suiss
sumpsit: cum his orationibus ieiuniis psalmis dies noctesque continuans sine bello victoria meruit ac sine
caede vindictam”. Orosio era un presbitero spagnolo che ricevette l’incarico da Sant’Agostino di scrivere
un compendio della storia universale dalle origini al 416 d.C..
3
Sant’Agostino, Lettere, www.sant-agostino.it, Lettera 48, riprodotta in Appendice.
4
Sant’Agostino, Regola, www.sant-agostino.it, riprodotta in Appendice. Le notizie su
Sant’Agostino e le sue opere sono tratte dal sito sopradetto.
quella provenzale con delle piccole imbarcazioni, scrivendo un diario di viaggio. Quando
scorse da lontano le isole di Capraia e di Gorgona non poté fare a meno, lui pagano,
di mostrare la sua avversione verso il cristianesimo che si era ormai imposto come
religione di stato. Con questi versi parla dei monaci di Capraia:
“Avanzando nel mare già si vede innalzarsi la Capraia
isola in squallore per la piena di uomini che fuggono la luce.
Da sé con un nome greco si definiscono “monaci”,
per voler vivere soli, senza testimoni.
Della fortuna, se temono i colpi, paventano i doni.
Si fa qualcuno da sé infelice per non esserlo?
Che pazza furia di un cervello sconvolto è mai questa:
temendo i mali, non sopportare i beni?
O dei misfatti esigono da sé la pena, a se stessi galera,
o nero fiele ne gonfia i tristi visceri,
così assegnò diagnosi di eccesso di bile Omero
alle bellerofontiche ansie ipocondriche.
Colpito infatti dai dardi di un crudele dolore, il giovane
si dice abbia preso in disprezzo il genere umano”. 5
Queste tre testimonianze indicano che la comunità di
monaci a Capraia doveva essere piuttosto numerosa
e che essa doveva godere di un certo prestigio,
anche se sviluppatasi da pochi decenni.
I monaci di Capraia compaiono anche nella Passio6
di Santa Giulia, riportata dagli Acta Sanctorum dei
Padri Bollandisti alla data del 22 maggio, che
racconta il martirio della Santa e la traslazione del
suo corpo. La Passio, che si fa risalire al VII secolo,
narra che Giulia fosse una nobile ragazza
cartaginese di fede cristiana del V sec. d. C. che,
caduta in schiavitù, fu acquistata da un
commerciante, un certo Eusebio, e condotta in Siria.
Giulia era una ragazza molto devota e dedita alle
pratiche del digiuno, che Eusebio, sebbene pagano,
rispettava perché adempiva ai suoi compiti di umile
serva. Durante un viaggio verso la Gallia Eusebio,
che aveva portato con se la schiava Giulia, giunse al
Capo Corso ( forse a Nonza dove esiste una chiesa
a lei dedicata ) e attratto dai sacrifici che i locali paSanta Giulia e la storia del suo martirio
gani stavano compiendo in onore degli dei scese a
terra per unirsi a loro. Alcuni locali, avendo scoperto che Giulia non era scesa a terra
5
R. Namaziano, Il ritorno, a cura di Alessandro Fo, Torino 2004, pp. 32-33.
6
Il termine Passio indica genericamente l’antico racconto della vita di un santo.
informarono della sua presenza a bordo il loro capo, un certo Felice Saxo. Questi
chiese ad Eusebio di vendergli la schiava ma Eusebio rifiutò dicendo che per alcun
prezzo voleva rinunciare ai servigi di Giulia. Allora Felice Saxo fece imbandire un lauto
banchetto al quale invitò Eusebio che, per le abbondanti libagioni, cadde in un profondo
sonno. Quindi Felice Saxo fece prelevare Giulia dalla nave e la sottopose a torture
sempre più crudeli chiedendogli di abiurare alla sua fede. Ma Giulia era ormai pronta al
martirio e non cedette alla tentazione. Alla fine fu crocifissa. Gli angeli portarono la
notizia della sua morte ai monaci di Gorgona che subito si imbarcarono e con il favore
del vento si diressero al Capo Corso. Trovato il crocifisso ne fecero scendere il corpo di
Giulia che caricarono sulla loro imbarcazione e sempre con il favore del vento fecero
ritorno verso la loro isola. Durante la navigazione venne loro incontro un’imbarcazione
dei monaci di Capraia che erano meravigliati della velocità dell’imbarcazione dei monaci
di Gorgona. Si accostarono e chiesero per quale grazia del Signore la loro
imbarcazione si muovesse così veloce. I monaci di Gorgona raccontarono loro quanto
era successo ed allora quelli di Capraia chiesero di essere benedetti con le reliquie
della Santa e se ne tornarono lieti a Capraia. Il corpo della Santa giunto a Gorgona fu
imbalsamato e il 22 maggio fu calato in un degno
sepolcro. Nel 762, la moglie di Desiderio, l'ultimo re
dei Longobardi, volle che le reliquie della santa
fossero portate da Gorgona nella città di Brixia,
oggi Brescia. Le reliquie furono dapprima portate a
Livorno e poi traslate a Brescia. Santa Giulia è la
patrona della Corsica e di Livorno.7 Questa pia
leggenda, nella quale è impossibile discernere i
dati storici, testimonia ancora una volta la
presenza dei monaci nelle isole di Capraia e di
Gorgona.
Verso la fine del VI secolo la vita religiosa nei
cenobi delle isole dell’Arcipelago Toscano subì un
rilassamento tanto che Papa Gregorio I,
conosciuto anche come San Gregorio Magno, lui
stesso un monaco, fu costretto ad intervenire
inviando dei suoi rappresentanti a ristabilirvi la
disciplina. Nel 591 mandò l’abate Orosio a
San Gregorio Magno
Montecristo, dove era sorto un altro cenobio dedicato a San Massimiliano, a ristabilirvi la regola monastica e sempre nello stesso anno
inviò Orosio e il difensore Simmaco prima in Corsica per fondarvi un monastero, e poi in
Gorgona a punire i monaci, che non rispettavano la regola, e a ristabilirvi la disciplina
monastica.8 Nel 594 il Papa chiese a Venanzio, vescovo di Luni, di inviare l’ex
7
Acta Sanctorum, Anversa 1643. I Padri Bollandisti sono studiosi gesuiti belgi che, continuando
l'opera del loro confratello J. Bolland, si applicarono allo studio critico dei documenti coevi dei santi per
raccoglierli nella monumentale opera degli Acta sanctorum.
Il termine passio indica genericamente l’antico racconto della vita di un santo.
8
Gregorio Magno, Opere di Gregorio Magno, Lettere, V/2, Roma 1996, pp. 222-225.
presbitero Saturnino (o Saturo) in Gorgona e Capraia per prendersi cura dei due
monasteri affinché “biasimi come può, con la sua predicazione, le azioni cattive”.9
Un’ultima testimonianza sulla presenza di monaci a Capraia, ancora una volta, ci viene
dagli Acta Sanctorum che riportano la Passio di Sant’Aigulfo alla data del 3 settembre,
tratta da due antichi manoscritti, uno anonimo e l’altro scritto due secoli dopo la morte
del santo dal monaco benedettino Adrevaldo.
Anche in questo caso è difficile discernere il
dato storico dalla leggenda, e lo stesso
commentatore
della Passio, il padre
bollandista Giovanni Pinio, esprime molti dubbi
su quanto viene riportato dalle due versioni
della Passio.
Aigulfo nacque a Blois, un paesino lungo la
Loira, da poveri genitori forse nel 630 e in
giovane età entrò nel monastero benedettino
di Fleury-sur-Loire. Intorno al 670 venne nomiLerins, il Monastero
nato abate del monastero benedettino di
Lerins (isola di Saint Honorat), e qui trovò un
notevole rilassamento dei costumi e fu
costretto a imporre una severa disciplina.
Due monaci, Arcadio e Colombo, non potendo
tollerare la severità dell’abate, insorsero
contro di lui e, con l’aiuto di alcuni soldati
forniti loro dal vescovo di Uzès, lo catturarono
insieme ad alcuni monaci fedeli. I prigionieri
furono caricati su una nave e fu loro tagliata la
lingua e strappati gli occhi. La nave li
condusse a Capraia dove, secondo la verProvins – La chiesa di San Ayoul (Aigulfo)
sione
di Adrevaldo, furono accolti dai
numerosi monaci dell’isola. Qui Aigulfo e i suoi compagni furono poi uccisi e i loro corpi
vennero trasportati a Lerins dal successore di Aigulfo. In epoca successiva le reliquie
furono trasferite nel monastero benedettino di Provins. Non si conosce la data esatta
del martirio di Aigulfo e dei suoi compagni, ma si può collocare tra il 675 e il 681.10
Le Passio dei due santi, Giulia e Aigulfo, spogliate dei loro aspetti agiografici,
testimoniano che la tradizione della presenza di monaci a Capraia si è tramandata fino
ai tardi secoli dell’Alto Medioevo.
Quanto sopra riportato sono le sole testimonianze della presenza di monaci o eremiti
nell’isola di Capraia. Probabilmente essi seguivano la regola di Pacomio e vivevano in
grotte o in umili casupole fatte di pietra e si recavano a mangiare e a pregare in una
9
Gregorio Magno, Opere di Gregorio Magno, Lettere, V/3, Roma 1996, pp. 136-139: “Sed eum
[Saturo] in insula Gorgona atque Capraria sollicitudinem de monasteriis gerere et in eo quo est statu sine
cuiusquam adversitate manere permittimus. Fraternitas ergo tua de commissis sibi vigilanti cura
custodiat; a malis actibus sua, ut valet, praedicatione corriviate, quatenus et officii sui inveniatur,”
10
Acta Sanctorum, Anversa 1746 ; J. Mabillon, Acta Sanctorum Ordinis S. Benedicti saeculum II, Parigi
1669, pp. 656-665.
costruzione più ampia (l’oratorio della regola agostiniana) dove tutti i monaci si
congregavano. Secondo S. P. P Scalfati, che ha dedicato ampi studi al fenomeno
monastico in Corsica e nelle isole dell’Arcipelago Toscano:
“sarebbe oggi difficile, se non impossibile, senza neppure il conforto di vaste e accurate
ricerche archeologiche, stabilire se a partire dal IV secolo negli isolotti popolati da
monaci vi fossero oltre le grotte, anche eremi o “coenobia” in senso lato, e se o come (
e dove e in che misura, e in quali epoche ) la vita solitaria dei singoli membri di quei
nuclei si conciliasse con un eventuale e parziale regime comunitario”. 11
La lettera di Sant’Agostino a Eudossio è il solo documento che afferma che a Capraia vi
fosse una comunità cenobitica guidata da un abate.
Non sappiamo se e dove i monaci di Capraia avessero eretto le loro abitazioni, sia
perché andate distrutte durante le invasioni saracene, sia perché la loro scarsa
consistenza ne determinò il crollo quando furono abbandonate. La zona del loro
insediamento che meglio si prestava ad una eventuale vita comunitaria è certamente
quella del Piano e la costruzione della chiesa di S. Stefano nel XII-XIII secolo potrebbe
attestare che in quel luogo probabilmente vi erano resti di un manufatto sacro ( forse
l’oratorio?) costruito dai monaci dell’Alto Medioevo. Un altro sito dove probabilmente si
sono insediati dei monaci è il promontorio dello Zenobito, che in alcune lettere del
Cinquecento veniva identificato con il toponimo “Cenopito o Senopito”. Qui, nel 1545, il
Commissario Lorenzo de Negro,
inviato
da
Genova
per
la
costruzione della torre, trovò,
mentre veniva scavato un pozzo,
una sepoltura, piena di ossa umane
ricavata in una
grotta: una
sepoltura dei monaci? 12
Purtroppo l’isola di Capraia non è
mai stata oggetto di serie
campagne di scavo e d’indagine
archeologica
e
quindi
non
sappiamo con certezza dove i
monaci avessero posto il loro
insediamento.
La chiesa di Santo Stefano al Piano
Tra il IV e il VI secolo mentre nell’isola di Capraia fiorisce il monachesimo, la vicina
Corsica subisce l’attacco dei barbari, i Vandali prima, poi i Goti e gli Ostrogoti che in fasi
successive vi si insediano: Capraia non sembra di alcun interesse per i barbari per
l’esiguo numero di abitanti e le scarse risorse che poteva offrire.
11
S.P.P. Scalfati, Per la storia dell’eremitismo nelle isole del Tirreno, Bollettino Storico Pisano, LX, 1991,
p. 284.
12
ASG, S. Giorgio, Cancellieri 210, lettera del Podestà di Capraia ai Protettori delle Compere di San Giorgio del 10
mag. 1545: “e il capitello no ha loco da tenirnene [acqua] perche il pozzo postovi è riuscito una sepoltura angulata
di tre bocche nel fondo che quasi vanno in cava sotto fin al mare et cui pieno d’osse di morti”.
Passano due secoli in cui mancano notizie certe
su quanto successe in Corsica e nelle isole
dell’Arcipelago Toscano, finché tra l’VIII e il IX
secolo dei nuovi protagonisti si presentarono nel
teatro nel Tirreno settentrionale: sono i Mori o
Saraceni che saccheggiarono le isole e si
insediarono in Corsica. Gli attacchi dei Saraceni
si protrassero fino all’XI secolo.
La scomparsa dei monaci di Capraia e la
distruzione del loro insediamento si devono
quindi far risalire al periodo dell’apparizione dei
La torre e il promontorio dello Zenobito
Saraceni che oltre al desiderio di conquista di
nuove terre erano anche mossi dall’odio religioso verso le comunità cristiane.
Roberto Moresco
16 febbraio 2011
Appendice
Sant’Agostino, Lettera 48
Scritta forse nel 398.
AGOSTINO E I SUOI CONFRATELLI SALUTANO IN CRISTO IL DILETTO E
CARISSIMO EUDOSSIO, FRATELLO E COLLEGA DI SACERDOZIO, E I SUOI
CONFRATELLI
Circolazione di beni tra i membri del Corpo di Cristo.
1. Quando noi pensiamo alla pace che voi godete in Cristo, la gustiamo anche noi nella
vostra carità, benché viviamo in mezzo a varie e dure fatiche. Noi infatti formiamo un
solo corpo sotto un solo Capo, per modo che voi siete attivi in noi e noi siamo in voi
contemplativi; poiché se soffre un membro, soffrono con esso tutte le altre membra; e
se un membro è glorificato, ne godono con esso tutte le altre membra. Vi esortiamo
dunque, vi preghiamo e vi scongiuriamo per la profondissima umiltà e la eccelsa
misericordia di Cristo, di ricordarci nelle vostre sante preghiere, che crediamo siano da
voi elevate con maggior vigilanza e attenzione, mentre le nostre vengono strapazzate e
offuscate dalla confusione e dal tumulto degli atti processuali secolari che riguardano
non già noi, ma coloro i quali se ci costringono a fare con loro un miglio, se ci si
comanda di andare con essi per altri due; siamo assillati da tante questioni che a stento
possiamo respirare. Siamo però pienamente convinti che Colui, al cui cospetto arrivano
i gemiti dei prigionieri, se saremo perseveranti nel ministero in cui si è degnato
collocarci con la promessa del premio, ci libererà da ogni angustia con l'aiuto delle
vostre preghiere.
La giusta via tra azione contemplazione.
2. Vi esortiamo quindi nel Signore, o fratelli, che pratichiate l'ideale religioso abbracciato
e perseveriate fino alla fine; se la Chiesa richiederà i vostri servigi, non assumeteli per
brama di salire in alto né rifiutateli spinti dal dolce far nulla, ma ubbidite con mitezza di
cuore a Dio sottomettendovi con mansuetudine a Colui che vi dirige, che guida i miti
nella giustizia e ammaestra i docili nelle sue vie. Non vogliate neppure anteporre la
vostra pace alle necessità della Chiesa; se nessuno tra i buoni volesse prestarle l'opera
nel generare nuovi figli, nemmeno voi avreste trovato il modo di nascere alla vita
spirituale. Orbene, come si deve camminare tra il fuoco e l'acqua senza bruciare né
annegare, così dobbiamo regolare la nostra condotta tra il vertice della superbia e la
voragine della pigrizia, senza deviare - come dice la Scrittura - né a destra né a sinistra.
Vi sono infatti di quelli che, mentre temono eccessivamente d'essere per così dire
trascinati a destra e d'insuperbirsi, vanno a cadere nella sinistra affondandovi. Ci sono
d'altronde di quelli che, mentre si allontanano eccessivamente dalla sinistra per non
lasciarsi inghiottire dallo snervante torpore dell'ozio, dall'altra parte si lasciano
corrompere e divorare dall'orgoglio e dalla vanità fino a dileguarsi in fumo e faville.
Amate dunque, carissimi, la vostra pace, in modo da reprimere ogni piacere terreno e
ricordatevi che non v'è luogo ove non possa tendere i suoi lacci colui il quale teme che
riprendiamo lo slancio verso Dio, e che noi, dopo essere stati suoi schiavi, giudichiamo
il nemico di tutti i buoni: pensiamo inoltre che non ci sarà per noi riposo perfetto fino a
quando non passerà l'iniquità e la giustizia non si muterà in giudizio.
Gloria di Dio e retta intenzione.
3. Similmente, quando agite animosamente e alacremente e operate con entusiasmo,
sia digiunando, sia facendo elemosina, sia dando aiuto agl'indigenti; quando perdonate
le offese, come anche Dio ci ha perdonato in Cristo, e reprimete le dannose abitudini;
quando castigate il corpo, rendendolo schiavo e sopportate la tribolazione e innanzitutto
voi stessi nell'amore (cosa potrebbe infatti sopportare chi non sopporta il fratello?),
quando state in guardia dall'astuzia e dalle insidie del tentatore, respingendo ed
estinguendo i suoi dardi infocati collo scudo della fede, oppure cantando e
salmeggiando al Signore con tutto il cuore o con voci non discordanti dal cuore, fate
tutto a gloria di Dio, che opera tutto in voi; siate inoltre ferventi di spirito, affinché la
vostra anima si vanti nel Signore. Questa è l'attività di chi cammina sulla retta strada,
che ha gli occhi sempre rivolti al Signore, poiché egli estrarrà dal laccio i piedi. Tale
attività non è riarsa dalla febbre dell'azione né raffreddata dall'inazione, non è né
turbolenta né snervata, non è né audace né ritrosa, né precipitosa, né languida. Mettete
in pratica queste massime e il Dio della pace sarà con voi.
Non rimproveri ma solo esortazioni.
4. La vostra carità non voglia giudicarmi importuno, se ho voluto parlare con voi almeno
per mezzo d'una lettera. Non ho inteso infatti farvi un richiamo perché adempiate doveri
che io pensi voi non adempiate, ma ho solo pensato che sarei stato un poco
raccomandato a Dio da voi se, nel compiere per grazia di Dio i vostri doveri, vi
ricorderete di me che vi ho rivolto quest'esortazione. Poiché già la precedente fama ed
ora i fratelli Eustazio e Andrea, giunti da parte vostra, hanno recato fino a noi il buon
profumo di Cristo che emana dalla vostra santa condotta. Di essi Eustazio ci ha
preceduto in quella pace, che non è battuta da nessun'onda, come lo è la vostra isola, e
non sente più desiderio della Capraia, poiché non ha più ormai bisogno di cingere il
cilizio.
_____________________
LA REGOLA (Regula ad servos Dei)
Scopo e fondamento della vita comune.
1. 1. Questi sono i precetti che prescriviamo a voi stabiliti nel monastero.
1. 2. Il motivo essenziale per cui vi siete insieme riuniti è che viviate unanimi nella
casa e abbiate unità di mente e di cuore protesi verso Dio.
1. 3. Non dite di nulla: È mio, ma tutto sia comune fra voi. Il superiore distribuisca a
ciascuno di voi il vitto e il vestiario; non però a tutti ugualmente, perché non avete tutti la
medesima salute, ma ad ognuno secondo le sue necessità. Infatti così leggete negli Atti
degli Apostoli: Essi avevano tutto in comune e si distribuiva a ciascuno secondo le sue
necessità.
1. 4. Chi, da secolare, possedeva dei beni, entrato che sia nel monastero, li metta
volentieri in comune.
1. 5. Chi poi non ne possedeva, non ricerchi nel monastero ciò che nemmeno fuori
poteva avere. Tuttavia si vada incontro ai bisogni della sua insufficienza, anche se,
quando egli si trovava fuori, la sua povertà non era neppure in grado di procurargli
l’indispensabile. Solo che non si ritenga felice per aver conseguito quel vitto e quelle
vesti che fuori non si poteva permettere.
L’umiltà.
1. 6. Né si monti la testa per il fatto di essere associato a chi, nel mondo, nemmeno
osava avvicinare, ma tenga il cuore in alto e non ricerchi le vanità della terra, affinché i
monasteri, se ivi i ricchi si umiliano e i poveri si vantano, non comincino ad essere utili
ai ricchi e non ai poveri.
1. 7. D’altra parte, quelli che credevano di valere qualcosa nel mondo, non disdegnino i
loro fratelli che sono pervenuti a quella santa convivenza da uno stato di povertà.
Vogliano anzi gloriarsi non della dignità di ricchi genitori ma della convivenza con i
fratelli poveri. Né si vantino per aver trasferito alla Comunità qualche parte dei loro beni;
né il fatto di distribuire al monastero le loro ricchezze, anziché averle godute nel mondo,
costituisca per essi motivo di maggiore orgoglio. Se infatti ogni altro vizio spinge a
compiere azioni cattive, la superbia tende insidie anche alle buone per guastarle; e che
giova spogliarsi dei propri beni dandoli ai poveri e diventare povero, se la misera anima
nel disprezzare le ricchezze diviene più superba che non quando le possedeva?.
1. 8. Tutti dunque vivete unanimi e concordi e, in voi, onorate reciprocamente Dio di cui
siete fatti tempio.
La preghiera.
2. 1. Attendete con alacrità alle preghiere nelle ore e nei tempi stabiliti.
2. 2. L’oratorio sia adibito esclusivamente allo scopo per cui è stato fatto e che gli ha
dato il nome. Se perciò qualcuno, avendo tempo, volesse pregare anche fuori delle ore
stabilite, non ne sia ostacolato da chi abbia ritenuto conveniente adibire l’oratorio a
scopi diversi.
2. 3. Quando pregate Dio con salmi ed inni, meditate nel cuore ciò che proferite con la
voce.
2. 4. E non vogliate cantare se non quanto è previsto per il canto. Evitate quindi ciò che
al canto non è destinato.
Frugalità e mortificazione.
3. 1. Domate la vostra carne con digiuni ed astinenze dal cibo e dalle bevande, per
quanto la salute lo permette. Ma se qualcuno non può digiunare, non prenda cibi fuori
dell’ora del pasto se non quando è malato.
3. 2. Sedendo a mensa e finché non vi alzate, ascoltate senza rumore e discussioni ciò
che secondo l’uso vi si legge, affinché non si sfami soltanto la gola, ma anche le
orecchie appetiscano la parola di Dio.
Deboli e robusti; sani e ammalati.
3. 3. Se alcuni vengono trattati con qualche riguardo nel vitto perché più delicati per il
precedente tenore di vita, ciò non deve recare fastidio né sembrare ingiusto a quegli
altri che un differente tenore ha reso più forti. Né devono crederli più fortunati perché
mangiano quel che non mangiano essi; debbono anzi rallegrarsi con se stessi per
essere capaci di maggiore frugalità.
3. 4. Così, pure, se a quanti venuti in monastero da abitudini più raffinate si concedono
abiti, letti e coperte che non si danno agli altri che sono più robusti e perciò veramente
più fortunati, quest’ultimi devono considerare quanto i loro compagni siano scesi di
livello passando dalla loro vita mondana a questa, benché non abbiano potuto
eguagliare la frugalità di coloro che sono di più forte costituzione fisica. E poi, non
debbono tutti pretendere quelle cose che sono concesse in più ad alcuni non per onore
ma per tolleranza, onde evitare quel disordine detestabile per cui in monastero i ricchi si
mortificano quanto più possono, mentre i poveri si fanno schizzinosi.
3. 5. D’altra parte, siccome gli ammalati devono mangiare meno per non aggravarsi,
durante la loro convalescenza dovranno essere trattati in modo da potersi ristabilire al
più presto, anche se provenissero da una povertà estrema; infatti la recente malattia ha
loro procurato quello stato di debolezza che il precedente tenore di vita aveva lasciato
nei ricchi. Ma appena si siano ristabiliti, tornino alla loro vita normale, che è certamente
più felice, poiché è tanto più consona ai servi di Dio quanto meno è esigente. Ormai
guariti, il piacere non li trattenga in quella vita comoda a cui li avevano sollevati le
esigenze della malattia. Si considerino anzi più ricchi se saranno più forti nel sopportare
la frugalità, perché è meglio aver meno bisogni che possedere più cose.
Tenere un contegno irreprensibile.
4. 1. Il vostro abito non sia appariscente; non cercate di piacere per le vesti ma per il
contegno.
4. 2. Quando uscite, andate insieme ed insieme rimanete quando sarete giunti a
destinazione.
4. 3. Nel modo di procedere o di stare, in ogni vostro atteggiamento, non vi sia nulla che
offenda lo sguardo altrui ma tutto sia consono al vostro stato di consacrazione.
4. 4. Gli occhi, anche se cadono su qualche donna, non si fissino su alcuna. Certo,
quando uscite, non vi è proibito vedere donne, ma sarebbe grave desiderarle o voler
essere da loro desiderati, perché non soltanto con il tatto e l’affetto ma anche con lo
sguardo la concupiscenza di una donna ci provoca ed è a sua volta provocata. E perciò
non dite di avere il cuore pudico se avete l’occhio impudico, perché l’occhio impudico è
rivelatore di un cuore impudico. Quando poi due cuori si rivelano impuri col mutuo
sguardo, anche senza scambiarsi una parola, e si compiacciono con reciproco ardore
del desiderio carnale, la castità fugge ugualmente dai costumi, anche se i corpi
rimangono intatti dall’immonda violazione.
4. 5. Ed inoltre chi fissa gli occhi su una donna e si diletta di esser da lei fissato, non si
faccia illusione che altri non notino questo suo comportamento: è notato certamente e
persino da chi non immaginava. Ma supposto che rimanga nascosto e nessuno lo veda,
che conto farà di Colui che scruta dall’alto e al quale non si può nascondere nulla?
Dovrà forse credere che non veda, perché nel vedere è tanto più paziente quanto più
sapiente? L’uomo consacrato tema dunque di spiacere a Dio per non piacere
impuramente ad una donna; pensi che Dio vede tutto, per non desiderare di vedere
impuramente una donna, ricordando che anche in questo caso si raccomanda il Suo
santo timore dov’è scritto: È detestato dal Signore chi fissa lo sguardo.
4. 6. Quando dunque vi trovate insieme in chiesa e dovunque si trovino pure donne,
proteggete a vicenda la vostra pudicizia. Infatti quel Dio che abita in voi, vi proteggerà
pure in questo modo, per mezzo cioè di voi stessi.
Correzione fraterna.
4. 7. E se avvertirete in qualcuno di voi questa petulanza degli occhi di cui vi parlo,
ammonitelo subito, affinché il male non progredisca ma sia stroncato fin dall’inizio.
4. 8. Se poi, anche dopo l’ammonizione, lo vedrete ripetere la stessa mancanza in quel
giorno o in qualsiasi altro, chiunque se ne accorga lo riveli come se si trattasse di un
ferito da risanare. Prima però lo indichi ad un secondo o a un terzo, dalla cui
testimonianza potrà essere convinto e quindi, con adeguata severità, indotto ad
emendarsi. Non giudicatevi malevoli quando segnalate un caso del genere; al contrario
non sareste affatto più benevoli se tacendo permetteste che i vostri fratelli perissero,
mentre potreste salvarli parlando. Se infatti tuo fratello avesse una ferita e volesse
nasconderla per paura della cura, non saresti crudele a tacerlo e pietoso a palesarlo?
Quanto più dunque devi denunziarlo perché non imputridisca più rovinosamente nel
cuore?
4. 9. Tuttavia, qualora dopo l’ammonizione abbia trascurato di correggersi, prima di
indicarlo agli altri che dovrebbero convincerlo se nega, si deve parlarne
preventivamente al superiore: si potrebbe forse evitare così, con un rimprovero più
segreto, che lo sappiano altri. Se negherà, allora al preteso innocente si opporranno gli
altri testimoni: alla presenza di tutti dovrà essere incolpato non più da uno solo ma da
due o tre persone e, convinto, sostenere, a giudizio del superiore o anche del presbitero
competenti, la punizione riparatrice. Se ricuserà di subirla, anche se non se ne andrà
via spontaneamente, sia espulso dalla vostra comunità. Neppure questo è atto di
crudeltà ma di pietà, per evitare che rovini molti altri col suo contagio pestifero.
4. 10. Quanto ho detto sull’immodestia degli occhi, si osservi con diligenza e fedeltà
anche nello scoprire, proibire, giudicare, convincere e punire le altre colpe, usando
amore per le persone e odio per i vizi.
4. 11. Chiunque poi fosse andato tanto oltre nel male da ricevere di nascosto da una
donna lettere o qualsiasi dono anche piccolo, se lo confesserà spontaneamente gli si
perdoni pregando per lui; se invece sarà colto sul fatto e convinto, lo si punisca molto
severamente, a giudizio del presbitero o del superiore.
Oggetti d'uso quotidiano e loro distribuzione.
5. 1. Conservate i vostri abiti in un luogo unico, sotto uno o due custodi o quanti
basteranno a ravviarli per preservarli dalle tarme; e, come siete nutriti da un sola
dispensa, così vestitevi da un solo guardaroba. Se possibile, non curatevi di quali
indumenti vi vengano dati secondo le esigenze della stagione, se cioè riprendete quello
smesso in passato o uno diverso già indossato da un altro; purché non si neghi a
nessuno l’occorrente. Se invece da ciò sorgono tra voi discussioni e mormorazioni, se
cioè qualcuno si lamenta di aver ricevuto una veste peggiore della precedente e della
sconvenienza per lui di vestire come si vestiva un altro suo confratello, ricavatene voi
stessi una prova di quanto vi manchi del santo abito interiore del cuore, dato che litigate
per gli abiti del corpo. Comunque, qualora questa vostra debolezza venga tollerata e vi
si consenta di riprendere quello che avevate deposto, lasciate nel guardaroba comune
e sotto comuni custodi quello che deponete.
5. 2. Allo stesso modo nessuno mai lavori per se stesso ma tutti i vostri lavori tendano
al bene comune e con maggiore impegno e più fervida alacrità che se ciascuno li
facesse per sé. Infatti la carità di cui è scritto che non cerca il proprio tornaconto, va
intesa nel senso che antepone le cose comuni alle proprie, non le proprie alle comuni.
Per cui vi accorgerete di aver tanto più progredito nella perfezione quanto più avrete
curato il bene comune anteponendolo al vostro. E così su tutte le cose di cui si serve la
passeggera necessità, si eleverà l’unica che permane: la carità.
5. 3. Ne consegue pure che, se qualcuno porterà ai propri figli o ad altri congiunti
stabiliti in monastero un oggetto, come un capo di vestiario o qualunque altra cosa, non
venga ricevuto di nascosto, anche se ritenuto necessario; sia invece messo a
disposizione del superiore perché, posto fra le cose comuni, venga distribuito a chi ne
avrà bisogno.
Cura del corpo e delle vesti, e altre necessità.
5. 4. I vostri indumenti siano lavati secondo le disposizioni del superiore da voi o dai
lavandai: eviterete così che un eccessivo desiderio di vesti troppo pulite contagi l’anima
di macchie interiori.
5. 5. Anche la lozione del corpo, quand’è necessaria per ragioni di malattia, non si deve
mai negare, ma si faccia su prescrizione medica e senza critiche; per cui, anche contro
la propria volontà, al comando del superiore il malato faccia quanto si deve fare per la
salute. Se invece lui lo vuole e può risultargli dannoso, non accondiscenda al suo
desiderio: talvolta ciò che piace è ritenuto utile anche se nuoce.
5. 6. Infine, trattandosi di sofferenze fisiche nascoste, si dovrà credere senza esitazioni
al servo di Dio che manifesta la propria indisposizione. Si consulti però il medico, se
non si è certi che per guarirlo giova ciò che gli piace.
5. 7. Ai bagni o dovunque sarà necessario andare, non si vada in meno di due o tre. E
chi ha necessità di portarsi in qualche luogo, dovrà andarvi non con chi vuole ma con
chi gli sarà indicato dal superiore.
5. 8. La cura degli ammalati, dei convalescenti e degli altri che anche senza febbre
soffrono qualche indisposizione, sia affidata ad uno solo, che ritiri personalmente dalla
dispensa quel che avrà giudicato necessario a ciascuno.
5. 9. I custodi della dispensa, del guardaroba e della biblioteca servano con animo
sereno i loro fratelli.
5. 10. I libri si chiedano giorno per giorno alle ore stabilite; e non si diano a che li
chiederà fuori orario.
5. 11. Ma vesti e calzature, quando sono necessarie a chi ne è privo, senza indugio da
chi le ha in custodia vengano date a chi le chiede.
Il condono delle offese.
6. 1. Liti non abbiatene mai, o troncatele al più presto; altrimenti l’ira diventa odio e
trasforma una paglia in trave e rende l’anima omicida. Così infatti leggete: Chi odia il
proprio fratello è un omicida.
6. 2. Chiunque avrà offeso un altro con insolenze o maldicenze o anche rinfacciando
una colpa, si ricordi di riparare al più presto il suo atto. E a sua volta l’offeso perdoni
anche lui senza dispute. In caso di offesa reciproca, anche il perdono dovrà essere
reciproco, grazie alle vostre preghiere che quanto più frequenti tanto più dovranno
essere sincere. Tuttavia chi, pur tentato spesso dall’ira, è però sollecito a impetrare
perdono da chi riconosce d’aver offeso, è certamente migliore di chi si adira più
raramente ma più difficilmente si piega a chiedere perdono. Chi poi si rifiuta sempre di
chiederlo o non lo chiede di cuore, sta nel monastero senza ragione alcuna, benché
non ne sia espulso. Astenetevi pertanto dalle parole offensive; ma se vi fossero uscite
di bocca, non vi rincresca di trarre rimedi da quella stessa bocca che diede origine alle
ferite.
6. 3. Quando però per esigenze di disciplina siete indotti a usare parole dure nel
correggere gli inferiori, non si esige da voi che ne chiediate perdono, anche se avvertite
di aver ecceduto: per salvare un’umiltà sovrabbondante non si può spezzare il prestigio
dell’autorità presso chi deve starvi soggetto. Bisogna però chiederne perdono al
Signore di tutti, che sa con quanta benevolenza amiate anche coloro che forse
rimproverate più del giusto. L’amore tra voi, però, non sia carnale, ma spirituale.
Spirito dell’autorità e dell’obbedienza.
7. 1. Si obbedisca al superiore come ad un padre, col dovuto onore per non offendere
più si obbedisca al presbitero che ha cura di tutti voi.
7. 2. Dio nella persona di lui. Ancor Sarà compito speciale del superiore far osservare
tutte queste norme; non trascuri per negligenza le eventuali inosservanze ma vi ponga
rimedio con la correzione. Rimetta invece al presbitero, più autorevole su di voi, ciò che
supera la sua competenza o le sue forze.
7. 3. Colui che vi presiede non si stimi felice perché domina col potere ma perché serve
con la carità. Davanti a voi sia tenuto in alto per l’onore; davanti a Dio si prostri per
timore ai vostri piedi. Si offra a tutti come esempio di buone opere, moderi i turbolenti,
incoraggi i timidi, sostenga i deboli, sia paziente con tutti. Mantenga con amore la
disciplina, la imponga con rispetto; e, sebbene siano cose necessarie entrambe, tuttavia
preferisca piuttosto essere amato che temuto, riflettendo continuamente che dovrà
rendere conto di voi a Dio.
7. 4. Perciò, obbedendo maggiormente, mostrerete pietà non solo di voi stessi ma
anche di lui, che si trova in un pericolo tanto più grave quanto più alta è la sua posizione
tra voi.
Osservanza della regola.
8. 1. Il Signore vi conceda di osservare con amore queste norme, quali innamorati della
bellezza spirituale ed esalanti dalla vostra santa convivenza il buon profumo di Cristo,
non come servi sotto la legge, ma come uomini liberi sotto la grazia.
8. 2. Perché poi possiate rimirarvi in questo libretto come in uno specchio onde non
trascurare nulla per dimenticanza, vi sia letto una volta la settimana. Se vi troverete ad
adempiere tutte le cose che vi sono scritte, ringraziatene il Signore, donatore di ogni
bene. Quando invece qualcuno si avvedrà di essere manchevole in qualcosa, si dolga
del passato, si premunisca per il futuro, pregando che gli sia rimesso il debito e non sia
ancora indotto in tentazione.
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Monachesimo a Capraia nell`Alto Medioevo