CONGRESSO DI VIENNA
•
•
•
•
•
•
SANTA ALLEANZA
L’EUROPA DOPO IL CONGRESSO
IL PRINCIPE DI METTERNICH
RESTAURAZIONE
LA RESTAURAZIONE IN ITALIA
LO SVILUPPO EUROPEO E LA
QUESTIONE SOCIALE
• LA CRISI DELLA SANTA ALLEANZA
• IL CONGRESSO DI LUBIANA
• CULTURA E POLITICA
La Santa Alleanza e
le prime Amministrazioni internazionali
Un esempio assai precoce di organizzazione internazionale è
rappresentato
dal
Sistema
della
Santa
Alleanza.
Secondo l’immagine che comunemente se ne ha, la Santa Alleanza fu
un patto che ebbe come unico fine quello di favorire e garantire la
restaurazione dell’"Ancien Régime", soffocando ovunque in Europa i
moti rivoluzionari nei quali si manifestava il rinnovato desiderio di
libertà
dei
popoli.
Ma guardata in un’altra ottica, essa appare come un momento
nell’evoluzione della storia dell’organizzazione internazionale e in
particolare dei meccanismi di collettiva sicurezza, ossia di quelle
strutture, come la Società delle Nazioni e l’ONU, cui gli Stati
daranno poi vita per il mantenimento della pace.
Il 26 settembre 1815, a Parigi, lo zar di tutte le Russie, l’imperatore
d’Austria e il re di Prussia conclusero fra loro un trattato di alleanza
scritto con un linguaggio ispirato e mitico, con il quale affermavano
che "i principi avrebbero governato come delegati della divina
provvidenza" e che "il mondo cristiano non ha altro sovrano che
Colui al quale soltanto appartiene il potere”, Dio.
Il 20 novembre dello stesso anno, l’Austria, la Gran Bretagna, la
Prussia e la Russia stipulavano un altro trattato a Parigi con un
contenuto ben più concreto del precedente, in quanto esso prevedeva
una vera e propria alleanza tra le nazioni e una procedura per la
"gestione" delle questioni di interesse generale. Il trattato presentava
nuove caratteristiche rispetto ai canoni della diplomazia tradizionale:
si prevedevano, infatti, a intervalli regolari, riunioni tra i sovrani e i
loro ministri dedicate all’esame delle questioni di interesse generale
per la prosperità dei popoli e il mantenimento della pace in Europa.
Le riunioni si tennero nel 1818 (congresso di Aix-la-Chapelle), nel
1820 (congresso di Troppau), nel 1821 (congresso di Laybavh) e nel
1822 (congresso di Verona).
Questi “ famigerati”, congressi decisero gli interventi repressivi della
Santa Alleanza tesi a soffocare l’insofferenza nei confronti del
dispotismo.
Nonostante il carattere conservatore della Santa Alleanza, possiamo
però cogliere in essa un segno di organizzazione mondiale, dal
momento che essa aveva l’urgente obiettivo della creazione di
meccanismi che potessero limitare, se non addirittura eliminare, il
ricorso alla guerra da parte degli Stati.
Tuttavia, l’organizzazione internazionale come noi la conosciamo
oggi è frutto anche di un altro importante movimento di cooperazione
tra gli Stati che appare nel secolo XIX, quello che porta alla
creazione delle prime "amministrazioni internazionali".
Esse sono figlie della rivoluzione industriale che aveva fatto
compiere passi da gigante all’Europa sotto la spinta di un’evoluzione
inarrestabile. La scoperta del telegrafo, della ferrovia e l’aumento
delle fabbriche portarono ad una intensificazione di traffici,
commerci, viaggi delle persone e delle merci. Era però necessaria una
regolamentazione delle comunicazioni internazionali che poteva
essere attuata esclusivamente mediante una cooperazione tra gli Stati.
Nel 1804 si ha così il primo esempio di amministrazione
internazionale relativa alla navigazione del fiume Reno. Con un
trattato concluso il 15 agosto di quell’anno, la Francia e l’Impero
tedesco istituivano la figura del direttore Generale del Reno, un
funzionario che sarebbe stato nominato congiuntamente da tutti gli
Stati firmatari del trattato e che avrebbe deciso tutte le controversie
che si fossero sollevate a proposito della navigazione e dei relativi
pedaggi..
Anche per gli altri grandi fiumi europei venne tentato con successo
l’esperimento di un’amministrazione internazionale che sopravvisse
durante la Restaurazione. La cooperazione internazionale dei
trasporti ferroviari si ebbe nel 1890, dopo la stipulazione di un
accordo internazionale che istituiva un ufficio centrale con sede a
Berna. Anche le comunicazioni postali furono interessate da un vasto
movimento di cooperazione internazionale, che nasceva dalla
necessità di uniformare i costi di spedizione tra i vari Stati. Così nel
1878 venne istituito un ufficio internazionale con sede a Berna e
nacque l’Unione Postale Universale. La cooperazione internazionale
si fece bene presto intensa anche in campo sanitario, di fronte ai
formidabili problemi sorti con le epidemie. Tra il 1830 e il 1982 ci
furono ben sei epidemie di colera in Europa, tutte originatesi
nell’Estremo Oriente, e arrivate negli Stati Europei attraverso i
viaggiatori ..
I primi provvedimenti internazionali furono quelli che la Gran
Bretagna e la Francia imposero all’Impero Ottomano: la creazione a
Costantinopoli nel 1838 di un Ufficio Sanitario per prevenire la
diffusione del colera. Altri uffici vennero istituiti tra il 1840 e il 1880
a Tangeri, ad Alessandria d’Egitto, a Vienna e a l’ Avana. Non
possiamo dire che nel XIX secolo l’organizzazione internazionale
come oggi la conosciamo esistesse già; ma certamente ne erano già
state poste le premesse. L’ideale della cooperazione internazionale e
della necessità di moltiplicare tutti gli sforzi per la pace mondiale si
era ormai affermato. Ma i trattati internazionali non erano ancora
nulla di concreto, in quanto gli Stati Europei non volevano rinunciare
alla propria sovranità. Ci sarebbe infatti voluta la tragedia della prima
guerra mondiale affinché questi progetti venissero avviati verso
l’ambizioso traguardo di un’organizzazione di tutte le nazioni del
mondo.
IL CONGRESSO DI VIENNA
Il Congresso di Vienna (22 settembre 1814-10 giugno 1815)
ispirandosi al principio legittimità, sostenuto da Talleyrand,
tende a ricostruire gli Stati esistenti anteriormente alla
Rivoluzione francese, il che ha come conseguenza la
restaurazione dell'equilibrio europeo, rotto dalle guerre
rivoluzionarie e napoleoniche.
Dopo la caduta dell’Impero napoleonico, le potenze vincitrici
(Austria, Russia, Inghilterra e Prussia) vogliono
1) reprimere le spinte di rinnovamento politico-sociale e le
esigenze di nazionalità che il rivolgimento napoleonico aveva
sollevato in tanta parte d’Europa;
2) restaurare le legittime dinastie e le autorità tradizionali;
3) delimitare le nuove frontiere fra gli Stati, assicurando il
contenimento della Francia e l’equilibrio europeo.
La Francia inviò come osservatore il ministro Talleyrand, il quale seppe
impedire che il Congresso si trasformasse in una coalizione antifrancese.
Talleyrand, infatti, approfittando del contrasto che divideva Russia e
Prussia da Austria e Inghilterra (la Russia voleva l ’assorbimento della
Polonia, mentre l’Inghilterra voleva impedirglielo; la Prussia voleva la
Sassonia, ma l’Austria era contraria), sostenne il principio di legittimità,
secondo cui i territori europei dovevano ritornare a quei sovrani che per
eredità vi avevano regnato prima del 1789. Questo principio ignorava
volutamente quello della sovranità popolare, affermato dalla Rivoluzione
francese.
Costituiscono importanti eccezioni all'applicazione del principio
legittimista:
* la mancata restaurazione del Sacro Romano Impero,
* quella di un Regno Indipendente di Polonia,
* l'unione della Norvegia alla Svezia
* il mancato ristabilimento di alcune Repubbliche:
* la creazione di un Regno dei Paesi Bassi, che sostituisce la Rep. delle
Province Unite, l ’annessione delle Repubblica di Venezia all'Austria.
* In Italia scompaiono le repubbliche di Venezia, Genova e Lucca. Il
regno di Sardegna è restituito a Vittorio Emanuele I di Savoia (1802-21)
che si annette la Liguria. Il regno Lombardo-Veneto passa all’Austria.
Ma come un ’ombra l'Austria sovrasta e influenza la politica dell'intera
penisola. Molti altri ducati vengono assegnati a dinastie imparentate con
la Casa d’Asburgo (Parma, Piacenza, Modena, Reggio, Toscana,
Lucca...). I regni di Napoli-Sicilia passano a Ferdinando I di Borbone
(*), che diventa re delle Due Sicilie (1815-25), legato all’Austria da un
trattato di alleanza militare. Lo Stato Pontificio venne restituito a Pio VII
(1800-23).
(*) Ferdinando I di Borbone era figlio di Re Carlo III e di Maria Amalia
di Sassonia, salì al trono quando il padre divenne Re di Spagna (1759) e
rimase sotto la tutela di un Consiglio di reggenza.
Raggiunta la maggiore età aveva sposato (1768) Maria Carolina figlia di
Maria Teresa dei Lorena-Asburgo (quindi austriaca), questa donna (non
smentendo il suo sangue) ossessionata dalle idee di libertà e uguaglianza
che si diffusero anche a Napoli con la Rivoluzione Francese, influenzò
fortemente Ferdinando che diede (fino al 1825) un nuovo indirizzo alla
politica estera passando dall'orbita spagnola a quella austro-asburgica)
* la mancata restituzione di Malta all'Ordine omonimo.
* ) L’Inghilterra non ebbe in Europa vantaggi rilevanti, ma entrò in
possesso di molte colonie francesi e olandesi (Guiana, Ceylon)
L'Impero Germanico è sostituito dalla Confederazione Germanica, in cui
primeggiano Austria e Prussia; la presidenza della Dieta, che ha sede a
Francoforte, spetta all'Austria.
Il numero degli stati germanici è ridotto da più di 360 a 39 (si tratta
soprattutto di una decimazione amministrativa), quello delle città libere
da 51 a 4, i Principati e Feudi Ecclesiastici non vengono ristabiliti.
L'antico Elettorato di Hannover, eretto a Regno, è restituito alla Casa
reale inglese come feudo maschile.
Fanno parte della Confederazione Germanica il Regno dei Paesi Bassi,
cui è stato attribuito il Granducato di Lussemburgo, e la Danimarca cui,
in cambio della Norvegia, sono stati dati i Ducati di Holstein e di
Lauenburg, fonte questa di gravi e lunghe complicazioni future. Anche
l'annessione alle antiche Province Unite degli ex Paesi Bassi austriaci, la
cui popolazione cattolica latina (i Valloni) si ribellerà contro il Re dei
Paesi Bassi, e l'attribuzione all'Austria del Lombardo Veneto dovrà
fatalmente indebolire la compagine, già poco salda, dell'Impero
austriaco.
Al Congresso di Vienna non è ammessa la Turchia, che non fa
pertanto parte del disegno europeo, esclusione voluta soprattutto
dalla Russia, la quale spera nella conquista di Costantinopoli e
nell'ottenimento di uno sbocco sul Mediterraneo.
Il Congresso di Vienna sebbene si sia opposto alle aspirazioni nazionali
ed abbia violato le leggi geopolitiche, ha posto anche dei princìpi giusti e
fecondi: ha soppresso la tratta dei Negri, ha favorito la libera circolazione
sui fiumi internazionali (Reno, Danubio e Vistola) ed infine ultimo ma
non meno importante ha garantito alla Svizzera la sua neutralità
permanente.
Modificandosi in tal maniera l'aspetto geopolitico, si resero necessarie
nuove alleanze al fine di mantenere l'equilibrio. La Santa Alleanza,
stipulata a Parigi il 26 settembre 1815 fra Austria, Prussia e Russia, patto
a cui aderiscono in seguito a titolo personale Francia e Inghilterra, verrà
strumentalizzata dal Metternich per mantenere l'ordine e l'equilibrio
grazie al principio di intervento, al quale l'Inghilterra opporrà il principio
di non intervento, che favorirà l'emancipazione delle colonie spagnole, la
trasformazione del regime in Francia (1830) e la costituzione
Il periodo che va dal Congresso di Vienna alla Rivoluzione parigina del
1830 (che rilancia l’esperienza liberale su scala europea) si chiama
dunque RESTAURAZIONE (di autorità presunte legittime ma, più in
generale, di aspetti conservatori della vita pubblica). Si afferma così
l’Europa legittimista.
In Italia la restaurazione è sostenuta non solo dall’Austria, ma anche dai
Savoia, Borbone e Stato pontificio. Quest’ultimo ristabilì l’ordine dei
gesuiti, chiese ai governi che l’istruzione pubblica fosse restituita al
monopolio delle scuole confessionali, ottenne che ogni attività culturale
fosse sottoposta a preventiva censura ecclesiastica, che la stampa e la
diffusione di opere proibite dalla Congregazione dell’Indice venissero
perseguite dal potere giudiziario come reati civili, soppresse il codice
napoleonico e ricostituì il tribunale dell’Inquisizione.
In Italia la borghesia, frantumata nei vari piccoli Stati, non aveva campo
d’azione. La vita interna degli Stati italiani era caratterizzata da strutture
proprie di una società preindustriale.
L’intensificazione dei traffici coi mercati d’oltralpe (era aumentata la
richiesta di seta e cotone nonché di generi alimentari pregiati) rendeva
ancor più evidenti le condizioni di arretratezza. L’Italia rischiava d’essere
tagliata fuori dagli sviluppi del capitalismo industriale dell’occidente
europeo. Produttori e commercianti chiedevano: unificazione doganale e
creazione di un organico e moderno sistema di comunicazioni interne.
A far cambiare qualcosa - a partire dal 1820- furono soprattutto gli
scrittori romantici, che intrapresero un’opera di sprovincializzazione
della cultura italiana, inserendola nel più vasto moto del Romanticismo
europeo.
L'Europa del Congresso di Vienna
Il congresso di Vienna (1 novembre 1814 - 9 giugno 1815) ha
costituito lo sforzo concreto dei rappresentanti delle grandi potenze
di ridisegnare il profilo geo-politico dell’Europa. Pur essendo gli
interessi di ciascuno stato diversi, esisteva un fine comune: la
restaurazione monarchica, favorita dalla costruzione di un equilibrato
sistema degli stati che consentisse una pace stabile. Si strinsero a
questo scopo alleanze, si cercò di consolidare il potere
dell’aristocrazia terriera, tutto questo accompagnato da una
restaurazione ideologica, costituita principalmente dal legittimismo
(che sanzionava la sovranità per diritto divino) e il tradizionalismo
(che affermava l’esistenza di un ordine gerarchico immodificabile).
Tuttavia questo nuovo equilibrio appariva instabile: erano avvenuti ,
infatti, ingenti cambiamenti, fra i quali la presenza di nuove energie
politiche (terzo stato e il nascente proletariato), più consapevoli del
loro ruolo e il processo di industrializzazione in corso, che vedeva
l’Inghilterra, sempre più forte sul piano economico e commerciale,
mettere in discussione i rapporti di forza fra le potenze.
A Vienna in quei mesi si riuniscono i rappresentanti delle monarchie
europee, i quali, da principali protagonisti di un improbabile viaggio
indietro nel tempo nella speranza di cancellare dalla scena
l'importante parentesi napoleonica, erano sì accomunati dall'intento
di ripristinare il vecchio ordine, ma altrettanto divisi per quanto
riguarda le strategie e alcuni intenti che rimanevano profondamente
differenti.
Nella situazione creatasi, l'Inghilterra, rappresentata da Lord
Castlereagh mirava alla salvaguardia del suo sviluppo industriale ed
imperialistico e non intendeva assumersi responsabilità dirette nel
quadro europeo, cercava però di limitare le forme egemoniche messe
in atto da altri paesi. Particolarmente scomoda è per gli inglesi la
Russia, che si pone come la più intransigente delle potenze
restauratrici ed inoltre mira all'espansione nei Balcani e nel
continente americano. Il vero problema è che le forze dello Zar, fino
a quel tempo basate sulle unità militari terrestri, incominciarono
l'allestimento di una flotta con una conseguente espansione marittima
di certo avversa alla potenza britannica, che era da considerasi come
vera e propria regina delle rotte commerciali marittime mondiali.
Gli inglesi infatti, oltre che a mantenere il controllo commerciale
sulle coste dell'Atlantico, continuavano la loro politica di espansione
in India e nel Sudest asiatico, ed ebbero come ricompensa per la sua
lunga lotta con la Francia numerose basi navali nel Mediterraneo, tra
le quali Malta, e lungo le rotte per l'Asia.
Era comunque interesse primario degli Inglesi impedire l'emergere di
una nuova nazione egemone nell'Europa continentale, e ciò spiega il
perché una nazione di orientamento liberale abbia partecipato ad un
riassetto di tipo conservatore.
Tra il ristretto numero di rappresentanti che presero le reali decisioni,
riuscì ad inserirsi anche l'abilissimo rappresentante della sconfitta
Francia, Talleyrand, che era stato vescovo prima della rivoluzione,
poi deputato nelle assemblee, stretto collaboratore di Napoleone ed
artefice del passaggio di potere dall'imperatore a Luigi XVIII.
Egli riuscì a far valere in difesa del suo paese il cosiddetto principio di
legittimità, in base al quale dovevano essere anzitutto restaurati i diritti
violati dalla rivoluzione, e dunque anche quelli dei Borbone, re di Francia
per diritto divino.
La Francia fu destinata ad un ridimensionamento del suo ruolo
internazionale, ma a rimanere intatta territorialmente, nonostante le
pressioni della Prussia per l'annessione dell'Alsazia e della Lorena.
Questo disegno soddisfaceva a pieno i progetti su scala continentale del
Congresso: si limitava notevolmente la portata politica francese al fine di
evitare un ripetersi della supremazia del Paese come accaduto con il
periodo napoleonico, e nello stesso tempo si lasciava il regno di Luigi
XVIII integro territorialmente, sia per favorire il disegno di equilibrio
delle potenze, sia per non far passare la restaurazione della dinastia
borbonica come una troppo bruciante umiliazione, che avrebbe
comportato un'immediata impopolarità del nuovo sovrano; come ulteriore
precauzione, fu creata una barriera protettiva ai suoi confini, rafforzando
gli Stati vicini, i Paesi Bassi, il regno di Sardegna e la Prussia.
Scopo degli statisti riuniti a Vienna era non solo quello di cancellare
le conseguenze degli eventi rivoluzionari accaduti negli ultimi
venticinque anni, ma anche quello di rendere impossibile il ripetersi
di simili eventi, costruendo, mediante passaggi di intere regioni da
uno Stato all'altro, un equilibrio che fosse il più possibile solido e
duraturo.
Tali spostamenti comportarono comunque una certa
razionalizzazione della geografia europea, con la definitiva
scomparsa del Sacro Romano Impero, vetusta creatura politica
presente sul panorama europeo dall'età Ottoniana e formato, fino alla
sua dissoluzione da parte di Napoleone nel 1806, da centinaia di
staterelli, sottoposti nominalmente all'autorità dell'imperatore, ma in
realtà praticamente indipendenti. Fu invece creata una
Confederazione Germanica, formata da 39 stati tedeschi, comprese la
Prussia e l'Austria, e la presidenza della quale spettava all'imperatore
d'Austria.
La Russia si espanse verso occidente, inglobando buona parte della
Polonia e la Finlandia, mentre la Prussia annetteva la Sassonia ed una
serie di territori nella zona del Reno (Colonia, Treviri ed il bacino
della Ruhr) e Spagna e Portogallo si segnalavano come potenze
coloniali in declino.
L'Austria invece rinunciava al Belgio ed al Lussemburgo, che
formarono, insieme all'Olanda, il regno dei Paesi Bassi, ottenendo in
cambio il territorio dell'ormai defunta Repubblica di Venezia, che fu
unito alla Lombardia nel Regno Lombardo-Veneto, e, grazie alle doti
diplomatiche di Metternich consolidava la sua posizione in Germania
(considerata, al pari dell'Italia, solamente come un'espressione
geografica) e nel nostro Paese.
In Italia la situazione ritornò apparentemente allo status quo ante,
con la scomparsa però delle antiche repubbliche di Genova, Venezia
e Lucca ed un rafforzamento della presenza austriaca: il granduca di
Toscana Ferdinando III di Asburgo-Lorena, era infatti fratello di
Francesco I d'Austria, ed erano inoltre imparentati con la casa
d'Austria anche Maria Luisa, duchessa di Parma e Piacenza, e
Francesco IV d'Asburgo-Este, duca di Modena e Reggio, l’Austria
controllava direttamente Lombardo-Veneto, il Trentino, Trieste e
parte dell'Istria.
Il regno di Napoli fu restituito a Francesco I di Borbone, che si legò
con un trattato di alleanza militare all'impero, mentre anche lo Stato
Pontificio accoglieva guarnigioni austriache.
L'unico stato italiano che mantenne una certa indipendenza fu il
regno di Sardegna, che ricevette alcuni territori della Savoia e la
Liguria, e vide aumentare la sua importanza come stato-cuscinetto
nei riguardi della Francia.
In questa situazione del quadro europeo le principali potenze sono
portate a rendere stabile e durevole la conformazione politica del
continente e stringono per questo patti e alleanze. Il 15 settembre
1815 Russia, Prussia e Austria (più tardi aderirà anche la Francia),
stringono la Santa Alleanza, voluta dallo Zar Alessandro e basata su
criteri mistico-reazionari al fine di mantenere l'ordine assolutistico e
religioso e il principio dinastico. L'Alleanza firmata "in nome della
Santissima e Indivisibile Trinità", ha il principale obiettivo del
controllo e dove possibile della repressione del movimento liberale
europeo. L'Inghilterra invece propone il patto segreto della
Quadruplice Alleanza con Russia, Prussia e Austria, il cui scopo è di
scongiurare il ripetersi di un nuovo periodo napoleonico e di
istituzionalizzare il "concerto europeo", ovvero la pratica di
periodiche conferenze per il controllo della situazione politica.
La storia ci ha dimostrato in seguito come questa situazione non potesse
essere concretamente durevole e come non si potesse con un congresso
eliminare la parentesi napoleonica. L'impero costruito dal generale
Bonaparte aveva contribuito ad una progressiva interdipendenza politica
ed economica del continente, che veniva ignorata dai progetti delle
grandi potenze, le quali volevano di fatto affiancare una stagnante e
retrograda conformazione politica con una dinamica situazione
industriale e finanziaria, che trovava i suoi principali centri in Inghilterra.
E' infatti la City di Londra il cuore delle transazioni finanziarie europee
ed è proprio dal mercato londinese che le potenze dovevano attingere i
fondi per far fronte ai propri impegni economici. La dottrina del libero
scambio, sostenuta dagli Inglesi fin dagli ultimi decenni del Settecento si
presentava vincente soprattutto considerando che la libertà di commercio
era la principale richiesta degli emergenti ceti imprenditoriali dell'intero
continente.
Voci per un Dizionario del Pensiero Forte
La Restaurazione
di Marco Invernizzi
Il Congresso di Vienna
Con il termine Restaurazione viene indicato il periodo
della storia europea successivo alla sconfitta militare di
Napoleone Bonaparte (1769-1821) e al venir meno del
sistema imperiale da lui costruito nel ventennio dal 1796
al 1815, nello stesso tempo facendo riferimento sia alla
ripresa dei princìpi precedenti la Rivoluzione francese —
cioè caratterizzanti l’Antico Regime —, sia al ritorno dei
prìncipi sui troni degli Stati sui quali Napoleone aveva
dominato, a partire dal rientro dei Borboni in Francia.
L’esame dell’operato dei governi dopo il 1815 mostra però
come non si sia verificata un’autentica restaurazione dei
princìpi pre-rivoluzionari, soprattutto perché la cultura
politica delle classi dirigenti è intrisa dell’ideologia
illuminista e del giurisdizionalismo, cioè dalla dottrina
dell’assolutismo illuminato che subordinava la religione
agli interessi dello Stato che aveva dominato negli Stati
europei del Seicento e del Settecento.
L’evento principale della Restaurazione è il congresso —
tenuto a Vienna dal 22 settembre 1814 al 10 giugno 1815
— nel quale i responsabili delle potenze che avevano
costituito la quadruplice alleanza contro Napoleone
gettano le basi del sistema politico che garantirà la pace
all’Europa nei trent’anni successivi. A Vienna sono
rappresentati l’impero austriaco, il regno di Prussia,
l’impero degli zar e il Regno Unito.
A essi si deve aggiungere il Regno di Francia, presente
con Charles-Maurice Périgord, principe di Talleyrand
(1754-1838), un ex abate sempre nella cerchia dei
potenti, sotto qualsiasi governo di qualunque tendenza,
prima con quelli rivoluzionari, poi con Napoleone, ora con
re Luigi XVIII di Borbone (1755-1824). Questi i
protagonisti del congresso, anche se ai lavori prendono
parte diplomatici di altri Stati.
Oltre al nuovo assetto istituzionale e politico dato
all’Europa, il risultato più importante del Congresso di
Vienna è la costituzione della Santa Alleanza fra l’impero
dello zar, il regno di Prussia e l’impero austriaco, con la
quale questi Stati s’impegnavano a considerarsi parti di
un unico popolo soggetto al medesimo Dio, che insieme
avrebbero protetto dai nemici sia esterni che interni.
UN’ALTRA OPINIONE SULLA RESTAURAZIONE...
Il principe di Metternich
Artefice e arbitro del Congresso di Vienna è Klemens
Wenzel Lothar, principe di Metternich (1773-1859), forse
il protagonista della lotta contro Napoleone, al quale
succede come figura di primo piano nella storia europea.
Entrambi, negli opposti campi della Rivoluzione e della
Contro-Rivoluzione, sono specularmente simili, perché
atipici nei rispettivi schieramenti. Come Napoleone fa
senz’altro parte del mondo rivoluzionario e, anzi, dà un
contributo decisivo allo sviluppo del processo
rivoluzionario, soprattutto istituzionale, in Europa — pur
essendo atipico rispetto all’immagine corrente del
rivoluzionario —, così Metternich dedica senz’altro tutta la
sua vita pubblica a combattere la Rivoluzione, pur senza
essere un contro-rivoluzionario.
Infatti, più che un portatore di una visione del mondo
immutabile — come sono i contro-rivoluzionari,
consuetamente ridotti a semplici sostenitori dell’Antico
Regime — è lo strenuo difensore di un ordine politico
realizzatosi in un determinato tempo storico e un fedele
servitore della monarchia asburgica, che serve con tutta
la sua intelligenza e abilità diplomatica, pur condividendo
in parte le premesse ideologiche illuministiche della
Rivoluzione. L’ottica con la quale studia e combatte la
Rivoluzione è essenzialmente politica, in quanto vede in
essa la nemica dell’ordine e dell’armonia fra gli Stati, cioè
della concezione politica riassunta nella divisa "La vera
forza nel diritto", contenuta nel suo testamento politico.
Metternich concepisce il Congresso di Vienna e la Santa
Alleanza come strumenti per attuare una politica di
solidarietà fra gli Stati che riposi — come scrive nelle
Memorie — "[...] sulla medesima base della grande
società umana formatasi in seno al cristianesimo. Questa
base non è altro che il precetto formulato nel Libro per
eccellenza: "non fare ad altri ciò che non vuoi sia fatto a
te"". La mancanza di una più completa prospettiva
religiosa e culturale è probabilmente conseguenza
dell’educazione — ispirata alla pedagogia illuminista di
Johann Bernhard Basedow (1723-1790), il fondatore del
"filantropismo" — ricevuta da un precettore giacobino dal
1787 al 1790 e dell’insegnamento che gli viene impartito
all’università di Strasburgo, in particolare da un
professore di Diritto Canonico
— del quale Metternich non rivela il nome —,
successivamente divenuto vescovo di Strasburgo e poi
apostata in nome dei princìpi rivoluzionari;
se, con i loro eccessi, questi uomini suscitano nel giovane
Metternich repulsione per l’ideologia giacobina, d’altro
canto in qualche modo lo privano dell’educazione che gli
avrebbe permesso di risalire alle cause del processo
rivoluzionario e, quindi, di cogliere le responsabilità
dell’illuminismo — anche nella versione del dispotismo
illuminato — in quella rivoluzione che avrebbe combattuto
per tutta la vita.
Se il Congresso di Vienna, con il ritorno dei sovrani sui
troni occupati da uomini di Napoleone e con la solidarietà
degli Stati contro la Rivoluzione, dà all’Europa un lungo
periodo di pace dopo vent’anni di guerra praticamente
ininterrotta, la Rivoluzione continua a operare
occultamente nelle diverse nazioni, talora emergendo,
come nei moti del 1820 e del 1821 in Spagna, nel
Mezzogiorno d’Italia, in Piemonte e in quelli del 1830, che
portano all’instaurazione di una monarchia liberale in
Francia con re Luigi Filippo d’Orléans (1773-1850), prima
di esplodere nel 1848 nelle insurrezioni delle principali
capitali europee.
La Restaurazione in Italia
Il Congresso di Vienna ricostituisce nella penisola italiana
dieci Stati: il Regno di Sardegna, il Regno LombardoVeneto sotto l’imperatore d’Austria, il Ducato di Parma e
di Piacenza, il Ducato di Modena e di Reggio, il Ducato di
Massa e Carrara, il Granducato di Toscana, il Ducato di
Lucca, lo Stato della Chiesa — comprendente anche le
Legazioni di Bologna, Ferrara e Ravenna, le Marche,
Benevento e Pontecorvo —, la Repubblica di San Marino,
il Regno di Napoli e di Sicilia, mentre Trentino, Sud Tirolo
e Venezia Giulia tornavano all’impero austriaco.
L’Italia era rimasta profondamente segnata dal regime
napoleonico.
Dal punto di vista ecclesiale, gli ordini religiosi, le
congregazioni e le confraternite soppressi dai governi
rivoluzionari vengono restaurati solo in minima parte:
"[...] nella diocesi di Milano — scrive per esempio lo
storico Guido Verucci — si hanno nel 1818 solo 1 casa
religiosa maschile e 2 femminili, e in quella di Bergamo,
nel 1825, 1 maschile e 3 femminili, contro 24 maschili e
34 femminili esistenti alla fine del Settecento". Anche la
politica giurisdizionalistica attribuibile all’impero
austriaco, almeno fino al Concordato del 1855, avrà la
sua parte di responsabilità nell’ostacolare la rinascita
religiosa, ciò favorira’ il distacco popolare dall’autorità
imperiale attenuando l’ostilità del mondo cattolico verso
le società segrete e le forze rivoluzionarie.
Nel mondo cattolico fioriscono nuove forme di apostolato,
fra le quali alcune specificamente sorte per combattere la
Rivoluzione sul piano culturale, come il movimento laicale
Amicizia Cristiana — Cattolica dopo il 1815 —, diffuso
soprattutto nell’Italia Settentrionale, e nascono numerosi
giornali contro-rivoluzionari come L’Enciclopedia
ecclesiastica e morale, pubblicata a Napoli nel 1821 dal
teatino Gioacchino Ventura (1792-1861), le Memorie di
religione, di morale e di letteratura, fondate a Modena nel
1822 da monsignor Giuseppe Baraldi (1778-1832), e
L’Amico d’Italia, sorto a Torino nello stesso anno per
iniziativa del marchese Cesare Taparelli d’Azeglio (17631830).
Ma il periodo napoleonico lascerà segni profondi e
duraturi soprattutto sul piano giuridico:
"Indipendentemente da ogni considerazione del suo
contenuto normativo sostanziale — ricorda Guido Astuti
(1910-1980) —, la vera novità e originalità del C. N. [il
Codice Napoleone] sta nel valore giuridico formale della
codificazione, compiuta in attuazione di nuovi principi
teorici, che la differenziano nettamente da tutte le
precedenti compilazioni o consolidazioni legislative,
determinando una radicale trasformazione del sistema
delle fonti del diritto, e con essa l’inizio di una nuova età
nella storia della nostra civiltà giuridica.
"Ad un ordinamento fondamentalmente consuetudinario e
giurisprudenziale, quale era stato nei secoli il diritto civile,
dai tempi di Roma fino a tutto il secolo XVIII, il codice
sostituiva un ordinamento interamente legislativo, in cui
la volontà sovrana del legislatore si poneva come fonte di
produzione unica, o almeno tendenzialmente esclusiva di
fronte alla consuetudine e alla giurisprudenza; ad un
sistema come quello del diritto comune, caratterizzato da
una pluralità e gerarchia di fonti, quale si era venuto
svolgendo nel pluralismo politico e nel particolarismo
giuridico dei secoli di mezzo,
sulla duplice base del privilegio e dell’autonomia,
succedeva il sistema del diritto codificato, costituito da un
solo testo legale, contenente un complesso normativo
unitario, sistematicamente ordinato e suddiviso in articoli,
in cui materiali vecchi e nuovi, di diversa derivazione e
natura, erano insieme rifusi ed uniformemente presentati
con formule concise e precise, come parti organiche di un
unico corpo".
Dopo il Congresso di Vienna
Negli anni successivi al Congresso di Vienna l’opera della
Rivoluzione continua all’interno degli Stati italiani sia a
livello delle società segrete che del personale
governativo. Già nel 1816 Antonio Capece Minutolo,
principe di Canosa (1768-1838), uno dei principali
rappresentanti della posizione contro-rivoluzionaria in
Italia — cioè di una riforma culturale e civile prima che
politica, che restaurasse i princìpi del diritto naturale e
cristiano e abolisse tutte le riforme rivoluzionarie
introdotte durante il ventennio napoleonico e anche nel
tempo del dispotismo illuminato — è costretto a
dimettersi da ministro della polizia nel Regno di Napoli
per volere del primo ministro Luigi cavalier de’ Medici,
principe di Ottaiano e duca di Sarno (1759-1830),
favorevole al mantenimento delle riforme illuministiche.
Pochi anni dopo, nel 1819, il conte Prospero Balbo (17621837), un liberale già funzionario del regime napoleonico,
è nominato primo segretario di Stato per gli Affari Interni
del Regno di Sardegna. Così, mentre in tutti gli Stati
italiani vengono mantenuti i codici napoleonici, cioè le
principali conquiste rivoluzionarie, e le classi dirigenti,
civili e militari, continuano a essere ampiamente
caratterizzate dalla presenza di ex collaboratori dei regimi
napoleonici, le forze liberali si organizzano per far
compiere alla società un nuovo passaggio rivoluzionario.
Nel dicembre del 1818, ad Alessandria, Filippo Buonarroti
(1761-1837) fonda la società segreta dei Sublimi Maestri
Perfetti, organismo con il quale cercherà di controllare la
rete delle società segrete operanti nel paese,
fra cui la Federazione Italiana guidata dal conte Federico
Confalonieri (1785-1846), operativa soprattutto in
Lombardia, la Costituzione Latina, nata nelle Legazioni
pontificie dalla fusione di elementi della Carboneria con
uomini della Società Guelfa, e, soprattutto nel Meridione,
la stessa Carboneria.
L’influenza nel corpo sociale delle società segrete insieme
a quella degli elementi liberali presenti nei governi
prepareranno il crollo degli Stati della Restaurazione sotto
la pressione del Regno di Sardegna, dopo il 1848
guadagnato alla causa rivoluzionaria e forte dell’appoggio
degli Stati francese e inglese.
LA
(INUTILE)
RESTAURAZIONE
Il termine che all'inizio fu impiegato in Francia per indicare l'età del
ristabilimento sul trono del ramo primogenito dei Borboni, passò ben
presto a designare l'epoca della storia dell'intera Europa che va dal 1815
al 1830, caratterizzata dal ritorno nelle monarchie restaurate dopo la
caduta di Napoleone, del principio di legittimità del diritto divino in
contrapposizione al principio di legittimità democratico affermato dalla
Rivoluzione Francese.
Ma se il legittimismo fu un carattere essenziale di quell'epoca, la
restaurazione non fu un movimento storico puramente reazionario che
mirava al semplice ritorno dell'ancien régime. Soltanto in pochi casi
come nella Spagna di Ferdinando VII ed in alcuni principati tedeschi ed
italiani (per esempio Napoli), i sovrani adottarono linee di condotta
decisamente reazionarie, reprimendo ogni nuovo fermento .
Per la maggior parte, gli stati d'Europa furono retti o con il regime
costituzionale (piuttosto vago) o con una forma di assolutismo
paternalistico: Luigi XVIII non si mostrò favorevole agli "ultras",
fautori dell'estrema destra; e lo stesso Metternich costrinse Ferdinando di
Napoli a disfarsi del ministro Canosa per i suoi metodi reazionari.
Durante la Restaurazione furono in genere mantenuti il nuovo sistema
amministrativo ed i nuovi codici, così come furono legittimati gli
acquisti di beni ecclesiastici e feudali avvenuti durante il periodo della
Rivoluzione. Non va neppure taciuto che l'età della Restaurazione fu
caratterizzata da un'abile opera di ricostruzione economica e finanziaria e
da un'accorta politica intesa al mantenimento della pace tra le potenze
europee.
Ciononostante la Restaurazione fallì nel suo compito fondamentale, e
cioè nell'attuazione di una conciliazione del passato con il presente,
perché disconobbe le nuove esigenze di libertà, di democrazia e di
nazionalità, potentemente portate alla ribalta dalla Rivoluzione e diffuse
in Europa da Napoleone.
"Quale gioventù é mai questa che io lascio! Essa é nondimeno opera
mia! E vendicherà abbastanza gli oltraggi ch'io soffro, colle chiare
opere che da essa usciranno"... "Ma non iscorgono essi che uccidono
in me se medesimi colle proprie mani?" (Da Sant'Elena, Memoriale).
Il 1848 era ancora lontano, ma la pagina era già stata scritta!
Tali nuovi princìpi, si andavano sempre più affermando nonostante il
rigore delle polizie. L'impiego della Chiesa come "instrumentum regni",
nel tentativo di tenere a freno le nuove generazioni coll'educazione
religiosa, cagionò, al contrario, il sorgere del Cattolicesimo liberale.
I popoli intendevano rinnovare la vita dello Stato e chiedevano di
partecipare al potere pubblico, e l'abile Concerto degli Stati europei
architettato da Metternich non poteva contrastare che temporaneamente,
l'imporsi delle tendenze liberali e democratiche.
Il tentativo di Carlo X, con la collaborazione del principe de Polignac,
d'instaurare in Francia un regime autenticamente controrivoluzionario,
provocò invece la rivoluzione del Luglio del 1830 : questa rivoluzione,
anche se i suoi effetti non si diffusero durevolmente in Europa, segnò la
fine della restaurazione. Dopo Napoleone era inutile far finta di nulla,
l'Europa non era più quella di prima.
Nel '20-'21 erano iniziati i primi fermenti e primi moti (quelli di Napoli,
seguiti da quelli Piemontesi); nel '31 divennero numerosi e consistenti i
tumulti e le ribellioni; nel '48 esplosero, e questa volta non solo in
Francia, in Italia, in Germania, ma nella stessa Austria, e Metternich fu
messo alla porta.
Ma la politica austriaca non cambiò molto soprattutto nei confronti
dell'Italia .
Dal '48 in poi "gli Asburgo seminarono malcontento su tutta Europa" (lo
scrive il tedesco Alessandro Assia - fratello della zarina, parente dei
Windsor, insofferente luogotenente austriaco a Milano, infine consigliere
del giovane Francesco Giuseppe a Villafranca) con scellerate alleanze e
con ambigui patti (spesso originati da dissapori e antipatie familiari come gli Assia, i Romanov, i Savoia, i francesi di Napoleone III).
Iniziarono gli Austriaci -perché ambigui- ad essere sempre più isolati,
dalla Russia zarista, e soprattutto dalla Prussia diventata Germania. Il
colpo di grazia alla fine arrivò nel 1914. Nell'incapacità di mettersi
d'accordo, all'esterno come all'interno, crollarono così tre imperi storici.
E i belligeranti (e non solo quelli perdenti) uscirono dal conflitto tutti
sconfitti, in quanto la guerra segnò - se non la causò direttamente - uno
spostamento della potenza internazionale dall'Europa all'America da un
lato, alla Russia sovietica dall'altro. Per rimanere da quel momento in
avanti (i 2 blocchi) i soli padroni assoluti dell'Europa, nella Prima Guerra
Mondiale, che diede poi origine - dopo una pausa- anche alla Seconda.
Lo sviluppo economico europeo e la questione
sociale
Durante gli ultimi decenni del XVIII secolo e la prima meta' del XIX
ebbe luogo la cosiddetta "rivoluzione industriale", provocata dall'impiego
di nuove fonti di energia, dall'invenzione delle prime macchine
industriali e, conseguentemente, dalla radicale trasformazione dei metodi
di produzione.
Iniziata in Inghilterra, per molteplici ragioni di cui la più importante fu il
fortissimo incremento demografico e quindi l'accresciuta domanda di
beni di consumo, questa rivoluzione era destinata a sconvolgere, nel
campo economico e sociale, tutte le vecchie abitudini, a modificare i
rapporti tra imprenditori e lavoratori. Le prime ad affermarsi furono le
industrie tessili, ma in seguito, a causa della crescente richiesta di
macchinari, importantissima divenne l'industria meccanica e siderurgica;
l'industria estrattiva ebbe di conseguenza un enorme incremento.
Le nuove macchine rivoluzionarono anche i mezzi di trasporto: nel 1807
lo statunitense Fulton costrui' la prima imbarcazione a vapore; nel 1814
l'inglese Stephenson applico' la macchina a vapore a una locomotiva.
Contrariamente a quanto succedeva in Inghilterra, in Italia l'agricoltura
rimase l'attivita' prevalente, mentre assai meno favorita fu l'industria,
fatta eccezione per quella tessile del nord.
In Inghilterra e poi in tutta Europa la rivoluzione industriale ebbe gravi
ripercussioni sociali; i progressi dell'agricoltura e l'aumento demografico
provocarono una forte emigrazione verso i nuovi centri industriali.
Questi lavoratori, che per l'eccesso di manodopera vivevano nella paura
della disoccupazione ed erano costretti ad accettare inumane condizioni
di lavoro, costituirono una nuova classe sociale cui fu dato il nome di
proletariato. Fin dai primi decenni dell'800, fremiti di ribellione
cominciarono a scuotere le masse operaie e la "questione sociale" si
impose in tutta la sua gravita'.
Agli sforzi del proletariato di organizzarsi per difendere i loro diritti
vennero incontro i primi assertori del socialismo. In Inghilterra, Robert
Owen introdusse per primo nelle sue fabbriche innovazioni igieniche e
sanitarie e mise in atto importanti esperimenti di collaborazione tra
padroni e operai; alla sua azione sociale fece riscontro sul piano politico
il "movimento cartista".
In Francia Saint-Simon e Proudhon elaborarono teorie per una diversa
organizzazione della societa'. Karl Marx contrappose a questo
socialismo, che egli giudicava utopistico, il proprio socialismo
scientifico, pubblicando insieme a Friedrich Engels il MANIFESTO
DEL PARTITO COMUNISTA.
La crisi della Santa Alleanza
La politica di equilibrio che aveva in gran parte ispirato il congresso di
Vienna fu messa alla prova nel 1821 quando, sulla scia dei moti
rivoluzionari della Spagna, di Napoli e del Piemonte, si accesero in
Grecia numerosi focolai di rivolta contro la dominazione turca. L'impero
ottomano si estendeva sull'Africa settentrionale, il Medio Oriente,
l'Anatolia e i Balcani; di fatto la sua autorità era molto debole e divisa fra
i vari pascià (o viceré) e principi locali. Le grandi potenze (Austria,
Russia, Gran Bretagna, Francia) ambivano a raccogliere l'eredita'
dell'impero ottomano, ma ciascuna voleva impedire che le altre
ricavassero dallo sfacelo di quest'ultimo vantaggi eccessivi.
Perciò, mentre gli ambienti liberali di tutta Europa appoggiavano
generosamente gli insorti greci, i governi delle grandi potenze
mantenevano un cauto atteggiamento e si studiavano a vicenda.
Nel 1827 il caso venne in aiuto dei Greci che avevano duramente lottato
per la libertà: la battaglia di Navarino, ingaggiata per cause fortuite e
conclusasi con la distruzione della flotta ottomana, sanci' praticamente
l'indipendenza della Grecia.
La catena di reazioni contro i regimi assolutisti registro' un altro episodio
in Francia, nel luglio 1830, quando la borghesia liberale parigina,
esasperata dalla politica oppressiva di Carlo X, suscito' una rivolta che si
concluse con la fuga del re. Il trono fu offerto a un nobile di idee
progressiste, Luigi Filippo d'Orleans, il quale si affretto' a concedere una
costituzione liberale.
L'avvento al trono di Luigi Filippo suscito' fra i liberali di tutta Europa
speranze che sfociarono in due episodi. Nel 1830 i belgi si sollevarono
contro l'unione con gli Olandesi, cui li aveva costretti il congresso di
Vienna.
Francia e Gran Bretagna, che avevano interesse a indebolire il regno dei
Paesi Bassi, appoggiarono i belgi, bloccando un progetto di intervento
repressivo della Santa Alleanza. Più sfortunati furono i Polacchi e i
Modenesi. I primi, sollevatisi a Varsavia contro la dominazione zarista,
non ricevettero alcun aiuto esterno e la loro rivolta fu soffocata dai Russi.
I secondi insorsero nel 1831 confidando nell'aiuto di Luigi Filippo. La
ribellione si estese subito ad altre citta' dell'Emilia, ma l'intervento
francese non ci fu, e l'insurrezione fu, ancora una volta, domata dagli
Austriaci.
Le idee liberali, tanto dibattute in Europa in questo periodo, ebbero un
riflesso, ma pacifico e forse più costruttivo che altrove in Gran Bretagna.
Il partito della borghesia liberale (gli whig), andato al potere, introdusse
importanti riforme, come quella elettorale, che più tardi sarebbero state
un punto di riferimento per le democrazie del continente.
*** IL CONGRESSO DI LUBIANA
*** IL VOLTAFACCIA DI FERDINANO I
*** LA RIVOLUZIONE NAPOLETANA STRONCATA
*** LA RIVOLUZIONE PIEMONTESE
Iniziamo con una panoramica generale sull'intero anno
La "Santa Alleanza", al congresso di Lubiana dove è atteso
FERDINANDO I, le tre potenze, Austria, Prussia e Russia, intendono
riconfermare le decisioni già prese a Troppau a dicembre. Interventi
militari su quei territori dove sono "già in atto", o si verificheranno d'ora
in avanti, moti rivoluzionari di qualsiasi genere.
Questa formula "già in atto" significa che hanno già deciso a dicembre di
intervenire sul regno di Napoli, senza neppure l'approvazione del re
borbonico.
Ferdinando, quasi offeso, aveva deplorato la decisione comunicata al suo
ambasciatore, e aveva subito dichiarato che solo alla presenza del re di
uno stato sovrano si potevano prendere certe decisioni; anche perché la
situazione non era affatto grave ed egli si stava impegnando a dare ai
suoi sudditi una costituzione meditata. Aveva quindi chiesto di
partecipare all'incontro delle grandi potenze a Lubiana in questo inizio
gennaio.
8 GENNAIO - Ferdinando I, con tanto ottimismo, raggiunse Lubiana. Il
Congresso iniziava il 26 gennaio, quindi è presumibile che il re di Napoli
si é incontrato con gli altri convenuti e portato a conoscenza il
programma costituzionale che aveva concesso nel suo regno senza dover
ricorrere a una sanguinosa repressione; figuriamoci se ora era necessario
il minacciato intervento militare austriaco. Insomma era quanto mai
inopportuno applicare la punitiva linea di condotta che avevano
concordato e deciso le grandi potenze a Troppau lo scorso anno, senza
nemmeno averlo consultato e senza conoscere esattamente la situazione
del suo Paese.
11-12 GENNAIO - TORINO -Metternich - che era l'ispiratore della linea
"intervento repressivo" - dopo i moti di Napoli - temeva fortemente le
emulazioni dei liberali in altre città, e non si sbagliava. Le agitazioni
andate così a buon fine a Napoli stavano alimentando altre cospirazioni
in altri Stati italiani. In Piemonte c'erano già degli emulatori del generale
Pepe. Ci volevano dunque delle "punizioni" esemplari per stroncare già
sul nascere le rivolte. Se non erano sufficienti le forche per i cospiratori,
bisognava impiegare l'esercito e prendere più drastici provvedimenti. E
soprattutto agire subito.
26 GENNAIO - La "punizione" di METTERNICH su Napoli non si fece
attendere. FERDINANDO I era partito da Napoli per Lubiana per farsi
ascoltare dai "grandi", e nutriva persino la speranza di essere apprezzato
come mediatore di pace, visto che nel concedere una monarchia
costituzionale ai liberali - ispirandosi alla saggezza, sottolineava - a
qualche privilegio lui aveva rinunciato.
Lo attende invece un'umiliazione. Il riconoscimento dato ai moti guidati
dai militari, la Costituzione offerta con il giuramento, e le aspettative che
lui e suo figlio Francesco hanno concesso ai "ribelli" "rivoluzionari"
"disertori" - così considerati da i "grandi" riuniti al congresso - sono
condannate e respinte in blocco a Lubiana.
Austria, Prussia e Russia impartiscono subito disposizioni alle sedi
diplomatiche di non riconoscere il nuovo Stato di Ferdinando I. Una vera
e propria esautorazione!
Contemporaneamente, partono gli ordini per far muovere un potente
esercito austriaco su Napoli, per ripristinare l' ordine ed affrontare il
ribelle esercito napoletano, guidato dal "traditore" generale Pepe.
23 FEBBRAIO - Mentre l'esercito austriaco sceso in Italia sta già
attraversando i territori del Regno Pontificio (prontamente concessi dal
papa), a Napoli il governo costituzionalista, determinato a difendersi,
riceve da Lubiana l' enigmatico e assurdo ordine di Ferdinando I,
"...desistere dal progetto difensivo, ma accogliere invece gli austriaci per
il bene del Paese".
7 MARZO - Convinti che il re a Lubiana é minacciato e forse tenuto
prigioniero, i napoletani non desistono, si organizzano e si spingono fino
a Rieti per affrontarli; ma sono sconfitti da un esercito più forte e
decisamente più numeroso. Il 21 MARZO gli austriaci occupano Capua,
Caserta e Aversa.
25-25 MARZO - Il potente esercito austriaco entra nella città di Napoli,
il giorno dopo alcuni reparti occupano la fortezza di Gaeta. Il 31
MARZO con la sistematica occupazione della città, si procede prima al
disarmo totale dei cittadini - pena l'immediata fucilazione se sorpresi in
possesso di armi - poi il 9 APRILE é istituita la corte marziale per i
ribelli, si offrono persino premi per i denunziatori dei rivoluzionari. L'11
APRILE é nominato nuovamente il più famigerato capo della polizia: il
principe di CANOSA, che Napoli ha già conosciuto per un breve
periodo, nel 1816 all'inizio della restaurazione dei Borboni, ma che
Ferdinando IV, aveva esonerato per la troppa fanatica e feroce azione
repressiva di questo personaggio che screditava la corte, alimentando
odio invece di placarlo.
Così a Napoli con Canosa richiamato in servizio e a capo della
repressione, ritorna il terrore.
Sono arrestati tutti quelli che avevano fatto parte del Parlamento, e sono
emesse condanne a morte per tutti i militari che avevano preso parte alla
rivoluzione; in contumacia anche il generale Pepe.
Destituiti tutti coloro che avevano ricevuto cariche e impieghi dal
governo precedente, rigorosamente vietate le società segrete, altrettanta
rigorosa la censura su ogni genere di stampa e proibite ogni tipo di
manifestazioni e assembramento di gruppi di persone.
15 MAGGIO - FERDINANDO I, l'uomo che molti napoletani avevano
creduto sincero, saggio, moderno, capace di non piegarsi davanti agli
austriaci, si rivelò invece (questa fu l'impressione) di una doppiezza
incredibile. Scortato dagli austriaci rientrò ufficialmente e
pomposamente a Napoli.
La restaurazione si compì rapidamente. Sul patibolo subito i due
maggiori responsabili - gli ufficiali MORELLI e SALVATI; molti
promotori finirono nelle regie galere, ma moltissimi si misero in salvo
fuggendo in tempo quando capirono che il tradimento del re era un dato
di fatto;
La RIVOLUZIONE NAPOLETANA finiva in un modo triste e
umiliante. Forse per la doppiezza di Ferdinando. Forse anche giustificata,
perché lui stesso sperava che le altre potenze europee come la Francia e
la Gran Bretagna, si sarebbero opposte all'intervento dell'Austria su uno
Stato sovrano che non aveva -nella sollevazione- provocato nessun
disordine pubblico. O forse Ferdinando pensò solo alla sua
sopravvivenza.
Si é anche scritto che quest'esito infelice, contribuì potentemente a
diffondere il sentimento dell'unificazione nazionale,è la mitologia del
Risorgimento, a dare ai moti una tinta patriottica e anti-austriaca; anche
se non a livello di masse popolari, ancora isolate e poco influenti. Ma è
indubbio che i fuggitivi, a migliaia, iniziarono a ingrossare le file dei
futuri cospiratori in ogni parte d'Italia.
L'Austria, dopo l'intervento a Napoli (e fra poco in Piemonte) apparve a
tutti quella che era: non la garante degli Stati Italiani, ma la protettrice
dei regimi più illiberali, e i suoi soldati i sicari degli Stati più oppressivi e
repressivi. Insomma l'Austria cominciò a farsi odiare anche da chi ancora
quest'anno - il SAVOIA in Piemonte - chiese il suo aiuto per stroncare i
moti rivoluzionari esplosi dentro l esercito. Gli stessi moti, concepiti da
quel gruppo di cospiratori, che poi scodellarono più tardi alla dinastia
sabauda un regno: il Regno d'Italia Vittorio Emanuele, e ora il fratello
Carlo Felice, appartenevano alla più ottusa monarchia, ma sorprese
l'atteggiamento del giovane Carlo Alberto, che si era sempre ribellato al
conservatorismo sabaudo e aveva dimostrato di essere un filoliberale.
Invece sprecò il resto della sua vita - 30 anni - per capire da che parte
doveva stare.
Già, perché nel frattempo, mentre a Napoli si soffocava la prima vera
rivoluzione liberale, che andava a iniziare il difficile cammino verso
l'unificazione nazionale, il coraggio di PEPE, MORELLI, SALVATI e di
altri 5000 anonimi, non moriva sul patibolo, l'audacia si era trasferita in
Piemonte. Perché anche il tentativo rivoluzionario che ebbe luogo nel
regno Sabaudo fu d'ispirazione e prodezza militare; i suoi capi erano tutti
ufficiali membri dei circoli di corte. Perfino il legittimo erede al trono
(lui, Carlo Alberto) il giovane ribelle della dinastia: ma che poi - nel
momento di agire- purtroppo come doppiezza, si dimostrò non inferiore a
Ferdinando I.
Un inquietante e ambiguo personaggio Carlo Alberto, che si riscattò solo
nei suoi ultimi giorni di regno, quando ripercorrendo tutti i suoi errori, ne
trovò così grandi, che non seppe resistere al dolore, morì di crepacuore.
E' quindi necessario ora, ritornare all'inizio dell'anno e ripercorrere gli
eventi piemontesi che scorrono quasi in parallelo con quelli di Napoli,
L'esempio napoletano indusse i liberali di altri stati italiani a passare
all'offensiva. In Piemonte il conte Santorre di Santarosa si impegnò a
organizzare un moto costituzionale. Ma come in quella di Napoli vi fu
una disorganizzazione degli insorti: la repressione, fu facilitata anche
dall'incertezza nell'azione manifestata dai liberali, dalle discordie interne
fra moderati e radicali, dalla poca chiarezza dei programmi che
caratterizzavano quei gruppi rivoluzionari; e soprattutto emerse
l'isolamento dei patrioti dal resto della popolazione: la borghesia
commerciale, industriale ed agraria, ancora debole ed immatura fu
coinvolta solo marginalmente; e del tutto indifferente rimase la "plebe"
contadina ed urbana che preferiva il semplice pane e non l'astratta libertà.
E il primo ,anche se poco, lo riceveva dai "signori", ed erano questi ad
avere in mano le unità produttive
•TRADIZIONE CONTRO RIVOLUZIONE
•I TEORICI DELLA RESTAURAZIONE:BURKE E DE
MAISTRE
•SALVARE LA RIVOLUZIONE, CONSERVARE LE
LIBERTA’
•UNA NUOVA VISIONE DEL MONDO:IL
ROMANTICISMO
•AMBIGUITA’ DEL ROMANTICISMO
•L’IDEA DI NAZIONE
•LO SVILUPPO DEL SENTIMENTO NAZIONALE
•LEGGITTIMITA’/LEGALITA’
TRADIZIONE CONTRO RIVOLUZIONE
Due questioni furono al centro della discussione filosofica e politica:il
giudizio sulla Rivoluzione francese e il rapporto con la nuova società
industriale che prepotentemente veniva emergendo e che poneva
problemi del tutto inediti.La Rivoluzione francese aveva rappresentato
una contraddittoria miscela di speranze, paure, delusioni, amplificate in
tutta Europa dall’espansionismo napoleonico: nessun intellettuale
europeo della Restaurazione poté sottrarsi al compito di “pensare la
rivoluzione”, il che condusse a riflettere non solo su un determinato
evento storico, ma sull’intera civiltà europea e sulle sue prospettive.In
particolare si istituì un serrato confronto critico con l’Illuminismo e con i
suoi grandi princìpi: il primato della ragione, la libertà, l’uguaglianza, i
diritti dell’uomo.
I TEORICI DELLA RESTAURAZIONE:BURKE E DE MAISTRE
Già nel 1790 l’inglese Edmund Burke(1729-97) aveva aperto il dibattito
sulla rivoluzione.Burke giudicava la Rivoluzione francese per differenza
rispetto alla Glorius Revolution inglese del 1688, che senza versare una
goccia di sangue aveva dato vita a un sistema politico profondamente
rinnovato.Egli condannava i francesi per aver rovesciato l’ordine
costituito ispirandosi a princìpi astratti di libertà e uguaglianza e
pretendendo di istituire una nuova legalità, i rivoluzionari avevano
disgregato la società, invece di riformarla. Questa impostazione venne
ripresa e radicalizzata in Francia da diversi pensatori, il maggiore dei
quali fu il conte savoiardo Joseph de Maistre(1753-1821).
Affermava de Maistre “la restaurazione della monarchia, che viene
chiamata controrivoluzione, non sarà una rivoluzione contraria, ma il
contrario della rivoluzione”. Questo per dire che errata e dannosa era non
solo “quella” rivoluzione, ma ogni rivoluzione.De Maistre proponeva
una visione della storia e dell’uomo alternativa a quella illuministica:una
visione trascendente, fondata su valori religiosi, in contrapposizione al
laicismo dominante nei Lumi. Egli giudicava la Rivoluzione francese una
manifestazione del male. Al contrario degli illuministi, che concepivano
la storia in termini di progresso e di incivilimento, de Maistre la
interpretava come continua decadenza e scorgeva una salvezza per
l’umanità solo nell’opera della Provvidenza, che avrebbe portato alla
costruzione di un nuovo ordine: una nuova grande comunità cristiana
degli stati europei, sul modello della res pubblica cristiana medievale
anteriore alla riforma protestante.Una rinnovata alleanza fra trono e
altare, nel quadro di una subordinazione del potere temporale a quello
spirituale, questo era il progetto politico esposto da de Maistre.
L’UOMO NON E’ LIBERO PER NATURA (da J. De Maistre Il papa)
La radicale contrapposizione di de Maistre all’ illuminismo si fonda su
una visione pessimistica dell’uomo, la cui ragione “ridotta alle sue forze
individuali non è che un bruto la cui potenza si limita a distruggere”.
Solo l’intervento di Dio può risollevare l’uomo. La critica della ragione
illuminista conduce infine, in de Maistre, a un’istanza di
risacralizzazione della società.
Squisito il Rousseau quando comincia il suo Contratto sociale con
questa massima rimbombante:L’uomo è nato libero, e dappertutto si
trova in catene! In tutti i tempi e in tutti i luoghi, sino alla fondazione del
Cristianesimo, anzi sino a che questa Religione non fu penetrata
sufficientemente nei cuori, la schiavitù è sempre stata considerata come
uno strumento necessario nel governo delle nazioni, nelle repubbliche
come nelle monarchie.
Chi ha sufficientemente studiato questa trista natura, sa che l’uomo in
generale, abbandonato a se stesso, è troppo malvagio per essere libero.
Che ciascuno esamini l’uomo nel suo proprio cuore, e sentirà che
dovunque sia data a tutti la libertà civile, non vi sarà più mezzo, senza un
qualche soccorso straordinario, di governare gli uomini in corpo di
nazione. Dovunque, un piccolissimo numero ha condotto un grande,
poiché senza un’aristocrazia più o meno forte, la sovranità non ha
abbastanza vigoria.Nessuno ignora che l’universo, fino al Cristianesimo,
è sempre stato coperto di schiavi e che i sapienti non hanno mai
biasimato tale usanza. Questa proposizione non si scuote. Così il genere
umano è in parte naturalmente servo, e non può essere tolto da questo
stato di cose se non soprannaturalmente.
SALVARE LA RIVOLUZIONE, CONSERVARE LE LIBERTA’
M.me se Stael(1766-1817), uno dei personaggi più significativi della
cultura europea della Restaurazione, nel suo libro Considerazioni sui
principali avvenimenti della Rivoluzione francese(1818) condannava la
rivoluzione giacobina e il Terrore, ma difendeva il 1789. La rivoluzione
dell’Ottantanove non era stato un atto arbitrario, ma il punto di approdo
di una secolare lotta contro il dispotismo:si trattava di recuperare i
principi fondatori come guida per uscire dalla crisi della società
francese.Su questa scia si mosse tutto il pensiero liberale francese della
prima metà dell’Ottocento, che ebbe in Benjamin Constant(1767-1830) il
suo più lucido e autorevole interprete.
Nella sua opera più importante, La libertà degli antichi comparata con
quella dei moderni(1819), afferma che mentre nella civiltà classica la
libertà era consistita nell’esercitare collettivamente la sovranità,per i
moderni la libertà significava essenzialmente essere soggetti alle sole
leggi, poter esprimere il proprio pensiero, esercitare arti e commerci,
poter disporre della proprietà. La libertà è essenzialmente un sistema di
garanzie fondamentali, tra le quali l’autonomia della sfera privata.
Nemici di tale concezione della libertà erano per Constant sia i
tradizionalisti, contrari all’affermazione dei diritti dell’ individuo, sia i
giacobini, che sulla scorta di Rousseau inseguivano un egualitarismo
astratto e non riconoscevano alcun limite alla sovranità popolare. Tra
questi due estremi, Constant proponeva la ricerca di un “giusto mezzo”,
una costituzione che garantisse le libertà fondamentali, la separazione dei
poteri, il controllo del governo da parte del parlamento.
UNA NUOVA VISIONE DEL MONDO: IL ROMANTICISMO
Lo sfondo comune a gran parte degli orientamenti politici e culturali
dell'Europa del primo Ottocento è costituito dal cosiddetto
ROMANTICISMO: questo termine designa un movimento
essenzialmente artistico e letterario, che ebbe però grande rilevanza
anche sul piano filosofico e politico.L’etichetta “Romanticismo”,
certamente inadeguata a esprimere la complessità di un’atmosfera
culturale che ebbe molteplici sfumature e interpretazioni, è tuttavia utile
per raccogliere sotto un unico concetto un patrimonio di idee e una
sensibilità che furono comuni alla maggior parte degli intellettuali del
tempo. Il romanticismo si costituì in aperta opposizione ai princìpi
fondamentali del razionalismo illuminista.
Al primato della ragione i romantici contrapposero il valore del
sentimento, della fantasia, dell’intuizione; al cosmopolitismo
settecentesco, l’esaltazione dell’identità nazionale; all’esaltazione del
presente opposero la rivalutazione della storia, delle tradizioni, della
dignità di ogni epoca del passato; contro il razionalismo deista o
l’ateismo teorizzarono il sentimento religioso quale componente
fondamentale della vita dell’uomo. I romantici interpretarono la natura
non come un meccanismo governato da leggi fisiche, esprimibili
attraverso rapporti matematici, ma come un tutto vivente, un insieme
organico di forze vitali, capace di parlare al sentimento e alla fantasia
dell’uomo.
AMBIGUITA’ DEL ROMANTICISMO
Astrattezza e intellettualismo; incapacità di comprendere la vita;
tendenza a negare qualsiasi valore alle differenze, rinchiudendo ogni
fenomeno entro la gabbia di concetti falsamente universali: questi gli
errori fondamentali della mentalità illuminista secondo la cultura
romantica. Questa critica portava con sé una profonda ambiguità: se da
un lato metteva in luce alcuni limiti del razionalismo settecentesco,
dall’altro poté condurre alla rivalutazione del sentimentalismo, del
misticismo, di una religiosità e di istituzioni ormai tramontate, come
quelle caratteristiche della società medievale. Questa ambiguità
costitutiva del Romanticismo è particolarmente evidente nell’ambito
politico. La polemica contro l’illuminismo e contro la Rivoluzione
francese poté dare vita sia a un tradizionalismo reazionario sia alla lotta
per il riscatto e l’indipendenza dei popoli oppressi in nome della nazione.
L’IDEA DI NAZIONE
Proprio al Romanticismo spetta il merito di avere dato grande diffusione
al concetto di nazione. Per la verità, i primi a parlare di nazione in senso
moderno furono i rivoluzionari francesi. La parola aveva per loro un
significato rivoluzionario e antifeudale: indicava che tutti i francesi
costituivano un gruppo di uguali, senza distinzione di nascita o di ordine.
Rivelava una nuova fonte della sovranità, poiché la nazione non veniva
più indicata con il monarca, come voleva la concezione assolutistica del
potere. Infatti, per esempio, il campione dell’assolutismo monarchico,
Luigi XIV, era solito dire: “Letat c’est moi”, lo Stato sono io. Il principio
di ogni sovranità risiede nella nazione. Questo nuovo concetto giuridicosociale di nazione venne affermato immediatamente dal Terzo stato, con
l’atto stesso del costituirsi in “Assemblea nazionale”.
LO SVILUPPO DEL SENTIMENTO NAZIONALE
La matrice teorica di questa idea di nazione si trova in Rousseau e nella
sua concezione della sovranità popolare fondata sulla “volontà generale”
che unisce tutti i cittadini in un unico corpo. Nella cultura tedesca maturò
una diversa idea di nazione, di natura non più giuridico-sociale, ma
etnica, linguistica e religiosa: una nazione intesa come comunità di
sangue, di lingua e di cultura. Questa idea, avanzata già nel Settecento da
Herder(1744-1803), fu poi sostenuta da altri intellettuali romantici
tedeschi, come il filosofo Fichte(1762-1814) e si diffuse ampiamente per
reazione al dominio di Napoleone. I francesi vennero combattuti e
avversati proprio in nome di quella idea di nazione che essi per primi
avevano portato sulla scena della storia. Caduto Napoleone, gli ideali
nazionali continuarono ad alimentare l’opposizione contro l’ordine
imposto dal congresso di Vienna, particolarmente presso quei popoli i cui
diritti erano stati maggiormente violati nella nuova sistemazione
dell’Europa. Perciò l’idea di nazione sostenne programmi politici di
carattere liberale e democratico, sia all’interno dei singoli stati sia nel
concerto delle nazioni.
ROUSSEAU
(1712-1778)
Sommario: Discorso sulle scienze e sulle arti; Discorso
sull'origine della diseguaglianza; il Contratto sociale; l'Emilio;
le idee religiose
Il saggio che darà una certa notorietà a Rousseau fu il
Discorso sulle scienze e sulle arti (1750), che egli aveva
scritto in seguito ad un concorso indetto dall’Accademia di
Digione sul tema: "La rinascita della scienza e delle arti ha
contribuito a corrompere o a purificare i costumi?". Il breve
scritto di Rousseau, che otterrà il primo premio, rivelò una
personalità originale, con una forte determinazione ad andare
al cuore dei problemi e desiderosa di rinnovamento e di
rigenerazione radicale della società.
In apparenza, l’assunto del giovane Rousseau sembrava
sostenere che le scienze e le arti non hanno contribuito al
progresso bensì al regresso della civiltà, fiaccando gli animi
e distogliendoli dal perseguimento delle più autentiche virtù
civili e sociali. In realtà, il Discorso non criticava né la cultura
né il sapere in sé. Li criticava solo quando non operavano per
il miglioramento dell’umanità, rendendosi talora persino
complici del rammollimento dei costumi. Non dimentichiamo
le responsabilità politiche che scienze ed arti hanno avuto
(ed hanno) nello sviluppo del dispotismo repressivo degli
Stati moderni. Rousseau vagheggia invece la polis
dell’antichità, cioè è convinto che la mirabile armonia tra
individuo e comunità, tra cultura e politica che fu un tempo di
Atene e Sparta, dovrebbe essere il traguardo ambìto anche
delle nazioni moderne.
Molto più controllato, anche se altrettanto radicale, è il
Discorso sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini
(1754), che Rousseau scrisse per un altro concorso, sempre
bandito dall’Accademia di Digione. Egli esordisce dicendo
che l’uomo di natura non è tanto un essere buono quanto un
essere dotato di tendenze e istinti positivi. Per natura l’uomo
è solo aperto al rapporto intersoggettivo ed è solo sollecitato,
dall’istinto di perfettibilità, al proprio perfezionamento.
Rousseau non confonde lo stato di natura con la mitica Età
dell’Oro o col Paradiso Perduto; non crede che esso sia la
sorgente di tutti i beni e di tutti i valori. E soprattutto per lui lo
stato di natura "non esiste più, forse non è mai esistito e
probabilmente non esisterà mai". Esso è dunque piuttosto
una ipotesi, un paradigma valutativo e non qualcosa di reale.
Riguardo poi l’origine della vita sociale, Rousseau non la
identifica tanto con l’istituzione di un patto o di un contratto
quanto con una rete assai più complessa di inclinazioni,
bisogni, sentimenti. L’essenza della socialità è dunque cosa
positiva : ciò che non è certo è che il suo sviluppo sia
altrettanto positivo. Anzi fin dall’inizio l’egoismo, la brama di
potere, il complicarsi delle relazioni generano il male e il
conflitto sociale, che è anche conflitto umano. Rousseau
vuole fare un discorso politico ed individuare una causa cui
concretamente imputare l’origine del male,tale causa viene
identificata con l’istituzione della proprietà privata. La
proprietà privata produce una disuguaglianza economica che
tende rapidamente a coincidere con una disuguaglianza
sociale e politica. Chi possiede, ha anche il potere. Il potere,
in una spirale perversa, genera altro potere.
L’élite dei proprietari è quella stessa che costituirà il sistema
giuridico : un sistema iniquo perché finalizzato alla
autoconservazione della forza e dell’autorità e alla
perpetuazione della disuguaglianza.
Nel 1762 Rousseau pubblica il Contratto sociale. In
quest’opera si respira un’ansia di emancipazione per cui egli
vorrebbe trasformare la realtà : creare una società libera ed
egualitaria per rigenerare l’umanità. Il problema più arduo è
mediare tra due realtà che Rousseau ritiene assolutamente
certe e oggettive : da un lato che l’uomo è e deve restare
libero; dall’altro che la società implica un ordine e quindi
delle rinunce. Rousseau ritiene che sia possibile trovare una
soluzione ripensando alla genesi della società.
Il filosofo inglese Hobbes aveva affermato che solo una
cessione generale di tutti i poteri da parte di tutti gli individui
garantiva la tutela dell’uguaglianza tra i membri della società.
Anche Rousseau parla di una alienazione totale, di ciascun
associato, con tutti i suoi diritti, alla comunità. Egli pone però
l’accento sul momento della comunità. In altre parole, per
Rousseau l’uomo è persona e la società è un corpo vivente;
la salute della società dipende dall’essere dei singoli
cittadini; si deve perciò puntare ad una integrazione
cooperante tra uomini e società (da ciò deriva anche la
strettissima connessione, nell’opera di Rousseau, tra la
riflessione sociopolitica e quella psicologico-antropologicopedagogica, come vedremo tra breve nell’Emilio). Infatti solo
individui opportunamente rigenerati permetteranno una
radicale trasformazione della società.
Secondo Rousseau, i cittadini, pur alienando tutti i loro diritti
alla comunità, che ne ricava un massimo di autorità, restano
liberi. E restano libri non solo in quanto acquistano uno stato
di assoluta uguaglianza reciproca tutelata dalla legge, ma
anche in quanto partecipano attivamente alla vita
comunitaria, in quanto gestiscono direttamente il potere
politico. Rousseau ha compreso, con grande acume, che una
delle possibili matrici della illibertà risiede proprio nella
delega del potere da parte del complesso dei cittadini ad un
gruppo di essi. Tale delega appare a Rousseau comunque
dannosa. La sovranità andrebbe attribuita invece al solo io
comune del popolo. Solo il popolo è il legittimo titolare del
potere. In più, il popolo può bensì affidare per motivi di
convenienza pratica la gestione degli affari pubblici ad
appositi deputati, ma costoro non devono essere considerati
in alcun modo i depositari di una sorta di potere separato.
L’ideale politico delineato da Rousseau si incarna in una
comunità di non grandi dimensioni, in cui il cittadino sia,
insieme, governato e governante (dietro tutto ciò c’era forse il
modello di Ginevra). Ma un modello politico del genere è
concretamente realizzabile? Rousseau risponde che l’uomo
non è solo istinto, mera volizione egoistica e cieca; egli è
anche ragione, coscienza, riflessione. Perciò può riuscire a
guardare al di là del proprio perimetro soggettivo, e cogliere
valori più ampi, e partecipare ad istanze che lo trascendono,
pur restando anche sue proprie istanze. Questa capacità gli
consente di ascoltare una volontà che non è la sua semplice
volontà individuale, ma è la cosiddetta volontà generale. Essa
è la voce della collettività, l’espressione degli interessi
socialmente costituiti, la prospettiva rivolta costantemente
all’utilità generale. essa è un’espressione di noi stessi, del
nostro essere uomini.
Obbedendo alla volontà generale, l’uomo obbedisce pertanto
a se stesso, anzi, alla parte più razionale e morale di se
stesso; per questo una tale obbedienza pone in essere la sola
libertà degna di questo nome. In breve, l’uomo è
propriamente tale solo in quanto è cittadino che coglie ed
accetta le esigenze profonde e razionali della società.
Nello stesso anno in cui è pubblicato il Contratto sociale,
esce anche l’Emilio, e non a caso. L’opera delinea infatti un
modello di uomo senza il quale il modello di società delineato
nel Contratto sociale non poteva neppure essere pensato.
L’educazione si configura per Rousseau come
quell’intervento attraverso cui si può plasmare un’umanità
capace di vivere, anzi di convivere, secondo i dettami della
giustizia e della ragione.
Prima che all’istruzione di un fanciullo e alla preparazione di
un adulto o, meglio, di un cittadino, Rousseau punta alla
formazione di un uomo : "Vivere è il mestiere che gli voglio
insegnare. Uscendo dalle mie mani, egli … sarà prima di tutto
un uomo : tutto quello che un uomo dev’essere, egli saprà
esserlo, all’occorrenza, al pari di chiunque : e per quanto la
fortuna possa fargli cambiare condizione, egli si troverà
sempre nella sua" (cfr. Emilio, libro 1°).
Il principio-guida dell’opera di Rousseau è costituito da una
libertà ben guidata, non da una libertà capricciosa e
disordinata. A tale scopo l’itinerario e l’ideale educativo deve
essere graduale e rispettoso dei vari stadi di sviluppo. In
primo luogo, il precettore non deve considerare il fanciullo
come un adulto in miniatura : "La natura vuole che i fanciulli
siano fanciulli prima di essere uomini. L’infanzia ha certi modi
di vedere, di pensare, di sentire del tutto speciali; niente è più
sciocco che voler sostituire ad essi i nostri".
Rispettando tale sviluppo, dalla nascita ai dodici anni,
bisogna badare all’esercizio intelligente dei sensi. Da qui
l’esigenza di educare il fanciullo a sviluppare liberamente il
bisogno di muoversi, di giocare, di conoscere il proprio
corpo. E’ il periodo della cosiddetta educazione negativa, la
quale consiste "non già nell’insegnare la virtù e la verità, ma
nel garantire il cuore dal vizio e la mente dall’errore". Tale
principio deriva dall’assunto che non vi è perversità nel cuore
umano, che la deviazione e il vizio vengono dall’esterno. I vizi
presi nell’età della prima formazione, quella che va appunto
dalla nascita ai dodici anni, non saranno più sradicati :
occorre perciò proteggere in ogni modo Emilio dalle
influenze negative dell’ambiente, favorendo invece lo
sviluppo delle sue inclinazioni naturali. L’educatore
pianificherà ogni cosa affinché Emilio compia da sé le
scoperte che costituiscono la sua conoscenza del mondo.
Anche l’obbedienza, in questo periodo, sarà ottenuta con la
pura autorità, senza discussione : "Adoperate la forza con i
fanciulli e la ragione con gli uomini".
Dai dodici ai quindici anni occorre sviluppare l’educazione
intellettuale, orientando l’attenzione del ragazzo verso le
scienze, dalla fisica alla geometria all’astronomia, attraverso
un contatto diretto con le cose, allo scopo di cogliere le
regolarità e le necessità della natura; si collegherà inoltre
ogni conoscenza ad un’utilità riconoscibile dal ragazzo, che
ricostruirà poi da sé i principi delle scienze.
Dai quindici ai ventidue anni è il momento dell’educazione
morale, sociale e religiosa. L’educazione alla virtù farà di
Emilio un "uomo morale" : e la moralità consisterà nel sapere
disciplinare le passioni, seguendo il lume della ragione e la
voce della coscienza.
Da ultimo, l’educazione politica preparerà Emilio alla vita
sociale : imparerà a distinguere il giusto dall’ingiusto e agirà
secondo l’accordo della sua volontà con quella generale della
comunità. Potrà così diventare un buon cittadino ed un buon
marito e padre (conoscerà Sofia, la sua futura sposa).
L’ideale etico-religioso di Rousseau in quest’opera è esposto
nel quarto libro, nella famosa Professione di fede del vicario
savoiardo. Le verità fondamentali in cui tutti credono sono
due : l’esistenza di un essere supremo e l’immortalità
dell’anima. Rousseau dice di rifiutare la dottrina del peccato
originale e la salvezza soprannaturale e propone invece una
"professione di fede puramente civile, di cui spetta al
sovrano fissare gli articoli". Tali articoli sono le due verità
dette prima con in più "la santità del contratto sociale e delle
leggi", e l’aggiunta di un dogma negativo, l’intolleranza.
"Bisogna tollerare – sostiene Rousseau – tutte quelle
religioni che a loro volta tollerano le altre, fintanto che i loro
dogmi non contengano niente di contrario ai doveri del
cittadino. Ma chiunque osi dire che fuori della Chiesa non c’è
salvezza, dev’essere espulso dallo Stato".
NOTA BIOBIBLIOGRAFICA
Jean Jacques Rousseau nacque a Ginevra nel 1712 ed ebbe
un’infanzia difficile : la madre morì di parto e il padre dovette
ben presto lasciare la città. Il giovane Rousseau ricevette
l’appoggio di Madame de Warens, una dama svizzera al
servizio del re di Sardegna, che gli fece da matrigna e da
amante. Durante questo periodo – in cui soggiornò ad
Annecy (nella Savoia), Torino, varie località della Svizzera,
Chambery – esercitò diversi mestieri e completò la sua
formazione intellettuale con numerose letture.
Separatosi da Madame de Warens, arrivò a Parigi ed entrò in
contatto con gli Enciclopedisti. Scrisse parecchi articoli per
la famosa Enciclopedia, tra cui alcuni di carattere musicale :
si dilettava infatti anche di composizione, ed un suo
melodramma fu persino rappresentato a Versailles, alla
presenza del re. Nel 1757 interruppe i suoi rapporti con gli
Enciclopedisti e si ritirò a Montmorency, dove scrisse La
nuova Eloisa (1761), il Contratto sociale (1762), l’Emilio
(1762). Poiché queste opere furono condannate sia dalle
autorità parigine che ginevrine, si rifugiò a Neuchâtel, in un
territorio svizzero ma soggetto al re di Prussia. Si trasferì per
un po’ anche in Inghilterra, a Londra, su invito di Hume, ma
poco dopo i rapporti fra i due pensatori di guastarono e
Rousseau se ne tornò in Francia. Si ritirò, a causa delle
cattive condizioni di salute, ad Ermenonville, dove morì nel
1778, dopo aver scritto un’autobiografia, che intitolò
Confessioni.
BIBLIOGRAFIA Rousseau, Opere, Sansoni
LEGITTIMITA’/LEGALITA’
Il termine “legittimità”, riferito al potere politico, fu introdotto all’epoca
del Congresso di Vienna dal negoziatore francese Talleyrand per
sostenere, con successo, il diritto della monarchia borbonica a esercitare
la sovranità sull’intero territorio francese. Il diritto della monarchia,
legittimo per “grazia di Dio”(monarchia di diritto divino), veniva
contrapposto a quello rivoluzionario e bonapartista, equiparato a una
usurpazione. Per estensione, si indicano con il termine “legittimità” i
sostenitori, nella prima metà dell’Ottocento, del potere dinastico e, in
generale, i fautori di un ritorno a valori e comportamenti politici tipici
della società di Antico Regime. Verso la fine dell’Ottocento, con il
sociologo tedesco Max Weber, il concetto di “potere legittimo” è entrato
nel dibattito scientifico, senza più alcuna connotazione di carattere
politico: legittimo è per Weber quel potere che, in varie forme e modalità,
viene riconosciuto tale dai cittadini. Diverso è il concetto di “legalità”:
legale è un potere che viene esercitato secondo le leggi. La legittimità
riguarda dunque la fonte del potere; la legalità il suo esercizio.
Scarica

CONGRESSO DI VIENNA