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Il K2
Testo e foto di
Roberto Zini
I
l Baltoro, mito, leggenda, la storia dell’alpinismo in
generale e di quello italiano in particolare ha spesso fatto tappa qui. Agosto 2003 si parte, finalmente anch’io vedrò con i miei occhi i giganti che lo contornano.
Lasciamo subito l’appiccicosa Islamabad con il bus che
in due giorni ci porta sulla KKH lungo il corso dell’Indo
fino Skardu a 2265 mt. s.l.m. la storica base di partenza delle spedizioni ai giganti del Karakorum e ancora
oggi che si arriva in fuoristrada fino ad Askole è comunque Skardu l’inizio morale del trek. Dopo aver lasciato la KKH per continuare a seguire l’Indo si attraversano gole dove esso forma maestose rapide e non
sembra nemmeno lo stesso fiume quando si raggiunge
la valle di Skardu e lo si vede scorrere placido ai piedi
della fortezza arroccata sul suo promontorio roccioso
che domina dall’alto. Il paesaggio qui e davvero straordinario, Skardu sorge in un’oasi di pioppi contornata
da dune di sabbia che fanno pensare a un lembo di
Sahara, ma poi basta alzare lo sguardo per raggiungere con la vista le prime cime innevate e si torna subito a realizzare dove ci si trova, siamo nel Karakorum e
fra pochi giorni cammineremo sul ghiaccio e le pietre
del Baltoro.
Raggiungere Askole in jeep su quella mulattiera è emozionante e ci si chiede perché non lo si faccia a piedi
mentre si guarda fuori dall’auto e si vede il salto di diversi metri che ci divide dalle agitatissime acque del
Braldo, per fortuna la strada in questo momento è a posto e non ci sono trasbordi da fare. La mattina della par-
tenza da Askole il campo è agitato, vediamo per la prima volta i 65 portatori che partiranno con noi, poi cominciano le operazioni di divisione delle attrezzature e
dei viveri nei diversi piccoli carichi che dopo essere stati pesati dal sirdar vengono assegnati ad ogni portatore. I Baltì sono davvero montanari eccezionali, li vedi
con le loro scarpe di gomma o con i sandali e con i loro vestiti leggeri a cui possono aggiungere solo un maglione di lana o i più fortunati una giacca a vento e ti
chiedi come faranno a resistere quando saremo lassù a
5000 metri o anche solo la prossima notte. Ma la loro
tempra si è formata qui su queste montagne non certo
nelle nostre calde case là in Italia. I nostri sacchi piuma,
i nostri gore-tex, i nostri scarponi tecnici ci fanno solo
capire che qui siamo a casa loro e noi abbiamo biso-
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gno di queste cose per sopravvivere qualche giorno
mentre loro ne hanno fatto a meno da sempre. Questo
non vuol dire che non farebbero comodo anche a loro,
infatti accettano volentieri qualsiasi indumento o attrezzo gli si voglia regalare, serve solo a sottolineare la forza di cui danno dimostrazione in ogni momento, per
esempio quando con il loro carico di 25 kg te li vedi
sfrecciare di fianco per superarti dopo essere partiti
un’ora dopo di te una volta disfatto il campo per essere
pronti ad accoglierti con il pranzo caldo alla sosta, e la
stessa cosa si ripete nel pomeriggio quando puoi arrivare al campo e trovare la tenda montata e un tè fumante ad aspettarti. Ma non finisce qui perché poi capita di vederli ballare e cantare felici al termine della loro dura giornata prima di affrontare accovacciati tutti
insieme tra le rocce la fredda nottata che li aspetta.
Bella gente.
Quando man mano si sale e si cominciano a riconoscere una ad una quelle cime che fino a pochi giorni
prima erano solo nomi mitici ed immagini viste attraverso gli occhi e gli obiettivi di altra gente, ciò che si
sente dentro è difficile da descrivere. Ora siamo a Paju
e quelle pareti rocciose laggiù cosa sono? Le cattedrali
del Baltoro, poi le torri di Trango, e quella massa grigia
che si staglia all’orizzonte, ma è lui, quella è la bocca
del Baltoro. Agosto è la fine della stagione buona ed infatti a parte un gruppo di spagnoli che ci segue ad un
giorno di distanza siamo sempre solo noi ed i nostri
portatori e questo ci fa sentire proprio fuori dal mondo,
ma qui nel campo di Paju incontriamo una spedizione
di kazaki che sta scendendo i quali dopo aver raggiunto la cima del Nanga Parbat sono saliti su di qua per affrontare Broad Peak e K2, hanno vinto il primo e abbandonato il secondo a causa del maltempo in alta
quota, siccome non parlavano inglese non è stato facile capire ma pare che abbiano trovato loro il corpo di
Casarotto.
Quando si inizia a camminare sopra il ghiacciaio tutti i faticosi sali-scendi tra i sassi smorzano un po’ l’entusiasmo ma basta fermarsi un attimo a rifiatare ed alzare di nuovo
lo sguardo per riconosce-
Dal Concordia
verso il campo base
re altre cime ed altri ghiacciai che scendono dalle valli laterali per riversarsi ad alimentare il Baltoro.
Urdukass, superiamo i 4000 mt, è lunga da Paju a qui,
forse la tappa più impegnativa dopo quella del passo
Gondoghoro, ma anche qui si respira profumo di storia delle esplorazioni, questo era il campo base della
spedizione del ’29 del duca di Spoleto alla quale partecipava Ardito Desio e che si può dire fu il primo passo verso la conquista del K2 nel ’54. Dopo gli ultimi
pioppi lasciati a Paju solo sassi ma qui a Urdukass il
fianco erboso della montagna fa subito pensare ad un
ottimo posto per il campo. Sopra di noi il Masherbrum
(anche se non visibile dal campo) in fondo si cominciano ad intravedere i colossi, dietro il Paju peak si staglia davanti al tramonto e sotto di noi il ghiacciaio ormai immerso nell’oscurità.
Lasciato Urdukass cominciamo ad incontra-
Verso il passo 1
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re le prime vele che viste da lontano sembrano piccoli
cumuli di neve mentre da vicino molte di loro sono enormi, ed ecco laggiù sullo sfondo G IV e Broad peak le
emozioni sono sempre più forti e noi siamo felici di provarle. A Gore II si arriva in fretta è una tappa breve, il
campo lo facciamo sugli sfasciumi che ricoprono il
ghiacciaio, essendo presto ed approfittando del sole
che ci riscalda ne approfittiamo per un rapido bagno
nelle gelide acque di uno dei tanti ruscelli che solcano il
Baltoro, poi ci si perde a vagare con gli occhi sullo spettacolare panorama che ci circonda e domani saremo al
Concordia.
È un’altra tappa breve quella che ci conduce al circo
Concordia, la zuppa calda ci aspetta nella tenda ma è
difficile staccare lo sguardo dal K2 che ci domina, siamo a 4620 mt. significa quasi 4000 metri netti di dislivello tra noi e la sua sommità, la porta della tenda refettorio e naturalmente spalancata su di esso e pranzare con il K2 là fuori da sapore anche a questo scialbo
brodino.
Dietro il Mitra, davanti Broad e G IV, ai lati K2 da una
parte, il Baltoro Kangri ed il Chogolisa dall’altro,
siamo davvero qui o è un documentario? No è
solo splendida realtà. Il giorno di sosta al
Concordia lo utilizziamo per tentare di
raggiungere il c.b. del K2, è lunga la
camminata per essere un giorno di riposo, 24 Km andata e ritorno, alla fine solo Gigi è così deciso da arrivarci
mentre gli altri si fermano sul Godwin
Austen nella zona del c.b. del Broad
peak nei pressi della confluenza del
ghiacciaio Savoia, ma va bene lo stesso fra un paio di giorni ci aspetta il
passo Gondoghoro a 5620 mt. di quota ed è meglio non esagerare.
Cominciamo a risalire il Baltoro superiore
mentre siamo immersi nelle nubi, quando
imbocchiamo il ghiacciaio Vigne comincia a
nevicare, il tempo che tra sole, nubi e qualche
leggero scroscio di pioggia aveva fin qui tenuto
sembra volerci tradire proprio ora che ci approcciamo al passo. Il cammino è comunque agevole, in
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Gruppo e portatori a Hushe
leggerissima salita su ghiaccio con pochi e stretti crepacci che si passano senza problemi. All’Ali camp a
4900 mt. troviamo il solito brodino fumante ad aspettarci, qui fa base il rescue team, un gruppo di ragazzi
pakistani che offre il loro aiuto sia ai gruppi di trekking
per l’attraversamento del Gondoghoro sia alle spedizioni che effettuano le salite alle cime, uno di essi è tornato da pochi giorni da uno dei Gasherbrum dove era
stato impiegato come portatore d’alta quota. Chiediamo consiglio a loro sulla possibilità di attraversare il passo in queste condizioni di tempo, ci dicono che il sentiero è ben battuto e segnalato da bandierine e che le
corde fisse sono già approntate. Secondo loro non avremo problemi, inoltre alcuni di loro saranno con noi durante l’attraversamento. Riprendiamo il cammino,
ora sui sassi della morena, il nevischio rende scivoloso il
percorso ma sul
ghiac-
ciaio ci sono troppe crepe in questo punto, meglio continuare di qua. In meno di un’ora siamo ai 5100 mt.
Mounir camp o upper camp, il tempo migliora, squarci
di azzurro si fanno largo tra le nuvole e possiamo vedere il passo di fronte a noi al di là del Vigne, speriamo che il tempo tenga e ci permetta l’attraversamento.
In realtà non ci dovrebbero essere problemi per noi anche in caso di cattivo tempo, la nostra preoccupazione
è per i portatori con le loro scarpe di gomma ed il loro
scarso equipaggiamento.
Alle 2 di notte apro la tenda ed è come una pugnalata,
nevica di nuovo. Sembra che nemmeno noi riusciremo
ad attraversare il passo nella seconda metà di agosto
come è già successo ad altri gruppi prima di noi. Deci-
diamo di non decidere nulla al momento ma di aspettare l’alba e vedere come sarà la situazione fra qualche
ora. Al mattino nuvole basse e ancora un po’ di neve,
durante la notte non ne è caduta tantissima, siamo indecisi sul da farsi l’unica cosa che non possiamo fare è
rimanere qui un giorno in più, o si sale o si torna indietro da dove siamo venuti. I trenta portatori che sono ancora con noi sono divisi, alcuni sono disposti a fare il
passo altri sembra di no, alla fine decidiamo di abbandonare i viveri in esubero in modo da caricare poco peso sulle loro spalle, ingaggiamo anche uno del rescue
team per avere un portatore in più, e così alla fine si parte e tutti i portatori sono con noi. Il sentiero è in buone
condizioni, dopo aver attraversato il ghiacciaio in cordata, comincia la salita, la nebbia non ci permette di vedere molto purtroppo ma si sale bene. Il passo lo attraversiamo di corsa, il vento forte e gelido non ci permette di fermarci un po’ nella speranza di un miglioramento della visibilità e cominciamo subito la discesa verso
Xhuspang a 4700. Nonostante le corde fisse la discesa
è molto impegnativa sotto di me però vedo i portatori
scendere abbastanza bene. Al campo quando ci ritroviamo tutti ci complimentiamo l’un l’altro tra noi e con i
portatori i quali stanno festeggiando il passaggio cantando e ballando e anche noi non possiamo evitare di
improvvisare qualche passo con loro.
Il trekking non è finito ma ormai è tutta discesa e l’apparire della prima vegetazione invece di rallegrarci ci
dà un po’ di tristezza pensando a quello che abbiamo
lasciato lassù, è comunque tanto anche quello che ci stiamo portando a casa, gli occhi sono ancora pieni di meravigliose immagini e anche le emozioni provate resteranno a lungo dentro di noi.
Non posso esimermi dal salutare e ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a rendere questa mia prima
volta sul Baltoro indimenticabile, dai portatori al cuoco
alla nostra guida Jan Alam e a tutti i compagni di viaggio, Mariuccia, Gigi , Alberto, Marco, Stefano, Oscar,
Luisa, Ezio e Rosanna. Grazie a tutti.
Concordia e Chogolisa
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