"MODIFICHE ED INTEGRAZIONI AL TESTO UNICO IN MATERIA DI
DISCIPLINA DEGLI STUPEFACENTI E SOSTANZE PSICOTROPE,
PREVENZIONE, CURA E RIABILITAZIONE DEI RELATIVI STATI DI
TOSSICODIPENDENZA, DI CUI AL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA
REPUBBLICA 9 OTTOBRE 1990, N. 309"
Le problematiche relative agli stati di dipendenza rappresentano un
settore complesso all’interno delle politiche sociali, dove il servizio sociale è da
sempre stato impegnato nella duplice direzionalità: quella degli interventi rivolti
alle persone, alle famiglie, ai gruppi e alle comunità, e quella della
programmazione, gestione dei progetti territoriali finalizzati alla prevenzione
delle tossicodipendenze e al reinserimento sociale.
Quale premessa il CNOAS ritiene non superfluo ricordare che gli
interventi di prevenzione dell’insorgere degli stati di dipendenza patologica
debbano rivestire un ruolo di primo piano nella pianificazione delle politiche
sociali a tutti i livelli di governo del territorio. Si tratta di interventi che non
possono essere limitati al mondo della scuola, luogo attualmente privilegiato,
ma debbono investire capillarmente il territorio per raggiungere anche quei
giovani che escono precocemente dai percorsi scolastici e che, anche per
questo, rappresentano una popolazione particolarmente a rischio.
Attualmente gli assistenti sociali che lavorano con le problematiche
connesse alle dipendenze sono presenti in più servizi con diversificati
riferimenti istituzionali:
• I Servizi per le Tossicodipendenze (Ser.T.) delle Aziende Sanitarie Locali;
• I Servizi degli Enti Locali – Regioni, Province, Comuni;
• I Nuclei Operativi Tossicodipendenze (N.O.T.) degli Uffici Territoriali del
Governo/Prefetture;
• I C.S.S.A. e gli U.S.S.M.(Centri di Servizio Sociale per Adulti e per Minori)
del Ministero della Giustizia;
• I Centri Informazione e Consulenza (C.I.C.) all’interno delle scuole medie
superiori;
• Gli enti del privato sociale (comunità terapeutiche, cooperative sociali
integrate, unità di strada, centri di accoglienza a bassa soglia ecc.).
L’attenzione del servizio sociale nell’ambito delle dipendenze, pur
differenziandosi in base ai diversi mandati istituzionali, ha il suo fulcro nella
relazione d’aiuto con il “sistema” utente, intendendo per sistema la persona
inserita nel suo contesto familiare, relazionale e ambientale.
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In particolare, il servizio sociale svolge un ruolo di sostegno alla persona,
nell’intraprendere un percorso di cambiamento dello stile di vita, e un ruolo
educativo nell’aiutarla ad acquisire un più ampio repertorio di competenze, in
modo che esso sia più capace di affrontare, in chiave adattiva, le problematiche
poste dal contesto sociale.
L’intervento del servizio sociale in tali ambiti contempera le funzioni di aiuto con
quelle di controllo, là dove l’aiuto si esprime attraverso il sostegno fornito alla
persona nel percorso riabilitativo e di reinserimento, e il controllo si esercita non
solo negli ambiti previsti dalle normative in termini di obblighi e procedure
restrittive e/o sanzionatorie, ma anche nell’accompagnamento socio-educativo
alla condivisione delle regole, al rispetto della reciprocità nella comunità, al
riconoscimento della legalità quale strumento per una società democratica e per
una convivenza pacifica.
Fatte queste premesse di sfondo il Cnoas ritiene utile intervenire nel
dibattito aperto dal ddl, a partire da alcuni snodi essenziali.
Ad esempio il DPR 309/90 all’art. 75 considera la detenzione di
sostanze stupefacenti ai fini di uso personale attività illecita e sanzionabile a
livello amministrativo, attraverso un procedimento di competenza del Prefetto.
Tale procedimento, nonostante si definisca all’interno di un sistema
sanzionatorio, tende alla realizzazione di interventi ad azione dissuasiva ed
educativa rispetto all’uso di stupefacenti, evitando forme di criminalizzazione
della tossicodipendenza oltre a favorire l’accesso alle strutture terapeutiche,
laddove necessario.
Si tratta di uno degli ambiti nei quali il servizio sociale svolge quella
funzione di aiuto e controllo che, attraverso lo strumento del colloquio presso le
Prefetture, assume una valenza di prevenzione secondaria, atteso che la quasi
totalità delle persone che si presentano al colloquio risultano essere
consumatori saltuari di sostanze “leggere” (II tabella Cannabinoidi) e quindi non
sono in condizione di tossicodipendenza. I dati relativi ai casi di recidiva,
inferiori al 20%, dimostrano che tale procedimento è valido e funzionale agli
obiettivi che il dettato legislativo assegna al colloquio nell’accertare i motivi della
violazione e individuare strumenti atti a prevenire ulteriori violazioni.
Infatti l’art.75 del citato D.P.R. prevede la costituzione dei Nuclei
Operativi Tossicodipendenze per affiancare il Prefetto nell’espletamento delle
attività correlate alla segnalazione e pertinenti ad una “presa in carico” sociale
della persona coinvolta nel procedimento: l’introduzione della figura
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dell’assistente sociale all’interno del N.O.T. denota la volontà del legislatore di
far prevalere l’aspetto preventivo terapeutico rispetto a quello repressivosanzionatorio.
Conseguentemente alla segnalazione, la persona trovata in possesso
di sostanze stupefacenti viene chiamata in Prefettura per sostenere un
colloquio con gli assistenti sociali del N.O.T.; in seguito al colloquio il
procedimento amministrativo può svilupparsi con percorsi diversificati:
A)
nel caso di persone segnalate per la prima volta, e soltanto se si tratta di
detenzione di sostanze leggere, il procedimento amministrativo può
concludersi con un formale invito a non fare più uso di sostanze
stupefacenti, se nel corso del colloquio ricorrono elementi tali da far
presumere che la persona si asterrà, per il futuro, dal commettere un
nuovo illecito. In questo caso, il colloquio rappresenta sia un’occasione
informativa sulla norma violata, che un momento di riflessione sul proprio
comportamento, finalizzato ad attivare capacità critiche, risorse e percorsi
di consapevolezza.
B)
Nel caso di persone segnalate per detenzione di sostanze pesanti e per le
ulteriori segnalazioni per detenzione di sostanze leggere, nel corso del
colloquio viene proposta la sospensione del procedimento amministrativo
e l’invio del soggetto al Servizio Pubblico per le Tossicodipendenze per la
predisposizione di un programma terapeutico. Tale invio viene suggerito
anche nel caso in cui la persona, segnalata per la prima volta per
detenzione di sostanze leggere, manifesti particolari difficoltà a cessarne
l’uso o dichiari anche l’uso di sostanze pesanti. In tutti questi casi il
colloquio si configura come uno spazio rivolto a stimolare una maggiore
presa di coscienza rispetto al consumo di sostanze e a sviluppare quel
livello di motivazione indispensabile per attivare un percorso di
cambiamento.
C)
Nei confronti delle persone non presentatesi al colloquio con il N.O.T., che
dichiarino in tale sede di non voler attivare un percorso riabilitativo, o che
hanno più volte interrotto il programma terapeutico, viene applicata la
sanzione amministrativa comportante la sospensione della patente di
guida, del porto d’armi e del passaporto per un periodo da uno a quattro
mesi.
La nuova proposta di legge
Nella stesura originaria il D.P.R. 309/90 prevedeva la possibilità di un
esito in sede penale del procedimento, in caso di terza segnalazione o terza
interruzione di programma con l’eventuale irrogazione di ulteriori misure.
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Prevedeva inoltre la c.d. “dose media giornaliera”, discrimine tra illecito
amministrativo e illecito penale, in presenza di accertato uso personale. Il
Referendum popolare del 18 aprile 1993, sollecitato dalle numerose polemiche
suscitate sia tra gli operatori del settore che tra i comuni cittadini, abrogò questi
articoli, giungendo alla piena depenalizzazione dell’uso personale di sostanze.
Questo ha ampliato di conseguenza la sfera d’azione del Prefetto e rinvigorito il
sostanziale interesse socio-educativo della normativa.
Il disegno di legge presentato dall’On. Fini sembra non tener in alcun
conto di quanto espresso con il Referendum, re-introducendo la c.d. “dose
media giornaliera” e i provvedimenti a tutela della sicurezza pubblica. Inoltre,
scompare la suddivisione tra sostanze cosiddette “leggere” e “pesanti”, e quindi
la possibilità di definire il procedimento, nei casi di prima segnalazione per
detenzione di sostanze leggere, con il formale invito a non fare più uso di
sostanze stupefacenti. L’esperienza maturata in questi anni ha invece
dimostrato l’efficacia di tale provvedimento sia relativamente a una maggiore
responsabilizzazione dei consumatori di sostanze, sia come deterrente rispetto
a ulteriori violazioni di legge.
La nuova proposta di legge modifica, tra l’altro, i contenuti del colloquio
in Prefettura. Il comma 6 dell’art.75 della legge attualmente in vigore stabilisce,
infatti, che tale occasione serve ad accertare le ragioni della violazione, nonché
a individuare gli accorgimenti utili per prevenire ulteriori violazioni, riconoscendo
quindi una valenza educativa e preventiva a tale momento d’incontro. La nuova
stesura della legge vede invece nel colloquio solo una finalità burocratica volta
a valutare quali sanzioni amministrative irrogare e la loro durata, facendo così
scomparire la possibilità, per l’interessato, di chiedere di sottoporsi al
programma terapeutico e socio-riabilitativo, in alternativa all’applicazione della
sanzione.
Appare peraltro ambiguo il dettato del comma 4 dell’art.75 della nuova
modifica che prevede, oltre alla automatica irrogazione delle sanzioni, che la
persona convocata venga eventualmente, non chiarendone i presupposti,
invitata a seguire il programma terapeutico e socio-riabilitativo citato al comma
2. La conclusione positiva di detto programma consentirebbe, secondo il
comma 4 dell’art.76, la revoca del provvedimento sanzionatorio, difficilmente
realizzabile poiché, considerati i tempi di durata di un programma terapeutico, si
otterrebbe solo dopo aver scontato la sanzione già irrogata.
L’esposizione di tali differenze d’impianto ha lo scopo di sottolineare la
notevole mole di documentazione prodotta dagli assistenti sociali nel corso di
questi 13 anni dal loro inserimento, sia a seguito di attività progettuali finanziate
dalla l.n.45/95 che per studi e ricerche promossi direttamente dal Ministero
dell’Interno, da Centri di Studi, da Università.
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Con tutti i vari possibili livelli interpretativi e valutativi considerabili,
quello che emerge come valore è la produzione di una cultura specifica
nell’intervento sociale in materia di tossicodipendenza tipica del Servizio
Sociale del Ministero dell’Interno, resa possibile da un impianto normativo in cui
la componente sociale del recupero attivo era valorizzata. Il
cittadino/contravventore/utente era immesso in un sistema relazionale
istituzionale proattivo. L’incontro tra responsabilità/scelta/crescita era
precisamente individuata nel colloquio.
Quanto sopra esposto rispetto all’ipotizzata riforma erode chiaramente
tale equilibrio. Non viene, difatti, accennata menzione alla presenza, funzione e
compito del Servizio Sociale che, inopinabilmente, risulta difficile pensare
adeguato ai suoi scopi naturali e ai suoi vincoli deontologici in un siffatto
panorama. Il principio deontologico cardine da cui può/deve partire il lavoro
sociale professionale è la possibilità di agire su uno spazio di
autodeterminazione del soggetto, spazio questo che le previste modifiche
estinguono visibilmente.
Le considerazioni portate ad esempio relativamente all’art. 75 possono
essere estese a molte previsioni contenute nel DPR in ordine all’operatività
degli assistenti sociali nell’ambito dei servizi sanitari (Ser.T.), della
amministrazione penitenziaria (CSSA e USSM) e in tutti gli ambiti in cui la legge
attualmente in vigore prevede di favorire e sostenere l’accesso alle strutture di
cura e riabilitative in luogo della semplice irrogazione di sanzioni amministrative
o penali.
Le variazioni al DPR 309/90 previste nel disegno di legge "Modifiche ed
integrazioni al testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, di cui al decreto del presidente della repubblica 9 ottobre
1990, n. 309" (Atto Senato 2953), suscitano la perplessità e la preoccupazione
degli assistenti sociali ove risultano notevolmente ridotti gli spazi operativi
dell’intervento di aiuto alla persona a vantaggio delle azioni sanzionatorie e
repressive. Infatti, quando le funzioni di aiuto risultano residuali in confronto a
quelle del mero controllo, l’intervento professionale degli assistenti sociali
rischia di snaturare i principi fondamentali che guidano l’azione professionale
del servizio sociale e che sono sanciti dal Codice Deontologico.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali auspica che le
previsioni di modifiche al DPR 309/90 siano corroborate da un’attenta analisi
dei dati di efficacia dell’applicazione della attuale normativa al fine di individuare
ciò che di buono c’è nella norma vigente e quali sono i suoi punti deboli. Questo
processo permette di evitare il rischio che il lavoro portato avanti dagli assistenti
sociali e da tutti i professionisti impegnati in questo ambito risulti vanificato a
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danno delle persone/cittadini/utenti, che rimangono l’elemento centrale
dell’intervento del servizio sociale.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, in forza del
ruolo di primo piano che la professione ha sempre occupato nella gestione delle
problematiche relative agli stati di dipendenza patologica, auspica di poter
partecipare attivamente ai lavori di esame del ddl governativo attualmente in
discussione nelle commissioni parlamentari riunite 2ª (giustizia), 12ª (igiene e
sanità) del Senato della Repubblica in sede referente.
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