A06
8/4
Lezioni di Medicina Interna
I Scuola di Specializzazione
in Medicina Interna
QUARTO
VOLUME
Direttore
prof. Francesco Balsano
Copyright © MMV
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133 a/b
00173 Roma
(06) 93781065
fax (06) 72678427
ISBN
88–548–0810-5
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
I edizione: ottobre 2006
Indice
Capitolo 1 - Ipercalcemia
A cura della Dott.ssa Nicoletta Di Lallo
13
Capitolo 2 - Un diabete con segni antichi
A cura del Dott. Filippo Tomassetti
41
Capitolo 3 - Ipertensione
A cura del Dott. Bruno Albiani
79
Capitolo 4 - Frattura vertebrale
A cura del Dott.Antonio Bruno
131
Capitolo 5 - Un addome voluminoso
A cura della Dott.ssa Deborah Alivernini
169
Capitolo 6 - Due rari casi di artrite reattiva
A cura della Dott.ssa Sonia Bracchita
189
Capitolo 7 - Una febbre esotica
A cura del Dott. Marco Barucco
226
Presentazione
Francesco Balsano
Fino al XIX secolo la gente comune conosceva molto poco della
Medicina. I pazienti si affidavano al medico come ci si affida ad uno
stregone, non sapevano nulla sulla malattia che li affliggeva né sugli
agenti causali o sulle cure più appropriate e soprattutto, nella maggior
parte dei casi, gli stessi dottori non ne sapevano molto più dei
pazienti. Basti pensare che, per esempio, fino a 60 anni fa era
considerato un successo chirurgico il fatto stesso di lasciare vivi la
sala operatoria.
Sono sotto gli occhi di tutti le grandi conquiste della medicina
scientifica: dalla scoperta nel 1963 della doppia elica del DNA da
parte di Watson e Crick al sequenziamento del genoma umano, la
farmacogenomica, l’identificazione dei microRNA, lo sviluppo di
terapie molecolari rivoluzionarie e di vaccini preventivi e terapeutici
innovativi, fino all’inizio della medicina rigenerativa con la
possibilità di isolare e manipolare le cellule staminali. Gli sviluppi
delle nanotecnologie applicate allo studio del menoma e delle sue
funzioni sono stati impressionanti e attraverso le nuove metodiche di
citogenetica molecolare, di sequenziamento automatico, e
genotipizzazione del DNA e, soprattutto, attraverso la definizione dei
profili di espressione mediante microarrays si possono già ottenere
informazioni clinicamente utili per la diagnosi e la prognosi.
E’ tuttavia nato il problema della gestione dei dati, a volte numerosi e
non sempre univoci. Per poter applicare le nuove tecnologie allo
studio del singolo paziente va ancora migliorata la loro
standardizzazione, vanno condotte analisi di coorti di pazienti
omogenee ed informative, va diminuita la complessità dei dati
analitici e, soprattutto, si deve arrivare ad una sostanziale diminuzione
di costi.
Il medico si trova oggi, nell’era della post-genomica, a fronteggiare un
vero bombardamento di informazioni. In un futuro ormai prossimo
potrà avvalersi, anche nella sua pratica clinica, dello studio a livello
dell’intero genoma delle mutazioni polimorfiche del DNA, della
quantificazione e modificazioni dei livelli di mRNA (trascrittomica)
dell’analisi delle proteine e delle loro modificazioni (proteomica) e
della valutazione delle disregolazioni dei metaboliti (metabolomica).
Dobbiamo ritenere completamente superate l’intuizione del medico e
del ricercatore? La capacità di formulare ipotesi sperimentali o
cliniche debbono lasciare il passo all’esecuzione di algoritmi ed alla
conoscenza dei risultati dell’analisi di megadatabase generati con
metodiche eminentemente descrittive? Noi pensiamo di no, in quanto
tutte queste metodiche debbono essere piuttosto strumenti idonei ad
aiutare il medico nella corretta definizione della diagnosi che ha
ipotizzato visitando con accuratezza il paziente e valutando il suo stato
psicofisico complessivo.
Questo piccolo volume di lezioni tenute dai medici Specializzandi in
Medicina Interna conferma che l’approccio clinico, anche se molto
aggiornato, non si è modificato ed il ragionamento conserva la sua
insostituibile validità. Einstein diceva che “l’immaginazione è più
importante della conoscenza”.
La gran parte di ciò che i Medici sanno
è insegnata loro dai malati.
Marcel Proust
Capitolo 1
Ipercalcemia
A cura della Dott.ssa Nicoletta Di Lallo
ANAMNESI
Sig.ra E.C., di anni 77.
ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA
La paziente è giunta alla nostra osservazione per una sintomatologia,
insorta da circa un mese, caratterizzata da dolore addominale in sede
epigastrica associato ad alcuni episodi di vomito post-prandiale e
sensazione di bruciore retrosternale.
Riferiva inoltre, da circa 3 mesi, un’intensa astenia che si era
aggravata nell’ultimo mese tanto da rendere difficoltosa la
deambulazione.
ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA
Ricorda i comuni esantemi dell’infanzia.
A 33 anni intervento di isterectomia per prolasso uterino.
A 50 anni intervento per appendicite acuta complicata da peritonite.
A 72 anni diagnosi di psoriasi.
ANAMNESI FISIOLOGICA
Nata a termine da parto eutocico, allattamento materno, regolare
sviluppo psico-fisico. Scolarità III media, menarca all’età di 13 anni
con cicli di ritorno regolari per quantità e durata. Menopausa
chirurgica all’età di 33 anni. Non beve alcolici , non fuma, beve 1
caffè al giorno, segue una dieta povera di latticini da circa un mese.
Nicturia (3-4 episodi a notte) e poliuria negli ultimi mesi. Alvo
tendenzialmente stitico da circa un mese.
13
14
CAPITOLO 1
ANAMNESI FAMILIARE
Padre deceduto all’età di 84 anni.
Madre affetta da artrosi deceduta ad età avanzata per causa non
meglio precisata.
Quinta di 8 germani, 1 fratello deceduto per incidente sul lavoro, 3
fratelli deceduti per patologia neoplastica non meglio precisata, 2
sorelle in apparente buono stato di salute, 1 sorella affetta da diabete
mellito e pregresso K mammella.
ESAME OBIETTIVO
ESAME GENERALE
Condizioni generali discrete, psiche lucida, sensorio integro, decubito
indifferente, respiro eupnoico, apiretica.
Cute: secca; presenza, soprattutto a livello dei gomiti, di placche
eritematose con scarsa presenza di squame argentee come da psoriasi;
annessi cutanei nella norma per età e sesso, pannicolo adiposo
normorappresentato.
Stazioni linfonodali esplorabili apparentemente indenni.
CAPO E COLLO
Capo normoconformato e normoatteggiato,non dolenti né dolorabili i
punti di emergenza del V paio di nervi cranici; pupille isocoriche,
isocicliche, normoreagenti alla luce e all’accomodazione.
Collo cilindrico, non dolente ai movimenti di lateralità e di flessoestensione. Tiroide non visibile, non palpabile.
TORACE
Presenza di scoliosi, emitoraci normoespansibili con gli atti del
respiro. Fremito vocale tattile normotrasmesso su tutto l’ambito,
murmure vescicolare fisiologico. Assenza di rumori aggiunti .
Mammelle: non si apprezzano tumefazioni patologiche alla
palpazione.
15
IPERCALCEMIA
CUORE E VASI
Itto non visibile, palpabile al V spazio intercostale sinistro
sull’emiclaveare, azione cardiaca ritmica, toni netti, presenza di soffio
sistolico aspro sul focolaio aortico irradiato ai vasi del collo e di soffio
sistolico sul focolaio mitralico. Polsi periferici normosfigmici e
simmetrici.
ADDOME
Addome globoso per adipe, presenza di cicatrice sovrapubica da
pregresso intervento chirurgico, addome trattabile, dolorabile alla
palpazione profonda in sede epigastrica,
cicatrice ombelicale
normointroflessa, timpanismo enterocolico nella norma, peristalsi
diminuita. Fegato: margine inferiore apprezzabile a 1 cm dall’arcata
costale, punto cistico non dolorabile, manovra di Murphy negativa.
Milza: non palpabile il polo inferiore.
Apparato urinario: punti ureterali superiori e medi non dolorabili,
manovra del Giordano negativa.
SISTEMA NERVOSO
Difficoltà di concentrazione, tono dell’umore depresso, non deficit
focali in atto.
ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI
ESAMI EMATOCHIMICI ALL’INGRESSO IN REPARTO
Emocromo con formula: anemia normocitica normocromica (Globuli
rossi 3.7x10^6/mcl, Emoglobina 10.8 g/dl, Ematocrito 32.3%, MCV
86.60 fl, MCH 28 pg). Globuli bianchi nella norma e formula
leucocitaria rispettata, piastrine nella norma.
Coagulazione: nella norma
Iposideremia: (41mcg/dl)
Funzione epatica nella norma.
Funzione renale nella norma.
Amilasi e lipasi nella norma.
FSH, ft3 e ft4 nella norma.
16
CAPITOLO 1
Albumina e elettroforesi proteine del siero nella norma.
Ipercalcemia severa (15 mg /dl), ipopotassiemia (2.98 mEq /l),
ipofosfatemia (2.25mg/dl), con valori del Sodio nella norma.
Nonostante la paziente presentasse un corteo sintomatologico vario e
importante (astenia, epigastralgia, vomito, stipsi, nicturia, labilità
emotiva) e una storia familiare estremamente suggestiva di patologie
neoplastiche, è opportuno sottolineare che il ragionamento clinico e
l’approccio terapeutico non possono prescindere da un valore della
calcemia così elevato. Tanto più che valori tali, raggiunti in tempi
brevi possono dar luogo a quella che comunemente viene definita
crisi ipercalcemica, la quale può assumere una gravità tale da mettere
a repentaglio la vita del paziente.
Sebbene la nostra paziente non presentasse l’ instabilità emodinamica
di tale quadro clinico è stata comunque immediatamente iniziata una
terapia atta ad abbassare i livelli di calcemia, e sulla quale mi sembra
corretto soffermarsi prima di affrontare il cammino diagnostico.
IPERCALCEMIA
SINTOMATOLOGIA E APPROCCIO TERAPEUTICO
ALL’IPERCALCEMIA SEVERA
I principali segni e sintomi del paziente affetto da ipercalcemia grave
coinvolgono numerosi apparati:
♦ Segni da deplezione di volume: ridotto turgore della cute si
associa a mucose orali aride e globi oculari affossati.
♦ Sintomi cardiologici: tachicardia, aritmie gravi
♦ Sintomi neurologici: compromissione dello stato di coscienza fino
al coma
♦ Sintomi gastrointestinali: nausea e vomito
Nell’attesa di una corretta diagnosi e quindi di un trattamento
definitivo della patologia primaria, la terapia medica va indirizzata ad
aumentare l’escrezione renale di Calcio, aumentando l’escrezione di
Sodio. Bisogna però tener presente che nell’ipercalcemia l’organismo
17
IPERCALCEMIA
è in deficit idrico per la perdita di liquidi indotta dal diabete insipido
nefrogenico. Quindi il trattamento di scelta consiste nel ristabilire
l’euvolemia con soluzione fisiologica (NaCl 0.9% 250-500 ml/h)
inducendo la natriuresi con FUROSEMIDE (20-40 mg ogni 2 ore). Se la
funzione renale è compromessa può addirittura rendersi indispensabile
il trattamento dialitico. In acuto se necessario o in un secondo
momento, soprattutto nei casi di ipercalcemia legata a sindromi
neoplastiche, si può intervenire inibendo il riassorbimento di Calcio
dalle ossa (PAMIDRONATO 60-90 mg in 500 ml di soluzione
fisiologica alla velocità di 15 mg/ora 4-6 ore) o dall’intestino
(DESAMETASONE 4 mg x 2 ev/die).
FISIOPATOLOGIA
L’omeostasi del Calcio nell’organismo è regolata da un complesso
sistema chimico-fisico e ormonale. Il calcio circolante è suddiviso in
una quota legata alle proteine, una quota complessata ad acidi organici
e una quota libera in forma ionizzata, che rappresenta la forma
biologicamente attiva. Modificazioni chimico-fisiche quali alterazioni
dei livelli circolanti o dell’equilibrio acido-base modulano le
concentrazioni di calcio ionizzato. Nella pratica clinica questo risulta
essere importante soprattutto per quanto riguarda le variazioni
dell’albumina. Una riduzione dell’albumina causa una diminuzione
del calcio plasmatico totale, rimanendo invariata la componente di
calcio ionizzato. Qui di seguito viene infatti riportata la formula di
correzione:
Calcemia corretta = calcemia totale + 0.8 x (4 – albuminemia)
Il controllo ormonale dell’omeostasi calcica è rappresentato dall’asse
Paratormone (PTH)/ vitamina D e calcitonina mediante effetti diretti e
indiretti su osso, intestino e rene (figura 1). Il paratormone promuove
l’aumento di Calcio e la diminuzione di fosfato. I suoi effetti sono in
parte diretti e in parte dovuti all’1,25 (OH) colecalciferolo. La
produzione di PTH è inibita dal Calcio e dall’1,25 (OH)colecalciferolo
in modo sinergico. Lo sviluppo di ipercalcemia è inizialmente
compensato da un progressivo incremento della calciuria. Fino a che il
meccanismo di filtrazione riesce a compensare l’ipercalcemia,
l’aumento di calcemia sierica risulta minimo. Il continuo e progressivo
incremento dell’escrezione calcica nelle urine comporta peraltro una
diuresi osmotica con conseguente deplezione di volume e riduzione
della quota di filtrazione glomerulare. Lo sviluppo di disturbi
18
CAPITOLO 1
gastrointestinali legati all’aumento della secrezione di gastrina,
concorre a peggiorare definitivamente la deplezione di volume.
Compare infine il danno neurologico caratterizzato da un progressivo
rallentamento ideo-motorio, letargia e disorientamento.
Fig.1
19
IPERCALCEMIA
EZIOLOGIA
Le più importanti cause di ipercalcemia sono elencate nella tabella 1.
E’ importante sottolineare che l’iperparatiroidismo primario e le
neoplasie coprono circa il 90% di casi di ipercalcemia.
Tabella 1- Cause di ipercalcemia
Associate ad
alterazioni delle
Paratiroidi
Associate a neoplasie
↑ Vitamina D
↑ Turnover osseo
Associate a malattie
renali
Iperparatiroidismo primitivo
Litio
Ipercalcemia ipocalciurica familiare
Metastasi litiche tumori solidi (mammella,
polmone, rene)
Neoplasie ematologiche
(mieloma, leucemie, linfomi)
Ipercalcemia umorale neoplastica
(polmone, rene)
Intossicazione vitamina D
Malattie granulomatose
Ipercalcemia idiopatica dell’infanzia
Ipertiroidismo
Immobilizzazione
Tiazidici
Intossicazione vitamina A
Iperparatiroidismo terziario, Alluminio,
Sindrome latte-alcali
PTH
mediate
Non PTH
mediate
20
CAPITOLO 1
Ipercalcemia associata a malattie neoplastiche
In corso di neoplasie maligne, il riscontro di ipercalcemia è evenienza
relativamente comune: generalmente si verifica nella fase avanzata
della neoplasia, costituendo quindi un segno prognostico negativo.
In generale i meccanismi che conducono all’ipercalcemia in corso di
neoplasia maligna possono essere di due tipi:
· ipercalcemia osteolitica locale , come si verifica nei pazienti con
metastasi scheletriche diffuse (per es. neoplasie della mammella,
polmone e rene), e in quelli con coinvolgimento del midollo osseo da
parte di una neoplasia ematologica (per es. mieloma multiplo).
· ipercalcemia umorale ,dovuta alla produzione, da parte della
neoplasia, di PTHrP (parathyroid hormone-related protein) per es.
neoplasie del polmone e rene, o di fattori di attivazione osteoclastica
(TGF-b) per es.leucemie e linfomi.
Il riscontro di ipercalcemia inoltre può essere osservato in pazienti con
neoplasie endocrine multiple. La MEN tipo 1 è una patologia
endocrina che si manifesta con neoplasie a carico di (occorrono
almeno 2 sedi interessate):
Paratiroidi
Ipofisi
Pancreas endocrino
iperparatiroidismo primitivo
adenomi (PRL, GH, …)
gastrinomi, insulinomi, ecc.
Si definisce familiare un caso di MEN-1 che si associ ad uno o più
parenti di primo grado con neoplasie in una delle 3 localizzazioni
tipiche. La malattia si trasmette geneticamente con modalità
Autosomica dominante.
Ipercalcemia ipocalciurica familiare
Sindrome caratterizzata da una solitamente asintomatica alterazione
dei valori della calcemia, con relativa ipocalciuria e valori
inappropriatamente nella norma di PTH. E’ caratterizzata da un
alterato set-point della sensibilità del PTH ai valori della calcemia
(resistenza delle paratiroidi all’effetto inibitorio del Ca++ sulla
21
IPERCALCEMIA
secrezione di PTH) e da aumentato riassorbimento renale di Ca++ . E’
trasmessa con carattere ereditario, in maniera autosomica dominante,
ed esistono rare forme con mutazione in omozigosi, che determinano
quadri di severo iperparatiroidismo neonatale. E’ causata da mutazioni
inattivanti del recettore del Ca++ (CaR) (figura 2)
Figura 2
L’ipercalcemia ipocalciurica familiare deve essere considerata in
diagnosi differenziale soprattutto in presenza di condizioni
asintomatiche, moderata ipercalcemia (<12 mg/dL), PTH
moderatamente elevato o normale ma inappropriato, imaging
scintigrafico negativo.
DIAGNOSI:
Cl(ca)/Cl(cre)<0.01
22
CAPITOLO 1
Ipercalcemia associata alla vitamina D
L’ ingestione di più di 50000UI/die,(50 volte superiore al normale
fabbisogno fisiologico) comporta un aumento di substrato per la 1 aidrossilasi renale, con aumento del 1,25(OH)2D.
Nei pazienti affetti da sarcoidosi, la normale regolazione della
produzione dei metaboliti attivi da parte del Calcio o del PTH viene
meno, in quanto il luogo di sintesi di 1,25(OH)2D si presume essere il
macrofago o altre cellule presenti nel nodulo granulomatoso.
Può rientrare nella categoria di patologie dovute all’alterazione del
metabolismo della vitamina D la sindrome di Williams neonatale,
patologia congenita caratterizzata da ipercalcemia, stenosi aortica,
ritardo mentale e facies elfina. Dovuta all’ alterazione dei meccanismi
inibitori di feed-back.
Ipercalcemia associata ad aumentato
rimaneggiamento osseo
Questo avviene in tutti quei casi dove esiste una sproporzione tra
neoformazione e rimaneggiamento osseo come nell’ipertiroidismo,
durante allettamento prolungato, nell’intossicazione da vitamina A
(assunzione di 50000 UI/die, pari a 10 volte il fabbisogno giornaliero).
Inoltre il trattamento con tiazidici può causare ipercalcemia
transitoria, più spesso in pazienti con preesistenti situazioni di
rimaneggiamento osseo, interagendo sull’escrezione renale e
sull’efficienza d’azione delle paratiroidi.
Sindrome da latte e alcali
Questa sindrome si manifesta in individui predisposti detti
“iperassorbitori”, caratterizzata da ipercalcemia, alcalosi e
insufficienza renale è provocata da un’eccessiva ingestione di calcio e
alcali assorbibili come il latte o il carbonato di Calcio.
23
IPERCALCEMIA
Iperparatiroidismo terziario
E’ talora possibile che in corso di iperparatiroidismo secondario
datante da lungo tempo, le paratiroidi si svincolino completamente dai
meccanismi di controllo della secrezione del PTH divenendo del tutto
autonome: si parla in questo caso di iperparatiroidismo terziario. Tale
evenienza si verifica di solito in pazienti che sono in insufficienza
renale cronica con iperparatiroidismo secondario da anni.
I valori di PTH aumentano decisamente così come i valori della
calcemia, contrariamente a quello che succede nell’iperparatiroidismo
secondario dove la calcemia tende a valori bassi. A livello clinico, le
alterazioni ossee divengono ancora più evidenti, e frequenti risultano
le calcificazioni dei tessuti molli.
ALGORITMO DIAGNOSTICO
Di fronte al paziente che presenta una ipercalcemia confermata, il
quesito più importante al quale il medico si trova a dover rispondere
riguarda la distinzione fra una situazione di ipercalcemia PTH-mediata
o non PTH-mediata. Tale distinzione riveste un’importanza clinica
fondamentale, in quanto il successivo iter diagnostico-terapeutico
nelle due categorie è differente. Il semplice dosaggio della calcemia
(eventualmente mediante determinazione del calcio ionizzato) e del
paratormone risulta quindi quasi sempre dirimente: valori elevati di
entrambi sono indice certo di ipercalcemia PTHmediata, in quanto
l’ipercalcemia non dovuta all’attività delle paratiroidi (o alla rara
secrezione di PTH ectopico) determina sempre la soppressione della
secrezione del PTH endogeno. Considerando la molteplicità di cause
quindi, deve essere considerata in fase iniziale una prima suddivisione
fra forme ipercalcemiche dipendenti da patologie paratiroidee rispetto
a forme ipercalcemiche svincolate dall’asse paratiroidi-calcio. Un
esempio può essere dato dalla flow-chart diagnostica in tabella.2.
24
CAPITOLO 1
Approccio diagnostico al paziente con ipercalcemia
IPERCALCEMIA
escludere errore di laboratorio
SI
assunzione di farmaci
NO
sospendere il trattamento
eucalcemia
Ipercalcemia iatrogena
PTH
ipercalcemia
elevato
ridotto
Altre cause
Iperparatiroidismo primitivo
Tabella 2
Figura 3
E’ chiaro quindi che il test singolo
fondamentale per la diagnosi
differenziale è il dosaggio del PTH.
I
dosaggi
radioimmunologici
(RIA)sono
sufficientemente
sensibili e pratici per la misurazione
routinaria del PTH circolante.
L’interpretazione
dei
risultati
richiede la comprensione di “cosa”
quel particolare antisiero stia
misurando. Infatti la maggiorparte
del PTH circolante consiste di
frammenti inattivi che vengono
eliminati dal rene, un accumulo di
questi per compromissione renale,
potrebbe alterare il test. Attualmente
25
IPERCALCEMIA
vengono utilizzati i dosaggi immuno radiometrici a “doppio sito” con
la possibilità di misurare il PTH intatto (figura 3) e quindi
biologicamente attivo.
DIAGNOSI NELLA PAZIENTE
Questo test è stato eseguito nella nostra paziente e i valori sono stati
derimenti riguardo alla diagnosi di iperparatiroidismo primitivo (PTH
519 pg/ml .vn 10.6-54 pg/ml). Diagnosi supportata ampiamente dalla
clinica sulla quale ci soffermeremo più avanti e dagli altri valori
laboratoristici quali la ipercalcemia (Ca tot. 15.1 mg/dl, Ca++2.11
mmol/L)e la ipofosfatemia (2.25 mg/dl).
Iperparatiroidismo primitivo
La prevalenza attuale dell’iperparatiroidismo primitivo è dell’ordine
di 0.5/1000 abitanti con più frequente interessamento del sesso
femminile (rapporto femmine/maschi 2:1) e della 6° - 7° decade di
vita.
L’ipersecrezione di PTH nell’iperparatiroidismo primitivo può essere
causata da:
♦
♦
♦
♦
adenoma singolo o doppio (75-80%)
iperplasia delle cellule principali (20%)
carcinoma (1%)
forme ereditarie (ipercalcemia ipercalciurica familiare e le
neoplasie endocrine multiple di tipo 1 e di tipo 2).
MANIFESTAZIONI CLINICHE DELL’IPERPARATIROIDISMO
L’iperparatiroidismo può presentarsi clinicamente in diverse forme.
Molti casi decorrono in maniera del tutto asintomatica e vengono
diagnosticati solamente per il dosaggio occasionale della calcemia.
In realtà, anche in questi casi, un’anamnesi attenta e mirata può
mettere in evidenza una serie, pur aspecifica, di sintomi quali la facile
26
CAPITOLO 1
faticabilità, la profonda astenia, la cefalea ed il prurito, oltre alla
confusione mentale ed alla labilità emotiva.
MANIFESTAZIONE RENALI
Uno dei sintomi più comuni dell’iperparatiroidismo è la colica renale
che si presenta nel 30 – 40% dei casi e che è dovuta alla presenza di
calcolosi delle vie urinarie. I calcoli sono in genere costituiti da
ossalato di calcio.
I fattori che nell’iperparatiroidismo causano la formazione dei calcoli
sono sostanzialmente l’ipercalciuria e l’acidosi tubulare renale che
favorisce la precipitazione dei sali di calcio. Meno frequentemente si
può avere una nefrocalcinosi, con depositi di calcio nel parenchima
renale. Generalmente i pazienti che presentano calcolosi renale non
presentano nefrocalcinosi e viceversa.
MANIFESTAZIONI OSSEE
Il PTH aumenta il turnover osseo, ed i suoi effetti possono essere
catabolici o anabolici, in relazione all’età del paziente. In generale,
l’effetto catabolico prevale, con conseguente demineralizzazione
dell’osso : si ha pertanto riduzione del numero delle trabecole ossee,
osteolisi per aumento dell’attività degli osteoclasti, sostituzione
fibrosa del tessuto osseo: ne consegue un aumentato rischio di fratture,
soprattutto a carico delle vertebre.
Di raro riscontro oggi sono i caratteristici quadri radiologici
dell’osteitefibroso-cistica: mentre in passato tale complicanza si
verificava in circa il 50% dei pazienti affetti da iperparatiroidismo,
attualmente un reale e significativo coinvolgimento osteitico si rileva
circa nel 10% dei soggetti affetti. Più frequentemente si possono
rilevare erosioni sottoperiostali a carico delle falangi e
demineralizzazione ossea diffusa che simula un quadro di osteoporosi.
Clinicamente il paziente può lamentare dolori ossei diffusi o
localizzati in caso di fratture spontanee. Più rare le deformità ossee.
MANIFESTAZIONI GASTROINTESTINALI
L’ipercalcemia di per sé causa un aumento dei livelli di gastrina con
conseguente aumento della secrezione acida gastrica: ne consegue la
maggior probabilità di patologia dispeptica (quadro molto evidente
nella nostra paziente che si presentava con epigastralgia marcata,
27
IPERCALCEMIA
nausea e vomito) fino a quadri di ulcera peptica. A ciò possono
associarsi quadri di pancreatine cronica, forse per la precipitazione di
sali di calcio nei dotti pancreatici e altri disturbi aspecifici come la
stipsi (dovuta alla ridotta motilità intestinale) riferita dalla nostra
paziente negli ultimi periodi.
MANIFESTAZIONI NEUROLOGICHE
La labilità emotiva, la depressione, la difficoltà di concentrazione e la
riduzione della memoria sono i sintomi neurologici più frequenti
dell’iperparatiroidismo. Sintomi che ci hanno particolarmente colpito
durante la raccolta dell’anamnesi. Talora i sintomi possono aggravarsi
fino alla confusione, all’ottundimento ed alla letargia se i valori della
calcemia divengono particolarmente elevati.
La profonda astenia e la facile faticabilità, soprattutto a carico dei
muscoli prossimali, sono estremamente disturbanti e sono segnalati di
frequente. La nostra paziente riferiva un’astenia così marcata da
compromettere la deambulazione.
MANIFESTAZIONI CARDIOVASCOLARI.
L’ipercalcemia causa un aumento dell’altezza del plateau (fase 2)del
potenziale d’azione del muscolo cardiaco a causa dell’incremento
della corrente lenta d’ingresso del calcio e della corrente del potassio
che ripolarizza la cellula: ciò si traduce in un accorciamento del QT
all’elettrocardiogramma e una facilità all’automatizzazione. Le figure
4a e 4b mostrano i tracciati elettrocardiografici della nostra paziente
ai diversi valori di calcemia.
Figura 4a
Calcemia 15 mg/dl
Fc 70 bpm
QT 0.3 sec
Figura 4b
Calcemia 7.1 mg/dl
Fc 70 bpm
QT 0.4 sec
28
CAPITOLO 1
ALTRE MANIFESTAZIONI
Comprendono poliuria e polidipsia, dovute alla ridotta sensibilità del
tubulo distale all’ormone antidiuretico (ADH) per effetto
dell’ipercalcemia. Quello che viene ad instaurarsi, così come nella
nostra paziente è una forma di diabete insipido nefrogenico ADH
resistente.
IMAGING DELL’IPERPARATIROIDISMO
E’ noto che la diagnosi di iperparatiroidismo (HPT) è clinicolaboratoristica, che l’iperparatiroidismo primitivo può essere curato
con l’asportazione del tessuto paratiroideo iperfunzionante (nell’8590 % dei casi si tratta di un adenoma singolo) e che la chirurgia delle
paratiroidi è una tecnica dispendiosa in termini di tempo e necessita di
una notevole esperienza specifica dell’operatore. Negli ultimi anni lo
sviluppo di nuove tecniche chirurgiche come l’esplorazione
unilaterale del collo e la chirurgia miniinvasiva video o radioguidata, e
la determinazione intraoperatoria del PTH hanno permesso una
riduzione del tempo dell’intervento e del ricovero del paziente con
evidente risparmio economico e con miglior risultato estetico.
Tali procedure richiedono una ottimizzazione delle tecniche di
localizzazione pre-chirurgica, tenendo conto che le paratiroidi sono
ghiandole endocrine caratterizzate dalla molteplicità (normalmente
sono in numero di quattro con incidenza di ghiandole soprannumerarie
compresa tra il 2 e il 5 %) e dalla possibilità di localizzazione ectopica
(fino al 20 % delle ghiandole iperfunzionanti sono ectopiche). La
diagnostica per immagine dell’iperparatiroidismo primitivo è quindi
da considerare il link fra la diagnosi e la pianificazione del corretto
intervento chirurgico. In ogni caso, una corretta diagnosi di
laboratorio e la conferma preliminare di una condizione clinica di
iperparatiroidismo primario è del tutto imprescindibile per pianificare
uno studio di imaging morfologico e/o funzionale. La scelta
dell’imaging per la valutazione delle paratiroidi è attualmente varia:
US, TC, RM e medicina Nucleare. Comunque, nessuna delle
metodiche diagnostiche, presa singolarmente, risulta valida in tutte le
circostanze di qui la necessità di integrare due o più tecniche per
ottenere un aumento della sensibilità globale. (tabella 3).
29
IPERCALCEMIA
Imaging dell’iperparatiroidismo: strategia integrata.
LABORATORIO
SCINTIGRAFIA
DUBBIA
POSITIVA
NEGATIVA
cervicale
ectopica
Extratiroidea
TC/RMN
Intratiroidea
ECOGRAFIA
CHIRURGIA
Tabella 3
SCINTIGRAFIA
È una delle metodiche più accurate per la ricerca di adenomi o
iperplasie delle paratiroidi, grazie anche alla possibilità di esaminare
contemporaneamente la regione cervicale e mediastinica.
Come tutte le tecniche di imaging non è in grado di evidenziare le
paratiroidi normali Non esistono infatti traccianti che abbiano le
paratiroidi come esclusivo organo bersaglio. Quelli impiegati
(201Tallio, 99mTc-2-metossi-isobutilisonitrile [MIBI] , 99mTcTetrofosmin) hanno la caratteristica comune di essere captati dalla
tiroide e dalle paratiroidi iperfunzionanti, con maggior concentrazione
a livello di quest’ultime. L’entità della captazione dipende dal flusso
ematico regionale (perfusione) e dalla concentrazione numerica di
cellule metabolicamente attive (cellularità).
I meccanismi di
captazione cellulare differiscono per ognuno dei traccianti e per alcuni
aspetti non sono completamente noti. Le procedure più
frequentemente usate sono: la scintigrafia con doppio tracciante e
tecnica di sottrazione e la scintigrafia in doppia fase.
30
CAPITOLO 1
La scintigrafia con DOPPIO TRACCIANTE e metodica di
SOTTRAZIONE si basa sul confronto tra l’immagine ottenuta dopola
somministrazione di un tracciante captato prevalentemente a livello
della tiroide (99mTc-pertecnetato) e quella rilevata dopo
somministrazione di Tallio, MIBI o Tetrofosmin che si accumulano
sia a livello tiroide o sia a livello paratiroideo. Nei casi più tipici la
presenza di una o più paratiroidi iperfunzionanti è già riconoscibile
nella sola immagine ottenuta col tracciante di cellularità, in base alla
presenza di una o più aree focali di maggior accumulo della sostanza,
cui corrisponde una zona “fredda” nell’immagine tiroidea con
tecnezio. Frequentemente la concentrazione dei traccianti a livello
delle lesioni paratiroidee è uguale o inferiore a quello della tiroide; in
questi casi l’immagine di sottrazione consente di riconoscere la/le
paratiroidi iperfunzionanti come aree focali più evidenti rispetto
all’attività totale (figura 5).
Fig. 5- Tecnica di sottrazione:
schema esemplificativo
Immagine A ottenuta dopo
somministrazione di 99mTc,
rappresenta la tiroide
Immagine B ottenuta dopo
somministrazione aggiuntiva
del tracciante di cellularità
Immagine C ottenuta mediante
sottrazione di B –A
31
IPERCALCEMIA
L’accuratezza diagnostica dell’indagine con tecnica di sottrazione è
limitata da:
• movimento del Paziente durante la registrazione delle immagini (è
necessaria l’immobilità prolungata)
• presenza di gozzo plurinodulare e/o lesioni “calde” alla scintigrafia
tiroidea con Tecnezio, che possono rendere tecnicamente difficile la
sottrazione delle immagini
• funzione tiroidea inibita da interferenze farmacologiche (trattamento
con ormoni tiroidei o recente somministrazione di mdc iodato) o
tiroide in tutto o in parte assente per pregresso intervento chirurgico.
La tecnica in DOPPIA FASE utilizza il 99mTc- MIBI e sfrutta i
diversi tempi di rilascio del radiomarcato dalla tiroide e dalle
paratiroidi iperfunzionanti. Il tracciante, iniettato per via endovenosa,
raggiunge la massima captazione a livello tiroideo dopo 5-10 minuti e
successivamente si allontana in modo relativamente rapido dalla
tiroide e più lentamente dalle paratiroidi iperfunzionanti (tale
fenomeno è detto wash-out differenziale). Pertanto a distanza di 2-3
ore dalla somministrazione permane una significativa concentrazione
di indicatore solo a livello delle paratiroidi iperfunzionanti, mentre
l’immagine tiroidea si attenua quasi del tutto (figura 6).
32
CAPITOLO 1
Fig. 6 - Tecnica in DOPPIA FASE
Schema esemplificativo
Immagine A ottenuta dopo
somministrazione di 99mTc-MIBI
Immagine B ottenuta dopo 2-3 ore dalla
somministrazione
Il grafico mostra il meccanismo del
wash-out differenziale tra tiroide e
paratiroide iperfunzionante
Alla scintigrafia con MIBI viene associata l’ecografia (effettuata
sempre dopo l’esame scintigrafico, in quanto nettamente più
operatore-dipendente della prima): tale abbinamento fornisce elevati
livelli di accuratezza (sensibilità 95%, specificità vicina al 100 %). Le
due metodiche sono complementari (l’ecografia è la metodica più
sensibile, la scintigrafia la più specifica) e sinergiche
(all’informazione prevalentemente funzionale fornita dalla scintigrafia
si associa il dato morfologico dell’ecografia).
33
IPERCALCEMIA
IMAGING NELLA PAZIENTE
Nella nostra paziente l’esame scintigrafico effettuato con tecnica dual
phase e sottrazione MIBI/99mTc, mediante acquisizioni di immagini
planari su collo e mediastino dopo 5min, 1 h e 2h dalla
somministrazione del tracciante ha messo in evidenza area di residua
captazione del MIBI a livello del mediastino anteriore superiore, in
sede paramediana destra. Alta probabilità di adenoma paratiroideo
nella regione segnalata. (figura 7)
SCINTIGRAFIA
Fig.7
ECOGRAFIA
L’ecografia ha evidenziato in corrispondenza del lobo di destra due
aree rotondeggianti di 4 e 9 mm di diametro, entrambe ipoecogene da
riferire a formazioni solide.
34
CAPITOLO 1
TC TORACE
Questi esami sono stati poi integrati con una TC torace con e senza
mezzo di contrasto che ha evidenziato la presenza di una formazione
rotondeggiante con enhancement precoce di 18 mm di diametro in
corrispondenza della finestra prevascolare in sede retrosternale,
confermando la diagnosi di alta probabilità di adenoma paratiroideo
effettuata con la scintigrafia.
TERAPIA
INDICAZIONI CHIRURGICHE
L’intervento di paratiroidectomia è altamente raccomandato per i
pazienti con iperparatiroidismo sintomatico, calcolosi renale,
patologie ossee e gravidanza. Inoltre le linee-guida revisionate nel
2002 hanno esteso la candidatura all’intervento chirurgico anche ai
pazienti apparentemente asintomatici se:
1-Calcemia >1mg/dl del valore normale.
2-Calciuria >400 mg nelle 24 ore.
3-densità ossea < di 2SD del valore normale.
4- età <50
5-resistenza alla terapia medica
La nostra paziente è stata quindi sottoposta ad intervento di
asportazione dell’adenoma ectopico, con netto miglioramento della
sintomatologia clinica e immediato decremento del PTH e della
calcemia (PTH 29.2 pg/ml, Ca 6.9 mg/dl). Inoltre l’esame istologico
post-operatorio ha confermato la diagnosi di adenoma paratiroideo
della varietà a cellule principali. La paziente è stata quindi dimessa
con terapia sostitutiva con Calcio e vitamina D. Inoltre vista
l’importanza della sintomatologia gastrointestinale è stata eseguita
uno esofagogastroduodenoscopia con biopsia e esame istologico che
ha evidenziato una gastrite cronica antrale attiva e la presenza di aree
focali di metaplasia intestinale. Positiva la ricerca per Helicobacter
Pylori. Per cui alla dimissione è stata aggiunta terapia con
esomeprazolo, amoxicillina e claritromicina .
35
IPERCALCEMIA
TERAPIA MEDICA NEL POST-OPERATORIO
La maggior parte dei pazienti dopo l’intervento di paratiroidectomia
può presentare segni e sintomi riferibili ad ipocalcemia. In genere i
livelli di calcio raggiungono il nadir nel secondo o nel terzo giorno
post-operatorio.L’ipocalcemia tenderà ad essere più marcata e
prolungata nei pazienti con una più marcata compromissione ossea
preintervento. In questi pazienti la riduzione dei livelli di PTH
determina una intensa positivizzazione del bilancio calcico e fosforico
osseo (hungry bone syndrome) associata ad un aumento del PTH che
può persistere per molte settimane. In rari casi (0.5-1%) l’intervento
chirurgico è seguito da una ipocalcemia permanente con
ipoparatiroidismo permanente. Questo ipoparatiroidismo iatrogeno è
più frequente in caso di reintervento sul collo specie per la presenza di
una iperplasia. La diagnosi differenziale precoce tra ipoparatiroidismo
e “hungry bone syndrome” può essere fatta con il dosaggio del PTH e
suggerita dalla fosforemia (in aumento nell’ipoparatiroidismo ed in
diminuzione ulteriore nell’hungry bone syndrome).
Una lieve ipocalcemia, se non sintomatica, non richiede alcun
trattamento. Nelle ipocalcemie più severe e sintomatiche (parestesie
delle estremità distali e circumorali, crampi muscolari, tetania latente)
si rende necessaria supplementazione calcica (1-3 g/die), cui può
essere associato calcitriolo (1-2 mg/die). In qualche caso
l’ipocalcemia è molto severa (comparsa di tetania) e può richiedere
l’infusione quasi continuativa di calcio e.v. (ad esempio: 0.2-1 g in 10
minuti, seguito da infusione continua con 1-2 mg/kg/ora.
TERAPIA MEDICA E FOLLOW-UP IN PAZIENTI NON SOTTOPOSTI A INTERVENTO
CHIRURGICO
Solo nel 1990 una “consensus conference” internazionale ha stabilito
dei criteri precisi che prevedono la possibilità di soprassedere
all’intervento chirurgico e di limitarsi ad un’attenta osservazione, in
soggetti affetti da iperparatiroidismo primitivo asintomatico, con età
superiore a 50 anni, con valori di calcemia non particolarmente elevati
e con massa ossea non particolarmente compromessa. In ogni caso,
molti dei pazienti che non hanno rigorosa indicazione all’intervento
chirurgico, possono comunque trarne beneficio, in quanto esso
determinerebbe
un
netto
miglioramento
dei
sintomi
36
CAPITOLO 1
“neurocomportamentali”, talora difficili da evidenziare, e impedirebbe
la progressione della malattia verso una fase sintomatica.
Come è evidente dalla tabella 4 sono molti i farmaci di cui disponiamo
e che a volte si rendono necessari nel controllo dell’ipercalcemia di
qualunque eziologia.
Pazienti non sottoposti a intervento chirurgico
TERAPIA
MEDICA
Bifosfonati
Corticosteroidi
Calcitonina
Mitramicina
Nitrato di gallio
fosfati
Calcemia ogni 6 mesi
FOLLOW - UP
Cretatininemia ogni anno
Densità ossea ogni anno
Tabella 4
Bifosfonati
Il principale effetto farmacologico dei bisfosfonati è quello di inibire il
riassorbimento osseo:l’elevata affinità di queste sostanze per i cristalli
di idrossiapatite rende l’osso bersaglio elettivo di questi farmaci. Essi
vanno ad interagire sulla funzione delle cellule deputate al
riassorbimento osseo: gli osteoclasti.Una volta entrati in circolo, i
bisfosfonati si legano ai cristalli di idrossiapatite e vengono quindi
“fagocitati” dagli osteoclasti. Una volta all’interno degli osteoclasti i
bisfosfonati ne bloccano la funzione di riassorbimento osseo. Sono
37
IPERCALCEMIA
espressione di questo blocco del riassorbimento la riduzione della
secrezione acida degli osteoclasti, la riduzione delle attività
enzimatiche e della produzione di interleukina 6; sembra inoltre che
essi possano favorire l’apoptosi degli osteoclasti ed il distacco dalle
superfici ossee di riassorbimento.
Inoltre vi è un secondo meccanismo “indiretto” in quanto i
bisfosfonati sono in grado di inibire quei fattori di attivazione degli
osteoclasti prodotti normalmente dagli osteoblasti (riduzione del
reclutamento degli osteoclasti).
Effetti collaterali:
– Leucopenia
– Iperpiressia
– Riduzione livelli di fosfato
– Nausea e anoressia
Farmaci e dosaggi
PAMIDRONATO (AREDIA):
60 mg in 500 cc di soluzione fisiologica o glucosata al 5% alla
velocità di 125 ml/h (15 mg/ora.)
L’effetto ipocalcemizzante è dose dipendente. Si manifesta dopo 2436 ore dalla somministrazione.
Permane per circa 2 settimane. La dose può essere ripetuta non prima
di 7 giorni.
ACIDO ZOLEDRONICO (ZOMETA):
4 mg in infusione endovenosa in almeno 15 minuti.
Maggiore efficacia.
Ripetibile dopo 4 settimane.
Corticosteroidi
Agiscono riducendo l’assorbimento intestinale del calcio, inibendo la
risposta infiammatoria nel tessuto granulomatoso e nei mielosi e
antagonizzando l’azione della vitamina D. Per questo considerati utili
38
CAPITOLO 1
nel trattamento in acuto dell’intossicazione da vitamina D e A.
L’effetto sulla calcemia non è immediato, ma compare dopo alcuni
giorni.
DESAMETASONE
4 mg due volte al giorno endovena per circa 5 giorni.
IDROCORTISONE:
100 mg due volte al giorno endovena per circa 3 giorni.
Calcitonina
L’effetto ipocalcemizzante persiste per 6-8 ore.Riduce il calcio sierico
di circa il 10% (0.5 mg/dl).
Dose: 4 UI/Kg sottocute o intramuscolo ogni 12 ore oppure 8 UI/Kg
ogni 6 ore se la risposta è insoddisfacente.
Effetti collaterali:
Nausea, crampi addominali e Flushing
Mitramicina
Farmaco antibiotico antineoplastico che interferisce con la
differenziazione degli osteoclasti (inibisce la sintesi di RNA). Viene
utilizzato nei pazienti non responsivi ai bifosfonati.
Dose:15-25 mcg/Kg endovena in circa 4 ore per non più di 7 giorni.
Effetti collaterali:
Disturbi elettrolitici, piastrinopenia, stomatite, necrosi epatocellulare,
nausea e vomito.
Nitrato di gallio
Inibisce il riassorbimento osseo con un’ efficacia pari al pamidronato.
Ha una durata d’azione di circa due settimane. Altamente
nefrotossico.
Dose: 200 mg/m2 superficie corporea endovena per 5 giorni.
Fosfati
Inibiscono il riassorbimento osseo bloccando l’attivazione della
vitamina D. Possono precipitare un’insufficienza renale. Non devono
essere somministarti se il prodotto calcio x fosforo è > 70. Agiscono
in 6 – 8 ore. Riducono la calcemia di 1 – 5 mg/dl.
Dose:1.5 g per 6 – 8 ore.
39
IPERCALCEMIA
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La nostra paziente è giunta con un quadro clinico particolarmente
vario. Se ci fossimo soffermati sulla sintomatologia gastroenterica
(nausea, vomito e epigastralgia) avremmo potuto spiegare solo in
parte il corteo sintomatologico della paziente non riuscendo ad
inquadrare sintomi che seppure aspecifici erano particolarmente
importanti (astenia, labilità emotiva e poliuria).
All’ingresso in reparto la nostra attenzione è stata attratta dal quadro
degli esami ematochimici, che mostravano una ipercalcemia severa.
Sulla scorta del valore elevato del paratormone, ci siamo orientati
verso un iperparatiroidismo primitivo e abbiamo eseguito una
scintigrafia delle paratiroidi e una TC torace che hanno evidenziato la
presenza di un adenoma paratiroideo, trattato in seguito
chirurgicamente. L’iperparatiroidismo primitivo nell’anziano, spesso
rimane misconosciuto perché la presentazione clinica può essere
asintomatica o lievemente sintomatica, anche la nostra paziente era
stata allarmata dai sintomi gastrointestinali mentre aveva sottovalutato
quelli neurologici che inizialmente potevano essere confusi con il
normale invecchiamento. I disturbi del comportamento più
frequentemente descritti includono disturbi a livello dell’affettività
(apatia, mancanza di iniziativa, disturbi del sonno, irritabilità,
ideazioni suicide, labilità emotiva) e meno frequentemente delirium o
disturbi psicotici quali aggressività e allucinazioni. Anche se la
patogenesi dei disordini psichiatrici nell’iperparatiroidismo non è
esattamente conosciuta, sembra che il calcio giochi un ruolo cruciale
nelle modificazioni del metabolismo delle monoamine nel sistema
nervoso centrale.
40
CAPITOLO 1
BIBLIOGRAFIA
Bilezikian J.P.: et al., Primary hyperparathyroidism: new concepts in
clinical, densitometric and biochemical features. Journal of internal
medicine 2005;257:6-17
Caron NR et al: persistent and recurrent hyperparathyroidism. Curr Treat
options oncol 2004;5:335
Clark O: editorial: how should patients whit primary
hyperparathyroidism be treated? J Clin Endocrinol Metab 2003;88:3011
Kearns AE et al: Medical and surgical management of
hyperparathyroidism. Mayo Clin Proc 2002;78:87
Malone JP et al : Hyperparathyroidism and multiple endocrine neoplasia.
Otolaringol Clin North Am 2004;37:715
Rao DS et al: Randomized controlled clinical trial of surgery versus no
surgery in patients whit mild asymptomatic hyperparathyroidism. J Clin
Endocrinol Metab 2004;89:5415.
Siperstein A et al : Prospective evaluation of sestamibi scan,
ultrasonography, and rapid PTH to predict the success of limited
exploration for sporadic primary Hyperparathyroidism. Surgery
2004;136:872
Capitolo 2
Un diabete con segni antichi
A cura del Dott. Filippo Tomassetti
“Poche osservazioni
e molti ragionamenti
conducono all’errore;
molte osservazioni
e pochi ragionamenti
alla verità.”
ALEXIS CARREL
ANAMNESI
Sig. D.V., di anni 34, di
professione autista di mezzi
pubblici.
ANAMNESI PATOLOGICA
PROSSIMA
Il paziente, di anni 34, in
Agosto us (circa 3 mesi fa) si è
recato
ad
una
visita
specialistica urologica per l'insorgenza di un problema di erezione
dolorosa, con tumefazione della regione peniena, con eritema diffuso
a livello della radice delle cosce ed eritema a placche sul glande e sul
pene.
L'urologo ha posto diagnosi di candidosi genitale.
Un'ecografia della regione peniena ha evidenziato una induratio penis
plastica, in particolare a livello della tonaca di rivestimento dei corpi
41
42
CAPITOLO 2
cavernosi in sede dorsale. Iniziava terapia con DIFLUCAN e
DAKTARIN, sospesa poi dopo miglioramento della sintomatologia
locale (1 mese).
Nei mesi successivi accusava malessere, cefalea, astenia, seguiti poi
da poliuria, polidipsia, anoressia e calo ponderale (circa 6 kg in 3
mesi). Riprendeva inoltre la sintomatologia urogenitale, con eritema e
secrezione a livello balano-prepuziale, erezione dolorosa e stranguria.
Per questa sintomatologia giunge alla nostra osservazione, inviato dal
Medico di Base in regime di ricovero in Day Hospital di Medicina
Interna. Il paziente appare sovrappeso, sofferente e preoccupato.
Notiamo che è lievemente irritabile ma collaborante, fiducioso nei
confronti della nostra equipe medica.
ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA
Delle comuni malattie esantematiche dell'infanzia, ricorda morbillo e
varicella. A 24 anni, intervento chirurgico per cisti branchiale a
livello laterocervicale dx.
ANAMNESI FISIOLOGICA
Nato a termine da parto eutocico. Allattamento materno. Normali i
primi atti dell’infanzia e lo sviluppo psicosomatico. Abile alla leva.
Scolarità: licenza media inferiore. Alvo regolare, poliuria da 1 mese,
stranguria da 3 mesi. Normomangiatore, dieta varia. Fumatore, 40
sigarette/die. Beveva vino ai pasti, non beve più alcool da 2 mesi. 1-2
caffè/die.
Nega reazioni allergiche a farmaci.
ANAMNESI FAMILIARE
Padre deceduto a 56 anni per processo broncopneumonico. Madre
vivente di 68 anni, ipertensione arteriosa. 1 sorella di 29 anni in
apparente buona salute. 2 figli di 9 e 7 anni, in apparente buona salute.
43
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
ESAME OBIETTIVO
ESAME GENERALE
Condizioni generali
discrete.
Psiche
lucida.
Sensorio
Integro.
Facies
composita.
Decubito
indifferente.
Respiro eupnoico.
Cute
calda
e
asciutta.
Mucose
rosee.
Pannicolo
adiposo
ben
rappresentato,
distribuzione
androide. Lesioni
(Fig.1) Regione inguino-scrotale
eritematose
a
Eritema e lesioni maculo-papulari, che nel
livello delle pieghe
paziente si accompagnavano a lesioni
inguino-scrotali e
eritematose ed essudative del
nel solco balanosolco balano-prepuziale.
prepuziale (fig.1).
Sistema linfonodale
apparentemente
indenne. Apparato
osteoarticolare apparentemente indenne.
CAPO E COLLO
Capo normoconformato e normo-atteggiato. Collo non dolente ai
movimenti di flesso-estensione e lateralità. Non dolenti né dolorabili i
punti di emergenza del V paio di nervi cranici. Lingua lievemente
iperemica, si rileva una vescicola biancastra con cercine iperemico al
confine tra base e corpo linguale.
44
CAPITOLO 2
CUORE E VASI
Itto della punta palpabile al V spazio intercostale sull’emiclaveare.
Azione cardiaca ritmica, 98 b/minuto. Toni netti, pause libere. Polsi
periferici presenti e normosfigmici.
TORACE
Torace cilindrico, emitoraci simmetrici e normoespandibili con gli atti
respiratori. Basi mobili. Suono chiaro polmonare su tutto l’ambito.
MV lievemente aspro, non rumori respiratori aggiunti.
ADDOME
Addome lievemente globoso per adipe. Cicatrice ombelicale
normointroflessa. Assenza di reticoli venosi patologici. Trattabile.
Non dolente alla palpazione superficiale e profonda. TEC come di
norma. Organi ipocondriaci nella norma.
SISTEMA NERVOSO
Assenza di deficit sensitivi e motori.
ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI
ESAMI EMATOCHIMICI
VES
Glicemia
Azotemia
Sodio
Fibrinogeno
FT3– FT4–TSH
HBsAg
HCV Ab totali
30
324 mg/dL
6,8 mg/dL
136,7 mEq/L
597 mg/dl
nella norma
Negativo
Negativo
Elettroforesi Sieroproteica
Albumina 50.6% (52-65) 3,85 g/dL
45
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
ESAMI URINE
Glucosio= 50,5 g/L
Chetoni = +++
Sedimento= Scarsa flora micotica
ECG
Ritmo sinusale a frequenza cardiaca di 84 bpm. Blocco di branca
sinistra completo.
ECG DINAMICO SECONDO HOLTER
Ritmo sinusale a frequenza cardiaca media di 89 bpm. Sporadici
battiti ectopici sopraventricolari e due run sopraventricolari di cui il
più lungo di nove battiti. Normale conduzione atrioventricolare.
Conferma del blocco di branca sinistra completo.
Nessuna sintomatologia durante la registrazione del tracciato.
ECOCARDIOGRAMMA
Ventricolo sinistro di volume normale con spessori parietali ai limiti
superiori della norma, alterata cinesi settale (in presenza di blocco di
branca sinistra completo) e funzione sistolica globale conservata.
Nella norma atrio sinistro e cavità destre. Apparati valvolari esenti da
alterazioni significative.
46
CAPITOLO 2
RAGIONAMENTO CLINICO
ELEMENTI ESSENZIALI
DA ANAMNESI
ED ESAMI CLINICOLABORATORISTICI
♦
♦
♦
♦
♦
♦
♦
♦
Sintomi e segni di infezione recidivante dei genitali esterni
Poliuria e polidipsia
Anoressia e calo ponderale
Cefalea e malessere generale
Iperglicemia, glicosuria, chetonuria
Segni di infiammazione acuta (VES, fibrinogeno)
Ipoalbuminemia
Blocco di branca sinistra
Il paziente mostra i sintomi e i segni di un’infezione genitale, con un
quadro di infiammazione sistemica. I valori della glicemia sono già
diagnostici di diabete mellito (glicemia >200 mg con sintomi).
Al fine di meglio definire la situazione glicometabolica del paziente e
precisare la diagnosi della specifica infezione responsabile della
sintomatologia genitale prescriviamo i seguenti esami:
♦
♦
♦
♦
♦
Dosaggio dell’HbA1c
Dosaggio dell’insulinemia basale
Studio del profilo glicemico
Pattern autoanticorpale: ICA, IAA, Anti-GAD
Videat DERMATOLOGICO + esame microscopico a fresco delle
lesioni genitali
I primi risultati ottenuti dal laboratorio sono i seguenti:
HbA1C= 11.2% (4,2-6,5)
47
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
Profilo glicemico:
PC=264 mg/dl – DC=280 mg/dl – PP=275 mg/dl – DP=318 mg/dl –
PC =280 mg/dl
(PC: prima di colazione - DC: dopo colazione - PP: prima di pranzo - DP:
dopo pranzo – PC: prima di cena)
Videat Dermatologico:
Sono visibili le pseudo-ife di Candida albicans, viene pertanto
confermata la diagnosi di candidosi genitale.
IPOTESI CONSIDERATA
Con i valori glicemici riscontrati nel paziente, abbiamo già una
diagnosi stabilita di diabete mellito. Dobbiamo precisare di quale
forma di diabete si tratti e instaurare la terapia più appropriata. A tale
scopo è utile richiamare brevemente alcune nozioni di fisiopatologia e
gli elementi clinici di confronto tra le forme più comuni di diabete.
Richiami di Fisiopatologia e Clinica
del Diabete Mellito
Il diabete mellito è una sindrome endocrino-metabolica, caratterizzata
da iperglicemia ed alterazioni del metabolismo di carboidrati, lipidi e
proteine. L’eziologia è eterogenea: vengono classicamente distinte due
forme principali: il diabete tipo 1, dovuto a deficit della secrezione
insulinica pancreatica, ed il diabete tipo 2, caratterizzato da una
combinazione variabile di resistenza tessutale all’azione insulinica e di
deficit della secrezione compensatoria insulinica. L’iperglicemia, il
markers distintivo della malattia diabetica, è di grado variabile,
correlato con lo stadio e la severità del sottostante processo
patologico, nonché con l’efficacia del trattamento.
DIABETE TIPO 1
In questa forma, più rara (5-10% dei casi totali di diabete nella
popolazione), le beta-cellule delle isole di Langherans del pancreas
vengono distrutte da un aggressione autoimmune (90% dei casi) o da
un processo idiopatico (10%). Nella prima forma, di gran lunga la più
comune, un insulto ambientale (microbico, chimico, dietetico) scatena
48
CAPITOLO 2
una reazione autoimmune specifica verso le cellule beta pancreatiche
di un individuo geneticamente predisposto. Gli alleli HLA DR3 e/o
DR4 sono infatti presenti nel 90-95% dei diabetici di tipo 1 e solo nel
45-50% della popolazione generale; la concordanza in gemelli
monozigoti è del 40%. La distruzione beta-cellulare è un processo
prevalentemente cellulo-mediato, ma accompagnato da una reazione
umorale, con produzione di autoanticorpi contro costituenti delle isole
pancreatiche (ICA:anti-cellule insulari, IAA:anti-insulina, GAD:antiacido glutammico decarbossilasi). Questa reazione anticorpale è
utilizzata clinicamente come marcatore di laboratorio nella fase di
esordio del diabete di tipo 1.
Quando il 90% delle cellule beta sia stato distrutto, la massa cellulare
restante non è più in grado di sostenere una secrezione insulinica
quantitativamente sufficiente a mantenere il livello glicemico nei
limiti della norma e la malattia si manifesta. Dopo la diagnosi e
l’istituzione di una terapia isnulinica sostitutiva vi è spesso un certo
grado di recupero temporaneo della capacità secretoria beta-cellulare e
la richiesta di somministrazione esogena può calare drasticamente, al
punto che i pazienti provano l’illusione di essere “guariti” (“luna di
miele” della malattia). Dopo un tempo variabile da settimane a mesi,
la secrezione insulinica endogena si interrompe completamente ed è
necessaria una terapia sostitutiva completa (diabete insulinodipendente).
DIABETE TIPO 2
Il diabete di tipo 2 (un tempo denominato imprecisamente non
insulino-dipendente) è la forma di diabete più comune nella
popolazione. Dalla metà del secolo scorso, con il diffondersi
dell’alimentazione eccessiva e della relativa inattività fisica (modello
di tipo “occidentale”) sta divenendo una malattia di proporzioni
epidemiche, con costi sanitari e di morbilità molto rilevanti. La
predisposizione genetica, anche se non ancora definita nelle sue
componenti, è ancora più spiccata rispetto al diabete di tipo 1: la
concordanza in gemelli monozigoti è dell’80-90%.
La fisiopatologia vede in gioco quattro elementi caratteristici:
insulino-resistenza, deficit secretorio betacellulare, alterata produzione
epatica di glucosio ed anormalità nell’assorbimento intestinale di
carboidrati.
49
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
L’insulino-resistenza è il risultato di un difettoso segnale intracellulare
post-recettoriale, con susseguente diminuzione dell’espressione dei
trasportatori intracellulari del glucosio. L’insulina si lega cioè al suo
recettore di membrana, ma la catena di eventi biochimici nelle cellule
dei tessuti insulino-sensibili (fegato, muscolo, tessuto adiposo) non si
svolge correttamente e non porta all’aumentata espressione dei
recettori del glucosio, che dovrebbero rimuoverlo dall’ambiente
extracellulare internalizzandolo. In una fase pre-clinica, le cellule
beta-pancreatiche sono chiamate a compensare questa resistenza
periferica, aumentando la secrezione insulinica (iperinsulinemia) al
fine di aumentare l’attività sui recettori e mantenere uno stato
euglicemico. Con il tempo, questa secrezione compensatoria decade,
vi è quindi un iposecrezione relativa (diversamente dal diabete di tipo
1, dove il deficit secretorio è assoluto) e si manifesta quindi
l’iperglicemia con la malattia diabetica conclamata. E’ importante
sottolineare che, tra i vari pazienti, la combinazione di insulinoresistenza e deficit secretorio è molto variabile: pazienti con
prevalente insulino-resistenza, tendenzialmente obesi, e pazienti con
prevalente deficit secretorio, tendenzialmente normopeso o anche
magri, che sembrano ricalcare le caratteristiche cliniche dei pazienti
con diabete tipo 1. La fisiopatologia è diversa nei due gruppi, ed è
necessaria quindi una terapia che sia assolutamente personalizzata al
singolo paziente, con farmaci prevalentemente stimolanti la secrezione
beta-cellulare o l’azione insulinica periferica, o una combinazione
variabile e sinergica tra le due tipologie di farmaci; negli stadi più
avanzati è poi necessaria la somministrazione insulinica.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA LE DUE PRINCIPALI FORME DI DIABETE
La distinzione clinica tra diabete di tipo 1 e 2 non è sempre un
processo semplice.
Vi sono degli schemi sintomatologici
caratteristici, che possono però assumere connotazioni sfumate (vedi
box). Il deficit assoluto di secrezione insulinica nel tipo 1 conduce, se
non trattato, ad uno stato metabolico di chetosi, fino alla vera e propria
chetoacidosi diabetica, che è molto più rara nel tipo 2. L’impossibilità
ad utilizzare il glucosio circolante attiva vie cataboliche che
mobilizzano aminoacidi ed acidi grassi da tessuto muscolare ed
adiposo, con conseguente perdita di peso. L’associazione polifagiaperdita di peso è molto indiziaria, potendo dipendere
50
CAPITOLO 2
fondamentalmente da due sole cause principali: diabete mellito tipo 1
ed ipertiroidismo.
E’ caratteristica dell’esordio del diabete di tipo 1 la presenza di
sintomi eclatanti che si manifestano con un rapido esordio, mentre
solitamente il tipo 2 ha un decorso insidioso, che porta spesso ad un
ritardo nella diagnosi: frequentemente a questa si giunge dopo aver
rilevato la presenza di una complicanza a lungo termine, come la
retinopatia periferica o l’insufficienza arteriosa periferica. Abbastanza
frequente è anche il rilievo di infezioni genitourinarie croniche
(vulvovaginiti).
Peggioramento improvviso dei valori di glicemia, slatentizzazione
dello stato iperglicemico e sintomi di chetosi possono manifestarsi in
caso di infezioni, eventi vascolari acuti, disidratazione e, in linea
generale, in tutti casi di aumento di ormoni controregolatori indotti
dallo stress (cortisolo, ACTH, adrenalina, GH). Questa situazione
metabolica può causare, come vedremo anche nel caso del nostro
paziente, quadri clinici meno facilmente inquadrabili in una sindrome
o l’altra, rendendo un po’ più laboriosa la ricostruzione fisiopatologica
che preclude ad una corretta diagnosi.
DIAGNOSI E TERAPIA NEL PAZIENTE
Il nostro paziente presenta alcuni aspetti sindromici di un diabete di
tipo 1 in esordio: esordio abbastanza brusco dei sintomi, valori
glicemici elevati, chetonuria, anamnesi di perdita di peso. Manca però
la polifagia (fatto peraltro spiegabile con uno stato chetosico). A
favore di un diabete di tipo 2 depone l’assetto corporeo di obesità
androide, l’età superiore ai 30 anni, il quadro conclamato di
infiammazione genitale esterna.
Il nostro laboratorio di Immunologia ci fornisce poi i seguenti referti:
Insulinemia basale= 6,3 mIU/ml (2 – 25)
Ab anti-Insulina= Negativo
Ab anti-GAD= Negativo
ICA= Negativo
51
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
CARATTERISTICHE DIFFERENZIALI IN ESORDIO:
DIABETE TIPO 1 E 2
In grassetto sono evidenziati gli elementi riscontrati nel nostro paziente
Elemento considerato
Diabete Tipo 1
Diabete Tipo 2
Esordio
Obesità associata
Chetoacidosi
Insulina endogena
Autoanticorpi anti-insulari
Polifagia + calo ponderale
Infiammazione genitale
Neuropatia periferica
Enuresi notturna
Offuscamento della visione
Sintomi eclatanti
prev. <30 anni
No
Si
Bassa o indosabile
Si
++
+
+
++
+
Si
prev. >30 anni
Si
No
Variabile
No
++
++
++
Possibili
Non ci sono quindi autoanticorpi della fase di esordio del diabete di
tipo 1. L’insulinemia basale è nella norma, pur se abbastanza vicina ai
limiti inferiori del range. Il paziente dovrà essere studiato
maggiormente dal punto di vista metabolico, con una più precisa
definizione del suo grado di insulino-resistenza e capacità secretoria
beta-cellulare. Dovrà quindi essere sottoposto ad un test da carico di
glucosio (OGTT) o eventualmente ad un’esame più completo come la
curva glicemico-insulinemica, entrambi da posticipare vista l’attuale
situazione di scompenso glicometabolico.
L’ipotesi maggiormente suffragata per spiegare il quadro clinico
attuale del paziente è che si tratti di un’infezione opportunistica
(Candidosi genitale) in un paziente con diabete di tipo 2 in fase di
scompenso glicometabolico.
Prescriviamo una terapia insulinica come primo approccio, per
correggere lo stato iperglicemico e ricreare una corretta omeostasi
52
CAPITOLO 2
metabolica, e una terapia antimicotica locale per eradicare l’infezione
genitale.
TERAPIA PRESCRITTA:
Insulinica:
ACTRAPID (insulina rapida)= 10 U x 3
Antimicotica:
DIFLUCAN (fluconazolo) 150 mg 1 cp sing.dose
MICLAST (cicloprirox) crema 2-3 appl / die
Dopo 2 settimane, il paziente presenta una glicemia a digiuno
normale. Per la verità la risposta terapeutica ottimale ci sorprende un
poco. Non sono stati necessari aggiustamenti né dello schema iniettivo
né del dosaggio, ed ogni Internista sa che tale risultato non è sempre
così immediatamente ottenibile. Si sospende l’insulina esogena e si
inizia con una terapia con ipoglicemizzante orale, della classe delle
meglitinidi, che stimolano la secrezione insulinica glucosio-mediata.
NOVONORM (repaglinide) 1 mg 1 cp x 3
Sarebbe stato più ortodosso, visto il soprappeso del paziente ed il suo
habitus indicante un accumulo di grasso viscerale, iniziare con una
biguanide (metformina). D’altra parte, la breve durata d’azione della
repaglinide, con un’emivita di 1 ora (quasi mimante un pulse
insulinico post-prandiale) e la sua maneggevolezza, ci tranquillizzano
circa l’assenza di un effetto iperinsulinemizzante.
RIVALUTAZIONE DEL PAZIENTE
Dopo 10 settimane di terapia (2 di terapia insulinica ed 8 settimane di
ipoglicemizzante orale) il paziente è euglicemico a digiuno. Aveva
tenuto un diario delle glicemie domiciliari che dimostra un buon
controllo glicemico. Il giorno successivo eseguiamo in Day Hospital
53
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
un profilo glicemico circadiano, per verificarlo in una situazione
controllata, e monitorizziamo l’emoglobina glicata. Il risultato è molto
soddisfacente:
Profilo glicemico:
PC=93 mg/dl – DC=151 mg/dl – PP=105 mg/dl – DP=135 mg/dl –
PC=98 mg/dl
(PC: prima di colazione - DC: dopo colazione - PP: prima di pranzo DP: dopo pranzo – PC: prima di cena)
HbA1c= 7,50% (4,2-6,5)
Il valore dell’emoglobina glicata è sceso drasticamente (dall’11,2%
iniziale), dimostrando il buon controllo glicometabolico nei due mesi
precedenti. La nostra rivalutazione internistica evidenzia una
situazione laboratoristica quasi ottimale, ma dal punto di vista
semeiologico e clinico ci sono ancora degli elementi da risolvere. Il
paziente non è più poliurico ma continua ad accusare un aspecifico
“malessere” e lieve cefalea in tutto l’arco della giornata. Continua il
dolore all’erezione, nonostante il drastico miglioramento locale per
effetto della terapia antimicotica. Ad una successiva vistita, dopo
contatto telefonico, si rendono obiettive alcune lesioni maculari piane,
Fig 3. Esame Obiettivo del paziente
Lesioni maculari palmari
54
CAPITOLO 2
di 0,4-1 cm color rosso scuro a livello del cuoio capelluto. Durante
l’esame clinico, osservando le mani del paziente si rilevano altre
piccole lesioni maculari a livello palmare, lievemente eritematose ed
ipercheratosiche (fig.3). Singoli reperti simili a quelli presenti nelle
mani erano già presenti sulla superficie estensoria delle gambe alcune
settimane prima, al tempo della prima visita.
Queste lesioni cutanee rappresentano adesso un nuovo importante
elemento, che rendono indispensabile una nuova valutazione
diagnostica e fisiopatologica. L’approccio integrato, di tipo
internistico, ci sembra il metro di giudizio più utile per ridefinire il
caso clinico che stiamo seguendo con attenzione. Risolta la situazione
più urgente e ripristinato uno stato euglicemico, richiamiamo alla
mente alcuni elementi: la sintomatologia sistemica, il quadro
infiammatorio, le alterazioni cardiache evidenziate dall’ECG e
dall’ecocardiogramma.
Richiediamo pertanto un pattern di test immunologici (ANA,
antiDNA nativo, antiSM, anti-Ro/SSA), per escludere una patologia
autoimmune, insieme all’esecuzione di una biopsia del cuoio
capelluto. Inoltre, le lesioni palmari ci sembrano fortemente
suggestive di una patologia infettiva specifica a trasmissione sessuale.
Approfondiamo l’anamnesi sessuale del paziente, che riferisce un
rapporto occasionale non protetto, risalente a circa 4 anni prima, con
la tipologia di un contatto a rischio.
Il referto dell’esame istopatologico sulla biopsia del cuoio capelluto è
il seguente:
Atrofia dell’epidermide con ipercheratosi, infiltrato linfo-istiocitario a
disposizione perivascolare e periannessiale e a banda, che localmente
oscura l’interfaccia dermo-epidermica. Tali reperti orientano verso la
diagnosi di lupus discoide subacuto.
Il nostro sospetto è che si tratti invece di sifilide, una patologia che è
riemersa prepotentemente all’attenzione del mondo Occidentale negli
ultimi 20 anni, in particolare nella seconda metà degli anni ’80 e nella
prima metà degli anni ’90. Andiamo adesso a rivedere le sue
caratteristiche essenziali.
55
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
Sifilide
NOTE GENERALI ED EPIDEMIOLOGIA
La sifilide è una malattia infettiva sistemica cronica appartenente al
gruppo delle malattie sessualmente trasmesse, causata dal Treponema
pallidum. Oltre al contagio sessuale, rara modalità di infezione è
rappresentata dal contatto stretto interpersonale (es. ostetriche,
ginecologi, dermatologi). Altre modalità di contagio sono
l’emotrasfusione e la trasmissione per via transplacentare, possibile
dopo la 20a settimana di gravidanza (sifilide congenita).
Si tratta di una malattia non più rara. Dopo la riduzione di incidenza
dovuta ai programmi di Sanità Pubblica, posti in essere durante e dopo
la II Guerra Mondiale, vi è stata negli anni ’80 una ripresa
dell’incidenza, parallelamente all’incremento registrato per altre
malattie a trasmissione sessuale, compresa l’allora emergente AIDS.
Dopo il 2001 si è registrata una nuova diminuzione dell’incidenza.
Mentre negli anni ’80 erano principalmente colpiti i maschi
omosessuali, l’infezione interessa ora con uguale prevalenza gli
eterosessuali.
CENNI STORICI
Le prime descrizioni chiare della
malattia sifilitica risalgono alla fine
del XV secolo, periodo di una
pandemia europea e asiatica.
Solo nel 1910 fu introdotto un
composto terapeuticamente efficace,
l’arsfenamina (SALVARSAN).
Girolamo Fracastoro (1478-1553)
Medico italiano e filosofo che
propose una prima teoria di germi
come origine di malattia.
Nominò la sifilide in un piccolo e
famoso poema del 1530, “Syphilis
sive morbus Gallicus”, dove citò
anche il "legno santo", la resina di
56
CAPITOLO 2
guaiaco, che avrebbe favorito l'eliminazione del "materia peccans".
Altro suo lavoro notevole, De Contagione (1546), diede una prima
spiegazione logica del fatto che la malattie potessero essere trasmesse
da persona a persona da piccoli oggetti infettanti auto-moltiplicantesi.
EZIOLOGIA E PATOGENESI
L’infezione è causata dalla spirocheta Treponema pallidum, un
microrganismo di forma spiroide della famiglia delle Treponematacee,
comprendente i generi Treponema, Borrelia e Leptospira. Questa
specie, patogena solo per l’uomo, ha la capacità di penetrare molto
facilmente attraverso le mucose e la cute lesa: degni di nota sono gli
studi che hanno evidenziato una Dose Infettante (ID50) di 57; un
numero di microrganismi così esiguo è in grado di determinare
l’infezione, colonizzando potenzialmente ogni organo e tessuto del
corpo umano, causando manifestazioni cliniche proteiformi e gravi
danni anatomo-patologici.
Come vedremo, vi sono stadi precoci e stadi tardivi della malattia, che
progredisce per anni. Le lesioni degli stadi iniziali sono ricche di
spirochete in attiva moltiplicazione, con una reazione tessutale
minima. La risposta immunologica è complessa, con la sintesi di
anticorpi reagenti contro i treponemi ed anticorpi reagenti contro
normali costituenti tessutali, ma nella maggioranza dei casi non
sembra in grado di eradicare l’infezione, pur conferendo una relativa
resistenza alla reinfezione. Negli stadi avanzati la risposta immune
contribuisce alla distruzione tessutale; è di nota il fatto che le lesioni
tardive, al contrario di quelle degli stadi precoci, contengano poche
spirochete dimostrabili ma mostrino una reazione tessutale severa.
CLASSIFICAZIONE
♦
♦
♦
♦
Sifilide Primaria
Sifilide Secondaria
Sifilide Latente
Sifilide Terziaria
57
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
SIFILIDE PRIMARIA
ELEMENTI CLINICI:
♦ Sifiloma primario
♦ Linfoadenopatia regionale
Questo fase rappresenta lo stadio di prima invasione dell’organismo
da parte del Treponema pallidum, dopo l’inoculo iniziale, e può anche
passare inosservata. La lesione tipica è il sifiloma primario, che si
accompagna spesso ad una linfoadenopatia consensuale a livello dei
linfonodi regionali.
Fig 3. Sifiloma primario
Tipica lesione sul solco balano-prepuziale, caratterizzata da un
ulcera non dolente, biancastra, circondata da alone eitematoso e di
consistenza pseudo-cartilaginea. Tale lesione si accompagna spesso a
linfoadenopatia regionale, con linfonodi duri e non dolenti.
58
CAPITOLO 2
Sifiloma Primario
E’ localizzato più frequentemente su pene, labbra vaginali, cervice o
regione anorettale, ma più raramente può manifestarsi a livello labiale
od orofaringeo. Dopo 2-6 settimane dal contagio (incubazione media
21 gg), possibile attraverso la mucosa integra o la cute abrasa, si
manifesta come un’ulcera non dolente con base detersa e margini
netti, rilevati ed induriti. Questa lesione persiste per 4-6 settimane, poi
va incontro a risoluzione spontanea, a volte con un mancato
allertamento medico. Il rischio di contagio dopo un contatto sessuale
con una lesione primaria è del 50% circa.
E’ buona pratica considerare un paziente con ulcere genitali come
affetto da sifilide fino a prova contraria.
Linfoadenopatia Regionale
La linfoadenopatia compare dopo circa 1 settimana dalla lesione
primaria. Generalmente interessa il linfocentro inguinale, quando la
lesione primaria sia a livello genitale. Le linfoghiandole sono dure e
non dolenti, non aderenti a piani superficiali e profondi. Può persistere
per mesi dopo la scomparsa del sifiloma primario. E’ quindi
opportuna un’indagine anamnestica dettagliata quando il medico si
trovi ad osservare una linfoadenopatia inguinale con queste
caratteristiche.
ELEMENTI ESSENZIALI DELLA SIFILIDE PRIMARIA
♦ Storia di contatto sessuale non protetto
♦ Ulcera indolente in area genitale, rettale, lingua, labbra, 2-6
settimane dopo il contatto
♦ Linfoadenopatia regionale non dolente
♦ Campioni dalle lesioni positivi per Treponema pallidum
all’esame microscopico in campo oscuro o
all’immunofluorescenza
♦ Test sierologici spesso positivi (RPR pos. nel 60% dei casi)
59
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
SIFILIDE SECONDARIA
ELEMENTI CLINICI
♦
♦
♦
♦
Lesioni mucose e cutanee
Linfoadenopatia generalizzata
Lesioni di altri organi
Sintomi generali
Lo stadio secondario della malattia compare mediamente intorno a 6-8
settimane dopo il sifiloma, ma è stato osservato un ampio range di
variabilità nel tempo di esordio (9-90 giorni). Può anche mancare del
tutto e l’infezione entra direttamente nello stadio latente. Rappresenta
la disseminazione e l’attecchimento nei vari tessuti ed organi del T.
pallidum¸ con produzione di lesioni distinte e di sintomi sistemici,
come febbre e linfoadenopatia generalizzata.
Le più comuni manifestazioni sono le lesioni cutanee e mucose. Nella
cute si notano lesioni più frequentemente di tipo maculopapulare, ma
a volte anche pustolose. Il rash cutaneo è di tipo simmetrico. Il
coinvolgimento palmare e plantare è un segno semeiologico altamente
indiziario della malattia, al punto che è consigliabile considerare in
prima istanza l’ipotesi di infezione sifilitica. Frequente, anche se in
misura minore, è anche il coinvolgimento del cuoio capelluto,. Nelle
aree intertriginose ed umide (cavo ascellare, pieghe inguinali e
scrotali) si formano lesioni più grandi, grigiastre con eritema
periferico, definite condilomi lati o piani. Le mucose presentano
placche ed ulcere (labbra, cavità orale, faringe, genitali), ma anche un
quadro più semplice di iperemia, tanto da simulare patologie più
banali (es. faringite, vaginite). Possono essere coinvolti molti altri
organi: gastrite, epatite, nefrite, spesso come lesioni mediate da
immunocomplessi antigene-anticorpo, così come uveite ed iridociclite.
Anche il sistema nervoso centrale può essere coinvolto, con un quadro
di meningite asettica. A volte è repertabile alla rachicentesi una
pleiocitosi liquorale, ma i test specifici sul liquor sono positivi solo nel
5% dei casi. Si può manifestare anche la paralisi di nervi cranici.
60
CAPITOLO 2
Fig 3. Rash della fase secondaria
Eruzione maculo-papulare generalizzata, interessante tronco e arti.
Le lesioni d’organo sono accompagnate a volte da sintomi generali
come i seguenti:
♦ Anoressia e calo ponderale (2-20%)
♦ Cefalea (10%)
♦ Febbre (5-8%)
ELEMENTI ESSENZIALI DELLA SIFILIDE SECONDARIA
♦ Rash cutaneo maculo-papulare generalizzato
♦ Placche ed ulcere mucose,
♦ Lesioni papulari essudative grigio-eritematose in aree umide
(condilomi piani)
♦ Linfoadenopatia generalizzata non dolente
♦ Campioni dalle lesioni positivi per Treponema pallidum
all’esame microscopico in campo oscuro o
all’immunofluorescenza
♦ Test sierologici sempre positivi
61
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
SIFILIDE LATENTE
La diagnosi di sifilide latente viene posta quando la malattia si trova
nella fase quiescente che fa seguito allo stadio secondario e prima
dell’esordio dei sintomi dello stadio terziario, che peraltro può non
verificarsi. Nelle ultime classificazioni sono stati individuati due
sotto-stadi: il precoce e il tardivo, il primo dei quali (sifilide latente
precoce) contenuto al primo anno dopo l’infezione (2 anni secondo
altri autori), con possibile presenza dei sintomi di una ricaduta della
sifilide secondaria.
Per definizione, la diagnosi di sifilide latente tardiva deve invece
essere stabilita sulla base dell’assenza di sintomi in presenza di test
sierologici positivi (escludendo i possibili falsi-positivi) e negatività
all’esame del liquido cerebrospinale e dell’apparato cardiovascolare.
ELEMENTI ESSENZIALI DELLA SIFILIDE LATENTE
♦ Storia di sifilide trattata non adeguatamente
♦ A volte è mancata completamente l’espressione delle fasi
precedenti
♦ Definita latente precoce se compare a < 1 anno dalla primaria e
latente tardiva se > 1 anno
♦ Nessun segno o sintomo specifico tranne in fase latente precoce,
dove i sintomi sono quelli di una ricaduta della secondaria
(avviente nel 25% dei pazienti)
♦ Test sierologici positivi
62
CAPITOLO 2
SIFILIDE TERZIARIA
ELEMENTI CLINICI
♦ Gomme
♦ Sifilide Cardiovascolare
♦ Neurosifilide
Questo stadio tardivo di malattia può manifestarsi dopo un arco di
tempo molto variabile (1-10 anni) in circa il 15-20% dei casi non
trattati.
Le lesioni tardive rappresentano principalmente un fenomeno di
ipersensibilità ritardata tessutale, che si evidenzia in due tipologie
principali: lesioni ben localizzate, come le gomme, a sviluppo rapido e
prontamente rispondenti alla terapia antibiotica penicillinica, che
determinano una malattia meno aggressiva dal punto di vista della
mortalità (sifilide tardiva “benigna”), e lesioni infiammatorie di tipo
diffuso delle grandi arterie e del sistema nervoso centrale, con
sviluppo insidioso, che in assenza di trattamento cagionano esiti
potenzialmente fatali (sifilide cardiovascolare e neurosifilide).
GOMME SIFILITICHE
Sono formazioni nodulari che infiltrano cute ed organi interni,
prevalentemente ossa e fegato, ma anche stomaco, apparato
respiratorio. Guariscono con cicatrici deturpanti a livello cutaneo e
sequele morfo-funzionali a livello degli organi interni. Sono
attualmente molto meno frequenti che nel passato, a causa della
spiccata sensibilità di queste lesioni ai farmaci anti-treponemici.
Dal punto di visto anatomo-patologico, evidenziano focolai di
infiammazione granulomatosa (con cellule epitelioidi e linfociti che
circondano una zona di necrosi centrale).
63
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
Gomme sifilitiche epatiche - Esame istopatologico
Nel fegato, gomma tipica attiva, con area centrale di necrosi N,
circondata da cellule tipiche dell’infiammazione granulomatosa
(cellule epitelioidi, linfociti).
SIFILIDE CARDIOVASCOLARE
E’la manifestazione più frequente della sifilide terziaria (10% dei casi
non trattati). Si manifesta a partire da circa 5-10 anni dall’infezione. Il
coinvolgimento usualmente inizia a livello dell’aorta ascendente e
dell’arco aortico come un’arterite che determina:
-indebolimento della parete del vaso, con formazione di aneurismi
soggetti a rottura
-retrazione infiammatoria dei lembi valvolari aortici, con insufficienza
della valvola stessa
-restringimento degli ostii coronarici, con insorgenza di dolori
anginosi e possibile infarto miocardico acuto.
64
CAPITOLO 2
AORTITE SIFILITICA
♦
♦
♦
♦
♦
Endo-arterite obliterante dei
vasa-vasorum
Degenerazione della tonaca
media aortica
Aneurisma aortico
Insufficienza aortica
Insufficienza coronarica per
stenosi ostiale
Aneurisma aortico
(Leipzig, Germany,
1894).
Nel XIX secolo, la sifilide
terziaria era la prima
causa di aneurisma
aortico. Nel caso
fotografato, l’aneurisma
andò incontro a rottura
causando il decesso della
paziente.
65
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
NEUROSIFILIDE
La neurosifilide è determinata dagli effetti fisopatologici della
localizzazione del Treponema pallidum a livello del sistema nervoso
centrale (encefalo e midollo spinale) e periferico (gangli sensitivi e
radici posteriori). Si può manifestare dopo un arco di tempo più o
meno lungo dopo l’infezione primaria (5-35 anni), nel 7% dei casi
circa dei pazienti non trattati. Come vedremo, l’interessamento del
sistema nervoso si esprime con sintomi meningei, cerebrovascolari,
atassia, parestesie e dolore neuropatico, psicosi e demenza, che
possono avere una combinazione variabile nel singolo paziente. I
sintomi psichici tendono spesso ad essere più eclatanti rispetto a quelli
neurologici.
E’ possibile classificare la neurosifilide in 4 tipi che possono
presentarsi comunque in associazione (specialmente tabe dorsale e
paralisi progressiva):
♦
♦
♦
♦
Asintomatica
Meningovascolare
Tabe Dorsale
Paresi Generalizzata o Progressiva
66
CAPITOLO 2
ASINTOMATICA
Questa forma è caratterizzata dall’anormalità laboratoristica del
liquido cerebrospinale (sierologia positiva, pleiocitosi, a volte
proteinorrachia) senza sintomi o segni di coinvolgimento neurologico.
MENINGOVASCOLARE
5-10 anni dopo l’infezione possono evidenziarsi sintomi di meningite
cronica (cefalea, irritabilità, paralisi dei nervi cranici per
interessamento basilare), alterazione dei riflessi pupillari, crisi
comiziali. Sono possibili anche manifestazioni di insufficienza
cerebrovascolare in caso di coinvolgimento vasale arteritico esteso. Il
liquor è usualmente positivo ai test sierologici specifici.
TABE DORSALE
La progressiva degenerazione neuronale a livello delle corna dorsali
del midollo spinale e delle radici sensitive (10-15 anni) è la base delle
manifestazioni cliniche di questa forma. L’alterazione della
propriocezione si esprime con andatura atassica, a base larga, con
impossibilità a camminare ad occhi chiusi. Si possono manifestare
parestesie o analgesia agli arti inferiori, a volte fugaci dolori
parossistici (“folgoranti”).
Altro tipo di sintomatologia dolorosa sono le cosiddette “crisi
tabetiche”, a livello gastrointestinale (vomito, diarrea), laringeo (tosse
parossistica e dispnea), urinario (spasmo vescicale), che esordiscono
bruscamente, possono durare ore o giorni, e bruscamente cessano. La
perdita di sensibilità periferica può determinare ulcere trofiche nei
punti di carico del piede e danni articolari (articolazioni di Charcot).
Comuni sono le alterazioni dei riflessi pupillari (90%), sino al quadro
caratteristico della pupilla di Argyll-Robertson (25%). Il liquor
presenta positività variabile a test sierologici.
PARALISI PROGRESSIVA
Il coinvolgimento infettivo-infiammatorio a livello encefalico,
prevalentemente corticale, determina un danno progressivo delle
funzioni cognitive, nell’arco di 10-20 anni dall’infezione primaria,
usualmente con decremento delle capacità di concentrazione, perdita
67
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
di memoria, disartria, irritabilità, cambiamenti di personalità: il
paziente può divenire irresponsabile, con sintomi maniacali
(espansività, autoesaltazione) e tendenze psicotiche. Autori americani
hanno coniato l’acronimo PARESIS, che ben focalizza le alterazioni
chiave della paresi generalizzata:
♦
♦
♦
♦
♦
♦
♦
P ersonality (personalità)
A ffect
(emozioni)
R eflex
(riflessi)
E eye
(alterazioni oculari)
S ensory
(sensorio)
I ntellect
(demenza)
S peech
(linguaggio)
Fig 3. Pupille di Argyll-Robertson.
Assenza del riflesso fotomotore con conservazione della miosi indotta
dall’accomodazione-convergenza.
68
CAPITOLO 2
Fig. 4 – Neurolue
Immagine storica di un paziente con tabe dorsale e paralisi
progressiva
ELEMENTI ESSENZIALI DELLA SIFILIDE TERZIARIA
♦
♦
♦
♦
Storia di infezione sifilitica
Lesioni nodulari tendenti all’ulcerazione (gomme)
Aortite, aneurisma aortico, insufficienza aortica
Alterazioni del sistema nervoso centrale, comprendenti:
•
•
•
•
ictus cerebrovascolari
parestesie - dolori
areflessia osteotendinea – atassia
psicosi – demenza
69
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
DIAGNOSI DELLA SIFILIDE
L’agente infettivo della sifilide non può essere coltivato in vitro. La
diagnosi è basata sui test sierologici su sangue e liquor e
sull’identificazione microscopica del Treponema pallidum nelle
lesioni.
♦ Test Sierologici
♦ Esame Microscopico
♦ Esame Del Liquor
TEST SIEROLOGICI
Vi sono due tipi di test: (1) test su antigeni non treponemici - (2) test
su anticorpi treponemici.
Test su Antigeni non Treponemici
Identificano l’esistenza di anticorpi verso antigeni lipoidei presenti sia
nell’ospite che nel Treponema. Correntemente si usano preparazioni
di cardiolipina-colesterolo-lecitina, che sono più pure rispetto asgli
estratti di cuore e fegato usati precedentemente e danno una minor
percentuale di falsi positivi.
I puù comunemente usati cono:
♦ VDRL (Veneral Disease Research Laboratory)
♦ RPR (Rapid Plasma Reagin)
Questi esami sono a basso costo, rapidi e facili da effettuare. La
quantificazione della diluizione utilizzata nel test è anche utile per
valutare l’efficacia del trattamento, dal momento che il titolo della
diluizione correla con l’attività della malattia. E’ indicato utilizzare
sempre lo stesso tipo di test nel medesimo paziente (RPR o VDRL) e
possibilmente lo stesso laboratorio. I test risultano positivi circa 4-6
settimane dopo l’infezione (1-3 settimane dopo il manifestarsi della
lesione primaria).
Dati ricavati da studi in cui si effettuavano trattamenti farmacologici
più intensivi rispetto a quelli attuali indicavano un decremento del
VDRL di 4 volte in 3 mesi e di 8 volte in 6 mesi, con una
70
CAPITOLO 2
sieronegatività a 2 anni del 97% nei casi di sifilide primaria e del 76%
nelle forme secondarie. Dati più recenti, con gli schemi di trattamento
attuali, documentano invece una sieronegatività a 3 anni del 72%
nelle forme primarie e del 56% nelle forme secondarie.
Falsi positivi sono possibili in diverse condizioni:
Disordini connettivali – Malaria – Lebbra – Endocaditi Infettive
Epatite C – Uso di droghe per via endovenosa – Gravidanza
Generalmente sono a basso titolo e possono essere distinti dai veri
positivi con l’utilizzo dei test su anticorpi treponemici.
Test su Anticorpi Anti-Treponemici
♦ FTA-ABS (Fluorescent Treponemal Antibody Absorption)
♦ TPHA (Treponema Pallidum Haemo-Agglutination)
♦ BEIA (ELISA quantitativo)
L’FTA-ABS misura la capacità del siero del paziente di reagire (dopo
adsorbimento con estratti di treponemi non patogeni) con Treponema
pallidum ucciso. E’ molto utile per escludere i falsi positivi
identificati con i test non treponemici. Inoltre, dal momento che è
molto sensibile, può svelare i casi più tardivi di sifilide che siano
invece risultati negativi ai test non treponemici nonostante l’evidenza
clinica. Risulta positivo nella maggioranza dei pazienti con sifilide
primaria e virtualmente tutti i casi di sifilide secondaria.
Può negativizzare, anche se più raramente rispetto ai test non
treponemici, dopo la terapia adeguata. In uno studio, l’11% dei
pazienti era negativo dopo 1 anno da un primo episodio di sifilide
primaria, ed il 24% lo era a 3 anni.
Il TPHA ed il TPPA (Treponema Particle Agglutination Test) sono
comparabili in specificità e sensibilità all’FTA-ABS. Il TPPA sta
soppiantando l’FTA-ABS per la sua facilità di esecuzione.
Altri test come EIA (ELISA), Syphilis Fast, PCR identificano
direttamente gli antigeni del Treponema e sono molto sensibili e
specifici anche se ancora meno utilizzati dei precedenti.
71
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
SENSIBILITÀ DI ALCUNI TEST SIEROLOGICI
IN RAPPORTO AI VARI STADI DI MALATTIA
TEST
Primaria
Secondaria
Terziaria
VDRL
77%
98%
73%
FTA-ABS
86%
100%
96%
ESAME MICROSCOPICO
L’esame microscopico contente di identificare i Treponemi secondo
due modalità:
Microscopia In Campo Oscuro
♦ Campioni da lesioni cutanee e mucose o aspirati linfonodali sono
generalmente molto ricchi di treponemi nella sifilide primaria e
secondaria
♦ Le lesioni orali possono contenere Treponemi saprofitici
Microscopia In Immunofluorescenza
♦ Sta soppiantando il precedente test per semplicità e convenienza
♦ Identifica più specificamente il Treponema pallidum, escludendo
i saprofiti
ESAME DEL LIQUOR
I reperti nel liquido cerebrospinale sono variabili. Nei casi classici
abbiamo elevazione delle proteine totali, pleiocitosi linfocitaria, con
VDRL positivo, ma può anche osservarsi una completa normalità del
liquor in casi di neurosifilide con isolamento del Treponema, con
VDRL negativo. I VDRL è molto specifico, ma poco sensibile. Un
test VRDL negativo non esclude quindi la neurosifilide. I falsi positivi
sono invece molto rari. I test su anticorpi anti treponemici sul liquor
(FTA-ABS) sono più sensibili e meno specifici.
La diagnosi di neurosifilide si deve quindi basare dalla combinazione
dei vari test e sull’interpretazione clinica: la positività all’esame
chimico-fisico e citologico e un VDRL positivo ne sono i cardini. Una
72
CAPITOLO 2
negatività del VDRL può porre indicazione, secondo molti autori,
all’uso di FTA-ABS, meno specifico ma altamente sensibile. Altri test
(ELISA) si stanno aggiungendo all’armamentario diagnostico.
Riassumendo i dati:
Esame Chimico-Fisico del Liquor
♦ Aumento della proteinorrachia
♦ Aumento della quota linfocitaria
♦ Negativo nel 20% di casi in cui T.pallidum fu isolato dal liquor
Sierologia Specifica
VDRL
Negativo nel 30-70% dei casi di neurosifilide
FTA-ABS – EIA (ELISA)
Molto sensibili, se negativi escludono virtualmente la neurosifilide
Indicazioni allo studio sierologico del liquor
• Segni neurologici in pazienti con diagnosi di sifilide
• Sifilide non trattata di durata > 1 anno o sconosciuta
• Mancata risposta al trattamento – Terapia non penicillinica
• Titoli sierici VRDL o RPR > 1:32
Considerare anche lo studio del liquor: in sifilide secondaria e in
latente precoce (perché lo schema terapeutico comporta una scarsa
azione treponemicida nel liquor)
73
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
RAGIONAMENTO CLINICO
ED ITER DIAGNOSTICO
Abbiamo sulla carta i risultati negativi degli esami immunologici e la
diagnosi di lupus discoide sulla biopsia del cuoio capelluto. Questo
dato in particolare ci sembra un elemento da considerare con cautela e
suscettibile di ulteriore interpretazione internistica. Il sospetto di
infezione sifilitica viene concretizzato con l’esecuzione dei seguenti
test:
RPR – TPHA (ricerca antigeni non treponemici)
RPR
++++
TPHA
Positivo >1:2560
BEIA (ricerca anticorpi anti-treponemici)
BEIA IgM Positivo
BEIA IgG Positivo
Si rende quindi palesemente evidente una conferma sierologica di
sifilide. Secondo le indicazioni della letteratura, per la durata
dell’infezione non trattata (molto probabilmente superiore ad 1 anno,
considerando i dati anamnestici) e gli alti titoli anticorpali ed
antigenici vi è indicazione ad eseguire una rachicentesi per la ricerca
di una localizzazione neurologica del Treponema pallidum. Inoltre
eseguiamo il test per HIV per ricercare un’eventiale confezione.
I nuovi risultati sono i seguenti:
Studio sierogico del liquor:
RPR= Negativo
TPHA= Positivo >1:160
BEIA IgM= Positivo
BEIA IgG= Positivo
Test per la coinfezione da virus dell’immunodeficienza umana:
HIV= Negativo
74
CAPITOLO 2
STADIAZIONE DEL PAZIENTE
La stadiazione del paziente pone l’ultimo importante quesito clinico,
dimostrando ancora una volta la molteplicità di fattori da tenere in
considerazione prima di un atto medico su base razionale.
Abbiamo le manifestazioni cliniche cutanee di una sifilide secondaria.
Pur tenendo presente che un’anamnesi non può essere considerata
verità evangelica e tantopiù scientifica (per la cultura e le propensioni
personali di un paziente a rivelare con maggior o minore esattezza i
suoi trascorsi sessuali), ci sembra di aver instaurato un ottimo rapporto
medico-paziente e dobbiamo quindi tener presente le sue
dichiarazioni. Il numero degli anni trascorsi dal probabile contagio è
un elemento a favore di una ricaduta della sindrome cutanea e
sistemica (sifilide latente precoce). In ultimo, la positività del liquor ai
test specifici (TPHA, BEIA IgG ed IgM) depongono per una
localizzazione del Treponema pallidum a livello del sistema nervoso
centrale. Valutati tutti gli elementi clinici e di laboratorio giungiamo
quindi alla conclusione razionale di una sifilide che sta entrando in
uno stadio terziario. La nostra diagnosi completa è la seguente:
♦ Sifilide terziaria. Diabete mellito di tipo 2 in fase di
scompenso.
Prescriviamo quindi la terapia eziologia specifica (vedi sezione
seguente), che dopo le prime settimane conduce alla risoluzione del
quadro clinico e sintomatologico del paziente. Attualmente egli è
seguito per il follow-up al nostro Day Hospital di Malattie Infettive e
dovrà ancora essere studiata in dettaglio la sua situazione endocrinometabolica.
75
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
TERAPIA
SIFILIDE PRIMARIA – SECONDARIA – LATENTE PRECOCE
Penicillina G benzatina (DIAMINOCILLINA) - 2,4 MU im una dose
/ Cextriaxone (ROCEFIN) - 250 mg im/die x 10 gg
Di seconda scelta in pazienti allergici alla penicillina:
Tetraciclina idrocloruro (AMBRAMICINA) - 500 mg os x 4/die x 14 gg
/ Doxiciclina (BASSADO) - 100 mg os x 2/die x 14 gg
SIFILIDE LATENTE TARDIVA – TERZIARIA
Penicillina G benzatina (DIAMINOCILLINA) - 2,4 MU/sett im x 3
settimane
Di seconda scelta in pazienti allergici alla penicillina:
Tetraciclina idrocloruro (AMBRAMICINA) - 500 mg os x 4/die x 4
settimane
/ Doxiciclina (BASSADO) - 100 mg os x 2/die x 4 settimane
NEUROSIFILIDE O FORME PRECEDENTI CON LIQUOR ANORMALE
Penicillina G acquosa - 2,4 MU ev /die x 10-14 gg
Di seconda scelta in pazienti allergici alla penicillina:
Cextriaxone (ROCEFIN) - 2 g im/die x 10-14 gg
/ Tetraciclina idrocloruro (AMBRAMICINA)-500 mg os x 4/die x 30 gg
76
CAPITOLO 2
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Ciò che balza all’attenzione del Medico preparato e animato da
passione scientifica è la ricchezza degli elementi clinici e patologici di
un simile caso (ma quale caso clinico, in fondo, non è prodigo di
elementi didattici?), un caso che pone anche qualche riflessione di
carattere epidemiologico. Un’interpretazione in chiave fisiopatologica
dei sintomi e dei segni iniziali nel paziente è stata in grado di superare
la frammentarietà della visione iper-specialistica. L’urologo aveva
posto diagnosi, corretta dal punto di vista eziologico, di Candidosi
genitale. L’istopatologo aveva potuto osservare le lesioni tipiche di un
lupus discoide a livello del materiale prelevato dal cuoio capelluto.
Fermandosi a quel livello interpretativo non si sarebbero evidenziate
le vere cause di tali reperti, il “grande occulto” iniziale. C’era il
diabete mellito, ma c’erano anche segni “antichi” della disciplina
medica dei secoli scorsi, segni che aggiungevano altri elementi da
considerare. Una sola diagnosi a volte non basta.
L’infezione da Treponema pallidum, attraverso i meccanismi
dell’infiammazione sistemica, aveva slatentizzato il diabete mellito,
misconosciuto dal paziente, sino a far registrare i livelli glicemici visti
al momento del ricovero. Le alterazioni glicometaboliche avevano a
loro volta determinato l’instaurarsi di un’infezione opportunistica
genitale da Candida albicans.
Fino a qui tutto sembrava concorde, vi era un razionale rapporto
causa-effetto. Ma vi erano ulteriori reperti della semeiotica fisica che
solleticavano ricordi della dottrina medica. Le lesioni cutanee, specie
quelle che si resero evidenti a livello palmare con la buona pratica
della ripetizione dell’esame obiettivo, erano infatti quasi
patognomoniche di infezione sifilitica.
Come inquadrare la diagnosi istopatologica di lupus discoide? Le
lesioni del cuoio capelluto erano dovute ad un processo vasculitico
lupus-simile prodotto dagli immunocomplessi antigene-anticorpo
presenti a livello cutaneo, un fenomeno abbastanza tipico nelle lesioni
della sifilide in fase avanzata, dove predominano gli aspetti della
risposta immunitaria (reazioni di tipo III di Gell-Coombs) rispetto alla
proliferazione vivace delle spirochete tipica delle fasi iniziali.
Riportiamo un caso dalla letteratura medica in cui le lesioni della
sifilide terziaria furono diagnosticate per anni come lupus discoide:
77
UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI
Case Report: Tertiary Syphils of the face
J Am Acad Dermatol. 1991 May;24(5 Pt 2):832-5.
TERTIARY SYPHILIS OF THE FACE.
Chung G, Kantor GR, Whipple S.
Hahnemann University School of Medicine, Philadelphia, PA.
We report a case of noduloulcerative tertiary syphilis that had gone
misdiagnosed as discoid lupus erythematosus for many years. This case is
noteworthy for (1) a Jarisch-Herxheimer-like reaction,
(2) a dramatic response to penicillin therapy despite the presence of longstanding disease,
and (3) posttreatment granulomas of possible hypersensitivity origin.
Publication Types: Case Reports
PMID: 2050849 [PubMed]
Il blocco di branca sinistra visto ell’elettrocardiogramma, con le
alterazioni della cinesi settale registrate dall’esame ecocardiografico,
erano altri elementi importanti, a favore di un coinvolgimento
cardiovascolare dell’infezione, tipico della fase terziaria, che spesso si
esprime
inizialmente
con
alterazioni
della
conduzione
atrioventricolare. La cefalea può essere causata potenzialmente dalla
manifestazione vascolare sistemica, così come dall’interessamento
diretto meningeo da parte del processo infettivo (sifilide
meningovascolare), avvalorato anche dal reperto anamnestico ed
obiettivo di un certo grado di irritabilità del paziente (“ultimamente
litigo spesso con mia moglie, mi rode sempre”), e confermato poi
dalla positività sierologica sul liquor.
Questa discussione non è, ci preme sottolinearlo, un facile gioco del
“senno del poi”. La medicina è una scienza difficile, specie quando si
incontrano malattie “antiche” con le quali non sempre i sanitari,
specialisti e non, hanno particolare dimestichezza. A patologie come
la sifilide, per esempio, non si pensa facilmente. Eppure non si tratta
di malattie scomparse, di antiche pesti eradicate che non possano
trovar posto nell’asettico mondo moderno. La superata illusione di una
definitiva eradicazione delle malattie infettive ha lasciato ormai da
anni il posto ad una moderna concezione dell’interazione patogenoospite, sempre mutevole nel tempo, così come mutevoli sono le
condizioni epidemiologiche e la biologia di popolazione.
Un’approccio integrato al malato, che preservi aspetti olistici e
riduzionistici della medicina -complementari e non in antitesi - qual’è
78
CAPITOLO 2
per antica tradizione e per indirizzo di scuola quello fisiopatologico
della Medicina Interna, è spesso indispensabile per giungere ad una
corretta diagnosi.
ENDPIECE
So long as we have human beings as house officers,
ordinary mortals for medical students and modified
angels for nurses, we shall have typhoid contagion from
one patient to another in the wards of our hospitals.
SIR WILLIAM OSLER
Il corpulento paziente veniva verso me: non sembrava
corrispondere al derelitto habitus di un sifilitico in fase
terziaria. Con l’aria di essersela goduta un mondo, quasi
con orgoglio mi apostrofò:
“Caro professore! Io sono un vecchio luetico!”
PROF. FRANCESCO BALSANO
BIBLIOGRAFIA
Kimberly A. Workowski, MD; Stuart M. Berman, MD. Sexually
Transmitted Diseases Treatment Guidelines, 2006. MMWR.
2006;55(30):1-94. Centers for Disease Control and Prevention (CDC)
Golden MR, Marra CM, Holmes KK. Update on syphilis: resourgences
of an old problem. JAMA 2003;290:1250
Lorraine Doherty et al. Syphilis: old problem, new strategies. BMJ 2002
July 325: 153-156
LM Tierney Jr, SJ McPhee, MA Papadakis. Current Medical Diagnosi
And Treatment 2006;
Cecil’s Textbook of Medicine, 22h Edition
Chung G, Kantor GR, Whipple. Tertiary syphilis of the face. J Am Acad
Dermatol. 1991 May;24(5 Pt 2):832-5.
Capitolo 3
Ipertensione
A cura del Dott. Bruno Albiani
ANAMNESI
Sig.ra S.G., di anni 28, nubile, imprenditrice.
ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA
La paziente, affetta da ipertensione arteriosa da circa
alla nostra osservazione per il persistere di valori
nonostante l’assunzione di terapia farmacologia
Riferisce inoltre astenia, difficoltà alla respirazione,
del sonno.
Terapia domiciliare
NEBIVOLOLO: 1cpr al giorno
TELMISARTAN 20 mg: 1 cpr al giorno
3 anni, è giunta
pressori elevati
antipertensiva.
ansia e disturbi
ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA
Delle comuni malattie esantematiche dell’infanzia ricorda il morbillo
e la varicella.
Nega traumi, interventi chirurgici e patologie di rilievo.
ANAMNESI FISIOLOGICA
Nata a termine da parto eutocico, allattamento artificiale, sviluppo
psicofisico regolare.
Menarca a 13 anni, cicli mestruali regolari per ritmo, quantità e durata.
Laurea, nubile, imprenditrice. Dieta varia per qualità e quantità. Beve
saltuariamente alcolici. Quattro tazzine di caffè al giorno. Fuma dieci
sigarette al giorno da circa dieci anni. Digestione regolare. Alvo
tendenzialmente stitico. Diuresi fisiologica. Nega allergie a farmaci
e/o alimenti.
79
80
CAPITOLO 3
ANAMNESI FAMILIARE
Padre di anni 59 affetto da ipertensione arteriosa e carcinoma
intestinale in fase metastatica. Madre di anni 57 affetta da ipertensione
arteriosa, cardiopatia ischemica e diabete mellito di tipo 2. Due sorelle
di cui una, di 33 anni, affetta da sclerosi multipla e l’altra, di 26 anni,
affetta da ipertensione arteriosa.
ESAME OBIETTIVO
ESAME GENERALE
Condizioni generali buone. Facies composita. Psiche lucida. Sensorio
integro. Decubito indifferente. Respiro eupnoico. Cute rosea,
normoelastica, normoidratata. Mucose visibili rosee. Annessi cutanei
normorappresentati. Sottocutaneo normorappresentato e ben
distribuito. Sistema linfoghiandolare apparentemente indenne.
Apparato locomotore apparentemente indenne.
CAPO E COLLO
Capo normoconformato. Non dolenti né dolorabili i punti di
emergenza del V° paio di nervi cranici. Globi oculari in asse. Pupille
isocoriche e isocicliche, normoreagenti alla luce e alla convergenzaaccomodazione. Lingua sporta in asse, normoidratata. Faringe roseo,
tonsille intraveliche. Collo cilindrico, non dolente né dolorabile ai
movimenti attivi di flesso-estensione e lateralità. Tiroide non
palpabile.
TORACE
Torace cilindrico. Emitoraci simmetrici e normoespandibili. FVT
normotrasmesso su tutto l’ambito. Basi mobili. Suono chiaro
polmonare su tutto l’ambito. Murmure vescicolare aspro.
CUORE E VASI
Itto della punta palpabile al V° spazio intercostale sinistro
sull’emiclaveare. Aia cardiaca nei limiti della norma. Azione cardiaca
ritmica. Toni netti. Presenza di click meso-telesistolico. Arterie
periferiche esplorabili normosfigmiche.
81
UN CASO DI IPERTENSIONE
Pressione arteriosa: 170/130 mmHg. Frequenza cardiaca: 70 battiti
per minuto.
ADDOME
Addome piano, trattabile. Cicatrice ombelicale normointroflessa.
Timpanismo enterocolico come di norma. Peristalsi presente e valida.
Fegato limite superiore al V spazio intercostale sull’emiclaveare
destra di consistenza parenchimatosa. Margine inferiore non palpabile.
Murphy negativo. Milza limite superiore al IX spazio intercostale
sull’ascellare media sinistra. Limite inferiore non palpabile. Reni non
palpabili. Giordano negativo.
SISTEMA NERVOSO
Non deficit di forza e sensibilità agli arti superiori e inferiori. Riflessi
osteotendinei normoevocabili. Romberg negativo.
ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI
Al momento del ricovero sono stati eseguiti esami ematochimici di
routine risultati nella norma ad eccezione di un incremento della
sideremia (Tab.1,2,3,4)
82
CAPITOLO 3
TAB. 1 ESAMI EMATOCHIMICI
Glicemia: 99 mg/dl
Azotemia: 13,5 mg/dl
Uricemia: 2,64 mg/dl
Creatininemia: 0,97 mg/dl
Bilirubina totale: 0,61 mg/dl
Bilirubina diretta: 0,20 mg/dl
GOT: 16U/L
GPT: 20,5 U/L
Gamma-GT: 25,5 U/L
Fosfatasi alcalina: 99,80 U/L
CPK: 66 U/L
LDH: 110,60 U/L
Sideremia: 225,5 mcg/dl
Ferritina: 53 ng/m
Sodio: 142,6 mEq/L
Potassio: 4,19 mEq/L
Calcio: 9,52 mg/dl
Fosfati: 3,69 mg/dl
Proteine totali: 6,90 g/l
Colesterolo: 200,8 mg/dl
Colesterolo HDL: 70,50 mg/dl
Colesterolo LDL: 106,26 mg/dl
Trigliceridi: 120,20 mg/dl
FT3: 3,20 pg/ml
FT4: 1,10 ng/dl
TSH: 3,60 micro UI/ml
VES: 10 mm/1 ora
INR: 0,95
PT: 11 sec
Fibrinogeno: 284 mg/dl
PTTratio: 0,83
TAB. 2 ESAME EMOCROMOCITOMETRICO
Eritrociti: 4.630.000 mm3
Emoglobina: 13,9 g/dl
Ematocrito: 41,1%
MCV: 88,7 fl
MCH: 30,1 pg
MCHC: 33,9 g/dl
RDW: 12,6%
Leucociti: 7.300 mm3
Neutrofili: 59,1%
Linfociti: 28,4%
Monociti: 6,9%
Eosinofili: 5,2%
Basofili: 0,4%
Piastrine: 240.000 mm3
MPV: 8,7 fl
RDW: 15,7
PCT: 0,21
83
UN CASO DI IPERTENSIONE
TAB. 3 ELETTROFORESI SIEROPROTEICA
Frazioni
Albumina
Alfa 1
Alfa 2
Beta 1
Beta 2
Gamma
Rapp. A/G
%
52,9
4,4
15,1
8,7
4,5
14,4
1,12
Interv. di rif. %
52,0-65,0
1,5-4,0
9,0-14,0
6,0-11,0
2,0-6,0
10,0-22,0
g/dl
3,65
0,30
1,04
0,60
0,31
0,99
Prot. Tot. 6,9 g/dl
TAB. 4 - ESAME URINE
Aspetto: opalescente
Colore: giallo paglierino
Peso specifico: 1.016
Ph: 5,5
Proteine: assenti
Glucosio: assente
Chetoni: assenti
Bilirubina: assente
Sangue: tracce
Nitriti: assenti
Urobilinogeno: tracce
Esame microscopico del sedimento
Discreta flora batterica
Alcuni filamenti di muco
Alcuni leucociti
Rare emazie
Alcune cellule
RX TORACE
La radiografia del torace non ha posto in evidenza alcuna alterazione
a carico dei campi polmonari. L’immagine cardiovascolare è risultata
di aspetto normale.
ECG
L’elettrocardiogramma ha documentato un ritmo sinusale e una
frequenza di 70 battiti per minuto (Fig. 1).
84
CAPITOLO 3
Fig. 1 ECG
ECOCARDIOGRAMMA
L’Ecocardiogramma ha evidenziato un ventricolo sinistro di normali
dimensioni, con normale cinesi parietale (FE=60%). Le cavità atriali e
il ventricolo destro sono apparse nei limiti della norma. È stata rilevata
una lieve insufficienza mitralica da lieve prolasso valvolare.
MONITORAGGIO PRESSORIO
Considerati gli elevati valori pressori rilevati nella paziente al
momento del ricovero, è stato eseguito il monitoraggio dinamico non
invasivo della pressione arteriosa. Il profilo pressorio delle 24 ore è
risultato al di sopra dei valori di riferimento considerati normali
(medie totali 151/103 mmHg con deviazione standard di 19/22
mmHg). Il valore massimo di PAS è stato registrato alle ore 15:00
(184 mmHg) durante il lavoro di ufficio mentre il valore massimo di
PAD si è stato rilevato alle ore 20:45 (148 mmHg) durante lo
svolgimento delle attività domestiche. La caduta pressoria notturna è
risultata presente. Le variazioni della frequenza cardiaca non sono
risultate correlate alle variazioni della pressione arteriosa (Fig. 2).
85
UN CASO DI IPERTENSIONE
Fig. 2. - Monitoraggio dinamico non invasivo della pressione
arteriosa
VIDEAT OCULISTICO
E’ stata inoltre eseguita una visita oculistica, in cui il visus
dell’occhio destro è risultato pari a 10/10 nat mentre il visus
dell’occhio sinistro a 7/10 nat. L’esame del fondo dell’occhio ha
documentato essudati cotonosi al polo posteriore, e in particolare di un
essudato cotonoso maculare e di due emorragie a fiamma a livello
dell’occhio sinistro.. È stata pertanto posta diagnosi di retinopatia
ipertensiva di 3° grado.
RAGIONAMENTO CLINICO
Quale sintomo guida è stato pertanto considerato l’ipertensione
arteriosa. Essa viene definita come una condizione patologica
caratterizzata da un aumento dei livelli pressori al di sopra dei valori
che sono comuni nella popolazione normale. L’incremento dei valori
pressori può riguardare sia i livelli della pressione sistolica che quelli
della pressione diastolica. (Tab. 5)
86
CAPITOLO 3
Ipertensione Arteriosa
Tab. 5 CLASSIFICAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA
IN SOGGETTI ADULTI (18-65 anni)
CLASSIFICAZIONE
PAS (mmHg)
PAD (mmHg)
Ottimale
<120
<80
Normale
<130
<85
Normale-alta
130-139
85-89
Ipertensione
Grado 1(lieve)
Grado 2 (moderata)
Grado 3 (severa)
140-159
160-179
=180
90-99
100-109
=110
Ipertensione sistolica isolata
Grado 1(lieve)
Grado 2 (moderata)
Grado 3 (severa)
140-159
160-179
= 180
=90
=90
=90
ESH-ESC: Guidelines for the management of arterial hypertension.
Guidelines Committee.
Journal of Hypertension 2003; 21: 1011-1053
CENNI STORICI
Si è iniziato a parlare di ipertensione arteriosa nel 1769 quando il
reverendo Stephen Hales misurò la pressione arteriosa incannulando
l’arteria femorale di un cavallo con un tubo di vetro connesso
all’arteria attraverso un tratto di trachea di oca.
Nel 1847 Karl Ludwig ideò il Chirografo. Nel 1860 venne ideato il
Cardiometro e successivamente l’Emodrometro o misuratore della
velocità circolatoria costruito dallo stesso Ludwig. Tali apparecchi
misuravano direttamente la pressione arteriosa attraverso
l’incannulazione diretta del vaso arterioso.
87
UN CASO DI IPERTENSIONE
Dopo numerosi tentativi per ottenere una misurazione non invasiva un
italiano, Scipione Riva-Rocci, allievo di Carlo Forlanini, nel 1896,
utilizzando semplici oggetti (un calamaio, del mercurio, un tubo di
biciclette), mise a punto il suo sfigmomanometro. Tale strumento
consentiva, inizialmente, la sola misurazione della pressione arteriosa
sistolica.
L'uso dello sfigmomanometro fu poi perfezionato e insieme
all’utilizzo dell'auscultazione dei toni cardiaci, scoperti dal russo
Nicolaj Sergievich Korotkov nel 1905 fu, così possibile misurare anche
la pressione arteriosa diastolica.
Il concetto di ipertensione arteriosa essenziale nacque nel 1827,
quando Richard Bright si accorse che, ogni qualvolta faceva
l’autopsia di un soggetto con importanti alterazioni renali, trovava
anche ipertrofia del cuore sinistro e ne dedusse che in vita il paziente
doveva essere stato affetto da ipertensione arteriosa.
Nel 1872 Gull e Sutton parlarono di “fibrosi arterio-capillare”
caratterizzata da ipertensione, ipertrofia cardiaca ed alterazioni
vascolari non associate a malattia renale.
Nel 1877 Johnson introdusse il concetto di aumento delle resistenze
(“stopcock”) come causa di ipertrofia cardiaca nell’elevata “tensione
arteriosa”.
Successivamente tra il 1881 e il 1893 Mahomed e Van Bash
studiarono la pressione arteriosa con metodiche complesse e parlarono
di “arteriosclerosi latente” sempre in assenza di danni renali.
Nel 1911 Frank coniò il termine di ipertensione essenziale
(“essentielle hypertonie”).
Nel 1914 Volhard e Fahr studiarono i danni renali provocati
dell’ipertensione arteriosa e parlarono per la prima volta di “fase
benigna e maligna della nefroangiosclerosi”.
Infine, nel 1915, Albutt diede la definizione di “hyperpiesis” una
malattia nella quale “la pressione arteriosa sale eccessivamente
nell’età media, con un decorso proprio, e che merita il nome di
affezione”. Albutt aveva veramente compreso tutta la particolarità
dell’ipertensione essenziale, la quale deve essere distinta dalla
malattia indicata da Bright, secondaria a nefropatia, dalla malattia
aterosclerotica generalmente associata ad ipertensione arteriosa tipica
della tarda età, dall’ipertensione da feocromocitoma, da morbo di
Conn e da altre cause note.
88
CAPITOLO 3
FISIOPATOLOGIA
SISTEMI DI CONTROLLO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA
Il meccanismo omeostatico dela pressione arteriosa è regolato da una
serie di sistemi di controllo; le variazioni improvvise di pressione
mettono in moto tali meccanismi che hanno velocità e caratteristiche
di risposta di volta in volta diverse (Fig. 3).
Fig. 3 Sistema complessivo di regolazione della pressione arteriosa
Una risposta immediata viene ad opera del barocettore che tende ad
entrare in azione in circa 8 secondi. Poi interviene la risposta
ischemica del SNC, la quale entra in azione per valori pressori molto
bassi (50 mmHg) e costituisce l’ultima trincea dell’organismo contro
il calo pressorio. Vi sono poi i chemocettori che agiscono in circa 15
secondi. Il rilasciamento da stress inizia immediatamente ma
impiega molto tempo a modificare la pressione arteriosa mentre il
sistema renina-angiotensina-aldosterone inizia ad agire solo dopo
qualche ora perché la sua azione tramite l’aldosterone, si attua nel
tubulo distale.
89
UN CASO DI IPERTENSIONE
In merito a tali meccanismi di controllo, ciò che è importante
conoscere non è tanto in tempo impiegato da ciascuno addentrare in
azione, quanto il cosiddetto feedback gain, ovvero il guadagno di
questi meccanismi che è legato alla capacità di riportare nella norma il
valore pressorio modificato. Esso è dato dal rapporto tra la
modificazione che si sarebbe avuta senza il meccanismo di controllo e
quella che effettivamente si verifica.
Tutti i meccanismi prima elencati hanno un guadagno finito
(barocettori 7, risposta ischemica 11, chemocettori 4, rilasciamento da
stress 2,8, spostamento di liquidi dai capillari 2,5, sistema renina
angiotensina-aldosterone: 1,6) ma vi è un sistema che ha un feedback
gain infinito e che permette alla pressione arteriosa di ritornare
proprio ai livelli iniziali.
Il sistema reni-liquidi ha un gain infinito. Questo sistema, per
qualsiasi valore pressorio continuerà a lavorare finché la pressione
arteriosa non ritorna ai livelli di partenza. Un tipico esempio è dato
dall’apertura di una fistola artero-venosa: la pressione arteriosa non si
modifica se non nell’immediatezza dell’apertura, giacché il rene farà
in modo che l’aumento di portata e di flusso attraverso la fistola non
produca aumento della pressione arteriosa. Lo stesso si ha quando
viene chiusa la fistola per l’intervento opposto sempre da parte del
rene.
Per comprendere il complesso sistema di controllo dela pressione
arteriosa, prendiamo ora in esame singolarmente i vari meccanismi
iniziando da quello che entra in attività più precocemente e
rapidamente, il sistema dei barocettori.
Il barocettore serve a mantenere un flusso costante ai vari organi e per
tale motivo esso è più un “custode” dell’ipotensione che
dell’ipertensione, e reagisce di più alle sollecitazioni ipotensive che a
quelle ipertensive.
I barocettori o pressocettori sono terminazioni nervose del tipo ad
efflorescenza che vengono stirate quando sottoposte a trazione. Sono
situati nelle pareti delle arterie carotidi interne un poco al di sopra
della biforcazione delle carotidi comuni (seni carotidei) e nella parete
dell’arco aortico (seni aortici). Gli impulsi provenienti da ciascun seno
carotideo vengono trasmessi tramite il N. di Hering al N.
glossofaringeo e quindi alla regione bulbare del tronco dell’encefalo.
90
CAPITOLO 3
Gli impulsi provenienti dall’arco aortico sono condotti al bulbo dai
nervi vaghi (Fig. 4).
Fig. 4 - Attività barocettoriale
Quando si ha una diminuzione della pressione arteriosa pochi treni di
onde, in partenza dai barocettori dei seni carotidei e del bulbo aortico,
raggiungono il nucleo del tratto solitario il quale viene inibito ed
esercita scarsamente la propria funzione eccitatoria sul nucleo del X°
paio di nervi cranici. Vi sarà di conseguenza un certo defrenamento
del centro vasomotore laterale il quale, attraverso il nucleo simpatico e
quello bulbo spinale, esercita la sua azione simpatica (quindi
adrenergica) sui vasi periferici determinando un aumento della
frequenza cardiaca e vasocostrizione, entrambi meccanismi intesi a
riportare alla norma la pressione arteriosa.
Quando si ha un aumento della pressione arteriosa una maggiore
quantità di treni di onde arriva al nucleo del tratto solitario; esso una
volta eccitato finisce per inibire il centro vasomotorio laterale e per
stimolare il nucleo del X° paio di nervi cranici. Ne deriva che il nucleo
simpatico e quello bulbospinale riceveranno meno impulsi stimolanti
dal centro vasomotorio laterale e prevarrà la tendenza alla
91
UN CASO DI IPERTENSIONE
vasodilatazione e alla diminuzione della frequenza cardiaca per
stimoli provenienti dal nucleo del X paio.
Il barocettore quindi svolge la sua azione tramite il sistema simpatico
(n. simpatico e n. bulbospinale).
Il sistema nervoso adrenergico è quindi implicato nel controllo della
pressione arteriosa; a confermarlo sono osservazioni ciniche di
ipertensioni da feocromocitoma e da tumori cromaffini e la possibilità
sperimentale di provocare ipertensione con adrenalina o
noradrenalina.
Se ad un animale (solitamente un gatto) distruggiamo il nucleo del
tratto solitario, esso diventa fortemente iperteso. Lo stesso accade se
interrompiamo le afferente tra il barocettore e il nucleo del tratto
solitario: ciò dimostra l’importanza del barocettore e di tale nucleo nel
mantenere bassa la pressione arteriosa (Fig. 5).
D’altra parte stimolando chimicamente o per mezzo di elettrodi il
nucleo del tratto solitario si ha una diminuzione della pressione
arteriosa. Anche se queste osservazioni confermano l’importanza del
bulbo nella regolazione della pressione arteriosa non è solo questa la
regione del SNC che interviene nel controllo pressorio.
92
CAPITOLO 3
Fig. 5 - Attività barocettoriale
Infatti se si inietta a livello ipotalamico, nei ventricoli laterali, 6OH-dopamina (un depletore di catecolamine a livello soprabulbare)
ad animali che abbiano una lesione sperimentale del nucleo del tratto
solitario, l’aumento pressorio è minore di quello che si ottiene con la
sola lesione nucleare. Ciò indica che c’è un controllo pressorio a
livello superiore di quello bulbare, sicuramente a livello ipotalamico
(Fig. 6).
93
UN CASO DI IPERTENSIONE
Fig. 6 - Attività barocettoriale
CHEMOCETTORI
I chemocettori sono cellule chemosensibili localizzati in
corrispondenza delle biforcazioni delle arterie carotidi comuni (corpi
carotidei) e a ridosso dell’aorta (corpi aortici). I chemocettori
trasmettono l’eccitamento a fibre nervose che decorrono, con le fibre
provenienti dai barocettori, lungo i nervi di Hering e i vaghi
raggiungono il centro vasomotore. Ogni corpo carotideo o aortico
riceve sangue attraverso una piccola arteria cosicché i chemocettori
sono sempre in stretto contatto con il sangue arterioso. Ogni qualvolta
che la pressione arteriosa scende al di sotto di un livello critico,
vengono stimolati i chemocettori dalla ridotta disponibilità di ossigeno
e dall’accumulo di CO2 e di idrogenioni a seguito del rallentato flusso
sanguigno attraverso i corpi carotidei e aortici.
Dai chemocettori i segnali trasmessi lungo le fibre afferenti vanno ad
eccitare il centro vasomotore provocando in via riflessa un aumento
della pressione arteriosa. Il meccanismo di controllo tramite i
chemocettori entra in funzione aumentando la PA anche in tutte quelle
condizioni in cui nel sangue arterioso la concentrazione dell’ossigeno
scende al di sotto dei valori normali oppure aumentano al di sopra dei
valori normali le concentrazioni di anidride carbonica e di idrogenioni.
94
CAPITOLO 3
SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE
L’ipotesi di un ruolo del rene nel determinismo dell’ipertensione
arteriosa nacque, nel 1897, con l’osservazione di Tigerstedt R. e
Bergman P.G. Essi triturarono i reni di un coniglio e, fattone un
infuso, lo inocularono ad altri conigli, ottenendo l’insorgenza di
ipertensione. Dedussero perciò che esisteva una sostanza, che
chiamarono “renina”, capace di provocare ipertensione. A questo
esperimento fece seguito, nel 1933, quello di Harry Goldblatt il
quale mettendo una pinza su di un’arteria renale di cane, rilevò che
l’animale diveniva iperteso. Era possibile riportare la pressione alla
normalità rimuovendo l’occlusione entro 6-8 settimane, mentre la
rimozione più tardiva non era più idonea a riportare i valori pressori
alla normalità.
Goldblatt ridava così corpo alle osservazioni di Tigerstedt e
Bergman, mostrando che effettivamente il rene produce una sostanza
ipertensivante, liberata in misura maggiore quando si opera una
stenosi dell’arteria renale.
La renina è un enzima proteolitico altamente specifico, sintetizzata
nelle cellule della macula densa dell’apparato iuxtaglomerulare renale,
che scinde il legame leucina-valina dell’angiotensinogeno o substrato
della renina (alfa2-globulina plasmatica), una glicoproteina prodotta
quasi esclusivamente dal fegato e presente in circolo in quantità tale
(800-1500 ng/ml) da non limitare l’attività del sistema. Si forma così
un decapeptide, l’angiotensina I.
Quest’ultima priva di attività biologica, viene immeditamente
trasformata in angiotensina II (octapeptide) dall’enzima di
conversione (angiotensin convertine enzyme: ACE), detto anche
chininasi II, in quanto responsabile anche dell’attivazione delle
chinine.
L’ACE è situato soprattutto sulla superficie dell’endotelio di
rivestimento dei vasi polmonari, ma in realtà ha una distribuzione
praticamente ubiquitario.
L’angiotensina II è presente in circolo che in condizioni fisiologiche è
di circa 20-60 pg/ml ed ha una emivita di pochi secondi, in quanto
viene immediatamente degradato dalle angiotensinasi tissutali.
Una di queste, l’angiotensinasi A2 o aminopeptidasi A, distacca
dall’angiotensina II, l’acido aspartico aminoterminale determinando la
formazione dell’angiotensina III (esapeptide) che, a differenza degli
95
UN CASO DI IPERTENSIONE
altri prodotti di degradazione dell’angiotensina II è ancora
biologicamente attiva (Fig. 7).
Fig. 7 Sistema Renina-Angiotensina
Il sistema renina-angiotensina-aldosterone, è controllato dal SNC,
attraverso il mediatore noradrenalina, che agisce sui recettori beta-1
dell’arteriola afferente glomerulare, modificando la quantità di sangue
che giunge nell’unità di tempo all’apparato iuxtaglomerulare.
La quantità di renina liberata è anche sotto il controllo della
concentrazione del sodio a livello della sostanza iuxtaglomerulare ed
inoltre è condizionata dalla riduzione del volume dei fluidi
extracellulari (emorragie, vomito, diarrea e sindromi edemigene come
scompenso cardiaco congestizio, cirrosi epatica ascitogena ecc), dalla
riduzione della pressione arteriosa nelle arterie renali e dal passaggio
dal clino all’ortostatismo.
96
CAPITOLO 3
La liberazione di renina è anche regolata da un feed-back negativo
operato dall’angiotensina.
L’angiotensina II esercita la sua azione attraverso il legame con due
recettori, detti AT1 ed AT2. Il recettore AT1 media gli effetti
vascolari ed endocrini, mentre quello AT2 interviene sulla
differenziazione e nella crescita cellulare (Tab. 6).
Tab. 6 Recettori dell’angiotensina II
Recettori AT1
Recettori AT2
Effetti:
Effetti:
- Stimolazione del SN simpatico: azione cronotropa
e inotropa positive, vascocostrizione (indiretta)
- Azione su arterie di medio e piccolo calibro:
vasocostrizione (diretta)
- Azione sulle placche neuromuscolari: sintesi,
escrezione e ricaptazione di noradrenalina
- Azione sul rene: ritenzione idro-salina
- Azione sul corticosurrene: rilascio di aldosterone
- Azione sulla midollare del surrene: rilascio di
catecolamine
- Aumentata espressione di protooncogeni,
produzione di fattori di crescita e sintesi di matrice
extracellulare
- Stimolazione alla liberazione di ADH e del senso
della sete
- Vasodilatazione
- Inibizione della crescita cellulare
Oltre al rene numerosi altri organi e tessuti, quali il SNC, l’ipofisi, le
ghiandole surrenali, il testicolo, le ghiandole salivari e soprattutto il
cuore e le pareti arteriose contengono la renina e il corrispondente
RNA messaggero (Tab. 7).
97
UN CASO DI IPERTENSIONE
Tab. 7 Sistema Renina-Angiotensina tissutali e relative funzioni
TESSUTO
Rene
Vasi
Cuore
Surrene
Cervello
Ipofisi
Ovaio
Testicolo
Utero
Chorion
Placenta
Intestino
Ghiandole salivari
FUNZIONI
Emodinamica glomerulare, riassorbimento di sodio
Tono e ipertrofia vascolare
Metabolismo miocardico, ipertrofia, contrattilità, ritmo
Secrezione di aldosterone, release di catecolamine (?)
Sete, comportamento, pressione arteriosa, release di AVP
Secrezione di ACTH, gonodotropine, prolattina
Ovulazione (?), produzione di estrogeni(?)
Produzione di androgeni (?)
Flusso utero-placentare, contratttilità
Sconosciuto
Flusso utero-placentare, ormoni placentari (?)
Assorbimento di acqua
Sconosciuto
Il contributo di questi organi alla concentrazione plasmatica di renina
è trascurabile, dal momento che l’attività reninica plasmatica cade a
zero dopo nefrectomia bilaterale.
A livello renale l’angiotensina II (AII) determina una contrazione
mesangiale che è legata all’aumento della concentrazione del calcio
(Ca++) citosolico, secondaria all’attivazione di fosfolipasi C ed alla
liberazione di Ca++ dai depositi intracellulari. Il calcio è pertanto
considerato il secondo messaggero dell’azione di AII.
L’azione costrittrice dell’AII è inoltre rivolta sull’arteriola efferente:
oltre al suo effetto sul filtrato glomerulare, diminuisce la pressione
idrostatica capillare peritubulare, mentre aumenta la frazione di
filtrazione e la pressione osmotica peritubulare capillare.
Tutto ciò determina una riduzione della retrodiffusione del Na,
trasportato negli spazi intercellulari, e quindi un aumento del
riassorbimento netto. A sua volta l’aumentato riassorbimento del
sodio, aumenta l’osmolarità midollare con conseguente incremento del
riassorbimento passivo di cloruro di sodio nel tratto ascendente
dell’ansa di Henle.
98
CAPITOLO 3
L’Angiotensina II, inoltre, agisce sui vasa recta con conseguente
effetto sui periciti situati nella parte iniziale di tali vasi. In tal modo si
ha una riduzione del flusso attraverso la regione midollare e un
aumento del gradiente di concentrazione midollare che si rende
responsabile di un incremento del riassorbimento dei liquidi (Fig. 8).
Fig. 8 Azione renale dell’angiotensina II
L’azione dell’aldosterone si svolge a livello della parte terminale
dell’ansa di Henle e nel tubulo contorto distale.
L’azione dell’aldosterone sul riassorbimento del Na* avverrebbe
tramite la sintesi di RNA-DNA dipendente, di proteine carrier
dell’elettrolita e la attivazione di enzimi, soprattutto la Na*/K*
ATPasi. L’enzima Na*/K* ATPasi è indispensabile per formare,
tramite la scissione dell’ATP in ADP l’energia per il passaggio attivo
99
UN CASO DI IPERTENSIONE
del sodio nel compartimento interstiziale che avviene contro un
gradiente elettrolitico ad opera della pompa cellulare baso-laterale
(Fig. 9).
Fig. 9 Azione renale dell’Aldosterone
Giacché l’intervento del sistema renina-angiotensina-aldosterone si
riduce ad un’azione vasocostrittrice e ad un aumento della volemia,
può essere importante conoscere il comportamento del sodio.
Sperimentalmente nell’ipertensione alla Goldblatt a due reni, il rene
controlaterale a quello con la stenosi riesce a mantenere in equilibrio il
bilancio del sodio e, conseguentemente, somministrando un inibitore
dell’angiotensina si ha il ritorno alla norma della pressione arteriosa
(Fig. 10)
100
CAPITOLO 3
Fig. 10 Ipertensione alla Goldblatt a due reni
Se però si associa alla stenosi l’asportazione del rene
controlaterale, il bilancio del sodio diviene positivo, dopo un primo
periodo di attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone.
Se somministriamo l’inibitore del’angiotensina II nel momento in cui
il bilancio sodico è già diventato positivo, la pressione arteriosa non
torna più alla norma e per vederla scendere, è indispensabile
rimuovere la stenosi dell’arteria renale del rene residuo (Fig. 11).
Fig. 11 Ipertensione alla Goldblatt a un rene
101
UN CASO DI IPERTENSIONE
L’interazione tra vasocostrizione ed aumento della volemia, causate
entrambe dall’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone
trova un modello naturale nell’ipertensione maligna. In essa un rene
ischemico produce molta renina e quindi angiotensina II. Questa
provoca vasocostrizione ed increzione di aldosterone, che condiziona
sodioritenzione.
Quest’ultima e la vasocostrizione s’influenzano reciprocamente: la
sodioritenzione provoca ipervolemia; vasocostrizione ed ipervolemia
determinano un ulteriore aumento della pressione arteriosa che
peggiora ancora la situazione del rene ischemico (fig. 12)
Fig. 12 Ipertensione maligna
Ma il sistema renina-angiotensina-aldosterone non spiega tutto. In
animali con asportazione di entrambi i reni non si può più avere
attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, non si ha
aumento della volemia e non è certa una positivizzazione del bilancio
sodico, ma si ha comunque una grave ipertensione, che può essere
102
CAPITOLO 3
riportata alla norma non solo con il trapianto del rene (che normalizza
i parametri del bilancio sodico) ma anche con il solo trapianto di
cellule della midollare renale. Il fattore ipotensivante renale viene
somministrato con il trapianto di cellule della midollare e ciò spiega il
ritorno alla norma dei valori pressori (Fig. 13)
Fig. 13 Ipertensione renopriva
Entrano così in gioco altre sostanze, le prostaglandine (PG) quali
fattore ipotensivante di origine renale.
La PGI2 (prostaciclina) determina un incremento della pressione di
perfusione renale, un incremento del flusso plasmatici renale, ma
opera, al contrario, una riduzione del coefficiente di ultrafiltrazione
capillare glomerulare (Kf). L’azione vasodilatatrice e l’aumento del
Kf indotte dalla PGI2 sono mascherate dal contemporaneo aumento
dei livelli di Angiotensina II secondario alla PGI2 stessa.
A livello renale le PGE2 aumentano il flusso ematico renale, la
natriuresi e la diuresi senza modificazione del filtrato glomerulare
(Fig. 14).
103
UN CASO DI IPERTENSIONE
Fig. 14 Azione renale delle prostaglandine
L’azione delle PGE2 viene potenziata dalle chinine quando il bilancio
del Na è positivo mentre se il bilancio sodico è negativo, le chinine
favoriscono uno sbilanciamento tra PG vasodilatatrici e costrittrici a
favore delle PGF2alfa, diminuendo l’escrezione sodica. Queste
osservazioni documentano che anche il sistema delle chinine svolge
un ruolo nel controllo renale della pressione arteriosa (fig. 15).
104
CAPITOLO 3
Fig. 15 Rapporti PGE2-Chinine
Le chinine si formano per trasformazione del chininogeno ad opera
dell’attività chininogenasica della callicreina.
Sono note due callicreine, una plasmatica e l’altra ghiandolare: quella
plasmatica trasforma un chininogeno ad alto peso molecolare
(197.000), mentre la callicreina ghiandolare ne trasforma uno dal peso
molecolare di 57.000.
La callicreina ghiandolare può però agire anche sul chininogeno
197.000 formando bradichinina, oltre che sul chininogeno 57.000
formando lisil-bradichinina (callidina) e, attraverso un enzima
convertitore bradichinina. Ad opera di una chininasi II, simile al
converting enzyme, avviene la demolizione a peptidi inattivi.
La bradichinina che si trova nel rene è sicuramente prodotta in loco.
Nel rene produce vasodilatazione, aumento del flusso ematico renale,
della natriuresi e della diuresi. Tali azioni sono in parte correlate agli
effetti esercitati sulla muscolatura liscia, ma in parte dipendono anche
dalla stimolazione, attraverso i vasi e le cellule interstiziali del rene,
alla produzione di PG (Fig. 16)
105
UN CASO DI IPERTENSIONE
Fig. 16 - Sistema Callicreina-Chinine
Una chiara correlazione è stata dimostrata tra il sistema reninaangiotensina e quello delle PG in quanto è stato osservato che
l’angiotensina I e l‘angiotensina II producono un aumento delle PG
renali, mentre gli antagonisti dell’angiotensina inibirebbero la sintesi
di PGE2.
Infatti somministrando angiotensina I o II si ha un aumento dell’acido
arachidonico e delle prostaglandine urinarie mentre, se si somministra
dopo l’angiotensina anche saralasina (antagonista dell’AII), non si
verifica l’aumentata escrezione di prostaglandine.
D’altra parte, l’inibizione della prostaglandinsintetasi con
indometacina produce una chiara inibizione anche della sintesi di
renina (Fig. 17).
106
CAPITOLO 3
Fig. 17 Rapporti tra Renina e Prostaglandine
A fugare qualsiasi dubbio fra i rapporti esistenti tra queste sostanze è
venuto un modello naturale costituito dalla sindrome di Bartter. In
essa vi è un’attivazione del SRA con iperaldosteronismo ma con
pressione arteriosa normale per un coesistente aumento di PGE2 e di
chinine, vasodilatatrici. La controprova viene dall’osservazione che
somministrando ad un paziente con sindrome di Bartter, indometacina,
che blocca la produzione di PG, non si ha l’atteso aumento pressorio
per il bilanciamento operante fra PG e chinine (Fig. 18).
107
UN CASO DI IPERTENSIONE
Fig. 18 - Sindrome di Bartter
Fra i vari meccanismi che presiedono al controllo della pressione
arteriosa ricordiamo il peptide natriuretico atriale (ANP) e l’ormone
antidiuretico (ADH) o vasopressina.
PEPTIDE NATRIURETICO ATRIALE (ANP)
Scoperto nel 1981 da De Bold e coll è un peptide costituito da 28
aminoacidi, sintetizzato dai miociti atriali ed in misura minore anche
da altre cellule, localizzate nella parete dell’arco aortico, nel polmone,
nel rene, nelle ghiandole surrenali, nell’ipofisi e nel SNC, dove funge
da neurotrasmettotore. Svolge numerose funzioni:
Vasodilatazione arteriolare
Inibizione della liberazione di Renina
Inibizione della sintesi e della secrezione di Aldosterone
Antagonizza l’azione vasocostrittrice dell’Angiotensina II e della
Noradrenalina
Riduce il ritorno venoso agendo sui vasi venosi di resistenza e
aumento della permeabilità capillare.
Gli effetti che ne conseguono saranno pertanto rappresentati dalla
riduzione delle resistenze periferiche, dalla riduzione della volemia
centrale, della gittata cardiaca e del lavoro del cuore.
108
CAPITOLO 3
Rispetto alle azioni renali, l’ANP è in grado di modulare il flusso
ematico renale, il filtrato glomerulare e il riassorbimento tubulare
degli elettroliti.
L’ANP determina, infatti, un aumento della perfusione renale e un
notevole incremento del filtrato glomerulare, attraverso un’azione
integrata sulle due arteriole glomerulari. Mentre l’arteriola afferente
viene dilatata dal peptide, quella efferente risulta costretta, con
conseguente aumento della pressione idrostatica nel capillare
glomerulare e marcato incremento della quota di acqua e soluti a
livello del tubulo prossimale.
A ciò si aggiunge un aumento del coefficiente di ultrafiltrazione
glomerulare (Kf) attraverso una dilatazione delle cellule mesangiali.
Rispetto al riassorbimento tubulare degli elettrolit, l’ANP determina la
perdita di Na, di Cl e in misura assai minore di K. Inoltre l’ANP
inibisce il cosiddetto feedback tubulo-glomerulare. Normalmente
l’incremento del sodio nel tubulo distale conduce ad una caduta più o
meno evidente della filtrazione glomerulare. Questo semplice
meccanismo è inibito dall’ANP, così che per una data quota di sodio
che viene filtrata ne venga escreta una percentuale il più possibile
elevata (Fig. 19).
Infine l’ANP inibisce la liberazione di renina e la sintesi e secrezione
di aldosterone. Tutte queste azioni considerate collettivamente
tendono a proteggere il circolo ed in particolare il distretto venoso
centrale e polmonare da sovraccarichi di volume e/o di pressione.
109
UN CASO DI IPERTENSIONE
Fig. 19 Azione renale dell’ANP
ORMONE ANTIDIURETICO (ADH) O VASOPRESSINA
L’ormone antidiuretico è un nonapeptide prodotto dai neuroni
magnocellulari situati nei nuclei sopraottico e paraventricolare
dell’ipotalamo anteriore. Viene messo in circolo in risposta a
numerosi stimoli, tra i quali il più importante è quello osmotico
ovvero l’aumento della pressione osmotica nei liquidi extracellulari.
La funzione principale dell’ADH è infatti quella di regolare
l’osmolalità dei liquidi corporei, soprattutto tramite i suoi effetti sul
riassorbimento di acqua a livello del dotto collettore corticale e
midollare.
Il secondo stimolo valido per la liberazione di vasopressina è la
deplezione di volume.
110
CAPITOLO 3
L’ADH interviene anche nella regolazione dei vari parametri
fondamentali per l’integrità della funzione cardiocircolatoria, tra cui il
volume del liquido extracellulare e plasmatico ed il tono vascolare
(vasocostrizione) (Tab. 8)
Tab. 8 - Fattori che inducono la liberazione di ADH
STIMOLI OSMOTICI
- Alterazione del bilancio idrico
(iper- e iponatremia)
- Soluzioni ipo- o ipertoniche
- Iperglicemia
- Sostanze osmoticamente attive
STIMOLI EMODINAMICI
Riduzione del volume plasmatico totale o
efficace:
- Emorragia
- Vomito
- Diarrea
- Sindromi edemigene
- Diuretici
- Ipotensione ortostatica
- Reazioni vasovagali
- Vasodilatatori
STIMOLI EMETICI
- Nausea
- Mal di mare
- Chetoacidosi
- Farmaci: apomorfina
ALTRI FATTORI
Dolore, stress fisici e psichici
ipossia, ipercapnia, acidosi
FARMACI
- Clorpropamide
- Carbamazepina
- Clofibrato
- Nicotina
- Oppiacei
- Barbiturici
- Indometacina
- Fenotiazine
- Aloperidolo
La secrezione di ADH indotta da stimoli emodinamici (secrezione
non osmotica) si verifica sempre nel contesto di una attivazione,
spesso marcata, del sistema renina-angiotensina-aldosterone e di
quello nervoso simpatico. Ciò suggerisce che l’ADH svolge un ruolo
assai modesto nel regolare la pressione arteriosa in condizioni
fisiologiche, ma interviene solo quando la riduzione della PA (o del
volume plasmatici) è di grado assai marcato e gli altri sistemi
vasoattivi si sono dimostrati inefficaci a riportarla alla norma.
111
UN CASO DI IPERTENSIONE
Una riduzione particolarmente marcata della PA stimola anche il
senso della sete.
Gli stimoli emodinamici influenzano la secrezione di ADH attraverso
i recettori a bassa pressione situati nel compartimento venoso
cardiotoracico e quelli ad alta pressione situati nell’arco aortico e nel
seno carotideo. Gli impulsi nervosi provenienti da queste strutture
decorrono lungo il nervo vago e quello glossofaringeo fino a
raggiungere il nucleo del tratto solitario nel bulbo; da qui originano le
vie post-sinaptiche (noradrenergiche, oppioidoergiche e GABAergiche) per i nuclei sopraottico e paraventricolare.
Gli effetti renali dell’ADH si esercitano attraverso due classi di
recettori renali (Fig. 20).
I recettori V1 sono stati localizzati nel mesangio glomerulare, nei vasi
renali, nelle cellule interstiziali midollari. Il messaggero dell’azione
della vasopressina su questi siti recettoriali è rappresentato dal Ca**
intracellulare. Tali recettori inducono vasocostrizione e produzione di
PG.
I recettori V2 sono presenti nel segmento sottile del tratto ascendente
dell’ansa di Henle e nei tubuli collettori corticali e midollari. Questi
recettori controllano l’effetto idro-osmotico della vasopressina.
Per quanto riguarda il rene l’effetto costrittore della vasopressina si
esplica sulle cellule mesangiali riducendo il Kf dei capillari
glomerulari. Occorre ricordare che i recettori V1 stimolano la sintesi
di PG, sia nelle cellule mesangiali che nelle cellule interstiziali
midollari. Le PG si oppongono alla contrazione dei vasi mesangiali
indotta dalla vasopressina ed al suo effetto tubulare, contrastando
l’aumento della permeabilità all’acqua del tubulo collettore causata
dal peptide.
Il ruolo svolto dalla vasopressina sull’escrezione urinaria di sodio
(natriuresi) si realizza attraverso la stimolazione dei recettori V1 e di
conseguenza della sintesi delle PGE2. Queste ultime, tramite la loro
azione tubulare, sono responsabili del ridotto riassorbimento del sodio
e quindi della natriuresi.
In conclusione le variazioni della PA e della volemia che si verificano
in condizioni fisiologiche sono troppo modeste per influenzare la
secrezione di ADH, che dipende quindi largamente da stimoli di
natura osmotica. Qualora la secrezione di ADH aumenti per far fronte
ad un aumento dell’osmolarità plasmatici, oltre all’effetto diuretico si
112
CAPITOLO 3
verifica vasocostrizione legato alla stimolazione dei recettori V1 a
livello vasale.
Fig. 20 - Recettori renali dell’ADH
113
UN CASO DI IPERTENSIONE
CLASSIFICAZIONE DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA
IPERTENSIONE SISTOLICA
- Arteriosclerosi dell’arco aortico
- Insufficienza aortica
- Anemia
- Fistole arterovenose
- Ipertiroidismo
IPERTENSIONE SISTODIASTOLICA
Ipertensione essenziale: 95%
Ipertensione secondaria: 5%
IPERTENSIONE SECONDARIA
ENDOCRINA
Feocromocitoma
Iperaldosteronismo primitivo
Sindrome di Cushing
Sindromi adrenogenitali
Acromegalia
RENALE
Renovascolare
Parenchimatosa:
glomerulonefrite acuta - glomerulonefrite cronica
pielonefrite cronica - rene policistico - nefropatia diabetica
nefropatia da farmaci -tumori secernenti renina
NEUROGENA
COARTAZIONE AORTICA
PREECLAMPSIA
POLICITEMIA
IPERTENSIONE DA FARMACI
114
CAPITOLO 3
L’ipertensione costituisce un fattore di rischio per l’insorgenza di
aterosclerosi: si tratta di una forma di arteriosclerosi, che colpisce
prevalentemente le arterie di grande e medio calibro, in particolare
le coronarie. Rilevanti aumenti pressori sono in grado di provocare
una sofferenza anche a livello delle arteriole (arteriolosclerosi).
CLINICA
Generalmente, il paziente iperteso, nel caso che l’ipertensione
arteriosa non sia secondaria ad altre affezioni, risulta del tutto
asintomatico. Viene descritta in alcune occasioni, in particolare in
soggetti con ipertensione arteriosa grave, cefalea, prevalentemente
occipitale, talvolta pulsante, e spesso più intensa al mattino al
risveglio.
Alcuni pazienti riferiscono vertigine soggettiva, acufeni, sensazione
di instabilità, ma tali sintomi non sono costanti.
A carico dell’apparato cardiocircolatorio, i primi segni di una
compromissione sono rappresentati da facile affaticabilità e dispnea
da sforzo. In alcune occasioni l’ipertensione arteriosa può essere
svelata da un dolore anginoso e da un infarto acuto del miocardio.
Un sintomo piuttosto comune è costituito altresì dall’epistassi,
anch’essa imputabile a danno vascolare, così come da disturbi visivi,
per compromissione retinica (visione offuscata, scotomi, mosche
volanti).
EFFETTI DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA
Cuore
L’incremento dei valori pressori comporta un aumento del lavoro del
ventricolo sinistro del cuore. Il protrarsi nel tempo di una tale
situazione provoca ipertrofia del ventricolo sinistro e successivamente
dilatazione, fino ad un quadro di scompenso cardiocircolatorio.
Oppure può determinare l’insorgenza di manifestazioni anginose di
cui la massima espressione è rappresentata dall’infarto del miocardio.
115
UN CASO DI IPERTENSIONE
Encefalo
A livello encefalico, l’ipertensione arteriosa, può determinare ictus
ischemico, ictus emorragico oppure encefalopatia ipertensiva.
L’ictus ischemico è favorito dal’aterosclerosi, mentre quello
emorragico, è il frutto della rottura di microaneurismi cerebrali, in
presenza di elevati livelli di pressione. L’encefalopatia ipertensiva
sembra dovuta a difetti dell’autoregolazione vasale nel circolo
cerebrale, con l’instaurazione di numerose, minute lesioni diffuse
dovute a edema o a piccole emorragie. Essa è caratterizzata da cefalea
acuta, nausea vomito e disturbi della coscienza (stato confusionale,
coma accompagnato da convulsioni).
Rene
La sofferenza renale in corso di ipertensione è stata considerata a
lungo conseguenza della ridotta irrorazione glomerulare dovuta a
processi di arteriosclerosi ed arteriolosclerosi. Le moderne conoscenze
sulla progressione della insufficienza renale cronica tendono piuttosto
a valorizzare il danno emodinamico impartito ai glomeruli
dall’aumento della tensione nei capillari glomerulari.
Retina
Le alterazioni retiniche (retinopatia ipertensiva) sono state
convenzionalmente suddivise in quattro gradi in rapporto alla loro
gravità (Keith-Wagener-Barker).
Il I° grado è caratterizzato da una costrizione dei vasi arteriosi a causa
della autoregolazione vasale; il rapporto (tra i diametri delle arteriole e
vene) AV pari a ½ circa. Si può individuare qualche stenosi arteriolare
precoce e circoscritta. Una sclerosi generalizzata appare come un
aumento della luminosità (riflesso alla luce accentuato) delle arteriose
con una modesta compressione delle vene al’incrocio con le arteriole.
Il II° grado è caratterizzato da un calibro ulteriormente ridotto delle
arteriole (rapporto A-V 1/3); la stenosi è localizzata ma più cospicua.
Le arteriole cominciano ad assumere un aspetto a filoni rame con una
compressione più evidente delle vene agli incroci con le arterie.
Nel III° grado la costrizione arteriolare focale e generalizzata appare
cospicua (rapporto AV ¼). La sclerosi apare come una superficie
argentea (filo d’argento). I vasi venosi sono obliterati in
corrispondenza dell’incrocio con le arteriole. Presenza di emorragie a
fiamma e di essudati cotonosi disseminati.
116
CAPITOLO 3
Nel IV° grado le alterazioni sono spiccate a filo di rame od a
filod’argento unitamente ad una notevole dilatazione distale delle
vene. Sono presenti emorragie a fiamma, essudati cotonosi,
particolarmente cospicui nell’area maculare, ed edema della papilla.
RAGIONAMENTO CLINICO
Considerati i dati clinici e la giovane età della paziente è stato posto il
sospetto clinico di ipertensione arteriosa secondaria. In relazione
alle cause eziologiche abbiamo potuto escludere le cause
farmacologiche (corticosteroidi, carbenoxolene, inibitori delle
monoaminoossidasi, contraccettivi orali e liquirizia), le cause
neurogene, la coartazione aortica, la preeclampsia e la policitemia.
Restavano pertanto da indagare le forme di ipertensione arteriosa
secondarie a cause endocrine e da patologie renali.
Nell’ambito delle forme secondarie di natura endocrina, data
l’esiguità degli elementi clinico-semeiologici e considerato il profilo
pressorio evidenziato del monitoraggio pressorio delle 24 h, è stato
possibile escludere il feocromocitoma, la sindrome di Cushing, le
sindromi adrenogenitali e l’acromegalia.
Comunque,
indipendentemente
dalla
causa
responsabile
dell’ipertensione arteriosa, nella nostra paziente sono stati eseguiti
tests di funzionalità renale, risultati nella norma: Creatinina: 0,96
mg/dl (v.n. 0,7-1,5)
Creatininuria: 109,7 ng/ml (v.n. 50-150)
Creatinina clearance: 149,69 ml/min
Creatininuria: 2,08 g/24h (v.n. 0,8-2,1)
Quantità urine 24h: 1900 ml
Abbiamo pertanto considerato l’ipotesi di ipertensione
renovascolare. Questa è causata da ipoperfusione renale, dovuta a
stenosi dell’arteria renale o di uno dei suoi rami principali, e sostenuta
dall’attivazione del sistema renina-angiotensina (il rene stenotico
aumenta la liberazione di renina).
Nel 66% dei casi la stenosi dell’arteria renale è prodotta da una
placca ateromasica mentre nel 33% dei pazienti, è secondaria al una
117
UN CASO DI IPERTENSIONE
malformazione caratterizzata dalla presenza di un cuscinetto di
tessuto iperplastico, costituito da tessuto fibroso, tessuto connettivo e
cellule muscolari lisce. Si parla, in questo ultimo caso, di iperplasia
fibro-muscolare.
La diagnosi di ipertensione renovascolare si basa su elementi e
caratteristiche cliniche suggestive.
Rispetto agli elementi clinici suggestivi si considerano il soffio
addominale, la resistenza al trattamento antipertensivo, la comparsa di
insufficienza renale in seguito all’uso di ACE-inibitori. Fra gli esami
di laboratorio, elementi molto suggestivi sono gli elevati valori
dell’attività reninica plasmatici e la proteinuria.
In relazione alle caratteristiche cliniche viene definito l’indice di
sospetto clinico, distinto in basso, moderato ed elevato (Tab. 9).
118
CAPITOLO 3
Tab. 9 - Ipertensione renovascolare: indice di sospetto clinico
BASSO (prevalenza < 1%): nessun esame specifico
Ipertensione borderline, lieve o moderata, in assenza di indizi clinici
MODERATO (prevalenza 5-15%): raccomandati esami non invasivi
Ipertensione grave (PAD >120 mmHg)
Ipertensione resistente alla terapia tradizionale
Esordio improvviso di ipertensione persistente, moderata-grave
Ipertensione con soffio addominale caratteristico (lungo, ad alta frequenza)
Ipertensione moderata in un fumatore, in un paziente con ats (cerebrovascolare, coronarica,
periferica) o in un paziente con aumento inspiegato ma stabile della creatinina
Normalizzazione della pressione arteriosa per mezzo di ACE-inibitore in pazienti con
ipertensione moderata o grave (soprattutto se fumatore o con ipertensione di recente esordio)
ELEVATO (prevalenza > 25%): può essere presa in considerazione l’esecuzione immediata di
arteriografia.
Ipertensione grave (PAD >120 mmHg) con insufficienza renale o refrattaria ad un trattamento
aggressivo (specialmente in paziente fumatore o con evidenza di arteriopatia occlusiva)
Ipertensione accelerata o maligna (retinopatia grado III o IV)
Ipertensione con aumento recente della creatininemia, sia inspiegato che indotto
reversibilmente da un ACE-inibitore
Ipertensione (moderata, grave) con riscontro di asimmetria pari o maggiore di 2cm delle
dimensioni renali
In sintesi la diagnosi di ipertensione renovascolare si fonda su un
preciso protocollo e algoritmo. (Tab. 10 e Fig. 21).
119
UN CASO DI IPERTENSIONE
Tab. 10 - Ipertensione renovascolare: protocollo diagnostico
Ricercare elementi clinici suggestivi:
- soffio addominale
- resistenza al trattamento antipertensivo
- comparsa di insufficienza renale in seguito all’uso di ACE-inibitori
Dosaggio dell’attività reninica plasmatica
Test al captopril
Scintigrafia renale (associata con test al captopril)
Eco-color-doppler delle arterie renali
Angio-RM, Angio-TC spirale delle arterie renali
Angiografia renale
Dosaggio della renina nel sangue refluo delle vene renali
Urografia e.v.
Fig. 21 - Ipertensione renovascolare: algoritmo diagnostico
120
CAPITOLO 3
Nella nostra paziente è stato quindi eseguito il dosaggio dell’attività
reninina plasmatica in clino- e ortostatismo e della potassiemia
risultati nella norma.
Attività Reninica Plasmatica (PRA)
Clinostatismo: 1,91 ng/ml/h (v.n.0,2-2,7)
Ortostatismo: 2,55 ng/ml/h (v.n.1,5-5,6)
Potassiemia: 4,19 mEq/L
ECOGRAFIA ADDOME
È stata inoltre sottoposta a ecografia renale e surrenalica nella quale
i reni apparivano in sede e risultavano normali per morfologia,
volume, risposta ecogena parenchimale e spessore cortico-midollare.
Bilateralmente non sono state rilevate ectasie pielo-caliceali né segni
di litiasi.
Lo studio delle regioni surrenaliche non ha mostrato formazioni
espansive ecograficamente apprezzabili.
ECODOPPLER ARTERIE RENALI
È stato inoltre eseguito un ecocolorDoppler delle arterie renali che
ha evidenziato la pervietà e l’assenza di stenosi a carico di entrambe le
arterie ranali con normali valori velocimetrici e profilo spettrale.
IPOTESI DIAGNOSTICA
Dai risultati laboratoristici e strumentali è stato quindi posto il
sospetto clinico di iperaldosteronismo. È stato quindi eseguito il
dosaggio dell’aldosterone sierico in clino- e ortostatismo e il dosaggio
della potassiuria e dell’aldosteronuria nelle urine delle 24 ore.
Aldosterone
- Clinostatismo: 739 pg/ml (v.n. 7,5-150)
- Ortostatismo: 342,4 pg/ml (v.n. 35-300)
121
UN CASO DI IPERTENSIONE
Esame Urine Delle 24 Ore
- Potassiuria: 30 mEq/L (v.n. 26-123)
- Aldosteronuria: 25 mcg(v.n. 3-15)
Diuresi: 1270 ml
Il quadro laboratoristico orientava pertanto verso una forma di
ipertensione arteriosa secondaria da iperaldosteronismo.
Iperaldosteronismo Primitivo
L’iperaldosteronismo primitivo è una sindrome ipokalemicoipertensiva dovuta ad ipersecrezione primitiva di Aldosterone, non
conseguente ad un aumento di nessuno dei fattori di stimolo, in
particolare la Renina.
È dovuta nella maggior parte dei casi ad un adenoma monolaterale
(75-80%), talora ad un’iperplasia bilaterale (20-25%) e molto più
raramente a varianti di queste due forme (iperaldosteronismo
idiopatico) (Tab. 10).
L’iperaldosteronismo primario rappresenta una causa rara di
ipertensione arteriosa, essendo responsabile di circa l’1% di tutte le
anomalie pressorie. La malattia è molto più comune nel sesso
femminile con un rapporto all’incirca di 2:1 e con un’età di insorgenza
media compresa tra i 35 e i 50 anni.
EZIOLOGIA
Adenoma surrenalico:
- Monolaterale
- Bilaterale
Iperplasia nodulare corticale
idiomatico:
- Micronodulare
- Macronodulare
Iperplasia surrenale bilaterale
bilaterale
o
iperaldosteronismo
122
CAPITOLO 3
Carcinoma surrenalico (<1%)
Iperaldosteronismo familiare (FH) (<1%):
- FH-1: aldosteronismo sopprimibile con glucocorticoidi (GRA)
- FH-2: adenoma secernente aldosterone
- Iperaldosteronismo idiopatico: entrambe le condizioni
FISIOPATOLOGIA
Le conseguenze cliniche della malattia sono legate essenzialmente
all’aumentata produzione di aldosterone: l’azione principale di tale
ormone, come noto, si esplica a livello del tubulo distale del rene, ove
esso promuove il riassorbimento del sodio in cambio della escrezione
di potassio e di idrogeno-ioni.
L’aumento della concentrazione del sodio provoca due importanti
effetti ipertensivi: in prima istanza si ha un aumento del volume del
liquido extracellulare, e quindi della volemia; in secondo luogo,
l’ipernatremia rende più sensibili le cellule muscolari lisce delle pareti
arteriolari agli stimoli di vasocostrizione. Questo aumento del sodio
nel
compartimento
extracellulare
nell’iperaldosteronismo,
caratteristicamente non si accompagna alla presenza di edemi.
Nell’iperaldosteronismo primitivo questo non si verifica perché
interviene un meccanismo di “sfuggita” che arresta la ritenzione di
sodio e di acqua ad un nuovo punto di equilibrio, sufficiente a
produrre ipertensione senza che si arrivi alla formazione di edemi. La
sfuggita è determinata da una riduzione del riassorbimento di sodio
nei tubuli renali prossimali ad opera del peptide natriuretico
atriale (ANP), la quale compensa l’incremento del suo riassorbimento
che ha luogo nei tubuli distali per effetto dell’aldosterone prodotto in
eccesso (Fig. 22).
Pertanto clinicamente si ha Ipertensione sisto-diastolica (100%) con
assenza di edemi periferici (“escape” del tubulo renale), cefalea (50%)
e retinopatia ipertensiva (20%).
123
UN CASO DI IPERTENSIONE
Fig. 22 - Ipertensione arteriosa nell’iperaldosteronismo primitivo
La perdita di potassio non è soggetta al fenomeno di “sfuggita” e
produce alcalosi metabolica con tetania latente (segno di Chvostek e
Trousseau: 20%) in quanto il tubulo distale tende a secernere
idrogenioni in sostituzione di ioni potassio deficienti. Per ciascuno
ione H+ escreto con le urine un HCO3– viene riassorbito nel plasma;
di conseguenza, la promozione dello scambio tra Na+ e H+ operata
dall’aldosterone conduce ad un eccesso di bicarbonati nel sangue.
124
CAPITOLO 3
L’aumento della concentrazione di HCO3– provoca un innalzamento
del pH ematico, un’alcalosi metabolica, che viene compensata da
meccanismi regolatori i quali inducono un aumento della PCO2. Ad
un aumento dei bicarbonati nel sangue, tuttavia, può corrispondere un
aumento dei bicarbonati nelle urine. È quindi usuale, nei pazienti
affetti da iperaldosteronismo, riscontrare un aumento della
concentrazione dei bicarbonati nel sangue e nelle urine, che risultano
pertanto avere spesso un pH neutro o alcalino.
Un’altra conseguenza dell’ipopotassiemia è legata al fatto che essa
provoca una diminuita sensibilità dei dotti collettori dei nefroni
all’ormone antidiuretico, condizionando un’alterazione del
meccanismo di concentrazione delle urine, con comparsa di poliuria,
nicturia e ipostenuria (80%).
Seguono alcune manifestazioni cliniche legate all’ipopotassiemia
presenti soltanto nel 75-80% dei casi, caratterizzate da astenia e
adinamia (80%), parestesie e dolori muscolari crampiformi (20%),
paresi o paralisi transitorie (<10%) e stitichezza (50%).
DIAGNOSI NELLA PAZIENTE
Nella nostra paziente è stata pertanto eseguita una RM surrenalica
allo scopo di individuare la lesione primitiva, risultata nella norma.
A questo punto abbiamo valutato di nuovo i dati laboratoristici e preso
in considerazione un algoritmo diagnostico (Fig. 23).
Quindi:
Potassiemia: 4,19 mEq/L (v.n.3,5-5,3 mEq/L)
Attività Reninica Plasmatica (PRA)
- Clinostatismo: 1,91 ng/ml/h (v.n. 0,2-2,7)
- Ortostatismo: 2,55 ng/ml/h (v.n. 1,5-5,6)
Aldosterone
- Clinostatismo: 739 pg/ml (v.n. 7,5-150)
- Ortostatismo: 342,4 pg/ml (v.n. 35-300)
125
UN CASO DI IPERTENSIONE
ESAME URINE delle 24 ore
- Potassiuria: 30 mEq/L (v.n. 26-123)
- Aldosteronuria: 25 mcg (v.n. 3-15)
Diuresi: 1270 ml
Fig. 23 – Iperaldosteronismo primitivo: algoritmo diagnostico
Come mostrato dall’algoritmo, la TC con mdc e scanner ad alta
risoluzione, e la RM sono le tecniche di scelta, in quanto capaci di
visualizzare formazioni nodulari superiori a 0,5 cm di diametro (circa
l’80% degli aldosteronomi).
Se le immagini sono probanti e in accordo con i tests funzionali, la
diagnosi può essere considerata certa. Nel caso di dubbio si ricorre
alla scintigrafia surrenale eseguita con colesterolo marcato con
radioiodio o selenio previa soppressione della funzione
glucocorticoide con desametazone (4 mg/die per una settimana) per
126
CAPITOLO 3
evitare l’accumulo del tracciante nelle zone fascicolata e reticolare
ACTH-dipendenti.
Il tracciante si concentrerà in modo nettamente predominante
nell’eventuale adenoma, essendo la funzione glucocorticoide e
mineralcorticoide soppresse nel surrene controlaterale.
Seguendo il regime di somministrazione standard del desametazone,
la ghiandola surrenale normale non si visualizza prima del 5° giorno.
La visualizzazione monolaterale precoce (prima del 5° giorno) indica
la presenza di un adenoma, mentre la visualizzazione di entrambi i
surreni prima del 5° giorno suggerisce una iperplasia bilaterale. La
visualizzazione monolaterale tardiva è tipica del carcinoma
aldosterone secernente.
La visualizzazione dei surreni dopo il 5° giorno non è diagnostica,
potendosi riscontrare sia nel raro iperaldosteronismo glicocorticoidesensibile che in condizioni normali. È evidente come,
nell’iperaldosteronismo primitivo, l’utilità dela scintigrafia surrenalica
risieda nella possibilità di differenziare l’adenoma dal’iperplasia (Tab.
11).
Tab. 11 - Iperaldosteronismo primitivo: quadri scintigrafici
QUADRO SCINTIGRAFICO
DIAGNOSI EZIOLOGICA
Visualizzazione monolaterale precoce
(< 5gg)
Adenoma surrenalico
Visualizzazione bilaterale
precoce (< 5gg)
Iperplasia surrenale bilaterale
Visualizzazione monolaterale tardiva
Carcinoma surrenalico
(≥ 5gg)
Visualizzazione bilaterale
tardiva (≥ 5gg)
Quadro normale
Iperaldosteronismo glicocorticoidesensibile
Nell’iperaldosteronismo
primitivo
l’accuratezza
diagnostica
dell’esame scintigrafico effettuato con desametazone è interno al 90%.
127
UN CASO DI IPERTENSIONE
Per l’adenoma la sensibilità è 88% e dipende essenzialmente dalle
dimensioni della lesione; per l’iperplasia bilaterale è 90%.
La paziente è stata pertanto sottoposta a scintigrafia renale corticale
con acquisizioni di immagini planari statiche al 4° e al 7° giorno.
L’esame scintigrafico ha potuto rilevare una fissazione precoce del
tracciante al 4° giorno che si è mantenuta, intensificandosi, sino al 7°
giorno. L’esame ha permesso così di porre diagnosi certa di
iperaldosteronismo primitivo da iperplasia surrenale bilaterale.
TERAPIA
In presenza di adenoma monolaterale, la terapia di elezione è quella
chirurgica che consiste nella surrenectomia monolaterale oggi ben
eseguibile anche con tecnica laparoscopica. La surrenectomia
monolaterale determina la guarigione clinica della maggior parte dei
pazienti.
Nei casi di adenoma è buona norma far procedere all’intervento una
terapia con anti-aldosteronici. Il più utilizzato è lo spironolattone
(200-400 mg/die per circa un mese). La terapia riduce la pressione
arteriosa, corregge il quadro elettrolitico e diminuisce molto il rischio
di complicanze post-operatorie.
Dopo l’intervento di solito la potassiemia si normalizza e il sistema
renina-angiotensina-aldosterone riprende lentamente la sua
responsività. La pressione arteriosa si normalizza nel 50% dei casi e
migliora in un altro 25%, mentre rimane invariata in un quarto dei
pazienti; questo può essere dovuto alla presenza di alterazioni
vascolari non regredibili o alla concomitanza di una ipertensione
essenziale.
La terapia chirurgica è altrettanto indicata nel trattamento dei
carcinomi secernenti aldosterone, seguita da terapia medica con
l’adrenolitico mitotane.
La sopravvivenza media dopo la resezione chirurgica combinata con
la somministrazione di mitomane è di circa 6 anni, rispetto ai 2 anni
dei pazienti trattati solo con mitotane e inferiore a 1 anno in quelli
trattati soltanto con intervento chirurgico.
128
CAPITOLO 3
La terapia medica a lungo termine è selettivamente indicata, al
contrario, nei casi di iperplasia bilaterale. La dose iniziale di
spironolattone (200-400 mg/die) va progressivamente ridotta sono ad
ottenere la minima dose di mantenimento (25-50 mg/die).
Sono da ricordare gli effetti collaterali dello spironolattone che
riguardano soprattutto l’attività antiandrogena, che può causare, nel
sesso maschile, ginecomastia e riduzione della potenza sessuale, e nel
sesso femminile polimenorrea, mastalgie e nodularità mammarie. Il
kanrenoato di potassio ha minori effetti antiandrogeni, ma è peggio
tollerato dal punto di vista gastrico.
A livello renale, tutti gli anti-aldosteronici sono potenzialmente lesivi
sull’epitelio tubulare.
Nell’iperpalsia bilaterale, il risulato terapeutico non sempre è
soddisfacente per quanto riguarda l’ipertensione; si può allora
associare la somministrazione di un calcio-antagonista
diidropiridinico (nifedipina).
Il razionale di questa terapia risiede nell’ipersensibilità delle cellule
aldosterone-secernenti al’AG II; i calcio-antagonisti sono i principali
mediatori dell’azione del peptide.
Oltre allo spironolattone oggi disponiamo di un altro farmaco
antagonista selettivo dei recettori dell’aldosterone denominato
eplerenone (Inspra®)
Nei pazienti che non tollerano gli anti-aldosteronici, può essere utile la
somministrazione alterativa dell’amiloride, un diuretico risparmiatore
di potassio, che si usa alla dose di 20-40 mg/die.
Nella nostra paziente esendo stata posta diagnosi di
iperaldosteronismo primitivo da iperplasia surrenale bilaterale è
stata somministrata terapia medica: spironolattone 50 mg e nifedipina
20 mg al giorno che ha prodotta la completa remissione della
sintomatologia.
129
UN CASO DI IPERTENSIONE
BIBLIOGRAFIA
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130
CAPITOLO 3
Volpe M. Ruolo dell’angiotensina II nella progressione del “continuum
cardiovascolare”. Benefici con gli antagonisti recettoriali
dell’angiotensina II. Edizioni Interaction, Milano 2003
Young F. Primary aldosteronism. Changing concepts in diagnosis and
treatment. Endocrinology 2003; 144: 2208-2213
Capitolo 4
Frattura vertebrale
in un paziente con
carcinoma prostatico
a cura del Dott. Antonio Bruno
ANAMNESI
ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA
Paziente di 75 anni, affetto da ipertensione arteriosa, adenocarcinoma
prostatico dal 2002, è giunto alla nostra osservazione per la comparsa,
da 40 giorni, di dolore in sede lombare e a livello della cresta iliaca di
destra, che si accentua con il movimento e si attenua con il riposo a
letto.
Per tale motivo il paziente si è sottoposto, presso lo studio di uno
specialista ortopedico, ad una procedura laser per il trattamento di una
presunta ernia discale. Tale trattamento è risultato privo di alcun
beneficio.
Terapia domiciliare:
Leuprorelina (Enantone Depot): 3,75 mg/4 sett. i.m.
Bicalutamide (Casodex):
150 mg/die per os
ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA
Appendicectomia all’età di 10 anni
Diagnosi di iperplasia prostatica benigna nel 2000
Intervento di legatura dell’arteria iliaca interna destra per aneurisma
nel 2000
131
132
CAPITOLO 4
Diagnosi di carcinoma prostatico non infiltrante non metastatico nel
2002, in trattamento con terapia medica anti-androgenica
Il paziente porta in visione una documentazione clinica in cui si
evidenzia la recente comparsa, all’elettroforesi sierica, di una
componente monoclonale, che, all’immunoelettroforesi, è risultata
essere una IgM con catena leggera ?.
ANAMNESI FISIOLOGICA
Nato a termine da parto eutocico. Allattamento materno. Sviluppo
psico-somatico regolare. Servizio di leva normalmente espletato.
Coniugato, 4 figli, 2 maschi e 2 femmine in buona salute.
Normomangiatore. Beve 4 bicchieri di vino/die, 1 caffè/die. Alvo
regolare. Diuresi fisiologica. Minzione regolare. Ex forte fumatore: ha
fumato 40 sigarette al dì per 40 anni circa, ha smesso 6 anni fa. Nega
allergie a farmaci.
ANAMNESI FAMILIARE
Madre morta a 79 per cause non specificate. Padre morto a 75 anni per
cause non specificate. Primo di 3 figli, 1 fratello e 1 sorella in buona
salute. 4 figli, 2 maschi e 2 femmine in buona salute.
ESAME OBIETTIVO
ESAME GENERALE
Condizioni generali: buone. Sensorio: integro. Psiche: lucida. Facies:
composita. Decubito: indifferente. Respiro: eupnoico
Cute e annessi: cute rosea, normo-elastica, sollevabile in pliche di
medio spessore. Annessi normodistribuiti per età e sesso. Pannicolo
adiposo sottocutaneo: normo-rappresentato.
Temperatura cutanea: apiretica.
Mucose visibili: rosee, umide, normoirrorate.
Cavo orale: Lingua: umida, protrusa in asse. Palato molle mobile.
Tonsille intraveliche. Faringe roseo.
Sistema linfoghiandolare: presenza di tumefazione linfonodale a
livello inguinale destro, di consistenza elastica, non dolente né
dolorabile, mobile sui piani superficiali e profondi, della grandezza di
circa 1 cm
133
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
Apparato muscolare: normo-trofico e normo-tonico.
Apparato scheletrico: dolorabilità a livello della cresta iliaca di
destra
CAPO E COLLO
Capo: normoconformato e normoatteggiato. Non dolenti né dolorabili
i punti di emergenza del V paio di nervi cranici. Globi oculari in asse;
pupille isocoriche, isocicliche, normoreagenti alla luce e alla
accomodazione
Collo: cilindrico, non dolente né dolorabile ai movimenti attivi e
passivi di flesso-estensione e lateralità. Tiroide non visibile, non
palpabile.
TORACE
Torace: troncoconico. Emitoraci simmetrici, normo-espandibili con gli
atti del respiro. Fremito vocale tattile normo-trasmesso su tutto
l’ambito. Suono chiaro polmonare su tutto l’ambito. Apici in sede.
Basi mobili. Murmure vescicolare ridotto su tutto l’ambito.
CUORE E VASI
Cuore: itto non visibile, palpabile al V spazio intercostale
sull’emiclaveare di sx. Aia cardiaca nei limiti. Azione cardiaca
ritmica. Toni parafonici. Pause libere.
Polsi periferici: normosfigmici, ritmici e sincroni. Non valutabili i
polsi pedidi e tibiali posteriori bilateralmente
ADDOME
Addome: piano, trattabile alla palpazione superficiale e profonda.
Cicatrice ombelicale normo-introflessa. Timpanismo entero-colico
come di norma. Peristalsi presente e valida. Presenza di cicatrice lunga
5 cm obliqua in fossa iliaca destra, e di cicatrice di 10 cm
longitudinale che parte dalla cicatrice ombelicale e arriva fino alla
linea bisiliaca.
Fegato: limite superiore al V spazio intercostale sulla emiclaveare di
dx, margine inferiore non palpabile.
Milza: polo superiore al IX spazio intercostale, polo inferiore non
palpabile.
134
CAPITOLO 4
Apparato urinario: punti ureterali superiori, medi non dolorabili.
Dolorabilità a livello del punto costo-lombare di Guyon destro.
SISTEMA NERVOSO
Sistema nervoso: non deficit di forza e di sensibilità. ROT come di
norma. Assenza di riflessi patologici. Prove cerebellari nella norma.
ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI
ESAMI EMATO-CHIMICI
Gli esami di laboratorio eseguiti all’ingresso in reparto sono riportati
in Tabella.
Hb 13.5 g/dl
RBC 4.320.000/mm
MCV 93.4 fl
MCHC 30.2 pg
Hct 40.4%
WBC 8500/mm3
Neu 75.2%
Lin 13.4%
Mon 10%
Eos 1.2%
Bas 0.2%
PLT 185.000/mm3VES 18
Sideremia 25.5 mcg/dl
Glicemia 65 mg/dl
Azotemia 21.6 mg/dl
Creatinina 0.79 mg/dl
Uricemia 3.07 mg/dl
Colesterolo tot. 174 mg/dl
Colesterolo HDL 57 mg/dl
Colesterolo LDL 92 mg/dl
Trigliceridi 127 mg/dl
Sodio 137 mEq/L
Potassio 4.38 mEq/L
Calcio 8.27 mg/dl
Fosfati 2.84 mg/dl
Fibrinogeno 578 mg/dl
INR 0.84
aPTT ratio 0.88
GOT 22 UI/L
GPT 48 UI/L
Gamma-GT 29 UI/L
FA 181 UI/L
LDH 171 UI/L
CK 28 UI/L
Bilirubina Tot. 0.9 mg/dl
Bilirubina diretta 0.3 mg/dl
Amilasi 59 UI/L
Lipasi 167 UI/L
Il protidogramma elettroforetico rilevava un aumento delle proteine di
fase acuta e una banda monoclonale in zona gamma (Fig.1).
135
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
Fig.1. Protidogramma elettroforetico
L’esame delle urine e del sedimento urinario erano privi di alterazioni
di rilievo.
Nel complesso, gli esami di laboratorio effettuati mettevano in
evidenza un quadro di flogosi associato alla presenza di una
componente monoclonale.
SINTESI DEL PAZIENTE
Il sintomo d’esordio del nostro paziente era rappresentato dal dolore
lombare. Le strutture dolorifiche responsabili di un dolore localizzato
in tale sede sono molteplici, le più importanti delle quali sono la cute,
le strutture osteo-muscolari, le radici nervose dei nervi spinali, le
strutture viscerali e diverse strutture cerebrali.
Al fine di poter individuare l’origine di una sintomatologia dolorosa è
utile dividere il dolore in 2 grandi categorie: dolore parietale (osteomuscolare) e dolore riferito (dolore di origine viscerale):
136
CAPITOLO 4
Il dolore parietale proviene dalla stimolazione di terminazioni
nocicettive situate in sede superficiale (cute e sottocute, muscoli,
articolazioni, sierose, ecc.), da cui prendono origine fibre mieliniche
di grosso calibro, del tipo Ad, in grado di condurre l’impulso a grande
velocità verso il corno posteriore del midollo spinale. La sensazione
che ne deriva assume le caratteristiche di un dolore puntorio, ben
localizzabile.
Il dolore viscerale origina dalle strutture profonde, dagli organi
interni, innervati da fibre nocicettive amieliniche di piccolo calibro
(fibre C), capaci di trasmettere l’impulso nervoso molto lentamente.
La stimolazione di queste fibre si traduce in una sensazione dolorifica
sorda, mal localizzabile. Questo tipo di dolore può anche essere
“riferito” ad una zona cutanea corrispondente, per il meccanismo della
convergenza, sullo stesso neurone di II ordine situato a livello del
corno posteriore del midollo spinale, di afferenze nervose provenienti
sia da strutture parietali che profonde (Fig.2).
Spesso le caratteristiche cliniche di queste differenti entità rendono
possibile una loro differenziazione, permettendo un immediato
orientamento diagnostico (Tab.2).
Fig.2. Meccanismi del dolore riferito
137
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
Tab.2. Diagnosi differenziale del dolore
Dolore osteo-muscolare
Dolore riferito (organi viscerali)
Descritto spesso come di tipo lancinante
Descritto come profondo, mal localizzato
Viene avvertito a livello o accanto alla parte
della colonna interessata
Non si accentua con la palpazione o la
percussione della colonna vertebrale
Si accentua con la pressione e la
percussione di zone delle strutture
superficiali
E’ minimo o assente durante i movimenti della
colonna
Variabile con la posizione e l’attività
Viene esacerbato dalla palpazione della
struttura interessata
Può associarsi una contrattura della
muscolatura para-vertebrale
Spesso rappresenta l’irradiazione di un dolore
primariamente addominale o pelvico
Il quadro clinico del paziente ci permette senza ombra di dubbio di
orientarci verso un dolore di tipo osteo-muscolare, a causa della
correlazione della sintomatologia con il movimento e con il riposo, e
della dolorabilità alla pressione di strutture ossee come la cresta iliaca.
Pertanto il quadro riassuntivo di questo caso (Fig.3) è rappresentato da
un paziente di 75 anni, affetto da un carcinoma prostatico in
trattamento farmacologico, che presenta un dolore di tipo osteomuscolare di lunga durata e, agli esami di laboratorio, un quadro
flogistico e un picco monoclonale in zona gamma.
Fig. 3
138
CAPITOLO 4
1A IPOTESI DIAGNOSTICA
I dati clinico-laboratoristici raccolti ci hanno orientati, in primo luogo,
a interpretare il dolore lamentato dal paziente come la spia di una
probabile metastasi da tumore della prostata che, dopo anni di terapia
farmacologica, sarebbe diventato insensibile al trattamento. Il quadro
flogistico e il picco monoclonale rappresenterebbero la reazione del
sistema immunitario verso le cellule trasformate e in attiva
moltiplicazione.
Carcinoma prostatico
EPIDEMIOLOGIA
Il carcinoma prostatico è la neoplasia più frequente fra gli Americani
ed è la seconda causa di morte cancro-correlata. Nell’anno 2001 negli
Stati Uniti furono diagnosticati 198.000 nuovi casi di tumore della
prostata, e le morti furono 31.500. Comunque, l’incidenza clinica di
questa neoplasia non è corrispondente alla prevalenza rilevata tramite
esame autoptico, che dimostra come il 40% degli uomini al di sopra
dei 50 anni presenti foci di carcinoma prostatico. Queste evidenze
sono a supporto del fatto che la maggior parte di questi tumori sono
limitati alla ghiandola prostatica e solo una piccola percentuale di essi
è destinata a diventare clinicamente e prognosticamente rilevante.
L’incidenza del cancro della prostata aumenta con l’età, ed è stimato
che circa il 30% degli uomini tra i 60 e i 69 anni sviluppa la malattia.
Sebbene l’eziologia sia sconosciuta, alcuni dati epidemiologici hanno
messo in evidenza alcuni fattori predisponenti, quali la familiarità, il
consumo di grassi e di vitamina A, alcune attività lavorative
(macchinisti, lavoratori della gomma, chimici, minatori) e l’utilizzo di
erbicidi nel settore agricolo.
ANATOMIA PATOLOGICA
La prostata è una ghiandola tubuloacinosa divisa in lobuli circondati
da uno stroma connettivale. L’acino è composto da 2 diverse porzioni:
il compartimento epiteliale, formato da cellule epiteliali, cellule basali
e cellule neuroendocrine, e quello stromale, composto da fibroblasti e
cellule muscolari lisce. L’antigene prostatico specifico (PSA) e la
139
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
fosfatasi acida prostatica (FAP) sono prodotte dalle cellule epiteliali.
Tutti i tipi cellulari esprimono recettori per il testosterone e dipendono
da esso per la crescita. All’interno della ghiandola, questo ormone
viene trasformato dall’enzima 5a-reduttasi in diidro-testosterone, che
rappresenta la forma biologicamente più attiva. Un aumento di volume
della prostata si verifica normalmente durante la pubertà e dopo i 55
anni, ed è dovuto principalmente a crescita della porzione peri-uretrale
della ghiandola.
Il cancro prende invece origine a livello della zona periferica della
ghiandola, dove spesso è apprezzabile mediante esplorazione digitorettale.
Il 95% dei tumori maligni della prostata è costituito da
adenocarcinomi, mentre il restante 5% include carcinoma squamoso,
carcinoma a cellule transizionali, carcinosarcoma e tumori secondari.
All’esame istologico l’adenocarcinoma presenta aree a differente
grado di differenziazione, caratteristica che rende lo score di Gleason
il più diffuso metodo di gradazione e differenziazione. Esso si basa su
criteri architetturali: la morfologia delle ghiandole e le modificazioni
dello stroma. Siccome più del 50% dei tumori prostatici presenta più
di un grado secondo Gleason, si individuano i 2 pattern istologici più
rappresentati, quindi si assegna a ciascuno dei due un punteggio (da 1
a 5: da ben differenziato a indifferenziato). Dalla somma dei 2
punteggi si ottiene lo score di Gleason, che fornisce importanti
informazioni riguardo l’aggressività della neoplasia:
♦ Gleason (2-10) < 5 : 10% diffusione linfonodale
♦ Gleason (2-10) > 5 : 70% diffusione linfonodale
ANTIGENE PROSTATICO SPECIFICO (PSA)
Il PSA è un enzima ad attività serin proteasica il cui ruolo biologico è
quello di indurre la liquefazione del coagulo seminale. Viene
sintetizzato dalle cellule epiteliali prostatiche, sia normali che
neoplastiche, anche se le cellule tumorali sono in grado di
sintetizzarne una quantità circa 10 volte maggiore. E’un enzima
organo-specifico e non tumore specifico, pertanto un suo aumento può
essere causato da prostatiti, iperplasia prostatica benigna, cancro della
prostata, biopsia prostatica. Usualmente i suoi livelli non sono
140
CAPITOLO 4
significativamente modificati dall’esecuzione della esplorazione
digito-rettale. L’enzima circola nel siero in forma libera e in forma
complessata con l’a 1-antichimotripsina e con la ß2-macroglobulina, e
la sua emivita è di circa 2-3 giorni. La sua concentrazione plasmatica
è normalmente contenuta tra 0 e 4 ng/ml.
Per quanto concerne più specificatamente la patologia tumorale i
livelli di PSA sono correlati con la quantità di tessuto neoplastico,
pertanto sono direttamente proporzionali sia alla estensione del cancro
primitivo che alla presenza di eventuali metastasi. La utilità clinica di
questa molecola si estrinseca a differenti livelli:
Diagnosi: un aumento dei livelli di PSA al di sopra di 4 ng/ml in un
soggetto sopra i 50 anni deve sempre essere guardato con alto indice
di sospetto per adenocarcinoma prostatico e, un valore superiore a 10
ng/ml deve porre immediatamente indicazione per una biopsia
prostatica. Sono stati elaborati altri indici al fine di migliorare la
sensibilità di questo marker, particolarmente per aumenti sierici di
entità moderata:
- Densità del PSA (PSAD): il razionale di questo indice si basa sul
presupposto che le cellule neoplastiche producano una quantità
maggiore di PSA per unità di volume di ghiandola prostatica, pertanto
si calcola dividendo il valore plasmatico di PSA per il peso della
ghiandola stimato mediante esame ultrasonografico. Valori inferiori a
0,10 sono indicativi di iperplasia prostatica benigna, mentre un indice
> 0,15 è suggestivo di adenocarcinoma
- Velocità del PSA: è un indice che si basa sull’aumento dei livelli di
PSA nel tempo, ed è indicativo di patologia neoplastica per incrementi
superiori a 0,75 ng/ml per anno. E’particolarmente utile nel caso di
valori di PSA nell’ambito della norma che mostrano una tendenza
all’aumento nel tempo.
- Rapporto PSA libero/PSA totale: si basa sul principio che
l’adenocarcinoma sintetizza una forma di PSA dotata di maggiore
tendenza a complessarsi con le proteine plasmatiche rispetto alla sua
controparte normale, pertanto il rapporto tra PSA libero e PSA totale
risulta diminuito rispetto alla norma. Sono considerati significativi
valori inferiori a 0,15, che saranno a favore dell’esecuzione di una
biopsia.
141
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
Stadiazione: la valutazione quantitativa dei valori di PSA può
rappresentare un utile ausilio nella valutazione dell’estensione della
malattia. Un PSA minore di 10 ng/ml è indicativo di malattia organoconfinata con una probabilità del 70-80%, mentre soltanto un 10% dei
casi risulta correlato con diffusione linfonodale, e una percentuale
molto minore con metastasi ossee. D’altro canto, un PSA > 40 ng/ml
esprime alta probabilità di metastasi linfonodali e a distanza. Valori
intermedi sono purtroppo di limitata utilità clinica, pertanto
indispensabile risulterà l’integrazione con altre metodiche di
stadiazione.
Risposta alla terapia: particolare importanza assume il dosaggio del
PSA sierico nei casi sottoposti a prostatectomia radicale, nei quali
dopo circa 4 settimane dall’intervento i valori dell’enzima dovrebbero
essere pressoché indosabili. Si considera un fallimento terapeutico il
caso in cui persistano valori di PSA superiori a 0,2 ng/ml. Di limitata
utilità è invece la valutazione del PSA sierico a seguito di terapia
radiante, in quanto gli elementi ghiandolari sopravvissuti alle
radiazioni continueranno a secernere l’enzima, che resterà dosabile
anche qualora tutte le cellule neoplastiche siano state eliminate. In
questi casi si considera un successo terapeutico una caduta del PSA al
di sotto di 1 ng/ml. Nei pazienti sottoposti a terapia anti-ormonale,
chirurgica o farmacologica, si ottiene solitamente un ritorno dei valori
di PSA nel range della norma in una percentuale del 60-70%.
Spia di recidive: un PSA in progressivo aumento, in almeno 3
misurazioni consecutive, in soggetti sottoposti a terapia chirurgica o
radiante per carcinoma prostatico, assume il significato di probabile
ripresa di malattia, a livello locale e/o sistemico, e pertanto impone
sempre l’esecuzione di ulteriori approfondimenti diagnostici.
METASTASI
L’adenocarcinoma prostatico è in grado di coinvolgere numerosi
organi, tra cui, in ordine decrescente:
♦ Linfonodi: otturatori > iliaci interni > iliaci comuni > presacrali >
para-aortici
♦ Ossa: pelvi > vertebre lombari > vertebre toraciche > coste >
femore
♦ Visceri: polmone > fegato > surreni/reni
142
CAPITOLO 4
Metastasi ossee. Per quanto concerne più specificatamente le
ripetizioni a livello scheletrico, oggetto di discussione del nostro caso
clinico, numerosi punti sono stati chiariti riguardo ai meccanismi
fisiopatologici in questione. Attualmente è noto che le cellule
neoplastiche sono in grado di produrre e secernere alcuni fattori
chiave per lo sviluppo delle classiche lesioni ossee, e tra questi il PSA
e l’urokinase-type plasminogen activator (u-PA) rappresentano
sicuramente i più importanti. Sia il PSA che l’u-PA sono in grado di
aumentare l’attività degli osteoblasti, ma il PSA svolge anche
un’azione di clivaggio e inattivazione sul parathyroid-hormone
related peptide (PTH-RP). Questa sostanza, che condivide con il
paratormone parte della struttura molecolare, viene sintetizzata
pressoché ubiquitariamente e la sua azione si esplica su numerosi tipi
cellulari, quali osso, cartilagine, ghiandola mammaria, cute, sistema
nervoso centrale, muscolatura liscia vasale, placenta. A livello
scheletrico è in grado di favorire la proliferazione e la differenziazione
degli osteoclasti, con conseguente aumento della loro attività
osteolitica. Ben si comprende come l’azione combinata del PSA e uPA, tramite incremento della osteogenesi e inibizione del
riassorbimento osseo, induca la formazione di lesioni osteoblastiche
pure, che pertanto rendono l’esame scintigrafico la procedura
d’elezione per la loro identificazione.
TERAPIA
Il trattamento del carcinoma prostatico si avvale della chirurgia, della
radioterapia e della terapia anti-ormonale, sia chirurgica che
farmacologia, come schematizzato nella Figura 4.
143
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
Fig.4. Opzioni terapeutiche del carcinoma prostatico
La soppressione degli androgeni si basa sul presupposto che il
carcinoma prostatico è, almeno nelle fasi iniziali, ormone-dipendente,
pertanto una deprivazione ormonale può indurre una regressione o
quanto meno una stabilizzazione della malattia per un periodo di
tempo più o meno lungo. Vi sono varie modalità d’intervento con le
quali si può ottenere questo effetto, e quella più utilizzata attualmente,
che corrisponde anche alla terapia effettuata dal nostro paziente, è
conosciuta sotto il nome di blocco androgenico totale, che si avvale
dell’utilizzo combinato di due farmaci di classe differente:
♦ Analogo dell’LHRH (goserelin, buserelin, leuprorelide,
triptorelina): agisce a livello centrale, stimolando l’ipofisi a
produrre le gonadotropine FSH e LH. La continua azione di
stimolo sulle cellule ipofisarie ne determina dopo breve tempo un
esaurimento funzionale, con conseguente arresto della sintesi
ormonale.
♦ Anti-androgeno periferico(flutamide, bicalutamide): è un
inibitore competitivo dei recettori nucleari degli androgeni.
144
CAPITOLO 4
Il razionale di questa combinazione si basa sul fatto che i farmaci della
prima categoria non sono in grado di inibire la sintesi di androgeni da
parte del surrene, che invece vengono bloccati dall’antiandrogeno
periferico a livello del loro sito d’azione.
L’uso clinico di questo trattamento, una volta limitato agli stati
avanzati di malattia come terapia adiuvante, viene oggi utilizzato
sempre più frequentemente anche nelle fasi precoci e nelle recidive.
Nel sospetto diagnostico di riattivazione del tumore prostatico a
livello scheletrico, il paziente ha eseguito il dosaggio del PSA sierico,
che è risultato di 3,02 ng/ml, e un scintigrafia ossea, che ha mostrato
la presenza di una zona di iperfissazione nel tratto di passaggio dorsolombare. Il dato di un valore così basso di PSA rende poco probabile
la natura ripetitiva della lesione rilevata all’indagine scintigrafica, in
considerazione del fatto che, nell’ambito diagnostico del carcinoma
prostatico, i veri positivi sono molto rari per valori di PSA inferiori a 8
ng/ml. E’stata comunque eseguita una TC del rachide lombare, che ha
rilevato modica deformità a cuneo del soma di L1 su verosimile base
osteoporotica, in assenza di alterazioni osteo-addensanti sui somi in
esame.
2A IPOTESI DIAGNOSTICA
Per la persistenza del dolore in sede lombare destra e particolarmente
a livello del punto costo-lombare il paziente ha eseguito una ecografia
addominale completa, che ha evidenziato in sede retroperitoneale, nel
contesto dell’ileo-psoas destro, un’ampia raccolta o ematoma con asse
maggiore disposto longitudinalmente, delle dimensioni di 77 mm di
diametro longitudinale, 35 mm di diametro trasversale e 27 mm di
diametro antero-posteriore.
L’evidenza di una frattura vertebrale in associazione ad una raccolta
possibilmente ascessuale in sede retroperitoneale, insieme ad un
quadro laboratoristico di flogosi e alla componente M, ha
immediatamente suggerito il sospetto di una osteomielite tubercolare
che quasi sempre si accompagna alla formazione di un ascesso
paravertebrale.
145
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
Morbo di Pott
CENNI STORICI
Sebbene il merito di un’accurata descrizione della spondilite
tubercolare viene attribuito a Sir Percival Pott (1779), la tubercolosi
ha iniziato a colpire l’umanità molto tempo prima. In Liguria furono
ritrovati i resti di un uomo di 15 anni seppellito durante la prima metà
del IV millennio a.C., il quale presentava lesioni tubercolari della
colonna vertebrale. Reperti simili furono trovati tra le mummie
d’Egitto del 3400 a.C. Circa nel 400 a.C., Ippocrate, nel suo lavoro De
Articulis, descriveva dettagliatamente il gibbo deformante e i tragitti
fistolosi in pazienti affetti da spondilite tubercolare, nonché le
metodiche di trazione manuale utilizzate come trattamento palliativo
(Fig.6). Altre descrizioni le dobbiamo a Galeno, Diechamp e
Severino, sino a Robert Koch, che nel 1892 correttamente identificò il
Micobacterium tuberculosis come agente eziologico della malattia.
Nel 1944 l’introduzione della streptomicina per opera di Schatz e
Waksman permise a migliaia di pazienti di uscire dai sanatori e
146
CAPITOLO 4
ridusse la mortalità post-operatoria, rendendo l’intervento chirurgico
una valida opzione terapeutica. Infine nel 1963 fu fondato il Medical
Research Council (MRC), finalizzato a dirigere sistematicamente la
ricerca sulla epidemiologia, diagnosi e trattamento della tubercolosi.
Fig.6. Per secoli molti di coloro che sopravvivevano alla tubercolosi
restavano deformati dal gibbo. Il trattamento della cifosi era limitato
a manovre di riduzione manuali effettuate su un tavolo da trazione,
introdotto dai medici della scuola Ippocratica.
147
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
EPIDEMIOLOGIA
Attualmente nel mondo vi sono oltre 40 milioni di casi di malattia
tubercolare in fase attiva, ed è stato stimato che ogni anno ne
compaiano 8-10 milioni di nuovi. La tubercolosi ossea e articolare
rappresenta circa l’1-2% dei casi in toto, e circa il 10% delle forme a
interessamento extra-articolare. Tra le varianti descritte, sicuramente
la spondilite tubercolare o morbo di Pott rappresenta quella più nota e
più debilitante da un punto di vista funzionale. Attualmente colpisce
oltre 800.000 persone in tutto il mondo, e la sua prevalenza è in
costante aumento negli ultimi anni, a causa dell’incremento di
specifiche popolazioni, quali gli anziani in istituti di lungo-degenza, i
senza-tetto, i soggetti infetti da HIV e infine gli immigranti dal Sud
Est Asiatico e dall’America Centrale.
FISIOPATOLOGIA
La tubercolosi è una malattia cronica causata dal Micobacterium
tuberculosis, Micobacterium bovis o Micobacterium africanum. Il M.
tuberculosis è l’agente eziologico più comune ed appare, all’esame
batterioscopico eseguito con la colorazione di Ziehl-Nielsen, come un
bacillo alcol-acido resistente. Il polmone è l’organo più colpito,
particolarmente come localizzazione primaria, a causa delle
caratteristiche metaboliche del germe che, essendo un aerobio
obbligato, trova a livello alveolare un microambiente favorevole per il
suo sviluppo. Da questa sede i bacilli possono disseminarsi
virtualmente in qualsiasi organo.
Il morbo di Pott viene definito come la localizzazione tubercolare a
livello della colonna vertebrale e dei dischi intervertebrali, dovuta o a
riaccensione di foci disseminati per via ematogena o a trasmissione
per contiguità dei bacilli di Koch da linfonodi paravertebrali adiacenti.
La conseguenza del coinvolgimento spinale è la formazione della
lesione granulomatosa, costituita da una necrosi centrale circondata da
un infiltrato mononucleare composto prevalentemente da cellule di
Langhans. In un secondo momento all’interno della lesione
compaiono microascessualizzazioni che, a seguito di confluenza,
esitano nella formazione di un ascesso.
148
CAPITOLO 4
Le modalità dell’interessamento spinale possono essere differenti, ma
nell’adulto ne sono stati descritti 4 pattern principali:
♦ Paradiscale: è il pattern più comune, rappresenta
approssimativamente il 50% dei casi. Il focus d’infezione è
situato al livello della metafisi vertebrale, dalla quale il
granuloma in accrescimento determina dapprima erosione del
piatto vertebrale, e successivamente si porta all’interno del disco
intervertebrale, compromettendo la vertebra contigua.
♦ Granuloma anteriore: si sviluppa dietro al legamento
longitudinale anteriore e da qui si diffonde a diversi segmenti
vertebrali. Sebbene l’azione destruente diretta sull’osso sia
minore rispetto agli altri tipi di lesione, il sollevamento del
periostio può indurre devascolarizzazione della porzione anteriore
della vertebra con conseguente necrosi e formazione precoce
dell’ascesso.
♦ Lesione centrale: il corpo vertebrale viene completamente
coinvolto, e la conseguente perdita dell’integrità strutturale esita
inevitabilmente in fratture patologiche e gravi deformità. Questo
tipo di lesione comunemente interessa 2 o 3 vertebre.
♦ Lesione appendicolare: colpisce le lamine, i peduncoli, le
faccette articolari delle articolazioni interapofisarie e i processi
spinosi, determinandone dapprima l’espansione e
successivamente la frattura.
La spondilite tubercolare può interessare qualsiasi tratto della colonna
vertebrale, con una frequenza differente in funzione della sede
interessata: il tratto toracico risulta coinvolto nel 75% dei casi, il tratto
lombo-sacrale e quello cervicale rispettivamente nel 20% e nel 5% dei
casi.
L’ascesso rappresenta parte integrante della storia naturale della
tubercolosi spinale poiché la sua formazione, per quanto possa essere
precoce o tardiva, è virtualmente inevitabile.
Gli ascessi si estendono normalmente tra i piani tissutali, sebbene
possano interessare il canale vertebrale a qualsiasi livello; sono in
grado di formare aderenze con strutture neurovascolari e viscerali,
determinandone compressione o erosione; possono farsi strada fino
alla cute dando origine a tragitti fistolosi.
149
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
Le complicanze che ne derivano sono determinate principalmente
dalla regione topografica interessata:
1. Collo (più comunemente nel bambino): compressione di
trachea ed esofago
2. Torace: invasione del polmone, formazione di aderenze
pleuriche e diaframmatiche
3. Zona lombare: attraversamento del muscolo psoas e
formazione di una“colata” fino al trigono femorale.
4. Regione sacrale: invasione delle strutture perineali e dei glutei
COMPLICANZE
Le lesioni granulomatose del morbo di Pott e le formazioni asessuali
che da esse derivano possono dare origine ad una serie di
complicazioni, in relazione alla loro localizzazione ed estensione, le
più frequenti delle quali sono rappresentate da:
A. Compressione diretta dei nervi
B. Invasione del parenchima midollare
C. Meningite tubercolare
D. Dislocazione/sublussazione di elementi ossei
E. Compromissione vascolare (trombosi, compressione)
F. Cifosi e deformità osteo-articolari
G. Formazione di tragitti fistolosi
H.
PRESENTAZIONE CLINICA
Il quadro clinico del morbo di Pott comprende sintomi sistemici quali
febbre, perdita di peso e malessere generale, che di solito precedono le
manifestazioni osteo-articolari di alcuni mesi, e disturbi specifici in
relazione alla localizzazione delle lesioni granulomatose, alla presenza
dell’ascesso e alla eventuale compromissione delle strutture nervose.
Il sintomo iniziale più frequente è il dolore, ad esordio insidioso, la cui
sede localizza in maniera abbastanza precisa il tratto spinale
interessato. Frequentemente presenta 2 componenti: dolore sordo,
presente anche a riposo e durante le ore notturne, dovuto all’azione
continua del processo infiammatorio sulle strutture osteo-articolari, e
150
CAPITOLO 4
un dolore ben localizzato che si accentua con i movimenti e la
palpazione della colonna, causato dalla stimolazione di aree
strutturalmente danneggiate.
La compromissione neurologica, rilevata nel 10-61% dei soggetti a
seconda della casistica studiata, si manifesta prevalentemente con
alterazioni sensitive, debolezza muscolare e disfunzione degli sfinteri
rettale e vescicale. La paraplegia, fortunatamente abbastanza rara
all’esordio, accompagna più spesso la localizzazione toracica.
DIAGNOSI
L’indice di sospetto deve essere elevato ogni qual volta che ad un
dolore localizzato alla colonna vertebrale si accompagnano sintomi
sistemici e/o evidenze radiologiche di una raccolta paravertebrale. Gli
esami emato-chimici possono essere di ausilio, evidenziando
solitamente una normale conta dei globuli bianchi e soprattutto un
aumento della VES, che risulta superiore a 20 mm/ora nell’80-100%
dei soggetti. L’intradermoreazione di Mantoux risulta di solito
positiva, anche se non pochi sono i falsi negativi, specialmente in
soggetti anergici. Gli studi per immagini, in particolare la TC e la
RMN, vengono frequentemente utilizzati per evidenziare alterazioni
suggestive, quali rarefazione, deformità, riduzione dello spessore
discale, crolli vertebrali, raccolte asessuali. La scintigrafia ossea con
99
tecnezio, sebbene sia una metodica estremamente sensibile, è
fortemente limitata da una scarsa specificità.
La certezza diagnostica si raggiunge con l’esame colturale su biopsia
dell’osso e del disco interessati, anche se gravata dai lunghi tempi di
coltura e da una sensibilità piuttosto bassa, che si aggira intorno al
50%. La polymerase chain reaction (PCR), eseguita su aspirato o
campione istologico, rappresenta una recente metodica che ha
suscitato nuove speranze in termini di rapidità e accuratezza
diagnostica. Inoltre, tramite questa indagine è possibile identificare
mutazioni del DNA batterico responsabili di resistenze ai comuni
farmaci antitubercolari.
Il paziente presentava una VES di 18 mm/1h, inoltre
l’intradermoreazione di Mantoux era risultata negativa. Una
radiografia del torace, effettuata al fine di trovare immagini suggestive
di lesioni tubercolari, non aveva avvalorato il sospetto clinico, così
come la TC del rachide lombare, che non aveva evidenziato
alterazioni ossee indicative di osteomielite.
151
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
3A IPOTESI DIAGNOSTICA
Per la ricostruzione di un ulteriore orientamento diagnostico abbiamo
messo in luce la gammapatia monoclonale, dato già noto
dall’anamnesi e poi riconfermato al protidogramma elettroforetico.
Alla base delle gammapatie monoclonali vi è quasi sempre una
stimolazione antigenica cronica, che in questo caso sarebbe
rappresentata dalle cellule prostatiche trasformate. Una risposta
immunitaria persistente può esitare nella selezione di un clone
linfocitario, la cui prima manifestazione è la produzione di
immunoglobuline monoclonali, la seconda lo sviluppo di una
neoplasia plasmacellulare.
Nell’ambito di questa interpretazione abbiamo ipotizzato nel nostro
paziente l’insorgenza di un mieloma, la cui crescita sarebbe
responsabile del crollo vertebrale, del quadro flogistico, nonché della
formazione di una raccolta ematica paravertebrale.
Fig.7. Ipotesi di plasmocitoma
152
CAPITOLO 4
Plasmocitoma
Il mieloma, plasmocitoma o malattia di Kahler-Bozzolo, è una
malattia neoplastica della linea linfoide B caratterizzata da accumulo
di plasmacellule sintetizzanti immunoglobuline monoclonali.
L’ampliamento delle conoscenze scientifiche sulla biologia
molecolare ha permesso di superare la precedente visione
ontogenetica del mieloma, che fino al 1970 era ritenuto una malattia
delle sole plasmacellule. Numerose evidenze, tra cui il rilievo nel siero
e del midollo di pazienti affetti da mieloma multiplo di linfociti B le
cui immunoglobuline di superficie presentavano gli stessi
determinanti isotipici e idiotipici delle plasmacellule neoplastiche,
hanno portato a considerare il plasmocitoma come una patologia a
carico dell’intero sistema linfoide B. Alcune osservazioni hanno
suggerito che l’evento mutageno possa colpire i linfociti B della
memoria o plasmablasti, quelle cellule che hanno già superato la fase
di maturazione antigene-dipendente. Il passo successivo sarebbe la
migrazione dei plasmablasti neoplastici da centri germinativi degli
organi linfoidi periferici fino al midollo osseo e la maturazione a
plasmacellule. La localizzazione delle cellule tumorali a livello
midollare sarebbe favorita dall’espressione, sulla superficie cellulare,
di un particolare corredo di molecole di adesione. Il midollo osseo
offrirebbe, tramite la sintesi di IL-6 e altre citochine da parte delle
cellule stromali, il microambiente adatto per la proliferazione delle
cellule neoplastiche. Oggetto di studio è il ruolo di alcuni oncogeni
nello sviluppo e nella progressione della patologia. Mutazioni
puntiformi dei geni K-ras, N-ras, rb-1 e della p53 sono stati ritrovati
nel 30% dei pazienti, in particolare negli stadi avanzati di malattia.
EPIDEMIOLOGIA
L’incidenza del plasmocitoma aumenta con l’età, raggiungendo un
picco della 6-7 decade di vita. A seconda delle casistiche l’età media
della popolazione colpita è 65-70 anni, mentre meno del 10% dei
pazienti giunge alla diagnosi nella 2-4 decade. I maschi sono colpiti
più frequentemente rispetto alle femmine e la razza negra in misura
doppia rispetto alla razza bianca. Come fattori di rischio per lo
sviluppo della malattia sono stati chiamati in causa retrovirus e
oncogeni, radiazioni ionizzanti, la stimolazione antigenica persistente
153
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
e infine alcune sostanze tossiche, quali benzene, asbesto, pesticidi,
monossido di carbonio, derivati del petrolio.
Fisiopatologia e Clinica
Le complesse alterazioni fisiopatologiche e le manifestazioni cliniche
del plasmocitoma possono essere spiegati da alcuni fattori
fondamentali, costituiti dall’espansione della massa neoplastica, dalla
presenza della paraproteina e della sua catena leggera, dalla secrezione
di citochine e altri mediatori (Fig.8)
Fig.8. Fisiopatologia del mieloma
Le manifestazioni scheletriche, in particolare il dolore osseo, sono
presenti all’esordio nel 60-70% dei casi, e sono dovute alla secrezione
da parte della neoplasia di alcuni mediatori in grado di alterare il
metabolismo osseo. La secrezione di IL-1, IL-6, MIP-1alfa, RANKL
determina un’attivazione degli osteoclasti e di conseguenza un
aumento del riassorbimento osseo, mentre il rilascio di TNF-alfa e
l’espressione sulla superficie cellulare di DKK1 inducono una
inibizione della crescita e della differenziazione degli osteoblasti
154
CAPITOLO 4
ostacolando la neoformazione di osso. Questa combinazione di eventi
porta alla formazione di una lesione osteolitica pura, caratteristica del
plasmocitoma, che può essere evidenziata con la radiografia
convenzionale. Le complicanze più frequenti dell’interessamento
osseo sono la comparsa di fratture patologiche, specialmente a livello
costale, e i sintomi neurologici da compressione sul midollo spinale,
delle radici nervose o dei nervi periferici, dovuti a crolli vertebrali o a
compressione da parte di masse mielomatose a crescita extra-ossea. Le
sedi scheletriche più colpite sono quelle con alto contenuto di midollo
rosso, quali il rachide, le coste, il bacino. Anche il cranio viene
coinvolto con elevata frequenza.
L’insufficienza renale è la più grave e frequente complicanza del
mieloma, presente nel 20% dei soggetti al momento della diagnosi,
mentre in un 20-30% dei casi insorge durante il decorso della
malattia.. La fisiopatologia della compromissione renale vede come
ruolo centrale la catena leggera della paraproteina, la quale viene
prodotta in eccesso rispetto alla componente M, circola liberamente
nel siero e successivamente viene filtrata dal glomerulo, comparendo
nelle urine come proteina di Bence Jones. I meccanismi mediante i
quali questa proteina è in grado di causare un danno renale sono
principalmente 3:
1) Precipitazione intratubulare, per modificazioni de pH urinario e
per saturazione dei meccanismi di riassorbimento delle cellule
tubulari
2) Danno diretto o indiretto (mediato da enzimi lisosomiali)
sull’epitelio tubulare
3) deposizione lungo la membrana basale glomerulare e tubulare
4) Infiltrazione renale da parte delle cellule mielomatose
I quadri clinici che scaturiscono da queste alterazioni sono
rappresentati principalmente dal “rene da mieloma” e dalla “malattia
da deposito delle catene leggere.
Il rene da mieloma è il quadro di più frequente osservazione e si
presenta comunemente come insufficienza renale cronica o lentamente
progressiva, molto più raramente (in una percentuale inferiore al 10%)
esordisce in maniera acuta. La patogenesi va ricercata nella
formazione di cilindri intratubulari, costituiti dalla catena leggera o da
suoi frammenti, che inducono una reazione infiammatoria con
155
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
formazione di un infiltrato cellulare reattivo, costituito
prevalentemente da macrofagi.
La malattia da deposito di catene leggere è caratterizzata da
deposizione di catene leggere a livello della membrana basale
glomerulare e tubulare, che determina ispessimento delle membrane
basali e un quadro di glomerulo sclerosi nodulare. Il quadro clinico è
quello di una tubulopatia associata a proteinuria glomerulare di
diverso grado. Come fattori aggiuntivi nell’aggravamento del danno
renale concorrono in diversa misura l’ipercalcemia, la disidratazione, i
farmaci nefrotossici, l’iperuricemia e le infezioni.
Le infezioni batteriche, e in modo particolare polmoniti e pielonefriti,
sono considerate la causa primaria di morte nel mieloma. La
frequenza annuale di episodi infettivi nel singolo paziente è da 7 a 15
volte superiore a quella di soggetti sani di controllo. La patogenesi
dell’aumentata suscettibilità ad episodi infettivi è multifattoriale,
dovuta in parte ad una soppressione della linfocitopoiesi B da parte
della massa neoplastica in espansione, in parte ad un aumentato
catabolismo
delle
immunoglobuline
indotto
dalla
ipergammaglobulinemia, che esita in una insufficiente immunità
umorale. La componente M, inoltre, è in grado di interferire con i
meccanismi di opsonizzazione e fagocitosi. Per di più, se si esclude la
paraproteinemia, la concentrazione di immunoglobuline è ridotta.
L’ipercalcemia, causata dall’aumentato riassorbimento osseo, viene
rilevata nel 30% dei pazienti, e si manifesta con anoressia, astenia,
poliuria, polidipsia, disturbi neurologici fino a quadri di encefalopatia
ipercalcemica nei casi più gravi.
La componente M può essere responsabile di una serie di
complicanze, tra cui la sindrome da iperviscosità (prevalentemente
IgA per la spiccata tendenza alla polimerizzazione di questo isotipo) e
la crioglobulinemia di tipo I.
Un quadro di amiloidosi primitiva può comparire se la catena leggera
della componente M possiede la capacità di precipitare formando
aggregati con morfologia a foglietto ß-pieghettato, definiti amiloide.
La pancitopenia è un manifestazione piuttosto rara e compare più
frequentemente in uno stadio avanzato di malattia, quando
l’espansione della massa tumorale determina una soppressione
massiva della normale emopoiesi.
156
CAPITOLO 4
DIAGNOSI
I cardini principali per la diagnosi di plasmocitoma si basano su :
♦ Dimostrazione della massa neoplastica tramite presenza all’esame
citologico o istologico del midollo osseo di una percentuale di
plasmacellule superiore al 10% della popolazione mononucleata
totale o, in alternativa, la dimostrazione istologica di infiltrazione
plasmacellulare di tessuti prelevati biopticamente.
♦ Dimostrazione della componente M sierica e/o urinaria e sua
quantificazione tramite elettroforesi e immunoelettroforesi
♦ Dimostrazione dell’aumentato riassorbimento osseo tramite la
presenza delle caratteristiche lesioni osteolitiche scheletriche alle
tecniche per immagini
Questi criteri devono essere combinati tra loro per poter effettuare una
diagnosi di mieloma (Tab.3).
Nella diagnosi vanno sempre tenute in considerazione alcune varianti,
che si discostano dalla presentazione classica del plasmocitoma per un
comportamento particolarmente aggressivo ovvero per determinati
difetti di sintesi o di secrezione della componente M. Tra queste le più
importanti sono:
Mieloma multiplo
Mielomatosi
Mieloma solitario
Mieloma smouldering
Mieloma micromolecolare
Mieloma non producente/non secernente
Mieloma a mezze molecole
Mieloma biclonale
Leucemia plasmacellulare
157
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
CRITERI DIAGNOSTICI (SWOG-1975)
Criteri Maggiori
I. Plasmocitoma alla biopsia dell’osso o di tessuti molli
II. Infiltrazione plasmacellulare midollare > 30%
III. Concentrazione sierica della componente M >3,5 g/dl (IgG);
>2 g/dl (IgA); Concentrazione urinaria della componente M
(κ o λ) >1 g/24h
Criteri Minori
a) Infiltrazione plasmacellulare midollare 10-30%
b) Concentrazione sierica o urinaria della componente M
inferiore ai livelli sopra riportati
c) Lesioni osteolitiche
d) Immunoglobuline normali <0,6 g/l (IgG), <0,1 g/l (IgA),
<0,05 g/l (IgM)
Combinazioni necessarie per la diagnosi
• 1 criterio maggiore + 1 criterio minore
• almeno 3 criteri minori, due dei quali siano a + b.
Tab 3. Criteri per la diagnosi di mieloma
L’immunoelettroforesi, eseguita sul siero del paziente, ha rilevato la
presenza di una componente monoclonale di tipo IgG a catena leggera
Kappa. La mancanza di un numero di plasmacellule indicativo per
patologia linfoproliferativa all’aspirato midollare, l’assenza della
proteinuria di Bence Jones e la negatività della radiografia delle ossa
piatte hanno permesso di eliminare anche l’ipotesi di un
plasmocitoma.
158
CAPITOLO 4
DIAGNOSI DEFINITIVA
Dopo aver escluso le diagnosi più probabili sulla base delle indagini
effettuate, una rivisitazione dei dati anamnestici del paziente ha
permesso di giungere ad una diagnosi definitiva.
In primo luogo, la terapia anti-ormonale effettuata per il controllo del
carcinoma prostatico rappresenta un importante fattore di rischio per
osteoporosi, a causa della inibizione del favorevole effetto trofico del
testosterone sugli osteoblasti. Questo fattore ha determinato
l’aggravamento di una preesistente osteoporosi senile di cui il paziente
di 75 anni era probabilmente affetto, determinando un crollo
vertebrale.
In secondo luogo, la scorretta interpretazione della sintomatologia del
paziente come ernia discale, peraltro non dimostrata con esami
radiologici, ha condotto all’esecuzione di una procedura laser non
indicata, da cui è risultata la formazione di un ematoma
retroperitoneale. La stimolazione antigenica persistente dovuta alla
raccolta ematica, probabilmente in concerto con la neoplasia
prostatica, ha determinato l’insorgenza della componente monoclonale
e del quadro laboratoristico di infiammazione.
159
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
PROCEDURE SPINALI PERCUTANEE
Procedure microinvasive utilizzate per il trattamento della malattia
degenerativa discale, della protrusione o dell’ernia discale, quando
sintomatiche e non responsive al trattamento conservativo, allo scopo
di ridurre l’incidenza di complicanze procedurali e infettive legate
all’intervento di chirurgia maggiore.
DISCO INTERVERTEBRALE
Il disco intervertebrale è una struttura fibrocartilaginea avascolare
popolata da cellule ancora scarsamente caratterizzate, che presentano
caratteristiche simili ai condrociti e ai fibrociti, immerse in estesa
matrice extracellulare. I fibrociti si localizzano prevalentemente a
livello dell’anello fibroso, mentre i condrociti si trovano nei rimanenti
strati. Queste cellule sintetizzano la matrice, costituita da
macromolecole, quali collagene proteoglicani, immerse in
un’abbondante quantità di acqua, che costituisce il microambiente
ideale per la diffusione di sostanze nutrienti e lo smaltimento di
prodotti di degradazione.
Fig.10. Struttura del disco intervertebrale
160
CAPITOLO 4
Il disco è costituito da numerosi strati concentrici, i più esterni dei
quali formano un involucro compatto denominato anello fibroso,
mentre la zona più interna, più lassa, viene definita nucleo polposo
(Fig.10).
L’anello fibroso è formato da fibrocartilagine ricca di fasci di
collagene intercalate da fibre elastiche, che descrivono anse la cui
concavità è rivolta verso il nucleo polposo. Il terzo esterno di questa
struttura contiene i terminali delle fibre sensitive nocicettive (Ad) del
nervo di seno-vertebrale di Luschka.
Il nucleo polposo, costituito da fibro-cartilagine ricca di sostanza
fondamentale, rappresenta la porzione gelatinosa del disco. Le fibre
collagene non sono organizzate in fasci compatti e ordinati ma
descrivono un intreccio apparentemente irrego-lare.
Una perfetta interazione tra le due parti, possibile soltanto in una
struttura anatomicamente integra, è di fondamentale importanza per le
funzioni del disco intervertebrale: il nucleo polposo, contenuto dagli
intrecci fibrosi dell’anello, si sposta durante i movimenti della colonna
permettendo una certa inclinazione tra le parti; Funziona inoltre da
ammortizzatore elastico, assorbendo le sollecitazioni meccaniche e
ridistribuendole uniformemente alla periferia.
DEGENERAZIONE DISCALE
La malattia degenerativa discale è una condizione estremamente
diffusa nella popolazione generale. La sua principale espressione
clinica è il dolore lombare. L’80% degli adulti almeno una volta nella
vita sarà colpito da un episodio di dolore lombare, mentre il 5%
manifesterà disturbi persistenti.
L’eziopatogenesi di questa condizione presenta ancora alcuni punti
oscuri, nonostante le ricerche in quest’area siano molto numerose.
E’unanimemente condiviso che gli eventi cruciali nel determinismo
delle alterazioni responsabili della patologia siano da ricercare nella
compromissione della diffusione di nutrienti, ossigeno e prodotti di
smaltimento attraverso il disco (Fig.11).
Numerosi sono stati i fattori indagati al fine di chiarire le basi
fisiopatologiche delle alterazioni riscontrate:
♦ Fattori intrinseci: malattie vascolari, diabete, fumo di sigaretta
sono in grado di determinare una riduzione del flusso sanguigno a
livello del piatto vertebrale.
161
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
♦ Fattori estrinseci: deformità della colonna, esposizione a
vibrazioni o a grossi carichi inducono una disidratazione del disco
intervertebrale.
♦ Fattori genetici, ancora poco definiti sembrano condizionare una
particolare struttura della matrice
Il risultato di queste multiple azioni si traduce un’alterazione della
struttura della matrice extracellulare, particolarmente del rapporto
keratansolfato/condroitin solfato a favore del primo, il quale possiede
una bassa affinità per le molecole d’acqua. La conseguente
disidratazione discale rappresenta un grosso ostacolo alla diffusione di
numerose sostanze e soprattutto dell’ossigeno. Il metabolismo
anaerobio e l’acidosi intradiscale che da questo deriva sono i veri
determinanti delle modificazioni strutturali che caratterizzano la
degenerazione discale: riduzione dello spessore del disco, indurimento
del nucleo polposo e formazione di fissurazioni.
Fig.11. Patogenesi della malattia degenerativa discale
162
CAPITOLO 4
La sintomatologia dolorosa insorge quando le lacerazioni raggiungono
le terminazioni nervose sensitive del nervo seno-vertebrale, situate a
livello del terzo esterno dell’anello fibroso.
Le conseguenze della malattia da degenerazione discale sono a carico
di 2 strutture:
1) Disco intervertebrale: il nucleo polposo indurito, non più
contenuto adeguatamente dalle fibre danneggiate dell’anello
fibroso, si fa strada attraverso un locus minori resistentiae,
esitando in protrusione o erniazione, con conseguenze rilevanti
sulle radici nervose dei nervi spinali e talora sulla cauda equina.
2) Colonna vertebrale: le modificazioni strutturali e la riduzione
dello spessore del disco determinano un’alterazione della
distribuzione delle forze di carico a livello dei segmenti
vertebrali colpiti e un eccessivo avvicinamento delle
articolazioni interapofisarie, con esito in una severa condizione
di spondilartrosi.
RAZIONALE DELLE PROCEDURE SPINALI PER CUTANEE
La pressione eccessiva esercitata dal nucleo polposo sulle fibre
dell’anulus viene considerata uno dei fattori centrali nella genesi del
dolore e delle complicanze caratteristiche della discopatia
degenerativa.
Le procedure percutanee si propongono di intervenire proprio su
questo movente patogenetico, mediante la riduzione delle dimensioni
del nucleo polposo o della sua porzione erniata (Fig.12). Lo scopo di
questo intervento è quello di ridurre considerevolmente la pressione
intradiscale, permettendo una retropulsione del nucleo e pertanto un
riavvicinamento delle fibre dell’anello. Il presupposto da cui si parte è
che piccole riduzioni di volume producono importanti diminuzioni
pressorie.
163
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
In tal modo si otterrebbe una
notevole
riduzione
della
stimolazione sulle terminazioni
delle fibre dolorifiche di Luschka e
pertanto
della
sintomatologia
dolorosa.
Inoltre, l’accollamento delle fibre
dell’anulus,
precedentemente
alterate, avrebbe come conseguenza
il graduale ripristino di parte della
capacità
di
contenimento
dell’anello
fibroso,
che
contribuirebbe
a
ridurre
la
probabilità di recidive.
Procedure principali
La termoablazione, l’ablazione a
Fig.12. Razionale delle
radiofrequenza,
l’ablazione
procedure spinali
mediante
laser
(PELD),
la
percutanee
crioablazione e la chemodiscolisi
rappresentano le tecniche più
comunemente utilizzate.
Sebbene queste metodiche sfruttino principi chimico-fisici differenti,
condividono tutte quante lo stesso scopo, che consiste nella riduzione
del volume e della pressione intradiscali.
Il nostro paziente è stato sottoposto a procedura di ablazione mediante
laser (PELD), pertanto sarà questa tecnica l’oggetto della discussione
seguente.
PERCUTANEOUS ENDOSCOPIC LASER DISCECTOMY (PELD)
L’uso del laser Nd:YAG come alternativa alla chirurgia convenzionale
per il trattamento della malattia degenerativa discale fu descritto per la
prima volta nel 1985. I primi risultati clinici già suggerivano la
validità della metodica nella riduzione del dolore causato dalla
discopatia. Choy et al furono i primi a valutare gli effetti meccanici,
termici e morfologici del trattamento con laser effettuato su nucleo
polposo bovino, e descrissero le alterazioni irreversibili a carico della
matrice extra-cellulare responsabili del cambiamento di forma e della
riduzione di volume del disco.
164
CAPITOLO 4
Tecnica. Dopo aver
effettuato una incisione
cutanea, previa anestesia
locale, a livello della
vertebra interessata, un
endoscopio accoppiato
con il laser Ho:YAG (o
alternativamente
con
l’Nd:YAG)
viene
inserito all’interno del
disco
intervertebrale.
Dopo
una
corretta
individuazione
endoscopica del nucleo
polposo si procede
all’ablazione
e
successivamente
al
controllo dell’esito della
procedura.
Risultati clinici. Choy et
Fig.13.
al hanno descritto la più
Percutaneous
endoscopic
laser
discectomy
grande casistica riportata
(PELD)
sulla PELD, durante 17
anni di esperienza. Delle
Fig.13.
2400 procedure eseguite
Percutaneous endoscopic laser discectomy
su 1275 pazienti la
(PELD)
percentuale di successo
nella risoluzione del
dolore è stata dell’89%.
L’unica complicazione riportata dallo studio è stata la discite, con una
frequenza dello 0,4%. Le ricorrenze sono state dell’ordine del 5%, la
maggior parte delle quali in relazione a eventi traumatici. Non sono
stati descritti casi di morte, danno alle strutture nervose periferiche o
al midollo spinale.
McMillan et al hanno riportato i risultati sull’efficacia della PELD su
una casistica 30 pazienti affetti da dolore lomabare e/o sciatica. Dopo
165
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
3 mesi di follow-up l’80% dei soggetti riferiva un significativo
miglioramento della sintomatologia preoperatoria.
E’ da rilevare che la qualità di gran parte delle informazioni circa
l’utilizzo della PELD è limitata a ristrette casistiche e a periodi di
follow-up relativamente brevi. Inoltre, sebbene siano stati dimostrati
risultati soddisfacenti sull’utilizzo della metodica, vale la pena
sottolineare l’importanza dell’esperienza dell’operatore, che può
influenzare fortemente gli esiti della procedura e l’eventuale
insorgenza di complicanze.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Questo caso rappresenta un validissimo esempio di ragionamento
ipotetico-deduttivo, mediante il quale abbiamo potuto sospettare e
successivamente escludere tre importanti e potenzialmente letali cause
di frattura vertebrale.
Inizialmente il nostro ragionamento si è focalizzato, sulla base delle
notizie anamnestiche e della sintomatologia clinica, sulla ipotesi più
ovvia di metastasi ossea da tumore prostatico. Successivamente,
sebbene la positività della scintigrafia ossea, indagine altamente
sensibile ma poco specifica, sembrasse confermare il nostro sospetto, i
normali valori di PSA sierico, così come l’assenza di immagini
sospette per neoplasia alle indagini radiologiche mirate hanno portato
ad escludere questa prima ipotesi.
La successiva dimostrazione di una raccolta paravertebrale ci ha
indotti a considerare il morbo di Pott come probabile responsabile del
quadro clinico in questione, tuttavia il valore della VES, soltanto
modicamente aumentato, la negatività del test di Mantoux e il
mancato riscontro di alterazioni suggestive di localizzazione primaria
o secondaria della tubercolosi alle tecniche di diagnostica per
immagini ci hanno costretti ad abbandonare anche questo intrigante
percorso diagnostico.
Infine abbiamo ricostruito il nostro ragionamento inserendo la
componente monoclonale del paziente nell’ambito del complesso
quadro del plasmocitoma, ma l’assenza di alterazioni significative
all’aspirato midollare e all’esame radiografico delle ossa piatte e la
negatività della proteinuria di Bence Jones ci hanno permesso di
scartare anche questa ipotesi.
166
CAPITOLO 4
L’esclusione di queste tre patologie, che in prima istanza
rappresentavano le più probabili alternative diagnostiche, ci ha
apparentemente condotti in un vicolo cieco. Soltanto l’accurata
rivisitazione delle notizie anamnestiche, e in particolar modo la
riconsiderazione della procedura laser come fondamentale elemento
patogenetico di questo caso, hanno permesso di ricostruire il quadro
clinico e le sue varie sfumature: in primo luogo la condizione di
osteoporosi senile e la terapia anti-androgenica effettuata per il
controllo della neoplasia prostatica sono stati con ogni probabilità la
causa del crollo vertebrale documentato alle tecniche di diagnostica
per immagini; in secondo luogo l’esecuzione della procedura ablativa
mediante laser, effettuata in assenza di indicazione e in più di dubbia
adeguatezza tecnica, ha determinato la formazione della raccolta
ematica paravertebrale responsabile della sintomatologia del paziente,
del quadro infiammatorio e possibilmente della formazione della
componente M.
Questo caso rappresenta un esempio di patologia conseguente a danno
iatrogeno, che attualmente rappresenta una causa spesso sottovalutata
di misdiagnosi, e che pertanto dovrebbe essere sempre considerata dal
medico nella diagnosi differenziale.
167
FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO
BIBLIOGRAFIA
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Capitolo 5
Un addome voluminoso
a cura della
Dott.ssa Deborah Alivernini
ANAMNESI
Sig.ra A.A. di anni 58.
ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA
La paziente giunge alla nostra osservazione per una sintomatologia
caratterizzata da aumento di volume dell’addome, associato ad astenia
e dolore nei quadranti inferiori e nella regione lombare in posizione
eretta. Dimagrimento (10 kg negli ultimi 5 mesi).
Inoltre riferisce di aver ridotto autonomamente la terapia diuretica (da
100 mg/die a 50 mg/die) per ipotensione da circa 15 giorni.
ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA
Settembre 2004: ricovero presso il nostro reparto per stato
anasarcatico. Diagnosi di timoma.
Ottobre 2004 timectomia seguita da un unico ciclo chemioterapico.
Esame istologico: “infiltrazione della neoplasia a tutto spessore della
capsula timica e del tessuto adiposo pericapsulare; esenti da
compromissione neoplastica il frammento di pericardio, il linfonodo
del peduncolo frenico ed il tessuto adiposo della loggia timica
prelevati durante l’intervento.”
Febbraio 2005 Scintigrafia con Octreoscan:iperaccumulo del
tracciante nella regione mediastinica anteriore.
Febbraio e Marzo 2005: pleurodesi chimica destra e sinistra
rispettivamente, per versamento pleurico massivo resistente alla
terapia farmacologica.
169
170
CAPITOLO 5
Il secondo intervento è stato complicato da emorragia interna per cui è
stato necessario eseguire un ulteriore intervento chirurgico non meglio
specificato.
Dal febbraio 2004 è in terapia con octreotide 20 mg 1 fl im ogni 15
giorni.
In stato di discreto benessere fino al giugno u.s.
ANAMNESI FISIOLOGICA
Sviluppo psico-fisico regolare.
Scolarità III media, impiegata.
2 gravidanze a termine, vedova.
Oliguria nelle ultime 2 settimane.
Alvo regolare
ESAME OBIETTIVO
ESAME GENERALE
PA: 100/60 mm/Hg – FC: 80 b/min – FR: 18 atti/min
Condizioni generali scadute.Psiche lucida, sensorio integro.Facies
lunaris.Edema delle congiuntive.
Modesto turgore delle giugulari in clinostatismo.
Apparato muscolare: ipotonico, ipotrofico.
Lievi edemi declivi.
CUORE E VASI
Polsi periferici presenti ed isosfigmici
Cuore:Azione cardiaca ritmica, toni parafonici, pause apparentemente
libere.
TORACE
Ipofonesi basale bilaterale; MV ridotto diffusamente, assente nei
campi polmonari inferiori bilateralmente.
Presenza di edema nella regione lombo-sacrale.
171
UN ADDOME VOLUMINOSO
ADDOME
Imponente aumento di volume per ascite; non dolente, né dolorabile
alla palpazione superficiale e profonda; peristalsi presente e valida;
presenza di reticoli venosi sopra e sotto-ombelicali; organi
ipocondriaci non valutabili.
SISTEMA NERVOSO
Nella norma.
ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI
EMATOCHIMICI
EMOGASANALISI
GB: 10.800/mm3
Az: 24.4 mg/dl
Glic: 120 mg/dl
Creat: 1.47 mg/dl
Na: 128.8 mEq/l
Cl: 94.5 mEq/l
gammaGT: 123.6 U/L
ALP: 681 U/L
Prot: 5.8 g/dl
Alb: 2.09 g/dl
alfa1: 7.4 %
alfa2: 22.2 %
VES: 72 mm/h
FBG: 836 mg/dl
pH: 7.52
pCO2: 34.7 mm/Hg
pO2: 75.8 mm/Hg
HCO3-: 28.4 mmol/l
sO2: 97.1%
172
CAPITOLO 5
ECG
Documentava bassi voltaggi del QRS e anomalie aspecifiche
dell’onda P e T.(fig.1)
RAGIONAMENTO CLINICO ED ITER DIAGNOSTICO
Osservando il quadro clinico abbiamo preso come segno guida
l’ascite. Analizzando le varie cause di ascite e prendendo in
considerazione l’anamnesi, l’esame obiettivo e gli esami eseguiti
la prima ipotesi che possiamo considerare è che si possa trattare di
una pericardite costrittiva.
173
UN ADDOME VOLUMINOSO
Pericardite costrittiva
E’ provocata in genere dagli esiti cicatriziali di una pericardite
fibrinosa o sierofibrinosa acuta o di un versamento pericardio cronico
che determinano obliterazione della cavità pericardica, con
formazione di tessuto di granulazione che poi lentamente si trasforma
in tessuto cicatriziale che avvolge il cuore e interferisce con il
riempimento dei ventricoli. In passato un’alta percentuale dei casi era
di origine tubercolare ma attualmente è una causa molto poco
frequente. La pericardite costrittiva può essere provocata anche da
infezioni purulente, traumi, interventi cardiaci, irradiazioni
mediastiniche, neoplasie(in particolare della mammella, polmonari e
linfomi), artrite reumatoide, LES ed è frequente in corso di
insufficienza renale cronica con uremia in pazienti sottoposti a dialisi.
In molti casi comunque l’eziologia è sconosciuta.
Nei pazienti sintomatici la caratteristica fisiopatologia più importante
è rappresentata dall’inadeguato riempimento ventricolare nel corso
della diastole a causa della costrizione del pericardio. Ne consegue
aumento della pressione nelle cavità destre che determina congestione
dei sinusoidi epatici e riduzione della volemia efficace con
conseguente ritenzione di acqua e sodio a livello renale.
Il quadro clinico è caratterizzato da debolezza, affaticamento, aumento
ponderale e della circonferenza addominale, disturbi addominali ed
edemi. I pazienti hanno un aspetto cachettico, caratterizzato da
riduzione della massa muscolare e da addome globoso. La dispnea è
evidente sottosforzo e spesso si osserva anche un ortopnea. Non si
osserva quasi mai episodi di insufficienza ventricolare sinistra. Il
turgore giugulare è evidente e non recede anche dopo intensi
trattamenti diuretici e la pressione venosa non si riduce in corso
dell’inspirazione(segno di Kussmaul). La pressione differenziale può
essere ridotta, in un terzo dei casi è presente polso paradosso.
L’epatomegalia è sempre presente e in genere si accompagna a un
deterioramento della funzione epatica; è comune il riscontro di ascite.
I toni cardiaci sono distanti e spesso si apprezza chiaramente un terzo
tono precoce che compare immediatamente dopo la componente
aortica del secondo tono e che coincide con una brusca decelerazione
del riempimento ventricolare. In genere non si apprezzano soffi. La
malattia può inoltre essere complicata gastroenteropatia proteino-
174
CAPITOLO 5
disperdente, provocata dall’alterato drenaggio linfatico a livello
dell’intestino tenue, nonché dalla sindrome nefrosica con marcata
proteinuria e ipoalbuminemia.
Spesso l’elettrocardiogramma mostra una riduzione dei voltaggi del
QRS e alterazioni diffuse della ripolarizzazione con appiattimento o
inversione dell’onda T. In pazienti con ritmo sinusale spesso si
osserva una P mitralica e in un terzo dei pazienti si riscontra
fibrillazione striale. L’ecocardiogramma tipicamente evidenzia un
ispessimento pericardico, un ingrandimento striale, la dilatazione della
vena cava inferire e della vena epatiche e un riempimento improvviso
nel riempimento ventricolare nella fase precoce della diastole, mentre
la funzione ventricolare sistolica risulta normale. Nello studio
emodinamico la pressione media di incuneamento ("wedge")
polmonare, la pressione diastolica dell’arteria polmonare, la pressione
telediastolica del ventricolo destro e la pressione atriale destra hanno
di solito valori compresi tra 10 e 30 mmH. Le curve della pressione
atriale mostrano di solito un’accentuazione delle deflessioni x e y e le
curve della pressione ventricolare mostrano un avvallamento ("dip")
diastolico ripido in corrispondenza della fase di riempimento
ventricolare rapido
L’esame ecocardiografico non consente di escludere la diagnosi in via
definitiva; in questo contesto la RM e la TC, in particolare
quest’ultima, ci aiutano a confermare la diagnosi e mostrano un
ispessimento pericardico maggiore di 5 mm. Quando si rileva un tale
ispessimento in presenza delle caratteristiche emodinamiche sopra
descritte, può essere diagnosticata una pericardite costrittiva.
ECOCARDIOGRAMMA NELLA PAZIENTE
Nel caso della nostra paziente l’esame ecocardiografico mostrava un
ventricolo sinistro di volume normale con normali spessori parietali e
buona cinesi globale. Atrio sinistro e cavità destre normali. Apparati
valvolari normali. Minimo ispessimento dei foglietti pericardici con
minima separazione. Tale esame negativo ci consente di escludere la
nostra prima ipotesi.
A questo punto naturalmente riconsiderando il quadro clinico e quindi
l’anamnesi, l’esame obiettivo e gli esami ematochimici dobbiamo
prendere in considerazione le altre cause di ascite quali la cirrosi
175
UN ADDOME VOLUMINOSO
epatica, la trombosi portale, l’occlusione delle vene epatiche e le
neoplasie. Per aiutarci nella diagnosi abbiamo quindi sottoposto la
paziente ad una paracentesi esplorativa, esame che va sempre
eseguito in un paziente ascitico; il liquido aspirato deve essere
valutato riguardo al suo aspetto macroscopico; devono essere
determinati contenuto proteico, numero di cellule e tipizzazione
cellulare e devono essere effettuate la colorazione di Gram e quella
per batteri alcol/acido-resistenti, accompagnate da colture batteriche.
Non va trascurato l’esame citologico e del sedimento che per esempio
può consentire la diagnosi di un carcinoma non sospettato.
PARACENTESI
Nel nostro caso il liquido si presentava con le caratteristiche di
un’ascite chilosa; torbido, lattescente, con un alto contenuto di
trigliceridi(1229,7 mg/dl), un basso contenuto di colesterolo(54,1
mg/dl), un contenuto di glucosio pari a 183 mg/dl, di proteine totali
pari a 1,4 g/dl con albumina di 0,5 g/dl. L’esame citomorfologico
evidenziava numerosi neutrofili, numerosi elementi istiomacrofagici,
rari linfociti, rari monociti e rare emazie. L’esame batterioscopico
negativo,
l’esame colturale per germi comuni negativo, la
tipizzazione linfocitaria (34 % della popolazione leucocitaria totale)
presentava il 31% di elementi linfoidi a fenotipo NK
(CD8/CD16/CD56/CD158-b
positivi,
CD3
negativi).
Citomorfologicamente si osserva il 50% di cellule LGL.
Ascite chilosa
Si forma per stravaso di chilo nella cavità peritoneale per trauma od
ostruzione del sistema linfatico.
ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL SISTEMA LINFATICO
I vasi linfatici provvedono al trasporto dei fluidi e delle proteine dai
tessuti al sistema vascolare, hanno inoltre un ruolo fondamentale nel
ripulire l’interstizio di detriti e batteri che vengono trasportati nel
linfonodo dove vengono opsonizzati o fagocitati. I vasi linfatici del
tratto gastrointestinale hanno anche il ruolo di trasportare l’acqua e i
lipidi assorbiti nel sistema circolatorio.
176
CAPITOLO 5
Fig. 2 e 3
I vasi linfatici di minori dimensioni vanno a costituire i tronchi
linfatici intestinale, toracico discendente, epatico e lombare destro e
sinistro che si uniscono a formare la cisterna chili tra l’aorta e la vena
cava inferiore a livello della prima vertebra lombare. La cisterna chili
continua poi con il dotto toracico che passa attraverso lo iatus aortico
e si porta nel mediastino posteriore. A livello della quinta vertebra
toracica si porta a sinistra nel mediastino superiore proseguendo
dorsalmente all’arco dell’aorta. Il dotto toracico entra quindi nel
sistema venoso a livello della giunzione tra la vena succlavia sinistra e
la vena giugulare interna(fig.2 e fig.3).
Sebbene sono presenti diverse valvole nella circolazione linfatica,
solo una valvola bicuspide, localizzata a 2 cm nella parte terminale del
dotto toracico, previene il reflusso venoso. Sono presenti diverse
comunicazioni tra il sistema linfatico e la circolazione venosa (canali
linfaticovenosi). Questi vasi collaterali sono presenti a livello della
vena cava inferiore, delle vene renali, epatiche, ma anche nel torace.
Normalmente non sono funzionali eccetto quando vi è un incremento
della pressione linfatica. Questi canali devono essere ostruiti per
determinare all’interno del sistema linfatico una pressione tale da
determinare stravaso di liquido nel peritoneo. Più della metà della
177
UN ADDOME VOLUMINOSO
linfa totale del corpo proviene dai visceri addominali, specialmente
dal piccolo intestino e dal fegato.Fra le funzioni più importanti dei
linfatici dell'intestino è il mantenimento e la composizione dei fluidi
interstiziali ed il trasporto dei lipidi (chilimicroni). Gli acidi grassi a
catena media e corta entrano direttamente nella circolazione portale
by-passando la circolazione linfatica.
FISIOPATOLOGIA
L’ascite chilosa si può formare per tre meccanismi principali; Per
essudazione (o perdita dopo rottura) di chilo dai vasi linfatici dilatati
della parete intestinale e del mesentere causata dall'ostruzione dei
linfatici alla base del mesentere o della cisterna chili (es: infiltrazione
neoplastica). Questo processo conduce comunemente ad una
enteropatia protido-disperdente. Per perdita diretta di chilo attraverso
una fistola linfoperitoneale determinata quasi sempre da un alterazione
dei vasi linfatici retroperitoneali (es: distruzione dei vasi linfatici in
seguito ad un trauma o intervento chirurgico). Per essudazione di chilo
tramite le pareti del linfatici retroperitoneali, con o senza una fistola
visibile (es: linfangiectasia congenita o ostruzione toracica del
condotto). L’ostruzione dei linfatici intestinali può determinare
alterazione delle vene mucose e sottomucose e perdita di liquido nel
lume intestinale. Un’ipertensione cronica può inoltre determinare
ipertrofia della membrana basale con riduzione della funzione di
assorbimento che determina diarrea, malnutrizione, steatorrea ed
ipoproteinemia. Si possono osservare anche disordini immunologici
(perdita di linfa ricca di linfociti e aumento di linfociti immaturi in
circolo), con un lieve aumento di suscettibilità verso alcune malattie
batteriche e virali.
CLASSIFICAZIONE
L’ascite chilosa viene classificata in: ascite chilosa vera caratterizzata
da un alto contenuto di trigliceridi; in ascite chiliforme in cui il liquido
ascitico contiene complessi di lectina-globulina derivati dalla
degenerazione grassa delle cellule e infine in ascite pseudochilosa
costituita da un liquido ascitico color latte per la presenza di pus.
ELEMENTI CLINICI E LABORATORISTICI
Per quanto riguarda la sintomatologia clinica essa è caratterizzata da
aumento di volume dell’addome, dolori addominali, anoressia,
178
CAPITOLO 5
perdita di peso, astenia, nausea, dispnea, linfoadenopatia, febbre,
sudorazione notturna e sintomi correlati alla malattia di base (cirrosi,
neoplasia).
I test di laboratorio sono rappresentati da ipoalbuminemia,
linfocitopenia, anemia, iperuricemia, aumento delle transaminasi,
gammaGT e ALP, iponatriemia mentre la colesterolemia e
trigliceridemia sono nella norma.
L’esame del liquido ascitico di tipo chiloso è caratterizzato da:
-
-
COLORE: bianco latte
PESO SPECIFICO: 1.010-1.054
CONTENUTO DI GRASSI: 4-40 g/L.
TRIGLICERIDI: 218-8100 mg/dL.
GLUCOSIO E AMILASI: nella norma
COLESTEROLO: basso
LEUCOCITI: 232-2560 cells/mm3 (LINFOCITOSI)
PROTEINE TOTALI: variano da 1.4-6.4 g/dL, con una media
di 3.7 g/dL (questa variazione riflette la proteinemia e le
abitudini dietetiche).
COLTURE: negative
Determinare la causa che ha portato alla formazione di questo tipo di
ascite è un fattore di particolare importanza perchè influenza
l’evoluzione e il trattamento a cui deve essere sottoposto il paziente.
Le malattie che possono manifestarsi con ascite chilosa sono
innumerevoli, è stata quindi organizzata una classificazione che
provvede a suddividere le varie cause in:
Congenite
Acquisite
179
UN ADDOME VOLUMINOSO
ASCITE CHIOSA: FORME ACQUISITE
INFIAMMATORIE
Tubercolosi
Filariosi
Irradiazione della pelvi
Pericardite costrittiva (aumento formazione liquido linfatico +
diminuito drenaggio)
Pancreatite
Fibrosi retroperitoneale idiopatica
Sarcoidosi
Mesenterite
Malattia di Whipple
NEOPLASTICHE
Linfoma (distruzione, invasione, compressione o ostruzione)
Carcinoma (pancreas, rene, ovaio, prostata, colon e stomaco)
Carcinoidi intestinali
Linfoangiomiomatosi
CHIRURGICHE
Aneurisma aorta addominale
Dissezione linfonodi retroperitoneali
Nefrectomia radicale
Vagotonia
TRAUMATICHE
OSTRUTTIVE
Volvolo intestinale
Aneurisma dell’aorta addominale
EMODINAMICHE
Cirrosi
Trombosi portale, giugulare, succlavia
Sindrome nefrosica
Colangite sclerosante
180
CAPITOLO 5
DIAGNOSI
La diagnosi di ascite chilosa viene fatta attraverso la paracentesi e
l’esame completo del liquido ascitico, naturalmente oltre a questo, per
individuare la malattia di base che l’ha determinata, possono essere
utilizzati altri esami :
♦
♦
♦
♦
♦
♦
♦
TAC
Biospia linfonodale
Laparotomia
Linfoscintigrafia
Linfangiografia
Studio del tratto gastroenterico con bario
Studio del midollo osseo
La nostra paziente quindi ha eseguito una TAC total-body che ha
evidenziato:
TORACE :Versamento pleurico diffuso con caratteristiche saccate (di
entità ridotta rispetto ad un precedente esame eseguito in data
7/4/2005) che si sviluppa soprattutto a destra nello sfondato e lungo il
profilo mediastinico; evidenza di componente intrascissurale a
sinistra. Assenti lesioni focali parenchimali. Non linfonoadenopatie
ilo-mediastiniche.
ADDOME-PELVI: Quota di versamento libero endoperitoneale che si
raccoglie lungo la maggior parte dei recessi peritoneali.
Fegato diminuito di dimensioni e con diffusa alterazione della densità
parenchimale in assenza di lesioni focali di significato patologico
attivo. Cisti displasica di 38 mm a carico del I segmento. Vena porta
pervia e di calibro regolare. Non dilatate le vie biliari.
Non aspetti patologici di rilievo a carico del pancreas, milza, surreni e
reni.
Non linfoadenopatie sottodiaframmatiche.
Raccolta fluida che scompagina le fibre dei muscoli dell'intera parete
addominale anterolaterale di sinistra.
181
UN ADDOME VOLUMINOSO
L’esame quindi ci ha fatto escludere la nostra seconda ipotesi che si
potesse trattare cioè di una cirrosi epatica o di una occlusione delle
vene epatiche o ancora di malattia neoplastica. Inoltre la paziente è
stata sottoposta ad una linfoscintigrafia, eseguita con acquisizioni
pecoci (fino a 3 ore) e completata con acquisizioni tardive a 24 ore,
dove non si è osservata dispersione del radiofarmaco in sede
peritoneale durante tutto lo studio.
La terapia dell’ascite chilosa prevede il trattamento della malattia di
base naturalmente quando identificata, terapia di supporto per il
controllo dei sintomi, quindi paracentesi evacuativa insieme
all’utilizzo di diuretici(spironolattone), restrizione di sale e acqua,
utilizzo di calze elastiche e una dieta povera di grassi e ricca di
trigliceridi a catena media. Se il paziente non dovesse rispondere
positivamente a questo tipo di terapia si passerà ad una nutrizione
parenterale per un periodo variabile dalle 2 alle 4 settimane. Candidati
allo shunting peritoneale sono i pazienti che non rispondono alla
terapia medica, pazienti che presentano linfangiomiomatosi o altri
disordini cronici non responsivi o ancora cause traumatiche o nel
corso del post-intervento. La laparotomia è essenziale per la diagnosi
e il trattamento di peritoniti chilose acute, la chirurgia è fondamentale
inoltre in caso di chiloperitoneo per cause congenite od ostruttive.(tav
1 e tav.2)
182
CAPITOLO 5
Tav.1 e 2
183
UN ADDOME VOLUMINOSO
Per quanto riguarda la nostra paziente, si è iniziata immediatamente
dieta con trigliceridi a catena media, dopo circa un mese in assenza di
risposta positiva a questo tipo di alimentazione si è iniziata nutrizione
parenterale (2000 ml/die) e si è posizionato catetere peritoneale a
permanenza eseguendo una paracentesi evacuativa, si è assistito così
ad una riduzione progressiva del versamento ascitico fino alla totale
scomparsa. Dopo 3 settimane si è ricominciata alimentazione orale
con comparsa nuovamente di liquido ascitico chiloso, quindi si è
rimosso catetere peritoneale e si è posizionato catetere di Denver con
shunt peritoneo-venoso.
Nel frattempo però per quanto riguarda la diagnosi della causa che ha
determinato nella nostra paziente la formazione dell’ascite chilosa
siamo al punto di partenza. Adesso però abbiamo un esame TC che
mette in evidenza un fegato diminuito di dimensioni e con diffusa
alterazione della densità parenchimale. Questo dato accompagnato
agli alti valori di gammaGT e fosfatasi alcalina ed alta positività per
anticorpi anticitoplasma dei neutrofili, pANCA(+++) ci hanno spinto
ad eseguire una biopsia epatica che ha mostrato una variabile
infiammazione linfomonocitaria e granulocitaria neutrofila degli spazi
portali, marcata reazione duttulare, interessamento della parete dei
dotti biliari interlobulari con fenomeni di colangite; fibrosi moderata
senza formazione di setti; in sede intralobulare dilatazione dei
sinusoidi perivenosi, presenza di granuli di lipofuscina nel citoplasma
degli epatociti centrolobulari, significativa stasi di colati in sede
centrolobulare. Quadro compatibile con colangite su base
autoimmune.
Colangite sclerosante
E’ una malattia caratterizzata da flogosi cronica delle vie biliari con
andamento progressivamente ingravescente fino a determinare la
graduale insorgenza di sindrome colestasica ed, eventualmente,
l’evoluzione in cirrosi epatica con ipertensione portale ed
insufficienza epatica di grado elevato.
EPIDEMIOLOGIA
Interessa di regola l’intero sistema biliare(87% dei casi), mentre molto
più raramente sono coinvolte le sole vie biliari intraepatiche(11%),
ancor meno(2%), solo quelle extraepatiche(l’interessamento isolato
delle più fini ramificazioni biliari intraepatiche viene più
184
CAPITOLO 5
correttamente definito pericolangite); la colecisti ed il dotto cistico
sono interessati in circa il 15% dei casi.
La colangite sclerosante può esistere come entità clinica a se stante
oppure può associarsi ad altre malattie: in quest’ultimo caso, che poi è
l’evenienza più comune(otre 80% dei casi), essa si riscontra
soprattutto nell’ambito delle malattie infiammatorie croniche
intestinali e in particolar modo nella rettocolite ulcerosa piuttosto che
nel morbo di Crohn.
In altri casi la colangite sclerosante insorge nell’ambito di sindromi
fibrosclerotiche ma è stata osservata anche in associazione con la
celiachia, la tiroidine di Riedel, la pancreatine cronica, la sindrome di
Sjogren, l’artrite reumatoide, il diabete mellito, varie vasculiti. Più
rara l’associazione con le ipogammaglobulinemia comune
variabile,l’istiocitosi X, la malattia di Hodgkin, il timoma.
La colangite sclerosante è una malattia piuttosto rara, la sua
prevalenza è compresa tra 1 e 6 casi/100.000 abitanti; è più frequente
nell’uomo che nella donna e l’età di massima incidenza è tra la terza e
la quinta decade di vita.
EZIOPATOGENESI
La causa della malattia è sconosciuta anche se sono state fatte diverse
ipotesi.
Fattori infettivi: molto interessante è l’associazione tra la colangite
sclerosante e le malattie infiammatorie croniche intestinali. Studi di
modelli animali suggeriscono che queste ultime possano essere
interpretate come espressione di una particolare interazione tra certi
difetti geneticamente determinati del sistema di immunoregolazione e
le difese dell’ospite con conseguente riduzione delle resistenze nei
confronti delle infezioni batteriche così da permettere a qualche
microrganismo facente parte della normale flora intestinale di
acquisire particolare virulenza
e di innescare il processo
infiammatorio caratteristico di queste malattie. Le caratteristiche
patogenetiche della colangite sclerosante potrebbero essere simili dal
momento che la bile normalmente non è sterile ma contiene batteri di
provenienza intestinale, si può supporre che la combinazione di un
infezione microbica e di una particolare suscettibilità alle infezioni,
congenita o acquisita, possa condurre ad una cronica infezione delle
vie biliari.
185
UN ADDOME VOLUMINOSO
Anche alcuni virus sono stati chiamati in causa come il
cytomegalovirus, il reovirus 3 e il virus della rosolia ma non si è
trovata alcuna attendibile conferma.
Fattori tossici: sono stati considerati vari agenti tossici ma per nessuno
di essi sono state trovate prove significative.
Fattori genetici: l’esistenza di una predisposizione genetica è
avvalorata in primo luogo dal frequente riscontro in questi pazienti di
alcuni antigeni di istocompatibilità come HLA-B8 o HLA-DR3.
Fattori immunitari: hanno verosimilmente un ruolo patogenetico
determinante anche se i precisi meccanismi del loro intervento non
sono ben conosciuti. Sono state descritte alterazioni sia della immunità
umorale sia di quella cellulare; tra le prime la presenza di
ipergammaglobulinemia, elevati livelli di IgM, anticorpi antimucosa
del colon, anticorpi antimuscolo liscio(ASMA), anticorpi
antinucleo(ANA). Più di recente grande interesse ha suscitato il
grande riscontro di pANCA.
ANATOMIA PATOLOGICA
Gli aspetti istologici non sono patognomici in genere, ma sono stati
identificati quattro stadi in rapporto alla progressiva evoluzione della
malattia.
♦
♦
♦
♦
Stadio I: epatite portale
Stadio II: epatite periportale
Stadio III: fibrosi settale
Stadio IV: cirrosi biliare.
Nel primo stadio è presente degenerazione delle cellule epiteliali dei
dotti biliari che vengono infiltrati da neutrofili; a volte si osserva
proliferazione dei dotti biliari negli spazi portali, vacuolizzazione
delle cellule dell’epitelio duttulare e la formazione delle cosiddette
lesioni a bulbo di cipolla costituite da anelli concentrici di tessuto
connettivo che circondano i dotti biliari.
Nel secondo stadio la fibrosi e il processo infiammatorio coinvolgono
il parenchima periportale. I dotti biliari in questo stadio sono già
francamente diminuiti e la fibrosi periportale è l’alterazione più
caratteristica.
186
CAPITOLO 5
Nel terzo stadio si formano setti fibrosi che connettono tra loro gli
spazi portali con comparsa di necrosi “a ponte”.
Il quarto stadio infine è caratterizzato da vera e propria cirrosi.
CLINICA
Può essere molto varia, i pazienti presentano in maniera
progressivamente ingravescente sintomi e segni di ostruzione biliare
quali ittero, prurito, dolore addominale, soprattutto in ipocondrio
destro e, talvolta, febbre. L’insieme del dolore al quadrante
addominale superiore destro, ittero e febbre costituisce la cosiddetta
triade di Charcot. L’ittero può essere constante o intermittente, la
bilirubina nel siero è usualmente compresa tra 2 e 10 mg/dl. Nelle fasi
più avanzate di malattia possono comparire, ostruzione biliare
completa, cirrosi biliare secondaria con epatosplenomegalia,
insufficienza epatica, ipertensione portale.
DIAGNOSI
Può essere posta sulla base del reperto colangiografico che evidenzia
l’aspetto irregolare dell’albero biliare con ispessimento dei dotti e con
alternanza di tratti stenotici e di tratti dilatati dei rami intraepatici ed
extraepatici delle vie biliari con tipico aspetto “a rosario” o “a filo di
perle”. La biopsia epatica è utilizzata per la conferma e per
determinare lo stadio evolutivo della malattia.
Gli esami di laboratorio mostrano aumento della fosfatasi alcalina e
della gammaGT, le transaminasi sono aumentate ma non in modo
rilevante, la bilirubina può rimanere per lungo tempo normale ed un
suo persistente aumento sembra avere un valore prognostico negativo.
DECORSO E PROGNOSI
La malattia ha decorso cronico ed estremamente vario con pazienti
che restano asintomatici per anni. La sopravvivenza media dal
momento della diagnosi è di circa 12 anni. Le principali complicanze
a breve e a lungo termine sono rappresentate dalle colangiti batteriche
ricorrenti, litiasi biliare, sindrome da malassorbimento(soprattutto di
lipidi e vitamine liposolubili), osteoporosi secondaria a deficit di
vitamina D e diatesi emorragica da deficit dei fattori della
coagulazione, emorragie digestive per rottura di varici gastroesofagee
a seguito di ipertensione portale.
187
UN ADDOME VOLUMINOSO
TERAPIA
Dato che l’eziologia e la patogenesi della colangite sclerosante sono a
tutt’oggi ancora sconosciute la terapia è difficile; sono stati valutati
diversi trattamenti medici, come per esempio l’uso dell’acido
ursodessossicolico da solo o in associazione con prednisolone e
azatioprine, l’uso di corticosteroidi e i munosoppressori, basato
sull’ipotesi di un origine immunologica alla determinazione della
malattia. Anche l’ERCP ha la sua importanza quando utilizzato per
prevenire l’ostruzione biliare che sembra essere la causa di cirrosi in
questi pazienti. Il trapianto di fegato rimane comunque l’unica terapia
definitiva.
ITER TERAPEUTICO NELLA PAZIENTE
La paziente, dimessa dal nostro reparto dopo aver posizionato il
catetere di Denver con shunt peritoneo-venoso per ascite chilosa
refrattaria al trattamento medico, torna alla nostra osservazione per
aumento di volume dell’addome.
Un’indagine radiografica conferma l’ostruzione dello shunt a livello
del tratto addominale e la TC total body evidenzia la presenza di
colata trombotica nel lume della vena cava superiore.
Durante la degenza si è presentato un episodio di encefalopatia epatica
ed è stata quindi iniziata terapia con lattulosio somministrato sia per
os che tramite clisteri.
Per confermare la presenza di un’ipertensione portale, è stata eseguita
la misurazione della pressione nella vena porta mediante cateterismo,
che ha mostrato valori pressori in atrio destro di 2 mmHg ed a livello
della porta di 25 mmHg. Nonostante l’indicazione al posizionamento
di una TIPS, è stato preferito procrastinare l’intervento considerando il
rischio di nuovi episodi di encefalopatia epatica.
188
CAPITOLO 5
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Il motivo della formazione di ascite chilosa nella nostra paziente
sembrerebbe quindi secondaria all’ipertensione portale. Negli spazi
portali infatti originano anche i vasi linfatici che seguendo il tragitto
delle vie biliari, convergono nell’ilo epatico insieme ad altri vasi
linfatici che si fanno strada nel connettivo tra i lobuli, visto che il
processo patologico che ha determinato l’ipertensione è a livello degli
spazi portali, si avrà un ostacolo alla raccolta di linfa e quindi
possibile formazione di ascite di tipo chiloso.
BIBLIOGRAFIA
Harrison’s Principi di medicina interna XV edizione, Mendell
Aalami, Allen and Organ, Chylous ascites a collective review, Surgery
2000; 128:5-765
Press O, Press N, Kaufman S Evolution and management of chylous
ascites, Ann Intern Med 1982; 96:258-64
Varga J, Palmer R, Koff R, Chylous ascites in adults, Sout Med J 1985;
78: 1244-7
Porticasa P, Vacca M, Moschetta A, Petruzzelli M, Palasciano G, van
Erpecum KJ, Primari sclerosing cholangitis: Updates in diagnosis and
therapy, World J Gastroenterol 2005; 11(1): 7-16
Capitolo 6
Due rari casi di artrite reattiva
a cura della
Dott.ssa Sonia Bracchitta
Caso Clinico 1
ANAMNESI
1° paziente: Sig. L.G. – 67 anni
ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA
Il paziente è giunto alla nostra osservazione per il persistere, da circa 7
anni, di una sintomatologia articolare caratterizzata da dolore intenso,
calore, tumefazione e impotenza funzionale a carico delle ginocchia e
delle caviglie, prevalentemente di destra.
Il paziente fa risalire l’inizio di tali disturbi al 1999. Da questo
momento in poi nella sua storia anamnestica sono riportati diversi
ricoveri in ambiente ospedaliero che non hanno portato ad una
diagnosi definitiva e, quindi, ad una risoluzione della sintomatologia.
Un primo ricovero è datato 1999. In tale occasione gli esami di
laboratorio hanno documentato un aumento degli indici di flogosi
(PCR 8.18 mg/dl, VES 100, Fibrinogeno 615 mg/dl), una leucocitosi
neutrofila (GB 12100, Neutr. 80%), un lieve aumento delle
transaminasi (GOT 60 UI/L, GPT 62 UI/L) ed una
ipergammaglobulinemia policlonale. La ricerca degli autoanticorpi
(ANA, ENA, FR, antiDNA nativo) è risultata negativa.
Sono stati, inoltre, eseguiti:
Rx ginocchio dx, iniziali alterazioni gonartrosiche con segni di
osteoporosi dei capi articolari; Scintigrafia ossea, incremento
dell’attività osteblastica ai capi articolari del ginocchio dx, della
caviglia sx, delle ossa tarsali a carattere aspecifico e di probabile
natura artropatica;
189
190
CAPITOLO 6
Artroscopia ginocchio dx, sinovite ipertrofica emorragica e meniscosi
esterna del ginocchio dx.
Il paziente è stato quindi dimesso con “diagnosi” di:
Sinovite villonodulare in paziente con meniscosi esterna del ginocchio
destro.
Il paziente riferisce inoltre di essere stato ricoverato nel maggio 2005
per la medesima sintomatologia. Gli esami di laboratorio hanno
evidenziato un aumento degli indici di flogosi (VES 80, PCR 2,07
mg/dl, Fibr. 484 mg/dl), iperuricemia (7,8 mg/dl), un lieve aumento
delle transaminasi (GOT 65 UI/L, GPT 57 UI/L), una lieve
iperglicemia (138 mg/dl) ed un’ipergammaglobulinemia policlonale.
E’ risultata, inoltre, positiva la ricerca degli anticorpi anti-HCV. Gli
esami strumentali hanno evidenziato:
Rx piedi, alluce valgo bilaterale, artrosi medio-tarsica bilaterale, esiti
di pregressa frattura a carico dell’epifisi distale del I metatarso dx e
dell’epifisi prossimale della I falange del I metatarso dx;
ecocardiogramma, iniziale dilatazione endocavitaria di ambedue gli
atri, ipertrofia ventricolare sx, insufficienza mitralica lieve,
insufficienza aortica moderata, insufficienza tricuspidalica lievemoderata;
ecografia addominale, fegato normale per dimensioni e profili a
impronta fibrotica con assenza di lesioni focali;
ecocolordoppler venoso agli arti inferiori, insufficienza venosa
profonda.
Alla dimissione la “diagnosi” è stata:
Ipertensione arteriosa, insufficienza venosa arti inferiori, gotta, alluce
valgo bilaterale, artrosi medio-tarsica bilaterale, steatosi epatica,
intolleranza agli idrati di carbonio in paziente hcv positivo.
ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA
1959: intervento di gastroresezione sec. Billroth II per ulcera
duodenale sanguinante
1990: appendicectomia
2003: ernioplastica inguinale sx
191
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
ANAMNESI FISIOLOGICA
Nato a termine da parto eutocico, allattamento materno. Non ha
espletato il servizio di leva perché figlio di invalido di guerra. Ex
fumatore di 10 sig/die per 35 anni, fino a maggio u.s. Beve 2 caffè/die
e un bicchiere di vino ai pasti. Alvo tendenzialmente stitico. Diuresi
fisiologica. Alimentazione varia per quantità e qualità.
ANAMNESI FAMILIARE
Padre deceduto a 83 aa per occlusione intestinale.
Madre deceduta a 69 aa per cause imprecisate.
Ultimo di 5 figli di cui un fratello morto a 85 aa per cause imprecisate,
una sorella morta a 80 aa per cause imprecisate, una sorella e un
fratello in vita diabetici.
ESAME OBIETTIVO
ESAME GENERALE
Condizioni generali buone. Sensorio integro. Psiche lucida. Facies
composita. Decubito indifferente. Respiro eupnoico.
Cute e annessi: cute rosea, normo-elastica, sollevabile in pliche di
medio spessore. Annessi normodistribuiti per età e sesso.
Temperatura cutanea: apiretico.
Mucose visibili: rosee, umide, normoirrorate.
Cavo orale: lingua umida, protusa in asse.
Pannicolo adiposo sottocutaneo: normorappresentato.
Apparato osteoarticolare: ginocchio dx tumefatto, caldo e dolente ai
movimenti attivi e passivi. Caviglia dx tumefatta, calda e dolente ai
movimenti attivi e passivi. Ginocchio sx e caviglia sx lievemente
tumefatti e dolorabili.
CAPO E COLLO
Capo normoconformato e normoatteggiato. Non dolenti né dolorabili i
punti di emergenza del V paio di nervi cranici. Globi oculari in asse,
pupille isocoriche e isocicliche, normoreagenti alla luce e
all’accomodazione.
192
CAPITOLO 6
Collo cilindrico, non dolorabile ai movimenti attivi e passivi di flessoestensione e lateralità.
TORACE
Torace tronco-conico. Emitoraci simmetrici. Apici in sede, basi
mobili. FVT normotrasmesso su tutto l’ambito. SCP su tutto l’ambito.
MV fisiologico.
CUORE
Azione cardiaca ritmica. Toni cardiaci netti. Pause libere.
ADDOME
Addome lievemente globoso. Presenza di cicatrice piana, ben
consolidata in sede xifo-ombelicale. Presenza di cicatrice piana, ben
consolidata in fossa iliaca dx. Trattabile alla palpazione superficiale e
profonda. TEC come di norma. Peristalsi presente e valida.
Fegato e milza: non palpabili.
App. urinario: ndr.
SISTEMA NERVOSO
Nella norma
ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI
Gli esami di laboratorio eseguiti all’ingresso hanno documentato:
Anemia normocromica normocitica (Hb 10,5 gr/dl, GR 3.670.000,
MCV 86,1 fL, MCH 30 pg)
Iposideremia (34,7 mcg/dl)
Ipoferritinemia (23 ng/ml)
Ipotransferrinemia (174 mg/dl)
Aumento degli indici di flogosi (VES 84, PCR 3,14 mg/dl,
fibrinogeno 504 mg/dl)
Ipoalbuminemia (3 g/dl) e Ipergammaglobulinemia (28,5 %)
Notevole ipereosinofilia (18,7%)
193
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
Sono risultati nella norma i dosaggi dell’acido urico (4,05 mg/dl) e
delle transaminasi (GOT 31 U/L, GPT 35,9 U/L). Positiva la ricerca
degli anticorpi anti-HCV.
EGDS
Nulla all’esofago. Giunzione esofago-gastrica in sede. Stomaco
resecato ampiamente con anastomosi secondo Billroth II ben pervia e
regolare.
Diffusa iperemia della mucosa per gastrite cronica attiva. Si
raggiunge il bulbo duodenale e si visualizza la papilla che è normale.
Si effettuano biopsie ed il prelievo di bile duodenale.
RX GINOCCHIA-CAVIGLIE
Irregolarità delle spine tibiali, modesta reazione osteofitaria del
margine superiore rotuleo più evidente a destra. Note di artrosi tibiotarsica.
ECOGRAFIA GINOCCHIA-CAVIGLIE
Presenza di lieve versamento articolare a carico dell’articolazione
tibio-astragalica e dell’articolazione talo-navicolare. Irregolarità delle
superfici articolari di dubbia interpretazione (erosioni?). Presenza di
falda fluida peritendinea a carico dei tendini peronieri, come per
tenosinovite. A livello della regione inserzionale calcaneare del
tendine di Achille, bilateralmente, presenza di calcificazione
intratendinea (diam.max cm 0,270 a sx, cm 0,117 a dx).
Bilateralmente, presenza di lieve versamento a livello del recesso
sottoquadricipitale, con segni di lieve proliferazione sinoviale locale.
Riduzione di spessore ed irregolarità della cartilagine articolare
femorale, bilateralmente. Irregolarità delle superfici articolari
femorale e tibiale, bilateralmente. Il quadro è da riferire, in parte, a
presenza di osteofiti ed in parte a fenomeni erosivi. Bilateralmente, ma
prevalentemente a sx, aumento di spessore del tendine rotuleo; in
corrispondenza della sua regione inserzionale tibiale si rileva
un’ipoecogenicità diffusa, un’iperemia locale e la presenza di multiple
piccole calcificazioni intratendinee; inoltre, sono evidenti segni di
grossolani fenomeni erosivi a livello della superficie tibiale, in
corrispondenza dell’inserzione tendinea (ENTESITE). A carico del
194
CAPITOLO 6
poplite presenza bilateralmente, di cisti di Baker comunicante con il
cavo articolare (a dx cm 3,52x1,02x1,08 ; a sx cm 3,38x0,481x1,14).
Caso Clinico 2
ANAMNESI
Sig. B.C. – 64 anni
ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA
Il paziente, affetto da gotta e ipertensione arteriosa, è giunto alla
nostra osservazione per la comparsa, da circa 3 mesi, di una
sintomatologia articolare migrante, caratterizzata da dolore intenso,
calore, rossore, tumefazione e impotenza funzionale, che interessa, nel
seguente ordine, ginocchio destro, caviglia destra, piede destro, piede
sinistro e nuovamente piede destro.
ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA
Riferisce i comuni esantemi dell’infanzia.
1965: puntura di zecca sull’addome
1971: asportazione testicolo destro per tumore benigno
1981: appendicectomia
1982: tonsillectomia
2001: puntura di zecca sulla gamba dx.
ANAMNESI FISIOLOGICA
Nato a termine da parto eutocico. Allattamento materno. Scolarità
medie superiori. Ha espletato il servizio di leva. Ex fumatore di 4-5
sig/die per 23 aa, fino a 20 aa fa. Non beve più alcolici e superalcolici
da circa 3 mesi (precedentemente il consumo era moderato). Alvo
regolare. Diuresi fisiologica. Alimentazione varia per quantità e
qualità.
195
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
ANAMNESI FAMILIARE
Madre deceduta a 88 aa per senectus. Padre deceduto a 47 aa per
incidente.
Secondo di 3 germani di cui un fratello deceduto a 37 aa per incidente,
un fratello deceduto a 56 aa per cause imprecisate. 3 figli di 28, 26 e
24 aa in abs.
ESAME OBIETTIVO
ESAME GENERALE
Condizioni generali buone. Sensorio integro. Psiche lucida. Facies
composita. Decubito indifferente. Respiro eupnoico.
Cute e annessi: cute rosea, normo-elastica, sollevabile in pliche di
medio spessore. Annessi normodistribuiti per età e sesso.
Temperatura cutanea: apiretico.
Mucose visibili: rosee, umide, normoirrorate.
Cavo orale: lingua umida, protusa in asse.
Pannicolo adiposo sottocutaneo: normo-rappresentato.
Apparato osteoarticolare: caviglia dx e piede dx tumefatti, caldi e
dolenti ai movimenti attivi e passivi.
CAPO E COLLO
Capo normoconformato e normoatteggiato. Non dolenti né dolorabili i
punti di emergenza del V paio di nervi cranici. Globi oculari in asse,
pupille isocoriche e isocicliche, normoreagenti alla luce e
all’accomodazione.
Collo cilindrico, non dolorabile ai movimenti attivi e passivi di flessoestensione e lateralità.
TORACE
Torace: tronco-conico. Emitoraci simmetrici. Apici in sede, basi
mobili. FVT normotrasmesso su tutto l’ambito. SCP su tutto l’ambito.
MV fisiologico.
196
CAPITOLO 6
CUORE E VASI
Azione cardiaca ritmica. Toni cardiaci netti. Pause libere.
ADDOME
Addome lievemente globoso. Trattabile alla palpazione superficiale e
profonda. TEC come di norma. Peristalsi presente e valida.
Fegato e milza: non palpabili.
App. urinario: punti ureterali superiori e medi non dolorabili.
Giordano negativo bilateralmente.
SISTEMA NERVOSO
Non deficit di forza e di sensibilità.
ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI
Gli esami di laboratorio eseguiti all’ingresso hanno documentato:
Leucocitosi neutrofila (GB 11.600, Neutr. 74 %)
Aumento degli indici di flogosi (VES 24, PCR 0,85 mg/dl,
fibrinogeno 547 mg/dl)
Iperuricemia (7,6 mg/dl)
Ipertrigliceridemia (186 mg/dl)
Aumento delle ß2 (6,6 %)
Gli altri valori sono risultati nella norma.
ECOCARDIOGRAMMA
Ventricolo sx di volume normale con ipertrofia parietale (10 mm) e
buona cinesi globale (FE 65%). Atrio sx dilatato (47 mm). Cavità dx
normali. Apparati valvolari esenti da alterazioni significative.
RX GINOCCHIA-CAVIGLIE-PIEDI
Modesti segni di gonartrosi bilateralmente. La rima articolare della
caviglia è conservata mentre si osservano segni di artropatia
intertarsale. Piccoli speroni calcaneari all’inserzione achillea. A livello
dell’unione III prossimale - III medio della diafisi tibiale,
bilateralmente, è presente una lesione ossea sclerotica, a margini
regolari, che non coinvolge la compatta articolare. Tale lesione è da
197
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
attribuire in prima ipotesi a dismorfismo (turbe di accrescimento?
isole di compatta spongiosa?).
ECOGRAFIA DELLE CAVIGLIE
Presenza di lieve versamento a livello dell’articolazione tibio-tarsica
bilateralmente, con segni di proliferazione della membrana sinoviale.
Assenza di alterazioni a livello delle strutture tendinee esaminate.
RAGIONAMENTO CLINICO ED ITER DIAGNOSTICO
Considerando il quadro clinico di entrambi i pazienti, abbiamo preso
come sintomi guida il dolore, il calore e il rossore, la tumefazione e
l’impotenza funzionale.
Prima di formulare delle ipotesi diagnostiche vogliamo ricordare,
brevemente, come un corretto approccio clinico-strumentale in
pazienti con sintomi a carico dell’apparato muscolo-scheletrico
permetta di effettuare una diagnosi corretta nel 90% dei casi. Di fronte
ad un paziente con tali disturbi la prima cosa da valutare è se,
effettivamente, i sintomi sono localizzati a livello articolare o extraarticolare. Tra le strutture articolari (membrana sinoviale, liquido
sinoviale,
cartilagine
articolare, legamenti intraarticolari,
capsula
articolare ed osso juxtaarticolare) particolarmente
ricca di fibre algogene
risulta essere la capsula
articolare; al contrario la
cartilagine articolare e la
membrana sinoviale sono
prive di terminazioni
nervose. Tra le strutture
extra-articolari quelle che
determinano dolore sono i
legamenti, le fasce, i
tendini, il periostio e
l’endostio.
(Figura 1 – Articolazione del ginocchio)
198
CAPITOLO 6
Qui di seguito riportiamo una tabella che riassume le principali
caratteristiche che permettono di differenziare una patologia articolare
da una extra-articolare:
SEDE
ARTICOLARE
EXTRA-ARTICOLARE
dolore
profondo e/o diffuso
localizzato in strutture extraarticolari
mobilità ai movimenti
attivi e passivi
ridotta ad entrambi
ridotta solo ai movimenti
attivi
instabilità
presente
rara
crepitii
presenti
rari
tumefazione
presente
rara
(Tabella 1)
I nostri pazienti riferiscono dolore diffuso e riduzione della mobilità ai
movimenti attivi e passivi; inoltre, le articolazioni interessate sono
tumefatte.
Quindi, in entrambi, possiamo confermare l’origine articolare del
processo patologico ed escludere patologie peri-articolari come le
fratture traumatiche, la fibromialgia, la polimialgia reumatica, le
borsiti e le tendiniti. Siamo quindi già in possesso del primo dei
numerosi tasselli che nel loro insieme ci permetteranno di effettuare
una diagnosi corretta.
In un secondo momento ci dobbiamo chiedere se i sintomi perdurano
da più (ARTRITE CRONICA) o meno (ARTRITE ACUTA) di 6
settimane. Nel 1° paziente, i sintomi sono comparsi nel 1999, mentre
nel 2°, 3 mesi prima del nostro ricovero. In entrambi i casi si parlerà di
ARTRITE CRONICA. In tal modo viene scartato il grande capitolo
199
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
delle artriti acute (artriti settiche, fasi iniziali della gotta, della
pseudogotta e delle artriti reattive). Ci rimane, quindi, che ragionare
sulle artriti croniche e determinare se il processo è di natura
infiammatoria o non infiammatoria (degenerativa) sulla base dei dati
clinici, strumentali, di laboratorio ottenuti dal sangue e dall’eventuale
liquido sinoviale.
ARTROPATIE CRONICHE
ARTROPATIE CRONICHE
FLOGISTICHE
NON FLOGISTICHE
Gotta, pseudogotta
Artrite reumatoide
Artrite psoriasica
Artriti reattive infettive
Artriti reattive asettiche
LES
Sclerodermia
Polimiosite
Febbre reumatica
Osteoartrosi
Osteonecrosi
Artropatia di Charcot
(Tabella 2)
200
CAPITOLO 6
Qui di seguito, riportiamo delle tabelle riassuntive che ci permettono
di differenziare le artropatie flogistiche da quelle degenerative sulla
base del differente quadro sintomatologico e di laboratorio:
ARTROPATIA
FLOGISTICA
ARTROPATIA NON
FLOGISTICA
dolore
presente a riposo o durante il
movimento
presente solo al movimento o
in seguito a carico articolare
tumefazione
presente
delle epifisi ossee (se
presente)
rossore
presente
assente
calore
presente
assente
rigidità mattutina
prolungata (>60 minuti)
variabile (<60 minuti)
sintomi sistemici (fatica,
febbre, calo ponderale)
frequenti
assenti
SINTOMI
(Tabella 3)
LABORATORIO
ARTROPATIA
FLOGISTICA
ARTROPATIA NON
FLOGISTICA
VES
aumentata
normale
ALBUMINA
normale o diminuita
normale
a 2-GLOBULINE
aumentate
normale
?- GLOBULINE
aumentate (se la flogosi è di
natura immunologica)
normale
LIQUIDO SINOVIALE
flogistico
normale o infiammatorio
(Tabella 4)
201
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
I sintomi guida individuati sono tipici delle artropatie flogistiche. In
entrambi i casi clinici, abbiamo un aumento degli indici di flogosi (1°
paziente: PCR 3,14 mg/dl, VES 84, fibrinogeno 504 mg/dl; 2°
paziente: PCR 0,85 mg/dl, VES 24, fibrinogeno 547 mg/dl). In
aggiunta, nel 1° caso abbiamo un’anemia normocromica normocitica
(Hb 10,5 gr/dl, GR 3.670.000, MCV 86,1 fL, MCH 30 pg) con
iposideremia (34,7 mcg/dl), ipoferritinemia (23 ng/ml) e
ipotransferrinemia
(174
mg/dl);
all’elettroforesi
proteica
ipoalbuminemia (3 g/dl) e ipergammaglobulinemia (28,5%). Nel 2°
caso, è presente una leucocitosi neutrofila (GB 11600, Neutr. 74%).
Sia nel 1° che nel 2° paziente, non è stato possibile effettuare il
prelievo del liquido sinoviale in quanto insufficiente. Riportiamo, per
completezza, le principali alterazioni del liquido sinoviale e le
patologie corrispondenti:
ESAME DEL LIQUIDO SINOVIALE
TIPO
GB/mm3
COLORE
ASPETTO
VISCOSITA’
I
<2000
giallo chiaro
limpido
conservata
2000-5000
giallo chiaro
sublimpido
moderatamente
ridotta
5000-50000
giallo carico
torbido
ridotta
>50000
giallo
verdastro
opaco
variabile
non infiammatorio
II
moderatamente
infiammatorio
III
Francamente
infiammatorio
IV
infettivo
(Tabella 5)
202
CAPITOLO 6
Tipo I
Tipo II
Tipo III
Tipo IV
non
infiammatorio
Moderatamente
infiammatorio
francamente
infiammatorio
infettivo
LES
sclerdermia
reumatismo articolare acuto
sinovite villonodulare pigmentosa
AR
artrite psoriasica
gotta, pseudogotta
artriti reattive
osteoartrosi
osteocondrite
osteonecrosi
asettica
trauma
artrite
infettiva
AR (talvolta)
gotta
(talvolta)
(Tabella 6)
ESAME RADIOGRAFICO
Anche il quadro strumentale (RX, ecografia) ci permette di effettuare
la distinzione tra artropatia flogistica e degenerativa.
Nell’artropatia degenerativa riscontriamo:
RIDUZIONE SPESSORE DELL’INTERLINEA ARTICOLARE di
tipo asimmetrico;
OSTEOSCLEROSI SUBCONDRALE, che rappresenta un fenomeno
reattivo presente soprattutto nelle zone con alterato carico, dovuta a
reazione osteoproduttiva dell’osso subcondrale (soprattutto
nell’osteoartrosi secondaria);
OSTEOFITI, che rappresentano l’espressione più tipica
dell’osteoartrosi. Secondo alcuni rappresentano un tentativo di
compensare l’eccessivo carico mediante l’incremento della superficie
di contatto;
GEODI (CISTI) SUBCONDRALI, dovuti alla penetrazione di liquido
sinoviale nella spongiosa ossea attraverso le discontinuità presenti
nella cartilagine patologica.
203
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
(Figura 2 - Riduzione spessore dell’interlinea articolare)
(Figura 3 – Osteofiti)
204
CAPITOLO 6
Nell’artropatia flogistica riscontriamo:
EROSIONE, segno di reumatismo infiammatorio cronico, provocata
da perdita di osso subcondrale o subperiostale in sede intra o iuxtaarticolare;
RIDUZIONE SPESSORE DELL’INTERLINEA ARTICOLARE, che
interessa tipicamente tutta l’interlinea (riduzione simmetrica). Al
contrario nelle forme degenerative la riduzione è asimmetrica (criterio
di distinzione);
ISPESSIMENTO PARTI MOLLI PERIARTICOLARI, che può
essere dovuto ad un aumento del contenuto endoarticolare
(VERSAMENTO, PANNO SINOVIALE) o extra-articolare (noduli,
tofi);
OSTEOPOROSI JUXTA-ARTICOLARE di tipo distrettuale, che è
provocata da un aumentato turnover dell’osso conseguente alla flogosi
sinoviale;
CALCIFICAZIONI E/O OSSIFICAZIONI DI TENDINI E
LEGAMENTI, tipiche delle spondiloartriti sieronegative. Si trovano
spesso in sede di entesi (ENTESITI), struttura specializzata dove
legamenti e tendini si inseriscono sull’osso. Se l’ossificazione
legamentosa si trova a livello paravertebrale si parla di
SINDESMOFITI.
(Figura 4 – Erosione)
205
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
IPOTESI DIAGNOSTICHE NEI DUE PAZIENTI
Prestando attenzione agli esami strumentali dei nostri pazienti,
possiamo notare come nel 1° siano presenti erosioni, calcificazioni,
versamento e proliferazione sinoviale, nel 2° versamento e
proliferazione. Ciò ci indirizza verso una patologia articolare
infiammatoria.
Alla luce di quanto esposto, possiamo affermare che, sia nel 1° che nel
2° caso, ci troviamo di fronte ad un processo patologico di natura
infiammatoria con interessamento poliarticolare.
In particolare,
nel 1° paziente, si tratta di una poliartrite (>3 articolazioni)
infiammatoria prevalentemente simmetrica, mentre nel 2°, di una
poliartrite infiammatoria asimmetrica.
Sono presenti, altresì, alterazioni caratteristiche delle artropatie
degenerative (1° paziente: osteofiti, note di artrosi; 2° paziente: segni
di gonartrosi, piccoli speroni calcaneari) ma così modesti da non
giustificare il quadro clinico.
Poliartriti
SIMMETRICHE
Artrite Reumatoide
LES
Sclerodermia
Polimiosite
Gotta, Pseudogotta
Artriti reattive asettiche
Artriti reattive infettive
ASIMMETRICHE
Artrite psoriasica
Artriti reattive asettiche
Artriti reattive infettive
(Tabella 7)
Nel primo paziente, essendo presente in anamnesi una diagnosi di
gotta ed essendo positivi gli anticorpi anti-HCV, abbiamo optato per
le seguenti due ipotesi diagnostiche:
♦ Artrite Reattiva ad HCV
♦ Attacco acuto di Gotta
206
CAPITOLO 6
Nel secondo paziente, avendo riportato in anamnesi una puntura di
zecca nel 2001 ed avendo riscontrato valori elevati di acido urico,
abbiamo formulato le seguenti ipotesi:
♦ Attacco acuto di Gotta (anche se simmetrica);
♦ Malattia di Lyme.
Gotta
La gotta è un’artrite infiammatoria indotta da microcristalli di urato
monosodico monoidrato (UMS) che si depositano sottoforma di
aggregati in vari organi e tessuti.
La storia naturale della gotta evolve attraverso 4 stadi:
1. Iperuricemia asintomatica;
2. Episodi ricorrenti di artrite acuta;
3. Periodi intercritici;
4. Gotta cronica tofacea con poliartrite e nefropatia.
L’iperuricemia asintomatica è una condizione, sia primitiva che
secondaria, caratterizzata da valori plasmatici di acido urico maggiori
di 7 mg/dl (v.n. uomo 5-6 mg/dl, donna 4-5 mg/dl), con rischio di
precipitazione di urati nelle articolazioni e nei tessuti. Iperuricemia e
gotta non sono sinonimi, in quanto la prima non determina
necessariamente la seconda.
Il pool miscibile di acido urico, pari a 1000 mg, presenta un ricambio
ogni 24 ore. Le entrate sono rappresentate dalle purine alimentari (200
mg), dalla sintesi endogina (700 mg) e dal catabolismo degli acidi
nucleici tessutali (100 mg). Le uscite sono rappresentate
dall’eliminazione intestinale (100-200 mg) e dalla escrezione urinaria
che, nelle 24 ore, è pari a 300-600 mg dopo 3 giorni di dieta povera di
purine o a circa 600-900 mg con una dieta normale. Pertanto,
l’iperuricemia può essere dovuta sia ad un’aumentata sintesi di acido
urico sia ad una diminuita escrezione dello stesso.
Iperuricemie di notevole grado sono in genere dovute a una diminuita
clearance renale degli urati, specialmente in quei pazienti in terapia
207
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
diuretica da molto tempo e in quelli con una malattia renale che fa
abbassare il VFG.
Un’aumentata sintesi di purine può verificarsi come patologia
primaria oppure può essere secondaria ad un aumentato turnover delle
nucleoproteine come accade nelle malattie ematologiche (ad esempio:
linfoma, leucemia o anemia emolitica) o in tutte quelle situazioni in
cui vi è un aumentato indice di proliferazione e morte cellulare (ad
esempio: psoriasi). Il motivo dell’aumentata sintesi di acido urico ex
novo è sconosciuto nella maggior parte dei casi di gotta, ma una
piccola parte è attribuibile ad un deficit dell’ipoxantina-guanina
fosforibosil-transferasi o a un’aumentata attività della fosforibosilsintetasi. La prima anomalia enzimatica è associata a urolitiasi,
nefropatia e grave gotta nella prima infanzia; inoltre, in caso di deficit
completo, sono presenti alterazioni neurologiche come coreatetosi,
spasticità, ritardo mentale e atteggiamenti automutilanti (sindrome di
Lesch-Nyhan). Anche le purine assunte con la dieta influiscono sui
livelli sierici di acido urico. Un notevole aumento di acido urico
spesso segue un pasto abbondante di cibi ricchi di purine,
specialmente se accompagnato da bevande alcoliche. L’etanolo induce
sia l’aumento del catabolismo del nucleotide nel fegato, sia un
aumento della formazione di acido lattico che, come altri acidi
organici, blocca la secrezione di urati da parte dei tubuli renali.
Tuttavia, una dieta povera di purine abbassa i livelli basali di uricemia
solo di 1 mg/dl.
CLASSIFICAZIONE IPERURICEMIE
1. Primarie (30%)
I.Da difetti molecolari indefiniti (idiopatiche)
Escrezione urinaria ridotta (90%)
Escrezione urinaria aumentata (10%)
II.Associate a difetti enzimatici (<1%)
A.
Aumento attività PRPP sintetasi (X-linked)
B.
Deficit parziale HGPRT (s. Kelley-Seegmiller)
2. Secondarie (70%)
I.Da iperproduzione di ac. urico
208
CAPITOLO 6
A.
B.
Deficit completo di HGPRT (s. Lesch Nyhan)
Aumento turnover ac. nucleici
Aumento degradazione ATP
II.Da ridotta escrezione renale
A.
Nefropatie croniche (? filtrazione glomerulare)
B.
Farmaci (diuretici, salicilati: ? secrezione
tubulare)
C.
Acidosi metabolica (? secrezione tubulare)
L’artrite gottosa acuta si presenta normalmente all’improvviso. Può
essere precipitata da micro traumi, da un eccesso di cibo ricco di
purine o di alcol, dalla fatica o da un intervento chirurgico. Il dolore
mono- o meno spesso poliarticolare acuto, prevalentemente notturno,
è generalmente il primo sintomo. Il dolore diventa progressivamente
più grave ed è spesso insopportabile. I segni clinici somigliano a quelli
di un’infezione acuta con calore, rossore, tumefazione e dolore vivo.
La cute sovrastante è tesa, calda, lucida e di colore rosso porpora.
L’articolazione metatarso falangea dell’alluce è in genere coinvolta
(podagra), ma l’arco plantare, la caviglia, il ginocchio, il polso e il
gomito sono anche sedi comuni. Possono verificarsi febbre,
tachicardia, brividi, malessere e lecocitosi.
209
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
Patogenesi
dell’attacco acuto
deposito dei cristalli di
UMS
nei tessuti
?
chemiotassi dei
neutrofili
?
fagocitosi dei cristalli
?
lisi dei leucociti
?
rilascio di citochine
?
INFIAMMAZIONE
Le caratteristiche cliniche di un’artrite gottosa acuta sono talmente
distintive che si può abitualmente fare diagnosi in base all’anamnesi e
all’esame obiettivo. Un’uricemia elevata (>7mg/dl) rafforza la
diagnosi ma non è specifica. Circa il 30% dei pazienti ha un normale
livello di urati sierici al momento dell’attacco acuto. La
dimostrazione, attraverso il microscopio a luce polarizzata, della
presenza di cristalli di urato nel tessuto o nel liquido sinoviale, liberi
nel liquido o inglobati dai fagociti, è patognomonica. Tali cristalli
presentano una particolare luminosità (birifrangenza), hanno una
caratteristica forma ad ago (lungh. 2-40 μm, spesso di dimensioni
superiori fino a 2-3 volte il diametro del globulo bianco). I globuli
bianchi possono contenere i cristalli più piccoli al loro interno oppure
possono ritrovarsi “infilzati” dai cristalli più lunghi.
210
CAPITOLO 6
Una rapida risposta, spesso, fa seguito entro 24 ore alla terapia con
colchicina. Comunque, non tutti gli episodi acuti gottosi rispondono
così sensibilmente, mentre una risposta rapida si verifica nella
pseudogotta, nella tendinite calcifica o in altre condizioni, cosicché
questo test diagnostico è divenuto obsoleto. I primi rari attacchi,
generalmente, colpiscono una singola articolazione e durano solo
diversi giorni, ma quelli successivi, se non trattati, possono colpire
diverse articolazioni simultaneamente o sequenzialmente e durare
settimane. I sintomi e i segni locali, infine, regrediscono e la funzione
articolare torna normale.
Gli intervalli asintomatici tra gli attacchi acuti di artrite gottosa
variano notevolmente, ma tendono a essere più brevi col progredire
della malattia. Senza un’adeguata profilassi possono verificarsi, nel
corso di un anno, numerosi attacchi e svilupparsi sintomi articolari
cronici (gotta cronica tofacea) con deformazione erosiva permanente
delle articolazioni. La limitazione dei movimenti interessa numerose
articolazioni delle mani e dei piedi, anche contemporaneamente; di
rado vengono coinvolte le spalle, le articolazioni sacroiliache e le
sternoclaveari o della colonna cervicale. Depositi di urato sono
frequenti nelle pareti delle borse sierose e nelle guaine tendinee. I tofi,
aggregati di cristalli di UMS, inizialmente interessano l’elice del
padiglione auricolare, i gomiti, il tallone; in seguito anche le mani e i
piedi. Le dimensioni vanno da quelle di una capocchia di spillo a
quelle di un’arancia, con consistenza per lo più dura, ma talora
molliccia e con tendenza all’ulcerazione e alla fuoriuscita di materiale
biancastro. Sono abbastanza grandi da poter essere prima documentati
radiologicamente come lesioni “a stampo” dell’articolazione e più
tardi da poter essere visti o sentiti alla palpazione come noduli
sottocutanei.
Nella malattia cronica grave, i cristalli di UMS possono depositarsi in
vari parenchimi, tra cui il rene, determinando nefrolitiasi, nefropatia
uratica (dovuta alla deposizione dei cristalli di UMS nell’interstizio) e
nefropatia da acido urico (rara, si verifica quasi esclusivamente in
pazienti sottoposti a dosi elevate di chemioterapici. Rappresenta una
forma reversibile di insufficienza renale acuta causata dalla
precipitazione dei cristalli nei tubuli, nei dotti collettori, nella pelvi e
negli ureteri, ostacolando, così, il flusso urinario).
211
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
La terapia dell’iperuricemia-gotta è riassunta nella seguente tabella:
STADIO
IPERURICEMIA
ASINTOMATICA
ARTR. ACUTA
GOTTOSA
GOTTA INTERCRITICA
GOTTA TOFACEA
OBIETTIVO
TERAPIA
evitare sovrasaturazione ac.
urico
dieta/idratazione
ipouricemizzanti (ac.
urico>10-13 mg/dl)
risolvere prontamente l’attacco
FANS
colchicina
prevenire la recidiva
dell’attacco
ipouricemizzanti
FANS
dieta/idratazione
eliminare i tofi
correggere complicanze
d’organo
ipouricemizzanti
dieta/idratazione
trattamento complicanze
(Tabella 8)
La diagnosi di gotta nei nostri pazienti non può essere confermata per
la mancata dimostrazione dei cristalli di UMS nel liquido sinoviale e
per la presenza di altri motivi potenzialmente responsabili di artrite.
Artriti Reattive
Nel 1916 l’osservazione di Hans Reiter che descrisse la comparsa di
poliartrite, congiuntivite ed uretrite in un giovane uomo sofferente per
diarrea sanguinolenta, inaugurò il capitolo delle artriti connesse ad
episodi infettivi localizzati in regioni corporee distanti dalle
articolazioni. Il termine di artrite reattiva venne, invece, introdotto
circa trenta anni or sono da Ahvonen per indicare un’artrite non
suppurativa, conseguente ad un’infezione intestinale da Yersinia
212
CAPITOLO 6
enterocolitica, sviluppatasi grazie ad un supposto meccanismo
patogenetico immuno-mediato. Con il passare del tempo, la stessa
definizione fu impiegata per identificare quadri flogistici articolari che
facevano seguito (dopo un periodo di una o poche settimane) ad
infezioni determinate anche da altri germi (localizzati prevalentemente
a livello genito-urinario o intestinale).
Permaneva,
comunque, l’obbligo che tali forme mantenessero le caratteristiche di
sterilità del liquido sinoviale (artrite asettica). Recentemente, grazie
allo sviluppo di tecniche diagnostiche sempre più raffinate come la
PCR e la PCR INVERSA, all’interno delle articolazioni colpite da
flogosi sono stati riscontrati sia componenti microbiche che germi vivi
(seppur non coltivabili). Alla luce delle nuove conoscenze, è stata
introdotta una nuova e più completa definizione di artriti reattive e
cioè artropatie infiammatorie che fanno seguito (da 1 a 3 settimane)
ad infezioni determinate da germi (batteri, virus, miceti, parassiti)
localizzati a distanza e nel cui liquido sinoviale possono essere
identificati germi interi (seppure non coltivabili) o solamente loro
parti (DNA, RNA, Ag vari).
Alcuni autori, inoltre, individuano 2 forme di artriti reattive:
♦ Artriti Reattive Infettive, provocate da microrganismi a crescita
lenta, con virulenza attenuata (al contrario di quelli che
provocano l’artrite asettica), molto difficili da coltivare (non
identificabili con i comuni metodi microbiologici). Tali microbi
(ad esempio, CHLAMIDIA, MYCOPLASMA, BORRELIA),
provenienti da un focolaio infettivo distante, entrano nella cavità
articolare durante la batteriemia o attraverso i monociti e possono
sopravvivere in piccoli numeri, in uno stato vegetativo, con
periodi intermittenti di replicazione.
♦ Artriti Reattive Asettiche, provocate dalla persistenza di antigeni
microbici (LPS, proteine dello shock termico, frammenti di DNA
e RNA) che determinano l’insorgenza della reazione
infiammatoria articolare (ad esempio, YERSINIE,
SALMONELLE). L’ipotesi più accreditata è che questi batteri
sopravvivano in un luogo extra-articolare (ad esempio, mucose e
linfonodi del tratto digestivo) e che i loro antigeni vengano
veicolati, ricorrentemente, dai monociti nelle articolazioni dove
possono persistere anche per periodi molto lunghi.
213
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
In entrambi i casi, l’infezione a distanza innescante il processo
patogenico conserva la sua importanza come luogo di provenienza dei
germi o di loro parti antigeniche artritogene, trasportate nel torrente
ematico all’interno di cellule fagocitiche quali neutrofili e monociti o
come componenti di immunocomplessi. Pertanto, sembrano diventare
sempre più indistinti i confini tra Artriti propriamente Infettive e
Artriti Reattive (sia infettive che asettiche), sebbene si ritenga ancora
che termini quali artrite infettiva, settica, purulenta o suppurativa
debbano rimanere riservati alle forme in cui sia possibile ottenere una
coltura batterica dal liquido sinoviale.
I microrganismi che, nel corso del tempo, sono apparsi maggiormente
implicati nella genesi delle artriti reattive sono Chlamidia
trachomatis, Yersinia enterocolitica, Salmonella enteritidis, Shigella
flexeneri e Campylobacter jejuni ma ne vengono aggiunti sempre di
nuovi.
AGENTI ARTRITOGENI
VECCHI
Chlamidia trachomatis
Ureaplasma urealyticum
Yersinia enterocolitica
Yersinia pseudotubercolosis
Shigella flexneri
Shigella sonnei
Salmonella typhimurium
Salmonella enteritidis
Campylobacter jejuni
NUOVI
Chlamidia pneumoniae
Mycoplasma hominis
Neisseriae gonorrhoeae
Borrelia burgdorferi
Clostridium difficile
Helicobacter pylori
Escherichia coli
Streptococchi ß-emolitici
Brucella abortus
Leptospira
Gardnerella vaginalis
PARASSITI
VIRUS (HBV, HCV)
(Tabella 9)
214
CAPITOLO 6
Le artriti reattive possono essere, inoltre, suddivise in 2 gruppi,
ARTRITI RETTIVE TIPICHE e ARTRITI REATTIVE ATIPICHE,
sulla base della presenza o meno dell’antigene di istocompatibilità
HLA-B27.
RUOLO DELL’HLA-B27
AGENTI ASSOCIATI AD HLA-B27
Chlamydia trachomatis
Yersinia enterocolitica
Yersinia pseudotubercolosis
Salmonella typhimurium
Salmonella enteritidis
Shigella flexneri e sonnei
Campylobacter jejuni
Clostridium difficile
AGENTI NON ASSOCIATI AD HLA-B27
Ureaplasma urealyticum
Neisseria gonorrhoea
Streptococco ß-emolitico
Borrelia burgdorferi
Brucella abortus e mellitensis
Parassiti
Virus (HBV, HCV)
(Tabella 10)
Le artriti del primo gruppo tendono ad interessare le grandi e piccole
articolazioni dagli arti inferiori in maniera simmetrica, ad avere un
decorso di tipo sostitutivo con rapida successione ad intervalli
variabili da pochi giorni a 2 settimane, a presentare frequenti
localizzazioni entesitiche (tendine di Achille, ginocchio, fascia
plantare ed estensore lungo dell’alluce).
Le artriti reattive atipiche, più rare delle prime, si manifestano come
poliartrite simmetrica o asimmetrica con interessamento prevalente
delle ginocchia.
Non esistono pareri uniformi sui test da utilizzare per l’identificazione
dei germi innescanti le artriti reattive. La PCR e la PCR INVERSA
vengono utilizzate per la ricerca del genoma dell’agente artritogeno
nel liquido sinoviale.
215
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
Artrite da Hcv
Tra i numerosi virus capaci di determinare artrite reattiva, troviamo il
virus dell’epatite C. L’infezione da HCV è spesso associata a
manifestazioni extra-epatiche, tra le quali molto frequente è l’artrite
(presente nel 20% degli individui infetti).
Tale artrite può essere provocata da un’invasione diretta del virus
della cavità articolare (artrite reattiva infettiva), oppure da
immunocomplessi in soggetti geneticamente predisposti (ARTRITE
REATTIVA ASETTICA) oppure può far parte della sindrome da
crioglobulinemia mista. Dal punto di vista clinico, si manifesta come
una poliartrite infiammatoria simmetrica delle piccole articolazioni
oppure come una mono-oligoartrite delle grandi articolazioni. La
diagnosi di artrite reattiva ad HCV viene posta con l’ausilio di:
anticorpi anti-HCV, HCV RNA qualitativo e quantitativo,
immunocomplessi circolanti, crioglobuline, PCR con ricerca del
genoma virale nel liquido sinoviale, escludendo altre cause di
poliartrite infiammatoria simmetrica (ricerca di micro cristalli nel
liquido sinoviale, ricerca di autoanticorpi come FR, ANA, ENA,
antiSM, anti DNA nativo, anti-citrullina).
Nel 1° paziente, essendo positiva la ricerca degli anticorpi anti-HCV,
abbiamo effettuato:
– HCV-RNA PCR: positivo;
– HCV-RNA QUALITATIVO: 2°/2c;
– HCV-RNA QUANTITATIVO: 7.378.246 gen/ml.
Gli immunocomplessi circolanti e le crioglobuline sono risultati
negativi. Non è stato possibile effettuare il prelievo del liquido
sinoviale in quanto insufficiente. Pertanto, non possiamo attribuire
all’HCV, con sicurezza, la responsabilità nella genesi di questa artrite.
Durante il ricovero, il riscontro di una notevole ipereosinofilia ci ha
indotto a effettuare l’esame parassitologico delle feci che ha
documentato la presenza di una piccola ameba: ENDOLIMAX
NANA. A questo punto, ci siamo chiesti se tale parassita potesse
essere responsabile della sintomatologia artralgica.
216
CAPITOLO 6
Artriti da Parassiti
Le artriti da parassiti sono dei processi flogistici che interessano le
strutture articolari, estremamente rari, dovuti a FILARIA, GIARDIA,
SCHISTOSOMA, TOXOCARA CANIS, TAENIA SAGINATA.
Il parassita provoca la lesione attraverso vari meccanismi:
♦ danno diretto (artrite reattiva infettiva) per localizzazione, nelle
articolazioni dell’agente patogeno che vi giunge attraverso i vasi
sanguigni o linfatici;
♦ immunocomplessi o reazione immunologica (artrite reattiva
asettica) legata all’infestazione.
ENDOLIMAX NANA, considerata da sempre un semplice
commensale dell’intestino umano, è una delle più piccole amebe (6-12
μm), con una prevalenza nel mondo vicina al 15%. Nel suo ciclo si
distinguono 2 fasi:
TROFOZOITI, (8-10 μm) compaiono nelle feci più frequentemente
delle cisti. Si muovono attraverso pseudopodi.
CISTI, (6-8 μm) rotonde od ovali, spesso si presentano con 4 nuclei,
raramente 5-8 nuclei, con un cariosoma eccentrico e compatto.
(Figura 9 – Endolimax nana)
Recenti studi affermano che può provocare diarrea, dolori addominali,
orticaria e artrite.
217
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
In letteratura è riportato un singolo case report di artrite provocata da
tale parassita.
Viene riportato il caso di un veterano della guerra del Vietnam di 38 aa che
presentava episodi intermittenti, della durata di settimane, di poliartrite
simmetrica coinvolgente le piccole articolazioni delle mani e dei polsi. A
questi episodi si associavano rigidità mattutina e positività al FR. Inoltre, il
pz lamentava diarrea cronica, ematochezia e dolorabilità all’ipocondrio dx.
L’esame obiettivo dimostrava sinovite a livello delle articolazioni interessate
e confermava la lieve dolorabilità all’ipocondrio dx.
EMOCROMO: nella norma (EOS 5%)
VES: 33
FR: positivo
GOT: 94
GPT: 38
HBV: negativo
RX POLSI E MANI: nella norma
ESAME COLTURALE FECI: documentava la presenza di numerosi
trofozoiti e rare cisti di ENDOLIMAX NANA.
ECOGRAFIA FEGATO E COLECISTI: nella norma
COLONSCOPIA: (eseguita fino a metà del colon ascendente) non mostrava
segni di colite amebica.
BIOPSIA FEGATO: evidenziava moderata infiammazione delle vie biliari
intraepatiche ed epatite cronica persistente.
Il pz. iniziava, pertanto, terapia con METRONIDAZOLO (750 mg 3
volte/die). Dopo 7 giorni di terapia i sintomi articolari, il dolore addominale
e la diarrea scomparirono. L’esame colturale delle feci, ripetuto più volte,
risultò negativo per la ricerca di ENDOLIMAX NANA.
La diagnosi di artrite provocata da parassiti si basa sull’esame
parassitologico delle feci, sugli immunocomplessi circolanti e sulla
PCR con ricerca del germe nel liquido sinoviale.
Nel 1° caso, l’unico dato presente è la positività dell’esame
parassitologico delle feci. Tuttavia, il paziente è stato trattato con
METRONIDAZOLO (500 mg x 3/die) che ha determinato un notevole
miglioramento della sintomatologia (diagnosi ex adiuvantibus). Nel
2° paziente, essendo riportata in anamnesi una puntura di zecca nel
2001, è stata presa in considerazione la malattia di Lyme.
218
CAPITOLO 6
Malattia di Lyme
FISIOPATOLOGIA
La malattia di Lyme è un’infezione causata dalla spirocheta
BORRELIA BURGDORFERI, bacillo spiraloide (20-30x 0.2-0.3μm),
Gram-, microaerofilo, flagellato, appartenente alla famiglia delle
Treponemataceae, ordine Spirochetales.
(Fig. 10 – Borrelia Burgdorferi)
E’ stata identificata nel 1975 per il verificarsi, in tempi ravvicinati, di
un gruppo di casi nella città di Lyme, nel Connecticut. Da allora è
stata notificata in 49 stati degli USA, anche se oltre il 90% dei casi si
verifica tra il Massachussetts e il Maryland, nel Wisconsin e nel
Minnesota, in California e nell'Oregon. Per diversi anni la malattia di
Lyme è stata la malattia trasmessa con morso di zecca più diffusa
negli USA. La malattia di Lyme si verifica anche in Europa, nei paesi
dell'ex URSS, in Cina e in Giappone. L'esordio si verifica
generalmente in estate e all'inizio dell'autunno. Sono colpite persone
di ogni età e di entrambi i sessi che effettuano attività di
escursionismo, di campeggio o di caccia e con la residenza in aree
rurali e boschive.
Gli antigeni principali della Borrelia sono:
219
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
–
–
–
–
–
OSP A (proteina della superficie esterna A) (30 kD): protegge
la Borrelia sia dall’azione delle proteasi presenti nell’intestino
tenue della zecca sia dall’azione litica del Complemento
dell’ospite;
OSP B (proteina della superficie esterna B) (34 kD);
OSP C (proteina della superficie esterna C): responsabile
della disseminazione della malattia a distanza in quanto permette
l’adesione del batterio alla proteine della matrice extracellulare,
alle integrine ed ai glicosamminoglicani;
PROTEINA FLAGELLARE (41 kD);
LPS (endotossina).
220
CAPITOLO 6
Tale microrganismo viene trasmesso con la puntura di zecche del
genere IXODES (IXODES SCAPULARIS, Stati Uniti centrali ed
orientali; IXODES PACIFICUS, Stati Uniti occidentali; IXODES
PERSULCATUS, Asia; IXODES RICINUS, Europa).
CLINICA
Il quadro clinico evolve attraverso 2 fasi :
– FASE PRECOCE, che comprende un’infezione localizzata (I
stadio) ed un’infezione disseminata (II stadio), la cui patogenesi
sembra essere legata all’azione diretta della Borrelia;
– FASE TARDIVA (III stadio o infezione persistente). Durante
tale periodo, le diverse manifestazioni cliniche sembrano essere
innescate, più che dall’azione diretta del batterio, da una
RISPOSTA AUTOIMMUNE scatenata da Ag della Borrelia
basata sul MIMETISMO MOLECOLARE.
In condizioni normali, LFA-1(Ag 1 associato ai leucociti),
un’integrina espressa sulla superficie di linfociti, monociti, PMN,
e presentato dalle APC ai linfociti T tramite molecole HLA di
classe II viene ignorato dal sistema immunitario
(TOLLERANZA IMMUNITARIA VERSO IL SELF).
L‘omologia tra l’antigene della Borrelia OSP-A e LFA1, nei
soggetti predisposti geneticamente (HLADR4), può determinare
una reazione autoimmunitaria nei confronti di LFA1 e quindi
innescare un’artrite autoimmune.
I STADIO (infezione localizzata): caratterizzato dalla localizzazione
della Borrelia nella cute. Si manifesta con il caratteristico eritema
cronico migrante, linfoadenopatie e sintomi generali modesti.
L’eritema cronico migrante all’inizio è costituito da una piccola
maculopapula eritematosa che, poi, si estende (dai 3 ai 68 cm) fino a
formare una vasta lesione anulare a bordi tenuemente rilevati. Al
centro si nota, spesso, un’area indurita di colorito rosso acceso, o
invece francamente vescicolosa o anche necrotica (nerastra).
All’interno dell’area eritematosa originaria, in seguito, si possono
rinvenire altre, sempre di morfologia anulare. Queste manifestazioni
cutanee sono calde al termotatto, ma di regola non dolenti quindi
possono sfuggire facilmente. Le sedi più frequenti sono cosce, inguine
e ascelle, tronco. Compare da 3 a 32 giorni dopo il morso della zecca e
permane per alcune settimane. E’il principale indicatore clinico
221
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
della malattia. Spesso può risultare come un’infezione localizzata
indolente e quindi può rimanere misconosciuta.
(Fig. 12 – Eritema cronico migrante)
Nel II STADIO (infezione disseminata), caratterizzato dalla
disseminazione delle Borrelie attraverso il sangue, vengono interessati
diversi organi:
Sistema nervoso (15% dei pz.):
– meningoencefalite a liquor limpido (pleiocitosi liquorale
linfocitaria, circa 100 cell/mm3, con glicorrachia normale e
iperproteinorrachia)
– paralisi di Bell (paralisi dei nervi cranici, anche bilaterale,
soprattutto del Facciale)
– polineurite periferica.
L’interessamento neurologico dura diversi mesi ma tende a risolversi
completamente.
Cuore (8-10% dei pz.):
– blocco atrioventricolare (vari gradi di blocco AV)
– miopericardite
– lieve disfunzione ventricolare sx
– cardiomegalia (rara).
L’interessamento cardiaco è di solito breve (3 gg/6 settimane).
222
CAPITOLO 6
Cute:
– eritemi secondari (chiazze eritematose di morfologia anulare che
rassomigliano all’eritema cronico migrante, ma sono di solito più
piccole, migrano meno e non presentano centri induriti.)
– eritema diffuso orticarioide.
Apparato muscolo-scheletrico:
– dolore migrante alle articolazioni, ai tendini, osseo o ai muscoli
– brevi attacchi artritici.
Sist. linfatico: linfoadenopatia regionale o diffusa.
Occhi: irite, coroidite.
Fegato: epatite lieve, ricorrente.
Rene: ematuria microscopica, proteinuria.
Vie aeree: faringodinia, tosse.
Sintomi generali: malessere e stanchezza di grado rilevante.
III STADIO (infezione persistente):
In questo stadio i sintomi sono a carico principalmente di:
Apparato muscolo-scheletrico:
– artrite intermittente oligoarticolare asimmetrica che interessa
soprattutto le articolazioni maggiori e, in minor misura, le piccole
articolazioni;
– artrite cronica delle articolazioni maggiori che interessa una o
entrambe le ginocchia e che, nei soggetti predisposti
geneticamente, porta l’erosione della cartilagine e dell’osso.
Sistema nervoso:
– encefalopatia subdola che colpisce la memoria, il sonno ed il tono
dell’umore;
– encefalomielite (rara) che si manifesta con paraparesi spastica,
disfunzione vescicale, lesioni a livello della sost. bianca
periventricolare (ricorda il decorso della neurosifilide terziaria);
223
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
–
polineuropatia assonale (parestesie distali, dolore radicolare
spinale).
Cute:
acrodermite cronica atrofizzante (+++ donne anziane) caratterizzata da
lesioni cutanee localizzate a livello della superficie acrale delle braccia
e delle gambe, di colorazione rosso-violacea che con il passare del
tempo diventano sclerotiche o atrofiche.
DIAGNOSI
La diagnosi di malattia di LYME si basa sul riconoscimento delle
caratteristiche della malattia in un paziente con storia di possibile
esposizione all’agente causale, su test sierologici con ricerca degli
anticorpi specifici (ELISA, WESTERN BLOT), sulla coltura della
Borrelia nel terreno di Barbour-Stoenner-Kelly, che spesso risulta
risolutiva nelle biopsia delle lesioni cutanee ma che riesce di rado nel
materiale prelevato da altre sedi e sulla identificazione tramite PCR
del DNA spirochetale nel materiale prelevato (buoni risultati si
ottengono dal liquido sinoviale).
TERAPIA
In caso di artrite, eritema cronico migrante, acrodermite, blocco A-V
di I e II grado e di paralisi isolata del nervo facciale, la terapia è la
seguente:
1° scelta
età> 12 aa, no gravidanza ? DOXICICLINA 100 mg 2 volte/die/OS
età<12 aa ? AMOXICILLINA 50 mg/kg/die/OS
2° scelta
AMOXICILLINA 500 mg 3 volte/die/OS
(adulti)
3° scelta
CEFUROXIMA AXETILE 500 mg 2 volte/die/OS
(tutte le età)
4° scelta
ERITROMICINA 250 mg 4 volte/die/OS
(tutte le età)
224
CAPITOLO 6
La durata della terapia orale è di 20 giorni in caso di eritema cronico
migrante, 30 giorni in caso di acrodermite e infezione disseminata
precoce e 30-60 giorni in caso di artrite.
Nella meningite, nell’encefalopatia, nella polineuropatia e nel blocco
A-V di III grado, la terapia è la seguente:
1° scelta
CEFTRIAXONE 2 g/die/EV
2° scelta
CEFOTAXIMA 2 g ogni 8 h/EV
3° scelta
PENICILLINA G 5 milioni di U ogni 6 h/EV.
Sia in caso di interessamento neurologico che cardiaco, la terapia
dovrà essere proseguita per 30 giorni. Quando il paziente non presenta
più blocco A-V di grado elevato, si può passare alla terapia per OS.
Nelle fasi avanzate della malattia, in soggetti predisposti
geneticamente, si può avere una resistenza alla terapia antibiotica che,
pertanto, dovrà essere interrotta e sostituita con una terapia
immunosoppressiva.
Nel nostro 2° paziente la ricerca degli anticorpi anti Borrelia è
risultata positiva (ELISA, IgG 99 U/mL, IMMUNOBLOT IgG
positivo). Anche in questo caso non è stato possibile prelevare liquido
sinoviale.
Il paziente è stato trattato con DOXICICLINA (100 mg 2 volte/die/OS)
per 21 giorni.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
In entrambi i pazienti una valutazione superficiale dei dati ottenuti
durante il ricovero e la presenza in anamnesi di una storia di
iperuricemia, poteva indirizzare verso una diagnosi di gotta. Inoltre,
225
DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA
tale diagnosi, anche se possibile, non poteva essere confermata sia per
la mancata dimostrazione dei cristalli di UMS nel liquido sinoviale ma
anche per la presenza di altri motivi potenzialmente responsabili di
artrite.
Nel 1° caso clinico abbiamo riscontrato sia un’infezione da HCV che
da Endolimax Nana ma anche questa volta non confermabili in
quanto mancanti i dati per la diagnosi di certezza. Il paziente ha però
presentato un miglioramento del quadro clinico dopo terapia con
metronidazolo (diagnosi ex adiuvantibus di artrite da Endolimax
Nana?).
Nel 2° caso clinico la positività degli anticorpi contro la Borrelia
Burgdorferi ha consentito di effettuare la diagnosi di malattia di
Lyme.
BIBLIOGRAFIA
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Todesco – Gamberi, Malattie reumatiche, terza ed., McGrawHill 2002.
Harrison, Principi di Medicina Interna, prima ed. it. della
quattordicesima.
Cecil, Trattato di Medicina Interna, ventesima ed., Verducci editore.
Capitolo 7
Una febbre esotica
a cura del dott. Marco Barucco
ANAMNESI
ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA
La paziente è una donna, di 36 anni, giunta alla nostra osservazione
per la comparsa di una lesione bottonosa non dolente né pruriginosa
al livello del quadrante addominale inferiore sinistro. Tale lesione, nei
due giorni successivi è diventata dolente alla palpazione. La lesione è
stata accompagnata dalla comparsa di febbre elevata (39°c). Insieme
alla febbre compariva anche una tumefazione dolente in sede
inguinale.
La paziente, inoltre, riferiva un viaggio in Africa una settimana prima
dell’inizio della sintomatologia.
ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA
Ricorda esclusivamente un intervento di chirurgia plantare correttiva
nel 2004 ed una colica renale nel 1998.
ANAMNESI FISIOLOGICA
Nata a termine da parto eutocico. Allattamento materno. Menarca a 13
anni, cicli di ritorno normali per quantità, durata e frequenza.
Nullipara. Alvo regolare, diuresi fisiologica. Beve saltuariamente
alcolici, 4 caffè al giorno. Fuma da 19 anni 12 sigarette al giorno.
Nega allergie a farmaci e altri alimenti.
ANAMNESI FAMILIARE
Madre deceduta a 64 anni per K mammario. Padre di 64 anni,
iperteso. 1 sorella di 31 anni in apparente buona salute .
226
227
UNA FEBBRE ESOTICA
ESAME OBIETTIVO
ESAME GENERALE
Condizioni generali buone. Psiche lucida. Sensorio integro, facies
composita. Cute rosea, normoidratata. Mucose normoirrorate.
Presenza di lesione bottonosa circondata da zona iperemica a livello
del terzo inferiore del fianco SX dolente alla palpazione. Presenza di
3 linfonodi palpabili, aumentati di consistenza e volume mobili sui
piani sottostanti e dolenti alla palpazione in sede inguinale sinistra.
Linfonodo palapabile a livello del cavo ascellare sx, mobile e non
dolente.
CAPO E COLLO
Capo normoconfrormato e normoatteggiato. Globi oculari in asse
pupille isocoriche isocicliche, normoreagenti alla luce ad
all’accomodazione. Lingua impaniata, sporta in asse, presenza di afta
a livello del margine laterale sinistro, altra afta a livello della mucosa
buccale. Collo cilindrico, non dolente ai movimenti di attivi e passivi.
Assenza di rigor nucalis.
CUORE E VASI
Azione cardiaca ritmica, soffio sistolico 1/6 al centrum.
TORACE
Emitoraci simmetrici, normoespansibili. FVT normotrasmesso. SCP.
MV aspro.
ADDOME
Addome piano, trattabile, non dolente alla palpazione eccetto la zona
perilesionale. TEC come di norma. Peristalsi presente. Fegato
palpabile all’arcata costale, di consistenza normale. Murphy negativo.
Milza non palapabile. Giordano negativo, polsi periferici presenti e
validi.
228
CAPITOLO 7
ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI
I dati degli Esami di laboratorio non mostravano alterazioni di
particolare rilievo eccetto un innalzamento della percentuale dei
monociti:
Emocromo
RBC: 4510000/ml
HB: 13,4 g/dl
HCT: 38,8%
MCV:85,8 fl
MCH: 29,8 pg
WBC: 3000/ml
NEU: 47,4%
LINF: 37,5%
MON: 14,5%
EOS: 0,1%
BAS: 0,5%
PLT: 179000/ml
GLIC: 78 mg/dl
URIC: 2,19 mg/dl
BIL T: 1,31 mg/dl
BIL D: 0,3 mg/dl
FA: 120,8 U/l
AST: 25 U/l
ALT: 25U/l
gamma-GT: 14,2 U/l
CALCIO: 9,01 mg/dl
FOSFATI: 4,44 mg/dl
POTASSIO: 4,5 mEq/l
SODIO: 143 mEq/l
SIDEREMIA: 52,8mcg/dl
VES:16 mm/h
AZOT: 32 mg/dl
CREATININA: 0,9 mg/dl
INR: 0,97
PT: 12,1 sec
PTT: 0,91 RATIO
PTTs: 28,61 sec
FIBR: 437
Elettroforesi
Alb: 57%
alfa1:3,1%
alfa2: 10,8%
beta1:7,8%
beta2: 5%
gamma: 15,9%
PR. TOT: 6,9 g/dl
229
UNA FEBBRE ESOTICA
RAGIONAMENTO CLINICO
A questo punto la presentazione clinica della paziente può essere
riassunta in quattro Dati salienti:
Lesione cutanea
Febbre
Linfoadenopatia
Viaggio in Africa
Sulla base di questi quattro elementi significativi, emersi attraverso un
accurata raccolta dell’anamnesi ed un attento esame obiettivo si può
già formulare un razionale sospetto diagnostico.
L’insieme dei dati, infatti, porta logicamente a sospettare una
patologia infettiva trasmessa da un vettore (lesione da inoculo). Tale
riflessione ci ha portato ad approfondire in tal direzione l’indagine
anamnestica, dalla quale è emerso un ulteriore dato essenziale: la
paziente interrogata in merito, ha ricordato la puntura di una zecca.
A questo punto sono stati eseguiti gli esami laboratoristici, per
ricercare un infezione trasmessa da zecca.
ZECCHE – NOTE TASSONOMICHE
Le zecche fanno parte del Phylum Artropoda, Classe Aracnidi, Ordine
Acarina.
Si distinguono due famiglie: Ixodidae e Argasidae. Tale distinzione è
importante, essendo la maggior parte delle patologie trasmessa da
zecche della famiglia delle Ixodidae.
Le Ixodidae (Zecche dure) hanno un caratteristico scudo dorsale
chitinoso e in Italia comprendono 6 generi: Ixodes, Boophilus,
Hyalomna, Rhipicephalus, Dermacentor, Haemaphysalis.
Le Argasidae (Zecche molli) sono sprovviste di scudo dorsale, sono
presenti con due generi: Argas ed Ornithodorus
Il ciclo vitale si completa in un periodo di uno o più anni e passa
attraverso 4 stadi: uovo, larva, ninfa e adulto.
230
CAPITOLO 7
Solo attraverso il pasto di sangue mutano da uno stadio all’altro e le
femmine sono in grado di deporre le uova. In tutti gli stadi le zecche
per compiere il pasto si attaccano al primo ospite utile.
Le zecche assumono un pasto per stadio.
Gli stadi immaturi ed i maschi succhiano senza interruzione. Le
femmine si nutrono in due stadi: uno lento che dura per giorni, ed uno
finale rapidissimo, che si compie solo dopo la fecondazione.
Un esempio di zecca dura, tipico delle nostre zone è Ixodes ricinus.
Ha come ospiti tutti i mammiferi, e gli uccelli. Ha un ampia area di
distribuzione: Europa, Australia, Sud Africa in abitat a foresta densa e
frequentati da animali selvatici.Tende a localizzarsi alle ascelle,
inguine, muso, orecchie.
PUNTURA DI ZECCA – RIMOZIONE DEL PARASSITA
(linee guida dell’università dell’Ohio)
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Evitare di rimuovere la zecca con le mani nude; usare delle pinzette
o strumenti appositi. Se ciò non è possibile, usare guanti in lattice,
plastica o almeno un fazzoletto.
Se necessario, anestetizzare la zona con anestetico locale. Disporre
le pinzette o lo strumento attorno all’area dove la bocca entra nella
pelle.
Con movimento deciso ma lento tirare la zecca via. Non torcere,
stringere, schiacciare o pungere la zecca.
Dopo la rimozione mettere la zecca direttamente in un contenitore
sigillabile. Disinfettare la zona attorno alla lesione.
Tenere la zecca viva per un mese, nel caso si sviluppino sintomi di
malattia nel paziente
Alcune informazioni possono essere ricavate dall’esame della zecca
stessa:
Specie diverse di zecca trasmettono differenti patogeni. Quindi
conoscere la specie può essere utile per orientare la diagnosi
Livello di replezione: la trasmissione del patogeno non avviene
subito, la zecca deve rimanere attaccata per diverse ore. Per la
Febbre delle Montagne Rocciose 4-6 h, per il morbo di Lime 24-48
h, ecc. Il livello di replezione è un indicatore relativo della durata
del pasto ematico.
231
UNA FEBBRE ESOTICA
9.
Stato infettivo: ovviamente una zecca può trasmettere l’infezione
solo se è a sua volta infetta.
10. Una zecca che viene trovata semplicemente sulla pelle del soggetto
non può aver trasmesso l’infezione a meno che non appaia repleta.
In quel caso la zecca potrebbe essersi nutrita per giorni per staccarsi
ultimato il pasto.
L’opinione attuale è che, nel caso di puntura di zecca, il trattamento
antibiotico profilattico è da evitare. In assenza di sintomi gli esami sierologici
eseguiti immediatamente dopo la puntura sono inutili.
MALATTIE TRASMESSE DA ZECCHE
Le patologie trasmesse da zecche sono molteplici e non tutte
caratterizzate. Gli studi a riguardo fanno sì che vengano identificate
continuamente nuove malattie. Il seguente è un elenco certamente
non esaustivo delle più note:
♦
♦
♦
♦
♦
♦
♦
♦
♦
♦
♦
♦
Morbo di Lyme (Borrellia burgdorferi)
Febbre delle Montagne rocciose (Rickettsia rickettsii)
Febbre bottonosa (Rickettsia conorii)
Ehrlichiosi (Ehrlichia sennetsu, Anaplasma phagocytophilum,
Ehrlichia chaffeensis)
Rickettsialpox (Rickettsia akari)
African tick bite fever (Rickettsia afriche)
TIBOLA (Rickettsia slovaca)
Tularemia (Francisella tularensis)
TBRF (16 diverse Borrelie)
Paralisi da puntura di zecca (tossine delle specie Ixodes)
Babesiosi (Babesie)
Febbre da zecca del Colorado, Febbre emorragica di CrimeaCongo, Encefalite da puntura di zecca (Virus).
Tra queste si distingue per la sua origine non infettiva la Paralisi da
zecca.
È dovuta ad una neurotossina simile alla tossina botulinica che agisce
principalmente a livello delle giunzioni neuromuscolare e dei gangli
232
CAPITOLO 7
autonomici. presente nella saliva delle zecche del genere Ixodes
(Ixodes holocyclus).
La sua potenziale letalità e la gravità delle manifestazioni cliniche
fanno sì che vada conosciuta e considerata nel caso di pazienti
provenienti da zone endemiche (America, Australia).
Colpisce prevalentemente i bambini, ma sono riportati casi anche
negli adulti.
La presentazione clinica è caratterizzata da paralisi flaccida
ascendente, con forte riduzione dei riflessi tendinei, specialmente al
livello degli arti inferiori e caratteristico interessamento dei nervi
cranici con midriasi, oftalmoplegia, areattività pupillare. I pazienti
presentano, inoltre, obnubilamento del sensorio con rallentata attività
cerebrale all’EEG. Possono essere presenti vomito e paralisi vescicale.
La causa di morte più frequente è la paralisi respiratoria (sono riportati
anche casi di arresto cardiaco).
Caratteristico un peggioramento 24-48 ore dopo la rimozione della
zecca, che di solito viene trovata dietro l’orecchio.
Il recupero è completo, ma lento: diverse settimane. Altre possibili
Complicanze sono la Miocardite e la Miosite.
Per quel che riguarda l’approccio terapeutico è necessario effettuare
un accurata ricerca di altre zecche attraverso un attento esame clinico
e predisporre per un eventuale assistenza respiratoria. La terapia
farmacologica si basa sulla somministrazione dell’anti-tossina.
IPOTESI DIAGNOSTICHE
Tornando alla paziente è necessario tenere presente ed esaminare
brevemente quali sono le patologie che possono essere state contratte
attraverso il morso della zecca.
Tularemia
Causata da: Francisella tularensis. Gram negativo di 0,2x0,7mcm,
aerobio, intracellulare facoltativo. Può sopravvivere per mesi in fango,
acqua, e carcasse di animali. È trasmessa da: Dermatocentor
andersoni, variabilis, occidentalis, Ambylomma americanum. La
zecca trasmette la malattia pungendo zone di cute contaminate con le
proprie feci.
233
UNA FEBBRE ESOTICA
E’ estremamante infettante e il contagio può avvenire anche attraverso
inalazione di aerosol, ingestione di carni infette, e contatto con
carcasse attraverso lesioni cutanee (cacciatori).
PATOGENESI
Dopo l’inoculazione, si moltiplica localmente, formando entro 2-5
giorni una papula eritematosa, dolente e pruriginosa che evolve in un
ulcera con base nera. La diffusione ai linfonodi determina una
linfoadenopatia suppurativa. Attraverso la batteriemia può diffondere
agli organi distanti.
CLINICA
Si distinguono varie forme a seconda della modalita di ingresso del
patogeno. Tutte hanno in comuna febbre, cefalea, mialgie e artralgie:
♦
♦
♦
♦
♦
Tularemia ulceroghiandolare (o linfoghiandolare)
Tularemia oculoghiandolare
Tularemia orofaringea e gastrointestinale
Tularemia polmonare
Tularemia tifoidea
Altre manifestazioni sono: meningite, epatite, peritonite, endocardite,
osteomielite.
La forma più frequente è la linfoghiandolare con lesione ulcerativa e
linfoadenopatia. È la modalità tipica di presentazione nel caso di
ingresso percutaneo del patogeno.
DIAGNOSI
♦ Test di agglutinazione su provetta (=1:160)
♦ L’emocoltura è poco sensibile
TERAPIA
STREPTOMICINA
7,5-10 mg/kg ogni 12 ore per 7-10 giorni.
234
CAPITOLO 7
Malattia delle Montagne Rocciose
Rappresenta il paradigma delle febbri bottonose, di cui è la forma più
grave.
Causata da Rickettsia rickettsii, trasmessa da: Dermatocentor
variabilis, Dermatocentor andersoni, Rhipicephalus sanguineus,
Amblyomma cajennense.
Infetta l’uomo principalmente in primavera.
PATOGENESI
I germi vengono inoculati dopo 6 h dall’inizio del pasto. Diffondono
attraverso i linfatici ed i vasi ematici evengono internalizzati dalle
cellule endoteliali. Fuoriescono dal fagosoma e iniziano a replicarsi,
diffondendo da cellula a cellula.
Dopo 3-12 giorni si formano numerosi focolai di cellule endoteliali
infette che si manifestano come lesioni
Il germe diffonde anche alla muscolatura liscia vascolare,
determinando aumento della permeabilità, edema, emorragie,
ipovolemia.
CLINICA
Fase iniziale di circa 3 giorni con febbre, cefalea, malessere, mialgie,
nausea, vomito, anoressia.
Manifestazioni cutanee solitamente dopo almeno 3 gg. Con macule ai
polsi e alle caviglie che si estendono fino ad interessare le palme delle
mani e le piante dei piedi. In seguito da edema le macule diventano
maculopapule, che con la progressione diventano emorragiche al
centro. Nella metà dei casi invece si formano petecchie.
Possono esserci svariati segni di interessamento multiorganico:
Edema polmonare non cardiogeno: dovuto ad interessamento del
microcircolo polmonare
Aritmie: 16%. Per interessamento cardiaco.
Encefalite e Meningoencefalite: 25%. Confusione e letargia, che
evolvono verso stupore o
delirium, atassia, coma, convulsioni.
Paralisi dei nervi cranici, perdita dell’udito, vertigini, nistagmo, afasia,
clono del piede, Babinski, iperrreflessia, spasticità, fascicolazioni,
235
UNA FEBBRE ESOTICA
atetosi, vescica neurologica, emiplegia, paraplegia,
paralisi
completa.
Insufficienza renale: conseguente all’ipovolemia. Nei casi più gravi lo
shock può portare alla necrosi tubulare acuta
Sanguinamento: conseguenza del grave danno vascolare.
Potenzialmente letale. 30% anemia, 10% si rileva sangue nelle feci e
nel vomito.
LABORATORIO
Emocromo: numero normale di globuli bianchi,con aumento delle
cellule mieloidi immature.
Aumento delle proteine della fase acuta: PCR, Fibrinogeno, Ferritina
ecc.
Iponatremia: 56%. Da inappropriata secrezione di ADH.
Aumento di CPK: presenza di miosite.
Aumento di creatinina: IRA
Pleiocitosi liquorale: In caso di meningoencefalite. Solitamente con
predominanza di monociti. Con 10-100 cell/mcl, ma possono
essercene anche più di 100 con perdominanza di polimorfonucleati.
DIAGNOSI
♦ Esame immunoistochimico da biopsia cutanea: è l’unico esame
attendibile nella fase acuta.
♦ Immunofluorescenza indiretta: positivo tra il VII e il X giorno di
malattia.
♦ Agglutinazione su lattice: positivo una settimana dopo l’esordio.
♦ Weil-Felix: meno sensibile e specifico.
TERAPIA
DOXICICLINA: 200 mg/die in due dosi.
CLORAMFENICOLO (donne in gravidanza e bambini): 50-75 mg/kg/die.
236
CAPITOLO 7
Febbre bottonosa del Mediterraneo
Causata da Rickettsia colorii. Trasmessa da Rhipicephalus sanguineus.
È la forma nostrana di febbre bottonosa, presente nell’Europa
meridionale, in tutta l’Africa e nella parte sudoccidentale e
centromeridionale dell’Asia.
CLINICA
La presentazione clinica si basa su una triade semeiologica:
1) Febbre elevata
2) Eruzione cutanea bottonosa
3) Tache noire: tipica escara nerastra a livello del punto di inoculo.
DIAGNOSI
♦ Immunofluorescenza indiretta(IgM=1:64 o IgG=1:128)
♦ PCR su biopsia
♦ Weil-Felix
Strettamente collegate a tale patologia sono:
Febbre africana da morso di zecca: forma più lieve. Causata da
Rickettsia africae. Caratterizzata da 2-5 giorni di febbre e tache noire.
Febbre bottonosa giapponese: Rickettsia japonica. Febbre, eruzione
cutanea ed esacra nella zona di inoculo
TERAPIA
DOXICICLINA: 100 mg x 2 per 1-5 giorni
CIPROFLOXACINA: 750 mg x 2 per 5 giorni
237
UNA FEBBRE ESOTICA
Ehrlichiosi
Si distinguono due forme causate da due differenti patogeni:
♦ Ehrlichiosi monocitica
♦ Ehrlichiosi granulocitaria
Ehrlichiosi monocitaria
Causata da Ehrlichia caffeensis. Trasmessa dalla zecca stella solitaria:
Ambylomma americanum.
Presente in America, Europa e Africa
CLINICA
Solo 1/3 delle persone che presentano sieroconversione si ammala. Il
periodo di incubazione è di 9 giorni. La malattia dura per un periodo
medio di 23 giorni. Il 2-3% dei malati muore.
La sintomatologia clinica, non specifica comprende:
Febbre: 97%
Cefalea: 81%
Mialgie: 68%
Anoressia: 66%
Nausea: 48%
Vomito: 37%
Eruzione cutanea: 36%
Tosse: 26%
Faringite: 26%
Diarrea: 25%
Linfoadenopatia: 25%
Dolore addominale: 22%
Confusione mentale: 20%
Le possibili complicanze, nelle forme più severe sono: insufficienza
respiratoria
(possibili
infiltrati
polmonari),
interessamento
neurologico: convulsioni, coma, pleiocitosi liquorale, IRA, Emorragie
gastrointestinali, Infezioni opportunistiche.
LABORATORIO
Trombocitopenia
238
CAPITOLO 7
Leucopenia
Aumento di AST e ALT
Midollo osseo iperplastico: spesso con granulomi.
Inclusioni morulari da Ehrlichia nel midollo, milza, fegato, linfonodi,
polmone, rene e liquor.
Questi dati laboratoristici indicano un interessamento multisistemico.
DIAGNOSI
♦ Immunofluorescenza indiretta: durante la convalescenza. Ad un
titolo superiore o uguale a 64.
♦ PCR nel sangue: durante lo stadio acuto
Ehrlichiosi granulocitaria
Causata da Ehrlichia equi, pacificus, phagocytophila.Trasmessa da
diverse zecche del genere Ixodes. Presenta un picco di incidenza in
Giugno-Luglio.
CLINICA
Incubazione di 8 giorni. La durata della malattia è di circa 3-11
settimane con una mortalità del 5%. I pazienti presentano una
sintomatologia di tipo simil influenzale:
Febbre: 100%
vomito: 34%
Brividi: 98%
Tosse: 29%
Malessere: 98%Confusione: 17%
Cefalea: 85%
Nausea: 39%
Raramente eruzione cutanea e convulsioni.
Nelle forme severe è possibile riscontrare come complicanza la
presenza di polmonite fungina.
239
UNA FEBBRE ESOTICA
LABORATORIO
Trombocitopenia
Leucopenia
Anemia
Aumento di AST e ALT
Midollo ipercellulare o normale
DIAGNOSI
♦ Immunoflorescenza diretta: utile retrospettivamente, in
convalescenza
♦ Striscio periferico: può mostrare neutrofili contenenti vacuoli con
Ehrlichie.
♦ PCR sul sangue.
TERAPIA
DOXICICLINA: 100 mg due volte al giorno
RISULTATO ANALISI DELLA PAZIENTE
REAZIONE DI WEIL FELIX
positiva.
A questo punto il campo delle possibilità si restringe alle sole
rickettsiosi.
240
CAPITOLO 7
Rickettsiosi
Le infezioni da Rickettsie possono essere divise in 5 gruppi:
1: Febbri bottonose
2: Gruppo del Tifo
3: Tifo dei boschi
4: Ehrlichiosi
5: Febbre Q
Rickettsie: bacilli Gram-negativi, di dimensioni ridotte: 0,3x0,7mm.
Crescono esclusivamente all’interno di cellule eucariotiche, difficili da
coltivare. Si propagano da serbatoi animali e sono trasmesse all’uomo
da vettori.
Tra le febbri bottonose la Febbre delle montagne rocciose e la Febbre
bottonosa del mediterraneo ed il Rickettsialpox.
Rickettsialpox
Causata da Rickettsia akari. Trasmessa da un acaro che infesta i topi:
Liponyssoides sanguineus.
È caratterizzata da:
1. Lesione papulare a livello del morso: al centro si forma una
vescicola che si trasforma in una crosta nera, circondata da un
alone eritematoso.
2. Linfoadenopatia locoregionale
3. Sintomi influenzali: febbre, malessere, cefalea e mialgie, dopo 10
gg di incubazione.
4. Eruzione cutanea: dopo 2-6 gg. Maculare, evolve in papule,
vescicole, croste che guariscono senza cicatrici.
DIAGNOSI
♦ Immunofluorescenza indiretta: sieroconversione a titolo=1:64 o
titolo unico=1:128
241
UNA FEBBRE ESOTICA
TERAPIA
DOXICICLINA: 100 mg x 2 per 1-5 giorni
CIPROFLOXACINA: 750 mg x 2 per 5 giorni
CLORAMFENICOLO: 500 mg x 4 per 7-10 giorni
Le malattie del gruppo del tifo comprendono: Tifo murino, Tifo
epidemico, Tifo dei boschi trasmesso dagli acari.
Tifo murino
Causato da Rickettsia tiphi.
Trasmesso dalla pulce dei ratti: Xenopsylla cheopis.
L’infezione avviene attraverso le feci della zecca che penetrano
attraverso la puntura della pulce.
L’incubazione dura 8-16 gg.
CLINICA
Esordio brusco: febbre e brividi, nausea e vomito.
Eruzione cutanea: non in tutti i pazienti. Iniziale eruzione maculare
alle ascelle e nella superficie interna delle braccia. Successivamente
diviene maculopapulare e interessa il tronco. Raramente petecchiale,
raramente interessa volto, piante dei piedi e palme delle mani.
Frequente l’interessamento polmonare: 35% tosse insistente. 23%
polomonite interstiziale, versamento pleurico, infiltrati alveolari.
Altri segni e sintomi presenti con minor frequenza sono: dolore
addominale, confusione, stupor, convulsioni, atassia, ittero.
Le possibili complicanze sono: Insufficienza respiratoria, ematemesi,
emorragia cerebrale
Emolisi: in pazienti con favismo o con emoglobinopatie
LABORATORIO
Anemia e leucopenia: nelle fasi iniziali.
Leucocitosi
Trombocitopenia
242
CAPITOLO 7
Iponatremia
Ipoalbuminemia
Lieve aumento delle transaminasi
IR prerenale
DIGNOSI
♦ Immunofluorescenza indiretta: incremento di 4 volte fino a un
titolo =1:64 o titolo unico =1:128
♦ Immunoistochimica su biopsia cutanea
♦ PCR sul sangue.
TERAPIA
DOXICICLINA: 100 mg x 2 per 7-15 giorni
CLORAMFENICOLO: 500 mg x 4 per 7-15 giorni
Tifo epidemico
Causato da Rickettsia prowazekii. Trasmesso dal pidocchio del corpo:
Pediculus humanus corporis.
L’infezione avviene attraverso le feci del pidocchio che penetrano
attraverso la puntura del pidocchio. Si associa a povertà, freddo,
guerra e disastri e attualmente prevale nelle zone montagnose di
Africa, Sudamerica e Asia.
Incubazione di 1 settimana
CLINICA
Esordio brusco: prostrazione, cfalea, rapido incremento della
temperatura (38,8-40°C)
Eruzione cutanea: inizia al quinto giorno di febbre, a livello della parte
superiore del tronco. In seguito diviene generalizzata diffondendo a
tutto il corpo eccetto il volto le palme delle mani e le piante dei piedi.
Inizialmente è maculare, se non tarttata diviene maculopapulare,
petecchiale e confluente. In casi gravi può verificarsi necrosi cutanea e
gangrena delle dita.
Fotofobia e dolore oculare,
243
UNA FEBBRE ESOTICA
possibili complicanze sono: Insufficienza renale e manifestazioni
neurologiche: 12%.
La mortalità nei casi non trattati arriva fino al 40%.
DIAGNOSI
♦ Immunofluorescenza indiretta: titolo =1:128
TERAPIA
DOXICICLINA: 200 mg come singolo dose o fino a che il paziente
rimanga afebbrile per 24h.
Tifo dei boschi trasmesso dagli acari
Causato da Orientia tsutsuganushi. Trasmessa dagli acari del genere
Leptotrombidium
Le larve sole infestano gli animali.
Infezione endemica nell’Asia orientale e meriodionale, nell’Australia
settentrionale e nelle isole dell’oceano Pacifico occidentale.
Gravità variabile da forme lievi a mortali
CLINICA
Incubazione di 6-21 giorni.presenta una gravità variabile, da forme
lievi a risoluzione spontanea a forme fatali. La sintomatologia classica
è caratterizzata da:
1. Esordio brusco: febbre, cefalea, mialgie, tosse e sintomi
gastrointestinali.
2. Escara nel sito di inoculo e linfoadenopatia locoregionale: meno
del 50% dei casi.
3. Eruzione cutanea maculopapulare: al 4°-6° giorno. In meno del
40% dei casi.
Le possibili complicanze sono: Encefalite, polmonite interstiziale,
emolisi: nei casi di favismo.
244
CAPITOLO 7
DIAGNOSI
♦ Immunofluorescenze indiretta: titolo =1:200.
♦ PCR sul sangue.
TERAPIA
DOXICICLINA: 100 mg x 2 per 7-15 giorni
CLORAMFENICOLO: 500 mg x 4 per 7-15 giorni
Febbre Q
Causata da Coxiella burnetii. Caratterizzata dalla capacità di formare
spore. Può sopravvivere nel terre per un mese. Principali sorgenti :
bovini, ovini.
L’uomo si infetta ingerendo latte contaminato o respirando l’aerosol.
CLINICA
Febbre
Sintomi simil-influenzali
Polmonite
Epatite
Diarrea
Pericardite
Miocardite
Meningoencefalite
Nausea, vomito
Eruzione cutanea
Oltre a queste possono essere presenti anche manifestazioni meno
frequenti quali:
Neurite ottica
Guillain-barrè
245
UNA FEBBRE ESOTICA
SISADH
Orchite, epididimite
Priapismo
Anemia emolitica
Linfoadenopatia mediastinica
Pancreatite
Eritema nodoso
Panniculite mesenterica
Si distingue, inoltre una forma cronica, indice di endocardite,
caratterizzata da:
Vegetazioni visibili all’ecocardio transtoracico nel 12% dei casi.
Febbre spesso assente
Epato e/o splenomegalia
FR, VES aumentata, aumento PCR, aumento delle gammaglobuline
LABORATORIO
Piastrinopenia (25%)
Trombocitosi reattiva: durante la convalescenza
DIAGNOSI
♦ Ricerca di anticorpi tramite
♦ PCR su campioni bioptici
immunoflorescenza indiretta
TERAPIA
DOXICICLINA: 100 mg x 2 per 14 giorni
Nella forma cronica:
Aggiungere RIFAMPICINA: 300 mg/die e continuare il trattamento per
almeno 3 anni.
246
CAPITOLO 7
DIAGNOSI PROBABILE NELLA PAZIENTE
Sulla base della localizzazione geografica, e della presentazione
clinica caratterizzata da: Assenza di rash, Tache noire, scarsa
compromissione generale, è razionale supporre una diagnosi di
Febbre africana da morso di zecca. La nostra rimane, comunque,
una diagnosi prettamente clinica data la non disponibilità degli esami
laboratoristici che ci avrebbero permesso una diagnosi certa.
BIBLIOGRAFIA
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International Journal for Parasitology 1999.
Regassa A. The use of herbal preparations for tick control in western
Ethiopia.
Journal of the South African veterinary association-Tydskrif Van Die,
Suid Afrikaanse veterinere verenigin 71 (4): 240-243 DEC 2000.
Beugnet, F.a;Chardonnet, L. Tick resistance to pyrethroidsin
NewCaledonia. Veterinary Parasitology 1995.
Richard B. Hornick. Tularemia. In Drazen, Gill, Griggs, Kokko,
Mandell, Powell, Schafer, eds. CECIL Textbook of Medicine, W.B.
Saunders Company, Philadelphia, 2000, p.1876-1878.
Richard B. Hornick. Malattie trasmesse da rickettsie. In Drazen, Gill,
Griggs, Kokko, Mandell, Powell, Schafer, eds. CECIL Textbook of
Medicine, W.B. Saunders Company, Philadelphia, 2000, p.1950-1962.
Wayne X. Shadera, MD, & Samuel A. Shelburne, III, MD. Rickettsial
Diseases. In Lawrence M. Tierney Jr, Stephen J McPhee, Maxine A.
Papadakis, eds. Current Medical Diagnosis & Treatment, McGraw-Hill,
USA 2003, p.1337-1338.
Finito di stampare nel mese di dicembre del 2011
dalla « Ermes. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. »
00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15
per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma
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