Congresso delle sezioni di Psicologia per le
organizzazioni e Psicologia sociale
ABITARE ZONE DI CONFINE:
INCONTRI POSSIBILI TRA LA PSICOLOGIA SOCIALE,
PSICOLOGIA DEL LAVORO E DELLE ORGANIZZAZIONI,
TRA ACCADEMIA E REALTÀ SOCIALE
Padova 25-28 Settembre 2013
CON IL PATRICINIO DI:
FISPPA DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA, SOCIOLOGIA, PEDAGOGIA E
PSICOLOGIA APPLICATA
DPSS DIPARTIMENTO DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO E DELLA
SOCIALIZZAZIONE
SCUOLA DI PSICOLOGIA
Congresso delle sezioni di Psicologia per le organizzazioni e Psicologia sociale
ABITARE ZONE DI CONFINE:
INCONTRI POSSIBILI TRA LA PSICOLOGIA SOCIALE,
PSICOLOGIA DEL LAVORO E DELLE ORGANIZZAZIONI,
TRA ACCADEMIA E REALTÀ SOCIALE
COMITATO SCIENTIFICO PER LA SEZIONE DI PSICOLOGIA DELLE ORGANIZZAZIONI
SARA CERVAI
CLAUDIO CORTESE
MICHELA CORTINI
NICOLA DE CARLO
ROBERTA MAERAN
GIUSEPPE SCARATTI
LUCA VECCHIO
COMITATO SCIENTIFICO PER LA SEZIONE DI PSICOLOGIA SOCIALE
LUCIANO ARCURI
DORA CAPOZZA
LUIGI CASTELLI
BRUNO MAZZARA
MONICA RUBINI
MARGHERITA LANZ
ADRIANO ZAMPERINI
COMITATO ORGANIZZATIVO
ANDREA BOBBIO
LUCIANA CARRARO
PAOLO COTTONE
LAURA DAL CORSO
NICOLA DE CARLO
ALESSANDRA FALCO
ELISA MARIA GALLIANI
ROBERTA MAERAN
INES TESTONI
MICHELANGELO VIANELLO
ALESSIO VIENO
ALBERTO VOCI
CON IL PATRICINIO DI:
FISPPA DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA, SOCIOLOGIA, PEDAGOGIA E PSICOLOGIA APPLICATA
DPSS DIPARTIMENTO DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO E DELLA SOCIALIZZAZIONE
SCUOLA DI PSICOLOGIA
ISBN:88-86688-29-6
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Psicologia per le Organizzazioni
Programma
Mercoledì 25 settembre
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Atrio Aula Magna Psicologia
9.00
Registrazione partecipanti
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Aula Magna di Psicologia
Apertura dei lavori
Chair: Nicola A. De Carlo
Saluto del presidente dell’Ordine degli Psicologi del Veneto Marco Nicolussi
10.00
11.30
Azioni per il cambiamento
Pensiero positivo, nuovi codici del lavoro, performance.
Su tali temi discutono: Nicola A. De Carlo, direttore del CIRD – Centro Interdipartimentale sul Disagio
Lavorativo dell’Università di Padova; Daniela Carraro, direttore generale dell’ ULSS 4 della Regione del
Veneto; Marco Valente, direttore del personale della Banca Popolare di Vicenza.
!
Aula 2B
SESSIONE TEMATICA
BENESSERE E QUALITÀ DEI SERVIZI
Moderatore: Guido Sarchielli
!
11.30
13.30
Innovare la domanda di welfare. Un approccio multistakeholder.
S. Ivaldi
Il processo di patient health engagement: ingrediente per una reale
innovazione del sistema sanitario.
G. Graffigna, S. Barello,
A. C. Bosio
Di chi è l’ospedale? Le potenzialità dell’approccio etnografico nello
studio della medicina centrata sul paziente.
M. Gorli, E. G. Liberati,
G. Scaratti, L. Galuppo
F. Pace, V. Lo Cascio, E. Foddai,
G. Guzzo, L. Burrascano, D.
Gorgone, M. Tornabene
“Posso mostrare quello che provo?” La dissonanza emotiva e i suoi
effetti sul benessere.
Le determinanti del malessere e benessere organizzativo nei contesti
sanitari.
Aula 2A
C. Nardella, A. Aiello
SESSIONE TEMATICA
CRISI, DISOCCUPAZIONE E LAVORO ATIPICO
Moderatore: Luigi Ferrari
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Significati del lavoro e comportamenti di ricerca di un impiego: uno
studio su soggetti disoccupati.
11.30
13.30
!
L'organizzazione resiliente in tempi di crisi: una ricerca qualitativa
nella media impresa.
Il lavoro che cambia: un confronto tra i repertori discorsivi di
lavoratori tipici e atipici.
E. Ingusci, A. Manuti,
G. Tanucci
M. L. Giancaspro,
A. Manuti, G. Tanucci
B. Giacominelli
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Aula 2C
SESSIONE TEMATICA
STRESS LAVORATIVO E RISORSE ORGANIZZATIVE
Moderatore: Nicola A. De Carlo
11.30
13.30
Modello richieste-risorse lavorative ed esaurimento: la mediazione delle
esperienze di recovery.
Job insecurity e stress lavoro correlato: indagine in un’azienda
metalmeccanica.
Verso nuovi modi di operazionalizzare il costrutto del burnout: validità
fattoriale dello SBI nel settore sanitario ed educativo.
I
M. Molino, M. Zito
R. G. Zuffo, M. E. Maiolo,
S. Imperiali
D. Converso, S. Viotti,
I. Sottimano, R. Badagliacca,
P. R. Gil-Monte
11.30
13.30
Il ruolo di mediazione dell’interferenza lavoro-casa nella
relazione tra stressors e malessere psico-fisico: un
approccio multi-metodo.
D. Girardi,A. Falco, A. De
Carlo, L. Kravina, A. Piccirelli
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Lunch
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Aula 2A
SESSIONE TEMATICA
LEADERSHIP, PROCESSI DECISIONALI E TEAM
Moderatore: Claudio Cortese
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14.30
16.30
Stili di leadership, auto-sacrificio ed identificazione con il team.
S. Ruggieri
Leadership e comportamenti controproduttivi e di cittadinanza: il ruolo
di mediazione delle emozioni.
L’assessment dei gruppi di lavoro. Lo sviluppo dei team secondo il Group
Development Questionnaire.
I team mental models nella tattica sportiva. Due squadre di calcio a
confronto.
R. Fida, G. Urso, A. Bobbio,
M. Paciello, C. Tramontano
D. Malaguti, M. G. Mariani
M. Trizio, C. Occelli, A. Re,
T. Callari
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SIMPOSIO
MALATI DI LAVORO: PROSPETTIVE EMERGENTI SU CAUSE E CONSEGUENZE DEL “LAVORARE TROPPO”
Aula 2B
Proponente: Dina Guglielmi
14.30
16.30
Indagine sulla relazione tra dipendenza da lavoro (workaholism) e
correlati di salute autoriportati, eteroriportati ed oggettivamente
valutati.
C. Balducci, L. Avanzi,
F. Fraccaroli
Richieste lavorative e conflitto lavoro-famiglia: effetti di moderazione
delle esperienze di recovery.
M. Molino, C. Ghislieri,
C. G. Cortese, A. B. Bakker
Il workaholism come esito dell’interazione tra caratteristiche personali e
cultura overwork.
G. Mazzetti, W. B. Schaufeli,
D. Guglielmi
Attaccamento o senso del dovere? Al lavoro tra engagement, burnout e
presentismo.
S. Simbula, C. Panari
Presenteismo come catalizzatore delle reazioni di burnout: effetti sui
disturbi di salute e sulla performance.
C. Consiglio, G. Alessandri
Discussant
Luigi Ferrari
SIMPOSIO
METODI DI RICERCA PER LO STUDIO DEI CONSUMI ALIMENTARI TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
Aula 2D
Proponente: Vincenzo Russo
14.30
16.30
Food reputation map: la misura della reputazione dei cibi.
M. Bonaiuto, S. De Dominicis,
F. Fornara, F. Bonaiuto,
G. Carrus, L. Cicero, U. Ganucci
Cancellieri, I. Petruccelli
Priming, arousal e riduzione dei tempi di reazione delle fragranze
alimentari.
N. Olivero, E. Maggioni,
E. Gatti, C. Spence, C. Velasco
Tecniche di indagine neuropsicofisiologica e di tracciamento dello
sguardo per la misurazione degli stati emotivi, di attenzione.
M. Mauri, F. Onorati,
R. Barbieri, L. Mainardi, F.
Sirca, A. Missaglia, A. Oppo, A.
Ciceri, V. Russo
Il negozio dell’intersoggettività: dinamiche, brand-consumatore in
ambienti 2.0 a proposito di consumi alimentari.
C. Galimberti, E. Brivio,
I. Cazzulani, F. Gatti, C. Strada
Discussant
Piergiorgio Argentero
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II
Coffee Break
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SESSIONE TEMATICA
STRESS LAVORATIVO, SALUTE E INTERVENTI
Aula 2A
Moderatore: Franco Fraccaroli
17.00
19.00
Come fronteggiare lo stress lavoro-correlato con il biofeedback training:
uno studio pilota.
L. Dal Corso, D. Covre,
A. Di Sipio, N. A. De Carlo
Il ruolo del flow at work tra domande lavorative e disturbi psicosomatici.
M. Zito, L. Colombo,
C. G. Cortese
Il rischio di traumatizzazione vicaria nei vigili del fuoco: la mindfulness
come fattore di protezione.
I. Setti, P. Argentero
SESSIONE TEMATICA
SICUREZZA DELL’AMBIENTE DI LAVORO E DIVERSITY MANAGEMENT
Aula 2B
Moderatore: Massimo Bellotto
17.00
19.00
Comportamento di cittadinanza per la sicurezza: una ricerca crossculturale.
M. Curcuruto, M. G. Mariani,
S. Conchie
Azienda orientata al successo è sinonimo di zero infortuni? uno studio
qualitativo sulla gestione della sicurezza.
R. G. Zuffo, M. E. Maiolo
Clima di sicurezza di gruppo e performance di sicurezza: un SEM
multilivello.
M. Brondino, M. Pasini
Sviluppo di una scala per la valutazione del clima di diversità nel
contesto italiano.
A. Paolillo, M. Pasini,
P. Magnano, S. Silva
Organizzazioni sostenibili e diversity management.
T. Ramaci, G. Santisi,
S. Platania
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Giovedì 26 settembre
Aula 2D
9.00
11.00
Presentazione di Michela Cortini
Keynote speaker:
Michael West
(Professor of Organizational Psychology - Lancaster University Management School)
Nurturing organizational culture: Visions, Leaders and Teams
Coffee Break
SESSIONE TEMATICA
ERGONOMIA E SISTEMI COMPLESSI
Aula 2B
Moderatore: Alessandra Re
11.30
13.30
Una visione organizzazionale e sistemica del "trasferimento di
tecnologia".
A. Boldi, A. Brizio, M. Caccia,
F. Capozzi, A. Fantauzzi,
L. Paolucci, M. Tirassa
Intuizione e controllo di sistemi complessi.
S. Castelli, A. Berganton
Il foglio terapia unificato in un reparto di degenza. Questioni di usabilità
e di affidabilità.
T. C. Callari, A. Re
III
SESSIONE TEMATICA
SICUREZZA DELL’AMBIENTE DI LAVORO E DIVERSITY MANAGEMENT
Aula 2C
Moderatore: Giuseppe Scaratti
11.30
13.30
Accomodamenti lavorativi per favorire il successo lavorativo di persone
con schizofrenia.
P. Villotti, S. Zaniboni,
F. Fraccaroli
Back in the line. Reinserire operai con ridotta attività lavorativa nella
linea produttiva: un intervento di ergonomia partecipata.
M. Mottica, M. Borelli, F. Polo,
E. Quarin, G. Lorenzon,
S. Giacomini, S. Cervai
Effetto dei fattori psicosociali sul rientro lavorativo nei pazienti
cardiovascolari.
A. Gragnano, M. Miglioretti
L’insicurezza lavorativa può predire i comportamenti contro-produttivi?
Spiegazione cognitiva e affettiva a confronto.
B. Piccoli, M. Bellotto
SESSIONE TEMATICA
COMUNICAZIONE E COMPORTAMENTI DI CONSUMO
Aula 2D
Moderatore: Marco Depolo
11.30
13.30
L’uso dello stereotipo di genere in pubblicità.
F. R. Puggelli, M. Bertolotti,
C. Bidorini
Giovani consumatori e incidenza dello stile di vita nella determinante di
scelta del brand.
S. Platania, G. Santisi, Z. Hichy,
C. Vullo
Le capacità predittive del consumer sentiment e la crisi economicofinanziaria.
E. Lozza, A. C. Bosio
Consumi alimentari e comportamenti culturali: un confronto tra famiglie
italiane e straniere dell’area metropolitana di Milano.
M. Bustreo, B. Ghiringhelli,
L. Milani, V. Russo
I candidati in selezione come risorsa per l’employer branding: una
ricerca presso il Gruppo Amadori.
M. Cortini, F. Barnabè,
S. Fabbri, P. De Gregorio,
C. Monaco
Lunch
SESSIONE TEMATICA
MOTIVAZIONE E SODDISFAZIONE NEL LAVORO E IDENTITÀ PROFESSIONALE
Aula 2D
Moderatore: Vincenzo Majer
14.30
16.00
16.00
16.30
Un modello di moderazione mediata nella relazione tra tipologia
contrattuale e soddisfazione lavorativa.
F. Urbini, A. Callea,
A. Chirumbolo, E. Ingusci
L’atteggiamento metacognitivo come predittore della motivazione al
lavoro negli insegnanti.
P. Magnano, T. Ramaci,
M. Alario
Capitale psicologico: quale ruolo nel processo motivazionale?
M. Vignoli, G. Mazzetti, I. Bruni,
M. Depolo
Il valore dell’identificazione nell’organizzazione: identificazione e
commitment affettivo come predittori dell’intenzione al turnover.
C. Sciangula, V. Russo,
M. Brondino
La percezione delle competenze psicologiche da parte degli studenti
tirocinanti: l’utilizzo del practicum competences outline
G. Esposito, V. Bosco,
M. F. Freda
Efficacia di dispositivi formativi elaborativo-riflessivi in interventi
orientati allo sviluppo dell’identità professionale in studenti.
G. Venza, G. Falgares,
G. Cascio
SESSIONE POSTER
IV
Coffee Break
Aula Magna di Psicologia
Assemblea – Premiazione tesi di dottorato
17.00
Cena Sociale 20.30
Venerdì 27 settembre
Saluti delle Autorità – introduce Luciano Arcuri
Aula 2D
9.00
11.00
Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Padova
Giuseppe Zaccaria
Direttore del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata
Vincenzo Milanesi
Direttore del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione
Massimo Santinello
EVENTO COMUNE ALLE SEZIONI di Psicologia Sociale e Psicologia per le Organizzazioni
Rilevanza del settore 11/E3: riflessioni su scenari attuali e prospettive future.
Moderatore: Giuseppe Scaratti
Relatori: Albino Claudio Bosio, Marco Depolo, Bruno Mazzara, Camillo Regalia
Coffee Break
SIMPOSIO
PSICOLOGIA SOCIALE E DEL LAVORO SI CONNETTONO ALL’UNIVERSO LGBTIQ
Aula 2C
Proponente: Angelo Benozzo
11.30
13.30
Differenze in coming out, percezione di discriminazioni e di supporto
sociale in 932 lavoratori italiani omosessuali.
R. Sartori
Transgendering jail: il discorso della violenza di genere nel (con)testo
carcerario
A. Hochdorn, B. V. Camargo,
P. F. Cottone
Uscire dal coming out: variazioni discorsive nelle performance identitarie
di uomini gay.
A. Benozzo, M. C. Pizzorno
Pratiche di iniquità ai danni dei lavoratori LGBT all’interno delle imprese
sociali.
D. Lasio, S. De Simone,
V. Priola, F. Serri
Discussant
Adriano Zamperini
V
SIMPOSIO
PROMUOVERE L’OCCUPABILITÀ IN TEMPO DI CRISI
Aula 2B
Proponente: Maria Elena Magrin
11.30
13.30
11.30
13.30
Sistemi di servizi a sostegno dell’occupabilità: il caso delle agenzie di
somministrazione.
D. Cavenago, M. Martini
Homo faber cursus ipsius: il contratto psicologico dei lavoratori versatili
e senza confini e gli effetti sul commitment e i comportamenti di
cittadinanza organizzativa.
A. Lo Presti, A. Manuti
Sviluppare risorse psicologiche per favorire l’occupabilità.
M. E. Magrin, C. Monticelli,
M. Scrignaro, S. Gheno
Disoccupazione e ricerca del lavoro: quanto contano le percezioni di
employability?
S. Gilardi, C. Guglielmetti,
F. De Battisti, E. Siletti
La formazione a supporto dell’employability in cassa integrazione: uno
studio sui cassa integrati in deroga della Regione Marche.
M. Cortini, F. Varagona,
F. De Luca
Discussant
Giancarlo Tanucci
Lunch
PROGRAMMA SEZIONE POSTER
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Titolo
Autori
LA MAPPATURA DELLE COMPETENZE DI RUOLO NEL CONTESTO
SANITARIO: UNA RICERCA SUI MEDICI CHE LAVORANO NELLE
STRUTTURE PROTETTE
E. Alfieri, C. Panar, W. Levati, P. Bonati
SOSTEGNO ED EFFICACIA COLLETTIVA COME MEDIATORI IN SERIE
DEL LEGAME FRA IDENTIFCAZIONE ORGANIZZATIVA E BURNOUT
L. Avanzi, F. Fraccaroli, R. van Dick,
S. C. Schuh
MOBBING E REINSERIMENTO AL LAVORO. UNO STUDIO ESPLORATIVO
M. Boscherini, F. Dazzi, T. C. Callari
IL COACHING E IL CASO DI UNA FUSIONE DI DUE SQUADRE DI
PALLAVOLO
A. Bovino, R. Gonella, R. Zarnolli, T. C.
Callari
PROMOZIONE DI UN ACTIVE HEALTHY AGING: IL RUOLO DEL PEOPLE
HEALTH ENGAGEMENT
D. Bussolin, G. Graffigna, S. Barello, A.C.
Bosio
ADATTAMENTO ITALIANO DELL’ ORGANIZATIONAL EFFICACY SCALE
DI BOHN PER LA RILEVAZIONE DELL’EFFICACIA ORGANIZZATIVA
PERCEPITA NELLE ORGANIZZAZIONI PRODUTTIVE
V. Capone, G. Petrillo
ARMIAMOCI E PARTIAMO: VALUTAZIONI DI MANAGEMENT E
DIPENDENTI A CONFRONTO SULLE STRATEGIE AZIENDALI PER
AFFRONTARE LA CRISI
A. Carrieri, S. Tria, S. Deluca
LA RELAZIONE TRA PRECARIETÀ DI VITA, SALUTE E BENESSERE
PSICOSOCIALE.
D. Caso, A. Callea, F. Urbini,
UN APPROCCIO AGENT BASED MODEL PER LO STUDIO DEL
COMPORTAMENTO PROSOCIALE NELLE ORGANIZZAZIONI
A. Ceschi, D. Hysenbelli, R. Sartori, X. Sang
L’IMPATTO DELLA TECNOLOGIA SULLA FRUIZIONE
CINEMATOGRAFICA
IL FLOW AT WORK NEI GIORNALISTI: DIFFERENZE TRA LAVORATORI
DIPENDENTI E FREE LANCE
V. Chiantese, A. Marchisio, F. Scialabba, T. C.
Callari
L. Colombo, F. Emanuel
C. G. Cortese, M. Molino, C. Ghislieri, M.
Cantamessa, A. Colombelli, E. Paolucci, M.
Carossa, A. Carpaneto, A. Mercuri
START-UP DI SUCCESSO: IL RUOLO DEL CAPITALE UMANO
VI
L’UNIONE FA LA FORZA? GLI EFFETTI DEL LAVORO DI GRUPPO SU
BENESSERE E SODDISFAZIONE LAVORATIVA
D. D’Augusto, M. Cortini
CANTINE E INTERNET, IL SITO WEB COME STRUMENTO DI
MARKETING INTEGRATO NEL MONDO DEL VINO. UN’ANALISI
ESPLORATIVA DEI PRINCIPALI SITI DELLE CANTINE ABRUZZESI
D. D’Ignazio, S. Tria, F. Centinaro
TECNOLOGIA E RISTORAZIONE: UNO STUDIO ESPLORATIVO
D. Daverio, F. Digioia, T. C. Callari
ANTECEDENTI E CONSEGUENTI DELL’EMPLOYABILITY
ORIENTATION:UN CONTRIBUTO DI RICERCA SUI LAVORATORI
MATURI
V. Depergola, A. Manuti, G. Tanucci, M. L.
Giancaspro
DALLA RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA AL REINSERIMENTO
LAVORATIVO: ALCUNE DETERMINANTI DELLA SODDISFAZIONE
LAVORATIVA
COMUNICAZIONE INTERNA, RUOLI ORGANIZZATIVI E PROCESSI
DECISIONALI
E. Fiabane, I. Giorgi, P. Argentero
Z. Filippi, A. Nocera, M. Bellotto, S. Cordioli
BENESSERE/MALESSERE DEGLI INSEGNANTI: FATTORI PROTETTIVI E
DI RISCHIO A LIVELLO INDIVIDUALE, GRUPPALE E ORGANIZZATIVO
C. Gozzoli, D. Frascaroli, C. D'Angelo
LA CUSTOMER SATISFACTION COME STRUMENTO DI CAMBIAMENTO
ORGANIZZATIVO. UNO STUDIO SU 5 AZIENDE SANITARIE DELLA
CITTA' DI MILANO
D. Jabes, V. Russo
L’INNOVAZIONE NEI PROCESSI DI RECLUTAMENTO: IL RUOLO DEL
SOCIAL RECRUITING
SVILUPPARE UNA CULTURA VALUTATIVA NELLA FORMAZIONE:
PERCORSI POSSIBILI
CONTRIBUTO ALL’ADATTAMENTO ITALIANO DELLE SCALE SUL
BENESSERE AFFETTIVO DI WARR
TERZA MISSIONE DELLE UNIVERSITÀ E IMPRENDITORIALITÀ
ACCADEMICA
E. Lanzone, G. Bellandi, A. Aiello
C. Libreri, G. Scaratti, E. Lozza
V. Lo Cascio, A. Civilleri, G. Guzzo, E. Foddai
V. Sanfratello, F. Pace
M. Loi, M. C. Di Guardo
LA RELAZIONE FRANCHISEE E FRANCHISOR: QUANDO VINCOLI E
DISCREZIONALITÀ SI ALLINEANO CON LE ESIGENZE DELL’UTENZA
M. Marinò, D. Ioudioux, T. C. Callari
SVILUPPO E PRIME ANALISI PER LA VALIDAZIONE DI UNA SCALA DI
GRATITUDINE DEI PAZIENTI/CLIENTI
M. Martini, D. Converso
PROCESSI DI SVILUPPO E STILI DI APPRENDIMENTO
A. Nocera, Z. Filippi, M. Bellotto, S. Cordioli
IL RUOLO DELLE MOTIVAZIONI NEL LAVORO VOLONTARIO
M. Noto, G. D’Aleo, C. Lo Sicco
PSICOLOGIA ED IMPRENDITORIA: UN EXCURSUS SULLA TEORIA
DELL'EFFECTUAL REASONING
S. Pinato, R. Maeran
UN PATTO PER L'AMBIENTE: UNO STUDIO ESPLORATIVO SUL
MERCATO A KM 0
R. Romano, G. Genovese, T. C. Callari
UN PRIMO CONTRIBUTO ALLA VALIDAZIONE ITALIANA DEL CAREER
ORIENTATION INVENTORY (COI) DI E. SCHEIN
V. Sanfratello, A. Civilleri, G. Di Stefano
MOTIVAZIONE AL LAVORO E COMMITMENT: UNA RICERCA SU 159
LAVORATORI METALMECCANICI
R. Sartori, A. Ceschi, G. Pozzi, A. Battistelli
"PARLARE" DI FOLLOWERSHIP: UN'ESPLORAZIONE QUALITATIVA
M. Tartari, G. C. Cortese
LA SOCIALIZZAZIONE ORGANIZZATIVA: RUOLO DELL’ALLINEAMENTO
VALORIALE FRA NEO-ASSUNTO E ORGANIZZAZIONE
M. Tomietto, C. M. Rappagliosi, A. Battistelli
DALLA CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY ALLA CONSUMER
SOCIAL RESPONSIBILITY: UNO STUDIO ESPLORATIVO
S. Tria
LEADERSHIP E COMPORTAMENTI CONTROPRODUTTIVI NEL
CONTESTO INFERMIERISTICO: IL RUOLO DEL DISIMPEGNO MORALE
G. Urso, R. Fida, M. Paciello, A. Sili,
A. Bobbio
VII
Psicologia Sociale
Programma!
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Giovedì 26 settembre
Atrio Aula Magna di Psicologia
9.00
Registrazione partecipanti
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Aula Magna di Psicologia
Apertura dei lavori
11.00
13.30
Presentazione di Alberta Contarello e Alberto Voci
Keynote speaker:
Miles Hewstone
(Department of Experimental Psychology - University of Oxford)
Intergroup contact and the reduction of prejudice and conflict
Lunch
Aula 3G
SIMPOSIO
MODELLI DI SOCIALIZZAZIONE E TRASMISSIONE DI STEREOTIPI
Proponente: Silvia Galdi, Carlo Tomasetto
14.30
16.30
Aula 2E
La trasmissione degli stereotipi di genere sulla matematica all'interno
della famiglia: il ruolo dei padri.
S. Galdi, A. Mirisola
Stereotipi dei genitori e percezione di competenza in matematica dei figli
in prima elementare: un modello di socializzazione di genere.
C. Tomasetto, S. Galdi
La trasmissione intergenerazionale del contenuto degli stereotipi.
Tale padre e tale figlio: i comportamenti dei genitori nei confronti delle
scelte orientative dei figli.
Le bambine sono intelligenti e brillanti, i bambini svogliati e indisciplinati.
“Gender evaluation bias” nella scuola primaria.
Discussant
S. Boca
D. Guglielmi, R. Chiesa
M. Rubini, M. Menegatti
Luciano Arcuri
SESSIONE TEMATICA
AMBITI SOCIALI E PROSPETTIVE DI BENESSERE
Moderatore: Francesca Emiliani
14.30
16.30
Aula 2C
Uso e abuso di Internet: implicazioni sul benessere psicosociale in
adolescenza.
D. Caso
Verso una prospettiva di lavoro sul benessere nei diversi livelli formativi.
E. Lodi, A. Bussu, G. L. Lepri,
P. Patrizi
La valutazione psicosociale di un’app per il benessere: il caso Yukendu.
F. Gatti, E. Brivio, C. Galimberti
Promuovere il benessere nelle famiglie adottive con figli adolescenti e
giovani adulti: quale il contributo di madri e padri?
Il benessere degli operatori sanitari: appartenenza all’azienda
ospedaliera, efficacia collettiva e sostegno sociale.
S. Ranieri, L. Ferrari, R.
Rosnati, D. Barni
V. Capone, G. Petrillo
SESSIONE TEMATICA
RELAZIONI DI COPPIA
Moderatore: Camillo Regalia
14.30
16.30
La violenza intima nella sfera pubblica: indagine comparata delle
rappresentazioni del fenomeno nella stampa italiana e inglese.
A. Dal Secco
Relazione di coppia e malattia cardiaca acuta.
A. Bertoni, B. A. Lattuada
Tentativi di capitalizzazione all’interno della relazione di coppia: il
contributo del diary method.
R. Iafrate, A. F. Pagani, S.
Donato
Non basta (dire di) fare… Il ruolo delle percezioni nel coping diadico.
S. Donato, M. Parise, A. Bertoni
IX
SESSIONE TEMATICA
CREDENZE E PROCESSI COGNITIVI
Aula 3H
14.30
16.30
Aula 2A
Moderatore: Giuseppe Pantaleo
Non sono io, è il mio cervello! Effetti sociali e neurocognitivi del
riduzionismo della mente.
D. Rigoni
Validazione italiana della Paranormal Beliefs Scale di Tobacyk .
G. Petrillo, A. R. Donizzetti
Si negozia necessariamente male quando si è stanchi? Deplezione delle
funzioni esecutive e prestazioni complesse.
Gli antecedenti della performance creativa dei gruppi: bisogni personali
o collettivi?
M. Giacomantonio, F. S. Ten
Velden, C.K.W. De Dreu
T. Alioto, M. Rubini, M.
Menegatti
SESSIONE TEMATICA
POLITICA, DEMOCRAZIA E ORDINE SOCIALE
Moderatore: Anna Maria Manganelli
Minaccia sociale, controllo compensatorio e autoritarismo di destra.
14.30
16.30
Aula 2B
Fa' la cosa giusta! Uno studio sulle rappresentazioni sociali di
obbedienza e disobbedienza.
Politicizzazione dell’identità e discussione online: una ricerca su giovani
attivisti di movimenti e partiti.
Democrazia e attivismo politico: l'effetto della percezione di scelta sulla
disponibilità a protestare.
A. Mirisola, M. Roccato, S.
Russo, G. Spagna, A. Vieno
M. Pozzi, F. Fattori, P. Guiddi
P. Milesi, A. I. Alberici
S. Passini
SIMPOSIO
ANTECEDENTI, TIPOLOGIE E CONSEGUENZE DEL CONTATTO INTERGRUPPI: NUOVE PROSPETTIVE DI
RICERCA
Proponente: Alberto Voci, Loris Vezzali
Amicizie intergruppi e atteggiamento positivo verso la scuola: il ruolo
moderatore dell’identità etnica.
Il ruolo delle aspettative nel contatto intergruppi.
14.30
16.30
Stile di attaccamento e contatto intergruppi: la sicurezza promuove il
contatto con l'outgroup.
Contatto intergruppi ed effetti di trasferimento secondario: una
questione di differenze individuali?
Interactive effects of positive and negative contact: a plea to postpone
premature pessimism.
Contatto intergruppi e attribuzioni di umanità: rapporto di causalità unio bidirezionale?
Discussant
P. Cardinali, L. Migliorini, L.
Andrighetto, N. Rania
D. Giovannini, L. Vezzali, L. De
Zorzi Poggioli
G. Boccato, D. Capozza, E.
Trifiletti
A. Voci
M. Hewstone
D. Capozza, G. A. Di Bernardo,
R. Falvo
Chiara Volpato
Coffee Break
Aula 2D
SIMPOSIO
PROCESSI DI ELABORAZIONE PERSONALE E SOCIALE DELLA VIOLENZA: IL CASO DEGLI “ANNI DI
PIOMBO” IN ITALIA
Proponente: Camillo Regalia
17.00
19.00
Riconciliazione socio-emotiva attraverso i racconti dei figli delle vittime
di terrorismo negli anni di piombo.
F. Procentese, C. Arcidiacono,
M. Esposito
La ferita degli anni di piombo: percezioni generazionali a confronto.
S. Pelucchi, M. Brambilla
C. Regalia, F. G. Paleari,
C. Manzi
Anni di piombo e perdono: una via percorribile?
Inchiesta, testimonianza, reinterpretazione. Cambiamenti nel racconto
degli anni di piombo nei documentari della tv pubblica.
X
A. Roseti, N. Del Conte,
M. Pochesci, A. Sammartini,
G. Leone
17.00
19.00
Aula 2C
Cosa resta degli anni di piombo. Un’esplorazione di rappresentazioni
sociali e conoscenze fattuali di giovani adulti italiani.
G. Leone, M. Sarrica
Discussant
Adriano Zamperini
SESSIONE TEMATICA
IDENTITA’ E PROCESSI SOCIALI
Moderatore: Monica Rubini
Il ruolo dell’identità sociale come mediatore tra insicurezza lavorativa e
work engagement.
Contatto immaginato e comunicazione interculturale: uno studio con
studenti Erasmus.
17.00
19.00
Uomini e donne in condizioni di incertezza: risparmiare per sé o investire
per il proprio gruppo?
Siamo sempre preoccupati per la nostra reputazione? Studi sull’influenza
dell’entitatività sulla gestione della reputazione.
Surfing the e-self: tra identità online e identità offline nei MOORPG.
Aula 3H
17.00
19.00
A. Chirumbolo
L. Vezzali, D. Giovannini,
G. Davolio, L. De Zorzi Poggioli,
M. d. S. Omedas.
L. Mannetti. M. Giacomantonio,
P. Mele
N. Cavazza, M. Guidetti, S.
Pagliaro
C. Cilardo, A. Gandolfi, T.
Mancini
SESSIONE TEMATICA
LEGAMI FAMILIARI TRA RISCHIO E SOSTEGNO
Moderatore: Dino Giovannini
La misurazione della giustizia procedurale nel contesto familiare: uno
studio di validazione italiana.
E. De Angeli
Famiglie detenute: esperienze di gruppi di parola a sostegno delle
relazioni familiari.
I. Marinelli, D. Pajardi, T.
Maiorano, D. Gangi, D. Musso,
E. Cannini, C. Albini
Separazioni conflittuali e legame genitori-figli tra prevenzione e
intervento.
D. Pajardi, I. Marinelli, M. Vagni
I “neet” italiani: relazioni familiari, aspettative per il futuro, fiducia nelle
istituzioni.
S. Alfieri, E. Marta, D. Marzana,
E. Sironi, A. Rosina, G. Aresi
SESSIONE TEMATICA
INFRAUMANIZZAZIONE E OGGETTIVAZIONE
Aula 2A
Moderatore: Jeroen Vaes
Il ruolo della partecipazione ad una relazione nell’infraumanizzazione
dell’outgroup.
17.00
19.00
Aula 2E
L’oggettivazione al lavoro: i fattori antecedenti.
Gli immigrati non sono tutti umani: il processo di ontologizzazione di
zingari, rumeni e cinesi.
La percezione di instabilità e legittimità delle differenze di status può
favorire il bias di infraumanizzazione?
M. Pivetti
S. Russo, C. O. Mosso
SESSIONE TEMATICA
EMOZIONI E PROCESSI SOCIALI
Moderatore: Mauro Giacomantonio
How do you feel?: l'influenza dell'umore sul need for affect nella
comunicazione persuasiva.
Incrementare l’empatia: effetto di un training basato sul riconoscimento
emotivo.
17.00
19.00
A. Louceiro, M. P. Paladino, S.
Waldzus
C. Baldissarri, L. Andrighetto,
C. Volpato
Il gioco d'azzardo problematico: il ruolo dei fattori cognitivi ed affettivi in
un campione di studenti universitari.
Effetti paradossali del tempo d’attesa sull’attrazione provata nei
confronti di un gadget promozionale.
XI
A. Aquino, D. Paolini,
F. R. Alparone
N. Canessa, G. Pantaleo,
A. Dodich, S. Cappa
N. Canale, C., Verzeletti,
G. Cavallari, M. Pastore,
M. Santinello
M. Croci, E., Cernuschi,
S. Visentin, M. P. Marchese,
S. Cavedoni, A. Rossi
Aula 3G
SIMPOSIO
INNOVATIVE HEALTH: UNA SFIDA PER LA RICERCA E L’INTERVENTO PSICOLOGICI
Proponente: Cristina Stefanile
La valenza riabilitativa della psicologia della salute.
17.00
19.00
La vita prevedibile: uno studio qualitativo su donne giovani sane che si
sono sottoposte al test genetico BRCA.
Cosa considerare come “malattia rilevante” nella fase di anamnesi? Le
diverse prospettive di oncologo e pazienti/familiari e lo sviluppo di una
comprensione condivisa.
Forme di regolazione della distanza con il paziente nell’assistenza
infermieristica ospedaliera.
L’équipe multidisciplinare nella terapia del dolore: il ruolo dello
psicologo.
Discussant
S. Sirigatti
N. Rania, L. Migliorini
C. Zucchermaglio, F. Alby, M.
Fatigante, M.Baruzzo
E. Trifiletti, M. Pedrazza, S.
Berlanda
C. Stefanile, A. R. De Gaudio,
P. Geppetti, I. Lanini
Dora Capozza
Venerdì 27 settembre
Saluti delle Autorità – introduce Luciano Arcuri
Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Padova
Giuseppe Zaccaria
Direttore del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata
Vincenzo Milanesi
Direttore del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione
Massimo Santinello
Aula 2D
9.00
11.00
EVENTO COMUNE ALLE SEZIONI di Psicologia Sociale e Psicologia per le Organizzazioni
Rilevanza del settore 11/E3: riflessioni su scenari attuali e prospettive future.
Moderatore: Giuseppe Scaratti
Relatori: Albino Claudio Bosio, Marco Depolo, Bruno Mazzara, Camillo Regalia
Coffee Break
SIMPOSIO
LE RAPPRESENTAZIONI DEL SOCIALE
Aula 2D
11.30
13.30
Proponente: Ida Galli
Dal lettino dello psicanalista ai social networks: “La Psychanalyse, son
image et son public”: 50 anni dopo.
Scienza ufficiale, scienza alternativa e concezioni ingenue: un’analisi del
contenuto dei social media dopo il terremoto dell’Aquila.
Le rappresentazioni sociali della crisi economica in Italia ed in Grecia:
un’analisi comparativa.
La reputazione della città come rappresentazione.
Quale rapporto tra rappresentazioni a livello societario e locale? Una
riflessione sul tema della sostenibilità energetica.
Malattia cronica e rappresentazioni sociali: dai romanzi autobiografici
agli articoli scientifici.
Discussant
A. S. de Rosa, E. Fino, E. Bocci
C. Berti, M. Pivetti
I. Galli, A. Liguori, R. Fasanelli
R. Troffa, E. Molinario, M.
Bonnes, M. Bonaiuto
M. Sarrica, S. Brondi, G.
Ferruta
F. Emiliani, S. Potì
Alberta Contarello
XII
Aula 2E
SESSIONE TEMATICA
PROCESSI PSICOSOCIALI E ORGANIZZAZIONI
Moderatore: Lucia Mannetti
11.30
13.30
Aula 3I
Rischi psicosociali e strategie di coping in ambito scolastico.
C. Nardella, A. Aiello
Modi regolatori e successo imprenditoriale. Un modello di mediazione
con l’alertness.
Discrepanza tra atteggiamenti impliciti ed espliciti verso
un’organizzazione.
II lavoro dello psicologo dal punto di vista degli studenti universitari:
una ricerca quali-quantitativa.
B. Barbieri, C. Amato, A. Pierro,
R.A. Baron
C. Zogmaister
F. Tuccillo, S. Scotto di Luzio
SESSIONE TEMATICA
SOCIETÀ CIVILE E CONVIVENZA DI DIVERSITÀ
Moderatore: Caterina Arcidiacono
Dimensioni soggettive e intersoggettive nel volontariato: un confronto
fra organizzazioni socio-sanitarie.
Variazioni paradossali nella propensione a non pagare le tasse in Italia.
11.30
13.30
‘Cortocircuiti’ argomentativi nei dibattiti politici sull’energia sostenibile:
quale spazio per la partecipazione dei cittadini?
Le rappresentazioni sociali del diritto d’asilo in Italia: il punto di vista
degli operatori del sistema di accoglienza.
Essere laico: correlati psicologici e sociali.
O. Licciardello, G. Di Marco, M.
Mauceri, R. M. C. La Guidara
G. Pantaleo, C.A. Veneziani, S.
Visentin
S. Brondi, C. Piccolo, B. M.
Mazzara
T. Mancini, B. Bottura, C.
Cilardo, M. Rossi
Z. Hichy, M. Halim Helmy
Gerges, S. Platania, G. Santisi
SIMPOSIO
L’INTRECCIO TRA LE GENERAZIONI PER LA PROMOZIONE DEL BENESSERE
Aula 2A
11.30
13.30
Proponente: Margherita Lanz, Silvio Ripamonti
Negoziare la cittadinanza tra generazioni e culture: prospettive di
giovani e adulti.
L’effetto della seniority su autoefficacia lavorativa e comportamenti di
cittadinanza organizzativa: un approccio intergruppi.
C. Albanesi, E. Cicognani, B.
Zani
Generatività e generazioni: il ruolo del clima generativo.
M. Lanz, E. Marta, S. Tagliabue
I rapporti tra generazioni nei luoghi di lavoro: la socializzazione
lavorativa tra strumentalità e generatività.
S. Ripamonti, A. Bruno, B.
Bertani, L. Galuppo, C.
Kaneklin, G. Scaratti
Discussant
Orazio Licciardello
R. Chiesa
Lunch
SIMPOSIO
GENERE E VIOLENZE: CONTESTI, PRATICHE DI INTERVENTO, MODALITÀ DI RESILIENZA
Aula 2D
Proponente: Elisabetta Camussi, Nadia Monacelli
!
14.30
16.30
Modelli mediatici e oggettivazione, ovvero come incrementare l’adesione
a stereotipi sessisti.
La resilienza delle donne vittime di violenza di genere e i vincoli degli
interventi di tutela.
C. Rollero e N. De Piccoli
N. Monacelli
‘Quelle più magre…’: violenza mediatica e rappresentazioni del corpo.
E. Camussi, C. Annovazzi
La violenza domestica nella pratica degli psicologi.
C. Arcidiacono, I. Di Napoli
XIII
14.30
16.30
Progetto Empower: psicodramma e elaborazione del materno in vittime
di violenza domestica.
I. Testoni
Discussant
Fortuna Procentese
SESSIONE TEMATICA
LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE
Aula 3I
14.30
16.30
Moderatore: Mara Cadinu
Uno studio quasi-sperimentale sull’influenza dei meccanismi retorici nei
discorsi politici.
Le femmine sono “impreparate” mentre i maschi “sbagliano”: il ruolo
implicito dell’astrazione linguistica nell’ostacolare la carriera accademica
delle donne.
“La tv del mio vicino è più orribile della mia”. Scenari culturali e
posizionamenti psicosociali dell’audience.
La comunicazione sui social network. Una analisi mediante il modello
delle categorie linguistiche.
L’astrazione salverà il mondo: un’esplorazione del linguistic intergroup
bias in una pratica discorsiva religiosa.
A. Gnisci, A. Pace
M. Menegatti, M. Rubini
R. Scardigno, M. Marzano, G.
Mininni
S. Ruggieri, S. Boca, C. Scaffidi
Abbate
M. Marzano, R. Scardigno, G.
Mininni
SESSIONE TEMATICA
FENOMENI POLITICI E ORIENTAMENTO PSICOLOGICO
Aula 3F
Moderatore: Giuseppe Pantaleo
La valutazione di fenomeni sociali della politica attraverso la misura
breve di orientamento alla dominanza sociale.
14.30
16.30
Il voto politico come forma di azione collettiva?
Comunicare l’Unione Europea: eredità o progetto comune?
Relazioni automatiche a stimoli negativi in conservatori e progressisti:
approccio o evitamento?
Aula 2B
A. Aiello, D. Morselli, F. Prati,
C. Serino, F. Pratto, A. Stewart,
F. Bou Zeineddine
D. Mazzoni, E. Cicognani, M.
Van Zomeren
F. La Barbera, P. Cariota
Ferrara
P. Negri, L. Carraro, L. Castelli
SESSIONE TEMATICA
RELAZIONI FAMILIARI
Moderatore: Norma De Piccoli
14.30
16.30
Nati per essere conservatori? Un’analisi multilivello della relazione tra
ordine di genitura e conservatorismo.
Gli effetti a lungo termine del perdono coniugale e il ruolo moderatore
delle scuse profferte.
Bisogni e percezioni di conciliazione e telelavoro in Lombardia: uno
studio pilota.
Relazioni familiari e processi identitari: intrusività genitoriale e
costruzione dell’identità di coppia.
D. Barni, M. Roccato, A. Vieno,
S. Alfieri
F. G. Paleari, S. Pelucchi, C.
Regalia
F. Cilento, E. Brivio, C.
Galimberti
M. Parise, R. Iafrate, C. Manzi
SESSIONE TEMATICA
PREGIUDIZIO E DISCRIMINAZIONE
Aula 3G
14.30
16.30
Moderatore: Luigi Castelli
Gli effetti della discriminazione per età sui lavoratori anziani
A. R. Donizzetti
Eterosessuale o omosessuale? Il caso del giudizio dell'orientamento
sessuale sulla base della voce.
F. Fasoli, S. Sulpizio, F.
Vespignani, A. Maass, M. P.
Paladino, F. Eyssel
Come costruiscono l’identità etnica i ragazzi in adozione internazionale?
Uno studio cross-culturale sul ruolo della discriminazione e della
socializzazione culturale.
L. Ferrari, R. Rosnati, R. M.
Lee, A. W. Hu
XIV
14.30
16.30
Colpevole o innocente? Variazioni paradossali nell’intensità del
pregiudizio nei confronti di persone con malattie psichiatriche.
A. Rossi, S. Cavedoni, M. P.
Marchese, E. Cernuschi
SIMPOSIO
IMMIGRAZIONE, PAURA DEL CRIMINE E I MEDIA
Aula 3H
14.30
16.30
Proponente: Caterina Suitner
Chi ha paura di chi? Atteggiamenti automatici verso immigrati-italiani e
la paura del crimine.
La stampa italiana è politicamente corretta? Un’indagine sui bias
linguistici che alimentano l’associazione stereotipica tra criminalità e
immigrazione.
V. Piccoli, A. Carnaghi, F. Del
Missier
Sono armati e pericolosi: bias linguistici e pregiudizio.
J. Vaes, M. Latrofa, L. Arcuri
Discussant
Monica Rubini
C. Suitner, M. Muratore
Coffee Break
17.00
17.30
SESSIONE POSTER
Aula Magna di Psicologia
Assemblea di sezione
17.30
Cena Sociale 20.30
Sabato 28 settembre
Aula 2B
SIMPOSIO
IL LATO OSCURO DELLE RELAZIONI INTIME INTERPERSONALI: LA VIOLENZA E I SUOI MECCANISMI DI
GESTIONE E PERCEZIONE PSICOSOCIALI
Proponente: Anna Costanza Baldry, Irene Petruccelli
9.00
11.00
Violenza di genere agita/subita e adattamento psicologico-sociale.
C. Cabras, E. Nicotra
La violenza domestica: stili relazionali e strategie di coping.
G. Craparo, V. Ardino, S.
Fasciano, V. Cannella, I.
Petruccelli
Aiutare le vittime di violenza domestica: l’influenza delle norme su
bystanders e forze di polizia.
Perdonare l’ex violento fa star meglio? I meccanismi di perdono e
gratitudine nelle donne vittime di stalking da ex.
Discussant
Aula 3I
C. Porcaro
A.C. Baldry, C. Regalia
Rosa Rosnati
SESSIONE TEMATICA
INTERCULTURA E CITTADINANZA
Moderatore: Bruno Mazzara
9.00
11.00
Gli adolescenti di un palazzo multietnico. Il caso “Hotel House” nelle
Marche.
A. Fermani, G. Cingolani
Predittori della partecipazione politica in giovani italiani e migranti.
B. Zani, C. Albanesi, D.
Mazzoni
Rilevanza e complessità dei processi di integrazione: uno studio con
insegnanti di scuola primaria.
D. Damigella, O. Licciardello
XV
9.00
11.00
Aula 2A
Il ruolo di accento e aspetto nell’evolversi dinamico della
categorizzazione sociale delle seconde generazioni in Italia.
Fiducia ed engagement accademico in relazione agli orientamenti
culturali: una ricerca su studenti italiani e statunitensi.
M. Mazzurega, M. P. Paladino,
D. Facchin, M. Pompa, M. Berto
S. Di Battista, C. Berti
SESSIONE TEMATICA
GENERE E RELAZIONI SOCIALI
Moderatore: Chiara Volpato
9.00
11.00
Aula 2D
Giovani donne e comportamenti sessuali protetti: una revisione
dell’Information-motivation-behaviour skills model.
Il sessismo ambivalente e il sostegno allo status quo come orientamento
alla scelta del candidato politico.
Il genere come moderatore nella relazione tra strategie di coping e
qualità della vita.
C. Matera, A. Nerini, C.
Stefanile
Women@work: percorsi formativi e trasformativi sulla parità di genere.
V. Manna, G. Borrelli
F. Rutto, N. De Piccoli
S. Gattino, N. De Piccoli, C.
Rollero
SIMPOSIO
IL MODELING APPROACH: UN PARADIGMA DI RICERCA UNIFICANTE NELL'AMBITO DELLA TEORIA DELLE
RAPPRESENTAZIONI SOCIALI
Proponente: Annamaria Silvana de Rosa
9.00
11.00
Vivere la città da emigrante: rappresentazioni sociali incrociate di Roma
e Varsavia da parte di emigranti polacchi e italiani ad alta qualificazione.
Famiglia attuale, futura e ideale nelle rappresentazioni sociali di giovani
adulti. Un confronto cross-culturale di modelli familiari.
L. Dryjanska, A.S. de Rosa, E.
Bocci
S. Aiello, A. S. de Rosa, M.
d'Ambrosio, E. Pascal
“La psychanalyse, son image et son public”: 50 anni dopo.
E. Fino, A. S. de Rosa, E. Bocci
“Social representations of the stock market in financial advisors,
investors and media”: uno studio sul campo realizzato in EU.
“Social representations of the stock market in financial advisors,
investors and media”: la linea di indagine sull’analisi di media
(tradizionali e nuovi) in Europa e in Cina.
Discussant
S. Sun, A. S. de Rosa, E. Bocci
H. Wang, A. S. de Rosa, E.
Bocci
Mauro Sarrica
Coffee Break
Aula 2D
SIMPOSIO
OSTRACISMO E ESCLUSIONE SOCIALE
Proponente: Daniele Paolini, Paolo Riva, Adriano Zamperini
Strategie community based di contrasto all’ostracismo.
11.30
13.30
Giustizia ed esclusione sociale: l’effetto della nazionalità del colpevole
sulla valutazione di una notizia di cronaca.
Retoriche dell’inclusione e pratiche dell’accoglienza: la condizione di
richiedente asilo in Italia.
In & out: il ruolo della membership nelle risposte autonomiche durante
l’esperienza e l’osservazione dell’esclusione sociale.
P. Meringolo, A. Morandi
P. Villano, S. Passini
A. Zamperini, M. Menegatto, S.
Frattini, A. Cesaro
D. Paolini, D. Cardone, A.
Merla, A. Aquino, F. R.
Alparone
Ridurre gli impatti negativi dell’ostracismo e dell’esclusione sociale:
evidenze psicologiche e di neuromodulazione.
P. Riva
Discussant
Silvia Gattino, Simona Sacchi
XVI
SESSIONE TEMATICA
PREGIUDIZIO E CATEGORIE SOCIALI
Aula 2B
11.30
13.30
Aula 2C
Moderatore: Alberto Voci
Nazionalismo e patriottismo nella relazione tra valori individuali e
preferenze di acculturazione. Uno studio su studenti italiani.
Combinazioni categoriali contro-stereotipiche ed esperienze emozionali
intergruppi.
Da deviante a pecora nera: interazione entatività e identificazione
sociale.
I costi della denigrazione verso i membri dell’ingroup: BSE e prospettive
multiple.
A. Miglietta
F. Prati, R. J. Crisp
M. Rullo, S. Livi
R. Viola, M. Rullo, S. Livi, G.
Pantaleo
SESSIONE TEMATICA
COMPORTAMENTI DI SALUTE E DI MALATTIA
Moderatore: Giovanna Petrillo
11.30
13.30
Aula 3I
Il binge drinking: dimensione sociale, fattori motivazionali e intenzioni
del binge drinking.
Un’applicazione della valutazione theory driven ad un progetto di
prevenzione del disagio in adolescenza.
Autoefficacia percepita e competenze relazionali nel modello relazionale
del servizio sociale di base.
La fatigue nei pazienti oncologici: significati e parole. Una ricerca
qualitativa nel contesto italiano.
A. Gabbiadini, F. Cristini, L.
Scacchi, M. G. Monaci
L. Palareti, R. Biolcati, C.
Mameli, M. Fabbri, F. Emiliani
S. Berlanda, M. Pedrazza
S. Barello, G. Graffigna, K.
Olson, C. Bosio
SIMPOSIO
L'IMPORTANZA DI ESSERE ONESTI. LA MORALITÀ COME DIMENSIONE FONDAMENTALE NEL GIUDIZIO
SOCIALE
Proponente: Luciana Carraro
Onesto a colpo d’occhio: accessibilità cognitiva e tratti morali.
11.30
13.30
Quando l'abito (non) fa il monaco: effetti dell’oggettivazione sessuale e
della moral patiency sulla disponibilità all’aiuto.
La moralità nel giudizio intergruppi: il fenomeno dell’ingroup morality
bias.
Moralità in conservatori e progressisti: è possibile modificare la loro
visione del mondo?
Gli effetti degli attacchi alla moralità: dimensione pubblica e dimensione
privata.
Discussant
M. Brambilla, S. Sacchi,
M. Marelli
M. G. Pacilli, S. Pagliaro,
G. Gramazio, A. C. Baldry
S. Moscatelli, F. Albarello,
O. Bernardini
L. Carraro, L. Castelli
M. Bertolotti, P. Catellani
Stefano Boca
Lunch
PROGRAMMA SEZIONE POSTER
!
Titolo
Autori
TRE ANNI ALL’INTERNO DI UN AEROPORTO INTERNAZIONALE: ANALISI
DI UN LABORATORIO PERMANENTE SULLA SICUREZZA.
CINISMO E GIUSTIZIA NELL’AMBIENTE DI LAVORO
ORIENTAMENTI
RELIGIOSI
E
PREGIUDIZIO:
OMOSESSUALITÀ E RISPETTO INCONDIZIONATO
A. Armenti
D. Bellini, T. Ramaci
OMOSESSUALI,
XVII
G. L. Bosetti
MISURARE
LA
RELIGIOSITÀ:
VALIDAZIONE
ITALIANA
DELLA
CHRISTIAN RELIGIOUS INTERNALIZATION SCALE (CRIS)
I PROBLEMI NELLA VITA QUOTIDIANA DEGLI STUDENTI UNIVERSITARI
ITALIANI E STATUNITENSI
STATUS QUO, SALUTE E RISPARMIO: IL RUOLO DEL FRAMING NELLA
SCELTA DI UN PRODOTTO
IL CONSUMO DI SNACK TRA I GIOVANI. IL RUOLO DELL’ABITUDINE
NELLA TEORIA DEL COMPORTAMENTO PIANIFICATO
BACK TO THE FUTURE: TIME PERSPECTIVE ON ACCULTURATION OF
FOREIGN STUDENTS IN ITALY
RAPPRESENTAZIONI
SOCIALI
DEI
DISTURBI
SPECIFICI
DELL’APPRENDIMENTO NEI DISCORSI DEI DOCENTI: UN’APPROCCIO DI
RETORICA SOCIO-EPISTEMICA
ALESSITIMIA E FATTORI DI RISCHIO PSICOSOCIALE: UN’INDAGINE
PILOTA
LE PROPRIETÀ PSICOMETRICHE DELLA VERSIONE ITALIANA DEL SELFREPORT EMOTIONAL INTELLIGENCE TEST (SREIT).
TRASMISSIONE INTERGENERAZIONALE DELLA CHIAREZZA DEL
CONCETTO DI SÉ IN FAMIGLIE CON ADOLESCENTI: UNO STUDIO
LONGITUDINALE
CARATTERISTICHE
INDIVIDUALI,
BENESSERE
SOGGETTIVO
E
SODDISFAZIONE LAVORATIVA: IL RUOLO DI MEDIAZIONE DEL
WORKAHOLISM
PRIMING SUBLIMINALE E COMPORTAMENTI PRO-AMBIENTALI: IL
RUOLO DI MODERAZIONE DELLE EMOZIONI
FORUM DI DISCUSSIONE ONLINE: GLI UTENTI DI UNA WEB
COMMUNITY VOGLIONO DAVVERO OFFRIRTI IL LORO AIUTO?
COME PUNIAMO GLI ALTRI: PROPORZIONALITA’ O DETERRENZA? IL
RUOLO DEL BISOGNO DI CHIUSURA COGNITIVA.
LA SODDISFAZIONE PER LE CURE NEI PAZIENTI CRONICI: LA
VALIDAZIONE DEL FACIT TS-PS
L'INFLUENZA DEI TEMI CULTURALI NELLA SCELTA DI UN PRODOTTO:
CONFRONTO TRA ITALIA, GIAPPONE E COLOMBIA
ORIENTAMENTO RELIGIOSO E ATTEGGIAMENTI AMBIVALENTI DI
GENERE
L’ANZIANITA’ TRA VISSUTI E RAPPRESENTAZIONI: UNA RICERCA
ITALIA-SPAGNA
DONNE E POLITICA: IL RUOLO DELLE MOTIVAZIONI CHE LEGITTIMANO
IL SISTEMA DEMOCRATICO.
L'INFLUENZA DEI GESTI DELLE MANI: UNO STUDIO SPERIMENTALE
SUL GIUDIZIO PSICOSOCIALE
IL PROCESSO DI CAPITALIZZAZIONE: STRUTTURA FATTORIALE E
AFFIDABILITÀ DELLA PERCEIVED RESPONSES TO CAPITALIZATION
ATTEMPTS SCALE
LA MEDIAZIONE DI EMPATIA E ANSIA NEGLI EFFETTI DEL CONTATTO
INTERGRUPPI E IL PROCESSO DI GENERALIZZAZIONE AFFETTIVA
ATLETI ADOLESCENTI E IMPEGNO SPORTIVO: IL SENSO PSICOLOGICO
DI COMUNITÀ APPLICATO ALLO SPORT
AL SERVIZIO DELLA QUALITÀ
DIGITAL EDUCATION FOR OLD GENERATION NON NATIVES: A
FOCUSED ETHNOGRAPHY STUDY ON A PILOT PROJECT
IL RUOLO DELLE INFORMAZIONI VISIVE E UDITIVE NEL PROCESSO DI
ASSUNZIONE LAVORATIVA
BENEFICI DELLA MINDFULNESS E DELLA SELF- COMPASSION SUL
BENESSERE LAVORATIVO
XVIII
M. Brambilla
A. Caggiano
A. Callea, G. Cosentino, A. Di Giovenale, J.
Jarach
L. Canova, A. M. Manganelli, A. Bobbio
M. Chayinska, S. Mari
C. Colonna
V. Costantino, S. Fasciano
G. Craparo, P. Magnano
E. Crocetti
C. Dazzi, D. Colledani
S. De Dominicis, M. Bonaiuto
A. Gabbiadini
M. Giacomantonio, A. Pierro
C. Guglielmetti, S. Gilardi, F. Cugnata, S.
Salini
J. Jarach, A. Di Giovenale, G. Cosentino, A.
Callea
A. M. Manganelli, A. Bobbio, L. Canova
M. Mauceri, G. Di Marco
C. Mosso, F. Rutto, E. Viola
A. Pace
A. F. Pagani
L. Pagotto
S. Scotto di Luzio
V. Sommovigo
C. Strada, E. Brivio, C. Galimberti
S. Sulpizio, F. Fasoli, A. Maass, R. Boldrin,
I. Caon, L. Totano
C. A. Veneziani
In via Venezia n° 8 sono ubicate le strutture che ospitano il convegno Aip 2013
Palazzo Rosa > accoglienza e aula magna !
!
!
Piano Terra ! !
!
!
Palazzo Grigio > simposio e sessioni tematiche
!
!
!
Piano Terra
PORTINERIA
ASCENSORI
AULA MAGNA
“CESARE MUSATTI”
ACCOGLIENZA
REGISTRAZIONE
!
!
!
!
!
INGR
E
PRIN SSO
CIPA
LE
!
!
!
!
Secondo Piano
INGRESSO
PRINCIPALE
2A
2E
ASCENSORI
2B
2D
2C
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
Terzo Piano
3F
3G
3H
3L
ASCENSORI
3I
Atti Congresso AIP 25-28 settembre 2013 - Padova
Sezione Psicologia per le Organizzazioni
SESSIONE BENESSERE E QUALITÀ DEI SERVIZI Moderatore: Guido Sarchielli INNOVARE LA DOMANDA DI WELFARE. UN APPROCCIO MULTISTAKEHOLDER CONGRESSO NAZIONALE AIP 25-­‐27 SETTEMBRE 2013 Mercoledì 25 settembre 2013 (10:00 / 11:30) Aula Magna di Psicologia Apertura dei lavori Nicola A. De Carlo, Università degli Studi di Padova: “Azioni per il cambiamento. Pensiero positivo, nuovi codici del lavoro, performance” S. Ivaldi, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Il presente contributo fa riferimento ad un processo di valuta-­‐
zione della qualità di servizi territoriali rivolti a diverse tipologie di beneficiari. Il percorso in questione rappresenta un’opzione strategica che si pone il duplice obiettivo di tutela degli utenti finali e di incentivo e guida per la progressiva definizione di nuove modalità operative. L’interesse ad attivare un percorso di ricerca orientato all’in-­‐
dividuazione dei bisogni e delle domande della cittadinanza nasce dall’esigenza, da parte dell’amministrazione e dei servizi sociali, di rilevare, presso i diversi beneficiari, indizi significativi utili ad una riconfigurazione delle risorse territoriali e alla rea-­‐
lizzazione di nuovi servizi. Da qui l’attenzione ad un’analisi del contesto e delle esigenze della cittadinanza, a partire dalla voce dei diversi stakeholder, attraverso l’applicazione di una prospettiva di tipo olistico allo studio del sistema dei servizi che assume quali aspetti prioritari di indagine i bisogni espressi dalla persona e il processo di pro-­‐
duzione-­‐fruizione. Il punto di vista adottato è quello di un approccio multistake-­‐
holder che presta attenzione alla pluralità degli interlocutori in un’ottica di innovazione e miglioramento dell’offerta, coerente con i bisogni e le aspettative della cittadinanza. Il contributo descrive lo scenario organizzativo e il disegno di ricerca adottato evidenziando le ragioni di una scelta metodo-­‐
logica integrata che prevede l’utilizzo di strumenti di indagine sia qualitativi sia quantitativi e di modelli di analisi che attraver-­‐
so l’esplorazione di elementi contestuali, interni ed esterni all’organizzazione, consentono di individuare i possibili percorsi di sviluppo e le aree prioritarie di intervento. Vengono infine presentati i principali contenuti emersi dall’in-­‐
dagine descrivendo le implicazioni epistemologiche, metodolo-­‐
giche e di processo relative al tipo di ricerca adottata. IL PROCESSO DI PATIENT HEALTH ENGAGEMENT: INGREDIENTE PER UNA REALE INNOVAZIONE DEL SISTEMA SANITARIO Cambiare si deve. Sulla spinta delle trasformazioni che, in modo convulso, si susseguono nel contesto economico-­‐socia-­‐
le, lavorativo e organizzativo, bisogna misurarsi giorno per giorno, sul piano individuale e collettivo, con le sfide dei mercati e della globalizzazione, con il progresso scientifico e tecnologico, con l’innovazione nelle procedure di produzione, con le normative, con le esigenze che emergono a livello locale e sovranazionale. Il cambiamento, in ogni caso, va presidiato dal pensiero positivo, ovvero dalla capacità di mettere a punto obiettivi di crescita, di produzione e sviluppo, sostenibili e nel contempo sfidanti. Obiettivi chiari, realistici, fondati sia sulle competen-­‐
ze tecnico-­‐relazionali delle persone, sia sul significato che esse attribuiscono al lavoro e sulle loro motivazioni di ordine valoriale ed etico. Obiettivi di cui si assumono la responsabili-­‐
tà, verso sé stessi e verso gli altri. E la responsabilità va rafforzata con la condivisione, con la consapevolezza diffusa della bontà degli obiettivi e della necessità dell’impegno individuale. Vanno promossi e potenziati nuovi codici nel comportamento lavorativo, immateriali, basati sul senso e sul contenuto personale del lavoro. Occorrono, in linea con le esigenze di cambiamento e innovazione, azioni a sostegno delle buone pratiche e delle performance. Fra le azioni positive di base, soprattutto nell’ambito dei servizi, si collocano il richiamo costante e condiviso degli obiettivi, la materializzazione dell’equità nelle valutazioni, la concreta valorizzazione delle differenze e della sussidiarietà, la gestione adeguata delle relazioni fra colleghi e superiori, la promozione delle informazioni, di pari passo con l’incentiva-­‐
zione dell’efficienza e dell’efficacia delle procedure lavorative. Alla messa a punto e alla realizzazione delle azioni positive possono contribuire in modo rilevante i professionisti dell’a-­‐
scolto, del sostegno e dello sviluppo individuale e collettivo, fra cui in particolare gli psicologi del lavoro, con le loro metodologie di indagine e di intervento, nel quadro comples-­‐
sivo della responsabilità sociale dell’impresa. Su tali temi discutono Nicola A. De Carlo, Direttore del CIRD – Centro Interdipartimentale sul disagio lavorativo dell’Università di Padova (Chair), Daniela Carraro, Direttore Generale dell’Ulss 4 della Regione del Veneto, Marco Valente, Direttore del Per-­‐
sonale della Banca Popolare di Vicenza. Mercoledì 25 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2B G. Graffigna, S. Barello, A. C. Bosio, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Introduzione Il progressivo aumento dell’incidenza delle patologie croniche impone una crescente domanda di cura e di promozione del benessere della popolazione. In risposta a tali sfide, tra le prin-­‐
cipali linee di sviluppo della maggioranza dei Paesi occidentali compare la necessità di supportare il processo di patient enga-­‐
gement nella gestione della salute. Tuttavia, nonostante il valo-­‐
re di questo concetto sia ampiamente condiviso, la definizione di patient engagement sfugge ad una fondazione teorica e alla possibilità di misurazione sistematica. Obiettivi Tale studio si è proposto di sostanziare una prima concettualiz-­‐
zazione di patient engagement approfondendone il significato 5
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buisce allo studio della MCP attraverso un’esplorazione diret-­‐
ta delle pratiche lavorative; esso supera i limiti delle sole rendicontazioni e ricorda la necessità di analizzare altre di-­‐
mensioni (artefatti, layout, spazi, tempi, routine) ed intera-­‐
zioni (oltre a quella medico-­‐paziente) cruciali nell’esperienza di degenza dei pazienti. “POSSO MOSTRARE QUELLO CHE PROVO?” LA DISSONANZA EMOTIVA E I SUOI EFFETTI SUL BENESSERE nel processo di cura dal punto di vista di pazienti; identifican-­‐
done gli outcomes esperienziali e clinici; ottenendo insights circa i fattori che ne facilitano la realizzazione. Metodi Analisi di secondo livello di diversi database di ricerche qualita-­‐
tive narrative finalizzate a comprendere il processo di coinvol-­‐
gimento del paziente nella gestione della salute entro 35 quadri clinici di cronicità (diabete, IMA, ipertensione, breast cancer, leucemia). Ogni modulo di ricerca ha previsto la conduzione di interviste semistrutturate e la compilazione di diari autocompi-­‐
lati da parte dei pazienti. Risultati e Conclusioni L’analisi ha permesso una concettualizzazione del patient en-­‐
gagement a partire dall’interrelazione sinergica di dimensioni esperienziali cognitive (think), affettive (feel) e comportamen-­‐
tali (act) entro un processo incrementale caratterizzato da quattro fasi sequenziali (disengagement, arousal, adhesion, eudaimonic reconfiguration). La mancata sinergia tra le diverse dimensioni esperienziali determinerebbe l’incapacità del pazien-­‐
te di coinvolgersi attivamente entro il processo. Il modello con-­‐
cettuale elaborato suggerisce possibili guidelines operative per orientare interventi mirati a sostenere l’engagement del pazien-­‐
te e a favorirne l’avanzamento nel processo. DI CHI È L’OSPEDALE? LE POTENZIALITÀ DELL’APPROCCIO ETNOGRAFICO NELLO STUDIO DELLA MEDICINA CENTRATA SUL PAZIENTE F. Pace, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo V. Lo Cascio, Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali e Finanziarie, Università degli Studi di Palermo E. Foddai, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo G. Guzzo, Facoltà di Scienze Umane e Sociali, Università di Enna “Kore” L. Burrascano, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo D. Gorgone, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo M. Tornabene, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo Introduzione La gestione e la regolazione delle proprie emozioni all’interno dei luoghi di lavoro assumono un’importanza fondamentale soprattutto per quei lavoratori che sono costantemente a contatto diretto con le persone. La dissonanza emotiva è intesa come una discrepanza tra le emozioni sperimentate e quelle richieste dall’organizzazione nel contesto di lavoro (Zapf, 2002). Gli antecedenti della dissonanza emotiva posso-­‐
no essere individuati in alcune caratteristiche del lavoro (es. bassa autonomia, Johnson & Spector, 2007). Inoltre, diversi studi sostengono che la tensione e il conflitto che derivano dalla dissonanza emotiva sono associati e predicono l’esauri-­‐
mento emotivo (Lewig & Dollard, 2003), mentre l’espressione emotiva coerente al proprio vissuto aumenta la soddisfazione lavorativa (Abraham, 1999) ed è la chiave fondamentale del benessere (Keyes, 2000). Obiettivi e Metodi Scopo del presente contributo è indagare il ruolo che la dissonanza emotiva gioca come mediatore di importanti outcome individuali e organizzativi. La ricerca ha coinvolto 146 lavoratori (M = 75; F = 71) di età compresa tra 26 e 62 anni, operanti in una pubblica amministrazione. I partecipanti hanno completato misure riguardanti la dissonanza emotiva (Brotheridge & Lee, 1998), gli aspetti critici dell’organizza-­‐
zione del lavoro (QEEW; van Veldhoven & Meijman, 1994) e il benessere individuale (GHQ-­‐12; Goldberg, 1978). Risultati Dalle analisi emerge che la dissonanza emotiva è associata positivamente alla necessità di recupero e negativamente al piacere verso il proprio lavoro e al benessere individuale. Essa, inoltre, media la relazione che intercorre tra il carico emotivo e la necessità di recupero dei lavoratori. Conclusioni La dissonanza emotiva è un importante agente di stress negli ambienti lavorativi, e come tale è da tenere in considerazione nella definizione degli interventi a favore del benessere nelle organizzazioni. M. Gorli, E. G. Liberati, G. Scaratti, L. Galuppo, Università Cat-­‐
tolica del Sacro Cuore, Milano Introduzione Lo studio mette a tema le potenzialità dell’etnografia orga-­‐
nizzativa nell’analisi di una dimensione cruciale per le or-­‐
ganizzazioni sanitarie: la cura centrata sul paziente. In quanto riconosciuta come una leva essenziale per incrementare la qualità dei servizi, la medicina centrata sul paziente (MCP) rappresenta oggi un modello diffuso nelle organizzazioni sani-­‐
tarie. Molti studi hanno messo a tema le caratteristiche della relazione medico-­‐paziente e l’esperienza di malattia del ma-­‐
lato; meno indagati sono stati invece gli aspetti sistemici e culturali degli ospedali centrati sul paziente. Obiettivi e metodi Lo studio esplora le dimensioni latenti e diffuse (sistemi di regole e valori) che orientano le interazioni tra professionisti e pazienti in ospedale; tali interazioni sono esaminate come eventi connotati da una cultura più o meno centrata sul paziente. I dati sono stati raccolti in un reparto di Riabilita-­‐
zione attraverso osservazioni non partecipanti, shadowing e interviste. Risultati Una dimensione culturale che sembra orientare le interazioni tra pazienti e professionisti sanitari è la negoziazione del diritto di proprietà. Il diritto di proprietà comprende le regole implicite che definiscono di chi sia l’ospedale, chi prenda le decisioni, chi stabilisca i confini spaziali e lo scandire della giornata. Il processo di negoziazione della proprietà si rende esplicito negli usi ricorrenti che medici, infermieri e fisiotera-­‐
pisti fanno degli spazi del reparto, e nel linguaggio che essi adottano per parlare con i pazienti. Conclusioni L’approccio etnografico alle organizzazioni sanitarie contri-­‐
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polo, Sarchielli, 1987, 1991). Risulta importante, quindi, studia-­‐
re il significato che le persone, in una condizione di disoccupa-­‐
zione, attribuiscono al lavoro, in relazione alle strategie indivi-­‐
duali sviluppate al fine di superare tale condizione evidente-­‐
mente improduttiva e dannosa per se e per gli altri. Scopo del presente studio è stato dunque, quello di esplorare i significati del lavoro in relazione allo sviluppo di comportamenti di ricerca di un impiego in un campione di soggetti disoccupati. I dati so-­‐
no stati raccolti nei Centri per l’Impiego della provincia di Lecce. Ai partecipanti (N = 385) è stato chiesto di compilare un que-­‐
stionario composto dalle scale del Meaning of Work (MOW, 1987) e del Job Search Behavior (Blau, 1994). I risultati hanno evidenziato come alcuni aspetti dei significati del lavoro, in-­‐
fluenzano positivamente la pianificazione e l’attivazione di stra-­‐
tegie per la ricerca di un impiego. Gli sviluppi futuri della ricerca potranno essere indirizzati verso uno studio approfondito sul ruolo dell’occupabilità nei processi di re-­‐impiego, e nella soddi-­‐
sfazione per il lavoro ottenuto. Implicazioni operative della ri-­‐
cerca riguarderanno lo studio dell’efficacia degli interventi rea-­‐
lizzati dalle istituzioni per sostenere l’occupazione. L’ORGANIZZAZIONE RESILIENTE IN TEMPI DI CRISI: UNA RICERCA QUALITATIVA NELLA MEDIA IMPRESA LE DETERMINANTI DEL MALESSERE E BENESSERE ORGANIZZATIVO NEI CONTESTI SANITARI C. Nardella, Università di Modena e Reggio Emilia A. Aiello, Università di Pisa L’accezione multidimensionale del benessere psicosociale si lega a tematiche di snodo che inquadrano il benessere fisico, sociale e mentale dei lavoratori anche in relazione a disposti giuridici, nazionali e comunitari, che individuano nella valuta-­‐
zione e prevenzione dei rischi ogni aspetto del lavoro come mezzo idoneo a realizzare i fini di tutela e promozione della salute dei lavoratori. La complessità di tali contesti è oggetto di un ampio dibattito in letteratura. Su questa linea, Ratanawongsa e coll. (2008), ribadiscono come bassi livelli di benessere degli operatori sociosanitari influenzino i rapporti con i pazienti, le interazioni con i colleghi e le prestazioni nei servizi sanitari. Il presente lavoro si è focalizzato su un caso di studio per la valutazione del rischio da stress lavoro-­‐correlato coerente-­‐
mente col percorso metodologico proposto entro il modello “Valutazione dei Rischi Psicosociali” (VARP: Aiello, Deitinger, Nardella, 2012). La fase di valutazione si è avvalsa dell’appli-­‐
cazione dello strumento per medie organizzazioni denomina-­‐
to Va.RP-­‐M (Nardella, Aiello, 2012) in una forma apposita-­‐
mente studiata e adattata per i contesti sanitari in cui alcune delle principali dimensioni valutate sono: il ruolo, la chiarezza delle informazioni, il supporto, la relazione vita privata/lavoro e la percezione degli aspetti gestionali e organizzativi. I partecipanti allo studio sono 150 lavoratori di un’azienda di medie dimensioni che opera nel settore privato della sanità. Nell’insieme, seppur i risultati non appaiono evidenziare, nella specifica organizzazione presa in esame, aree di “disagio estremo”, emergono tuttavia forti criticità su alcune peculiari dimensioni: il carico di lavoro, l’equità percepita, l’avanza-­‐
mento di carriera, il coping emotivo. L’insieme delle evidenze vengono discusse in relazione alla specificità del caso preso in esame e ricondotte criticamente nel più ampio quadro della letteratura di riferimento. Mercoledì 25 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2A SESSIONE CRISI, DISOCCUPAZIONE E LAVORO ATIPICO Moderatore: Luigi Ferrari SIGNIFICATI DEL LAVORO E COMPORTAMENTI DI RICERCA DI UN IMPIEGO: UNO STUDIO SU SOGGETTI DISOCCUPATI M. L. Giancaspro, A. Manuti, G. Tanucci, Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari Le crisi organizzative ed il clima di incertezza che ne deriva hanno origine da situazioni fortemente ambigue in cui le cause, ma soprattutto gli effetti, appaiono sconosciuti e rappresenta-­‐
no una grave minaccia per la sopravvivenza dell’organizzazione (Beck, Bauman, 2006). Il concetto di HEalthy and Resilient Organizations (HERO) si svi-­‐
luppa in questo particolare momento di crisi economica e fi-­‐
nanziaria e fa riferimento alle organizzazioni che non solo so-­‐
pravvivono e si adattano alla crisi ma che, a seguito di questi eventi, diventano più forti e più elastiche di quanto non fossero prima di essere travolte da queste esperienze negative (Salano-­‐
va, Llorens, Cifre, Martínez, 2012). L’obiettivo di questo studio è, quindi, quello di analizzare la ri-­‐
levanza delle variabili organizzative di tipo strutturale e relazio-­‐
nale, implicate in tali processi. Il contesto di ricerca è quello della media impresa, particolarmente sensibile agli stravolgi-­‐
menti seguiti alla crisi economica. Questa prima fase qualitativa della ricerca ha richiesto la collaborazione del top e middle ma-­‐
nagement (9 componenti, tra cui l’imprenditore/ proprietario, i dirigenti delle 5 aree di staff e i 3 capi reparto), cui è stata somministrata un’intervista individuale in profondità finalizzata ad esplorare, attraverso un punto di vista privilegiato, la rile-­‐
vanza di alcune variabili "hard" dell’assetto organizzativo, con specifico riferimento agli eventuali cambiamenti vissuti in se-­‐
guito alla crisi economica. L’analisi quali-­‐quantitativa effettuata sui dati raccolti ha per-­‐
messo di evidenziare numerose criticità in riferimento alla struttura e al funzionamento interno dell’azienda, alla comuni-­‐
cazione e alle pratiche di gestione delle risorse umane, confer-­‐
mando l’importanza di tali variabili alla base del modello di HEalthy and Resilient Organizations. E. Ingusci, Università del Salento, Lecce A. Manuti, Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari G. Tanucci, Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari Lo sviluppo di strategie individuali e la qualità del reimpiego sono al centro della letteratura sui comportamenti di ricerca di un impiego durante il periodo di disoccupazione (Blau, 1994; Kohen et al., 2013). Diversi studi hanno dimostrato che le pos-­‐
sibilità di trovare un impiego aumentano grazie alla messa in campo di strategie di occupabilità e di comportamenti di piani-­‐
ficazione e di attivazione di strategie nella ricerca di un lavoro (Wanberg et al., 2000). Pochi studi, invece, hanno esaminato la relazione tra i significati del lavoro ed i comportamenti di ricer-­‐
ca di un impiego nei soggetti disoccupati (Fraccaroli, 1989; De-­‐
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Obiettivo dello studio è indagare il ruolo del recovery nel mo-­‐
dello richieste-­‐risorse lavorative (JD-­‐R; Bakker e Demerouti, 2007), considerando l’effetto di mediazione delle principali esperienze di recovery, psychological detachment e relaxation, tra richieste e risorse ed esaurimento. Lo studio ha coinvolto 335 impiegati appartenenti a diversi contesti professionali, mi-­‐
surando: supporto dei superiori e dei colleghi (risorse); carico di lavoro e dissonanza emotiva (richieste); psychological detach-­‐
ment e relaxation; esaurimento. Gli Alpha di Cronbach sono compresi tra .76 e .90. L’analisi dei dati è stata condotta con PASW 18 per analisi descrittive, correlazioni e affidabilità inter-­‐
na, e Mplus 7 per il modello di equazioni strutturali. Dal model-­‐
lo stimato (X2(14) = 29.34, p < .01; CFI = .97; TLI = .93; RMSEA = .06; SRMR = .03) emerge: le richieste diminuiscono direttamen-­‐
te il recovery e aumentano direttamente l’esaurimento; le ri-­‐
sorse diminuiscono direttamente l’esaurimento; il recovery diminuisce l’esaurimento. Inoltre, il recovery media la relazione tra richieste ed esaurimento. Pochi studi hanno indagato il re-­‐
covery nel modello JD-­‐R, pertanto questo studio rappresenta un primo importante contributo. I risultati suggeriscono impli-­‐
cazioni pratiche a sostegno delle organizzazioni nella gestione di richieste e risorse, per favorire il rispetto dei confini tra lavo-­‐
ro e vita privata. Inoltre, emerge l’importanza di supportare gli individui a distaccarsi psicologicamente dal lavoro e a rilassarsi durante il tempo libero al fine di recuperare le energie spese al lavoro. JOB INSECURITY E STRESS LAVORO CORRELATO: INDAGINE IN UN’AZIENDA METALMECCANICA IL LAVORO CHE CAMBIA: UN CONFRONTO TRA I REPERTORI DISCORSIVI DI LAVORATORI TIPICI E ATIPICI B. Giacominelli, Dipartimento di Filosofia Pedagogia e Psico-­‐
logia, Università di Verona Introduzione La progressiva flessibilità del lavoro ha ormai coinvolto qualsiasi settore produttivo; indagare come i lavoratori “atipici” diano senso all’esperienza lavorativa, significa addentrarsi in uno dei processi chiave nelle trasformazioni delle organizzazioni del nostro tempo. Obiettivi e Metodi La ricerca vuole offrire una fotografia della rappresentazione sociale del lavoro, confrontando le produzioni discorsive di la-­‐
voratori tipici e atipici. La ricerca etnografica è stata condotta attraverso interviste semistrutturate a 87 lavoratori del territo-­‐
rio veronese di cui 54 atipici; l’indagine è stata integrata dall’analisi di 150 articoli riguardanti il lavoro, pubblicati sulla testata locale. Un’analisi delle corrispondenze lessicali è stata operata sia sul testo delle interviste che sugli articoli. Risultati Dall’analisi delle interviste emerge come gli atipici siano obbli-­‐
gati ad una continua riorganizzazione delle proprie biografie. Le categorie di spazio e tempo sono scomparse: il “posto di lavo-­‐
ro” lascia spazio al “contesto di lavoro”, la “carriera lavorativa” lascia posto al “percorso lavorativo”; non esistono “rapporti di lavoro” ma “relazioni di lavoro”. Tali differenze linguistiche, sono lo specchio di una profonda trasformazione sociale non ancora trasposta nell’immaginario collettivo. L’analisi degli arti-­‐
coli ha infatti messo in luce che i media veicolano una rappre-­‐
sentazione del lavoro ancorata alla concezione fordista, non cogliendo la cesura che si sta creando tra vecchie e nuove ge-­‐
nerazioni. Conclusioni Il rischio della “personalizzazione” estrema del lavoro, è che flessibilità e adattabilità si traducano in un indebolimento dei legami collettivi e all’affermarsi di una modalità di stare nel la-­‐
voro “atomistica”, che, se non colta dalle organizzazioni, rischia di minarne alla base i tradizionali processi di gestione delle ri-­‐
sorse e di organizzazione del lavoro. R. G. Zuffo, Università “G. d’Annunzio”, Chieti M. E. Maiolo, Università “G. d’Annunzio”, Chieti S. Imperiali, Telema International, Milano Introduzione Diversi modelli in letteratura hanno dimostrato le relazioni in campo tra le diverse variabili che si correlano nelle situazioni di job insecurity e di downsizing. Una di queste variabili riguarda i diversi livelli di comunicazione (istituzionale, gli indizi organizza-­‐
tivi, i rumors) che influenzano i comportamenti e i vissuti dei soggetti. Obiettivi e Metodi L’obiettivo è stato quello di analizzare alcuni di questi aspetti in due momenti (nel 2009 e nel 2012) in un’azienda metalmecca-­‐
nica di circa 750 dipendenti operanti in due stabilimenti (nel Nord e nel Sud Italia), in cui era attiva la Cassa Integrazione. Nelle due occasioni è stato somministrato l’OSRQ (Organizatio-­‐
nal Stress Risk Questionnaire), uno strumento che misura nella sua globalità la percezione di stress lavoro-­‐correlato e che tra i vari fattori di rischio rileva quelli legati al clima organizzativo e alla job insecurity. Durante la rilevazione del 2009 sono stati condotti inoltre degli approfondimenti tramite focus group nell’area Staff, dove risultava esserci stata una bassa percen-­‐
tuale di rispondenti. Risultati Dai risultati del 2009 era emerso come gli effetti di una comu-­‐
nicazione ambivalente, ambigua e limitata del management si risolvessero in un abbassamento dei valori di commitment, di fiducia e a una ridotta compilazione e consegna del questiona-­‐
rio (aspetti confermati durante i focus group). Nella rilevazione del 2012 si è riscontrato un miglioramento della comunicazio-­‐
Mercoledì 25 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2C SESSIONE STRESS LAVORATIVO E RISORSE ORGANIZZATIVE Moderatore: Nicola A. De Carlo MODELLO RICHIESTE-­‐RISORSE LAVORATIVE ED ESAURIMENTO: LA MEDIAZIONE DELLE ESPERIENZE DI RECOVERY M. Molino, M. Zito, Dipartimento di Psicologia, Università de-­‐
gli Studi di Torino Il recovery si riferisce al processo di recupero delle energie spe-­‐
se durante una situazione stressante (Meijman e Mulder, 1998). Data la sua relazione con diversi indicatori di benessere è considerato un costrutto di particolare rilevanza. Il Recovery Experience Questionnaire (Sonnentag e Fritz, 2007) individua quattro esperienze di recovery: psychological detachment, re-­‐
laxation, mastery e control. 8
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IL RUOLO DI MEDIAZIONE DELL’INTERFERENZA LAVORO-­‐
CASA NELLA RELAZIONE TRA STRESSORS E MALESSERE PSICO-­‐FISICO: UN APPROCCIO MULTI-­‐METODO ne, ritenuta non più critica: tuttavia la percezione di job insecu-­‐
rity sembra permanere alta. Conclusioni Si conferma come un programma di miglioramento della co-­‐
municazione manageriale possa essere maggiormente funzio-­‐
nale per l’organizzazione in termini di efficienza, di fiducia e di commitment ma anche come la pervasività dei fattori esogeni (“crisi”) non abbia migliorato la percezione di job insecurity. VERSO NUOVI MODI DI OPERAZIONALIZZARE IL COSTRUTTO DEL BURNOUT: VALIDITÀ FATTORIALE DELLO SBI NEL SETTORE SANITARIO ED EDUCATIVO D. Girardi, Dipartimento FISPPA, sezione di Psicologia Applica-­‐
ta, Università di Padova A. Falco, Dipartimento FISPPA, sezione di Psicologia Applicata, Università di Padova A. De Carlo, LUMSA, Università di Roma L. Kravina, Dipartimento FISPPA, sezione di Psicologia Applica-­‐
ta, Università di Padova A. Piccirelli, Dipartimento FISPPA, sezione di Psicologia Appli-­‐
cata, Università di Padova D. Converso, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino S. Viotti, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino I. Sottimano, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino R. Badagliacca, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino P. R. Gil-­‐Monte, Dipartimento di Psicologia, Università di Va-­‐
lencia (Spagna) Introduzione Lo studio integra l’interferenza lavoro-­‐casa (Work-­‐Home Inter-­‐
ference, WHI) all’interno del modello teorico Effort-­‐Recovery, secondo il quale lo svolgimento del proprio lavoro richiede de-­‐
gli sforzi, ai quali deve far seguito un adeguato recupero. Se si verifica un’interferenza tra sfera lavorativa e vita privata dell’individuo diminuiscono la qualità e la quantità del recupe-­‐
ro, il che si ripercuote sulla salute del lavoratore. Obiettivi e Metodi Si ipotizza che il carico lavorativo (richieste lavorative) sia asso-­‐
ciato positivamente al WHI (Ipotesi 1) e che l’autonomia lavora-­‐
tiva (risorse lavorative) sia associata negativamente al WHI (Ipotesi 2). Ci si aspetta inoltre un’associazione positiva tra WHI e strain psico-­‐fisico (ipotesi 3) il quale, a propria volta, predice le assenze per malattia (Sickness Absences, SA) (ipotesi 4). Lo studio ha coinvolto un campione di lavoratori di una pubblica amministrazione. Carico, autonomia e WHI sono stati misurati tramite un questionario. Lo strain psico-­‐fisico è stato rilevato dal medico competente, mentre le SA sono state rilevate attin-­‐
gendo al database aziendale. Le relazioni sono stato testate stimando un modello di equazioni strutturali. Risultati Il carico lavorativo è associato positivamente al WHI, mentre non è emersa alcuna associazione tra autonomia e WHI. Il WHI è associato positivamente allo strain psico-­‐fisico, il quale predi-­‐
ce le SA. Nel complesso, il WHI media la relazione tra carico e strain. Lo strain media inoltre la relazione tra WHI e SA. Conclusioni Un elevato carico lavorativo, in linea con il modello E-­‐R, interfe-­‐
risce con la vita privata del lavoratore, inficiando il processo di recupero. Ciò comporta la comparsa di sintomi psico-­‐fisici, i quali possono indurre il lavoratore ad assentarsi dal lavoro. Da un punto di vista applicativo, sono discussi possibili interventi finalizzati a contenere l’effetto del carico lavorativo sul WHI e, indirettamente, sullo strain psico-­‐fisico. Mercoledì 25 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 2A SESSIONE LEADERSHIP, PROCESSI DECISIONALI E TEAM Moderatore: Claudio Cortese STILI DI LEADERSHIP, AUTO-­‐SACRIFICIO ED IDENTIFICAZIONE CON IL TEAM Introduzione Le professioni sanitarie ed educative, soprattutto in ragione dell’elevato coinvolgimento emotivo loro richiesto, risultano tra le più esposte al rischio di incorrere nella sindrome del burnout (OSHA, 2005, 2009). Lo strumento maggiormente utilizzato per la misurazione del burnout è il Masclach Burnout Inventory (MBI, Maslach & Jack-­‐
son, 1981), di cui, da gli anni ‘80 a oggi sono state ampiamente evidenziate potenzialità e limiti. A questo proposito, una inte-­‐
ressante rivisitazione concettuale-­‐operazionale del modello di Maslach è stata proposta da Gil-­‐Monte (2005), che ha predi-­‐
sposto lo Spanish Burnout Inventory (SBI), strumento che pre-­‐
vede 4 dimensioni: entusiasmo per il lavoro, esaurimento psi-­‐
cologico, indolenza e senso di colpa. Studi condotti in differenti paesi dell’Europa Mediterranea e del Sudamerica hanno con-­‐
fermato la bontà delle caratteristiche psicometriche dello SBI (cfr: Rojas et al. 2008; Gil-­‐Monte et al. 2011), che pare superare alcune difficoltà culturali e semantiche che MBI presenta nelle versioni tradotte dall’inglese. In Italia un primo studio pilota (Viotti et al., in rev.) ha prodotto evidenze empiriche a favore della tenuta fattoriale del modello. Obiettivi e Metodo Lo studio è volto all’esplorazione delle caratteristiche psicome-­‐
triche del questionario SBI in un campione di 1624 operatori italiani afferenti al settore educativo (n = 931) e sanitario (693). Le analisi (tramite SPSS e Amos) sono orientate a testare l’affidabilità delle scale (α di Cronbach), le validità fattoriale e l’invarianza tra settori occupazionali (items analysis e CFA). Risultati e Conclusioni Sia sul campione globalmente considerato che nei sotto cam-­‐
pioni educativo e sanitario, i risultati della CFA sono soddisfa-­‐
centi (df = 164; GFI < 0.90; RMSEA < 0.06; CFI > 0.90) così come quelli dell’α di Cronbach sulle singole sottoscale (> .70). In con-­‐
clusione i risultati forniscono evidenze a sostegno della validità fattoriale dello SBI. S. Ruggieri, Dipartimento di Psicologia, Università di Palermo 9
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tati di un modello di equazioni strutturali, in un campione di 439 infermieri (età media 39, DS = 8.2), confermano le nostre ipotesi, mostrando come un leader etico, che concede auto-­‐
nomia e da fiducia ai propri collaboratori e che non ha risenti-­‐
mento per gli stessi, facilita l’esperienza di emozioni positive e non favorisce quelle negative. Inoltre i risultati metto in luce che le emozioni a loro volta influenzano sia i CWB che gli OCB. Tale ricerca rappresenta il primo tentativo di comprendere il ruolo svolto dal leader nel processo emozionale che conduce alla messa in atto di comportamenti volitivi all’interno dei con-­‐
testi sanitario-­‐infermieristici, mostrando l’importanza del lea-­‐
der stesso nel modulare le emozioni sperimentate all’interno del reparto, incoraggiando i comportamenti di cittadinanza e scoraggiando quelli controproduttivi. L’ASSESSMENT DEI GRUPPI DI LAVORO. LO SVILUPPO DEI TEAM SECONDO IL GROUP DEVELOPMENT QUESTIONNAIRE Introduzione Tra i diversi approcci che hanno affrontato lo studio della lea-­‐
dership, uno dei più noti è rappresentato dalla prospettiva transazionale-­‐trasformazionale (Bass, 1985), secondo la quale i leader transazionali vedono la relazione tra leader e follower come un processo di scambio (Bass & Avolio, 1993) fondato sul rapporto punizione-­‐ricompensa, mentre i leader trasformazio-­‐
nali sono migliori nell’ampliare gli interessi dei followers, rispet-­‐
tare gli obblighi e la mission del gruppo, esaminare nuove pro-­‐
spettive per la soluzione dei problemi e per il raggiungimento degli obiettivi spingendo i seguaci a trovare nuove soluzioni ed a proporre idee (Jung & Sosik, 2002). Obiettivi e Metodi All’interno del presente studio è stata analizzata la relazione tra leadership transazionale/ transformazionale e l’identificazione con il team attraverso il ruolo di mediazione esercitato dall’auto-­‐sacrificio dei leader. In questo studio, operatori di call center guidati da leader tran-­‐
sazionali o trasformazionali riportavano il proprio livello di identificazione con il team oltre al livello di auto-­‐sacrificio del proprio team leader. Risultati e Conclusioni I risultati hanno mostrato la presenza di una relazione significa-­‐
tiva tra i livelli di leadership e l’identificazione verso il team, così come i livelli di tra l’auto-­‐sacrificio dei leader e l’identi-­‐
ficazione verso il team. In particolare, una maggiore intensità di questi legami è presente nella condizione di leadership tran-­‐
sformazionale piuttosto che transazionale. In quest’ultima con-­‐
dizione è inoltre possibile rilevare una interazione tra i livelli di leadership ed il livello di auto-­‐sacrificio del leader. LEADERSHIP E COMPORTAMENTI CONTROPRODUTTIVI E DI CITTADINANZA: IL RUOLO DI MEDIAZIONE DELLE EMOZIONI D. Malaguti, Libero professionista, Bologna M. G. Mariani, Università di Bologna Introduzione Lo sviluppo dei gruppi di lavoro comporta un processo in cui i componenti, da singoli individui (membership), diventano membri di un gruppo (groupship). Sin dai primi lavori di Tuck-­‐
man, lo sviluppo dei team è stato organizzato in tappe che il gruppo deve affrontare per giungere alle condizioni di integra-­‐
zione e interdipendenza dei componenti. Wheelan, secondo un approccio da lei stessa definito integrato, ha messo a punto un modello di sviluppo dei team che si articola in quattro stadi: 1) Dipendenza e inclusione; 2) Controdipendenza e conflitto; 3) Fiducia e struttura; 4) Lavoro. L’assessment dello stadio di svi-­‐
luppo dei team può avere notevoli vantaggi: nella consulenza permette di individuare le criticità, nella formazione può aiuta-­‐
re a sviluppare programmi di intervento in funzione dei bisogni propri di ciascun stadio, nella verifica dell’efficacia degli inter-­‐
venti consente di valutare se questi ultimi hanno favorito il team building. Tale modello è alla base del GDQ (Group Development Que-­‐
stionnaire) che si compone di 60 item (15 per ogni scala). Obiettivi Scopo del presente lavoro è quello di contribuire alla validazio-­‐
ne della versione italiana del GDQ, seguendo il percorso meto-­‐
dologico impiegato per la versione originale. Metodologia Il campione è composto da 386 partecipanti ai quali era chiesto di compilare il questionario in riferimento ad un gruppo di lavo-­‐
ro nel quale avevano operato. Risultati Alcuni risultati rispecchiano quelli della versione originale: l’omogeneità interna risulta per tre scale ottima e per una scar-­‐
sa; la prima scala correla maggiormente con la seconda, la terza con la quarta. Altri risultati si differenziano da quelli riscontrati dalla Wheelan e da Hochberger (1996): l’analisi fattoriale pre-­‐
senta una struttura non in linea con quanto emerso nello stu-­‐
dio originario. Conclusioni I dati mostrano luci ed ombre del GDQ. Occorreranno ulteriori studi per approfondire la validità interna ed esterna. R. Fida, Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di Roma G. Urso, Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di Roma A. Bobbio, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova M. Paciello, International Telamatic University Uninettuno, Roma C. Tramontano, Leonard Cheshire Disability and Inclusive De-­‐
velopment Centre, London, United Kingdom Negli ultimi anni la letteratura ha messo in evidenza come le emozioni sperimentate a lavoro influenzano i comportamenti messi poi in atto nel contesto organizzativo stesso. In particola-­‐
re numerosi lavori hanno mostrato come le emozioni negative influenzano i comportamenti controproduttivi (CWB), così co-­‐
me le emozioni positive influenzano i comportamenti di citta-­‐
dinanza organizzativa (OCB). Il leader svolge un ruolo chiave all’interno di questo processo, essendo in una posizione centra-­‐
le per poter influenzare le emozioni sperimentate dai collabo-­‐
ratori. Questo studio ha come obiettivo, quello di analizzare nel contesto infermieristico, l’impatto del coordinatore sulle emo-­‐
zioni positive e negative esperite dai suoi collaboratori, e, in un ottica di tipo processuale, il ruolo che hanno le emozioni positi-­‐
ve e negative nel mediare la relazione tra comportamenti del leader e comportamenti pro e contro organizzativi (OCB vs. CWB). Comprendere tale processo è essenziale soprattutto nei contesti ad alto impatto emotivo quali i contesti sanitari. I risul-­‐
10
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lavorare eccessivamente e le conseguenze sulla salute posso-­‐
no essere letti alla luce di diversi costrutti emergenti in psi-­‐
cologia del lavoro e delle organizzazioni, tra cui: Workaholism, Presentismo, Bisogno ed esperienze di recupero. I contributi di questo simposio prendono in esame questi costrutti con l’obiettivo di ampliare il dibattito relativo alle molteplici sfaccettature del lavorare eccessivamente e agli esiti personali e organizzativi ad esso associati. Balducci e colleghi approfondiscono la relazione tra workhaolism e correlati di salute autoriportati, eteroriportati ed oggetti-­‐
vamente valutati; Molino e colleghi mettono in evidenza il possibile ruolo moderatore delle esperienze di recovery nella relazione tra richieste lavorative e conflitto lavoro-­‐famiglia. Simbula e Panari mostrano l’influenza di differenti combina-­‐
zioni di caratteristiche lavorative e personali, stressanti e motivanti, su burnout, work engagement e presentismo; Mazzetti e colleghi si focalizzano sull’interazione tra cultura organizzativa e caratteristiche individuali nel promuovere il workaholism. Infine Consiglio e Alessandri esplorano il ruolo del presentismo come moderatore della relazione tra burnout e disturbi di salute e tra burnout e perdita di produttività. I risultati degli studi permetteranno di discutere similarità e punti di differenziazione tra le relazioni e i costrutti presi in esame e di delineare le possibili prospettive di intervento orientate alla prevenzione. INDAGINE SULLA RELAZIONE TRA DIPENDENZA DA LAVORO (WORKAHOLISM) E CORRELATI DI SALUTE AUTORIPORTATI, ETERORIPORTATI ED OGGETTIVAMENTE VALUTATI I TEAM MENTAL MODELS NELLA TATTICA SPORTIVA. DUE SQUADRE DI CALCIO A CONFRONTO M. Trizio, Università degli Studi di Torino C. Occelli, LIDEA – Laboratorio InterDipartimentale di Ergo-­‐
nomia Applicata, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino A. Re, LIDEA – Laboratorio InterDipartimentale di Ergonomia Applicata, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino T. Callari, Università degli Studi di Torino I Team Mental Models (TMM) possono essere definiti come strutture di conoscenza che permettono ai membri di una squadra di condividere rappresentazioni e aspettative sul com-­‐
pito, coordinare le azioni e adattare il comportamento di cia-­‐
scuno sia a ciò che il compito richiede, sia al comportamento degli altri membri. La ricerca si è proposta di indagare i TMM relativi alla tattica all’interno di due squadre di calcio dilettanti-­‐
stiche. In particolare, lo studio si richiama alla proposta teorica di Langan-­‐Fox e colleghi, in cui si delinea la maturazione dei modelli come processo di acquisizione di competenze: maggio-­‐
re è la condivisione di esperienza, più simili saranno i modelli mentali. La ricerca ha inteso verificare l’ipotesi secondo cui la similitudine tra i modelli mentali della tattica è positivamente correlata al tempo di permanenza dei membri nella squadra. I partecipanti alla ricerca sono stati 10 giocatori seniores e 10 juniores. Entrambi i gruppi includevano due sottogruppi con diversa permanenza nella squadra. Sono stati progettati due scenari come stimolo per elicitare la decisione tattica e i model-­‐
li mentali ad essa sottostanti. Interviste con domande sonda hanno indagato le componenti dei modelli tattici con riferimen-­‐
to alla teoria formulata da Phillips e colleghi in ambito militare: risorse a disposizione; attenzione alla missione; rappresenta-­‐
zione mentale del nemico; effetti di terreno/contesto. Ciascuna componente si sviluppa attraverso cinque livelli di maturazione, da “novizio” a “esperto”. I risultati mostrano come i giocatori seniores con più anni di appartenenza alla squadra abbiano sviluppato TMM più simili e più maturi rispetto a quelli dei juniores. La ricerca apre prospet-­‐
tive di applicazione all’interno dell’allenamento e della forma-­‐
zione di una squadra di calcio. Conoscere il processo di forma-­‐
zione di TMM negli atleti permette infatti di allenare allo svi-­‐
luppo di un aspetto cruciale per la performance della squadra. Mercoledì 25 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 2B C. Balducci, Università di Bologna
L. Avanzi, Università di Trento, Rovereto
F. Fraccaroli, Università di Trento, Rovereto Introduzione I cambiamenti che hanno caratterizzato nel periodo recente il mondo del lavoro, hanno portato alla ribalta nuovi fenomeni psicosociali in grado di influenzare in maniera avversa le condizioni di salute dei lavoratori. Tra essi il fenomeno della dipendenza da lavoro (workaholism), definibile come una spinta interna irresistibile a lavorare intensamente. Obiettivi e Metodi Nel presente studio valutiamo il potenziale effetto negativo sulla salute del workaholism, utilizzando criteri autoriportati, eteroriportati ed oggettivi, includendo inoltre le caratteri-­‐
stiche di personalità dei partecipanti definite dai cinque grandi fattori (big-­‐five). Per le analisi (una serie di regressioni lineari) sono stati utilizzati dati forniti in prevalenza da liberi-­‐
professionisti, imprenditori, dirigenti e lavoratori autonomi (N = 182; 58,1% uomini; età media 46,13 anni). Risultati Controllando per genere, età e caratteristiche di personalità autoriportate, il benessere affettivo correlato al lavoro autori-­‐
portato è significativamente e negativamente associato al livello di workaholism (p < 0,01). Ripetendo le analisi con le caratteristiche di personalità ed il benessere affettivo etero-­‐
riportati (nella gran parte dei casi i dati sono stati forniti dai partner dei soggetti) si ottengono i medesimi risultati. Con-­‐
siderando come criterio la pressione sistolica (N = 94), con-­‐
trollando in aggiunta per l’assunzione di farmaci contro la pressione elevata, il workaholism emerge nuovamente come predittore significativo (p < 0,05). La stabilità emotiva/nevro-­‐
SIMPOSIO MALATI DI LAVORO: PROSPETTIVE EMERGENTI SU CAUSE E CONSEGUENZE DEL “LAVORARE TROPPO” Proponente: Dina Guglielmi Discussant: Luigi Ferrari Oggi il mondo del lavoro sembra caratterizzarsi per la man-­‐
canza di opportunità di occupazione da un lato e la tendenza a dedicare un tempo eccessivo al lavoro dall’altro. Lavorare eccessivamente prolunga l’esposizione a fattori stressogeni e riduce il tempo utile al recupero delle energie. Le conseguen-­‐
ze negative di tale tendenza includono crescenti disturbi lega-­‐
ti allo stress lavoro-­‐correlato, disturbi del sonno e un peggio-­‐
ramento della performance lavorativa (Dahlgren, 2006). Il 11
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Gli attuali mutamenti nelle richieste che le organizzazioni rivolgono ai lavoratori in termini di proattività, performance e impegno nella crescita professionale hanno alimentato l’inte-­‐
resse per le conseguenze di tali comportamenti sul benessere dei lavoratori. In particolare, una cultura organizzativa che supporta ed premia i comportamenti overwork a scapito di una buona conciliazione lavoro-­‐famiglia può costituire terre-­‐
no fertile per l’emergere del workaholism, definito come una sindrome caratterizzata dalla tendenza a lavorare eccessi-­‐
vamente e ad essere ossessionati dal proprio lavoro, che si manifesta nel lavoro compulsivamente. Obiettivi e Metodi Il presente studio si propone di esplorare come la combi-­‐
nazione di antecedenti ambientali e individuali influisca sui livelli di workaholism. A questo scopo, è stato indagato l’ef-­‐
fetto di interazione tra overwork culture e caratteristiche personali (cioè achievement motivation, perfezionismo, co-­‐
scienziosità, self-­‐efficacy) sul workaholism. Nel complesso sono stati coinvolti 333 lavoratori (51,4% donne; età media: 45,4 anni, DS = 8,45). Risultati I risultati delle analisi di regressione moderate supportano pienamente le ipotesi di ricerca ed evidenziano un signi-­‐
ficativo aumento del livello di workaholism quando i lavora-­‐
tori possiedono caratteristiche personali che li predispongono a tale condizione e sono esposti ad una cultura overwork nel contesto di lavoro. Inoltre, coscienziosità e self-­‐efficacy dimo-­‐
strano di impattare significativamente sul workaholism sol-­‐
tanto in interazione con la cultura overwork. Conclusioni Il presente lavoro rappresenta uno dei primi tentativi di dimostrare empiricamente il ruolo della cultura organizzativa nel favorire il workaholism. Nel complesso, questi risultati suggeriscono che le organizzazioni possono involontari amen-­‐
te favorire il workaholism mediante la promozione di una cultura overwork. Le ricadute applicative di tali evidenze verranno discusse. ATTACCAMENTO O SENSO DEL DOVERE? AL LAVORO TRA ENGAGEMENT, BURNOUT E PRESENTISMO ticismo, in aggiunta al workaholism, influenza tutti i criteri considerati nella direzione attesa. Conclusioni I risultati danno evidenza convincente del potenziale effetto negativo sulla salute della tendenza al workaholism. È auspi-­‐
cabile la replica degli stessi con campioni più ampi e ideal-­‐
mente rappresentativi della forza lavoro. RICHIESTE LAVORATIVE E CONFLITTO LAVORO-­‐FAMIGLIA: EFFETTI DI MODERAZIONE DELLE ESPERIENZE DI RECOVERY M. Molino, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino C. Ghislieri, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino C. G. Cortese, Dipartimento di Psicologia, Università degli Stu-­‐
di di Torino A. B. Bakker, Institute of Psychology, Erasmus University Rot-­‐
terdam (The Netherlands) Il conflitto lavoro-­‐famiglia (CLF) è considerato un importante tema di ricerca per le sue conseguenze negative su lavoratori e organizzazioni (Yanchus et al., 2010). Questo studio, utilizzando il modello richieste-­‐risorse lavorative (Bakker & Demerouti, 2007), contribuisce alla comprensione della relazione tra CLF e recovery (Sanz-­‐Vergel et al., 2010), inteso come recupero delle energie spese durante una situazione stressante. Nello specifico, lo studio si propone di indagare l’effetto di moderazione di quattro esperienze di recovery (psychological detachment, relaxation, mastery e control; Sonnentag & Fritz, 2007) sulla relazione positiva tra richieste lavorative (carico di lavoro e richieste emotive) e CLF. Lo studio ha coinvolto 597 lavoratori appartenenti a diversi settori professionali. Le misure utilizzate sono: carico di lavoro, richieste emotive, psychological detachment, relaxation, mastery, control, CLF. Gli Alpha di Cronbach sono compresi tra .81 e .91. Per le analisi sono stati utilizzati PASW 18 (analisi descrittive, affidabilità interna, correlazioni e regres-­‐
sioni) e Mplus 7 (MSEM). I risultati della regressione mostrano una relazione positiva significativa tra le due richieste lavorative e il CLF, parti-­‐
colarmente elevata nel caso del carico di lavoro. Per quanto riguarda gli effetti di interazione, emerge che psychological detachment, relaxation e control moderano la relazione tra carico di lavoro e CLF. Nessun effetto significativo emerge invece rispetto alla relazione tra richieste emotive e CLF. Lo studio è uno dei primi ad analizzare la relazione tra recovery e CLF e conferma l’importanza di approfondire il ruolo delle esperienze di recovery in particolare nel modulare l’impatto del carico di lavoro sul CLF. I risultati suggeriscono alcune implicazioni per la pratica, soprattutto a sostegno di una cultura organizzativa che rispetti i confini tra lavoro e vita privata, lasciando spazio, nel tempo libero, alle attività di recovery. IL WORKAHOLISM COME ESITO DELL’INTERAZIONE TRA CARATTERISTICHE PERSONALI E CULTURA OVERWORK S. Simbula, Università degli Studi di Milano-­‐Bicocca C. Panari, Università degli Studi di Parma Le organizzazioni tendono oggi ad incentivare un sistema di valori, definito come “work ethics”, basato su alto commit-­‐
ment, proattività, disapprovazione dell’assenza (Hansen e An-­‐
dersen, 2008) non considerando, tuttavia, gli effetti negativi che alcune condotte possono determinare. A tal proposito, ol-­‐
tre agli esiti tradizionalmente considerati (es. burnout), studi recenti hanno cominciato ad esaminare il costrutto del presen-­‐
tismo, partendo da alcune evidenze empiriche che mettono in luce come andare a lavorare quando si è malati, sia in grado di creare maggiori danni e una maggiore perdita di produttività per l’organizzazione rispetto all’assenteismo (Collins et al., 2005), con effetti sulla salute generale del lavoratore, sull’esaurimento e su un atteggiamento negativo verso il lavo-­‐
ro. L’obiettivo di questo lavoro è esaminare se differenti combina-­‐
zioni stressanti (es. elevata responsabilità e incertezza verso il futuro) e motivanti (es. mantenimento del contratto psicologi-­‐
co), possono tradursi in differenti esiti con ricadute positive e G. Mazzetti, Università di Bologna W. B. Schaufeli, Università di Utrecht, Paesi Bassi D. Guglielmi, Università di Bologna Introduzione 12
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SIMPOSIO METODI DI RICERCA PER LO STUDIO DEI CONSUMI ALIMENTARI TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE Proponente: Vincenzo Russo Discussant: Piergiorgio Argentero Sempre più frequentemente si parla di consumi alimentari e in particolare del valore sociale, etico, politico ed economico di questa sfera di consumi. In ambito psicologico è cresciuta l’attenzione alle tematiche spingendo i ricercatori a ulteriori riflessioni sulle metodologie. In tale ambito vi sono contributi finalizzati a migliorare i modelli di analisi. Il simposio permet-­‐
terà di approfondire queste nuove strategie di indagine anche attraverso la riflessione sull’evoluzione dei metodi tradizionali e l’integrazione funzionale tra questi. Il contributo di Bonaiuto et al. presenta uno strumento con item verbali per la misura di diversi indicatori descrittivi della reputazione alimentare delle categorie di cibi o bevande: viene presentato sia lo sviluppo metodologico dello strumen-­‐
to, sia alcune sue possibili applicazioni. Il contributo di Galimberti e altri presenta un’analisi delle modalità di gestione dei rapporti brand-­‐consumatore nel settore dei consumi alimentari attraverso l’uso di strumenti di comunicazione del tipo web 2.0. Obbiettivo del contributo è cogliere le specificità di tali strumenti per capire quale contributo essi apportino alla ridefinizione transitiva del brand. Il contributo di Olivero e altri presenta uno studio speri-­‐
mentale dove si testa l’impatto delle fragranze alimentari su emozioni e intenzioni di acquisto attraverso misure implicite e neurofisiologiche. I risultati suggeriscono effetti gererali di priming e di attivazione con plausibili conseguenze sull’impul-­‐
so all’acquisto. Il contributo di Russo e altri presenta metodologie e tecniche sperimentali di Neuromarketing utilizzate, da un lato, per valutare quantitativamente gli stati emotivi a partire da indicatori cardio-­‐respiratori e di pupillometria, e, dall’altro, come misurazioni elettroencefalografiche sincronizzate con tecniche di tracciamento dello sguardo (eye-­‐tracking) possa-­‐
no essere usate per inferire i livelli di attenzione e memoria. FOOD REPUTATION MAP: LA MISURA DELLA REPUTAZIONE DEI CIBI negative per il lavoratore e l’organizzazione. A tal fine, sono stati coinvolti nello studio 192 insegnanti di scuola secondaria, ai quali è stato somministrato un questionario contenente scale validate. In linea con l’obiettivo del presente simposio i risultati amplia-­‐
no il dibattito relativo alle molteplici sfaccettature del lavorare eccessivamente e in condizioni di incertezza tipiche del lavoro odierno, mostrando come la differente combinazione di carat-­‐
teristiche stressanti e motivanti, influenzi il benessere dei lavo-­‐
ratori e delle organizzazioni, nei termini di burnout, work enga-­‐
gement e presentismo. Il presente lavoro, su cui è in corso una nuova rilevazione, si propone di ampliare la riflessione sulle tendenze contrapposte che caratterizzano attualmente le organizzazioni, in cui il confi-­‐
ne tra l’essere motivato e l’essere dipendente dal lavoro appa-­‐
re estremamente sottile. PRESENTEISMO COME CATALIZZATORE DELLE REAZIONI DI BURNOUT: EFFETTI SUI DISTURBI DI SALUTE E SULLA PERFORMANCE C. Consiglio, G. Alessandri, Dipartimento di Psicologia, Sapien-­‐
za, Università di Roma Introduzione Da tempo sono note le conseguenze negative del burnout su una varietà di disturbi di salute e sulla performance dei lavora-­‐
tori (e.g. Peterson et al., 2008; Bakker et al., 2008). Un costrut-­‐
to più nuovo, anch’esso associato al malessere e alla produttivi-­‐
tà sul lavoro, è quello di presenteismo, inteso come il recarsi al lavoro anche quando ci si sente malati (Aronsson et al., 2000). La maggior parte degli studi sul presenteismo ne ha investigato gli antecedenti o le conseguenze, mentre ancora poco esplora-­‐
to è l’effetto combinato di burnout e presenteismo. Obiettivi e Metodi Il presente contributo intende esplorare il ruolo del presentei-­‐
smo come moderatore della relazione tra burnout e disturbi di salute da un lato e burnout e performance lavorativa dall’altro. Un campione di 796 lavoratori dipendenti di una Azienda Sani-­‐
taria Provinciale, equamente distribuito per sesso, ha compila-­‐
to le scale di: esaurimento e depersonalizzazione (MBI-­‐HSS, Maslach & Jackson, 1982); interpersonal strain (ISW, Borgogni et al., 2012); prestazione, disturbi di salute e presenteismo (HPQ, Kessler, 2003). Le ipotesi sono state testate attraverso due modelli di equazioni strutturali “moderati” (Klein & Moor-­‐
sbrugger, 2001). Nel primo modello, il burnout (costituito da esaurimento, depersonalizzazione e interpersonal strain), il presenteismo e l’interazione burnoutXpresenteismo predice-­‐
vano i disturbi di salute, mentre nel secondo modello le mede-­‐
sime variabili predicevano la prestazione lavorativa. Risultati Entrambi i modelli hanno mostrato un fit adeguato con i dati. I risultati hanno confermato il ruolo del presenteismo come "amplificatore" degli effetti negativi del burnout sia sulla salute che sulla performance lavorativa. Conclusioni Sulla base dei risultati dello studio, appare utile monitorare il livello di presenteismo, come condizione capace di fare precipi-­‐
tare gli effetti negativi del burnout. Mercoledì 25 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 2D M. Bonaiuto, Dipartimento di Psicologia dei Processi di Svi-­‐
luppo e Socializzazione, Sapienza Università di Roma e CIRPA – Centro Interuniversitario di Ricerca in Psicologia Ambientale, Roma S. De Dominicis, Dipartimento di Psicologia dei Processi di Svi-­‐
luppo e Socializzazione, Sapienza Università di Roma e CIRPA – Centro Interuniversitario di Ricerca in Psicologia Ambientale, Roma F. Fornara, Università degli Studi di Cagliari e CIRPA – Centro Interuniversitario di Ricerca in Psicologia Ambientale, Cagliari F. Bonaiuto, Psicologo Psicoterapeuta, Roma G. Carrus, Università di Roma Tre e CIRPA – Centro Interuni-­‐
versitario di Ricerca in Psicologia Ambientale, Roma L. Cicero, CIRPA – Centro Interuniversitario di Ricerca in Psico-­‐
logia Ambientale, Roma U. Ganucci Cancellieri, Università per Stranieri “Dante Alighie-­‐
ri”, Reggio di Calabria 13
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rofisiologiche ed implicite delle emozioni e su misure dell’intenzione al consumo di prodotti alimentari. I risultati suggeriscono il ruolo di priming ambientale della fra-­‐
granza portando all’aumento dell’intenzione a consumare ca-­‐
tegorie di prodotti congruenti. Le fragranze di cioccolato e caffè riducono i tempi di reazione nella categorizzazione sia di imma-­‐
gini fragranza-­‐correlate che di parole positive, ma anche di im-­‐
magini neutre e di parole negative. Questo effetto è giustificato dai risultati di precedenti studi che hanno dimostrato come l’uso di una fragranza a livello ambientale abbia un effetto nella riduzione dei tempi di reazione nel genere umano, dovuto all’effetto sul livello di arousal generale dei partecipanti (Millot et al., 2002). La riduzione nei tempi di reazione indistinta non ci permette di concludere che la stimolazione odorosa porti ad effetti subliminari nella categorizzazione di immagini target e parole positive quando associate a queste immagini. TECNICHE DI INDAGINE NEUROPSICOFISIOLOGICA E DI TRACCIAMENTO DELLO SGUARDO PER LA MISURAZIONE DEGLI STATI EMOTIVI, DI ATTENZIONE I. Petruccelli, Facoltà di Scienze Umane e Sociali, Università degli Studi di Enna “Kore” Introduzione La reputazione alimentare è la rappresentazione che la per-­‐
sona ha delle caratteristiche di un cibo come agente sociale: tutte le rappresentazioni dell’individuo circa quell’alimento, in particolare i suoi antecedenti e conseguenze (produzione ed effetti). Obiettivi e Metodi L’obiettivo è definire metodologicamente il costrutto di repu-­‐
tazione del cibo, proponendo uno strumento d’indagine (Food Reputation Map – FRM) per misurarne le dimensioni principali. Sono stati condotti quattro studi correlazionali tramite questionario: Studio 1 (N = 661), per la definizione delle dimensioni della FRM; Studio 2 (N = 2741) per la con-­‐
ferma della struttura fattoriale della FRM; Studio 3 e Studio 4 (versione cartacea e online), per la definizione finale dello strumento. Risultati Lo Studio 1 ha identificato 6 indicatori sintetici (Essenza, Ef-­‐
fetti culturali, economici, ambientali, fisiologici, psicologici) articolati in 23 indicatori specifici, ciascuno per misurare una dimensione specifica della reputazione di un alimento (142 item), nonché 2 indicatori generali di reputazione e un item di reputazione complessiva (10 item). Lo Studio 2, ha conferma-­‐
to la struttura della FRM su otto categorie alimentari e due categorie di prodotti, nonché la capacità discriminativa dello strumento in base all’oggetto di riferimento e/o alla categoria di stakeholder considerata. I risultati degli Studi 3 e 4 defini-­‐
scono la struttura finale dello strumento; inoltre descrivono la mappa di reputazione di tre importanti categorie di prodot-­‐
ti del mercato agroalimentare italiano. Conclusioni La FRM consente la descrizione del profilo di reputazione di singoli target alimentari a differenti possibili livelli (stakehol-­‐
der, brand, prodotti, categorie alimentari, ecc.), nonché il loro confronto sincronico o diacronico. Possono inoltre essere studiate le relazioni degli indicatori specifici o sintetici con quelli generali. PRIMING, AROUSAL E RIDUZIONE DEI TEMPI DI REAZIONE DELLE FRAGRANZE ALIMENTARI M. Mauri, Behavior and Brain Lab Libera Università IULM, Mi-­‐
lano F. Onorati, Behavior and Brain Lab Libera Università IULM, Milano R. Barbieri, Massachusetts Institute of Technology, Brain and Cognitive Science Dpt., Cambridge, USA L. Mainardi, Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria,Politecnico di Milano, Italia F. Sirca, Behavior and Brain Lab Libera Università IULM, Mila-­‐
no A. Missaglia, Behavior and Brain Lab Libera Università IULM, Milano A. Oppo, Behavior and Brain Lab Libera Università IULM, Mi-­‐
lano A. Ciceri, Behavior and Brain Lab Libera Università IULM, Mi-­‐
lano V. Russo, Behavior and Brain Lab Libera Università IULM, Mi-­‐
lano Lo sviluppo del neuromarketing permette di applicare tecniche neuroscientifiche allo studio del consumatore. Al fine di defini-­‐
re metodologie di indagine di neuromarketing sulla base di dati sperimentali nel campo dei consumi, due studi hanno mostrato come sia possibile valutare quantitativamente le emozioni a partire da indicatori cardiorespiratori e di pupillometria (Rain-­‐
ville et al., 2005; Onorati et al., 2013 – in press), e come misure elettroencefalografiche sincronizzate con tecniche di traccia-­‐
mento dello sguardo possono rivelare i livelli di attenzione e memorizzazione (Vecchiato et al., 2010). Nel primo studio, l’obiettivo è individuare specifici pattern psicofisiologici in gra-­‐
do di determinare automaticamente lo stato emotivo del sog-­‐
getto. Lo studio ha coinvolto 60 soggetti, di cui metà maschi e metà femmine, di età compresa tra i 18 e 25 anni. I primi risul-­‐
tati hanno dimostrato una correlazione significativa dei para-­‐
metri cardiorespiratori e di dilatazione pupillare con i quattro stati emotivi considerati. Dall’analisi della Letteratura (Vecchia-­‐
to et al., 2012; Babiloni et al., 2003) emerge una stretta con-­‐
nessione tra l’aumento dell’attività spettrale dell’EEG in alcune bande frequenziali e un incremento della probabilità di ricorda-­‐
re un’immagine o un frame di un video visto. La tecnologia EEG è stata utilizzata nel secondo studio per verificzre l’efficacia di N. Olivero, College London, London E. Maggioni, University of Oxford, Oxford E. Gatti, University of Oxford, Oxford C. Spence, University of Oxford, Oxford C. Velasco, University of Oxford, Oxford Nel presente studio si indaga come la presenza di una fragranza ambientale congruente con prodotti alimentari incrementi l’intenzione di consumo di questi prodotti (ex. una tazza di caf-­‐
fè o una fetta di dessert al cioccolato) (H1), riducendo il tempo di reazione nel compito di categorizzazione degli stessi (H2). Si testa inoltre come la presenza della fragranza possa avere un diretto impatto sulle emozioni dei partecipanti e come queste possano avere un effetto sull’intenzione d’acquisto. Si ipotizza che le fragranze portino ad un aumento delle emozioni positive ed una riduzione di quelle negative (H3). 123 studenti universi-­‐
tari partecipano alla sperimentazione di diverse fragranze con-­‐
gruenti su compiti di categorizzazione tramite IAT, misure neu-­‐
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sposte di rilassamento (Lehrer, Woolfolk, & Sime, 2007; Sch-­‐
wartz & Andrasik, 2003). Il presente studio si propone di valutare l’efficacia del biofeed-­‐
back training, in combinazione di metodo, nell’ambito di uno specifico intervento formativo di matrice cognitivo-­‐
costruttivista. Un gruppo di professionisti in formazione nel campo della salu-­‐
te (N = 15) ha partecipato ad uno specifico training di stress management, volto ad approfondire temi quali i significati per-­‐
sonali, gli stili di coping e le reazioni psicofisiologiche allo stress e ad apprendere alcune tecniche di respirazione e di rilassa-­‐
mento con il biofeedback. Tra i due incontri previsti sono stati proposti un programma di esercitazioni e un supporto a distan-­‐
za. Nella fase di pre e post training è stato registrato il profilo psi-­‐
cofisiologico e sono stati somministrati il Test Qu-­‐Bo, lo STAI-­‐Y e una griglia di repertorio sugli stili di coping. I partecipanti sono stati inoltre invitati a compilare un diario giornaliero per moni-­‐
torare lo svolgimento del programma. I risultati mettono in luce differenze statisticamente significati-­‐
ve tra le misurazioni pre e post training in alcune variabili psico-­‐
fisiologiche, una percezione di maggiore capacità di controllo del proprio stato di attivazione, l’importanza del feedback e il ruolo della motivazione intrinseca dei partecipanti. Tali risultati preliminari invitano a proseguire nella ricerca, an-­‐
che attraverso la realizzazione di studi controllati, per valutare l’efficacia del training nel lungo periodo e la sostenibilità della sua applicazione nei contesti organizzativi. IL RUOLO DEL FLOW AT WORK TRA DOMANDE LAVORATIVE E DISTURBI PSICOSOMATICI una serie di filmati educativi per bambini in contemporanea con quella Eye-­‐Tracking al fine di individuare in ogni istante il puntamento dello sguardo dei soggetti analizzati e correlarlo con il segnale cerebrale registrato, rilevando quindi quali im-­‐
magini/suoni del video hanno richiamato una maggiore atten-­‐
zione e memorizzazione da parte dei soggetti partecipanti allo studio. IL NEGOZIO DELL’INTERSOGGETTIVITÀ: DINAMICHE, BRAND-­‐
CONSUMATORE IN AMBIENTI 2.0 A PROPOSITO DI CONSU-­‐
MI ALIMENTARI C. Galimberti, E. Brivio, I. Cazzulani, F. Gatti, C. Strada, Uni-­‐
versità Cattolica del Sacro Cuore, Milano Scopo principale di questo intervento è mostrare come sia pos-­‐
sibile applicare alla dinamica delle interazioni brand-­‐
consumatori un modello descrittivo-­‐interpretativo sviluppato a proposito della costruzione della soggettività – considerata come il risultato dell’attivazione in situazioni interattive di ele-­‐
menti che appartengono al patrimonio identitario dei soggetti – e dell’intersoggettività – considerata come il risultato di un processo di ‘fine tuning’ tra soggetti. Le caratteristiche del pro-­‐
cesso in questione verranno illustrate in riferimento ai consumi alimentari, settore in cui gli elementi identitari e culturali risul-­‐
tano di particolare peso nella costruzione della soggettività sia del brand, sia dei singoli consumatori, sia delle comunità in cui essi si riuniscono online. In particolare verranno illustrate e di-­‐
scusse le caratteristiche del processo legate alla modulazione delle interazioni brand-­‐consumatore dovute all’utilizzo di stru-­‐
menti di comunicazione di natura social, ossia attivi all’interno di ambienti web 2.0, allo scopo di individuarne le specificità in vista della definizione delle migliori strategie per il loro utilizzo. Per illustrare tutto ciò in riferimento a quello che altrove ab-­‐
biamo definito il processo di ‘ridefinizione transitiva del brand’ (Galimberti, Brivio, Cazzulani, 2012), verranno presentate e di-­‐
scusse due case history. Mercoledì 25 settembre 2013 (17:00 / 19:00) Aula 2A M. Zito, L. Colombo, C. G. Cortese Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino Introduzione L’esperienza di flow at work (FaW) può essere definita come un picco di esperienza a breve termine caratterizzato da assorbi-­‐
mento, piacere lavorativo e motivazione intrinseca (Bakker, 2008). Il FaW è descritto negli studi come la circostanza più vantaggiosa per l’individuo e per l’organizzazione, in grado di generare benessere e ridurre vissuti di malessere psico-­‐fisico (Csikszentmihalyi, 1975). Obiettivi e Metodi Lo studio intende verificare la mediazione del FaW tra doman-­‐
de lavorative del contesto sanitario e la percezione di disturbi psicosomatici (DPS) in un campione di infermieri. Le variabili indagate sono: carico di lavoro, dissonanza emotiva, richieste dei pazienti (domande); FaW; DPS. Oltre alle analisi descrittive e al calcolo dell’alpha di Cronbach (SPSS20), tutti compresi tra .71 e.92, è stato stimato un modello di equazioni strutturali (Mplus7). Risultati I rispondenti al questionario sono 259 infermieri di un’azienda sanitaria del Nord Italia: 91.5% donne, 81.6% contratto full-­‐
time, 42 anni in media, 15 anni in media di anzianità presso l’azienda. Il modello (X2 = 74.2; df = 32; p < .00; RMSEA = .07; CFI = .93; TLI = .91; SRMR = .05) evidenzia che le domande diminuiscono il FaW che, a sua volta, riduce i DPS. Inoltre, le domande pre-­‐
sentano un effetto diretto nell’aumentare i DPS, ma anche un SESSIONE STRESS LAVORATIVO, SALUTE E INTERVENTI Moderatore: Franco Fraccaroli COME FRONTEGGIARE LO STRESS LAVORO-­‐CORRELATO CON IL BIOFEEDBACK TRAINING: UNO STUDIO PILOTA L. Dal Corso, Dipartimento FISPPA – Sezione di Psicologia Ap-­‐
plicata, Università degli Studi di Padova D. Covre, Istituto di Psicoterapia, intervento sul disagio in am-­‐
bito organizzativo e valorizzazione della persona, Padova A. Di Sipio, Dipartimento FISPPA – Sezione di Psicologia Appli-­‐
cata, Università degli Studi di Padova N. A. De Carlo, Dipartimento FISPPA – Sezione di Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova Nell’ambito delle tecniche dirette al fronteggiamento dello stress lavoro-­‐correlato hanno crescente rilievo quelle basate sul biofeedback (McCraty, Atkinson, Lipsenthal, & Arguelles, 2009). Ampiamente utilizzate per apprendere il controllo volontario di diverse funzioni fisiologiche, esse hanno mostrato la loro effi-­‐
cacia nella riduzione del livello di attivazione e nel favorire ri-­‐
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Atti Congresso AIP 25-28 settembre 2013 - Padova
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SESSIONE SICUREZZA DELL’AMBIENTE DI LAVORO E DIVERSITY MANAGEMENT Moderatore: Massimo Bellotto COMPORTAMENTO DI CITTADINANZA PER LA SICUREZZA: UNA RICERCA CROSS-­‐CULTURALE effetto indiretto mediato dal FaW che diminuisce l’effetto delle domande sui DPS. Conclusioni I risultati evidenziano il ruolo di mediatore del FaW tra doman-­‐
de lavorative e DPS. Vivere esperienze ottimali al lavoro è dun-­‐
que fondamentale perché il FaW è in grado sia di ridurre diret-­‐
tamente i vissuti di malessere, sia di tamponare l’effetto delle domande su questi stessi vissuti. Promuovere l’esperienza di flow, attraverso iniziative di gestione e sviluppo delle risorse umane, risulta fondamentale per proteggere la salute dei lavo-­‐
ratori e mantenere alta la qualità di vita lavorativa. IL RISCHIO DI TRAUMATIZZAZIONE VICARIA NEI VIGILI DEL FUOCO: LA MINDFULNESS COME FATTORE DI PROTEZIONE M. Curcuruto, Dipartimento di Psicologia, Università di Bolo-­‐
gna M. G., Mariani, Dipartimento di Psicologia, Università di Bolo-­‐
gna S. Conchie, Department of Psicology, University of Lancaster, Lancaster, United Kingdom Introduzione L’importanza del comportamento di cittadinanza nel promuo-­‐
vere la sicurezza sul lavoro è innegabile. In letteratura, il co-­‐
strutto di safety citizenship behavior (acr. SCB) è stato associato alla riduzione del tasso di infortuni e al generale apprendimen-­‐
to organizzativo, e concettualizzato come un costrutto olistico comprendente sei componenti: voicing; initiating a change; helping; wistleblowing; stewardship; civic virtue. Tuttavia, re-­‐
centi ricerche suggeriscono che alcune componenti possono funzionare in modo differenziato. Obiettivi In assenza di studi internazionali di validazione, la presente ri-­‐
cerca affronta il problema della validità e della stabilità della struttura fattoriale di SCB attraverso diversi campioni di lavora-­‐
tori europei. Basandosi sulla ricerca contemporanea sul com-­‐
portamento di cittadinanza, si ipotizza che esistano due dimen-­‐
sioni di SCB di ordine superiore: affiliative-­‐oriented VS challen-­‐
ging-­‐oriented. Mentre la prima appare orientata al manteni-­‐
mento del benessere dei lavoratori, la seconda appare orienta-­‐
ta al miglioramento dei livelli di sicurezza dei processi. Metodologia I dati sono stati raccolti in differenti nazioni europee (Italia, Fe-­‐
derazione Russa, Regno Unito), mediante questionario sommi-­‐
nistrato a campioni di lavoratori (N > 1000) del settore chimico. I dati sono stati trattati con modelli ad equazione strutturale e multi-­‐gruppo. Risultati Studio 1: I risultati statistici supportano la validità e la stabilità della struttura latente proposta attraverso i differenti campioni nazionali. Studio 2: L’analisi della rete nomologica di SCB effet-­‐
tuata in uno dei campioni mostra come le due dimensioni so-­‐
vraordinate SCB siano associate a processi psicosociali com-­‐
plementari (commitment vs proactivity). Conclusioni I risultati della ricerca mostrano implicazioni teoriche e pratiche su come progettare la promozione della sicurezza nei luoghi di lavoro attraverso il coinvolgimento attivo dei lavoratori. AZIENDA ORIENTATA AL SUCCESSO È SINONIMO DI ZERO INFORTUNI? UNO STUDIO QUALITATIVO SULLA GESTIONE DELLA SICUREZZA I. Setti, P. Argentero, Dipartimento di Scienze del Sistema Ner-­‐
voso e del Comportamento, Unità di Psicologia Applicata, Università degli Studi di Pavia Introduzione Per la frequente esposizione a eventi potenzialmente traumati-­‐
ci, i Vigili del Fuoco sono una popolazione ad elevato rischio di sviluppare Traumatizzazione Vicaria (TV), manifestazione carat-­‐
terizzata dalla sintomatologia tipica del DPTS (Setti & Argente-­‐
ro, 2012). Fra i fattori di protezione della TV, la Mindfulness è definita come la capacità di prestare attenzione ed essere pie-­‐
namente consapevole del presente (Brown & Ryan, 2003). Gli obiettivi del presente studio sono: a) esaminare la presenza di sintomi post-­‐traumatici in un gruppo di Vigili del Fuoco; b) veri-­‐
ficare il potere protettivo della Mindfulness nei confronti del rischio di sviluppare TV. Metodo La presente ricerca ha coinvolto i Vigili del Fuoco (N = 176) di due città del Nord Italia. Il gruppo è costituito da uomini, pro-­‐
fessionisti, con età media pari a 38 anni e anzianità di servizio pari a 11 anni. Ai partecipanti sono stati somministrati: la Mindful Awareness Attention Scale (MAAS; Brown & Ryan, 2003) per la valutazione della Mindfulness e la Secondary Traumatic Stress Scale-­‐It (STSS, Bride et al., 2004; versione ita-­‐
liana a cura di Setti & Argentero, 2012) per rilevare la presenza di sintomi post-­‐traumatici (iper-­‐arousal e pensieri intrusivi). Risultati I partecipanti hanno riportato punteggi bassi nella STSS-­‐It, indi-­‐
cando uno scarso rischio di sviluppare TV. Le analisi di regres-­‐
sione hanno rivelato che la Mindfulness esercita un’influenza significativamente negativa sui sintomi di TV, in termini sia di iper-­‐arousal (β = -­‐.57, p < .01) sia di pensieri intrusivi (β = -­‐.40, p < .01). Conclusioni I risultati consentono di attribuire la scarsa diffusione di sintomi post-­‐traumatici alla presenza di buone risorse psicologiche, so-­‐
prattutto in termini di Mindfulness. Pertanto, in accordo anche ad altre ricerche (Smith et al., 2011), percorsi finalizzati al po-­‐
tenziamento della Mindfulness potrebbero rinforzare la resi-­‐
lienza e il benessere dei Vigili del Fuoco. Mercoledì 25 settembre 2013 (17:00 / 19:00) Aula 2B R. G. Zuffo, Università “G. d’Annunzio”, Chieti M. E. Maiolo, DISPUTER – Dipartimento di Scienze Psicologi-­‐
che, Umanistiche e del Territorio, Università “G. d’Annunzio”, Chieti 16
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L’analisi dei dati, condotta attraverso un SEM multilivello per rispettare la struttura annidata dei dati considerati, intendeva verificare se il CSC media la relazione tra il CSS e i comportamen-­‐
ti di sicurezza. Sono anche state analizzate le singole dimensioni del clima, per verificare quali componenti – sia nel caso del CSS che nel caso del CSC – mostrino un peso maggiore nel determi-­‐
nare i comportamenti. I risultati mostrano che il CSC media par-­‐
zialmente la relazione tra CSS e gli esiti di sicurezza, con un effet-­‐
to maggiore sui comportamenti partecipativi. SVILUPPO DI UNA SCALA PER LA VALUTAZIONE DEL CLIMA DI DIVERSITÀ NEL CONTESTO ITALIANO Introduzione Nelle aziende a conduzione familiare riveste fondamentale im-­‐
portanza la dimensione della cultura aziendale (Denison et al.,2004; Zahara et al.,2004), che costituisce uno dei competiti-­‐
ve advantage, essendo imprese difficili “da imitare” dai compe-­‐
titor. La cultura d’impresa è definibile come quel pattern coe-­‐
rente e relativamente stabile di artefatti, valori dichiarati e as-­‐
sunti taciti condivisi (Schein, 1999) che giocano un ruolo crucia-­‐
le nell’origine ed evoluzione dell’impresa. Mentre la relazione tra cultura d’impresa e performance è stata ampiamente stu-­‐
diata – così come la relazione tra cultura d’impresa e cultura della sicurezza – il rapporto tra cultura d’impresa e sicurezza nelle aziende a conduzione familiare è poco indagato in lettera-­‐
tura. Obiettivi e Metodi Tale studio si propone di analizzare il ruolo che i valori dichiara-­‐
ti e gli assunti taciti condivisi esercitano sui processi legati alla performance ed alle pratiche sulla sicurezza nelle aziende a conduzione familiare, utilizzando un approccio qualitativo. So-­‐
no state effettuate interviste narrative ad un campione di im-­‐
prenditori di aziende a conduzione familiare appartenenti a diversi settori produttivi di un’area locale italiana. Risultati I dati guidano verso l’ipotesi che una cultura connotata da pa-­‐
rametri di eccellenza su un qualche fattore (prodotto, processo, mercato, organizzazione) induce e pervade l’impresa anche verso una accettabile o eccellente cultura della sicurezza sul lavoro. Conclusioni Sebbene l’approccio qualitativo utilizzato non permetta di ge-­‐
neralizzare i dati ottenuti, il presente studio permette una chia-­‐
ve di lettura sulla reciproca influenza tra cultura aziendale, suc-­‐
cesso e la gestione delle pratiche legate alla sicurezza, sugge-­‐
rendo importanti risvolti applicativi in ambito di comunicazione e prevenzione da parte degli enti preposti. CLIMA DI SICUREZZA DI GRUPPO E PERFORMANCE DI SICUREZZA: UN SEM MULTILIVELLO A. Paolillo, Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia, Università degli Studi di Verona M. Pasini, Università degli Studi di Verona P. Magnano, Università degli Studi Kore, Enna S. Silva, ISCTE-­‐IUL, University Institute of Lisbon, Lisbon Il clima di diversità si riferisce alle percezioni condivise dei lavo-­‐
ratori relativamente al grado in cui un’azienda mette in atto politiche, procedure e pratiche eque e socialmente inclusive nei confronti dei propri dipendenti, in particolare di coloro che ap-­‐
partengono a minoranze (di genere, etnia, religione, abilità psi-­‐
cofisiche, età, condizioni sociali). Tale costrutto avrebbe pertanto un ampio impatto sociale, ol-­‐
tre che delle importanti ricadute in termini di efficacia e per-­‐
formance aziendale. Negli Stati Uniti Mor Barak, Cherin and Berkman (1998; 2005) hanno presentato uno studio di validazione di una scala sul cli-­‐
ma di diversità, la quale esamina le percezioni dei lavoratori rispetto alla gestione della diversità in azienda attraverso 16 items, organizzati in 4 fattori, facenti capo a 2 sovra-­‐di-­‐
mensioni, una organizzativa (i cui fattori sono rispettivamente equità organizzativa e inclusione organizzativa) e una personale (i cui fattori sono rispettivamente valore attribuito e comfort sperimentato nei confronti della diversità). L’obiettivo del presente contributo è quello di esaminare le proprietà psicometriche di un adattamento italiano di tale scala e di verificarne la struttura fattoriale. Una prima versione comprendeva 21 items (16 items tradotti dall’originale e 5 items aggiunti per l’adattamento al contesto italiano) rispetto ai quali indicare il proprio grado di disaccor-­‐
do/accordo su una scala Likert a 6 punti. I dati sono stati raccol-­‐
ti su un campione di 400 lavoratori provenienti da diverse aziende italiane. Le analisi statistiche condotte (CFA) mostrano che il modello con i 16 items della scala originale non risulta identificato, men-­‐
tre un modello a 4 fattori con 14 items (9 tradotti dall’originale, 5 aggiunti per il contesto italiano) presenta buoni indici di adat-­‐
tamento. Tale studio rappresenta il primo tentativo di sviluppare una sca-­‐
la per la valutazione del clima di diversità nel contesto italiano. ORGANIZZAZIONI SOSTENIBILI E DIVERSITY MANAGEMENT M. Brondino, Università di Verona M. Pasini, Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia, Università di Verona Il clima di sicurezza è riconosciuto come importante predittore degli esiti di sicurezza. Alcune importanti riflessioni sul clima di sicurezza ne hanno evidenziato il suo carattere multilivello (e.g. Zohar, 2010, considerando il livello organizzativo e il livello di gruppo. Alcuni autori hanno inoltre sottolineato che il clima di gruppo è determinato da due agenti: il supervisore e i colleghi del gruppo di lavoro(e.g. Brondino, Pasini, Silva, 2011, 2012). Questa ricerca analizza il ruolo del clima dei di sicurezza di gruppo, declinato nelle due componenti di clima del superviso-­‐
re (CSC) e di clima dei colleghi (CSC) nel determinare i compor-­‐
tamenti di sicurezza, distinti in comportamenti partecipativi e comportamenti di conformità (Griffin e Neal, 2000). Ai lavoratori in produzione di 24 aziende del settore metalmec-­‐
canico del Veneto è stato somministrato un questionario per la autovalutazione del clima di sicurezza dei supervisori e dei col-­‐
leghi del gruppo di lavoro, nonché per la rilevazione dei com-­‐
portamenti di sicurezza. In totale i dati analizzati riguardano 2090 lavoratori suddivisi in 219 gruppi di lavoro, ciascuno com-­‐
posto da almeno 4 lavoratori. T. Ramaci, Università “Kore” di Enna G. Santisi, Università degli Studi di Catania S. Platania, Università degli Studi di Catania Introduzione Una delle criticità che le organizzazioni si trovano ad affrontare oggi è la conciliazione tra esigenze di sostenibilità e turbolenza 17
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Si indica con trasferimento di tecnologia (TT) l’insieme dei pro-­‐
cessi con i quali gli enti di ricerca (EdR, tipicamente pubblici) condividono i risultati della propria ricerca con la società (altri enti di ricerca, imprese, enti pubblici, etc.). Questi processi vengono normalmente studiati da punti di vista tecnologici (le-­‐
gati allo sviluppo di nuovi prodotti, processi o servizi nei vari ambiti generalmente ritenuti commercializzabili); legali (relativi alle varie forme di gestione della proprietà intellettuale) ed economici/econometrici (relativi alle negoziazioni e ai flussi di risorse che legano EdR, industria e mondo esterno). In questo lavoro ci concentriamo sulla funzione delle unità in-­‐
terne agli EdR deputate alla cura del processo di TT. Emerge già a una prima analisi che esse operano, o dovrebbero operare, come uno dei sottosistemi dell’EdR, in sinergia con i ricercatori e con il management. Diventano pertanto cruciali i processi di comunicazione e sense-­‐making che coinvolgono l’ufficio TT. L’ufficio TT funge poi da interfaccia tra l’EdR e i partner esterni, il che rende ancora più importante il senso che l’EdR global-­‐
mente dà alla sua funzione e alle sue attività. Dalla nostra analisi segue che un’etichetta come scam-­‐
bio/condivisione di conoscenza sarebbe più appropriata, per-­‐
ché ciò che è in gioco non è necessariamente tecnologia, e co-­‐
munque non è mai tecnologia in isolamento, e perché non ha senso vedere il processo come un trasferimento propriamente detto. Per conseguenza, i temi del TT dovrebbero coinvolgere tutte le aree di attività degli EdR e non solo quelle strettamente tecnologiche. L’ufficio TT dovrebbe essere considerato una del-­‐
le componenti fondamentali del senso che gli EdR danno a sé stessi e alle loro relazioni con il mondo esterno, e pertanto del senso che la società esterna dà alla ricerca scientifica e tecno-­‐
logica e alle organizzazioni che se ne occupano. INTUIZIONE E CONTROLLO DI SISTEMI COMPLESSI degli ambienti. Questo nodo critico è reso ancora più comples-­‐
so dalle frequenti richieste di maggiore “qualità della democra-­‐
zia gestionale”. Da questo punto di vista, il Diversity Manage-­‐
ment si rivela un approccio teorico-­‐pratico utile per indagare i processi che, nei contesti lavorativi, generano conflitti sulla ba-­‐
se della percezione della reciproca diversità. Obiettivi e Metodi Obiettivo dello studio è quello di individuare quei comporta-­‐
menti resilienti in grado di favorire la promozione ed il soste-­‐
gno delle diversità in ambito organizzativo. Il modello utilizzato ed applicato su di un campione di 268 lavoratori/lavoratrici di organizzazioni del settore pubblico e privato, è quello del Di-­‐
versity Endorsement (Avery, 2011) secondo cui la tipologia di endorsement (attivo o passivo) è individuata attraverso il con-­‐
corso di fattori individuali (pregiudizio, status, egualitarismo) e fattori contestuali (diversity climate, tipologia di endorsement). Inoltre, gli autori di questo studio hanno individuato altri fattori che rappresenterebbero validi predittori del DM. Risultati I primi risultati pongono le basi per proseguire, su più ampia scala, il processo di validazione del modello di Avery (2011) ve-­‐
rificandone gli effetti sui costrutti di efficacia organizzativa, en-­‐
gagement e soddisfazione lavorativa. Conclusioni Partendo dalle premesse di questo studio ci si aspetta di per-­‐
venire alla pianificazione di pratiche di gestione e sviluppo della persona nelle organizzazioni pienamente aderenti ai principi di sostenibilità organizzativa e di rispetto e riconoscimento della diversità. Giovedì 26 settembre 2013 (9:00 / 11:00) Aula 2D Presentazione di Michela Cortini S. Castelli, Università degli Studi di Milano-­‐Bicocca A. Berganton, AgustaWestland, Cascina Costa di Samarate (VA) Michael West, Lancaster University Management School: “Nurturing organizational culture: Visions, Leaders and Teams” Giovedì 26 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2B SESSIONE ERGONOMIA E SISTEMI COMPLESSI Moderatore: Alessandra Re UNA VISIONE ORGANIZZAZIONALE E SISTEMICA DEL “TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIA” È da tempo che la psicologia della decisione manageriale inda-­‐
ga l’utilità delle intuizioni per controllare ambienti complessi (per una sintesi della discussione sull’utilità della decisione in-­‐
tuitiva sul posto di lavoro, Hodgkinson, Sadler-­‐Smith, Burke, et al., 2009). D’altro canto lo studio sperimentale sul controllo dei sistemi complessi è iniziato ormai da cinquanta anni. Fino ad ora però la ricerca sull’intuizione e quella sul controllo dei si-­‐
stemi complessi non sono state messe in relazione tra loro. L’intuizione è un processo il cui output è un’emozione, la quale può essere impiegata come guida per prendere una decisione (Betsch, 2008). Un’intuizione è tanto più efficace tanto più è vasto il corpus di conoscenze contesto-­‐specifiche a nostra di-­‐
sposizione: conoscenze di natura implicita (Epstein, 1999; 2010; Evans, 2010) o relative all’interazione tra conoscenze esplicite e implicite (Dane, Pratt, 2007). In entrambi i casi la conoscenza tacita ha un ruolo essenziale. L’ipotesi principale che questo lavoro intende testare è che i soggetti i quali tendono a fare largamente uso delle proprie intuizioni esibiscono un indice di miglioramento delle presta-­‐
zioni superiore agli altri nella gestione di un sistema complesso. A questo fine, è stato messo a punto un protocollo sperimenta-­‐
le innovativo basato sulla gestione computerizzata di un “Mi-­‐
croworld” (Brehmer, Dörner, 1993), a cui sono stati sottoposti A. Boldi, Dipartimento di Psicologia e Centro di Scienza Cogni-­‐
tiva, Università degli Studi di Torino A. Brizio, Dipartimento di Psicologia e Centro di Scienza Cogni-­‐
tiva, Università degli Studi di Torino M. Caccia, Dipartimento di Scienza ed Alta Tecnologia, Uni-­‐
versità degli Studi dell’Insubria, Como F. Capozzi, Dipartimento di Psicologia e Centro di Scienza Co-­‐
gnitiva, Università degli Studi di Torino A. Fantauzzi, Dipartimento di Storia, Culture, Religioni, Uni-­‐
versità degli Studi di Roma "La Sapienza", Roma L. Paolucci, Sistema di Supporto alla Ricerca, Innovazione e Trasferimento Tecnologico, Università degli Studi dell’Insu-­‐
bria, Como M. Tirassa, Dipartimento di Psicologia e Centro di Scienza Co-­‐
gnitiva, Università degli Studi di Torino 18
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strazione dei farmaci; il contributo dei fogli di terapia integrati sulla sicurezza del paziente; il passaggio a una gestione infor-­‐
matizzata del processo. La ricerca si è posta l’obiettivo di analizzare la gestione della terapia in un reparto di degenza di un Ospedale di Torino, con particolare attenzione al Foglio Terapia Unificato (FTU) carta-­‐
ceo in uso, realizzato a seguito di una progettazione partecipa-­‐
ta tra medici ed infermieri del reparto. Ci siamo chiesti: il FTU adottato è in grado di prevenire possibili errori attivi e latenti nella gestione integrata della terapia? Alla ricerca hanno parte-­‐
cipato tutti i medici (N = 4) ed infermieri (N = 11) del reparto. La fase di raccolta dati si è avvalsa di numerose fonti di prova (os-­‐
servazione, interviste, documenti, Contextual Inquiry, video, foto) e metodi di analisi ergonomica delle attività (Istruzioni al Sosia). L’analisi categoriale dei dati è stata supporta da N-­‐Vivo. I risultati hanno evidenziato alcune occorrenze di errore e qua-­‐
si-­‐errore, non spiegabili in termini di usabilità perché gli opera-­‐
tori sottolineavano efficacia, efficienza e soddisfazione del FTU. È stata condotta quindi un’analisi ergonomica delle attività per esplorare l’interazione e integrazione nell’uso del FTU tra me-­‐
dici (che prescrivono la terapia) e infermieri (che la trascrivono e consultano il foglio prima della somministrazione). Nella let-­‐
tura e uso del FTU sono emerse due “viste cognitive” distinte per medici ed infermieri, rappresentanti gli obiettivi operativi specifici (prescrizione e somministrazione). La soddisfazione di criteri di usabilità di artefatti organizzativi non basta a garantire l’affidabilità del sistema di lavoro, e il fo-­‐
cus si sposta sulla qualità delle interazioni cognitive fra i gruppi di lavoro. Giovedì 26 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2C SESSIONE SICUREZZA DELL’AMBIENTE DI LAVORO E DIVERSITY MANAGEMENT Moderatore: Giuseppe Scaratti ACCOMODAMENTI LAVORATIVI PER FAVORIRE IL SUCCESSO LAVORATIVO DI PERSONE CON SCHIZOFRENIA 31 studenti universitari di età compresa tra i18 e i 27 anni (m = 23). Attraverso una serie di tre esperimenti posti in sequenza tale da controllare i prerequisiti all’esperimento successivo, è stato possibile estrarre una correlazione significativa tra livello di in-­‐
tuizione come misurato dal Rational Experiential Inventory (Ep-­‐
stein et al.,1996) e incremento delle prestazioni con la pratica. Il livello assoluto della prestazione sembra invece dipendere dal livello cognitivo del soggetto. LA GESTIONE DEGLI ERRORI PER L’APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO: RAPPRESENTAZIONI ED EMOZIONI NEL RACCONTO DI EPISODI DI ERRORI M. L. Farnese, F. Cardea, J. Suta, E. Tilloca, Sapienza Universi-­‐
tà di Roma Introduzione La letteratura recente sul tema degli errori evidenzia come questi possano essere determinati da fattori non solo di livello individuale ma anche organizzativo, connessi ai processi pro-­‐
duttivi (Reason 2008) e alla cultura (van Dyck et al 2005). Cultu-­‐
re organizzative orientate all’error aversion ovvero all’error management, inducono rispettivamente la negazione e coper-­‐
tura delle azioni erronee ovvero l’utilizzo del feedback negativo per generare apprendimento organizzativo (Hofmann & Frese 2011). Gli aspetti caratterizzanti la cultura dell’errore risultano tuttavia ancora poco studiati. Obiettivi e Metodi Lo studio, parte di una ricerca più ampia, si propone di esplora-­‐
re le rappresentazioni degli errori organizzativi, con particolare attenzione al ruolo giocato dalle emozioni. Attraverso un’inter-­‐
vista semi-­‐strutturata basata sul racconto di casi critici (Flana-­‐
gan, 1954) e di un questionario sul tema dell’error culture (van Dyck et al., 2005) proposti a 60 lavoratori di diversi contesti organizzativi, è stata svolta l’analisi dei contenuti. In particola-­‐
re, su un corpus di 64.182 occorrenze, sono state svolte a) una cluster analysis (T-­‐Lab), b) l’analisi delle emozioni espresse dai soggetti nei racconti, codificate e accorpate in categorie più ampie (Atlas.ti), c) l’analisi della relazione tra le tipologie di emozioni individuate e le percezioni dei soggetti relative alla cultura dell’errore presente nel proprio contesto (SPSS). Risultati I risultati delle diverse analisi fanno emergere quattro principali modelli di rappresentazione degli errori. Vengono inoltre indi-­‐
viduate le tipologie prevalenti di emozioni spontaneamente associate dai soggetti che operano in contesti lavorativi con diverso orientamento culturale verso gli errori. Conclusioni Lo studio contribuisce a delineare il processo che sostiene un orientamento culturale favorevole alla gestione degli errori, cogliendo il potenziale di apprendimento che essi racchiudono. IL FOGLIO TERAPIA UNIFICATO IN UN REPARTO DI DEGENZA. QUESTIONI DI USABILITÀ E DI AFFIDABILITÀ P. Villotti, S. Zaniboni, F. Fraccaroli, Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive, Università degli Studi di Trento Gli accomodamenti lavorativi sono di fondamentale importan-­‐
za per lavoratori svantaggiati, come le persone che soffrono di schizofrenia, che trovano difficile inserirsi e rimanere nel mer-­‐
cato del lavoro. Gli studi finora condotti però si sono focalizzati soprattutto su campioni di disabilità fisica. Lo studio ha indagato la relazione sussistente tra l’utilizzo di accomodamenti lavorativi ed il successo lavorativo di persone che soffrono di schizofrenia. Un totale di 70 persone con dia-­‐
gnosi di schizofrenia inserite in 12 cooperative di inserimento lavorativo sono state intervistate sugli accomodamenti lavora-­‐
tivi disponibili sul proprio posto di lavoro attraverso la sommi-­‐
nistrazione della Work Accommodation Scale (WAS). A 12 mesi di distanza i partecipanti allo studio sono stati ricontattati per un follow-­‐up sull’andamento della loro esperienza lavorativa. I partecipanti allo studio che nella fase di follow-­‐up avevano mantenuto il proprio posto di lavoro all’interno della coopera-­‐
tiva sociale differivano significativamente da coloro i quali ave-­‐
vano perso il lavoro nelle categorie di accomodamenti lavorati-­‐
vi relativi a: supporto da parte di vari stakeholders; supporto T. C. Callari, A. Re, LIDEA – Laboratorio InterDipartimentale di Ergonomia Applicata, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino Molte ricerche hanno approfondito il tema della gestione della terapia nei contesti ospedalieri, affrontando le cause e gli effet-­‐
ti di errori di trascrizione e/o interpretazione nella sommini-­‐
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voratore al fine del suo reinserimento. La peculiarità di questo studio, supportato da dati raccolti pre e post intervento, risiede nell’aver evidenziato il ruolo strategico del coinvolgimento del lavoratore nei processi di cambiamento. EFFETTO DEI FATTORI PSICOSOCIALI SUL RIENTRO LAVORATIVO NEI PAZIENTI CARDIOVASCOLARI informativo, strumentale e riconoscimento; flessibilità lavorati-­‐
va. I partecipanti non differivano invece per livelli di autostima, autoefficacia lavorativa, produttività percepita, gravità dei sin-­‐
tomi e coinvolgimento lavorativo. Il poter contare su reti di supporto emotivo e sociale dentro e fuori il posto di lavoro, il ricevere feedback e riconoscimenti da parte di colleghi e datore di lavoro, la possibilità di apportare modifiche sul posto di lavoro e avere un certo grado di flessibi-­‐
lità lavorativa in termini di orari sono fattori facilitanti il mante-­‐
nimento lavorativo nel tempo di lavoratori che soffrono di schi-­‐
zofrenia. I risultati dello studio contribuiscono alla ricerca nel campo della prevenzione alla disabilità e dell’integrazione lavo-­‐
rativa di persone con disabilità psichica. BACK IN THE LINE. REINSERIRE OPERAI CON RIDOTTA ATTIVITÀ LAVORATIVA NELLA LINEA PRODUTTIVA: UN INTERVENTO DI ERGONOMIA PARTECIPATA A. Gragnano, M. Miglioretti, Università degli Studi di Milano Bicocca Il reinserimento lavorativo dei pazienti cardiovascolari è un obiettivo fondamentale del loro processo di cura, ancora più rilevante a seguito dell’innalzamento dell’età pensionabile e della revisione dei criteri di pensionabilità per invalidità. Lo studio ha l’obiettivo di indagare i fattori che influenzano il tempo necessario per il rientro lavorativo e la sua qualità. I pa-­‐
zienti (n = 88; età: M = 51.5±7.84; uomini: 87.5%) sono stati valutati in 3 momenti: all’inizio della riabilitazione a seguito di un evento cardiovascolare (t0) al termine di tale percorso (t1) e 6 mesi dopo, ad attività lavorativa ripresa (t2). Ogni partecipan-­‐
te ha compilato una batteria di questionari che analizza lo stato ansioso e depressivo, le caratteristiche oggettive e soggettive del lavoro, il job involvement e la soddisfazione lavorativa. Le analisi effettuate mostrano che il tempo di rientro lavorativo è predetto dal Carico Lavorativo Psicologico (β = .243; p < .05). Tra t0 e t2 si osserva una diminuzione delle ore lavorative (M0 = 42.6±12.3; M1 = 40±10.3; p = .05) e del carico di lavoro per-­‐
cepito (M0 = 17 ±3.3; M2 = 15.9±2.7; p < .001), una diminuzio-­‐
ne del supporto percepito dai colleghi (M0 = 12.4±2.3; M2 = 11.4±1.8; p < .001) e del Job Involvement (M0 = 3±0.78; M2 = 2.8±0.59; p = .001). Infine, se la riabilitazione (t0–t1) determina un miglioramento dello stato psicologico del paziente, con una flessione degli indici di depressione, ansia e percezione della malattia, il trend cambia al rientro lavorativo (t1–t2) con gli in-­‐
dici di depressione e ansia che tornano ai livelli di T0. I risultati evidenziano come il rientro lavorativo dopo un evento cardiovascolare sia influenzato da dimensioni relate alla perce-­‐
zione delle caratteristiche del lavoro e come, tale rientro, non sia per i pazienti semplice, ma caratterizzato da un peggiora-­‐
mento della percezione delle caratteristiche del proprio lavoro, a cui si accompagna un peggioramento dello stato psicologico del paziente. L’INSICUREZZA LAVORATIVA PUÒ PREDIRE I COMPORTAMENTI CONTRO-­‐PRODUTTIVI? SPIEGAZIONE COGNITIVA E AFFETTIVA A CONFRONTO M. Mottica, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Trieste M. Borelli, Dip.to Clinico di Scienze mediche, chirurgiche e del-­‐
la salute, Università di Trieste F. Polo, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Stu-­‐
di di Trieste E. Quarin, Electrolux Italia SpA G. Lorenzon, Electrolux Italia SpA S. Giacomini, G&G Srl, Pordenone S. Cervai, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Trieste La presenza di patologia negli operatori addetti alle linee di montaggio caratterizzate da compiti ripetitivi determina la cer-­‐
tificazione di inabilità funzionali temporanee o permanenti all’attività lavorativa (RAL). Tale fenomeno incide sul livello di produttività dell’azienda e sul clima organizzativo in relazione all’attribuzione agli operatori con RAL di postazioni percepite dai colleghi in linea, come “privilegiate”. Electrolux Italia in se-­‐
guito alla ri-­‐progettazione delle linee di produzione, ha definito un modello di intervento finalizzato alla ri-­‐collocazione dei por-­‐
tatori di inabilità funzionali in linea. Obiettivi Obiettivo di questa ricerca è quello di rilevare l’impatto psico-­‐
sociale del modello di intervento adottato sugli operai con RAL reintegrati nella linea di produzione. Metodo Utilizzo di interviste semi-­‐strutturate somministrate pre e post reinserimento in linea degli operatori con RAL. Rilevazione e analisi dei dati quantitativi relativi agli operatori con RAL rein-­‐
tegrati in linea. Risultati L’assunzione di responsabilità per il proprio operato, la ricerca di significato nel proprio lavoro e ruolo, la percezione di un processo di coinvolgimento da parte dell’operaio nella ricerca del “posto adatto all’uomo” emergono come segnali evidenti di una necessità di riproporre, anche nei contesti industriali, la centralità della persona. Conclusioni L’ampia letteratura sui blue collar e gli aspetti psicosociali del lavoro in linea è principalmente dedicata alle forme di mono-­‐
tonia, stress e difficoltà muscolo-­‐scheletriche. Rare sono ancora le ricerche che esaminano modalità di ergonomia partecipata (Rivilis et al., 2008) che si basano su un coinvolgimento del la-­‐
B. Piccoli, M. Bellotto, Università degli Studi di Verona Introduzione Pochi studi hanno esaminato l’influenza dell’insicurezza lavora-­‐
tiva(IL)sui comportamenti contro-­‐produttivi (CCP),cioè compor-­‐
tamenti che violano le norme dell’organizzazione e che rappre-­‐
sentano un aspetto della perfomance importante per l’efficacia organizzativa. La ricerca suggerisce che le situazioni lavorative stressanti ed incerte possono indurre a mettere in atto tali comportamenti nel tentativo di riguadagnare il controllo sull’ambiente. D’altra parte invece,la paura causata dall’IL può portare ad evitare qualsiasi comportamento che aumenti la probabilità di perdere il lavoro 20
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tazione condivisa e non riflette i ruoli dominanti di genere che rappresentano quel livello “zero” della comunicazione a cui i media sono quasi costretti ad adattarsi per raggiungere il pub-­‐
blico più ampio possibile. La discussione si concentrerà sui fattori di continuità o di possi-­‐
bile evoluzione nella rappresentazione della donna in pubblici-­‐
tà, alla luce dei più recenti sviluppi in ambito psicosociale nello studio degli stereotipi di genere. GIOVANI CONSUMATORI E INCIDENZA DELLO STILE DI VITA NELLA DETERMINANTE DI SCELTA DEL BRAND Obiettivi e Metodo Lo studio propone 2 diversi meccanismi di mediazione per ten-­‐
tare di spiegare la relazione IL-­‐CCP. Nello specifico,la giustizia procedurale valuta le procedure usate per la distribuzione delle risorse e il grado al quale il lavoratore può influire su tali deci-­‐
sioni (control model of justice): spiegazione cognitiva. Invece, l’affective commitment fa riferimento ai processi di identifica-­‐
zione con gli obiettivi dell’azienda:spiegazione affettiva. Il campione è composto da 570 operai del nord-­‐est. Le analisi sono fatte in 2 step: (a) testando il modello di misura ipotizzato attraverso CFA e confrontandolo con tre alternativi; (b) testan-­‐
do le ipotesi di mediazione attraverso le SPSS macro di Preacher & Hayes (2008) per modelli con mediatori multipli,che permettono di testare gli effetti indiretti specifici e di porli a confronto Risultati IL è positivamente collegata a CCP e questa relazione è mediata sia dalle percezioni di giustizia procedurale che dall’affective commitment: entrambi hanno lo stesso “potere”di spiegazione del modello. Conclusioni Sia la mancanza di controllo sui processi di decisione che la ri-­‐
dotta identificazione con gli obiettivi dell’azienda possono spie-­‐
gare come l’IL porta a CCP:questo studio può fornire un contri-­‐
buto teorico per comprendere i processi psicologici sottostante le conseguenze dell’IL. Giovedì 26 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2D SESSIONE COMUNICAZIONE E COMPORTAMENTI DI CONSUMO Moderatore: Marco Depolo L’USO DELLO STEREOTIPO DI GENERE IN PUBBLICITÀ S. Platania, G. Santisi, Z. Hichy, C. Vullo, Dipartimento di Scienze della Formazione, Università di Catania Introduzione L’analisi delle pratiche di consumo degli adolescenti può essere considerata una delle chiavi di lettura per analizzare la società contemporanea e l’universo giovanile, in quanto consente di comprendere e approfondire come si costruiscono le identità, si definiscono gli stili di vita e si sviluppano le relazioni intra e intergenerazionali. La facile accessibilità alle diverse opportuni-­‐
tà di scelta spesso tuttavia confonde il soggetto che, se da un lato tende a definire una propria identità, dall’altro lo porta ad omologarsi agli stili di vita e di consumo dominanti. Obiettivi e Metodi L’obiettivo della ricerca è quello di individuare gli stili di vita degli adolescenti attraverso una lettura delle dimensioni che costituiscono il comportamento d’acquisto. Nello specifico le dimensioni indagate riguardano: le associazioni cognitive che gli adolescenti attribuiscono al brand noto e consolidato (Keller, 2003); l’atteggiamento valutativo e affettivo nei confronti del brand; l’intenzione comportamentale d’acquisto (Bagozzi, 1999). Il campione è composto da 150 partecipanti di età com-­‐
presa tra i 15 ed i 17 anni, frequentanti istituti d’istruzione su-­‐
periore di 2° grado. Risultati I risultati indicano che per i giovani consumatori intervistati, Il consumo è prevalentemente un modo per distinguersi dagli altri, per marcare la propria differenza e soggettività, per af-­‐
fermare un gusto esclusivo che predilige e seleziona gli oggetti secondo la qualità. Conclusioni Lo studio in esame rivela un orientamento ad accumulare og-­‐
getti, nella continua ricerca di soddisfazione dei propri bisogni. Si riscontra inoltre un buon grado di soddisfazione rispetto alla componente denaro: i giovani intervistati hanno saputo elabo-­‐
rare un modello di spesa e consumi che riesce a coniugare le esigenze personali con le reali disponibilità finanziarie offerte dalla famiglia. LE CAPACITÀ PREDITTIVE DEL CONSUMER SENTIMENT E LA CRISI ECONOMICO-­‐FINANZIARIA F. R. Puggelli, M. Bertolotti, C. Bidorini, Dipartimento di Psico-­‐
logia, Università Cattolica, Milano Gli stereotipi rappresentano uno strumento e una soluzione all’esigenza oggettiva, presente nei media, di riduzione di una complessità non facilmente veicolabile. Tuttavia questa stereo-­‐
tipizzazione sessuale contiene in sé i chiari segni di una discri-­‐
minazione che influenza e modella la percezione degli individui rispetto al proprio ruolo sociale. Attraverso una griglia costruita sulla base della letteratura, è stata condotta un’analisi del contenuto di 105 spot trasmessi sui canali RAI e Mediaset nell’arco di 2 settimane, con l’obiet-­‐
tivo di identificare i profili di donna più ricorrenti, i tipi di pro-­‐
dotti a cui sono associati, il loro contesto di azione, gli aspetti linguistici del loro intervento. Le donne protagoniste degli spot sono principalmente rappre-­‐
sentate in maniera stereotipica: di età giovanile, nel ruolo di product user, associate a prodotti edonistici veicolanti promes-­‐
se di realizzazione emotiva, o al contrario utilitaristici, legati a una funzionalità pratica ma limitata all’ambito alimentare e dell’ housekeeping. Il contesto d’azione è caratterizzato da in-­‐
terni domestici, dalle tinte chiare e dal sottofondo di musica leggera. Svolgono per lo più monologhi rivolti ad altre donne. Si evidenzia comunque in una minoranza di spot, principalmen-­‐
te di prodotti medicinali e tecnologici, una rappresentazione della donna meno stereotipica che si discosta dalla rappresen-­‐
E. Lozza, A. C. Bosio, Facoltà di Psicologia, Università Cattolica di Milano Il costrutto di fiducia del consumatore (“consumer sentiment”) rappresenta un’acquisizione storica della psicologia dei consu-­‐
mi e della psicologia economica. La crisi economico-­‐finanziaria avviatasi a partire dal 2008 e le attuali incertezze degli scenari hanno reso di estrema attualità le indagini di clima e l’impiego del consumer sentiment quale predittore dei comportamenti di 21
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vita. I dati permettono anche di spiegare le principali differenze motivazionali nella scelta alimentare delle famiglie in funzione della loro provenienza geo-­‐socio-­‐culturale e della storia perso-­‐
nale (anni di presenza in Italia). I risultati emersi conducono a delle implicazioni applicative ver-­‐
so la definizione di azioni d’integrazione e di benessere colletti-­‐
vo sulla base dell’analisi del valore simbolico e socio-­‐economico del consumo alimentare e quindi del significato culturale del comportamento di scelta quotidiana nei processi di consumo alimentare delle famiglie. I CANDIDATI IN SELEZIONE COME RISORSA PER L’EMPLOYER BRANDING: UNA RICERCA PILOTA PRESSO IL GRUPPO AMADORI consumo. Anche per queste ragioni, è oggi sempre più rilevan-­‐
te tornare a riflettere su questo costrutto e sui suoi misuratori (primo fra tutti l’Index of Consumer Sentiment, originariamente ideato da George Katona negli anni ‘50 del secolo scorso), per verificarne il valore e l’efficacia predittiva nel contesto socio-­‐
economico più recente. Questo contributo è finalizzato ad studiare le capacità preditti-­‐
ve del consumer sentiment nell’attuale contesto italiano. Le analisi presentano elaborazioni di secondo livello di dati prove-­‐
nienti da due fonti principali: -­‐Istat per quanto riguarda i consumi effettivi (variazioni trime-­‐
strali a valori concatenati dei consumi delle famiglie italiane) -­‐GfK Eurisko per quanto riguarda il consumer sentiment e le strategie di consumo degli italiani. L’indice di fiducia dei consumatori è oggi in grado di predire l’andamento dei consumi: -­‐in misura elevata; -­‐con 3 mesi di anticipo rispetto alle misurazioni dei consumi reali (la relazione con un delay di 3 mesi è nettamente superio-­‐
re rispetto ad un’analisi in sincrono): -­‐dall’avvio della crisi (2009-­‐2012) in modo nettamente superio-­‐
re rispetto al periodo storico precedente (2006-­‐2008). Nel periodo successivo all’inizio della crisi economico-­‐
finanziaria, inoltre, le analisi mostrano una notevole capacità del consumer sentiment di anticipare gli orientamenti strategici degli italiani nei confronti dei comportamenti di acquisto, non solo in termini quantitativi, ma anche in termini qualitativi (= autoconcessione e orientamento alla qualità degli acquisti). CONSUMI ALIMENTARI E COMPORTAMENTI CULTURALI: UN CONFRONTO TRA FAMIGLIE ITALIANE E STRANIERE DELL’AREA METROPOLITANA DI MILANO M. Cortini, Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti – Pe-­‐
scara F. Barnabè, Gruppo Amadori, Funzione Personale, Cesena S. Fabbri, Gruppo Amadori, Funzione Personale, Cesena P. De Gregorio, Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti – Pescara C. Monaco, Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti – Pescara Introduzione Dai lavori di Murphy e Reynes, fino ai diversi special issues re-­‐
centemente pubblicati da autorevoli riviste del settore, la psi-­‐
cologia delle organizzazioni si è progressivamente interessata alle reazioni nei confronti della selezione, focalizzandosi sulle percezioni dei candidati. Sulla base della meta-­‐analisi condotta da Hausknecht e coll. (2004) è possibile riassumere le diverse dimensioni che interes-­‐
sano le reazioni degli applicants. Queste riguardano la perce-­‐
zione del Sé, la percezione dell’organizzazione e del seleziona-­‐
tore, che, a loro volta incidono sull’ accettazione del contratto se eventualmente selezionati, e, in termini più generali, sulla predisposizione positiva o negativa verso l’organizzazione. Un particolarmente interesse è stato dedicato in letteratura al fenomeno del “faking” da parte del candidato; sebbene sia ipo-­‐
tizzabile anche un “contro-­‐faking” messo in atto dall’organizza-­‐
zione nell’ intenzione di apparire attraente. Obiettivi e Metodi Il presente studio origina dalla seguente domanda di ricerca: un partecipante alla selezione che viene escluso è una minaccia alla corporate image? Una buona selezione può tradursi in un efficace strumento di employer branding? E a quali condizioni? Si è inteso indagare diverse dimensioni della valutazione post assessment da parte di candidati che hanno appena concluso una selezione, con esiti sia positivi che negativi. Il disegno di ricerca prevede un primo qualitativo, con focus group discussion ed interviste a candidati; il secondo di adat-­‐
tamento nella lingua italiana del questionario sulla percezione dell’assessment di Giumetti e coll. ed il terzo con lo scopo di valutare il ruolo delle informazioni ricevute e della cosiddetta validità di facciata dei test e delle procedure sulla percezione di equità e sull’employer branding. Risultati e Conclusioni Dall’analisi dei primi risultati, emerge un forte peso della perce-­‐
zione soggettiva sulle dimensioni dell’equità selettiva percepita e dell’employer branding in senso lato. M. Bustreo, Università IULM e Università Milano-­‐Bicocca, Mi-­‐
lano B. Ghiringhelli, Università IULM, Milano L. Milani, Università IULM, Milano V. Russo, Università IULM, Milano L’esigenza di approfondire le dimensioni simboliche e compor-­‐
tamentali del consumo alimentare di famiglie italiane, straniere e miste residenti nel territorio lombardo nasce dall’obiettivo di una migliore sensibilizzare all’integrazione tra gruppi di consu-­‐
matori differenti per dinamiche decisionali e costumi compor-­‐
tamentali (Conner & Armitage, 2002; Poulain, 2005; Singer & Mason, 2006) emersi dai progetti di Regione Lombardia Food&Fun (2010) e Milano Ristorazione (2011). Obiettivi specifici dell’indagine sono pianificare mirati pro-­‐
grammi di educazione interculturale alla conoscenza alimenta-­‐
re, etnica e comportamentale e una verifica interdisciplinare della solidità della segmentazione della popolazione in base all’aderenza a stili decisionali alimentari caratteristici delle fa-­‐
miglie residenti nel territorio. Il campione (N = 1899) composto da famiglie italiane, straniere e miste con bambini in età scolare è stato coinvolto attraverso un’indagine quantitativa ed etno-­‐
grafica. Lo strumento usato è un questionario a 40 item costrui-­‐
to sulla base della letteratura (Sahingoz e Sanlier, 2011), riferito a genitori e figli sui comportamenti verbalizzati di consumo alimentare. Dall’analisi emergono differenze significative tra le diverse co-­‐
munità straniere presenti nel territorio urbano in termini di scelte di consumo alimentare, di comportamento e di stile di 22
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Introduzione La motivazione al lavoro rappresenta un elemento essenziale nel miglioramento delle performance lavorative e nell’incre-­‐
mento della soddisfazione lavorativa. La motivazione degli in-­‐
segnanti, oltre ad essere strettamente correlata alla percezione di autoefficacia nell’insegnamento, si associa al benessere in classe, a migliori performance degli studenti, alla loro autode-­‐
terminazione e alla capacità di controllare la relazione inse-­‐
gnamento-­‐apprendimento (Bandura, 1997; Woolfolk Hoy & Davis, 2006). Tutte queste dimensioni sono incluse nell’at-­‐
teggiamento metacognitivo. Gli insegnanti con atteggiamento metacognitivo mostrano più elevati livelli di job satisfaction, si sentono maggiormente efficaci nel fronteggiare situazioni criti-­‐
che e utilizzano differenti strategie in differenti contesti-­‐classe. Obiettivi e Metodi Lo scopo del presente studio è verificare la relazione esistente tra l’utilizzo delle strategie metacognitive nell’insegnamento e la motivazione al lavoro come dimensione legata all’orga-­‐
nizzazione; se l’utilizzo di un atteggiamento metacognitivo negli insegnanti può essere considerato predittore di un più elevato livello di motivazione al lavoro. I partecipanti allo studio sono 329 insegnanti italiani (M = 98, F = 227, n.r. = 4), di età compresa tra 27 e 67 anni (M = 49.51; SD = 7.73), appartenenti a scuole primarie e secondarie. Gli stru-­‐
menti utilizzati sono: MESI-­‐Motivazione, Emozioni, Strategie, Insegnamento. Questionari Metacognitivi per Insegnanti (Moè, Pazzaglia, Friso, 2010),
WOMI-­‐Work and Organizational Moti-­‐
vation Inventory (Giorgi, Majer, 2010). Risultati I risultati mostrano positive correlazioni tra atteggiamento me-­‐
tacognitivo e motivazione al lavoro, soprattutto nelle dimen-­‐
sioni dell’achievement e della soddisfazione. Conclusioni Utili indicazioni possono essere tratte ai fini della progettazione di azioni di formazione life-­‐long per gli insegnanti. CAPITALE PSICOLOGICO: QUALE RUOLO NEL PROCESSO MOTIVAZIONALE? Giovedì 26 settembre 2013 (14:30 / 16:00) Aula 2D SESSIONE MOTIVAZIONE E SODDISFAZIONE NEL LAVORO E IDENTITÀ PROFESSIONALE Moderatore: Vincenzo Majer UN MODELLO DI MODERAZIONE MEDIATA NELLA RELAZIONE TRA TIPOLOGIA CONTRATTUALE E SODDISFAZIONE LAVORATIVA F. Urbini, Dipartimento di Scienze Umane, Università LUMSA, Roma A. Callea, Dipartimento di Scienze Umane, Università LUMSA, Roma A. Chirumbolo, Dipartimento di Psicologia dei Processi di Svi-­‐
luppo e Socializzazione, Università Sapienza, Roma E. Ingusci, Dipartimento di Storia, Società e Studi sull’uomo, Università del Salento, Lecce Introduzione L’attuale mercato del lavoro globale è caratterizzato da costanti e rapidi cambiamenti, determinati anche dall’aumento di lavo-­‐
ratori a tempo determinato (ILO, 2012). La psicologia del lavoro da diversi anni ha iniziato a studiare le possibili conseguenze della tipologia contrattuale sugli outcomes individuali (Callea, Urbini e Bucknor, 2012). I risultati sulla relazione tra tipo di con-­‐
tratto e soddisfazione lavorativa sono inconsistenti (Casey e Alach, 2004); alcuni autori (de Cuyper e de Witte, 2006, 2007) suggeriscono che la job insecurity e il contratto psicologico pos-­‐
sano avere un ruolo chiave in questa relazione. Obiettivi e Metodi Lo studio si propone di indagare la relazione tra tipologia con-­‐
trattuale e soddisfazione lavorativa intrinseca ed estrinseca, inserendo come moderatore la job insecurity e come mediato-­‐
re la violazione del contratto psicologico. Due analisi di mode-­‐
razione mediata sono state condotte su 638 lavoratori, con contratto a tempo determinato e indeterminato, appartenenti a organizzazioni del centro e sud Italia. Risultati I risultati della moderazione evidenziano che gli effetti della job insecurity sulla soddisfazione lavorativa intrinseca sono più ne-­‐
gativi per i lavoratori a tempo indeterminato (β = .13; p < .05) mentre sulla soddisfazione lavorativa estrinseca sono più nega-­‐
tivi per i lavoratori a tempo determinato (β = -­‐.10; p < .05). Inol-­‐
tre, la violazione del contratto psicologico media la relazione tra job insecurity con soddisfazione intrinseca (β = -­‐.06; p < .05) ed estrinseca (β = -­‐.06; p < .05). Conclusioni Questo studio contribuisce ad ampliare le conoscenze di pre-­‐
cedenti ricerche, analizzando per la prima volta l’impatto della tipologia contrattuale sulla soddisfazione lavorativa intrinseca ed estrinseca. Inoltre considera in un unico modello la job inse-­‐
curity come moderatore e la violazione del contratto psicologi-­‐
co come mediatore attraverso una moderazione mediata. L’ATTEGGIAMENTO METACOGNITIVO COME PREDITTORE DELLA MOTIVAZIONE AL LAVORO NEGLI INSEGNANTI M. Vignoli, G. Mazzetti, I. Bruni, M. Depolo, Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna Introduzione Il Capitale Psicologico è uno stato psicologico positivo di svilup-­‐
po caratterizzato da un atteggiamento di ottimismo in relazio-­‐
ne alla propria capacità di affrontare con successo le condizioni presenti e future; inclinazione di perseverare al fine di raggiun-­‐
gere gli obiettivi e la capacità di reagire alle difficoltà di perse-­‐
guire i propri fini. Il capitale psicologico rappresenta una risorsa individuale che impatta positivamente su esiti individuali e or-­‐
ganizzativi. Obiettivi e Metodi L’obiettivo del presente lavoro è quello di esplorare il ruolo del Capitale Psicologico all’interno del modello Domande e Risorse Lavorative (Bakker e Demerouti, 2007). Nello specifico si ipotiz-­‐
za che il Capitale Psicologico abbia un ruolo nell’attivare il pro-­‐
cesso motivazionale. I dati sono stati raccolti tramite un que-­‐
stionario self report su 433 lavoratori del settore privato (65,3% uomini; età media: 43,41 anni, DS = 8,91). Risultati I risultati mostrano che il Capitale Psicologico (ottimismo, resi-­‐
lienza, self-­‐efficacy e speranza alimenta le risorse lavorative P. Magnano, Università degli Studi Kore, Enna T. Ramaci, Università degli Studi Kore, Enna M. Alario, Università degli Studi Kore, Enna 23
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razionalizza undici domini di competenze da promuovere du-­‐
rante il tirocinio intercorso o practicum. Tuttavia, poche sono le ricerche che hanno analizzato la percezione soggettiva degli studenti relativamente alle competenze attese e da sviluppare (Gross, 2005; Kamen et al. 2010). Lo studio riporta un processo di self-­‐assessment delle compe-­‐
tenze effettuato con 231 studenti tirocinanti iscritti ad un Corso di Laurea Magistrale dell’Università degli Studi di Napoli Federi-­‐
co II. La ricerca ha l’obiettivo di analizzare le competenze che gli studenti si aspettavano di sviluppare, ritenevano di aver acqui-­‐
sito ed erano deducibili dalle attività svolte. È stato somministrato un questionario a risposte aperte co-­‐
struito ad hoc ed è stato utilizzato il Practicum Competencies Outline come griglia di Analisi del Contenuto. I risultati mostrano una scarsa percezione di alcuni domini di competenze (Leadership, Ricerca e Etica) e un elevato ricono-­‐
scimento dell’Assessment e Sviluppo Professionale. Dall’analisi delle competenze è emersa una rappresentazione del ruolo psicologico di natura clinica e ancorata a forme di professioni-­‐
smo classico (Bosio, 2011); dall’analisi delle attività svolte, inve-­‐
ce, un ruolo più variegato implicato in molteplici contesti pro-­‐
fessionali e più in linea con forme di neoprofessionalismo. I dati sono discussi in ragione di differenze culturali tra il conte-­‐
sto americano e italiano e di difficoltà nel processo soggettivo di codifica delle competenze tacite in esplicite (Nonaka & Ta-­‐
keuchi, 1995). Sono infine presentate le implicazioni della ricer-­‐
ca per la progettazione e la valutazione di competency-­‐based training. EFFICACIA DI DISPOSITIVI FORMATIVI ELABORATIVO-­‐
RIFLESSIVI IN INTERVENTI ORIENTATI ALLO SVILUPPO DELL’IDENTITÀ PROFESSIONALE IN STUDENTI (supporto colleghi, sviluppo personale, …) che, a loro volta, im-­‐
pattano positivamente sugli esiti del lavoro (soddisfazione del lavoro, work engagement, …). Conclusioni In linea con altre recenti estensioni del modello Domande e Risorse Lavorative i risultati confermano il ruolo delle risorse personali (in questo lavoro del Capitale psicologico) nell’in-­‐
nescare il processo motivazionale dei lavoratori, con implica-­‐
zioni sulle prospettive di intervento. IL VALORE DELL’IDENTIFICAZIONE NELL’ORGANIZZAZIONE: IDENTIFICAZIONE E COMMITMENT AFFETTIVO COME PREDITTORI DELL’INTENZIONE AL TURNOVER C. Sciangula, Università IULM, Milano V. Russo, Università IULM, Milano M. Brondino, Università degli Studi di Verona I termini identità e identificazione appaiono importanti nelle organizzazioni contemporanee in considerazione del cambia-­‐
mento dei rapporti lavorativi e delle relazioni all’interno dei contesti di lavoro. L’interesse verso l’identità organizzativa in un contesto lavorativo del terzo settore può assumere, una valenza compensatoria capace di dare risposta alla mancanza di punti di riferimento. Tali riflessioni hanno rappresentato il punto di partenza dello studio che ha coinvolto i lavoratori di un’organizzazione del ter-­‐
zo settore. Scegliere di orientare lo studio a quella parte del terzo settore che opera per la produzione professionalizzata di beni e servizi -­‐ l’impresa sociale -­‐ deriva anche dalla consapevo-­‐
lezza di quanto le sia oramai unanimemente riconosciuta la capacità di leggere i bisogni sociali e di farsene carico attraver-­‐
so l’attuazione di strategie che hanno come riferimento il con-­‐
testo in cui vanno a inserirsi. Usando i presupposti teoretici offerti dalle teorie dell’identità sociale e della categorizzazione del sé, si analizza il ruolo che l’identificazione nell’organizzazione e il commitment affettivo hanno nell’influenzare l’intenzione al turnover all’interno del contesto organizzativo. I risultati, mostrano che sia l’identificazione che l’attaccamento emotivo all’organizzazione, possono fornire un framework vali-­‐
do per interpretare gli outcome organizzativi. I dati presentati in questa sede aiutano a comprendere il processo psicologico che indirizza i lavoratori nell’intenzione di lasciare l’organizza-­‐
zione. L’intenzione al turnover, è predetta dall’attaccamento emotivo che gli individui sentono per l’organizzazione in cui lavorano. Scegliere di rimanere all’interno di un’organizzazione, e potenzialmente decidere di crescere con e all’interno di essa, dipende dal sentirsi bene in quella struttura e dal sentirsi parte dell’organizzazione stessa. LA PERCEZIONE DELLE COMPETENZE PSICOLOGICHE DA PARTE DEGLI STUDENTI TIROCINANTI: L’UTILIZZO DEL PRACTICUM COMPETENCES OUTLINE G. Venza, G. Falgares, G. Cascio, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo Introduzione All’interno di un progetto relativo alla costruzione di un model-­‐
lo psicosociale della qualità universitaria, il contributo si centra sulla verifica di efficacia di dispositivi formativi riflessivi atti a consentire agli studenti il riconoscimento e lo sviluppo virtuoso dei loro modelli di identità, così da facilitare la costruzione di rappresentazioni di ruolo sulle quali fondare competenze ido-­‐
nee a dialogare con la mutevolezza, ormai strutturale, dei con-­‐
testi e degli utenti delle professioni di aiuto. Obiettivi e Metodi I dispositivi utilizzati, gruppi semi-­‐direttivi di discussione, sono stati finalizzati alla esplorazione e trasformazione in chiave me-­‐
no idealizzante delle rappresentazioni della professione, dei suoi attori, di se stessi. Per valutare l’efficacia dei dispositivi sono stati somministrati in apertura e chiusura delle attività strumenti quali-­‐quantitativi: sono qui discussi i dati relativi a dei differenziali semantici, ed a dei testi a composizione libera su consegne poco strutturate. Sono stati confrontati gruppi diver-­‐
si, composti da studenti che avessero o meno svolto attività di tirocinio, al fine di indagare come l’esperienza professionale influenzasse i processi studiati. Risultati I dati permettono di valutare positivamente l’efficacia dei di-­‐
spositivi adottati, in particolare per gli studenti che abbiano già effettuato esperienze di tirocinio. Sembra cioè possibile affer-­‐
mare che l’utilizzo di questi dispositivi possa contribuire a crea-­‐
G. Esposito, V. Bosco, M. F. Freda, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli Federico II Di recente la letteratura si è concentrata sull’individuazione di modelli di competenze psicologiche da promuovere e valutare entro l’università e il tirocinio (Rodolfa et al,2005; Kaslow et al,2009). Un prodotto di tale movimento culturale è il Practi-­‐
cum Competences Outline (Hatcher & Lassiter, 2007) che ope-­‐
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Obiettivi e Metodi Obiettivo della ricerca è indagare coming out e percezione di comportamenti discriminatori (auto-­‐diretti ed etero-­‐diretti) e di supporto sociale sul posto di lavoro da parte di lavoratori omo-­‐
sessuali italiani. È stato costruito un questionario in cui, tra l’altro, viene chiesto anche di valutare la frequenza di comparsa di 11 comportamenti (4 di discriminazioni auto-­‐dirette, 4 di di-­‐
scriminazioni etero-­‐dirette, 3 di supporto sociale, scala di rispo-­‐
sta da 0 = mai a 4 = sempre), compilato da 932 lavoratori omo-­‐
sessuali italiani divisi per genere (664 maschi, 268 femmine) e appartenenza regionale (672 Nord, 260 Sud). Risultati Il 36.8% del campione (34.9% dei maschi, 41.4% delle femmine; 34.4% degli omosessuali del Nord, 43.1% degli omosessuali del Sud) non è dichiarato sul posto di lavoro. Inoltre, i maschi omo-­‐
sessuali del Nord denunciano più comportamenti discriminatori auto-­‐diretti ma anche più supporto sociale da parte dei colle-­‐
ghi, mentre le femmine omosessuali del Sud, che sono le meno dichiarate sul posto di lavoro, denunciano più comportamenti discriminatori etero-­‐diretti e meno supporto sociale. Conclusioni Gli omosessuali italiani non sentono di potersi dichiarare libe-­‐
ramente sul posto di lavoro, anche se le medie più elevate ven-­‐
gono ottenute dai comportamenti discriminatori etero-­‐diretti, non da quelli auto-­‐diretti (ed emergono differenze regionali e di genere). Le medie più elevate in assoluto, inoltre, vengono registrate dai comportamenti di supporto sociale. TRANSGENDERING JAIL: IL DISCORSO DELLA VIOLENZA DI GENERE NEL (CON)TESTO CARCERARIO re ponti tra lo studio e lo sviluppo della identità professionale ed al cambiamento dei modelli socio-­‐simbolici degli studenti, elementi che influenzano le loro specifiche modalità di fruizio-­‐
ne dell’offerta formativa. Conclusioni L’introduzione di dispositivi elaborativo-­‐riflessivi quali quelli da noi utilizzati può tradursi in un significativo arricchimento del percorso formativo offerto all’interno dei corsi di studio univer-­‐
sitari rivolti alle professioni di aiuto. Venerdì 27 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2D SIMPOSIO PSICOLOGIA SOCIALE E DEL LAVORO SI CONNETTONO ALL’UNIVERSO LGBTIQ Proponente: Angelo Benozzo Discussant: Adriano Zamperini Negli ultimi vent’anni le questioni LGBTIQ (Lesbian, Gay, Bise-­‐
xual, Transgender, Intersex, Queer) sono state portate alla ri-­‐
balta della scena degli studi accademici internazionali, alimen-­‐
tando una corposa letteratura che prende spunto da numerosi approcci e prospettive. In questi anni anche in Italia hanno tro-­‐
vato spazio studi che si avvicinano ai temi della discriminazione in base all’identità sessuale sul luogo di lavoro e nel più vasto contesto sociale. Il simposio sarà un’occasione di confronto tra prospettive psicologiche in merito alle questioni e alle sfide po-­‐
ste dall’universo LGBTIQ. Saranno presentati quattro contributi di ricerca. Un primo contributo analizzerà la percezione di di-­‐
scriminazione e supporto sociale di lesbiche e gay nel contesto di lavoro. Seguirà uno studio che ha per oggetto il discorso ‘vio-­‐
lenzÀ tra detenute donne e carcerate transgender. La terza ri-­‐
cerca si focalizzerà sulle possibilità di sfidare la formula del co-­‐
ming out attraverso un’analisi delle perfomance identitarie di uomini gay sul luogo di lavoro. Infine, l’ultimo studio, illustrerà come alcune Imprese Sociali, pur adottando politiche inclusive, riproducono forme di discriminazione. Attraverso un dialogo che si dipana dalle teorie mainstraim per approdare alle teorie queer, poststrutturaliste e critiche, il simposio rende conto di come psicologia sociale e del lavoro si connettono con gli inter-­‐
rogativi che pone l’universo LGBTIQ. Tale dialogo intende ali-­‐
mentare una discussione non solo sulle differenze epistemolo-­‐
giche tra i vari approcci, ma anche sulle diverse implicazioni in termini di politiche e pratiche di intervento nei contesti sociali e organizzativi. DIFFERENZE IN COMING OUT, PERCEZIONE DI DISCRIMINAZIONI E DI SUPPORTO SOCIALE IN 932 LAVORATORI ITALIANI OMOSESSUALI A. Hochdorn, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata, Università degli Studi di Padova B. V. Camargo, Centro di Filosofia e Scienze umane, Università federale di Santa Catarina, Florianópolis (Brasile) P. F. Cottone, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata, Università degli Studi di Padova Introduzione La presente ricerca è incentrata sulla violenza tra detenute donne e transgender, recluse all’interno di una sezione protet-­‐
ta che afferisce al reparto femminile del Nuovo Complesso Pe-­‐
nitenziario di Firenze-­‐Sollicciano. Obiettivi e Metodi L’obiettivo dello studio è indagare la costruzione discorsiva del-­‐
la violenza agita e subita nel contesto carcerario. A tal fine sono state raccolte interviste condotte con operatori del carcere e detenute. Mediante triangolazione metodologica è stato possi-­‐
bile indagare la struttura, la funzione ed il significato dei discor-­‐
si. L’analisi è stata svolta con all’ausilio di due supporti informa-­‐
tici: uno strumento qualitativo per l’analisi di forma e semiotica (Transana) e uno quali-­‐quantitativo per l’analisi gerarchica di-­‐
scendente delle classi lessicali e per l’analisi post-­‐fattoriale del-­‐
le corrispondenze semantiche (Alceste). Risultati Dai risultati emerge una narrazione della violenza relazionale e simbolica, subita da parte delle detenute transgender all’inter-­‐
no del reparto femminile. Tale narrazione si discosta dalla rap-­‐
presentazione discorsiva delle autorità direzionali ed ammini-­‐
strative del carcere, articolata attorno ad aspetti contestuali e normativi. Dall’analisi, inoltre, emerge un posizionamento nar-­‐
rativo da parte dello staff penitenziario ancorato ad aspetti R. Sartori, Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia, Università degli Studi di Verona Introduzione Secondo la European Union Agency for Fundamental Rights, l’Italia – divisa in un Nord più progressista e un Sud più conser-­‐
vatore quando si tratta di differenze di genere e questioni lega-­‐
te all’orientamento sessuale – è il secondo Paese più omofobo dell’UE. Infatti, nonostante una legge anti-­‐discriminatoria sulla base dell’orientamento sessuale esista dal 2003 (D.lgs. 216/ 2003), l’Italia non ha una legge contro l’omofobia. 25
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l’orientamento sessuale non eterosessuale (LGBT), nonostante sia schiacciata dal peso dell’eteronormatività sia simbolicamen-­‐
te che sul piano giuridico e normativo, non è presa in conside-­‐
razione neppure dalle Imprese Sociali, strutture particolarmen-­‐
te sensibili al problema dell’integrazione di gruppi minoritari (L.381/91; Smith, 2005). Ciò si traduce spesso in forme di trat-­‐
tamento iniquo, peraltro difficili da individuare a causa della presenza di discorsi dominanti che hanno naturalizzato l’eteronormatività e hanno silenziato tutto ciò che non è ricon-­‐
ducibile ad essa (Butler, 1997). Il presente lavoro esplora il mo-­‐
do in cui le Imprese Sociali, la cui mission è rappresentata dall’integrazione di gruppi minoritari, gestiscono l’inclusione dei lavoratori LGBT al loro interno. I dati sono stati prodotti at-­‐
traverso interviste in profondità e focus-­‐group con dirigenti, soci e lavoratori LGBT di quattro Imprese Sociali. I risultati mo-­‐
strano che, a dispetto della loro vocazione inclusiva, in queste Organizzazioni sono presenti pratiche discriminatorie -­‐ quali silenzi, gossip e commenti dispregiativi -­‐ rimosse o ritenute “normali” a causa del prevalere di una cultura eterosessista costruita su basi moralistiche e religiose. Inoltre, l’assenza di politiche inclusive è giustificata dall’idea che l’orientamento sessuale sia “materia privata” e che l’Organizzazione si debba interessare solo della “vita pubblica” dei suoi soci e dipendenti. Tale scissione non fa altro che promuovere l’invisibilità delle persone LGBT (Foucault, 1976) e influenza la loro decisione di rimanere silenti (Ward & Winstanley, 2003). Venerdì 27 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2B SIMPOSIO PROMUOVERE L’OCCUPABILITÀ IN TEMPO DI CRISI Proponente: Maria Elena Magrin Discussant: Giancarlo Tanucci La continua evoluzione del sistema socio-­‐economico e la cre-­‐
scente imprevedibilità del mercato stanno mettendo in crisi sia le aziende, costrette a riorganizzarsi, sia le persone, che si tro-­‐
vano ad affrontare un mercato del lavoro più flessibile di quan-­‐
to non fosse in passato, a fronte della progressiva modificazio-­‐
ne della domanda, dei contratti e della frammentazione delle carriere lavorative. In questo senso, il concetto di employability (Hillage & Pollard, 1998) è considerato come un’alternativa alla job security e di-­‐
venta fattore chiave per favorire l’ingresso nel mercato del la-­‐
voro, per assicurare la continuità e lo sviluppo dei percorsi di carriera. Elevati livelli di occupabilità sono infatti positivamente correlati ad una netta riduzione del tempo impiegato per trova-­‐
re un lavoro e a maggiori possibilità di mantenerlo (Nauta et al., 2009). Pur avendo alle spalle modelli teorici consolidati, e inco-­‐
raggianti risultati sperimentali, molti sono gli aspetti che neces-­‐
sitano un approfondimento sistematico. Gli studi effettuati sul territorio italiano sono molto limitati ed occorre in primo luogo considerare l’adeguatezza del costrutto in rapporto alle carat-­‐
teristiche proprie della cultura organizzativa di riferimento. È inoltre necessario validare la portata del costrutto con riferi-­‐
mento alla partecipazione al mercato del lavoro delle fasce più deboli e di conseguenza più vulnerabili in condizione di crisi. Il simposio affronta tali problematiche in una logica interdisci-­‐
plinare, psicologica e organizzativa, al fine di riflettere sui fatto-­‐
contestuali mentre per le detenute risultano prioritari aspetti pragmatici e relazionali. Conclusion I risultati sottolineano come i costrutti d’identità di genere sia-­‐
no processi dinamici e situati, non riducibili a dimensioni stati-­‐
che. In quest’ottica la violenza di genere non risente di dise-­‐
guaglianze fisiche o culturali, bensì di una dominante visione dicotomica dei generi, normata a livello contestuale dagli arte-­‐
fatti linguistici e mediata nelle situazioni quotidiane da pratiche funzionali e relazionali. La violenza è quindi associata ad una progressiva riduzione dell’agentività a livello spaziale, tempora-­‐
le ed affettivo. USCIRE DAL COMING OUT: VARIAZIONI DISCORSIVE NELLE PERFORMANCE IDENTITARIE DI UOMINI GAY A. Benozzo, M. C. Pizzorno, Università della Valle d’Aosta Introduzione I numerosi lavori della filosofa Judith Butler, che hanno sotto-­‐
posto a una critica radicale il concetto di genere, rappresenta-­‐
no i riferimenti teorici che fanno da sfondo a questa presenta-­‐
zione. In particolare prendiamo in considerazione la portata sovversiva delle teorie dell’autrice, laddove implicitamente propone una critica all’eteronormatività, ossia al potere che riveste l’eterosessualità quando diventa una norma, un’aspet-­‐
tativa, un valore nella società e nelle organizzazioni. Obiettivi e Metodi Lo studio che presentiamo ha lo scopo di interrogare le dichia-­‐
razioni della propria identità sessuale sul luogo di lavoro di ven-­‐
ti uomini che si autodichiarano gay. Si tratta di individui che lavorano nei servizi, di etnia caucasica, middle-­‐class. Abbiamo analizzato le interviste attraverso la queer theory e la critical discourse analysis. In particolare abbiamo decostruito le narra-­‐
zioni per comprendere le situazioni in cui la formula del coming out è stata rafforzata ma anche sovvertita, superata, sfidata e riconfigurata. Risultati Nei risultati, da un lato, illustriamo le variazioni discorsive del coming out che rafforzano l’eteronormatività e, dall’altro, le modalità più sovversive – di improvvisazione, ironia e silenzio – che potenzialmente sfidano tale formula. Conclusioni Il lavoro evidenzia tutta la problematicità della formula del co-­‐
ming out sul luogo di lavoro che colloca i soggetti in posizioni paradossali e contraddittorie. Allo stesso tempo la ricerca rap-­‐
presenta un modo per far intravvedere le possibilità di messa in discussione del framework, anche in contesti così fortemente eteronormati quali sono le organizzazioni contemporanee. PRATICHE DI INIQUITÀ AI DANNI DEI LAVORATORI LGBT ALL’INTERNO DELLE IMPRESE SOCIALI D. Lasio, Università di Cagliari S. De Simone, Università di Cagliari V. Priola, Aston University, UK F. Serri, Università di Cagliari L’Italia vanta una lunga tradizione di politiche e pratiche inclu-­‐
sive rivolte in modo speciale a certe categorie considerate “svantaggiate”: invalidi, persone con problemi psichiatrici, tos-­‐
sicodipendenti, minori in situazioni di difficoltà familiare, con-­‐
dannati (Murgia & Poggio, 2010). Un’altra forma di diversità, 26
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Obiettivi e Metodi Il presente studio si prefigge innanzitutto di esplorare le diffe-­‐
renze inerenti le caratteristiche dei contratti psicologici e degli orientamenti di carriera protean e boundaryless, distinguendo tra lavoratori precari e a tempo indeterminato, ed in secondo luogo di identificare eventuali fenomeni di interazione tra i due cluster di variabili sopracitate rispetto ad esiti organizzativi qua-­‐
li il commitment organizzativo e i comportamenti di cittadinan-­‐
za organizzativa. Sono stati intervistati 540 lavoratori dipenden-­‐
ti di tre grandi organizzazioni di servizi del Sud Italia mediante un questionario anonimo self-­‐report. Risultati È emerso che i lavoratori precari mostrano contratti psicologici più transazionali e meno relazionali dei lavoratori a tempo in-­‐
determinato, hanno un minore commitment di permanenza e un orientamento di carriera boundaryless più marcato. Le re-­‐
gressioni multiple gerarchiche condotte hanno messo in luce molteplici associazioni nonché la presenza di 6 interazioni stati-­‐
sticamente significative. Conclusioni I risultati emersi saranno commentati alla luce della letteratura nonché delle implicazioni pratiche ed operative. SVILUPPARE RISORSE PSICOLOGICHE PER FAVORIRE L’OCCUPABILITÀ ri latenti al costrutto e sugli interventi più funzionali alla pro-­‐
mozione di occupabilità. SISTEMI DI SERVIZI A SOSTEGNO DELL’OCCUPABILITÀ: IL CA-­‐
SO DELLE AGENZIE DI SOMMINISTRAZIONE D. Cavenago, M. Martini, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università di Milano Bicocca L’occupabilità diviene oggi un fattore strategico per affrontare positivamente i cambiamenti in atto nel mercato del lavoro, ed introduce un nuovo paradigma culturale intorno a cui ripensare le azioni e gli interventi a sostegno dell’occupazione. In Italia, un ruolo critico è svolto dalle agenzie di somministrazione, ov-­‐
vero istituzioni che offrono servizi di intermediazione tra do-­‐
manda ed offerta di lavoro, e i cui effetti sui lavoratori sono al centro di un acceso dibattito. Il presente contributo indaga in che modo e sotto quali condi-­‐
zioni le agenzie di somministrazione sono in grado di rafforzare il livello di occupabilità delle persone. Per fare questo è stata condotta un’analisi di caso, attraverso la realizzazione di inter-­‐
viste semi-­‐strutturate e focus group con i manager e i respon-­‐
sabili di Obiettivo Lavoro (OL), quinta agenzia per il lavoro in Italia e la seconda a capitale italiano per quote di mercato. I risultati mostrano che sostenere l’occupabilità dei lavoratori temporanei non è solo una questione etica e di responsabilità sociale, ma anche una strategia che consente a OL di elevare la qualità del servizio offerto alle imprese clienti e di ottenere un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. In questo senso, i fattori critici del sistema di offerta di OL riguardano la qualità del processo di matching, gli investimenti in formazione e il supporto per la gestione delle carriere lavorative nel medio-­‐
lungo periodo. Lo studio, sebbene circoscritto ad un contesto ed una realtà aziendale specifica, permette di mettere in evidenza il contribu-­‐
to potenziale delle agenzie per il lavoro all’occupabilità, indivi-­‐
duando anche elementi di criticità e di possibile sviluppo in termini di strategie, servizi e strutture di erogazione. HOMO FABER CURSUS IPSIUS: IL CONTRATTO PSICOLOGICO DEI LAVORATORI VERSATILI E SENZA CONFINI E GLI EFFETTI SUL COMMITMENT E I COMPORTAMENTI DI CITTADINANANZA ORGANIZZATIVA M. E. Magrin, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Milano-­‐Bicocca C. Monticelli, Dipartimento di Psicologia, Università degli Stu-­‐
di di Milano-­‐Bicocca M. Scrignaro, Dipartimento di Psicologia, Università degli Stu-­‐
di di Milano-­‐Bicocca S. Gheno, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano La flessibilità del nuovo assetto socio-­‐economico rende cru-­‐
ciale il concetto di occupabilità, che si riferisce alla capacità delle persone di muoversi in autonomia all’interno dei diversi contesti lavorativi al fine di trovare e mantenere un’occupa-­‐
zione ‘sostenibilÈ nel tempo (Hillage, Pollard, 1998). Elevati livelli di occupabilità sono infatti positivamente correlati ad una netta riduzione del tempo impiegato per trovare un lavo-­‐
ro e a maggiori possibilità di mantenerlo (Nauta et al., 2009). La presente indagine si propone di rilevare quali risorse psico-­‐
logiche sono più funzionali ad affrontare con successo le tran-­‐
sizioni lavorative. Il contributo presenta un primo studio de-­‐
dicato alla definizione di uno strumento di valutazione delle risorse di occupabilità. A tal fine è stata condotta un’analisi fattoriale esplorativa con estrazione delle componenti princi-­‐
pali e rotazione Varimax; sono stati testati modelli GLM tra risorse e occupabilità percepita e verificata l’affidabilità inter-­‐
na (alpha:.75-­‐.85). I risultati ottenuti hanno consentito di identificare le misure più efficaci. Sono stati coinvolti 83 sog-­‐
getti, di cui 61,5% donne e 39,5% uomini con età media di 31 anni; il 61% con contratto a tempo determinato, il 26% a tempo indeterminato e il 13% in stage. Un secondo studio mira all’identificazione del miglior modello predittivo per per-­‐
corsi di occupabilità di successo. La ricerca ha coinvolto alcu-­‐
ne agenzie di lavoro, operanti sul territorio lombardo, e si è rivolta a soggetti di nazionalità italiana, occupati e disoccupa-­‐
ti. I livelli di occupabilità sono stati messi in rapporto anche alla storia professionale e all’attuale condizione occupaziona-­‐
A. Lo Presti, Dipartimento di Psicologia, Seconda Università degli Studi di Napoli, Caserta A. Manuti, Dipartimento Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione, Università degli Studi di Bari Introduzione La crescente flessibilizzazione e discontinuità dei rapporti di lavoro pone nuovi interrogativi a studiosi e professionisti circa le caratteristiche dei contratti psicologici individuali e degli esiti a livello di comportamenti organizzativi (Guest, 2004). Se tradi-­‐
zionalmente si è fatto riferimento alla distinzione tra contratti psicologici relazionali e transazionali (Rousseau, 2008), il pro-­‐
gressivo consolidarsi di orientamenti rispetto alla propria car-­‐
riera definiti in termini di flessibilità, responsabilità individuale e mobilità quali la protean e la boundaryless career (Briscoe, Hall e DeMuth, 2006) suggerisce la possibilità di potenziali fe-­‐
nomeni di interazione tra questi due gruppi di variabili (Gerber, Grote, Geiser e Raeder, 2012). 27
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dito o delle imprese e intende, piuttosto, perseguire percorsi attivi, capaci di generare sviluppo ed employability, riqualifi-­‐
cando professionalmente i lavoratori. Le politiche attive sono decisive nell’attuale contesto, in primis a livello individuale, permettendo al lavoratore di costruirsi una maggiore impie-­‐
gabilità attraverso una formazione mirata alle posizioni lavo-­‐
rative richieste e sostenendolo dal punto di vista psicologico, proprio in virtù della ri-­‐attivazione professionale, che può contribuire alla riscoperta delle proprie competenze. Obiettivi e Metodi Il presente studio mira alla verifica dell’efficacia della for-­‐
mazione quale strumento di politica attiva in cassa integra-­‐
zione. A tale scopo, abbiamo in primis realizzato una serie di focus group con cassa integrati in deroga della regione Mar-­‐
che, coinvolti in percorsi di formazione obbligatoria, erogati presso lo IAL Marche. Dall’analisi dei focus group abbiamo messo a punto un questionario, somministrato ad un campio-­‐
ne di 200 cassa integrati, al fine di dettagliare la soddisfazione rispetto al percorso formativo intrapreso, unitamente alla verifica dell’employability, nella veste della cosiddetta spe-­‐
ranza occupazionale, misurata attraverso la validazione italia-­‐
na della scala sulla Hope Scale, curata da Cortini (in press). Risultati e Conclusioni Dall’analisi dei FG emerge una chiara valutazione in termini po-­‐
sitivi della formazione, con un unico accento negativo dettato dallo scollamento, per una parte dei partecipanti, tra i tempi della cassa integrazione ed i tempi della formazione. Emerge, inoltre, sia dai FG che dai questionari, la valenza psicologica della formazione di gruppo. SESSIONE POSTER LA MAPPATURA DELLE COMPETENZE DI RUOLO NEL CONTESTO SANITARIO: UNA RICERCA SUI MEDICI CHE LAVORANO NELLE STRUTTURE PROTETTE le dei soggetti coinvolti. Le analisi preliminari hanno rilevato il valore predittivo delle risorse osservate. L’ultima fase di ela-­‐
borazione dati attualmente in corso permetterà di conferma-­‐
re la valenza delle diverse risorse considerate, che saranno oggetto di studio longitudinale. DISOCCUPAZIONE E RICERCA DEL LAVORO: QUANTO CONTANO LE PERCEZIONI DI EMPLOYABILITY? S. Gilardi, C. Guglielmetti, F. De Battisti, E. Siletti, Università degli Studi di Milano Introduzione Nell’ambito degli studi sull’employability si sta affermando, ac-­‐
canto a un approccio disposizionale, un approccio centrato su-­‐
gli aspetti cognitivi e, in specifico, sulle percezioni di occupabili-­‐
tà. Alcune ricerche hanno evidenziato che tra chi ha un impiego la percezione di avere buone chance nel trovare lavoro è asso-­‐
ciata a un maggior senso di sicurezza lavorativa e maggior sod-­‐
disfazione. Contributi di area economica hanno mostrato che tra i disoccupati l’employability esterna percepita, oltre a miti-­‐
gare l’impatto negativo della perdita del lavoro sulla salute psi-­‐
co-­‐fisica, è associata a una minor durata della disoccupazione. Le evidenze empiriche sono però ancora limitate. Inoltre non è stato indagato attraverso quale processo le percezioni di em-­‐
ployability possano avere un impatto sul ricollocamento. Obiettivi e Metodi Il contributo intende indagare le conseguenze dell’employability esterna percepita durante le transizioni occupazionali involon-­‐
tarie. In specifico esplora: a) la relazione tra employability e salute; b) gli effetti di mediazione delle strategie di ricerca del lavoro (focalizzate vs casuali) nella relazione tra employability percepita e ricollocamento. Lo studio ha un disegno longitudi-­‐
nale e ha coinvolto lavoratori disoccupati rivoltisi ad Agenzie per il Lavoro nel 2011/2012. Risultati Le analisi, effettuate attraverso modelli di Path Analysis PLS, hanno evidenziato che il rapporto tra employability percepita ed esiti di ricollocamento è mediata dall’uso di strategie focaliz-­‐
zate nella ricerca del lavoro. Il distress psicologico non appare legato al grado di employability, ma presenta una significativa relazione con l’adozione di strategie casuali di ricerca del lavo-­‐
ro. Conclusioni I risultati hanno rilevanti implicazioni per le politiche di flexicu-­‐
rity e per il ruolo di intermediazione delle Agenzie per il Lavoro. LA FORMAZIONE A SUPPORTO DELL’EMPLOYABILITY IN CASSA INTEGRAZIONE: UNO STUDIO SUI CASSA INTEGRATI IN DEROGA DELLA REGIONE MARCHE E. Alfieri, Dipartimento LASS, Università degli Studi di Parma C. Panari, Dipartimento di Economia, Università degli Studi di Parma W. Levati, Psicologo Consulente delle Risorse Umane P. Bonati, Responsabile UOS Geriatria Territoriale – Ausl Par-­‐
ma Introduzione Il contesto sanitario è caratterizzato da un’incertezza diffusa a livello organizzativo che comporta un dispiegarsi continuo di pratiche cliniche ambigue con ricadute negative sulla qualità dell’assistenza che è il risultato finale di molteplici variabili con-­‐
cernenti anche le diverse professionalità che intervengono in questo processo. La maggior parte degli operatori sanitari ritie-­‐
ne, infatti, di lavorare in un settore imprevedibile e, allo stesso tempo, complesso e poco chiaro (Bugun, Kaissi, 2004). In tal senso la mappatura delle competenze può portare ad un ripen-­‐
samento dei modi di agire nei contesti di cura (D’Andreamatteo et al., 2010). Obiettivi e Metodologia Lo studio aveva l’obiettivo di rilevare il ruolo dei medici di me-­‐
dicina generale (MMG) che lavorano nelle strutture protette della provincia di Parma. È stata condotta una mappatura delle competenze di ruolo che ha previsto la somministrazione di 14 interviste semistrutturate sia ai medici di medicina generale sia M. Cortini, Università G. d’Annunzio di Chieti – Pescara F. Varagona, IAL Marche, Ancona F. De Luca, IAL Marche, Ancona; Università G. d’Annunzio di Chieti – Pescara Introduzione Secondo dati recentemente diffusi dal Ministero del Lavoro, nel 2012 i licenziamenti nel nostro Paese hanno superato quota un milione. A questa fotografia di per sé già allarmante, si sono aggiunte circa mezzo milione di persone da finanziare con la cassa integrazione in deroga. Con quest’ultima misura, lo Stato non si limita a politiche di sostegno passivo del red-­‐
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MOBBING E REINSERIMENTO AL LAVORO. UNO STUDIO ESPLORATIVO a tutte le figure che si interfacciano con questo ruolo nelle case protette. Risultati Le analisi hanno messo in luce che il ruolo del medico è ambi-­‐
guo da diversi punti di vista. Le aspettative, infatti, da parte dei famigliari, che richiedono un approccio più individualizzato ai problemi specifici dei propri anziani ricoverati, sono in contra-­‐
sto con ciò che gli viene richiesto dal personale della struttura e da parte della dirigenza. Conclusioni La mappatura delle competenze di ruolo, che è stata attual-­‐
mente estesa ad altre figure professionali inserite nel contesto sanitario di Parma, si è rivelato uno strumento utile per indivi-­‐
duare delle ambiguità di ruolo spesso presenti nei contesti sa-­‐
nitari. In un’ottica di sviluppo delle risorse umane questi risulta-­‐
ti dovrebbero portare ad una maggiore definizione del ruolo del medico in modo da poter impostare nuovi interventi di se-­‐
lezione e di adeguatezza delle risorse umane. SOSTEGNO ED EFFICACIA COLLETTIVA COME MEDIATORI IN SERIE DEL LEGAME FRA IDENTIFCAZIONE ORGANIZZATIVA E BURNOUT M. Boscherini, F. Dazzi, T. C. Callari, Dipartimento di Psicolo-­‐
gia, Università degli Studi di Torino Il termine mobbing indica un fenomeno “consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emar-­‐
ginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo” [C.Cost. n. 359/2003]. Lo studio si è posto l’obiettivo di indagare i vissuti psicologici (emozioni, percezioni e pensieri che si attuano nei compor-­‐
tamenti quotidiani, sia nella vita lavorativa che in quella privata) di un lavoratore, R.B., che è stato in passato vittima di mobbing e reinserito al lavoro dopo un periodo di assenza. Il contesto in cui è avvenuto il nostro studio è quello dell’INPS in una piccola sede provinciale, in cui le recenti riforme hanno portato ad una riorganizzazione interna in termini di mansioni e responsabilità, con cambiamenti di attività per R.B. È stata condotta una intervista in profondità finalizzata ad esplorare tre momenti specifici del vissuto di R.B.: il primo mobbing, la fase di reinserimento, la percezione di un nuovo mobbing. Con riferimento ai criteri INAIL si sono esplorate le seguenti areei: marginalizzazione dell’attività lavorativa, svuotamento delle mansioni, mancata assegnazione di compiti con inat-­‐
tività forzata, prolungata attribuzione di compiti dequalifi-­‐
canti rispetto al profilo professionale posseduto, impedimen-­‐
to all’accesso a notizie, esclusione reiterata ad iniziative formative e aggiornamento professionale. I risultati mostrano che R.B. è stato vittima di mobbing nell’e-­‐
pisodio passato, mentre non è chiara l’effettiva attuazione del mobbing più recente. Non appaiono rispettati i criteri stabiliti dall’INAIL precedentemente citati e la stessa vittima è consapevole di come i vissuti passati si siano riattivati nel presente facendole percepire la situazione più critica di quanto è in realtà. IL COACHING E IL CASO DI UNA FUSIONE DI DUE SQUADRE DI PALLAVOLO L. Avanzi, Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive – Ro-­‐
vereto F. Fraccaroli, Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive – Rovereto R. van Dick, Goethe University – Germania S. C. Schuh, Goethe University and Shanghai Jiao Tong University – Germania Introduzione Scopo del presente lavoro è quello di fornire una prima eviden-­‐
za empirica al doppio ruolo di mediazione che il supporto dei colleghi e l’efficacia collettiva giocherebbero nella relazione fra identificazione organizzativa e burnout. Recentemente van Dick ed Haslam (2012) nel prendere in rassegna la letteratura sullo stress lavorativo partendo dall’approccio all’Identità Sociale, hanno ipotizzato come l’identificazione organizzativa aumenti il supporto ricevuto dai colleghi, che a sua volta rende i lavoratori più coscienti delle proprie abilità e competenze collettive, e per cui potenzialmente più capaci in quanto gruppo di rispondere efficacemente contro gli stressors e sperimentare miglior be-­‐
nessere. Obiettivi e Metodi Abbiamo pertanto ipotizzato un modello di mediazione a due mediatori in serie, in cui l’identificazione organizzativa aumenta il supporto percepito che a sua volta accresce l’efficacia collet-­‐
tiva percepita, che infine, diminuirà il burnout (esaurimento e cinismo). Risultati Il modello ipotizzato è stato testato su 192 insegnanti italiani e i risultati confermano le nostre ipotesi. Conclusioni L’identificazione organizzativa può giocare un ruolo importante nella gestione dello stress promuovendo la collaborazione fra colleghi e costruendo le basi per una efficace azione collettiva di gestione dello stress. A. Bovino, R. Gonella, R. Zarnolli, T. C. Callari, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino Nel 2012 due squadre di pallavolo tra loro antagoniste, Adole-­‐
scere di Voghera (PV) e Rivanazzano (PV), sono state fuse in un’unica squadra. La fusione nacque con l’intento di sperimen-­‐
tare un possibile aumento della performance nel campionato di Serie C femminile. La squadra, il cui nome attuale è “Rivanazza-­‐
no-­‐Adolescere”, è composta da cinque giocatrici provenienti dall’Adolescere e sei del Rivanazzano. La dirigenza ha deciso di mantenere il coach dell’Adolescere. A sei mesi dall’evento, lo studio si è posto l’obiettivo di indagare la percezione di integra-­‐
zione che le atlete hanno e quanto il ruolo del coach abbia sup-­‐
portato questo processo. Lo studio ha fatto riferimento ai se-­‐
guenti modelli teorici: il modello di Bolter, Weiss (2012) che indaga il processo di coaching in funzione del miglioramento della performance; il modello di Schilling e Vanek, il quale rico-­‐
nosce tre campi di attività che caratterizzano il tecnico di alto livello (Ciampa, Della Notte, & Faraone, 2008); il conflitto reali-­‐
stico (Sherif, 1966) per comprendere la relazione di apparte-­‐
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ADATTAMENTO ITALIANO DELL’ ORGANIZATIONAL EFFICACY SCALE DI BOHN PER LA RILEVAZIONE DELL’EFFICACIA ORGANIZZATIVA PERCEPITA NELLE ORGANIZZAZIONI PRODUTTIVE nenza a gruppi diversi. I partecipanti alla ricerca sono state tut-­‐
te le atlete del Rivanazzano-­‐Adolescere, e il coach. Le atlete sono state coinvolte in due focus group con l’obiettivo di esplo-­‐
rare l’allenamento, la tecnica e lo stress. Al coach è stata som-­‐
ministrata un’intervista semi-­‐strutturata finalizzata a compren-­‐
dere le precedenti esperienze di coaching, gli eventuali modelli di riferimento, obiettivi morali e tecnici, le strategie di allena-­‐
mento e di integrazione adottate. I risultati mostrano che la fusione ha coinvolto più dinamiche quali lo spirito di gruppo, il sentimento di appartenenza, l’esperienza pregressa e la coe-­‐
sione, che non sono ancora completamente attualizzate. Il coach, che è chiamato ad avere un ruolo cardine nella gestione e integrazione di questi aspetti, appare molto tecnico e compe-­‐
tente, ma meno interessato al benessere psicosociale della squadra. PROMOZIONE DI UN ACTIVE HEALTHY AGING: IL RUOLO DEL PEOPLE HEALTH ENGAGEMENT V. Capone, G. Petrillo, Università degli Studi di Napoli “Federi-­‐
co II” Nella prospettiva della teoria sociale cognitiva le percezioni di efficacia collettiva rivestono un ruolo centrale per il buon fun-­‐
zionamento di un’équipe di lavoro e il raggiungimento di una prestazione efficace. Sebbene i processi responsabili dello svi-­‐
luppo delle convinzioni di efficacia collettiva a differenti livelli siano gli stessi, rispetto ad un gruppo di lavoro, il livello macro-­‐
organizzativo comporta una complessità maggiore dovuta al coordinamento e alla sinergia dei diversi settori organizzativi. Questo implica una modalità differenziata di operazionalizza-­‐
zione dell’efficacia collettiva e di conseguenza la necessità di scale di misura ad hoc per la rilevazione del costrutto. Il lavoro presenta la validazione italiana dell’ Organizational Efficacy Scale (OES), uno strumento di misura self-­‐report, com-­‐
posto da 17 item, valutati su scala Likert a 6 passi, che rileva tre dimensioni di efficacia organizzativa percepita nelle organizza-­‐
zioni produttive: collaborazione, senso per la mission organiz-­‐
zativa e senso di resilienza. In due studi, si è esaminata struttura (analisi fattoriali confer-­‐
mative), affidabilità, validità convergente e divergente della versione italiana dell’OES. Ai partecipanti (studio1: 120 dipendenti di un pastificio; stu-­‐
dio2: 180 operatori di 3 aziende sanitarie del sud Italia) è stato somministrato un questionario che, oltre alla OES, comprende-­‐
va strumenti adatti alla tipologia di organizzazione. Le analisi confermative di entrambi gli studi hanno confermato la struttura a tre fattori dell’OES e l’esistenza di una dimensione latente di efficacia organizzativa percepita, come esito di un modello fattoriale di secondo ordine. L’OES e le sue sub-­‐
dimensioni hanno presentato un’ottima affidabilità. I risultati delle analisi correlazionali, effettuate considerando diverse mi-­‐
sure per la validità convergente e divergente, hanno evidenzia-­‐
to una buona validità di costrutto, in linea con lo studio ameri-­‐
cano. ARMIAMOCI E PARTIAMO: VALUTAZIONI DI MANAGEMENT E DIPENDENTI A CONFRONTO SULLE STRATEGIE AZIENDALI PER AFFRONTARE LA CRISI D. Bussolin, G. Graffigna, S. Barello, A. C. Bosio, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Introduzione Il costante incremento delle prospettive di vita e i mutamenti socio-­‐economici nella società occidentale costituiscono una della maggiori sfide per i sistemi sanitari internazionali e solleci-­‐
tano profonde riflessioni rispetto al ruolo della persona anzia-­‐
na, sempre più protagonista di un processo di active healthy aging (WHO, 2002). In linea con le recenti attività dell’Unione Europea, fortemente impegnata su questo fronte (European Commission, 2012), si ambisce a sviluppare interventi che miri-­‐
no ad aumentare l’engagement dei cittadini nel processo di empowerment della propria salute e a migliorare le condizioni cliniche e psicosociali degli individui. Obiettivi L’obiettivo del presente studio è duplice: 1) condurre un’esplo-­‐
razione in profondità del vissuto di partecipazione/engagement dell’anziano nella promozione del suo benessere, al fine di evi-­‐
denziare le caratteristiche/elementi (contestuali, relazionali, organizzativi, soggettivi) delle pratiche di promozione della sa-­‐
lute in grado di produrre engagement degli anziani; 2) costruire una scala di assessment del livello di engagement del cittadi-­‐
no/paziente nel processo di promozione della salute e gestione della malattia. Metodo Interviste in profondità condotte secondo il metodo del-­‐
l’ethnoscience a pazienti/cittadini anziani che a vario titolo hanno fatto esperienza del processo di cura/gestione della propria salute. Risultati L’analisi dei dati è ongoing. Conclusioni Risultati preliminari evidenziano la necessità di considerare l’età anziana come fase produttiva in cui i soggetti possono gio-­‐
care un ruolo di primo piano nella gestione e ottenimento del proprio benessere. Supportare il processo di People Health En-­‐
gagement (Graffigna, Barello, Riva, 2013) costituisce una risor-­‐
sa indispensabile per la progettazione e realizzazione di inter-­‐
venti realmente capaci di recuperare la centralità della persona attraverso la personalizzazione degli interventi di care&cure. A. Carrieri, Università degli Studi “G. d’Annunzio”, Chieti S. Tria, Università degli Studi “G. d’Annunzio”, Chieti S. Deluca, Università degli Studi “G. d’Annunzio”, Pescara Introduzione L’importante periodo di crisi che grava sulla condizione econo-­‐
mica, costituisce una sfida alla quale il management è obbliga-­‐
toriamente chiamato a rispondere: la ridefinizione della crisi da minaccia a possibilità si concretizza in un cambiamento strate-­‐
gico che non solo mira ad azioni di contenimento dei costi, ma investe sul contributo proveniente dal capitale umano. La com-­‐
prensione e la condivisione di una strategia che comporta sacri-­‐
fici da entrambe le parti, risulta importante per il raggiungi-­‐
mento degli obiettivi, fondamentali per la sopravvivenza del-­‐
l’impresa. Obiettivo Il presente lavoro consiste in un’analisi esplorativa realizzata in 30
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mento ottimale, mentre le conseguenze emotive comportano l’aumento di sintomi psicofisici. Conclusioni Lo studio ha indagato per la prima volta le conseguenze della precarietà di vita sul benessere psicosociale e sulla salute dei lavoratori atipici. I risultati, oltre ad ampliare la letteratura di riferimento, possono consentire alle organizzazioni di prendere consapevolezza e prevenire le possibili conseguenze della pre-­‐
carietà di vita, strutturando interventi atti a promuovere la sa-­‐
lute dei lavoratori atipici. UN APPROCCIO AGENT BASED MODEL PER LO STUDIO DEL COMPORTAMENTO PROSOCIALE NELLE ORGANIZZAZIONI collaborazione con una PMI abruzzese che si occupa di gestione e smaltimento dei rifiuti reflui. L’obiettivo è quello di indagare se vi è accordo tra le percezioni e le valutazioni del manage-­‐
ment e dei dipendenti in merito alle strategie aziendali. Metodo Sono stati somministrati dei questionari che indagano quali siano le priorità, i settori sui quali investire e le caratteristiche del lavoro che si è o meno disposti a negoziare. I dati ottenuti sono stati elaborati mediante l’utilizzo di statistiche descrittive (utilizzando i software Sofastatistics e xlstat) per il confronto dei punteggi ottenuti dai ciascun comparto. Risultati Confrontando la differenza tra le medie del management e dei dipendenti, ed anche tra i singoli comparti, sono state riscon-­‐
trate delle differenze nelle valutazioni delle priorità, nella di-­‐
sponibilità a negoziare caratteristiche fondamentali del lavoro, in particolar modo la modulazione del compenso, della man-­‐
sione svolta e degli orari di lavoro. Conclusioni Questa ricerca empirica è stata funzionale alla ristrutturazione delle strategie d’impresa, ricalibrando gli interventi volti a fron-­‐
teggiare la crisi economica in una prospettiva condivisa che permetta un miglioramento del commitment e dell’enga-­‐
gement delle risorse umane verso l’organizzazione. A. Ceschi, Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia, Università degli Studi di Verona D. Hysenbelli, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli Studi di Padova R. Sartori, Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia, Università degli Studi di Verona X. Sang, Department of Management Science and Enginee-­‐
ring, Southeast University, China Introduzione Utilizzando una simulazione nota come Agent Based Modelling (ABM) (Bonabeau, 2002; Epstein, 2006) abbiamo replicato in ambiente virtuale gli effetti di alcune variabili psicologiche del comportamento prosociale quali: la motivazione all’aiuto, il Warm-­‐Glow (Andreoni, 1990) ovvero la soddisfazione legata all’esperienza e la Pseudo-­‐inefficacy. L’effetto Pseudo-­‐inefficacia è un costrutto recentemente indi-­‐
viduato da Västfjäll & Slovic (2011) e descrive come la mo-­‐
tivazione e la soddisfazione associata all’esperienza di aiuto diminuiscano quando siamo al corrente che alcune persone non possono ricevere il nostro aiuto. Obiettivi e Metodi Basandoci su alcuni modelli empirici, nella simulazione ABM abbiamo programmato due tipi di agenti che possono offrire aiuto agli altri: agenti con alti livelli di Pseudo-­‐inefficacia (PI) e agenti più razionali (R). Abbiamo altresì creato due tipi di agenti ai quali destinare l’aiuto: agenti che possono essere aiutati (H), ed agenti che non possono essere aiutati (NH). Risultati Abbiamo notato che il numero degli agenti NH influenza significativamente i livelli di Warm-­‐Glow e di motivazione degli agenti PI, e in generale dell’intero sistema. A tal fine abbiamo manipolato i rapporti degli agenti H e NH nella popolazione con lo scopo di rilevare le curve di tendenza delle variabili della simulazione (Motivation, Warm-­‐Glow e Pseudo-­‐inefficacy). Conclusione Lo studio dimostra le potenzialità della modellazione ABM. Replicando i risultati ottenuti è stato possibile creare un ambiente virtuale utile per simulare alcuni comportamenti prosociali su larga scala. Con tutti i limiti imposti dal modello, la ricerca è in grado di fornire una chiara rappresentazione di quanto potrebbe acca-­‐
dere in una organizzazione a date condizioni dove il compor-­‐
tamento prosociale riveste un ruolo di primaria importanza. LA RELAZIONE TRA PRECARIETÀ DI VITA, SALUTE E BENESSERE PSICOSOCIALE D. Caso, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli, Federico II A. Callea, Dipartimento di Scienze Umane, Università Lumsa di Roma F. Urbini, Dipartimento di Scienze Umane, Università Lumsa di Roma Introduzione La precarietà di vita è una sindrome, caratterizzata da incertez-­‐
za e paura circa il futuro professionale, che interessa i lavorato-­‐
ri atipici (Callea, 2011); tale sindrome contribuisce a sviluppare ansia e depressione (Callea, Urbini e Bucknor, 2012) e può compromettere anche il benessere psicosociale del lavoratore. Il benessere psicosociale, nella concezione di Keyes (2005), in-­‐
clude tre dimensioni interrelate: benessere emozionale, benes-­‐
sere psicologico e benessere sociale. Da numerose ricerche è emerso che i lavoratori atipici, presentano bassi livelli di benes-­‐
sere psicologico (Emberland et al., 2010), soggettivo (Geishec-­‐
ker, 2012) e sociale (Caso, 2012). Obiettivi e Metodi Lo studio indaga, attraverso la regressione multipla, il contribu-­‐
to delle tre dimensioni della precarietà di vita (disinteresse ver-­‐
so il lavoro attuale, sfiducia verso il futuro professionale e con-­‐
seguenze emotive nella vita quotidiana) sulle tre dimensioni del benessere psicosociale e sulle due dimensioni della salute ge-­‐
nerale (funzionamento ottimale e sintomi psicofisici). Hanno partecipato alla ricerca 260 lavoratori atipici campani. Risultati Dai risultati emerge che la sfiducia e le conseguenze emotive contribuiscono negativamente al benessere emozionale, le conseguenze emotive riducono il benessere sociale ed il disin-­‐
teresse contribuisce negativamente al benessere psicologico. Inoltre il disinteresse contribuisce negativamente al funziona-­‐
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free lance e maggiore carico di lavoro nei dipendenti. La regres-­‐
sione multipla ha evidenziato che nei giornalisti dipendenti (R2 .22) il FaW è influenzato dal supporto dei capi e dall’auto-­‐
nomia. Nei giornalisti free lance (R2 .30) il FaW è incrementato da locus of control interno, autonomia e carico di lavoro. I risultati mostrano differenze tra i due gruppi: il FaW nei gior-­‐
nalisti dipendenti è determinato dalle risorse lavorative, in par-­‐
ticolare dal supporto dei capi. Nei free lance il FaW è influenza-­‐
to, oltre che da risorse personali e lavorative, anche dal carico di lavoro suggerendo un possibile bilanciamento tra challenges e skills e un effetto di moderazione dell’autonomia tra carico e FaW, da verificare in future ricerche. Dallo studio emerge l’importanza di sostenere l’esperienza di flow nei contesti lavo-­‐
rativi, tenendo in considerazione, all’interno della stessa pro-­‐
fessione, le diverse tipologie di legame con l’organizzazione. START-­‐UP DI SUCCESSO: IL RUOLO DEL CAPITALE UMANO L’IMPATTO DELLA TECNOLOGIA SULLA FRUIZIONE CINEMATOGRAFICA V. Chiantese, A. Marchisio, F. Scialabba, T. C. Callari, Diparti-­‐
mento di Psicologia, Università degli Studi di Torino Le abitudini comportamentali e culturali degli individui sono state influenzate dall’innovazione tecnologica che ha intro-­‐
dotto negli ultimi anni nuove possibilità per la visione dome-­‐
stica di film: streaming e download rappresentano un’alterna-­‐
tiva sempre più diffusa alla sala cinematografica. Questa ricerca fa riferimento alle prospettive sull’influenza sociale, che si focalizzano sulle determinanti del comporta-­‐
mento collocabili a monte delle credenze e cognizioni indivi-­‐
duali, nella struttura delle relazioni sociali e nelle norme sociali. L’accesso ad internet con bande larghe, che permette download veloci e possibilità di streaming, influenza le abitu-­‐
dini d’uso dei giovani nei confronti della visione dei film? L’in-­‐
dagine intende rilevare quanto la pratica di download/streaming incida sulla fruizione cinematografica, nel tentativo di com-­‐
prendere comportamenti, opinioni e atteggiamenti dei gio-­‐
vani rispetto a queste abitudini d’uso. L’indagine è stata realizzata in due fasi: nella prima fase di campionamento sono stati contattati 21 studenti che rispon-­‐
dessero a criteri, tra cui: frequentassero almeno una volta alla settimana il cinema e abitualmente facessero uso di streaming e/o download. Nella seconda fase si è proceduto a som-­‐
ministrare un’intervista strutturata allo scopo di rilevare aspetti di tipo quantitativo e qualitativo sulle abitudini og-­‐
getto d’indagine. Da questo studio emerge una persistente preferenza per la fruizione cinematografica, a dispetto delle nuove tecnologie di visione domestica. I giovani appassionati di cinema, utenti abitudinari di streaming e download, continuano a privilegia-­‐
re il grande schermo. Tuttavia se da una parte il dato relativo alla frequenza al cinema non permette di appurare cambia-­‐
menti significativi nelle abitudini, a livello concreto i giovani risultano fare un uso elevato della pratica di download e streaming. IL FLOW AT WORK NEI GIORNALISTI: DIFFERENZE TRA LAVORATORI DIPENDENTI E FREE LANCE C. G. Cortese, Dipartimento di Psicologia, Università degli Stu-­‐
di di Torino M. Molino, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino C. Ghislieri, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino M. Cantamessa, Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione, Politecnico di Torino A. Colombelli, Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione, Politecnico di Torino E. Paolucci, Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione, Politecnico di Torino M. Carossa, Fondazione Human Plus, Torino A. Carpaneto, Fondazione Human Plus, Torino A. Mercuri, Fondazione Human Plus, Torino Con l’entrata in vigore in Italia del Decreto Crescita 2.0 (Legge 221/2012) stiamo assistendo a una maggiore attenzione per il fenomeno delle start-­‐up. Nonostante ciò, tra studiosi di psico-­‐
logia e gestione delle risorse umane non esiste ancora accordo su quali possono essere considerati i fattori disposizionali pre-­‐
dittivi del successo imprenditoriale (Rauch & Frese, 2007). Que-­‐
sto studio ha lo scopo di raccogliere le esperienze di alcuni opi-­‐
nion leader in tema di start-­‐up, al fine di costruire una prima mappa di riferimento delle variabili che possono influenzare il successo imprenditoriale, da confrontare con la letteratura scientifica internazionale. La ricerca ha coinvolto 23 partecipan-­‐
ti, italiani e non, operanti nel campo della promozione d’im-­‐
presa (incubatori, venture capitalist, business angel, servizi pubblici di sostegno all’imprenditoria), con ciascuno dei quali è stata realizzata un’intervista semi-­‐strutturata. L’analisi del con-­‐
tenuto è stata condotta con il metodo carta e matita. Inoltre, i partecipanti hanno compilato un questionario attribuendo un ordine di importanza ad alcuni fattori presentati all’interno di quattro categorie: capitale umano, capitale sociale, capitale organizzavo, fattori socio-­‐demografici. I risultati delle analisi quali-­‐quantitative evidenziano che tra le categorie considerate è il capitale umano, rappresentato da specifiche caratteristiche personali, a essere ritenuta la più rilevante nel determinare il successo di una start-­‐up; emerge, inoltre, l’importanza di alcu-­‐
ne caratteristiche del team imprenditoriale. Questo studio, tra i primi in Italia, conferma la necessità di approfondire la relazio-­‐
ne tra fattori psicologici e successo imprenditoriale (Brandstat-­‐
ter, 2011). I risultati preliminari possono essere considerati utili L. Colombo, F. Emanuel, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino Recenti studi nell’ambito della positive psychology (Seligman & Csikszentmihalyi, 2000) hanno evidenziato l’effetto del flow associato al lavoro (Bakker, 2008). Il flow at work (FaW) si veri-­‐
fica quando l’individuo percepisce un equilibrio tra opportunità di azione (challenges) e capacità personali (skills), quindi quan-­‐
do le domande lavorative sono bilanciate dalle risorse personali e da quelle dell’organizzazione (JD-­‐R model, Bakker & Deme-­‐
routi, 2007). La ricerca indaga l’effetto di risorse personali, lavorative e do-­‐
mande lavorative sulla percezione di FaW in 260 giornalisti, individuando differenze tra i dipendenti (45.4%) e i free lance (54.6%). Il questionario ha rilevato: FaW, ottimismo, locus of control interno, supporto dei capi, autonomia, carico di lavoro, dissonanza emotiva (alpha tra .62 e .93). L’analisi dei dati (Spss20) ha previsto: alpha, t-­‐test per campioni indipendenti, correlazioni, regressioni multiple. Dal t-­‐test emerge: maggiore FaW e autonomia nei giornalisti 32
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tenzione alla costruzione di siti web e all’utilizzo dei social net-­‐
work per creare un legame diretto con il consumatore. Obiettivi L’obiettivo di questo studio empirico consiste nell’analizzare i siti web delle principali cantine abruzzesi, per poi confrontarli con la top 12 dei migliori siti vitivinicoli italiani, stilata da wi-­‐
nenews, portale dedicato al vino in Italia. Metodo L’analisi dei siti web è stata svolta secondo criteri presenti nella letteratura di riferimento (C. Gurău & F. Duquesnois, 2011), implementando alle categorie informative anche la presenza dei collegamenti ai social networks e degli elementi che con-­‐
corrono a formare una co-­‐creazione di valori, quali ad esempio l’enoturismo. Risultati Dai risultati emerge come i siti web delle cantine abruzzesi pre-­‐
sentino la quasi totalità delle categorie informative e dei colle-­‐
gamenti con i social networks, oltre che la promozione di attivi-­‐
tà di enoturismo. Pertanto dall’analisi dei siti presenti nella top 12, si evince la presenza di elementi innovativi, quali ad esem-­‐
pio il coinvolgimento diretto del cliente in diverse attività, la presenza di blog e la possibilità di creare collaborazioni lavora-­‐
tive. Conclusioni Dall’analisi emerge come i siti delle cantine abruzzesi raggiun-­‐
gano un buon livello di comunicazione, pertanto dal confronto con la top 12 emergono elementi che potrebbero migliorare le strategie di marketing. per indirizzare ricerche future, soprattutto di tipo longitudinale, e, sul piano pratico, per la costruzione di strumenti di valuta-­‐
zione a supporto di promotori di impresa e neo-­‐imprenditori. L’UNIONE FA LA FORZA? GLI EFFETTI DEL LAVORO DI GRUPPO SU BENESSERE E SODDISFAZIONE LAVORATIVA D. D’Augusto, M. Cortini, Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti-­‐Pescara Introduzione Il decreto legislativo n. 81 del 2008 stabilisce l’obbligo nelle aziende di analizzare i rischi psicosociali, tutelando la sicurezza e la salute sul posto di lavoro, minacciate sia da fattori ambien-­‐
tali di tipo chimico, fisico e biologico, sia da fattori psicosociali che impattano sulla sfera psicologica. Questi ultimi nascono dall’interazione tra le richieste del lavoro (stressors), la risposta psicofisica (strain) e le competenze dei lavoratori. Se tra questi aspetti c’è discrepanza si creano situazioni di stress lavoro-­‐
correlato, ossia risposte psicofisiche che si generano allorquan-­‐
do le richieste del lavoro superano o si scontrano con la capaci-­‐
tà del lavoratore di fronteggiarle. Recentemente, la letteratura di taglio psicologico ha allargato la riflessione sullo stress e sui fattori preventivi ai costrutti di benessere e di soddisfazione lavorativa ed organizzativa. Tra i diversi strumenti è di partico-­‐
lare interesse l’Aston Team Performance Inventory (ATPI), svi-­‐
luppato da Michael West, che sottolinea l’importanza e l’efficacia del team all’interno dell’organizzazione. Obiettivi e Metodi È stato realizzato uno studio per valutare il benessere e la sod-­‐
disfazione lavorativa in relazione alla presenza o meno di grup-­‐
pi di lavoro nelle organizzazioni, attraverso la conduzione di interviste a figure chiave di un piccolo campione di imprese del centro Italia e la somministrazione, ad un campione di dipen-­‐
denti, della versione Italiana dell’ATPI, in base ai costrutti: effi-­‐
cacia e processi di gruppo, settore organizzativo, comunicazio-­‐
ne interna, soddisfazione e benessere. Risultati Dai risultati emerge una visione del lavoro di gruppo come Gia-­‐
no bifronte; da un lato il lavorare “insieme” rappresenta un importante fattore protettivo verso lo stress ed un’occasione di rinnovato benessere organizzativo ma, dall’altro, la focalizza-­‐
zione sul lavoro di team, se mal gestita, genera competizione e malessere, se non demotivazione. CANTINE E INTERNET, IL SITO WEB COME STRUMENTO DI MARKETING INTEGRATO NEL MONDO DEL VINO. UN’ANALISI ESPLORATIVA DEI PRINCIPALI SITI DELLE CANTI-­‐
NE ABRUZZESI TECNOLOGIA E RISTORAZIONE: UNO STUDIO ESPLORATIVO D. Daverio, F. Digioia, T. C. Callari, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino Nel contesto della ristorazione si è assistito ad un progressivo incremento di tecnologie per effettuare le ordinazioni. Lo stu-­‐
dio si è posto l’obiettivo di comprendere come l’introduzione di strumenti elettronici abbia influenzato il comportamento orga-­‐
nizzativo nel sistema di lavoro della ristorazione. In linea con la prospettiva dell’attrito cognitivo di Cooper (1999), ovvero “la resistenza che l’intelletto umano incontra quando interagisce con un insieme complesso di regole che cambia nel momento stesso in cui cambia a sua volta il problema”, e con l’approccio Human-­‐Computer Interaction, si è voluto esplorare se le inter-­‐
facce dei dispositivi di ordinazione generino oppure no “attrito cognitivo”, e se queste siano studiate per essere sufficiente-­‐
mente efficaci, efficienti e facili da usare anche per un operato-­‐
re inesperto (Oddone, & Re, 2002). Lo studio è stato condotto all’interno di un ristorante di Torino che adotta il Taccuino Elettronico (TRS50, CEI System), in cui ogni piatto presente sul menù è associato a un codice che, digi-­‐
tato, rimanda la comanda alla cucina/bar e alla cassa. Al perso-­‐
nale è stata somministrata un’intervista semi-­‐strutturata della durata di ca. 20 minuti, integrata con tecniche di Contextual Inquiry, finalizzate all’esplorazione dell’interazione operatore-­‐
cliente-­‐tecnologia. I risultati mostrano un generale gradimento da parte degli ope-­‐
ratori: in particolar modo per quel che riguarda l’usabilità dello strumento e il modo in cui questo permette di gestire la discre-­‐
zionalità. Il Taccuino Elettronico, infatti, permette all’operatore di intervenire a più livelli per risolvere le criticità giunte dalle D. D’Ignazio, Università degli Studi “G. d’Annunzio", Chieti S. Tria, Università degli Studi “G. d’Annunzio”, Chieti F. Centinaro, Università degli Studi di Teramo, Teramo Introduzione L’avvento di internet, il quale vanta 2,2 miliardi di utenti nel 2011, rappresenta la nuova frontiera di comunicazione per le aziende che vogliono affermarsi in ambito nazionale e interna-­‐
zionale. Il “digital divide” che per diverso tempo ha caratteriz-­‐
zato il mondo del vino, progressivamente “recupera terreno”. Le cantine italiane, anche se in ritardo, hanno compreso l’importanza della rete per le loro strategie di promozione: “il web non è più un accessorio, ma un protagonista”,vi è l’at-­‐
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Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento, Università degli Studi di Pavia richieste “fuori menù” dei clienti. Questa tecnologia, infine, pare migliorare il comportamento organizzativo e sembra ri-­‐
spondere in maniera sufficientemente adeguata alle richieste dell’ambiente nonostante, in alcuni casi, l’intervento dell’ope-­‐
ratore sia inevitabile. ANTECEDENTI E CONSEGUENTI DELL’EMPLOYABILITY ORIENTATION: UN CONTRIBUTO DI RICERCA SUI LAVORATORI MATURI Introduzione Il reinserimento lavorativo (RTW) dopo prolungata assenza per malattia può essere una fonte di distress a causa delle difficoltà di adattamento alle limitazioni imposte dalla malat-­‐
tia e ai cambiamenti nell’attività lavorativa. Lo studio ha l’obiettivo di indagare quali sono i fattori che promuovono un RTW soddisfacente a seguito di intervento cardiaco. Metodo Novanta soggetti con storia di recente intervento cardiaco sono stati reclutati presso una struttura ospedaliera della regione Lombardia. I partecipanti sono stati valutati al baseline durante la riabilitazione cardiaca e ad un follow-­‐up di 12 mesi quando avevano ripreso il lavoro. Sono stati somministrati: l’Occupational Stress Indicator per valutare la percezione di stress e di soddisfazione lavorativa; la Scheda AD per indagare ansia e depressione e il Constructed Meaning Scale per valutare le illness beliefs. Sono stati utilizzati mo-­‐
delli di regressione multipla per analizzare la relazione tra fattori socio-­‐demografici, medici e psicosociali al baseline, e soddisfazione lavorativa a 12 mesi dall’intervento cardiaco. Risultati Soddisfazione lavorativa (p < 0.001), depressione (p < 0.01) e ambizione (p = 0.05) al baseline sono predittori significativi di un RTW soddisfacente dopo prolungata assenza per problemi cardiaci, anche controllando l’effetto di variabili demogra-­‐
fiche, occupazionali e mediche. I soggetti con elevati livelli di soddisfazione al baseline riportavano anche percezioni più positive nei confronti della malattia, dell’ambiente di lavoro e minore distress emotivo rispetto ai soggetti con bassa soddisfazione lavorativa. Conclusioni Questi risultati suggeriscono l’importanza di un’attenta valu-­‐
tazione dell’ambiente di lavoro psicosociale e del distress emotivo dei pazienti cardiopatici, con particolare riferimento alla soddisfazione lavorativa e a sintomi depressivi, al fine di promuovere un soddisfacente e positivo RTW dopo interven-­‐
to cardiaco. COMUNICAZIONE INTERNA, RUOLI ORGANIZZATIVI E PROCESSI DECISIONALI V. Depergola, Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicolo-­‐
gia, Università degli Studi di Bari A. Manuti, Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari G. Tanucci, Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari M. L. Giancaspro, Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari Introduzione I cambiamenti avvenuti nelle strutture organizzative e l’allun-­‐
gamento dell’età pensionabile hanno portato ad un incremen-­‐
to dell’enfasi posta sulla capacità dell’individuo di riuscire ad essere sempre attivo ed occupabile nel mondo del lavoro (Clar-­‐
ke, 2007). In tal senso ed in riferimento alla categoria dei lavo-­‐
ratori maturi, la presente ricerca si è focalizzata sul concetto di sviluppo dell’Orientamento all’ Employability in un campione di lavoratori over 45 indagando fattori che possano promuovere tale orientamento. Obiettivi e Metodo Verificare la relazione fra Career Commitment ed Employability Orientation; indagare la relazione fra Employability Culture e Employability Orientation; verificare la relazione fra Perceived Organizational Support ed Employability Orientation; esplorare la relazione fra Employability Orientation ed Employability Acti-­‐
vities. Il gruppo di partecipanti è costituito da 300 lavoratori tecnico-­‐amministrativi dipendenti dell’Università degli Studi di Bari, a partire dai 45 anni di età. Ai partecipanti è stato chiesto di compilare un questionario semi-­‐strutturato composto dalla scala inerente l’Employability Orientation (Van Dam, 2004), dalla scala del Career Commitment (Carlson & Bedeian, 2001), dalla scala sull’Employability Culture ( Nauta et al., 2009), dalla scala del POS (Battistelli & Mariani, 2011), da items inerenti l’ Employability Activities (Van Dam, 2004) e da una sezione ine-­‐
renti i dati socio-­‐demografici. Risultati Le analisi condotte, tramite l’utilizzo del software Spss , hanno indicato come la Career Identity rappresenti un buon preditto-­‐
re dell’ Employability Orientation e mostrato elementi di rifles-­‐
sione molto interessanti rispetto all’Employability Activities. Conclusioni Tali risultati incoraggiano ulteriori approfondimenti empirici al fine di individuare fattori che favoriscano lo sviluppo di tale orientamento nei lavoratori maturi. DALLA RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA AL REINSERIMENTO LAVORATIVO: ALCUNE DETERMINANTI DELLA SODDISFAZIONE LAVORATIVA Z. Filippi, A. Nocera, M. Bellotto, S. Cordioli, Università degli Studi di Verona Nel 1957 H. Simon definì l’impresa come un sistema adattivo di risorse umane, fisiche e sociali legate da una rete di comunica-­‐
zioni e dalla volontà dei suoi membri di cooperare per il rag-­‐
giungimento di un fine comune, mettendone così in rilievo il momento comunicativo. La ricerca è stata condotta all’interno di un’organizzazione Not for Profit: il Comitato Italiano per l’Unicef. Primo obiettivo della ricerca è quello di rilevare in che modo le nuove tecnologie del-­‐
la comunicazione influenzano la comunicazione interna ed i processi decisionali all’interno delle organizzazioni; secondo obiettivo è quello di valutare la correlazione tra il cambiamento dei processi summenzionati e la percezione dei ruoli. La raccolta dei dati è avvenuta mediante interviste in profondi-­‐
tà, survey online e focus group con il personale dell’organiz-­‐
zazione. Le interviste in profondità sono analizzate tramite il E. Fiabane, Unità di Psicologia Applicata, Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento, Università degli Studi di Pavia. I. Giorgi, Servizio di Psicologia, Fondazione Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione IRCCS, Istituto di Pavia P. Argentero, Unità di Psicologia Applicata, Dipartimento di 34
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tra queste variabili. Si ipotizzano come fattori protettivi la mo-­‐
tivazione e la percezione di fiducia e di supporto sociale. LA CUSTOMER SATISFACTION COME STRUMENTO DI CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO. UNO STUDIO SU 5 AZIENDE SANITARIE DELLA CITTÀ DI MILANO metodo della Conversation Analysis. Il survey online è compo-­‐
sto da 22 item, in Scala Likert cinque punti, che indagano l’incidenza delle nuove tecnologie introdotte in azienda sui processi decisionali e sulla comunicazione interna; si è inoltre valutata l’incidenza dei ruoli nei processi comunicativi. I focus group hanno infine l’obiettivo di discutere i risultati del survey online. In particolare dai risultati emerge che il 58.9% del campione ritiene che il proprio responsabile dedica sufficiente tempo ed attenzione a comunicare con i collaboratori. Inoltre è emerso che solamente il 28.3% dei partecipanti all’indagine dichiara di avere scambi informativi con i colleghi (di pari ruolo) adeguati alle esigenze lavorative. Dalla ricerca sembra emergere che la comunicazione interna al Comitato Italiano per l’Unicef assume sempre più un carattere organizzativo tout court. Ciò sembra accadere frequentemente nelle organizzazioni Not for Profit in cui si verifica un cambia-­‐
mento dei processi decisionali e della percezione dei ruoli or-­‐
ganizzativi (La Porte, 2003). BENESSERE/MALESSERE DEGLI INSEGNANTI: FATTORI PROTETTIVI E DI RISCHIO A LIVELLO INDIVIDUALE, GRUPPALE E ORGANIZZATIVO D. Jabes, V. Russo, Università IULM Milano Nei servizi sanitari la soddisfazione dell’utenza è definita come “una valutazione positiva delle dimensioni distintive del servi-­‐
zio” (Baldwin, 2003), e dipende dalla qualità percepita del ser-­‐
vizio, dalle aspettative legate al servizio stesso, dal costo (mo-­‐
netario e non), e da fattori personali e situazionali (Zeithaml, Bitner, 1996). Questo lavoro si inserisce all’interno del rapporto consulenziale tra Fondazione Università Iulm e 5 tra le più grandi Aziende Sa-­‐
nitarie della città di Milano. L’obiettivo è quello di fornire dati utili per supportare gli Urp nel loro percorso di integrazione con la struttura ospedaliera. Gli Urp infatti, nonostante siano consi-­‐
derati spesso marginali, sono i principali depositari dei dati di soddisfazione dell’utenza, che costituiscono una risorsa fonda-­‐
mentale per la valutazione delle performance in termini di effi-­‐
cacia/efficienza, e per la conseguente riorganizzazione dei ser-­‐
vizi in risposta alle aspettative dei cittadini. Sono stati analizzati 93.440 questionari di customer satisfaction dei 5 ospedali relativi al quinquennio 2008-­‐2012. Le analisi svol-­‐
te riguardano (1) l’andamento del grado di soddisfazione com-­‐
plessiva e per singoli item degli utenti dei servizi sanitari; (2) quali fattori incidono maggiormente nel determinare il grado di soddisfazione, e se questi cambiano tra degenze e ambulatori; (3) come le variabili sociodemografiche e l’orientamento a con-­‐
sigliare ad altri la struttura incidono sulla propensione al riuti-­‐
lizzo della struttura stessa. Inoltre (4) sono state suggerite pro-­‐
poste di modifica allo strumento di rilevazione imposto dalla Regione Lombardia. I risultati del processo di consulenza dimostrano come utilizza-­‐
re i dati non solo in modo settoriale e specifico sul singolo ospedale, ma potendo fornire informazioni di contesto trasver-­‐
sali a più ospedali, permette agli Urp di agire in maniera più incisiva nell’ottica di una reale azione di miglioramento del ser-­‐
vizio sanitario offerto. L’INNOVAZIONE NEI PROCESSI DI RECLUTAMENTO: IL RUOLO DEL SOCIAL RECRUITING C. Gozzoli, D. Frascaroli, C. D’Angelo, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Introduzione Il mondo della scuola è sollecitato da riforme, riorganizzazioni, tagli di risorse, precarietà, richieste complesse provenienti dall’interno e dall’esterno. In letteratura si evidenzia come lo scenario complesso e le peculiarità del contesto scolastico con-­‐
tribuiscano a generare negli insegnati insoddisfazione e males-­‐
sere. Obiettivi L’obiettivo della ricerca è quello di indagare quali sono gli ele-­‐
menti protettivi e di rischio che influiscono sul benessere e sul malessere degli insegnanti, ipotizzando che alcune di queste variabili rimandino al livello individuale, mentre altre siano le-­‐
gate alla percezione che i soggetti hanno del proprio gruppo di lavoro e del contesto organizzativo di appartenenza. Metodo È stato progettata una ricerca multi-­‐metodo articolata in due fasi: 1) Fase qualitativa: sono state condotte 45 interviste semi-­‐
strutturate durante le quali è stata anche chiesta la produzione del Disegno Simbolico dello Spazio di Vita Professionale; 2) Fase quantitativa (estensiva): sono stati somministrati a un campio-­‐
ne di 150 docenti in Lombardia dei questionari standardizzati volti a rilevare sia indicatori a livello individuale (es. grado di benessere/malessere; supporto percepito a livello sociale e organizzativo;motivazione al lavoro), sia la percezione che i soggetti hanno del proprio gruppo di lavoro e del contesto or-­‐
ganizzativo di appartenenza (es. fiducia organizzativa; conflit-­‐
to). Risultati e Conclusioni Gli esiti della fase qualitativa hanno consentito di mettere a fuoco, ad esempio, diversi profili identitari. Gli esiti della fase quantitativa (l’analisi dei dati è in corso) verranno messi in dia-­‐
logo con gli esiti della prima fase della ricerca e consentiranno di esplorare ulteriormente i fattori protettivi e di rischio che incidono sul benessere/malessere degli insegnanti e le relazioni E. Lanzone, G. Bellandi, A. Aiello, Università di Pisa Il reclutamento del personale non poteva rimanere insensibile di fronte all’epocale rivoluzione generata dai social network: con il cosiddetto social recruiting il modo di ricercare le risorse è cambiato, così come l’atteggiamento delle aziende verso l’esterno. L’incontro tra domanda e offerta di lavoro si è sem-­‐
pre dovuta scontrare con una generalizzata incertezza; il social recruiting permetterebbe di incidere su tale aspetto: conoscersi meglio prima di entrare in contatto diretto, poter osservare reciprocamente cosa la persona e l’azienda dicono di se stesse e cosa gli altri dicono di loro attraverso il WEB. Il social recrui-­‐
ting si configura come una scelta progettuale “a monte” più consapevole, che permette di ridurre il rischio di imbattersi in situazioni del tutto sconosciute. L’obiettivo dello studio è quello di delineare una cornice operativa entro cui inscrivere il feno-­‐
meno per gli operatori HR. La ricerca ha coinvolto nella sua fase 35
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G. Guzzo, Facoltà di Scienze umane e sociali, Università Kore di Enna pilota 14 testimoni privilegiati (direttori HR, consulenti del lavo-­‐
ro, esperti del mercato del lavoro, RS di agenzie interinali) at-­‐
traverso interviste semi-­‐strutturate, volte a far emergere le principali dimensioni di criticità del fenomeno; è stata così deli-­‐
neata la proposta per una specifica scala composta di 60 item generati a partire da 7 aree: Criticità del social recruiting nel processo iniziale; Percezione di vantaggi/svantaggi; Informazio-­‐
ni e social network; Peso del digital divide; Utilizzo della Rete; Prospettive di uso; Criticità percepite dall’utenza. I risultati sug-­‐
geriscono degli spunti entro cui collocare il social recruiting in una prospettiva integrativa (e non sostitutiva/oppositiva) ri-­‐
spetto ai “metodi tradizionali”. L’insieme di tali risultati preli-­‐
minari mette in luce la salienza del fenomeno in discussione e la necessità di prosecuzione dello studio tramite il coinvolgi-­‐
mento di un campione adeguato e mirato. SVILUPPARE UNA CULTURA VALUTATIVA NELLA FORMAZIONE: PERCORSI POSSIBILI E. Foddai, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo V. Sanfratello, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo F. Pace, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo Introduzione Il benessere affettivo nei luoghi di lavoro è un tema a lungo trascurato a causa del susseguirsi di modelli teorici razionalistici di comprensione del rischio psicosociale. Il modello sviluppato da Warr (2007) si basa su un concetto di benessere psicologico definito in termini affettivi, ossia basato sulla tipologia di emo-­‐
zioni sperimentate dall’individuo. Nello specifico, l’autore ipo-­‐
tizza un modello multidimensionale di benessere che viene rappresentato da due dimensioni ortogonali (piacevolezza e attivazione mentale), ma misurato da tre dimensioni (piacevo-­‐
lezza, ansia-­‐comfort, depressione-­‐entusiasmo). Obiettivi e Metodi Scopo del presente contributo è valutare la struttura fattoriale originaria e l’affidabilità delle due scale di Warr (ansia-­‐comfort e depressione-­‐entusiasmo) al fine di proporne un adattamento nel contesto italiano. La ricerca ha coinvolto 506 lavoratori (M = 254; F = 252) di età compresa tra 25 e 65 anni, operanti in di-­‐
versi settori. I partecipanti hanno completato un questionario riguardante le due dimensioni di ansia-­‐comfort e depressione-­‐
entusiasmo (Warr, 1990). Risultati L’analisi fattoriale ha rilevato una struttura bifattoriale che spiega il 56% della varianza. Il primo fattore si riferisce alla di-­‐
mensione depressione-­‐entusiasmo (6 item, 30% di varianza speigata) e il secondo fattore si riferisce alla dimensione ansia-­‐
comfort (6 item, 26% di varianza speigata). La consistenza in-­‐
terna è risultata buona: alpha di Cronbach pari a .87 e .89 nei due fattori. Conclusioni Il presente studio mostra che le due scale di Warr possono es-­‐
sere strumenti utili per la valutazione del benessere psicologico dei lavoratori e all’interno del processo di valutazione dei rischi psicosociali. Esse permettono di osservare il benessere indivi-­‐
duale nelle diverse forme, tenendo in considerazione la com-­‐
plessità dell’esperienza affettiva. TERZA MISSIONE DELLE UNIVERSITÀ E IMPRENDITORIALITÀ ACCADEMICA G. Scaratti, E. Lozza, C. Libreri, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano È oggi sempre più importante costruire percorsi di valuta-­‐
zione e strumenti in grado di supportare i processi formativi, soprattutto nel caso di interventi che presentino peculiarità e specificità contestuali rilevanti. Il presente contributo è atto quindi a presentare il percorso metodologico alla base della costruzione di uno strumento ad hoc – costruito a partire dal modello del “Values in Action Inventory of Strenghts”, uno dei costrutti cardine della psicologia positiva-­‐ della valutazio-­‐
ne delle competenze legate ai valori veicolati all’interno di uno specifico contesto formativo (offerta formativa di un insieme di collegi per studenti universitari). Nella pratica, un progetto di ricerca-­‐intervento mixed-­‐
methods ha accompagnato lo sviluppo e la costruzione dello strumento di valutazione delle competenze. Il primo step ha visto la definizione della formazione e della sua valutazione, delle competenze e dei valori ad esse sottostanti con i direttori dei collegi. A questo è seguita una fase qualitativa -­‐ interviste individuali -­‐ per esplorare l’adeguatezza del model-­‐
lo dal punto di vista dei residenti nei collegi (fruitori del percorso formazione). In seguito sono stati sviluppati due momenti quantitativi-­‐ questionario strutturato-­‐: il primo atto alla validazione dello strumento su un campione significativo di residenti ed un secondo per comprendere se tale strumento ed il modello sottostante potessero essere ritenuti generalizzabili su un campione di studenti universitari non residenti nei collegi, ma con caratteristiche confrontabili (sesso, età, percorso di studi…). Nel presente contributo verrà presentato il processo di ricerca-­‐intervento evidenziando non solo i contenuti svilup-­‐
pati, ma anche i principali turning-­‐point e le criticità emerse al fine di proporre possibili buone pratiche per una valutazione della formazione ed una cultura valutativa strettamente ancorate al contesto di riferimento. CONTRIBUTO ALL’ADATTAMENTO ITALIANO DELLE SCALE SUL BENESSERE AFFETTIVO DI WARR M. Loi, M. C. Di Guardo, Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali, Università degli Studi di Cagliari Introduzione L’analisi del sistema organizzativo delle università Giapponesi, Svedesi, Brasiliane, Statunitensi e Italiane ha condotto alcuni autori a sostenere che sia in corso una rivoluzione invisibile all’interno di tali organizzazioni (Etzkovitz 1998; Etzkowotz et al, 2008). In particolare, la missione tradizionale di ricerca e inse-­‐
gnamento è stata integrata con quella di sviluppo economico e sociale dei territori, conosciuta come Terza missione. Obiettivi e Metodi Questo studio ha l’obiettivo di esaminare come le università V. Lo Cascio, Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali e Finanziarie, Università degli Studi di Palermo A. Civilleri, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo 36
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ne della merce in base alle aspettative d’uso dell’utenza – ad esempio manga catalogati per tipologia e non per promozione commerciale) e organizzativa. SVILUPPO E PRIME ANALISI PER LA VALIDAZIONE DI UNA SCALA DI GRATITUDINE DEI PAZIENTI/CLIENTI italiane rappresentino la terza missione all’interno degli statuti aggiornati a seguito dell’introduzione della Legge 240/2010. È stata condotta un’analisi qualitativa dei contenuti (Schilling, 2006) su 75 statuti per estrapolare i significati emergenti con-­‐
nessi alla missione delle università, allo scopo attribuito alle attività imprenditoriali accademiche e ai principi richiamati ri-­‐
spetto ai rapporti con il territorio. Risultati La codifica del contento supportata da Atlas.Ti e l’analisi dei cluster ha permesso di evidenziare 4 orientamenti delle univer-­‐
sità: 1) missione tradizionale e orientamento a garantire il ruolo pubblico e la qualità della ricerca; 2) terza missione e apertura al cambiamento; 3) terza missione e orientamento alla valoriz-­‐
zazione della ricerca; 4) missione tradizionale e orientamento a considerare le attività imprenditoriali come fonte di finanzia-­‐
mento. Conclusioni Questo studio è parte di un programma di ricerca più ampio che intende indagare la dimensione culturale delle università italiane connessa alla terza missione e all’imprenditorialità ac-­‐
cademica. I primi risultati, basati sull’analisi documentale, han-­‐
no permesso di identificare come le università abbiano rappre-­‐
sentato, nei propri statuti, orientamenti differenti riconducibili teoricamente al Competing Value Framework (Cameron e Quinn, 2011). È in corso l’indagine sulla dimensione valoriale individuale. LA RELAZIONE FRANCHISEE E FRANCHISOR: QUANDO VINCOLI E DISCREZIONALITÀ SI ALLINEANO CON LE ESIGENZE DELL’UTENZA M. Martini, D. Converso, Dipartimento di Psicologia, Universi-­‐
tà degli Studi di Torino Introduzione La relazione con l’utenza costituisce una dimensione cruciale per le professioni di aiuto, considerata per lo più nell’ambito della ricerca psicosociale nella sua valenza negativa, come possibile origine, per esempio, della sindrome del burnout. Poche sono tuttavia le ricerche (Martini, Converso, 2012) che prendono in considerazione il versante positivo della relazio-­‐
ne e ancor meno sono gli strumenti atti a rilevare questa dimensione (Zimmermann et al., 2011). Obiettivi Obiettivo di questo lavoro è pertanto lo sviluppo e la prima esplorazione delle caratteristiche di una nuova scala per rilevare il lato positivo della relazione con l’utenza in termini di gratitudine espressa agli operatori. Metodologia A valle di uno studio qualitativo (due focus group) preliminare svolto con alcuni infermieri ed educatori si è sviluppata una scala di 18 item (scala Likert: 1 = completo disaccordo; 5 = completo accordo) che è stata compilata da 244 operatori in contesti sanitari pubblici piemontesi. Si sono svolte le seguenti analisi: descrittive sui singoli item, fattoriale esplorativa, α di Cronbach, analisi della varianza. Risultati e Conclusioni Sono stati eliminati 4 item. La scala risulta perciò composta di due fattori (68.61% Var spiegata): espressione di gratitudine (5 item, α .90) e gratitudine come fonte di sostegno e supporto (9 item α .95). Il t-­‐test per campioni appaiati mostra una differenza significativa tra le due sottoscale [t (241) = 35.20; p < .001]. Limite del presente lavoro è la ridotta numerosità del campione. È in corso una più ampia somministrazione che consentirà di verificare la struttura della scala, le relazioni con altri costrutti e al tempo stesso di compiere una prima validazione della versione italiana della scala recentemente proposta da Zimmermann et al., 2011. PROCESSI DI SVILUPPO E STILI DI APPRENDIMENTO M. Marinò, D. Ioudioux, T. C. Callari, Dipartimento di Psicolo-­‐
gia, Università degli Studi di Torino L’importanza del feedback del cliente nella gestione organizza-­‐
tiva ed espositiva del proprio punto vendita è un argomento da sempre sottovalutato ma di vitale importanza per il suo gesto-­‐
re, che raramente ne indaga le caratteristiche convinto di un’eccessiva eterogeneità dell’utenza e, quindi, di un’im-­‐
possibilità nel soddisfare tutte le esigenze emergenti. Lo scopo della nostra ricerca è di verificare se le esigenze del franchisee e del suo franchisor, da una parte, e quelle dell’utenza, dall’altra, siano allineate alle aspettative d’uso di quest’ultima, in vista di possibili migliorie a livello del layout e della concezio-­‐
ne e selezione della merce. Lo studio è stato condotto in un negozio di manga in franchising di Torino. La relazione tra fran-­‐
chisee e franchisor è stata indagata attraverso un’intervista semi-­‐strutturata la cui traccia ha considerato i seguenti nuclei tematici: coesione ed appartenenza tra franchisee e franchisor; livello di autonomia e pressione nei confronti del franchisee; innovatività concessa dalla casa madre; riconoscimento del franchisor di eventuali meriti. L’utenza è stata contattata attra-­‐
verso questionari che avevano lo scopo di far emergere le esi-­‐
genze, aspettative e qualità di interazione con lo specifico “si-­‐
stema negozio”. I risultati mostrano le logiche di progettazione a livello fisico e organizzativo del franchisee per il proprio punto vendita di manga, anche in relazione alle condizioni dettate dal franchisor. In linea con un approccio user-­‐centred, le esperien-­‐
ze dell’utenza, rispetto ai bisogni e alla relazione con il sistema-­‐
negozio indagato, hanno permesso di individuare alcune linee guida di riprogettazione che tenessero conto di elementi di er-­‐
gonomia fisica (illuminazione e distanze), cognitiva (disposizio-­‐
A. Nocera, Z. Filippi, M. Bellotto, S. Cordioli, Università degli Studi di Verona La ricerca si svolge su adulti coinvolti in un progetto di orientamento e sviluppo di competenze trasversali, al fine di supportare l’ipotesi che l’efficacia di simili interventi sia correlata alla coerenza fra le metodologie utilizzate ed alcune variabili individuali. Le caratteristiche e le motivazioni dei fruitori di un intervento di sviluppo hanno certamente un ruolo fondamentale nel determinare il successo o l’insuccesso di un’azione. Per suggerire prassi valutative che includano tali variabili indivi-­‐
duali si è condotta la presente ricerca, finalizzata ad eviden-­‐
ziare che l’efficacia degli interventi dipende anche dalla coerenza e congruenza fra le metodologie di azione e lo stile 37
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le organizzazioni di volontariato a non disperdere ma ad acco-­‐
gliere e mantenere la rete di energie che è capace di generare. PSICOLOGIA ED IMPRENDITORIA: UN EXCURSUS SULLA TEORIA DELL’EFFECTUAL REASONING cognitivo, determinato da fattori genetici e/o ambientali e rilevato tramite la somministrazione del test di Kolb. Il campione è composto da 1.000 persone che hanno parte-­‐
cipato ad un percorso di orientamento e sviluppo che ha utilizzato diverse metodologie formative tra cui le lezioni d’aula frontali, i colloqui individuali e la formazione a distan-­‐
za. Attraverso la valutazione di alcune percezioni delle persone in riferimento alla qualità del processo formativo e tramite la raccolta di alcuni comportamenti specifici mostrati in diversi momenti del progetto, è possibile calcolare alcune correla-­‐
zioni con gli stili di apprendimento individuali. Le correlazioni hanno mostrato come i partecipanti all’inter-­‐
vento formativo hanno presentato progressi diversi (ed in momenti diversi) e manifestato comportamenti assai diffe-­‐
renti, spesso in coerenza con il proprio stile di apprendimento individuale. Sembra possibile affermare che nessuno sviluppo può veri-­‐
ficarsi se non vi è, prima, apprendimento o cambiamento nelle persone. Tale processo può essere, spesso, agevolato indagando le caratteristiche di coloro che fruiranno dell’in-­‐
tervento e programmando l’azione di conseguenza. IL RUOLO DELLE MOTIVAZIONI NEL LAVORO VOLONTARIO S. Pinato, Università degli Studi di Verona R. Maeran, Università degli Studi di Padova Con questo contributo si vuole osservare il ruolo della psicologia delle organizzazioni nel settore dell’imprenditoria. Alcuni autori (Hisrich, Langan-­‐Fox & Grant, 2007; Konrad & Pechlaner, 2011) hanno sottolineato l’esigenza di adottare metodologie e costrutti psicologici per gli studi legati all’en-­‐
trepreneurship i quali, poiché multidisciplinari e complessi, risentono della necessità di individuare modelli e framework teorici condivisi, scale di misura validate e strumenti di indagine appropriati. Recentemente alcuni studi si sono focalizzati, perciò, sull’in-­‐
dividuazione dell’expertise dell’imprenditore, più che sulla collezione dei suoi tratti e abilità. Partendo dalla definizione di Mieg, 2001, alcuni autori hanno classificato l’expertise imprenditoriale come una “forma forte” di expertise, associata alle caratteristiche e abilità personali, come anche alla conoscenza che provengono da pratica ed esperienza ad alto livello (Sarasvathy, 2001a&b), e fortemente contestuale. Questo ha portato all’individuazione di una teoria legata alla modalità di risolvere problemi e di prendere decisioni dell’im-­‐
prenditore. Da sempre vista in prospettiva di un modello teorico denominato causal reasoning, divulgato e insegnato per la formazione dell’imprenditore, tale metodologia evolve verso la teoria dell’effectuation. Sara D. Sarasvathy (2001) ha rilevato come ci sia stato un ribaltamento dell’ottica delle prospettive di strategie nel problem-­‐solving e nel “pensiero imprenditoriale”; l’autrice definisce con effectual reasoning : “a sequence of non-­‐
predictive strategies in dynamic problem-­‐solving that is primarily means-­‐driven, where goals emerge as a consequence of stakeholder commitments rather than vice versa.” UN PATTO PER L’AMBIENTE: UNO STUDIO ESPLORATIVO SUL MERCATO A KM0 M. Noto, G. D’Aleo, C. Lo Sicco, Palermo Introduzione Nel guardare al mondo del volontariato risulta centrale esplo-­‐
rare caratteristiche e motivazioni di coloro che spontaneamen-­‐
te offrono disponibilità e lavoro alle organizzazioni di settore. Ciò che spinge i volontari sono le motivazioni, definite da Pin-­‐
der (1984) come quell’insieme di forze deboli o potenti che provocano, dirigono, sostengono il comportamento lavorativo degli individui. Recenti studi mostrano come alcune variabili organizzative sono associate alla soddisfazione lavorativa e al commitment organizzativo dei volontari (Guntert & Wehner, 2008; Pace & Lo Presti, 2009). Obiettivi e Metodi Lo studio intende esplorare le motivazioni che spingo le perso-­‐
ne a fare volontariato e a continuare questa attività nel tempo; comprendere se alcune variabili organizzative e se l’apprezza-­‐
mento da parte dei beneficiari siano positivamente associate con la soddisfazione lavorativa e con il commitment organizza-­‐
tivo dei volontari. Si è somministrato un questionario self-­‐
report che indaga aspetti organizzativi, aspetti della propria mansione, motivazioni al volontariato (Lo Presti, 2010). Sono stati raccolti i questionari di 145 volontati (F = 95; M = 50), il 35% erano occupati, il 6% pensionati e il 65% erano non occu-­‐
pati. Risultati I risultati emersi sembrano evidenziare il ruolo dell’apprezza-­‐
mento da parte dei beneficiari e del supporto da parte dei col-­‐
leghi volontari e dei supervisori nel giudicare positivamente l’esperienza di volontariato e nella soddisfazione verso il lavoro svolto. Conclusioni I volontari sono presenze silenziose, preziose ed irrinunciabili, comprendere quali leve muovano i volontari a dedicarsi alle attività di volontariato e quali variabili organizzative giochino un ruolo nella percezione positiva dell’esperienza, può aiutare R. Romano, G. Genovese, T. C. Callari, Dipartimento di Psico-­‐
logia, Università degli Studi di Torino Il mercato a km0 è un fenomeno relativamente recente che si pone come scelta alternativa alla G.D.O. In rapporto a tale ar-­‐
gomento, gli studi ritrovati in letteratura fanno riferimento alle leggi emanate per tutelare sia il produttore a km0 sia il consu-­‐
matore, individuando quali siano i parametri congrui alla di-­‐
mensione organizzativa del km0 in riferimento alla riduzione dei passaggi tra produttore-­‐consumatore, alla diminuzione del tempo tra la raccolta e la vendita e infine alla riduzione della distanza tra il luogo di produzione e quello di vendita. Ancora poco esplorato risulta il tema relativo al rapporto tra il produt-­‐
tore a km 0 e la propria clientela, che è stato, pertanto, l’oggetto della ricerca. A tal proposito si è fatto riferimento agli approcci teorici del “Marketing Relazionale”, della “Multi-­‐Stakeholder Partnership” e della “Customer Experience”, in particolare nei temi dell’interazione tra stakeholder ed organizzazione, dello scam-­‐
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MOTIVAZIONE AL LAVORO E COMMITMENT: UNA RICERCA SU 159 LAVORATORI METALMECCANICI bio di informazione per aumentare la qualità del prodotto, e del ruolo attivo di entrambe le parti per un risultato comune. La ricerca ha coinvolto un’azienda agrituristica piemontese a km0, scelta per la sua particolarità di coinvolgere attivamente i consumatori nella produzione dei prodotti tramite un patto detto “dei consum-­‐attori”. Le aree tematiche inerenti i contatti umani tra produttore e cliente, la comunicazione, il rapporto garanzia-­‐fiducia e quello prezzo-­‐qualità, e la motivazione, sono state investigate attraverso la somministrazione di 7 interviste semi-­‐strutturate. Tutto il materiale empirico audio-­‐registrato è stato fedelmente trascritto e su di esso è stata condotta un’analisi tematica del contenuto. I risultati mostrano un sentimento di fiducia nei confronti del produttore per le scelte svolte nell’azienda che contribuisce alla fidelizzazione dei propri clienti, che dichiarano di essere dispo-­‐
sti a spendere anche un po’ di più per sostenere la qualità del prodotto offerto. UN PRIMO CONTRIBUTO ALLA VALIDAZIONE ITALIANA DEL CAREER ORIENTATION INVENTORY (COI) DI E. SCHEIN R. Sartori, Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia, Università degli Studi di Verona A. Ceschi, Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia, Università degli Studi di Verona G. Pozzi, Laureata in Esperti nei Processi Formativi, Università degli Studi di Verona A. Battistelli, Laboratoire Epsylon, Université Montpellier III, Montpellier, France Introduzione Alcuni autori sostengono che gli studi su work motivation e commitment (impegno) non abbiano fatto un uso ottimale dei reciproci risultati in ambito organizzativo, mentre tali concetti vengono ipotizzati come correlati. Nel presente contributo, la prima viene concettualizzata alla luce della Self-­‐Determination Theory di Deci e Ryan, il secondo è stato indagato secondo il modello di Allen e Meyer. Obiettivi e Metodi Obiettivo della ricerca empirica è indagare le correlazioni esi-­‐
stenti tra una serie di costrutti che si possono far rientrare nel più ampio concetto di work motivation (orientamento all’obiet-­‐
tivo, motivazione al lavoro, soddisfazione lavorativa, percezio-­‐
ne di supporto organizzativo) e di commitment (commitment organizzativo, percezione di competenza, coinvolgimento lavo-­‐
rativo e caratteristiche del lavoro). A 159 lavoratori metalmec-­‐
canici sono stati somministrati 8 strumenti, 4 di work motiva-­‐
tion: la Goal orientation di VandeWalle , la Motivation at work di Gagné et al., la Job satisfaction di Cortese e la Perceived or-­‐
ganizational support di Eisenberger et al.; 4 di commitment: la Organizational commitment di Meyer, Allen e Smith, la Self-­‐
competence di Battistelli, la Job involvement di Lodhal e Kejner e la Job characteristics di Morgerson e Humphrey. Risultati Il calcolo dei coefficienti di correlazione (r di Pearson e rho di Spearman) ha evidenziato relazioni statisticamente significative tra le componenti della work motivation e del commitment considerati nella presente ricerca. Tali relazioni vanno nella di-­‐
rezione di evidenziare rapporti positivi tra motivazione e impe-­‐
gno. Conclusioni Il presente contributo ha voluto connettere più fortemente aspetti della work motivation e del commitment che in lettera-­‐
tura vengono talvolta trattati come separati e non correlati. I risultati mostrano correlazioni in linea con l’ipotesi di una loro intercorrelazione e di una loro influenza reciproca. V. Sanfratello, A. Civilleri, G. Di Stefano, Università degli Studi di Palermo Introduzione Con gli attuali mutamenti del mercato del lavoro, è im-­‐
portante prendere consapevolezza dei valori e dei motivi che guidano le proprie predilezioni di carriera, al fine di gestire al meglio i processi di transizione lavorativa. Le “ancore di carriera” (Schein, 1985; 1990) vengono definite come aspetti del concetto di sé ai quali l’individuo non rinuncerà nei casi di scelta di carriera o di transizione di ruolo. Esse si formano nelle prime fasi di carriera professionale, sono considerate il risultato dell’esperienza passata e regolano la definizione del progetto di vita futuro. Obiettivi e Metodi Il presente contributo intende proporre una prima esplora-­‐
zione della tenuta del modello di ancore di carriera di Schein valutato tramite il Career Orientation Inventory (COI), un questionario a scelta multipla di 40 item che individua i seguenti 8 fattori: competenza tecnica, competenza manage-­‐
riale, autonomia, sicurezza, creatività, senso di servizio, sfida, stile di vita. Alla ricerca hanno partecipato 228 studenti e 247 lavoratori. Sui dati così ottenuti sono state svolte esplorazioni secondo la teoria classica dei test (item analysis ed esplorazione della dimensionalità delle scale tramite l’estrazione delle compo-­‐
nenti principali, con rotazione VARIMAX degli assi estratti). Risultati I risultati emersi sembrano corroborare, nel complesso, la bontà di adattamento della versione italiana del COI, mostrando sostanzialmente la tenuta del modello originario proposto da Schein, con pochi item che mostrano una correlazione item-­‐totale inferiore a .30 e pochi item misfitting. Conclusioni Tali prime analisi esplorative mostrano la consistenza del modello a 8 dimensioni proposto da Schein, pur richiedendo un approfondimento in merito all’eventuale complementarie-­‐
tà vs. ortogonalità delle carriere. “PARLARE” DI FOLLOWERSHIP: UN’ESPLORAZIONE QUALITATIVA M. Tartari, C. G. Cortese, Dipartimento di Psicologia, Universi-­‐
tà degli Studi di Torino Introduzione In particolare in ambito sanitario si rileva la mancanza di con-­‐
tributi che prendano in considerazione la followership nei suoi legami con la leadership e la necessità di approfondirne l’indagine (Kean et al., 2012). Il presente studio si è proposto di indagare il concetto di follo-­‐
wership nel contesto infermieristico italiano, in persone con 39
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nizzativa di 0.83. I contenuti della socializzazione organizza-­‐
tiva e l’intenzione di turnover sono in relazione con un parametro di -­‐0.55. Il fit del modello mostra un RMSEA di 0.072 (IC90% 0.055-­‐0.090), TLI di 0.933, CFI di 0.952 e SRMR di 0.075. Conclusioni La dimensione valoriale è un antecedente importante della socializzazione organizzativa. Questo risultato porta un con-­‐
tributo nuovo nella letteratura sulla socializzazione organizza-­‐
tiva e suggerisce, sul piano organizzativo, di prevedere mo-­‐
menti formali in cui introdurre il neo-­‐assunto ai valori e agli obiettivi del contesto, in modo da formare aspettative pro-­‐
fessionali aderenti ai mandati organizzativi. DALLA CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY ALLA CONSUMER SOCIAL RESPONSIBILITY: UNO STUDIO ESPLORATIVO doppio ruolo, di leader e di follower, nel tentativo di realizzare un’esplorazione della followership integrata. Obiettivo e Metodi La ricerca aveva l’obiettivo di individuare e descrivere i nuclei tematico-­‐lessicali attorno ai quali si organizzano i resoconti sui temi di followership e ruolo di follower. La raccolta dei dati qualitativi è avvenuta tramite un’intervista discorsiva guidata (Cardano, 2011), rivolta a 10 infermieri. I tra-­‐
scritti sono stati analizzati tramite il software ALCESTE 4.9. Risultati Il corpus testuale si organizza in cinque classi per due macro-­‐
aree qualitativamente diverse tra loro: quella relativa alle fun-­‐
zioni di “coordinamento” (due cluster) e quella relativa alla “collaborazione” negli aspetti relazionali e processuali (tre clu-­‐
ster). In questa seconda area, i contenuti descrivono un profilo di caratteristiche individuali collocato all’interno di una relazio-­‐
ne connotata da: asimmetria, influenza “dal basso” e condivi-­‐
sione dell’obiettivo. Conclusioni Lo studio presenta numerosi limiti (anzitutto l’esiguo numero di partecipanti) ma conferma l’utilità di ulteriori esplorazioni qua-­‐
litative sul fenomeno per individuarne le dimensioni salienti (Carsten et al., 2010). Rispetto alle implicazioni pratiche, le persone sembrano non “allenate” a parlare e a pensare sulla followership. In questo senso, il “raccontare nell’organizzazione” potrebbe aprire uno spazio di riflessione sulle modalità e motivazioni con cui “si se-­‐
gue” (Kelley, 2008). LA SOCIALIZZAZIONE ORGANIZZATIVA: RUOLO DELL’ALLINEAMENTO VALORIALE FRA NEO-­‐ASSUNTO E ORGANIZZAZIONE S. Tria, Università degli Studi “G. d’Annunzio”, Chieti Introduzione La Corporate Social Responsibility, si muove dall’assunto che la società progredisce in modo “armonico”: l’aumento della ric-­‐
chezza economica va di pari passo con il miglioramento della qualità della vita per ogni persona. La psicologia può essere la lente attraverso la quale leggere i processi, focalizzandosi sull’importanza della comunicazione e del coinvolgimento di tutte le parti interessate. Da tale prospettiva si comprende come la responsabilità non sia solo delle aziende e delle loro attività, ma anche dei consu-­‐
matori, che quotidianamente scelgono i prodotti da acquistare, partendo dall’assunto che un’impresa non può sopravvivere senza il sostegno dei clienti, fidelizzati o futuri. Obiettivo Questo studio, di matrice esplorativa, intende indagare la Con-­‐
sumer social responsibility, ovvero la scelta consapevole di fare scelte di consumo determinate sulla base delle convinzioni per-­‐
sonali, etiche e morali, in Italia su un campione preliminare. Metodo Ai partecipanti è stato somministrato un questionario, costitui-­‐
to da diverse scale presenti nella letteratura, che indaga la per-­‐
cezione dei consumatori italiani in merito alla CSR, agli elemen-­‐
ti che la contraddistinguono, alla riconoscibilità delle imprese che ne sono impegnate, e alle intenzioni comportamentali. Risultati Il questionario, in linea con la letteratura, mostra come nono-­‐
stante si ritengano importanti tutte le dimensioni collegate alla CSR, quest’ultima sia ancora poco conosciuta e poco chiara. Pertanto, l’orientamento responsabile non risulta essere incisi-­‐
vo nel comportamento finale d’acquisto, il che vuol dire che esistono altre variabili che andrebbero esplorate e misurate, non solo al fine di migliorare l’impegno delle aziende nella co-­‐
municazione delle loro attività, ma anche per poter compren-­‐
dere come possa nel tempo costruirsi una vera e propria “cul-­‐
tura responsabile” del consumatore. LEADERSHIP E COMPORTAMENTI CONTROPRODUTTIVI NEL CONTESTO INFERMIERISTICO: IL RUOLO DEL DISIMPEGNO MORALE M. Tomietto, Università degli Studi di Verona C. M. Rappagliosi, Università degli Studi di Verona A. Battistelli, University Paul Valéry, E4556 Epsylon Laborato-­‐
ry, Montpellier, France Introduzione L’inserimento lavorativo coinvolge la transizione in nuovi gruppi di lavoro, l’acquisizione di competenze e di regole scritte e non-­‐scritte della vita organizzativa e le aspettative di realizzazione (Taormina, 1994). Nei contesti sanitari è stato documentato uno shock da realtà del neo-­‐assunto, soprattut-­‐
to nel primo impiego (Duchscher & Cowin, 2004). Questa situazione può essere attribuita alla dissonanza fra i valori del neo-­‐assunto e i valori organizzativi e al suo impatto sulla socializzazione organizzativa. Obiettivi e Metodi Lo studio si proponeva di indagare la relazione fra la di-­‐
mensione valoriale del neo-­‐assunto e la socializzazione or-­‐
ganizzativa, e l’impatto di questa sull’intenzione di turnover. Il campione era composto da 259 infermieri, con un età media di 32.1 anni e assunti in media da 1.9 anni. È stato utilizzato un questionario standardizzato in cui è stato adattato il fattore “valori” della AWLS (Maslach & Leiter, 2004) per la dimensione valoriale, per la socializzazione orga-­‐
nizzativa è stata utilizzata la OSI (Taormina, 2004) e per l’intenzione di turnover 4 item adattati da Kelloway (1999). Risultati L’allineamento valoriale fra neo-­‐assunto e organizzazione mostra un parametro di relazione con la socializzazione orga-­‐
G. Urso, Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di Roma R. Fida, Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di 40
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Roma M. Paciello, International Telamatic University Uninettuno, Roma A. Sili, Università di Tor Vergata, Roma A. Bobbio, Dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata, Università degli Studi di Padova Il disimpegno morale è un meccanismo social-­‐cognitivo essen-­‐
ziale per comprendere come le persone, riescano a mettere in atto comportamenti non etici o devianti, che violano le norme, senza provare colpa e quindi senza attivare processi di auto-­‐
sanzione. Analizzare il disimpegno morale è particolarmente importante nei contesti organizzativi sanitario-­‐infermieristici all’interno dei quali questi comportamenti possono incidere non solo sul benessere organizzativo, sull’efficienza/efficacia, ma anche sulla salute dei pazienti. Tra i fattori che possono in-­‐
cidere su questo meccanismo, centrale potrebbe essere il lea-­‐
der, che come modello di condotta etica/non etica, può sco-­‐
raggiare/favorire i comportamenti devianti all’interno del con-­‐
testo di lavoro attraverso il disimpegno morale. Il presente stu-­‐
dio condotto su un campione di 439 infermieri, ha un duplice obiettivo: a) la costruzione e la validazione della scala di disim-­‐
pegno morale specifica per il contesto infermieristico, b) lo stu-­‐
dio del processo che conduce alla messa in atto dei comporta-­‐
menti controproduttivi/cittadinanza organizzativa consideran-­‐
do sia lo stile di leadership etica/ostile del coordinatore sanita-­‐
rio che il disimpegno morale. I risultati dell’analisi fattoriale e dell’attendibilità confermano la bontà della scala di disimpegno morale, con una soluzione ad un fattore. Inoltre dalle analisi risulta che il disimpegno morale è associato positivamente con una leadership ostile e con i comportamenti controproduttivi, mentre risulta negativamente associato con la leadership etica e i comportamenti di cittadinanza organizzativa. Questi risultati mettono in luce l’importanza di monitorare i processi di socia-­‐
lizzazione del disimpegno morale per evitare che questo venga appreso a livello collettivo e quindi supportando un modello di organizzazione non orientato alla legittimità e all’accettazione morale di comportamenti trasgressivi favorendo comporta-­‐
menti altruistici e di cittadinanza. 41
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femmine in matematica, mentre associazioni automatiche coerenti con tale stereotipo sono presenti nelle bambine ma non nei bambini (Galdi et al., in press.). A partire da tali risultati, il presente Studio è stato realizzato per indagare il ruolo di entrambi i genitori nella trasmissione precoce di tali associazioni stereotipiche automatiche all’interno della famiglia. Allo studio hanno partecipato 69 bambini di prima elementare e i loro genitori (69 padri e 69 madri). Per rilevare la forza delle associazioni automatiche tra le categorie matematica/bambino e italiano/bambina rispetto a matematica/bambina e italiano/bambino, ai bambini è stato chiesto di svolgere un Child-­‐IAT; successivamente alcune semplici domande hanno consentito di rilevare il grado di condivisione esplicita degli stereotipi di genere sulle materie scolastiche da parte dei bambini. Attraverso un questionario e un IAT sono stati rilevati gli stereotipi di genere espliciti e le associazioni stereotipiche automatiche di ciascun genitore. I risultati hanno confermato che a 6 anni i bambini non manifestano condivisione dello stereotipo, mentre associazioni automatiche stereotipiche sono presenti nelle bambine ma non nei bambini. E’ emerso inoltre che le madri possiedono associazioni automatiche stereotipiche più forti rispetto a quelle dei padri, mentre la differenza tra i genitori nel grado di condivisione esplicita dello stereotipo non risulta significativa. Le analisi hanno messo in evidenza che le associazioni stereotipiche dei padri predicono in maniera significativa tanto le associazioni automatiche stereotipiche quanto la condivisione esplicita dello stereotipo dei figli (sia maschi che femmine). CONGRESSO NAZIONALE AIP 26-­‐28 SETTEMBRE 2013 Giovedì 26 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 3G SIMPOSIO MODELLI DI SOCIALIZZAZIONE E TRASMISSIONE DI STEREOTIPI Proponenti: Silvia Galdi e Carlo Tomasetto Discussant: Luciano Arcuri La maturazione delle conoscenze sociali è un processo complicato, frutto dell''interazione tra fattori riconducibili allo sviluppo delle strutture cognitive e fattori responsabili dei meccanismi dell’apprendimento sociale. Se gli stereotipi sono parte di queste forme di conoscenza, che ruolo i modelli di socializzazione primaria (genitori) e secondaria (insegnanti) svolgono nell’influenzare l’acquisizione di tali informazioni nelle nuove generazioni? Facendo ricorso a differenti quadri teorici e impiegando differenti strumenti di ricerca, i contributi che il simposio ospita indagano modalità e processi cognitivi implicati nella trasmissione degli stereotipi da genitori e insegnanti a figli e alunni, e il ruolo che gli stereotipi posseduti da tali figure di riferimento assumono nell’influenzare le esperienze e le scelte dei giovani. Boca esamina la trasmissione degli stereotipi etnici all’interno della famiglia alla luce del modello del contenuto degli stereotipi. Indagando gli stereotipi di genere impliciti ed espliciti di genitori e figli, Galdi e coll. dimostrano che solo gli stereotipi impliciti dei padri sono in relazione con gli stereotipi impliciti ed espliciti dei loro figli. Tomasetto e coll. dimostrano l'influenza degli stereotipi di genere delle madri sugli atteggiamenti dei bambini nei confronti della matematica. Guglielmi e Chiesa analizzano i comportamenti dei genitori che contribuiscono a mantenere gli squilibri di genere nelle scelte dei percorsi di studio dei figli durante la scuola secondaria. Infine Rubini e coll. dimostrano come l’uso strategico dell’astrazione linguistica e della valenza dei termini sono strumenti capaci di influenzare la valutazione delle bambine e dei bambini. Tuttavia le tendenze riscontrate in ambito scolastico cambiano completamente direzione nei processi di selezione del personale. I risultati degli studi verranno discussi suggerendo possibili strategie di intervento mirate alla riduzione degli stereotipi. STEREOTIPI DEI GENITORI E PERCEZIONE DI COMPETENZA IN MATEMATICA DEI FIGLI IN PRIMA ELEMENTARE: UN MODELLO DI SOCIALIZZAZIONE DI GENERE C. Tomasetto, Dipartimento di Psicologia Università di Bologna, Cesena S. Galdi, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli Studi di Padova, Padova Introduzione. Secondo il modello aspettativa-­‐valore di Eccles, gli stereotipi di genere dei genitori influenzano la formazione delle percezioni individuali di competenza scolastica dei figli. A partire da questo modello, il presente studio è stato realizzato per indagare gli effetti degli stereotipi di genere sulla matematica dei genitori sulle autovalutazioni e valutazioni percepite espresse da bambini e bambine di 6 anni riguardo la matematica. Metodo. Hanno partecipato allo studio 237 bambini di classi prime di scuola primaria (52% femmine) e i loro genitori (205 papà e 225 mamme). Attraverso un questionario individuale sono stati misurati gli stereotipi espliciti di genere di ciascun genitore. I questionari per i bambini contenevano misure di autovalutazione (“Quanto sono bravo in matematica”) e di percezione della valutazione dei genitori (“Quanto la mamma/il papà mi considerano bravo/a”). LA TRASMISSIONE DEGLI STEREOTIPI DI GENERE SULLA MATEMATICA ALL'INTERNO DELLA FAMIGLIA: IL RUOLO DEI PADRI S. Galdi, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli Studi di Padova A. Mirisola, Istituto per le Tecnologie Didattiche, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Palermo Risultati. Un modello di mediazione moderata è stato testato attraverso un modello di equazioni strutturali per dati non normalmente distribuiti (WLSMV). I risultati hanno evidenziato un effetto indiretto degli stereotipi di genere delle madri sulle autovalutazioni delle figlie in matematica, Studi recenti nell’ambito del modello della Minaccia dello Stereotipo hanno dimostrato che a 6 anni i bambini non manifestano né condivisione né consapevolezza dello stereotipo di genere che vuole i maschi più capaci delle 43
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mediato dalla valutazione percepita da parte delle figlie. Benché correlati con quelli dei padri, solo gli stereotipi delle madri risultano esercitare un effetto significativo sulle percezioni di competenza delle figlie. I partecipanti alla ricerca sono 426 genitori di alunni della scuola secondaria di primo grado (58% madri) equamente suddivisi rispetto al genere del figlio. I risultati confermano l’effetto del genere sui comportamenti genitoriali finalizzati ad accompagnare le scelte orientative: i comportamenti di coinvolgimento sono messi in atto con maggior frequenza dalle madri indipendentemente dal genere del figlio, mentre i comportamenti di supporto sono più frequenti tra le madri di una figlia femmina e i comportamenti di influenza sono più frequenti tra i padri di un figlio maschio. Conclusioni. I risultati suggeriscono un’influenza negativa precoce degli stereotipi di genere veicolati in famiglia dalle madri: più la madre condivide gli stereotipi di genere sulla matematica, meno le figlie ritengono di essere considerate brave, e meno si considerano a loro volta brave in matematica. Interventi precoci di contrasto agli stereotipi di genere dei genitori sarebbero auspicabili fin dall’inizio del percorso scolastico. Inoltre, le credenze circa le abilità scolastiche del proprio figlio aumentano il coinvolgimento delle madri, indipendentemente dal genere del figlio, ed il coinvolgimento dei padri solo in caso di figlie femmine. Le credenze circa le abilità scolastiche del proprio figlio diminuiscono invece i comportamenti di influenza delle madri solo nel caso di figli maschi. LA TRASMISSIONE INTERGENERAZIONALE DEL CONTENUTO DEGLI STEREOTIPI S. Boca, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo, Palermo Il presente lavoro analizza le dimensioni fondamentali del contenuto degli stereotipi in coppie formate da un figlio e uno dei suoi genitori. I figli sono stati reclutati a scuola e sono stati consegnati loro due questionari, uno andava compilato da loro stessi e il secondo portato a casa in modo che fosse compilato “dal genitore che più ti segue quando fai i compiti”. In quei questionari erano abbinabili grazie ad un codice alfanumerico prestampato. Le madri si confermano quindi maggiormente coinvolte nell’accompagnamento delle scelte orientative, e questo coinvolgimento assume uno stile più supportivo nei confronti delle figlie. I padri si mostrano invece più direttivi soprattutto nei confronti dei figli maschi. LE BAMBINE SONO INTELLIGENTI E BRILLANTI, I BAMBINI SVOGLIATI E INDISCIPLINATI. “GENDER EVALUATION BIAS” NELLA SCUOLA PRIMARIA M. Rubini e M. Menegatti, Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna I gruppi etnici oggetto di valutazione erano Cinesi, Magrebini e Rumeni che ad un pretest si sono rivelati ben differenziabili lungo le dimensioni calore e competenza. Se l'orientamento dei genitori rappresenta uno dei fattori di socializzazione etnica dei figli, ci aspettiamo moderate correlazioni tra i punteggi dei genitori e quelli dei figli e le distanze reciproche tra i gruppi oggetto di stereotipizzazione dovrebbero ripresentarsi passando da una generazione all'altra. Esistono evidenze che le bambine abbiano una carriera scolastica migliore dei bambini fino alla scuola secondaria quando i ragazzi cominciano a superare le ragazze. Le ricerche hanno analizzato i giudizi ed i voti in differenti materie tuttavia fino ad ora non si è considerato che le valutazioni sono sempre formulate in termini linguistici e che i giudizi al termine di ogni scolastico sono sintetizzati in profili scritti degli allievi. Lo scopo principale di questo lavoro è verificare se gli insegnanti usano in modo strategico astrazione linguistica e valenza dei termini utilizzati per differenziare la performance scolastica di bambini e bambine. Abbiamo codificato il livello di astrazione e la valenza dei termini utilizzati per redigere i profili di fine anno di 141 allievi di scuola elementare (72 bambine e 69 bambini) ed abbiamo inoltre considerato i giudizi finali qualitativi (‘insufficiente’, ‘sufficiente’, etc..) espressi per ogni alunno. I risultati hanno mostrato migliori performance qualitative delle femmine rispetto ai maschi. E’ inoltre emersa una correlazione positiva tra giudizi qualitativi e punteggi di astrazione positiva ed una negativa con i punteggi negativi. Degna di nota l’evidenza che i profili finali dei bambini vengono composti con termini negativi più astratti di quelli utilizzati nelle descrizioni delle bambine mentre non emergono differenze sui termini positivi come ad assegnare maggiore stabilità alle caratteristiche negative dei bambini.I risultati mostrano pertanto valutazioni più positive delle bambine rispetto ai maschi sia al livello esplicito dei giudizi sintetici qualitativi sia a livello implicito dell’astrazione linguistica. Discuteremo le implicazioni di questo “gender evaluation bias” anche in relazione ad un bias simile ma di TALE PADRE E TALE FIGLIO: I COMPORTAMENTI DEI GENITORI NEI CONFRONTI DELLE SCELTE ORIENTATIVE DEI FIGLI D. Guglielmi, Dipartimento di Scienze dell'Educazione, Università di Bologna R. Chiesa, Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna Gli studi finora realizzati sembrano confermare il ruolo differenziato dei genitori nel contribuire al processo di orientamento dei figli. Poche ricerche hanno però approfondito il ruolo del genere dei figli nel determinare le modalità di partecipazione alle scelte orientative rispettivamente da parte delle madri e dei padri. L’obiettivo del presente studio è analizzare come il genere del genitore e il genere dei figli interagiscano nel determinare i comportamenti genitoriali finalizzati ad accompagnare le scelte orientative. Inoltre, si ipotizza che il genere del genitore e il genere del figlio moderino l’effetto delle credenze circa le abilità scolastiche del figlio sui comportamenti genitoriali finalizzati ad accompagnare le scelte. 44
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scolastico o lavorativo, come ad esempio nella valutazione dei livelli di soddisfazione percepita. Il servizio OrientAzione lavora in un'ottica di long-­‐life learning (Patrizi et al. 2002) con finalità di promozione del benessere in linea con il paradigma della psicologia “positiva” (Seligman, 2002). Il modello socio-­‐
cognitivo prevede che incidano sul benessere 7 variabili (tra cui p.e. l’autoefficacia, la percezione di avanzamento verso i propri obiettivi, etc.), la cui natura le rende passibili di cambiamento nella visione dell’intervento. Sono stati svolti 2 studi nelle scuole secondarie di primo e secondo grado che hanno mostrato una buona coerenza del modello relativamente alla capacità previsionale delle variabili da esso previste sui punteggi di soddisfazione dominio-­‐specifica. Nello specifico, il modello nelle scuole secondarie di secondo grado (600 studenti coinvolti) attraverso una serie di regressioni (metodo stepwise) è in grado di spiegare il 50% della varianza dei punteggi della soddisfazione scolastica (R2 adj= .50; F=30.76, p<.001). I predittori significativi del benessere scolastico sono risultati i supporti percepiti ai propri progetti futuri, l’autoefficacia, la soddisfazione di vita in generale, il considerare i docenti come un punto di forza ed il bilancio tra punti di forza o debolezza della propria scuola. Anche nelle scuole secondarie di primo grado il modello mostra risultati simili. Con uno studio esplorativo, si è provato ad applicare il modello anche ad un campione di 166 studenti universitari coinvolti in un progetto mediante una breve intervista focalizzata sul benessere accademico. Anche in questo caso le variabili del modello sono risultate significativamente correlate e le regressioni si mostrano in linea con quelle ottenute nelle scuole. direzione opposta come quello che si trova nella selezione del personale ove le donne sono linguisticamente discriminate attraverso lo stesso veicolo. Giovedì 26 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 2E SESSIONE AMBITI SOCIALI E PROSPETTIVE DI BENESSERE Moderatore: Francesca Emiliani USO E ABUSO DI INTERNET: IMPLICAZIONI SUL BENESSERE PSICOSOCIALE IN ADOLESCENZA D. Caso, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli “ Federico II” Introduzione: Recenti studi hanno sottolineato alcuni aspetti positivi dell’uso di internet per i giovani internauti. In particolare, l’interazione on-­‐line aumenta le opportunità di contatto con parenti, amici (Amichai-­‐Hamburger, Hayat, 2011) e riduce la solitudine offrendo nuove modalità di comunicazione con i propri pari (Laghi et al., 2013). L’uso eccessivo, o l’abuso, di internet può, al contrario, avere effetti negativi e sfociare anche in forme di dipendenza (Byun et al.2009). Obiettivi e Metodi: Il presente studio si pone l’obiettivo di verificare il contributo del’uso/abuso di internet sul benessere psicosociale di adolescenti, attraverso l’uso della regressione multipla. È stato somministrato un questionario self report che indaga, tra l’altro, il benessere psicologico, emozionale e sociale (Keyes, 2005), l’impatto sulla vita reale e la dipendenza da internet (nelle sue 4 sottodimensioni: evasione compensatoria, dissociazione, comportamento compulsivo, sperimentazione -­‐ Gnisci et al. 2011). Hanno partecipato alla ricerca 454 studenti Campani con età media di 15.83 anni (range da 13 a 19, DS: 1.17), collegati mediamente ad internet per 6.97 ore al giorno (range da 1 a 24; ds 5.85). LA VALUTAZIONE PSICOSOCIALE DI UN’APP PER IL BENESSERE: IL CASO YUKENDU F. Gatti, E. Brivio, C. Galimberti, Centro Studi e Ricerche di Psicologia della Comunicazione, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Introduzione: Le nuove tecnologie hanno permesso l’implementazione di servizi che supportano le persone nel raggiungere e mantenere un livello adeguato di benessere psico-­‐fisico. Risultati: Dai risultati emerge che la dissociazione (ossia la tendenza all’alienazione e alla fuga dalla realtà), contribuisce negativamente al benessere emozionale e psicologico, mentre la sperimentazione (ossia l’uso di internet come laboratorio sociale di sperimentazione del sé) riduce il benessere sociale degli adolescenti intervistati. Tra i possibili fattori di protezione è stato evidenziato il ruolo positivo del supporto familiare e degli amici. Il cambiamento di stile di vita è estremamente difficoltoso da mettere in partica: secondo una recente meta analisi (2007) il 70% delle persone che affrontano un programma di perdita di peso ritorna al peso iniziale entro 3 mesi; i programmi di coaching invece sembrano essere un sistema efficace per creare uno stile di vita più sano. Conclusioni: Lo studio ha indagato per la prima volta le conseguenze dell’uso/abuso di internet sul benessere psicosociale degli adolescenti con importanti implicazioni per la messa in atto di interventi di prevenzione della dipendenza da internet e della promozione del benessere psicosociale. Wellness & Wireless Srl ha lanciato la versione Beta di Yukendu, un servizio mobile di coaching che si prefigge di aiutare gli individui a raggiungere i propri obiettivi di benessere con un approccio non prescrittivo, focalizzato su supporto emotivo e gestione dell’ansia da parte di un coach consultabile online attraverso video: l’ipotesi è che il supporto attivabile senza vincoli spazio-­‐temporali consenta di raggiungere livelli motivazionali più forti e stabili (‘befriending’ come forma della Relazione d’aiuto). Verso una prospettiva di lavoro sul benessere nei diversi livelli formativi E. Lodi, A. Bussu, G. L. Lepri, P. Patrizi, Università degli Studi di Sassari Obiettivi e metodologia:L’obiettivo di questo contributo è presentare la prima fase di valutazione dell’efficacia dell’app Lent e Brown (2008) affermano che finora nell’orientamento si è investito più nello studio dell’inserimento formativo e professionale che sul problema di adattamento al contesto 45
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e in particolare dell’interazione coach/utente attraverso il sistema video. IL BENESSERE DEGLI OPERATORI SANITARI: APPARTENENZA ALL’AZIENDA OSPEDALIERA, EFFICACIA COLLETTIVA E SOSTEGNO SOCIALE Verranno considerati le interazioni tra due utenti e due coach per la durata di 7 settimane del programma. I dati analizzati consistono nei materiali audiovideo delle sessioni di coaching, gli sms coach/utente e i data log degli utenti. I dati verbali saranno analizzati secondo la prospettiva contestuale di Palmquist (2000) e triangolati con i log data. V. Capone, G. Petrillo, Università degli Studi di Napoli “Federico II” Il benessere degli operatori sanitari di un’azienda ospedaliera è condizione imprescindibile per un servizio di qualità. Bassi livelli di soddisfazione lavorativa possono invece risultare controproducenti per la qualità di vita e lo sviluppo, professionale e personale, degli operatori. L’obiettivo di questo studio è stato di indagare la relazione tra variabili riconducibili alla sfera personale, quali il benessere psicosociale, la soddisfazione di vita, il sostegno extra lavorativo e variabili riferite al contesto lavorativo, quali la soddisfazione lavorativa, le percezioni di efficacia collettiva riferite alla comunicazione ospedaliera e il senso di appartenenza all’azienda, in operatori sanitari ospedalieri. Ulteriore obiettivo è stato quello di verificare, rispetto alle variabili oggetto di indagine, l’esistenza di eventuali differenze in base al ruolo (medici/infermieri). Hanno partecipato 180 operatori, afferenti ad ospedali campani, a cui è stato somministrato un questionario self-­‐report. È stato testato un modello di equazioni strutturali che ha evidenziato come il senso di appartenenza, l’efficacia collettiva percepita e il sostegno sociale extra-­‐lavorativo risultino un predittore della soddisfazione lavorativa. Quest’ultima, insieme alla percezioni di efficacia collettiva e al sostegno extra-­‐
lavorativo, incide sulla soddisfazione di vita, che a sua volta è risultata un predittore positivo e significativo del benessere psicosociale. Risultati attesi: Dalle analisi dei materiali intendiamo individuare i pattern di interazione coach/utente più funzionali al cambiamento comportamentale ottenuto con l’assistenza di questa tecnologia. PROMUOVERE IL BENESSERE NELLE FAMIGLIE ADOTTIVE CON FIGLI ADOLESCENTI E GIOVANI ADULTI: QUALE IL CONTRIBUTO DI MADRI E PADRI? S. Ranieri, L. Ferrari, R. Rosnati, D. Barni, Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Negli ultimi decenni la letteratura psicosociale sull’adozione si è focalizzata soprattutto sull’adattamento dei minori adottati, indagando se e in che misura questi presentino con maggiore probabilità problemi emotivo-­‐comportamentali rispetto ai coetanei (van IJzendoorn & Juffer, 2006). Particolare attenzione è stata dedicata allo studio dei fattori protettivi che influenzano il processo di adattamento all’adozione, tra i quali cruciale è risultata essere la qualità delle relazioni familiari (Palacios & Brodzinsky, 2010). Poche ricerche hanno tuttavia analizzato il benessere dei figli adottivi, nei termini di funzionamento psicologico e di competenza sociale, soprattutto nella fase adolescenziale e di transizione all’età adulta. In questa direzione il presente studio ha inteso indagare in adolescenti e giovani adulti adottati il benessere eudaimonico, considerato come costrutto dinamico che include diverse dimensioni (autoaccettazione, autonomia, controllo ambientale, crescita personale, scopo nella vita, relazioni interpersonali positive) (Ryff, 1989) e analizzare il ruolo protettivo giocato dalle relazioni familiari. L’obiettivo è stato duplice: 1) descrivere il livello di benessere eudaimonico dei figli adottivi e la qualità della relazione genitori-­‐figli, in termini di promozione del funzionamento autonomo, conflitto e apertura comunicativa; 2) indagare, attraverso la “dominance analysis” (Budescu, 1993), l’incidenza delle dimensioni relazionali in esame sul benessere dei figli, evidenziando la specificità della relazione con la madre e con il padre. 160 adolescenti e giovani adulti in adozione internazionale, di età compresa tra 15 e 24 anni, hanno compilato un questionario self-­‐report. I risultati preliminari hanno evidenziato un differente contributo di madri e padri nella promozione del benessere dei figli, sia in funzione delle diverse dimensioni relazionali considerate, sia del genere e dell’età dei figli. Per quel che riguarda le differenze di ruolo, i medici si sono attestati su livelli significativamente più elevati di soddisfazione di vita e di efficacia collettiva rispetto agli infermieri. Questi risultati hanno sottolineato il ruolo centrale del senso di appartenenza, del sostegno sociale e dell’efficacia collettiva riferita alla comunicazione per il benessere personale e professionale degli operatori, evidenziando inoltre la necessità di interventi differenziati per le diverse professioni. Giovedì 26 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 2C SESSIONE RELAZIONI DI COPPIA Moderatore: Camillo Regalia LA VIOLENZA INTIMA NELLA SFERA PUBBLICA: INDAGINE COMPARATA DELLE RAPPRESENTAZIONI DEL FENOMENO NELLA STAMPA ITALIANA E INGLESE A. Dal Secco, London Metropolitan University, Londra In anni recenti, la violenza intima di coppia è entrata sempre più nella sfera pubblica. Oggetto del dibattito nazionale e internazionale, di riforme sociali e legislative, di statistiche e interventi istituzionali, le relazioni intime attraversate da violenza sono entrate nel discorso massmediatico quotidiano. Tuttavia, le concezioni della violenza, fortemente radicate nei sistemi culturali, riflettono rapporti e prassi dominanti, e 46
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assumono configurazioni diverse a seconda del contesto sociale di riferimento. B. come la relazione di coppia può predire l’adattamento dei partner e il loro benessere. Inquadrato nella teoria delle rappresentazioni sociali, lo studio esamina le rappresentazioni della violenza interpersonale intima nella conoscenza mediatizzata e confronta due contesti differenti per rapporti di genere e politiche sociali: l’Italia e la Gran Bretagna. In termini operativi, l’indagine mira all’individuazione degli aspetti differenziali per: 1) tipo di quotidiano e relativa appartenenza ideologico-­‐culturale; 2) genere dell’autore della notizia. A tale scopo, è stato selezionato un campione di 316 articoli pubblicati nel 2010 su due dei maggiori quotidiani nazionali di ogni paese includendo La Repubblica e Corriere della Sera, Daily Mail e The Guardian. Con un esame delle notizie centrato su definizioni del fenomeno, natura e cause, e identità di genere, è stata condotta un’analisi lessicografica dei dati testuali, relativi a titoli degli articoli e testo codificato attraverso un’analisi del contenuto, ed extra-­‐testuali, relativi a quotidiano e genere dell’autore, attraverso tappe diverse del programma SPAD-­‐T. C. i predittori del patient engagement, a livello individuale, medico-­‐organizzativo e relazionale. Conclusioni. Le analisi sono in progress. TENTATIVI DI CAPITALIZZAZIONE ALL’INTERNO DELLA RELAZIONE DI COPPIA: IL CONTRIBUTO DEL DIARY METHOD R. Iafrate, A. F. Pagani, S. Donato, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Introduzione. La capitalizzazione è il processo attraverso il quale le persone condividono buone notizie con un altro significativo (amico, partner, familiare), il quale a sua volta risponde in una maniera “attiva” in modo da massimizzare i benefici derivanti dall’evento (Gable, Gonzaga, & Strachman, 2006; Langston, 1994). Il processo di capitalizzazione è composto da tre elementi principali: i tentativi di capitalizzazione, le risposte ai tentativi di capitalizzazione e la percezione di responsività da parte del partner. Gli studi mostrano che sia l’atto di condividere con qualcuno l’evento sia la risposta positiva della persona con cui l’evento viene condiviso ha delle conseguenze personali e interpersonali. I risultati mostrano la salienza sia dell’appartenenza socio-­‐
culturale del quotidiano che di genere dell’autore della notizia nella strutturazione delle rappresentazioni della violenza nella sfera intima. Inoltre, i risultati sono discussi in rapporto al ruolo delle differenze culturali tra i due paesi laddove, nonostante alcune comunanze, il fenomeno viene plasmato in modi significativamente diversi. Obiettivi e metodi. Il presente studio si focalizza principalmente sui tentativi di capitalizzazione quotidiana all’interno della relazione di coppia. L’obiettivo specifico è quello di analizzare se aver sperimentato un evento positivo e/o negativo, interno o esterno alla coppia, e il fatto che questo evento sia stato condiviso ha delle ricadute su outcome individuali e relazionali. A questo scopo, 45 coppie eterosessuali e sposate hanno completato due volte al giorno per due settimane un daily diary in formato elettronico (palmare) contenente item volti a rilevare la tipologia di evento vissuto, la condivisione o meno dell’evento con il partner e il benessere individuale e relazionale. Il diary method, infatti, permette un esame delle relazioni e delle esperienze all’interno del loro contesto naturale e consente di toccare gli aspetti più dinamici di una relazione che potrebbero invece essere offuscati dai tradizionali disegni di ricerca. RELAZIONE DI COPPIA E MALATTIA CARDIACA ACUTA A. Bertoni, B.A. Lattuada, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Introduzione. L’evento cardiaco acuto coinvolge non solo il paziente da un punto di vista organico/funzionale e psichico/relazionale, ma anche le sue relazioni significative, all’interno delle quali la relazione di coppia assume un ruolo cruciale, non solo perché profondamente influenzata dall’evento cardiaco acuto di un partner, ma anche perché può assumere un ruolo protettivo nel recupero psicofisico del paziente, laddove la coppia riesca a mettere in atto strategie relazionali positive di condivisione dell’evento e di gestione dello stress. Risultati. Dalle prime analisi emerge che l’esperienza di eventi positivi e negativi, nonchè la condivisione di tali eventi con il partner è di per sé importante sia per il benessere individuale che relazionale. Ulteriori analisi sono attualmente in corso. Va detto che in genere la ricerca pur interessata ai risvolti relazionali della malattia cardiaca acuta, presenta tuttavia studi che adottano prevalentemente un’ottica individuale; inoltre la letteratura sul tema pur trovandosi al crocevia di due aree disciplinari, quella psicosociale e quella medica, indaga poco le connessioni tra queste due aree. NON BASTA (DIRE DI) FARE… IL RUOLO DELLE PERCEZIONI NEL COPING DIADICO S. Donato, M. Parise, A. Bertoni, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Milano La presente ricerca prevede due wave di raccolta dati (al momento delle dimissione del paziente e a tre mesi dalle dimissioni). In questa sede verranno presentati i primi dati raccolti al T0 attraverso un questionario self report (100 coppie paziente/partner e 50 pazienti single). Introduzione. La ricerca non solo mostra che i comportamenti hanno un impatto sul benessere degli individui e delle loro relazioni, ma in questa associazione sottolinea anche il ruolo di mediazione delle percezioni dei destinatari di tali comportamenti. In particolare, nel processo di coping diadico, ovvero del modo in cui i partner gestiscono insieme lo stress quotidiano, il ruolo delle percezioni è stato evidenziato a livello teorico, ma mai testato empiricamente. Obiettivi e metodi. Lo studio intende indagare: A. se e quanto le caratteristiche dell’evento (gravità, ricadute, aspetti invalidanti, durata del ricovero, necessità o meno di riabilitazione) influenzino il benessere (stress, depressione) e le capacità individuali del paziente e del partner (coping, self-­‐
efficacy, self-­‐control), nonché la relazione stessa. 47
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associata ad una riduzione dell’attivazione neurosfisiologica relativa alla preparazione di un’azione volontaria, ad una diminuzione dell’auto-­‐controllo, e ad una ridotta reattività ad errori di performance motoria. Queste ricerche dimostrano che l’assunzione di un riduzionismo della mente può avere effetti sui processi neurocognitivi alla base del nostro comportamento. Obiettivi e Metodi. In particolare ci si è chiesti a) in che modo la percezione del comportamento di coping diadico del partner nelle situazioni di stress sia associata ai propri comportamenti e ai comportamenti che il partner riporta di mettere in atto; b) come questa relazione sia connessa alla soddisfazione di coppia; e c) se queste associazioni siano simili o diverse per uomini e donne. Allo scopo di rispondere a tali quesiti il presente studio utilizza dati longitudinali raccolti a distanza di un anno da entrambi i partner (N = 115 coppie) e analizzati attraverso l’Actor Partner Interdependence Model. VALIDAZIONE ITALIANA DELLA PARANORMAL BELIEFS SCALE DI TOBACYK G. Petrillo, A. R. Donizzetti, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli “Federico II", Napoli Risultati. I risultati mostrano che le percezioni del coping diadico del partner sono spiegate sia dalla percezione del proprio comportamento che dalla percezione del comportamento dell’altro. Inoltre, le percezioni di coping diadico dei partner mediano la relazione tra i comportamenti riportati e la loro soddisfazione relazionale. Non sono stati riscontrati effetti di genere statisticamente significativi. Le credenze illusorie sono credenze sicuramente false che hanno la funzione di creare un “filtro” attraverso cui la realtà acquista un suo ordine e un suo senso (Petrillo e Donizzetti, 2012). Tra le numerose scale disponibili in letteratura quella costruita da Tobacyk (Tobacyk e Milford, 1983) merita una particolare attenzione per la sua diffusione e per l’approfondimento psicometrico e concettuale di cui è stata protagonista negli ultimi anni (Lawrence e De Cicco, 1997; Díaz-­‐Vilela e Álvarez-­‐González; 2004). Conclusioni. I risultati verranno discussi alla luce delle implicazioni per la ricerca sul coping diadico e la relazione di coppia così come per l’intervento in questi ambiti. Giovedì 26 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 3H L’obiettivo di questo contributo è quello di pervenire alla validazione della versione italiana della Paranormal Beliefs Scale (PBS; Tobacyk e Milford, 1983) e di esplorare le differenze in base al genere e all’età dei partecipanti. A tal fine saranno presentati i risultati di due studi, che hanno coinvolto rispettivamente 210 studenti universitari (età: M = 21.63 anni, DS = 2.56; femmine = 68.1%) e 819 adulti (età: M = 55.84 anni, DS = 18.46; femmine = 49.3%). Sono state condotte Analisi Fattoriali Esplorative e Confermative, analisi dell’affidabilità e della varianza. SESSIONE CREDENZE E PROCESSI COGNITIVI Moderatore: Giuseppe Pantaleo NON SONO IO, E’ IL MIO CERVELLO! EFFETTI SOCIALI E NEUROCOGNITIVI DEL RIDUZIONISMO DELLA MENTE D. Rigoni, Department of Experimental Psychology, Universiteit Gent, Gent, Belgio Le procedure di validazione hanno fatto emergere una struttura a sei fattori, in linea di massima coerente con la struttura d’origine. Tutte le dimensioni presentano inoltre adeguati livelli di coerenza interna in entrambi gli studi: Stregoneria (α = .81; .77), Credenza nella psi (α = .91; .88), Credenze Religiose Tradizionali (α = .84; .81), Superstizione (α = .82; .86), Spiritismo & Forme di Vita Straordinarie (α = .70; .63), Precognizione (α = .75; .60). Inoltre, sono emerse differenze significative sia in base al genere che all’età: sono le donne e le persone dai 61 anni in poi ad avere più alti livelli di credenze illusorie. Il concetto di libero arbitrio è un valore fondamentale delle società occidentali. Tuttavia recenti studi in psicologia e neuroscienze cognitive sembrano indicare che l’esperienza di volontà -­‐ free will -­‐ sia un’illusione che deriva da come il cervello elabora le informazioni. Un punto interrogativo è quindi se la divulgazione di un modello riduzionista della mente abbia un impatto sul comportamento. Che cosa cambierebbe se gli individui fossero convinti che la volontà è un’illusione? Studi in psicologia sociale hanno dimostrato che l’esposizione ad una prospettiva riduzionista facilita tendenze antisociali e diminuisce altruismo e anticonformismo. Abbiamo condotto una serie di ricerche con lo scopo di studiare se la divulgazione di un modello riduzionista possa influenzare processi neurocognitivi di controllo del comportamento. In ogni esperimento, ai partecipanti veniva chiesto di leggere un estratto del libro The Astonishing Hypothesis di Francis Crick. Il gruppo sperimentale (anti-­‐free will) leggeva un testo in cui si proponeva una visione riduzionista della mente; il gruppo di controllo leggeva un testo non riguardante la questione del libero arbitrio. Successivamente i partecipanti completavano un compito volto ad indagare processi di controllo motorio. I risultati hanno evidenziato che messaggi “anti-­‐free will” possono ridurre la credenza nel libero arbitrio. Inoltre, essi mostrano che i correlati neurofisiologici alla base del controllo motorio sono influenzati da una riduzione della credenza nel libero arbitrio. Una riduzione della credenza nel libero arbitrio è Concludendo la versione italiana della Paranormal Beliefs Scale costituisce un valido strumento per la rilevazione delle credenze illusorie e può contribuire a consolidare questo filone di studi in contesto italiano. SI NEGOZIA NECESSARIAMENTE MALE QUANDO SI E’ STANCHI? DEPLEZIONE DELLE FUNZIONI ESECUTIVE E PRESTAZIONI COMPLESSE M. Giacomantonio, Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, Università degli Studi di Roma “Sapienza” F. S. Ten Velden, C.K.W. De Dreu, University of Amsterdam, Amsterdam, Netherlands L’utilizzo delle proprie funzioni esecutive o dell’autocontrollo riduce la capacità di riutilizzarle efficacemente in seguito, 48
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sono state manipolate ricompensando i gruppi nella loro globalità vs. i singoli membri all’interno di essi. Due giudici esterni hanno valutato le idee generate in termini di creatività. Dai risultati è emerso che i gruppi che soddisfano bisogni personali e sono guidati da motivazioni pro-­‐sociali hanno un miglior risultato creativo. determinando così un decremento della capacità di resistere alle tentazioni (minore resistenza di fronte a cibi molto calorici) o delle capacità cognitive (prestazioni basse sullo Stroop test). Questo fenomeno è conosciuto come “ego depletion” e molte delle sue conseguenze negative, anche di natura sociale come l’aggressività, sono state approfonditamente esplorate. Alla base di questo effetto potrebbe esserci la tendenza degli individui soggetti a deplezione a conservare le risorse residue per eventuali necessità future. Giovedì 26 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 2A SESSIONE POLITICA, DEMOCRAZIA E ORDINE SOCIALE Basandoci sulla teoria della conservazione delle energie, ipotizziamo che, come conseguenza delle deplezione, le persone scelgano strategie basate sulla facilità di esecuzione piuttosto che sulla desiderabilità del risultato per fronteggiare prestazioni complesse come quelle richieste nei compiti di creatività o di negoziazione interpersonale. Inoltre, ipotizziamo che l’adozione di strategie basate sulla facilità riduca il bisogno di conservare l’energia aiutando così le persone in stato di deplezione ad ottenere buone prestazioni. Moderatore Anna Maria Manganelli MINACCIA SOCIALE, CONTROLLO COMPENSATORIO E AUTORITARISMO DI DESTRA A. Mirisola, M. Roccato, S. Russo, Dipartimento di Psicologia, Torino G. Spagna, Global Refugee Studies, Aalborg University, Aalborg, Danimarca Queste ipotesi sono state testate in quattro esperimenti. In ognuno di questi esperimenti è stato indotto uno stato di deplezione. In seguito, utilizzando compiti di creatività o di negoziazione, è stata registrata la prestazione dopo aver assegnato una strategia per affrontare il compito. In alcune condizioni la stessa strategia veniva descritta come semplice ma non ottimale, mentre in altri casi era descritta come difficile ma ottimale. A. Vieno, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Padova Introduzione: In due studi abbiamo collegato la letteratura sull’autoritarismo e quella sul controllo compensatorio, testando l’ipotesi che le persone poco autoritarie, ma non quelle molto autoritarie, in seguito a una minaccia che porta alla perdita di controllo percepito sull’ambiente tendano a compensare tale perdita di controllo aumentando il loro livello di autoritarismo di destra (RWA). Come ipotizzato, descrivere una strategia come semplice aiutava le persone in condizione di deplezione ad avere prestazioni simili sia in compiti di creatività che di negoziazione. La descrizione della strategia non aveva effetti particolari tra le persone non in stato di deplezione. Metodo: Hanno partecipato allo Studio 1 1169 partecipanti estratti da un campione rappresentativo della popolazione italiana. L’RWA è stato misurato nel gennaio 2003 e nel gennaio 2005 e la percezione di rischio criminale nel settembre 2004. Nello Studio 2, condotto attraverso il Dynamic Process Tracking Environment, 131 studenti di psicologia sono stati assegnati casualmente a due condizione sperimentali, date dalla presentazione di uno scenario sicuro vs. insicuro. La loro percezione di controllo e il loro RWA sono stati misurati sia prima che dopo la manipolazione sperimentale. GLI ANTECEDENTI DELLA PERFORMANCE CREATIVA DEI GRUPPI: BISOGNI PERSONALI O COLLETTIVI? T. Alioto, M. Rubini, M. Menegatti, Dipartimento di Psicologia, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Bologna. Gli studi condotti alla luce del Motivated Information in Group Model (MIP-­‐G) hanno mostrato che la creatività di gruppo aumenta in condizioni di alta motivazione epistemica e motivazioni pro-­‐sociali (piuttosto che pro-­‐self). Tuttavia, è importante considerare che i gruppi arrivano alla performance creativa dopo che i propri membri sono entrati a farne parte considerando i bisogni che potranno soddisfare e i vantaggi che potranno ricevere dai gruppi stessi. Lo studio qui presentato analizza gli antecedenti della performance creativa considerando che coloro che entrano a farne parte possono considerarlo un mezzo per la realizzazione di bisogni personali o al contrario un’entità centrata sulla realizzazione di bisogni del gruppo medesimo. L’ipotesi alla base dello studio è che la consapevolezza che il gruppo serva alla realizzazione di bisogni personali sia una condizione ottimale in interazione con le motivazioni cooperative perseguite in un secondo tempo, per la migliore performance creativa. In tutte le condizioni è stato mantenuto un alto livello di motivazione epistemica. All’inizio dell’esperimento è stato fatto un priming del gruppo come mezzo per la realizzazione di bisogni personali vs. di gruppo Le motivazioni pro-­‐sociali vs. pro-­‐self Risultati: Nello Studio 1, una regressione di moderazione ha evidenziato che la percezione di rischio criminale ha incrementato l’autoritarismo tra il 2003 ed il 2005 solo per i partecipanti con bassi livelli di RWA al tempo 1. Nel secondo studio, un modello di mediazione moderata ha evidenziato come la condizione sperimentale di minaccia ha aumentato la percezione di perdita di controllo che, a sua volta, ha aumentato i livelli di RWA dei partecipanti poco autoritari al tempo 1. In entrambi gli studi analisi supplementari hanno escluso un possibile effetto soffitto fra i partecipanti originariamente molto autoritari. Conclusioni: Questi risultati mettono in risalto il ruolo dell’autoritarismo come meccanismo compensatorio della perdita di controllo, evidenziando come le persone poco autoritarie siano più inclini di quelle molto autoritarie a un incremento di autoritarismo in condizioni di minaccia. Limitazioni, implicazioni e possibili sviluppi sono discussi. 49
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STUDIO SULLE OBBEDIENZA E discussione politica online potrebbe giocare un ruolo rilevante, poiché essa modera l’effetto degli antecedenti psicosociali dell’azione collettiva (Alberici e Milesi, 2012). M. Pozzi, F. Fattori, P. Guiddi, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Obiettivi. Questa ricerca indaga come l’identità collettiva di giovani attivisti di movimenti e partiti si politicizza ed esplora il ruolo svolto dalla discussione politica online. FA' LA COSA GIUSTA! UNO RAPPRESENTAZIONI SOCIALI DI DISOBBEDIENZA Introduzione. La relazione individuo-­‐autorità ha da sempre interessato gli studiosi di Psicologia Sociale, specialmente, dagli esperimenti di Milgram in poi (1963; Burger, 2009; Blass, 2012) ad una sua manifestazione specifica: l’obbedienza distruttiva. Solo recentemente anche la disobbedienza è diventata oggetto di studio (Zimbardo, Bocchiaro, Van Lange, 2012). Nessuna di queste due correnti ha però affrontato lo studio dei fenomeni partendo da una chiara definizione degli stessi ma affidandosi all’affermazione di Milgram (1965, p. 58) tale per cui“se Y segue l’ordine di X dovremo dire che ha obbedito a X; se non segue il comando di X dovremmo dire che ha disobbedito a X”. Metodo. È stata condotta un’analisi qualitativa di 20 interviste semi-­‐strutturate in cui gli attivisti hanno ricostruito la storia del loro impegno politico. Risultati. L’identità di gruppo si politicizza incapsulando la convinzione che alcuni principi morali di base siano disattesi nella società, ma anche che il gruppo possa sensibilizzare l’opinione pubblica e innescare un processo di cambiamento sociale. Soprattutto negli attivisti di movimenti, la discussione online, grazie ad alcune sue caratteristiche (es. contro-­‐
informazione e omogeneità), favorisce la consensualizzazione di tali convinzioni riempiendo così di significato l’identità collettiva. Obiettivi e metodi. Alla luce di tale gap, il presente lavoro di natura qualitativa intende a) definire i concetti di obbedienza e disobbedienza al di là della prospettiva sperimentale tradizionalmente utilizzata e b) comprendere quali componenti accomunano o differenziano tali concetti. Conclusione. È utile analizzare come la comunicazione intra-­‐
gruppo, anche online, trasforma le convinzioni individuali in norme di gruppo che contribuiscono a politicizzare l’identità collettiva. Il paradigma di riferimento è la Teoria delle Rappresentazioni Sociali (Abric e Tafani, 2009). I partecipanti sono 180 giovani adulti italiani (18-­‐25 anni) che hanno completato un questionario atto a rilevare le rappresentazioni di obbedienza e disobbedienza (Galli, Fasanelli e Sommella, 2005). DEMOCRAZIA E ATTIVISMO POLITICO: L'EFFETTO DELLA PERCEZIONE DI SCELTA SULLA DISPONIBILITÀ A PROTESTARE S. Passini, Scienze della Formazione, Università di Bologna, Bologna Risultati. I primi risultati evidenziano come obbedienza e disobbedienza condividano alcuni concetti ma presentino numerose componenti che chiariscano come l’una non sia solo la negazione (dis-­‐) dell’altra ma sottenda contenuti psicologici differenti. Negli ultimi anni numerosi movimenti di protesta sono sorti sia nei regimi totalitari che nelle cosiddette democrazie. Tuttavia, mentre nei regimi totalitari questi movimenti hanno coinvolto gran parte della popolazione, nelle democrazie sono stati supportati solo da una minoranza. Alla base di questa ricerca, vi è l’idea che vi sia un rischio di sovrapposizione tra i concetti di “democrazia” e di “principi democratici”. Questi ultimi riguardano la protezione delle libertà individuali e dell'uguaglianza. La democrazia si riferisce invece al sistema politico che teoricamente potrebbe anche supportare principi non democratici. Varie ricerche (Kelman e Hamilton, 1989; Mugny & Perez, 1991; Passini e Morselli, 2009, 2010, 2011) hanno mostrato che le persone tendono a sottovalutare l'eventualità che le democrazie adottino procedure non democratiche. Questi autori sottolineano quindi l'importanza di una disobbedienza attiva per contrastare il rischio di una deriva autoritaria. Conclusioni. Questo studio può essere rilevante poiché: a) fornisce una definizione scientifica di due concetti pivotali della psicologia sociale come obbedienza e disobbedienza; b) fornisce un’altra cornice interpretativa dei comportamenti di obbedienza e di disobbedienza; c) restituisce una fotografia del pensiero dei giovani adulti su due fenomeni centrali nel mondo reale sociale. Saranno inoltre suggerite alcune indicazioni applicative. POLITICIZZAZIONE DELL’IDENTITÀ E DISCUSSIONE ONLINE: UNA RICERCA SU GIOVANI ATTIVISTI DI MOVIMENTI E PARTITI Lo scopo di questo studio è quello di analizzare come la percezione di scelta influenzi la disponibilità a protestare. Sebbene nei paesi occidentali ci sia certamente una maggiore libertà di scelta rispetto a paesi autoritari, vari autori sottolineano come la libertà di scelta nei paesi occidentali spesso non sia così alta come si crede. L’ipotesi è che percepire una alta libertà di scelta porti le persone a protestare meno contro l'autorità. Due studi sono stati condotti con 108 (63.9 % donne) e 109 (48.6 % donne) partecipanti. P. Milesi, A.I. Alberici, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica di Milano, Milano Introduzione. L’identità collettiva si politicizza quando i membri di un gruppo giungono a concordare sulla necessità di modificare una situazione di ingiustizia e quando diventano consapevoli di doversi muovere in un’arena pubblica (Klandermans, 2002). Per comprendere questo processo, è necessario: 1) esaminare come l’identità di gruppo non solo influenzi (Van Zomeren et al., 2008) ma anche sia influenzata dagli altri antecedenti psicosociali dell’azione collettiva (Thomas et al., 2012); 2) indagare come la comunicazione intra-­‐gruppo porti alla consensualizzazione attorno alle norme collettive (Postmes et al., 2005). In questo processo, la Gli studi confermano l’ipotesi: più la gente percepisce una alta libertà di scelta, meno si è disposti a protestare. I risultati chiariscono inoltre ciò che caratterizza la minoranza di persone che protesta anche nelle democrazie, ovvero un 50
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però, pochi studi hanno indagato come gli effetti di questo contatto possano andare oltre le relazioni intergruppi e influire anche sui contesti di vita quotidiana. Le dinamiche relazionali che si instaurano a scuola possono agire sui risultati e sulla motivazione dei ragazzi con possibile aumento di dispersione. In particolare, la predisposizione positiva verso la scuola promuove la crescita personale. All’interno di questo scenario gli adolescenti sono chiamati a confrontarsi con i processi di sviluppo della propria identità etnica. orientamento ai valori. Un orientamento politico basato sui valori porta infatti le persone ad una valutazione più critica delle politiche del governo, indipendentemente dal sistema politico in cui vivono. Giovedì 26 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 2B L’obiettivo del presente studio è verificare l’effetto delle amicizie interetniche tra adolescenti italiani e di origine straniera sull’atteggiamento generale verso la scuola. Si ipotizza che tale risultato emerga, in particolare, per gli adolescenti con un’identità etnica acquisita. Lo studio ha coinvolto 310 studenti di scuole secondarie di primo grado italiani e di origine straniera a rischio di abbandono scolastico. Attraverso un protocollo self-­‐report, si è misurato l’atteggiamento verso la scuola, il numero di amicizie intergruppi e l’identità etnica. I risultati hanno mostrato che le amicizie intergruppi influiscono sull’atteggiamento verso la scuola. Tuttavia, come ipotizzato, l’identità etnica modera tale relazione: soltanto tra gli adolescenti con un’identità etnica acquisita le amicizie intergruppi influiscono positivamente sull’atteggiamento verso la scuola, mentre negli adolescenti con bassa identità etnica tali effetti non emergono. SIMPOSIO ANTECEDENTI, TIPOLOGIE E CONSEGUENZE DEL CONTATTO INTERGRUPPI: NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCA Proponenti: Alberto Voci e Loris Vezzali Discussant: Chiara Volpato La ricerca sul contatto intergruppi negli ultimi 60 ha inequivocabilmente dimostrato che l’incontro positivo tra membri di gruppi diversi riduce il pregiudizio (Pettigrew e Tropp, 2011). Tuttavia, vi sono diverse domande che ancora non hanno ricevuto una risposta definitiva: quali sono gli antecedenti del contatto? In che modo i diversi episodi di contatto si combinano nel produrre i loro effetti? Quali sono le possibili conseguenze del contatto, al di là della riduzione del pregiudizio verso i gruppi direttamente coinvolti nelle interazioni? I sei contributi di questo simposio propongono alcune possibili risposte a tali interrogativi, indagando tematiche raramente esplorate nella ricerca sul contatto intergruppi. Relativamente agli antecedenti del contatto, Capozza, Di Bernardo e Falvo indagano sperimentalmente se l'umanizzazione dell'outgroup abbia un effetto sulla ricerca del contatto, analizzando al contempo la relazione inversa, tra contatto e umanizzazione; Boccato, Capozza e Trifiletti verificano se gli stili di attaccamento possano facilitare o inibire la ricerca del contatto; infine, Giovannini, Vezzali e De Zorzi esaminano come antecedenti del contatto le aspettative dei membri del gruppo di maggioranza relative all’essere visti come razzisti e all’interesse percepito dell’outgroup nei propri confronti. Esplorando la combinazione tra diverse tipologie di contatto, Hewstone analizza la distinzione tra interazioni positive e negative. Per quanto riguarda gli effetti del contatto, Cardinali, Migliorini, Andrighetto e Rania indagano se e quando il contatto porti i membri dei gruppi a maturare un atteggiamento positivo verso la scuola; infine, Voci analizza l'effetto di trasferimento secondario, ovvero la generalizzazione degli effetti del contatto ad outgroup diversi da quelli coinvolti nelle interazioni. Nel complesso, si propongono nuove prospettive di ricerca utili a comprendere in modo sempre più approfondito il fenomeno del contatto intergruppi. Lo studio fornisce indicazioni circa l’importanza di pianificare interventi che mirino ad aumentare le interazioni interetniche a scuola: ciò, infatti, può avere conseguenze positive non solo sull’integrazione, ma anche su una predisposizione positiva verso la scuola. IL RUOLO DELLE ASPETTATIVE NEL CONTATTO INTERGRUPPI D. Giovannini, L. Vezzali, L. De Zorzi Poggioli, Dipartimento di Educazione e Scienze Umane, Università di Modena e Reggio Emilia L’obiettivo di questo studio era indagare il ruolo delle aspettative, da un lato come antecedenti del contatto intergruppi e, dall’altro, come conseguenze. Le aspettative degli individui giocano un ruolo importante nel favorire o meno l’incontro tra membri di gruppi diversi. Ad esempio, i membri della maggioranza evitano spesso il contatto con l’outgroup perché hanno paura di essere visti come razzisti. Inoltre, essi sono più interessati al contatto se pensano che il gruppo di minoranza desideri incontrarli (Tropp e Bianchi, 2006). Per quanto riguarda le aspettative come conseguenze del contatto, si sono esaminate in particolare le metapercezioni delle rappresentazioni dei gruppi o, in altre parole, l’aspettativa rispetto alla percezione dei gruppi che hanno i membri dell’outgroup. La ricerca ha dimostrato che il gruppo di maggioranza si rappresenta ingroup e outgroup prevalentemente come un gruppo unico, mentre quello di minoranza preferisce la rappresentazione di identità duplice (Dovidio, Gaertner, e Saguy, 2009). Inoltre, percepire che il gruppo di minoranza desidera l’assimilazione ha conseguenze positive sulle relazioni tra i gruppi (Brown e Zagefka, 2011). Tuttavia, non è chiaro come il contatto influenzi tali aspettative. Il presente studio è stato condotto con 418 studenti italiani di scuole superiori di Reggio Emilia. I risultati AMICIZIE INTERGRUPPI E ATTEGGIAMENTO POSITIVO VERSO LA SCUOLA: IL RUOLO MODERATORE DELL’IDENTITA’ ETNICA P. Cardinali, L. Migliorini, L. Andrighetto, N. Rania Dipartimento di Scienze dell'Educazione, Università degli Studi di Genova Numerose ricerche hanno mostrato come l’amicizia intergruppi sia una forma intima di contatto diretto efficace nel migliorare gli atteggiamenti verso l’outgroup. Fino ad ora, 51
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pregiudizio nei confronti degli immigrati in Italia e i loro effetti sugli atteggiamenti verso tossicodipendenti e persone con problemi di salute mentale. Controllando l'effetto di autoritarismo di destra, orientamento alla dominanza sociale, valori di apertura e chiusura e della dimensione individuale dell'amicalità, si verifica che lo STE è comunque in parte presente, anche se la sua forza appare minore. Lo studio 2 (N=150) replica tali risultati considerando gruppi differenti (omosessuali uomini e donne come outgroup primario, transessuali e persone anoressiche come outgroup secondari) e includendo tra le variabili individuali anche il fondamentalismo religioso e la desiderabilità sociale. Nel complesso, i risultati dei due studi dimostrano che lo STE è un effetto parzialmente presente al di là di differenze individuali legate ad una generale apertura vs. chiusura nei confronti degli altri. hanno indicato anzitutto che la paura di essere visti come razzisti aveva effetti negativi sul contatto frequente e positivo con gli immigrati, mentre l’aspettativa che gli immigrati desiderano avere contatto aveva effetti opposti. Inoltre, il contatto riduceva gli stereotipi negativi dell’outgroup tramite l’aumentata percezione che l’outgroup vede italiani e immigrati come un gruppo unico o come individui separati, mentre li aumentava quando favoriva la percezione che secondo l’outgroup italiani e immigrati sono gruppi distinti. Si discutono le implicazioni pratiche e teoriche dei risultati. STILE DI ATTACCAMENTO E CONTATTO INTERGRUPPI: LA SICUREZZA PROMUOVE IL CONTATTO CON L'OUTGROUP G. Boccato Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università di Bergamo D. Capozza, E. Trifiletti, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università di Padova INTERACTIVE EFFECTS OF POSITIVE AND NEGATIVE CONTACT: A PLEA TO POSTPONE PREMATURE PESSIMISM L'ipotesi del contatto sostiene che l'interazione tra embri di gruppi diversi riduca il pregiudizio; sebbene i moderatori e i mediatori di questa relazione siano stati largamente studiati, si sa ancora poco sui fattori che facilitano il contatto intergruppi. Il presente studio intende colmare questo gap esaminando l'orientamento sicuro quale precursore del contatto intergruppi. In tre studi sono stati esaminati diversi aspetti della relazione tra orientamento sicuro e contatto intergruppi: la sicurezza è associata ad un contatto intergruppi positivo, il quale a sua volta riduce il pregiudizio (Studio 1); la sicurezza è associata alla tendenza implicita ad approcciare i membri dell'outgroup (Studio 2); la relazione tra orientamento sicuro e contatto è mediata dal bisogno di esplorazione (Studio 3). Nella discussione, si raccomanda di procedere al priming sia dell'orientamento sicuro sia degli orientamenti insicuri al fine di considerare separatamente il loro contributo al contatto con membri dell'outgroup. M. Hewstone Department of Experimental Psychology, University of Oxford, Oxford, United Kingdom Social psychology provides extensive evidence that positive contact between members of different social groups is associated with reduced prejudice (Pettigrew & Tropp, 2006). Negative contact, on the other hand, increases the perceived salience of outgroup identity (Paolini et al., 2010), which is likely to lead to stronger generalization of negative contact effects (see Hewstone & Brown, 2005). Barlow et al. (2012) found that although both positive and negative contact are independent predictors of prejudice towards various outgroups, negative contact emerges as a significantly stronger predictor. The present paper takes this research a stage further, to investigate the interplay between positive and negative contact, and whether they interact (e.g., does negative contact attenuate the positive impact of positive contact, and/or does positive contact buffer the effect of negative contact). Drawing on survey research from Germany, Northern Ireland, and the conflict in the Balkans, it is clear that the two types of contact do interact, and that Barlow et al.’s conclusion may lead to overly pessimistic conclusions. Notwithstanding the impact of negative contact, positive contact attenuates its pernicious effects. CONTATTO INTERGRUPPI ED EFFETTI DI TRASFERIMENTO SECONDARIO: UNA QUESTIONE DI DIFFERENZE INDIVIDUALI? A. Voci, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova Lo studio del contatto intergruppi ha da sempre riguardato il tema della generalizzazione, dato che la sua efficacia è legata al fatto che il contatto con singoli individui conosciuti possa alterare le rappresentazioni dei gruppi sociali a cui tali individui appartengono. Recentemente, il tema della generalizzazione è stato ampliato, coinvolgendo l'estensione degli effetti del contatto nei confronti di un outgroup primario a gruppi non direttamente coinvolti nel contatto, detti outgroup secondari. Tale processo di generalizzazione è stato definito "effetto di trasferimento secondario" (STE; Pettigrew, 2009) e la sua presenza è stata verificata in diversi contesti sociali. Tuttavia, la sua efficacia può essere posta in discussione assumendo che la generalizzazione degli atteggiamenti da un gruppo coinvolto nel contatto a gruppi differenti sia semplicemente dovuta ad una propensione individuale all'apertura vs. chiusura nei confronti degli altri. I due studi presentati hanno lo scopo di verificare questa ipotesi alternativa. Lo studio 1 (N=150) indaga il contatto e il CONTATTO INTERGRUPPI E ATTRIBUZIONI DI UMANITÀ: RAPPORTO DI CAUSALITÀ UNI-­‐ O BIDIREZIONALE? D. Capozza, G. A. Di Bernardo, R. Falvo, Università degli Studi di Padova, Dipartimento FISPPA Il contatto può essere usato come strategia per ridurre l’inclinazione ad infraumanizzare gli outgroup.Le potenzialità di tale strategia sono dimostrate da studi correlazionali (Capozza et al., 2012), longitudinali (Brown et al., 2007) e sperimentali (Vezzali et al., 2012).I due ultimi studi mostrano come la sorgente del processo sia il contatto che migliora le attribuzioni di umanità.L’evidenza relativa al rapporto causale tra i due termini è comunque scarsa.Per analizzare tale rapporto abbiamo condotto due studi. Nello Studio 1, abbiamo manipolato il contatto usando il compito del manichino.Nella condizione di contatto i partecipanti 52
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analizzano il processo di rielaborazione storica attraverso l’analisi longitudinale di alcuni documentari della televisione italiana. Procentese, Arcidiacono e Esposito attraverso l’analisi diatestuale dei racconti di figli delle vittime esplorano le dimensioni personali dell’elaborazione. Pelucchi e Brambilla analizzano la percezione degli anni di piombo come possibile ferita aperta in una prospettiva di confronto generazionale. Regalia, Paleari e Manzi evidenziano le rappresentazioni che le generazioni sociali hanno circa il senso e l’opportunità del perdono nei confronti dei terroristi. dovevano muovere il manichino, con cui dovevano identificarsi, verso volti marocchini (72 movimenti di approccio); dovevano invece allontanarlo da uno stimolo neutro (un ovale; 24 movimenti di allontanamento).Nella condizione di controllo, le 72 prove di approccio riguardavano stimoli neutri (esemplari di arredamento) e le 24 prove di allontanamento riguardavano l’ovale.Si è trovato che i tratti unicamente umani erano assegnati più intensamente ai Marocchini nella condizione di contatto che in quella di controllo.L’effetto era, inoltre, mediato dalla cresciuta fiducia per l’outgroup.Nello Studio 2, abbiamo, invece, manipolato l’umanizzazione dell’outgroup usando una tecnica subliminale. In una condizione (Umanizzazione), volti marocchini erano associati a concetti di umanità, nell’altra (Deumanizzazione), erano associati a concetti di animalità.I partecipanti eseguivano, quindi, il compito del manichino: dovevano avvicinarsi o allontanarsi da nomi tipici marocchini.Si è trovato che, nella condizione di Umanizzazione, l’avvicinamento era più veloce dell’allontanamento.In quella di controllo non vi era differenza tra i due movimenti.Nella condizione di Umanizzazione, cioè, si cerca il contatto.I due studi sostengono l’ipotesi di bidirezionalità del rapporto fra contatto e attribuzioni di umanità. RICONCILIAZIONE SOCIO-­‐EMOTIVA ATTRAVERSO I RACCONTI DEI FIGLI DELLE VITTIME DI TERRORISMO NEGLI ANNI DI PIOMBO. F. Procentese, C. Arcidiacono, M. Esposito, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli Federico II Il presente contributo intende porre attenzione al processo di riconciliazione socio-­‐emozionale (Nadler & Shnabel, 2008) attraverso le narrazioni dei figli di vittime del terrorismo degli anni di piombo. Gli eventi che in quegli anni hanno sfidato la legittimità delle istituzioni democratiche, non si caratterizzano per un’interpretazione condivisa dei fatti generando una difficile elaborazione psicosociale. Giovedì 26 settembre 2013 (17:00 / 19:00) Aula 2D Al fine di esplorare le dimensioni che sottendono al possibile processo di elaborazione è stata effettuata l’analisi diatestuale (Mininni, 2003) di due racconti storici e autobiografici realizzati dai figli delle vittime per individuare i significati della costruzione dei discorsi tenendo conto della dialettica io/altro e la loro relazione rispetto ad un dato contesto socio-­‐culturale. SIMPOSIO PROCESSI DI ELABORAZIONE PERSONALE E SOCIALE DELLA VIOLENZA: IL CASO DEGLI “ANNI DI PIOMBO” IN ITALIA Proponente: Camillo Regalia Discussant: Adriano Zamperini Dall’analisi emerge con particolare pregnanza il vissuto emotivo di solitudine e rabbia rispetto ad una morte (privata e pubblica) di cui è difficile ritrovare il senso, la necessità di ricostruire la memoria attraverso una polifonia di voci, dai rappresentanti istituzionali e dell’opinione pubblica ai familiari di altre vittime. Peculiare è il richiamo costante alla presenza dello Stato come potenziale garante della ricostruzione della memoria collettiva e mediatore del processo di riconciliazione. Ulteriori elementi verranno discussi per comprenderne le implicazioni per la costruzione di un processo di riconciliazione socio.emozionale. Presentazione simposio Il periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta è stato caratterizzato in Italia dalla diffusione quasi quotidiana di violenza politica, dalla presenza di numerosi attentati stragistici, da frequenti atti di terrorismo verso rappresentanti delle istituzioni o della società civile. Alcune recenti pubblicazioni che hanno dato voce all'esperienza dei figli di alcune vittime di quel periodo e le contemporanee richieste di grazia avanzate da alcuni responsabili del terrorismo italiano, hanno riportato in primo piano il dibattito su questi temi, evidenziando come le ferite a livello personale e sociale provocate dagli Anni di Piombo e dalle stragi terroristiche siano tutt'altro che sanate. Il significato degli eventi legati a quegli anni, le interpretazioni e le responsabilità attribuite sono, come spesso avviene in situazioni simili, molto confuse e dibattute e attivano processi di rielaborazione a livello personale e sociale in gran parte ancora da esplorare. LA FERITA DEGLI ANNI DI PIOMBO: PERCEZIONI GENERAZIONALI A CONFRONTO S. Pelucchi, M. Brambilla, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Introduzione. La rielaborazione di un conflitto sociale richiede di essere affrontata non solo a livello individuale, cioè da chi è stato direttamente coinvolto sia in quanto vittima che in quanto responsabile, ma anche ad un livello collettivo, cioè un livello caratterizzato da processi di condivisione sociale dei significati e delle emozioni di ciò che è avvenuto (Zamperini, 2001). L’obiettivo delle ricerche presentate è quello di restituire e analizzare il livello di rielaborazione psicosociale di quegli anni in un’ottica di superamento delle ferite rimaste aperte. Obiettivi e metodi. Il presente contributo si propone l’obiettivo di indagare quale sia oggi la percezione che cittadini appartenenti a diverse generazioni hanno del periodo degli Anni di Piombo e della ferita lasciata da quegli Leone e Sarrica indagano le rappresentazioni sociali e le conoscenze fattuali di quel periodo in un gruppo di giovani adulti italiani. Roseti, Del Conte, Pochesci, Sammartini, Leone 53
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anni. Sono state prese in considerazione tre diverse generazioni -­‐ chi ha vissuto gli Anni di Piombo da adulto, chi li ha vissuti da adolescente e chi non li ha vissuti -­‐ che hanno partecipato a focus group distinti per fasce d’età. I risultati dell’analisi dei focus group hanno guidato la costruzione del questionario self report, a cui hanno risposto 300 partecipanti, cento per ciascuna generazione considerata. Le aree indagate riguardano in particolare l’identificazione delle possibili ferite aperte, le strategie ritenute utili per superare tali ferite e le attribuzioni di responsabilità. INCHIESTA, TESTIMONIANZA, REINTERPRETAZIONE. CAMBIAMENTI NEL RACCONTO DEGLI ANNI DI PIOMBO NEI DOCUMENTARI DELLA TV PUBBLICA A. Roseti, N. Del Conte, M. Pochesci, A. Sammartini, G. Leone Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, Università “Sapienza” Con l’allontanarsi nel tempo della violenza tra i gruppi, la trasmissione del ricordo cambia a causa di dinamiche psicologiche e sociali: la rielaborazione di chi ne fu protagonista o testimone; la ricerca di conoscenza di storici e studiosi di scienze umane; il dovere di deliberare giudiziariamente sui fatti; la necessità di narrare la violenza alle generazioni nate dopo la sua conclusione. Un confronto longitudinale delle trasmissioni con cui la televisione pubblica racconta e documenta questo difficile passato può contribuire a illuminare l’agire congiunto di tali complesse dinamiche. Per cogliere alcuni aspetti di tale complessità, il nostro lavoro analizza una serie di documentari sugli Anni di piombo, trasmessi dalla televisione pubblica italiana in un tempo che va dal fondamentale lavoro coordinato da Zavoli nel ciclo “La notte della Repubblica” (1989-­‐1990) fino a oggi. Dal confronto tra 97 documentari disponibili presso le Teche Rai su alcune dimensioni di base (autori, durata, orario di programmazione, audience, scaletta degli ospiti), abbiamo selezionato i programmi relativi alla strage di piazza Fontana e all’omicidio di Guido Rossa, episodi rappresentativi delle due principali forme di violenza di quegli anni (stragistica e di lotta armata terroristica). Le trasmissioni sono state sottoposte a diversi tipi di analisi: la costruzione del racconto dell’episodio e il senso complessivo suggerito da tali scelte narrative (Bruner, 1998); la commistione tra immagini del tempo e ricostruzioni ad hoc; la scelta degli ospiti e il montaggio dei loro interventi; l’analisi multimodale delle interviste ai protagonisti e ai testimoni. Il confronto longitudinale lascia emergere il graduale accantonamento della riflessione sulla situazione complessiva di quegli anni per una focalizzazione sempre più esclusiva sul tema della violenza, e la grande lentezza nella presa di parola delle vittime, dopo un primo periodo più dedicato ai perpetratori. Risultati. L’analisi dei focus group ha evidenziato come tematiche cruciali la presenza di sfiducia verso le istituzioni e la percezione di un’assenza di verità e di giustizia su cui poter ricostruire una condivisione di significati. Le analisi dei questionari sono ancora in corso. Conclusioni. Il contributo ha analizzato, in un’ottica di continuità/discontinuità generazionale, i diversi significati che i cittadini attribuiscono agli eventi degli Anni di Piombo a partire dalla mancanza di una chiara comprensione dei fatti e delle responsabilità delle violenze avvenute ANNI DI PIOMBO E PERDONO: UNA VIA PERCORRIBILE? C. Regalia, C. Manzi, Università Cattolica, Milano F.G. Paleari, Università di Bergamo, Bergamo Introduzione. Come la letteratura internazionale ha mostrato, di fronte a traumi sociali che hanno lacerato la convivenza tra le persone in un determinato contesto sociale e storico, parlare di perdono ha un valore simbolico e pragmatico molto forte. In queste situazioni, infatti, non c'è solo bisogno di mettere fine al conflitto e alla sua violenza, ma è necessario poter elaborare i traumi che a livello personale e sociale tale violenza ha prodotto. Rispetto agli anni di violenza degli Anni di Piombo la letteratura psicosociale non ha finora indagato la valutazione che le generazioni sociali danno del perdono come possibile strumento di elaborazione personale e sociale della violenza perpetuata e subita, la sua sensatezza e praticabilità. La tematica è complessa date le peculiarità delle offese qui indagate, la pervasività degli effetti e, in molte situazioni, la mancanza di colpevoli accertati COSA RESTA DEGLI ANNI DI PIOMBO. UN’ESPLORAZIONE DI RAPPRESENTAZIONI SOCIALI E CONOSCENZE FATTUALI DI GIOVANI ADULTI ITALIANI Obiettivi e metodi. L'obiettivo del presente contributo è indagare se e come il perdono sia percepito come una possibile strategia per affrontare gli avvenimenti che hanno sconvolto la popolazione italiana durante i cosiddetti anni del terrorismo. E’ stato somministrato un questionario self report a un campione di 300 cittadini italiani appartenenti a diverse generazioni sociali e residenti in città del Nord e del Centro Italia G. Leone, M. Sarrica, Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, Università “Sapienza” La ricerca esplora il momento di transizione dalla conclusione della violenza (conflict settlement) ai processi di riconciliazione. Anche se l’abbandono definitivo della violenza distingue il conflict settlement (Kelman, 2008) dalle tregue transitorie precedenti, in questa fase ogni parte continua a cercare di accreditarsi come “vera vittima”, negando gli aspetti aggressivi della propria violenza (Bar-­‐Tal, 2002). Al contrario, solo un’attribuzione chiara delle responsabilità dell’aggressione innesca i moventi psico-­‐sociali alla base del processo di riconciliazione: riconquistare un’accettabilità morale per i perpetratori, superare la propria impotenza per le vittime (Nadler, 2008). Poiché la riconciliazione dura più di una generazione, è necessario inoltre riflettere su come le Risultati. Le analisi sono ancora in corso e prendono in considerazione gli atteggiamenti individuali verso il perdono, le caratteristiche psicosociali correlate a tali atteggiamenti e la percezione degli effetti che a livello sociale tale comportamento potrebbe promuovere ai fini dell’elaborazione della violenza terroristica 54
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responsabilità dei perpetratori e l’impotenza delle vittime siano narrate alle generazioni successive (Leone e Mastrovito, 2010; Leone e Sarrica, 2013). 120 studenti universitari (età media 22 anni) hanno risposto a un questionario su rappresentazioni sociali del periodo, conoscenze fattuali rispetto a episodi specifici, fonti delle narrazioni ricevute, emozioni e libere associazioni da loro collegate al termine Anni di piombo. Nel loro complesso, i dati suggeriscono che al conflict settlement della violenza degli Anni di piombo siano succedute dinamiche di dimenticanza sociale e di confusione nella trasmissione intergenerazionale, piuttosto che processi riconciliativi veri e propri. Emergono un’evidente confusione nelle conoscenze fattuali sul periodo, una netta prevalenza del ricordo delle Brigate Rosse rispetto a tutti gli altri attori della violenza, una mancata narrazione familiare, il ruolo prevalente della documentaristica televisiva e della scuola nella fragile trasmissione intergenerazionale del ricordo degli Anni di piombo, resa ancora più difficile dalle molte ambiguità che ancora oggi segnano la conoscenza della violenza di quel periodo. L. Vezzali, D. Giovannini, G. Davolio, L. De Zorzi Poggioli, M. d. S. Omedas, Dipartimento di Educazione e Scienze Umane, Università di Modena e Reggio Emilia La ricerca sul contatto immaginato mostra chiaramente come semplicemente simulare mentalmente un contatto positivo con un membro dell’outgroup riduca il pregiudizio (Crisp e Turner, 2012). Gli studi, tuttavia, hanno sino ad ora mostrato effetti relativi prevalentemente ad atteggiamenti (e non a comportamenti) che duravano al massimo due settimane. L’obiettivo dei due studi che presentiamo è quello di verificare se il contatto immaginato favorisca la comunicazione interculturale tra studenti internazionali e individui nativi del paese di destinazione. Nel primo studio, studenti internazionali appena arrivati in Italia, in seguito a una sessione di contatto immaginato, valutavano più positivamente gli italiani e mostravano maggiore apertura nei loro confronti, rispetto a coloro assegnati alla condizione di controllo. Nel secondo studio, si è chiesto a studenti italiani in partenza per l’Erasmus di immaginare un incontro positivo con un estraneo nativo del loro paese di destinazione. Rispetto a quelli assegnati alla condizione di controllo, gli studenti che avevano preso parte alla sessione sperimentale, al ritorno dall’Erasmus, a più di sette mesi dalla prova di contatto immaginato, hanno riportato di provare meno ansia nei confronti dei nativi. Inoltre, il contatto immaginato era associato indirettamente, tramite ridotta ansia, a migliore valutazione dei nativi e a maggiore tempo speso in loro compagnia durante l’Erasmus. Tali effetti indiretti erano presenti anche controllando statisticamente per durata dell’Erasmus, amicizie e valutazione intergruppi precedenti la partenza. Nel complesso, il contatto immaginato si è rivelato una strategia utile per promuovere l’integrazione degli studenti internazionali nella società di destinazione. Si discutono le implicazioni teoriche e pratiche dei risultati. Giovedì 26 settembre 2013 (17:00 / 19:00) Aula 2C SESSIONE IDENTITÀ E PROCESSI SOCIALI Moderatore: Monica Rubini IL RUOLO DELL’IDENTITÀ SOCIALE COME MEDIATORE TRA INSICUREZZA LAVORATIVA E WORK ENGAGEMENT A. Chirumbolo, Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, Sapienza Università di Roma L’identificazione con l’organizzazione è un tipo di “identificazione sociale”. Gli individui si percepiscono e definiscono in termini di appartenenza ad una particolare organizzazione, in tal modo soddisfacendo i propri bisogni di sicurezza, appartenenza e realizzazione personale. In genere, un’alta identificazione organizzativa è associata ad atteggiamenti positivi nei riguardi dell’organizzazione. Al contrario, la percezione di insicurezza del proprio posto di lavoro è normalmente correlata negativamente agli atteggiamenti organizzativi. In questo contributo ipotizziamo che la relazione tra insicurezza lavorativa e work engagement (ovvero l’impegno, il vigore e l’energia profusi nel proprio lavoro) sia mediata dall’identificazione con l’organizzazione. Alla ricerca hanno partecipato 201 lavoratori (M = 93; F = 107; età media 41 anni c.a.) cui è stato somministrato un questionario contenente misure di insicurezza lavorativa (qualitativa e quantitativa), identificazione organizzativa e work engagement. I risultati evidenziano come l’insicurezza lavorativa sia negativamente associata all’identificazione organizzativa e al work engagement. Al contrario, l’identificazione organizzativa è associata positivamente al work engagement. La relazione tra insicurezza lavorativa e work engagement risulta effettivamente mediata dall’identificazione con l’organizzazione. UOMINI E DONNE IN CONDIZIONI DI INCERTEZZA: RISPARMIARE PER SÉ O INVESTIRE PER IL PROPRIO GRUPPO? L. Mannetti, M. Giacomantonio, P. Mele, Psicologia dei processi di sviluppo e Socializzazione, Sapienza Università di Roma Nella vita quotidiana ci troviamo continuamente a scegliere tra il nostro interesse personale e quello del gruppo (famiglia, lavoro, amici, nazione). La letteratura scientifica, con riferimento a tali scelte, ha parlato di differenze individuali relativamente stabili, di fattori situazionali quali la salienza dell’identità sociale, o il tipo di orientamento valoriale attivato in contesti naturali o sperimentali. La ricerca presentata analizza come uomini e donne posti in condizioni di incertezza ovvero in condizioni di controllo affrontano tali scelte, utilizzando un recente paradigma di gioco (IPD-­‐MDi, Halevy, Bornstein, Sagiv, 2008) in cui gli individui devono scegliere quale parte di una certa cifra di denaro verrà utilizzata per gli interessi del proprio gruppo e quale parte verrà trattenuta per sé stessi. I risultati della ricerca evidenziano come uomini e donne reagiscano all’incertezza in modo diverso: gli uni accrescendo l’entità delle scelte per loro stessi, le altre accrescendo CONTATTO IMMAGINATO E COMUNICAZIONE INTERCULTURALE: UNO STUDIO CON STUDENTI ERASMUS 55
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l’investimento per il proprio gruppo. I risultati vengono discussi con riferimento sia a possibili spiegazioni evoluzionistiche sia a dati economici attuali. Obiettivi E Metodi: Il modo in cui l’avatar, in quanto medium, media l’esperienza di sé nel gioco online (identificazione) ed estende la sua influenza sull’identità offline (attraverso immersione, compensazione o costruzione identitaria) è ciò che questa ricerca ha esplorato all’interno di World of Warcraft (WoW). Un questionario strutturato è stato somministrato online a giocatori di WoW contattati attraverso forum specifici. 214 partecipanti hanno completato la scala sulle Motivazioni al gioco di Yee, la Player Identification scale di van Looy et al., le scale Immersione, Compensazione e Sé possibili costruite ad hoc per questa ricerca. SIAMO SEMPRE PREOCCUPATI PER LA NOSTRA REPUTAZIONE? STUDI SULL’INFLUENZA DELL’ENTITATIVITA’ SULLA GESTIONE DELLA REPUTAZIONE N. Cavazza, M. Guidetti, Economia e Comunicazione, Università di Modena e Reggio Emilia S. Pagliaro, Seconda Università degli Studi di Napoli La reputazione svolge una funzione di regolazione delle aspettative comportamentali reciproche: permette alle persone di evitare di interagire con partner potenzialmente dannosi e di scegliere quelli potenzialmente cooperativi. Per questa ragione la reputazione è una risorsa della vita sociale sia per la società, sia per gli individui. Risultati: Sono state rilevate tre diverse tipologie di giocatori: i Bored nutrono uno scarso interesse nei confronti dell’avatar e del gioco che rappresenta per loro un mero passatempo; i Socializer considerano l’avatar e WoW soprattutto come un’occasione per interagire con gli altri e sentirsi parte di una comunità virtuale; i Players sono interessati al gioco di per sé, alle sue dinamiche ed obiettivi; essi, significativamente più degli altri due gruppi si sentono immersi nel gioco e attribuiscono all’avatar caratteristiche compensatorie rispetto all’identità offline, ma anche dimensioni che sintetizzano i loro sé possibili. Gli studi in questo ambito si sono per lo più focalizzati sulle conseguenze dell’avere una buona reputazione. Meno attenzione è stata dedicata a capire quali caratteristiche dei gruppi o delle comunità influenzano la motivazione individuale ad impegnarsi per avere e mantenere una buona reputazione. Conclusioni: Non per tutti i giocatori di WoW l’avatar assolve alla funzione di mediare l’esperienza di sé nel gioco online. Quando questo accade la sua relazione con il sé offline assume diverse forme che vanno dall’immersione, alla compensazione, alla costruzione identitaria. Obiettivo degli studi che presentiamo è quello di verificare se la preoccupazione circa la reputazione personale varia in riferimento alla entitatività del gruppo o della comunità di riferimento. I risultati mostrano che quando si chiede alle persone di citare gruppi nei quali si sentono particolarmente interessati ad avere una buona reputazione si ottengono gruppi percepiti come altamente entitativi, mentre quando si chiede di citare gruppi nei quali non sono particolarmente interessati emergono gruppi percepiti come poco entitativi. Inoltre, abbiamo osservato una correlazione fra preoccupazione per la reputazione personale e percezione di entitatività della comunità di riferimento (indipendentemente dal tipo di comunità proposta nel questionario utilizzato nello studio). Abbiamo infine manipolato la percezione di entitatività di due tipi di gruppi e, in entrambi i casi, abbiamo osservato variazioni nella espressione di preoccupazione per la propria reputazione in quanto membro di quei gruppi. Giovedì 26 settembre 2013 (17:00 / 19:00) Aula 3H SESSIONE LEGAMI FAMILIARI TRA RISCHIO E SOSTEGNO Moderatore: Dino Giovannini LA MISURAZIONE DELLA GIUSTIZIA PROCEDURALE NEL CONTESTO FAMILIARE: UNO STUDIO DI VALIDAZIONE ITALIANA E. De Angeli, Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia A dispetto della diffusione dei contributi scientifici apparsi nel corso degli ultimi decenni sul tema della giustizia procedurale, esiste ad oggi un solo strumento che si occupa di operazionalizzare tale costrutto in ambito familiare e in particolare dal punto di vista degli adolescenti. Complessivamente i risultati confermano che le persone si mostrano più motivate ad avere buona reputazione nei gruppi più entitativi rispetto a quelli meno entitativi. La ricerca che presentiamo fornisce un contributo alla comprensione dei processi di gestione della reputazione. Il presente studio ha l’obiettivo di validare la versione italiana della Family Procedural Justice Scale (Fondacaro et al., 1999, 2002) e di testarne la struttura fattoriale in senso confermativo su un campione di adolescenti (14-­‐19 anni). Nella versione originale (60 items) la scala è composta da una scala a nove fattori teorici (Controllo del processo, Voce, Coerenza, Neutralità, Accuratezza, Correzione, Dignità/Rispetto, Posizione/ Riconoscimento dello status, Fiducia) e da una scala di Correttezza procedurale globale. SURFING THE E-­‐SELF: TRA IDENTITÀ ON LINE E IDENTITÀ OFFLINE NEI MOORPG C. Cilardo, A. Gandolfi, T. Mancini, Dipartimento di Lettere, Arte, Storia e Società, Università degli Studi di Parma Introduzione: Attraverso la sperimentazione di sé possibili o puramente simulacrali, i cyberplace hanno oggi potenziato le possibilità di esplorare nuovi spazi identitari. Nei MMORPG queste possibilità vengono “giocate” attraverso gli avatar, rappresentazioni tridimensionali di se stessi che consentono di agire, interagire e sentirsi parte di questi mondi virtuali. Lo studio ha mostrato come la struttura fattoriale originaria sia sostanzialmente confermata anche con partecipanti italiani, tranne per il fattore Correzione che non ha mostrato buona aderenza ai dati ed è stato quindi eliminato. La scala di Correttezza procedurale globale ha invece confermato le sue 56
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dell’instabilità coniugale” (Separazioni e Divorzi in Italia – Istat 2012) con un conseguente e marcato coinvolgimento dei figli che, nell’anno 2010, sono stati 103.478. Nonostante non si sia ancora raggiunto, in seno alla comunità scientifica internazionale, un accordo in merito alla definizione terminologica delle situazioni a rischio per l’integrità psico-­‐
relazionale dei minori, non si può negare che tale conflittualità spesso arriva a determinare per il bambino la perdita della relazione significativa con uno dei due genitori ed anche con l’intero ramo familiare dello stesso. buone caratteristiche psicometriche. La versione finale dello strumento è composta quindi da una scala a otto fattori teorici (45 items) e da una scala di Correttezza procedurale globale (6 items), per un totale di 54 items. Le analisi di validità discriminante e di validità predittiva hanno mostrato una buona tenuta globale dello strumento anche sul campione italiano. FAMIGLIE DETENUTE: ESPERIENZE DI GRUPPI DI PAROLA A SOSTEGNO DELLE RELAZIONI FAMILIARI Obiettivi E Metodi. L’obiettivo della ricerca è analizzare, adottando un focus psico-­‐linguistico, gli scambi comunicativi tra gli attori coinvolti (minore/i e genitori); il fine è quello di tentare di individuare e poi proporre delle specifiche categorie nelle quali ricomprendere i loro vissuti in casi di separazioni/divorzi altamente conflittuali. I. Marinelli, D. Pajardi, T. Maiorano, D. Gangi, D. Musso, E. Cannini, C. Albini, Centro di Ricerca e Formazione – Dipartimento di Scienze dell’Uomo, Università degli Studi di Urbino Introduzione. L’esperienza clinica dimostra che la carcerazione mette a dura prova l’integrità psico-­‐fisica della persona reclusa; altrettanto destabilizzanti sono gli effetti su quelle che alcuni autori definiscono come “vittime indirette”: i familiari, soprattutto se di primo grado. La pratica clinico-­‐
forense dimostra che una situazione di lontananza forzata tende a compromettere i rapporti genitore-­‐bambino, quelli coniugali fino a causarne, a volte una drastica e repentina rottura altre un lento e progressivo logorio. Diversi studi evidenziano inoltre, come un’elevata percentuale di figli di genitori detenuti, se non sostenuti adeguatamente nel proprio percorso di crescita psico-­‐fisica, rischiano di ripercorrere le scelte devianti dei genitori e quindi anche il percorso detentivo. La metodologia ha previsto quindi l’analisi di colloqui intercorsi in sede di consulenza tecnica d’ufficio tra: CTU, minore/i e genitori. Si è quindi ricorso al software Atlas.ti per effettuare un’analisi del contenuto evitando di partire da categorie predefinite. Conclusioni. Dallo studio in corso emerge come, a seconda della specificità propria di ogni situazione, siano identificabili fattori prodromici di rischio intrafamiliare, tali da facilitare l’insorgere di situazioni di blocco relazionale e quindi lo stabilizzarsi di meccanismi disfunzionali capaci di interferire con la qualità dello sviluppo psico-­‐affettivo dei minori. Sarebbero altresì identificabili modalità relazional-­‐
comunicative specifiche del rapporto bambino-­‐genitore “amato” e bambino-­‐genitore “odiato” tali da marcare la differenza tra sana preferenza per un genitore e patologico allontanamento dell’altro. Obiettivi E Metodi. Il progetto di ricerca ed intervento “Sostegno alle relazioni familiari dentro e fuori il carcere”, attuato presso due istituti marchigiani è stato finanziato nelle due annualità (2011-­‐12) dall’Ufficio dell’Ombudsman della regione Marche.Tale spazio ha permesso di testare lo strumento “gruppo” inteso come luogo / spazio fisico e psicologico in cui con – dividere, riflettere, confrontarsi, tentando di mettersi nei panni dell’altro. Gli obiettivi si situano su diversi piani: intrapsichico (decentrare il proprio punto di vista, sviluppare un senso di fiducia verso l’altro, fornire uno spazio di debriefing), relazionale (uscire dall’isolamento intracarcerario), familiare (rileggere la propria storia e considerarla in un’ottica di complessità multifattoriale). I “NEET” ITALIANI: RELAZIONI FAMILIARI, ASPETTATIVE PER IL FUTURO, FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI S. Alfieri, E. Marta, D. Marzana, E. Sironi, A. Rosina, G. Aresi, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Uno dei compiti di sviluppo dei giovani adulti è di acquisire e mantenere un lavoro stabile (Arnett, 2000). Negli ultimi anni, a causa della crisi mondiale, è diventato sempre più difficile raggiungere tale obiettivo. In Italia, i giovani adulti di età tra i 19 e i 29 anni che non sono impegnati né in attività di lavoro né di studio (NEET -­‐ Not in Education, Employment or Training) sono attorno al 20% della popolazione giovanile. Conclusioni. Creare uno spazio di discussione significa dare spazio alla libertà di essere e sentirsi membri attivi e partecipativi di una famiglia che, come il gruppo, accoglie, sorregge, a volte contrasta, ma sempre permette lo svilupparsi di un forte senso di appartenenza. Verranno presentati quindi punti di forza e debolezza nonché le riflessioni delle conduttrici. Questo fenomeno non tocca solo i giovani. La famiglia di origine infatti vede prolungarsi ulteriormente sia la permanenza in casa del giovane, che il protrarsi della dipendenza economica e psicologica, caratteristiche già marcate nel contesto italiano. Il fenomeno dei Neet, abbastanza recente, è stato poco indagato dalla letteratura. SEPARAZIONI CONFLITTUALI E LEGAME GENITORI-­‐FIGLI TRA PREVENZIONE E INTERVENTO Il presente lavoro si propone di rispondere ai seguenti interrogativi: a) Quali caratteristiche socio-­‐demografiche connotano i Neet? b) Quali caratteristiche familiari li distinguono? c) Quali sono le loro aspettative per il futuro e quale la fiducia nel contesto socio-­‐istituzionale? D. Pajardi, I. Marinelli, M. Vagni, Dipartimento di Scienze dell’Uomo -­‐ Centro di Ricerca e Formazione, Università degli Studi di Urbino Introduzione. A fronte di un notevole aumento delle separazioni e dei divorzi “si conferma quindi la crescita Hanno partecipato alla ricerca promossa dall’ Istituto Toniolo 9.087 giovani adulti italiani di età compresa tra 18 e 30 anni 57
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(M=23.22, SD=3.44) equamente distribuiti per genere. Il 19.0% di essi dichiara di non fare svolgere alcuna attività (NEET). che il coinvolgimento in una relazione svolge in tale fenomeno. I partecipanti hanno compilato un questionario composto da variabili sociodemografiche, scale sulla qualità delle relazioni familiari, aspettative verso il futuro e fiducia nelle istituzioni. L’OGGETTIVAZIONE AL LAVORO: I FATTORI ANTECEDENTI C. Baldissarri, C. Volpato, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Milano-­‐Bicocca Le analisi condotte mettono in luce come i Neet percepiscano peggiore qualità della relazione con i genitori, meno autonomia e più bassi livelli di comunicazione con essi, ma più controllo da parte loro rispetto agli altri gruppi. Inoltre, essi sono più demotivati e disillusi nei confronti del futuro e nutrono meno fiducia nelle istituzioni. Questi risultati collocano i Neet in una fascia di vulnerabilità che non può essere sottovalutata. L. Andrighetto, Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università di Genova L’oggettivazione è il fenomeno per cui un individuo o gruppo sociale è percepito e trattato come un oggetto (Volpato, 2011). Questo fenomeno è stato ampliamente studiato in ambito sessuale (vedi, ad es., Fredrickson e Roberts, 1997), ma esistono analisi teoriche che descrivono come questo fenomeno sia presente anche in ambito lavorativo (vedi, ad es., Marx, 1844,1867; Fromm, 1974, Nussbaum, 1995). In una prima serie di studi sperimentali, Andrighetto, Volpato e Baldissarri (2012) hanno ottenuto una prima prova empirica dell’oggettivazione del lavoratore: il lavoro automatizzato in catena di montaggio, rispetto a quello artigianale, porta a percepire il lavoratore come più simile a un oggetto e ad attribuirgli minori capacità mentali. La presente ricerca mira ad ampliare le conoscenze di questo fenomeno andando ad individuare quali siano i fattori antecedenti all’oggettivazione del lavoratore. In particolare, si è voluto esplorare il ruolo di tre dimensioni: la ripetitività dell’azione, la segmentazione del processo lavorativo e la dipendenza dalla macchina. In un primo studio correlazionale, ai partecipanti veniva proposto il video di un operaio mentre svolgeva il suo lavoro. In seguito alla visione del video veniva somministrato un questionario in cui si misurava il grado percepito di ripetitività, segmentazione e dipendenza dalla macchina del lavoro e la percezione oggettivata del lavoratore. Nel secondo studio sperimentale, ai rispondenti veniva presentata la descrizione di un ragazzo che svolgeva un lavoro caratterizzato, a seconda della condizione, da uno dei tre fattori. In seguito, i partecipanti valutavano il ragazzo descritto attraverso le scale di oggettivazione dello Studio 1. Le analisi dei dati evidenziano un quadro interessante, in cui le tre dimensioni sembrano essere dei predittori significativi nel determinare l’oggettivazione del lavoratore. Giovedì 26 settembre 2013 (17:00 / 19:00) Aula 2A SESSIONE INFRAUMANIZZAZIONE E OGGETTIVAZIONE Moderatore: Jeroen Vaes IL RUOLO DELLA PARTECIPAZIONE AD UNA RELAZIONE NELL’INFRAUMANIZZAZIONE DELL’OUTGROUP A. Louceiro, S. Waldzus, Lisbon University Institute, Lisbona, Portugal M. P. Paladino, Università degli Studi di Trento, Rovereto L’infraumanizzazione dell’outgroup si riferisce alla tendenza ad attribuire caratteristiche tipicamente umane (quelle che differenziano gli umani dagli animali), in misura minore all’outgroup rispetto ai membri dell’ingroup. Nella presente ricerca abbiamo verificato se la partecipazione ad una relazione rispetto alla non partecipazione, andrebbe a ridurre l’infraumanizzazione dell'outgroup. Nel primo studio, i partecipanti hanno letto la descrizione di una relazione (condivisione o scambio economico) o di assenza di relazione, tra una popolazione italiana (l'ingroup) e una di origine sconosciuta (l'outgroup). I risultati mostrano che i partecipanti hanno scelto più parole umane per descrivere l'ingroup rispetto all’outgroup e più parole animali per descrivere l'outgroup rispetto all’ingroup. Inoltre, l’infraumanizzazione dell’outgroup è più forte in assenza di relazione piuttosto che nelle altre due condizioni relazionali. Pertanto, quando l'outgroup è coinvolto in una relazione con l’ingroup, i partecipanti percepiscono il gruppo esterno più umano rispetto alla condizione di assenza di relazione. Per capire se i risultati ottenuti sono dovuti alla partecipazione di un gruppo in una relazione o alla differenza nel tipo d’informazioni fornite su tali gruppi attraverso le diverse condizioni sperimentali, è stato condotto un secondo studio. E’ stata proposta la medesima manipolazione, ma tra due outgroup. I risultati hanno mostrato che la percezione dell’umanità dei due gruppi non è stata influenzata dalla partecipazione in una relazione o dalla sua assenza. Per concludere, possiamo affermare che la partecipazione ad una relazione diminuisce l’infraumanizzazione dell’outgroup rispetto all’assenza di relazione, ma solamente se l’ingroup è coinvolto. Questo mette in luce alcuni processi racchiusi nel fenomeno dell'infraumanizzazione e mostra il ruolo chiave GLI IMMIGRATI NON SONO TUTTI UMANI: IL PROCESSO DI ONTOLOGIZZAZIONE DI ZINGARI, RUMENI E CINESI M. Pivetti, Dipartimento di Scienze Psicologiche, Umanistiche e del Territorio (Di.S.P.U.Ter.), Università degli Studi “G. d’Annunzio”, Chieti-­‐Pescara Nell’ambito del filone di ricerca sull’ontologizzazione delle minoranze (Pérez, Moscovici, & Chulvi, 2007; Marcu & Chryssochoou, 2005), si presenta un metodo utilizzato in due studi relativi a diversi gruppi etnici. Lo Studio 1 ha l’obiettivo di studiare l’ontologizzazione attraverso un confronto tra le carat-­‐teristiche attribuite all’ingroup (italiani) e quelle attribuite a due outgroup (zingari italiani e zingari). Con un questionario autosomministrato, si è chiesto a partecipanti italiani (N=475) di attribuire caratteristiche animali/umane, positive/negative ai 3 target. I risultati mettono in luce il processo di ontologizzazione della 58
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instabilità del proprio status sociale, nel caso in cui questo sia percepito come legittimo. minoranza zingara (outgroup) e di superumanizzazione degli italiani (ingroup): agli zingari vengono, infatti, attribuite più caratteristiche animali che umane, mentre gli italiani sono descritti in termini più umani rispetto agli zingari e agli zingari italiani. Inoltre, gli zingari italiani sono oggetto di maggior pregiudizio in quanto sono loro attribuite più caratteristiche animali negative rispetto agli zingari e agli italiani. Giovedì 26 settembre 2013 (17:00 / 19:00) Aula 2E SESSIONE EMOZIONI E PROCESSI SOCIALI Moderatore: Mauro Giacomoantonio Lo Studio 2 indaga l’ontologizzazione attraverso un confronto tra le caratteristiche attribuite a tre minoranze etniche presenti in Italia: zingari, rumeni e cinesi. Un questionario analogo a quello dello Studio 1 è stato proposto a un campione di partecipanti italiani (N=168). I risultati indicano la diversa rappresentazione dei tre gruppi: i partecipanti attribuiscono infatti maggiori tratti animali agli zingari rispetto ai rumeni e ai cinesi. Inoltre, mentre gli zingari e i rumeni sono decritti in termini più animali che umani, i cinesi sono percepiti come più umani che animali. HOW DO YOU FEEL?: L'INFLUENZA DELL'UMORE SUL NEED FOR AFFECT NELLA COMUNICAZIONE PERSUASIVA A. Aquino, D. Paolini, F. R. Alparone, Università degli Studi di Chieti-­‐Pescara Haddock, Maio, Arnold e Huskinson (2008) hanno mostrato che, in linea con l'ipotesi della corrispondenza strutturale (Edwards, 1990; Fabrigar & Petty, 1999) le persone con un alto orientamento affettivo (definito Need for Affect, Maio & Esses, 2001) sono maggiormente persuase da un messaggio affettivo rispetto ad un messaggio cognitivo. L'espressione del Need for Affect potrebbe essere elicitata da alcuni fattori contestuali, tra cui il tono dell'umore. Precedenti ricerche hanno, già, analizzato la relazione tra umore e persuasione (Bless, Bohner, Schwarz & Strack, 1990; Brinol, Petty & Barden 2007; Forgas, Laham & Vargas, 2004), ma non è stata ancora esplorata la relazione tra umore, need for affect e conseguente impatto persuasivo. I risultati sono discussi alla luce del concetto di deumanizzazione animalistica e meccanicistica (Haslam, 2006) e in relazione al modello del contenuto dello stereotipo (Cuddy, Fiske & Glick, 2008). LA PERCEZIONE DI INSTABILITA’ E LEGITTIMITA’ DELLE DIFFERENZE DI STATUS PUO’ FAVORIRE IL BIAS DI INFRAUMANIZZAZIONE? S. Russo, C. O. Mosso, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino Obiettivi E Metodi. Lo studio ha indagato il ruolo dell'umore nell'influenzare l'impatto di un messaggio a base affettiva o cognitiva attraverso la mediazione del Need for Affect. Dopo aver manipolato l'umore, è stato misurato il Need for Affect. I partecipanti (105 donne, 62 uomini) hanno, quindi, letto un messaggio persuasivo su una nuova bevanda che conteneva informazioni cognitive (e.g. “E. J. ha superato rigorosi controlli sulla qualità dei prodotti”), o che faceva leva sulle sensazioni suscitate da essa (e.g. “E.J. ha un sapore unico). Infine è stato rilevato l'atteggiamento verso la bevanda. Introduzione: Una lunga tradizione di ricerca psicosociale ha mostrato che le percezioni di legittimità e di stabilità delle differenze di status sociale agiscono in modo interattivo nel determinare e/o influenzare le risposte cognitive, emotive e comportamentali nei contesti intergruppo. Recentemente è stato mostrato che il bias di infraumanizzazione non risente delle differenze di status tra gruppi. La maggior parte delle ricerche sul tema ha indagato l’infraumanizzazione in gruppi etnici: tuttavia le differenze di status tra questi gruppi possono essere percepite in modo diverso in relazione a stabilità e legittimità. Risultati. In linea con l'ipotesi, i risultati hanno mostrato che l'induzione di umore positivo ha determinato livelli più alti di Need for Affect rispetto all'induzione di umore negativo. Inoltre, da un'analisi di mediazione moderata è emerso un effetto di mediazione del Need for Affect quando il messaggio era affettivo e non quando era cognitivo Obiettivi e metodi: L’obiettivo era quello di indagare se la percezione di legittimità e di instabilità delle differenze di status favorissero l’espressione del bias di infraumanizzazione. Attraverso un questionario, compilato da partecipanti italiani (N = 429), abbiamo rilevato: a) la percezione di legittimità e di instabilità delle differenze di status rispetto ad un target di immigrati, b) l’infraumanizzazione, attraverso l’attribuzione di emozioni primarie e secondarie ad italiani e immigrati. Conclusioni. I risultati ampliano il quadro teorico della corrispondenza strutturale, mostrando che l'induzione del tono dell'umore può determinare il Need for Affect e per questo elicitare un maggiore impatto persuasivo del messaggio affettivo rispetto a quello cognitivo. Risultati: Una regressione di moderazione ha evidenziato che i partecipanti che percepivano le differenze di status come legittime e instabili manifestavano più alti livelli di infraumanizzazione rispetto a coloro che percepivano tali differenze come illegittime o stabili. INCREMENTARE L’EMPATIA: EFFETTO DI UN TRAINING BASATO SUL RICONOSCIMENTO EMOTIVO N. Canessa, G. Pantaleo, A. Dodich, S. Cappa, Università Vita-­‐
Salute San Raffaele, Milano Conclusioni: Questi risultati mettono in risalto l’importanza delle percezioni relative alle variabili socio-­‐strutturali nelle dinamiche inter-­‐gruppi. In particolare, mostrano che anche una forma sottile di pregiudizio come il bias di infraumanizzazione può essere esacerbata dalla percezione di L’empatia, la capacità di comprendere e condividere gli stati affettivi altrui (Batson et al 1997), è stata associata a livello neurale a strutture limbiche implicate nel riconoscimento emotivo (Craig et al 2009). 59
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Su queste basi abbiamo sviluppato un training volto a incrementare l’abilità empatica mediante compiti di riconoscimento di espressioni facciali emotive con difficoltà crescente. Lo scopo dello studio è a) indagarne l’efficacia rispetto ad un training di controllo privo di componenti emotive; b) correlarne gli effetti a misure relative a struttura e attività cerebrale, ottenute con risonanza magnetica, durante compiti che elicitano risposte emotive ed empatiche. Le abilità empatiche sono state misurate pre-­‐ e post-­‐training con varie scale di valutazione (es. Emotional contagion scale; Doherty 1997; International Affective Picture System, IAPS, Lang et al 1999) e questionari (es. Interpersonal Reactivity index, IRI, Davis 1983; Empathic Quotient, Baron-­‐Cohen e Wheelwright 2001). di controllo sul gioco. Quest’ultima insieme al ritenere i sistemi di gioco delle utili strategie di vincita aumentano la partecipazione al gioco d’azzardo che a sua volta conduce a forme di gioco d’azzardo problematiche e a rischio. Inoltre tra gli studenti maschi, provare emozioni negative porta a credere maggiormente nei sistemi di gioco, che a sua volta insieme al ridotto controllo sul gioco incrementano la partecipazione al gioco. Quest’ultima insieme all’illusione di poter controllare il gioco portano allo sviluppo di forme di gioco d’azzardo problematiche e a rischio. Conclusioni. Interventi efficaci di prevenzione e trattamento rivolti agli studenti universitari dovrebbero quindi essere in grado di agire sia sugli aspetti cognitivi che emotivi. I dati preliminari pre-­‐training mostrano una relazione tra il riconoscimento di emozioni negative e la valutazione di esperienze con valenza affettiva negativa, a sua volta associata ad una maggior risonanza affettiva alle esperienze altrui (IRI). Il confronto pre-­‐post mostra decremento nei tempi di reazione nel riconoscimento emotivo, incremento dei punteggi all’Empathic Quotient, una misura di empatia utilizzata sia su individui sani che nella patologia (Baron-­‐
Cohen e Wheelwright 2001), e riduzione del personal distress (IRI). Sia gli effetti pre-­‐ training che i cambiamenti ad esso associati riflettono specifici indici neurostrutturali in regioni limbiche coinvolte nell’elaborazione affettiva. EFFETTI PARADOSSALI DEL TEMPO D’ATTESA SULL’ATTRAZIONE PROVATA NEI CONFRONTI DI UN GADGET PROMOZIONALE M. Croci, E. Cernuschi, S. Visentin, M.P. Marchese, S. Cavedoni, A. Rossi, Università Vita-­‐Salute San Raffaele, Milano Le teorie dell’intensità delle emozioni e della motivazione (Brehm & Self 1989; Brehm 1999; Wright & Pantaleo 2013) mostrano come l’intensità di una motivazione aumenti e diminuisca sistematicamente, secondo un andamento curvilineare, in rapporto alla grandezza degli ostacoli che vi si oppongono (deterrenti). Tale intensità risulterà bassa in presenza di un piccolo ostacolo, aumenterà all’aumentare della forza degli ostacoli e crollerà, infine, di fronte a un ostacolo eccessivo. Obiettivo della ricerca è estendere l’applicazione di questa teoria all’attrazione provata nei confronti un gadget promozionale gratuito (pulitore per schermo LCD). Scopo principale dell’esperimento è dimostrare come sia possibile manipolare secondo un andamento paradossale l’attrazione provata nei confronti di un prodotto in funzione della diversa quantità di tempo da attendere (deterrente basso vs. medio vs. alto) per ottenerlo. Ai partecipanti (N = 164) veniva presentato il gadget dicendo che sarebbe stato regalato loro se avessero risposto ad alcune semplici domande sull’oggetto. In realtà le domande erano volte a misurare l’attrazione verso il prodotto sia prima che dopo l’introduzione del deterrente (tempo d’attesa = manipolazione sperimentale). Attraverso randomizzazione, i partecipanti venivano quindi assegnati alle diverse condizioni sperimentali. La significatività dei contrasti polinomiali conferma le ipotesi di partenza (t (161) = 5.982, p<.001). L’intensità dell’attrazione verso il gadget promozionale aumentava all’aumentare degli ostacoli (deterrenti) che ne contrastavano la forza (tempo d’attesa), fino a raggiungere il punto previsto di caduta. I risultati suggeriscono che anche il semplice tempo di attesa trascorso nella speranza di raggiungere un certo obiettivo (ottenere il prodotto), influenza sistematicamente—ma in maniera tutt’altro che lineare—la forza dell’attrazione e la desiderabilità dell’obiettivo (gadget). I risultati contribuiscono a chiarire le sotto-­‐componenti e i correlati neurali dell’abilità empatica (Decety 2010), e suggeriscono che essa può essere modulata mediante appositi interventi formativi. IL GIOCO D'AZZARDO PROBLEMATICO: IL RUOLO DEI FATTORI COGNITIVI ED AFFETTIVI IN UN CAMPIONE DI STUDENTI UNIVERSITARI N. Canale, C. Verzeletti, M. Pastore, M. Santinello, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli Studi di Padova G. Cavallari, Dipartimento per le Dipendenze, ULSS 16, Padova L’aumento dell’accessibilità al gioco d’azzardo e della prevalenza di giocatori pone la questione delle conseguenze del gioco d’azzardo come un problema di sanità pubblica, alla luce dell’impatto del fenomeno sul benessere e sulla salute degli individui. Obiettivi e metodi. Gli obiettivi del presente studio sono:(a) indagare il ruolo della regolazione delle emozioni nello sviluppo del gioco d’azzardo problematico e a rischio;(b) valutare un modello integrato (differenziato per genere) che metta in relazione i fattori emotivi, in termini di emozioni generalmente provate, i fattori cognitivi in termini di differenti modalità adottate per credere di avere il controllo sul gioco d’azzardo, con la frequenza e il gioco d’azzardo a rischio e problematico. Un questionario self-­‐
report è stato somministrato a 313 studenti universitari (54.3% femmine, età M=22.4; d.s.=2.8). Risultati. I giocatori d’azzardo problematici e a rischio riportano una maggiore soppressione espressiva, rispetto ai non problematici. Inoltre il presente studio conferma parzialmente il modello integrato. Provare le emozioni (attento, attivo e concentrato) porta gli studenti universitari ad avere una ridotta percezione Giovedì 26 settembre 2013 (17:00 / 19:00) Aula 3G SIMPOSIO INNOVATIVE HEALTH: UNA SFIDA PER LA RICERCA E L’INTERVENTO PSICOLOGICI 60
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di cura della salute e di elaborazione delle politiche della salute. Proponente: Cristina Stefanile Discussant: Dora Capoza In tempi recenti una particolare attenzione è stata rivolta alle condizioni psicosociali che caratterizzano il paziente anche dopo un appropriato trattamento medico. Si è notato che il disagio psicologico può persistere, la qualità della vita può essere deteriorata, la rete di supporto sociale e familiare compromessa. Presentazione simposio Ampia attenzione è dedicata all’healthcare innovation, definibile come l'introduzione di nuove idee, approcci, servizi, prodotti per migliorare la ricerca e le sue applicazioni, con l’obiettivo di migliorare qualità, sicurezza, efficienza, costi nell’ambito della salute. L’innovazione non deve essere finalizzata a se stessa, ma intesa quale risposta alle aspettative non solo di efficienza, ma anche di “umanizzazione” dei percorsi di prevenzione, diagnosi e cura, armonizzando il cambiamento tra singoli processi e sistema organizzativo. Il diffuso atteggiamento positivo verso scienza e tecnologia se facilita l’accoglienza di innovazioni per la salute evidenzia anche importanti questioni etiche che accompagnano tali sviluppi e la loro diffusione. La salute è determinata da complessi fattori biologici, psicologici, socioculturali, ambientali, ma la sua percezione si basa pure su risorse di coping e capacità adattive individuali. La maggiore accessibilità e diffusione di informazioni sui nuovi approcci, se non filtrata da fonti competenti e affidabili, può anche determinare false speranze, timori, incertezze. La disponibilità di cure e tecnologie più sofisticate, che potenziano accuratezza diagnostica e terapeutica, riducono la sofferenza, salvano e prolungano la vita, ha pure riflessi sull’adattamento psicologico di paziente e famiglia. Quale il significato della salute in prospettiva biopsicosociale? Quale attenzione e ascolto al paziente e ai suoi bisogni? L’American Psychological Association nel recente documento su “Health care reform priorities” ha sottolineato che l’innovazione dovrebbe facilitare l'uso della conoscenza scientifica e professionale psicologica per prevenzione, assessment e trattamento e promuovere salute e benessere. Come sviluppare sinergie tra psicologi, altri professionisti della salute, utenti, famiglie, caregiver nel pianificare, attuare e valutare l’healthcare per migliorare e sostenere innovazioni efficaci? Similmente a quanto è stato sviluppato in psicoterapia con la terapia del benessere, in alcuni settori della medicina stanno assumendo ruoli significativi interventi di riabilitazione ispirati a concezioni biopsicosociali. Tendono a contenere il distress psicologico, a stimolare le competenze funzionali (autonomia quotidiana, relazioni sociali, processi cognitivi, status economico), a incoraggiare uno stile di vita che consolidi la guarigione clinica e contrasti le ricadute, a promuovere una migliore qualità della vita e una percezione più positiva dello stato di malattia. LA VITA PREVEDIBILE: UNO STUDIO QUALITATIVO SU DONNE GIOVANI SANE CHE SI SONO SOTTOPOSTE AL TEST GENETICO BRCA N. Rania, L. Migliorini, Dipartimento di Scienze della Formazione, Scuola di Scienze Sociali, Università di Genova In collaborazione con IRCCS San Martino-­‐IST, Genova (L. Varesco, M. Franiuk, O. Puricelli, C. Bruzzone, P. Buda) L’introduzione da circa vent’anni del test genetico BRCA 1/2, che consente di individuare alterazioni ereditarie nei geni che regolano la corretta crescita delle cellule della mammella e dell’ovaio, ha delineato la creazione di nuovi scenari. L’informazione derivante dai risultati del test se da una parte offre alle donne l’opportunità di adottare strategie preventive di diagnosi precoce/riduzione del rischio, dall’altra le mette di fronte alla responsabilità di prendere delle decisioni dagli esiti comunque incerti, basandosi su informazioni nuove e complesse con ricadute sulla sfera emotiva e familiare, dovendo gestire elevati livelli di stress. L’obiettivo è quello di accedere, attraverso interviste in profondità, ai vissuti, ai comportamenti e alle aspirazioni di vita future di 22 donne (età media 35.21) che si sono sottoposte al test BRCA 1/2, relativamente ad un arco temporale che comprende il periodo precedente la realizzazione del test e la successiva fase di consulenza. LA VALENZA RIABILITATIVA DELLA PSICOLOGIA DELLA SALUTE S. Sirigatti, Università Europea di Roma Nelle decadi passate si sono verificate importanti modificazioni dei bisogni di assistenza sanitaria: il cambiamento delle cause principali di mortalità. All’inizio del secolo scorso erano le malattie infettive, oggi sono le malattie croniche (malattie cardiache, disturbi cerebrovascolari, situazioni dovute a comportamenti non sani come assunzione di droga, abuso di alcool e fumo, cattiva alimentazione, ecc.). Tutto ciò ha condotto ad una maggiore consapevolezza del ruolo dei fattori psicologico-­‐comportamentali sull’esordio, il decorso, l’esito della malattia. L'analisi delle interviste, secondo l’approccio della grounded theory, ha evidenziato temi legati alla sfera emotiva della donna e dei suoi familiari, al senso di colpa e di responsabilità nei confronti dei figli e del partner, al desiderio di maternità e di incertezza sulla vita futura, alle strategie di coping adottate, al supporto familiare e sociale ricevuto, all’impatto sulla progettualità futura e al ruolo dei servizi sanitari coinvolti. L’impatto psicosociale risulta avere ricadute importanti sulla vita della donna anche se, in diversi casi, viene negato a parole il cambiamento avvenuto che poi si esplicita nei comportamenti adottati. La Psicologia della Salute si propone come l’insieme dei contributi specifici della disciplina psicologica alla promozione e al mantenimento della salute, alla prevenzione e trattamento della malattia e all’identificazione dei correlati eziologici, diagnostici della salute, della malattia e delle disfunzioni associate, all’analisi e miglioramento del sistema I risultati possono consentire ai ricercatori e al personale medico di comprendere meglio i vissuti delle donne e di sviluppare interventi efficaci in particolare nel settore del sostegno e della cura, in modo che le donne possano 61
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dimensioni di disagio erano i predittori, l’esaurimento era il mediatore e cinismo e soddisfazione le variabili risultato (modello di mediazione). I risultati mostrano che, sebbene le tre dimensioni del disagio siano tutte associate con l’esaurimento emotivo, quando vengono incluse nello stesso modello di regressione, solo il disagio nel contatto orientato al contenimento emotivo è significativamente associato all’esaurimento emotivo, che, a sua volta, è positivamente associato al cinismo e negativamente associato alla soddisfazione. Inoltre, si è trovato un effetto diretto significativo del contatto orientato al contenimento sul cinismo. Al fine di ridurre il burnout e aumentare la soddisfazione degli infermieri, i servizi sanitari dovrebbero promuovere interventi di formazione in cui gli infermieri possano imparare a gestire il contatto con i pazienti, specialmente le forme di contatto che implicano un coinvolgimento emotivo. beneficiare di questa esperienza, sia emotivamente sia psicologicamente. COSA CONSIDERARE COME “MALATTIA RILEVANTE” NELLA FASE DI ANAMNESI? LE DIVERSE PROSPETTIVE DI ONCOLOGO E PAZIENTI/FAMILIARI E LO SVILUPPO DI UNA COMPRENSIONE CONDIVISA. C. Zucchermaglio, F. Alby, M. Fatigante, M.Baruzzo, Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, Sapienza Università di Roma Obiettivo dello studio è descrivere la comunicazione e la negoziazione della comprensione tra oncologo e paziente, ritenuta dagli studi fondamentale a promuovere la compliance dei pazienti e generare effetti positivi sul trattamento. Nello studio si è adottato un approccio multimetodo che combina analisi interattive e conversazionali di videoregistrazioni di 22 prime visite raccolte in un day Hospital Oncologico a Roma e la somministrazione di strumenti standardizzati di: a) misura della competenza comunicativa di medici e pazienti; b) atteggiamento verso la malattia dei pazienti. I partecipanti sono un oncologo esperto, 22 pazienti (6 M, 14 F, 50% con patologia mammaria), 19 familiari presenti alle visite. Verranno presentati e discussi le problematicità emergenti nella fase di anamnesi che si realizza a partire dalla apertura della cartella clinica. In tale fase l'oncologo deve valutare l'health status complessivo del paziente e l’eventuale presenza di altre condizioni patologiche pregresse, per decidere il trattamento terapeutico più adeguato. I risultati mostrano le criticità emergenti in questa fase relativamente ad esempio alla diversa definizione che hanno oncologo e pazienti su cosa considerare come “malattia”. Verranno discussi il ruolo fondamentale dei familiari e delle diverse strategie esperte dell''oncologo nella costruzione di una comprensione condivisa necessaria a realizzare una anamnesi completa e affidabile. L’ÉQUIPE MULTIDISCIPLINARE NELLA TERAPIA DEL DOLORE: IL RUOLO DELLO PSICOLOGO C. Stefanile, A.R. De Gaudio, P. Geppetti, I. Lanini, Dipartimento di Scienze della Salute (DSS), Università di Firenze L’assistenza di un paziente e di una famiglia che vivono l’esperienza di malattia acuta o cronica, guaribile o definitiva, caratterizzata dal dolore è un processo complesso, spesso discontinuo, di indubbia difficoltà per chi viene curato e per chi cura. Anche da recenti normative (ad es. L 38/2010) è sottolineato come occorra offrire un approccio individuale di tipo multidimensionale per il malato e per la sua famiglia, che tenga conto anche dei bisogni psicologici, sociali e spirituali, ai quali dare risposta contemporaneamente al trattamento del dolore fisico. La necessità di competenze specifiche richieste all’équipe che in tale settore opera, prevede una formazione altamente qualificata, oggi regolamentata dal DM 4/4/12 che considera specificamente lo psicologo tra le diverse professionalità impegnate nella terapia del dolore e delle cure palliative. Allo psicologo si richiedono competenze, da esplicarsi attraverso un costruttivo lavoro in équipe, per realizzare interventi volti a contenere ed elaborare sofferenze personali e interpersonali, creare spazi di comunicazione tra paziente, familiari e personale sanitario, valorizzare l'ascolto e l'informazione circa le decisioni da prendere, offrire consulenza e supporto al personale di assistenza. FORME DI REGOLAZIONE DELLA DISTANZA CON IL PAZIENTE NELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA OSPEDALIERA E. Trifiletti, M. Pedrazza, S. Berlanda. Filosofia, Pedagogia, Psicologia, Università degli Studi di Verona L’obiettivo di questo lavoro è di esaminare gli effetti del disagio degli infermieri nel contatto fisico con i pazienti. Il contatto fisico è una parte essenziale della cura ed un eccellente mezzo di comunicazione con il paziente. Tuttavia, il contatto con il paziente può provocare sensazioni di disagio negli infermieri, con conseguenze negative sul benessere lavorativo. In particolare, si sono analizzati gli effetti del disagio su esaurimento emotivo, cinismo e soddisfazione lavorativa. Alla ricerca hanno partecipato 241 infermieri. Lo strumento utilizzato era un questionario, che includeva le seguenti misure: scala di disagio nel contatto (articolata nelle tre dimensioni di: contatto finalizzato allo svolgimento di un compito, contatto finalizzato alla promozione del benessere fisico e contatto orientato al contenimento emotivo), Maslach Burnout Inventory (esaurimento e cinismo) e soddisfazione lavorativa. Si è testato un modello di regressione con variabili latenti (LISREL 8.7), in cui le tre Sulla base dell’esperienza diretta e di colloqui con testimoni significativi si riferisce su iniziative fiorentine per quanto attiene sia alla formazione specialistica – da vari anni indirizzata a medici e psicologi – sia alle attività rivolte a pazienti e famiglie accomunati dall’esperienza del dolore; in questo contesto lo psicologo opera in stretto rapporto con gli altri professionisti della salute. Venerdì 27 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2D SIMPOSIO LE RAPPRESENTAZIONI DEL SOCIALE Proponente: Ida Galli Discussant: Alberta Contarello 62
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del sistema psichiatrico in Italia a 30 anni dalla legge "Basaglia" ed il recente dibattito per la popolarità acquisita dalla letteratura anti-­‐psicoanalitica (Onfray, 2010); Presentazione simposio Allorché discutiamo con qualcuno, in famiglia, al lavoro, o al bar, allorché ascoltiamo la radio, guardiamo la televisione, o ci rechiamo a votare, noi ci troviamo coinvolti in situazioni di natura psicosociale. Interrogandosi su quale fosse la natura dei fenomeni che possono essere definiti psicosociali, Moscovici, oltre cinquant’anni fa, iniziò ad interessarsi del tema del pensiero sociale e della conoscenza sociale, analizzandone le distinte componenti. Tra le tante, egli decise di preferirne una in particolare, il senso comune, che possiede tutti gli attributi di un fenomeno psicosociale: è definito indipendentemente dalla scienza, esiste e si trasmette in maniera collettiva e non può essere modificato dagli individui, se non servendosene. A quell’epoca, l’attenzione della psicologia sociale era monopolizzata dai concetti di opinione ed atteggiamento, che egli giudicava infecondi, superficiali e limitati, iniziando a manifestare, già da allora, la sua preferenza per la knowledge, piuttosto che per la cognition. d) nuove tecniche di indagine: non solo per la ricerca di campo, fedelmente basata sulla originale intervista-­‐
questionario seppur con l’estensione degli oggetti di studio e delle popolazioni coinvolte, ma soprattutto per la ricerca sui media, non limitata al contenuto della stampa "tradizionale", ma allargata a scenari comunicativi rilevabili in relazione agli oggetti-­‐target di studio, tra i membri dei più popolari social networks: Facebook, Twitter and Yahoo! Answers. Presenteremo i risultati finali emersi dalle analisi multidimensionali dei corpora di conversazioni spontanee, selezionate mediante parole-­‐stimolo chiave rilevanti per gli scopi della ricerca nel periodo 1-­‐3-­‐2010/1-­‐3-­‐2011, evidenziando l’interesse per l’esplorazione dei social networks nella ricerca sulle rappresentazioni sociali, quali nuove arene per la trasmissione ed elaborazione delle conoscenze da parte dei membri della thinking society. La Teoria delle rappresentazioni sociali si occupa del modo in cui la conoscenza è rappresentata in una collettività, condivisa dai suoi membri e considerata sotto forma di una vera e propria “teoria del senso comune”, relativa a qualsiasi aspetto della vita e della società. SCIENZA UFFICIALE, SCIENZA ALTERNATIVA E CONCEZIONI INGENUE: UN‘ANALISI DEI SOCIAL MEDIA DOPO IL TERREMOTO DE L’AQUILA C. Berti, M. Pivetti, Dipartimento di Scienze psicologiche, umanistiche e del territorio (Di.S.P.U.Ter), Università “G. d’Annunzio” di Chieti-­‐Pescara In quanto modalità nuove e rivoluzionarie di interpretazione della social knowledge, le rappresentazioni sociali intrattengono relazioni di scambio con altre teorie o costrutti psicosociali come dimostrano inequivocabilmente i contributi raccolti in questo Simposio, che indagano tematiche di grande rilevanza psicosociale, spaziando dagli approcci più tradizionali allo studio della conoscenza sociale, fondati sull’analisi delle pratiche e delle inserzioni sociali, alle nuove modalità di costruzione dei saperi sociali/consensuali, fino all’apertura di spazi di intersezione sempre più dilatati tra l’approccio RS e la Psicologia ambientale. I social media, durante o dopo disastri ambientali, possono facilitare le comunicazioni e fornire sostegno emotivo, oltre che creare un senso di comunità per quegli individui o gruppi colpiti dal disastro, facendoli sentire legati con il resto del mondo. La rete è anche un luogo di elaborazione, formazione e trasformazione di una conoscenza comune: un contesto ideale, dunque, per lo studio di quelle concezioni diffuse tra i cittadini a proposito del terremoto -­‐ tra scienza ufficiale, scienza alternativa e credenze ingenue -­‐ che hanno costituito lo sfondo del dibattito su cause e responsabilità, in occasione del sisma che ha colpito il territorio aquilano nell’aprile del 2009. DAL LETTINO DELLO PSICONALISTA AI SOCIAL NETWORKS: “LA PSYCHANALYSE, SON IMAGE ET SON PUBLIC”: 50 ANNI DOPO. Sono stati analizzati i contenuti di 32 siti web, principalmente blog e forum, apparsi dal 30 marzo 2009 al 30 aprile 2010, individuati sul motore di ricerca Google. Sul materiale individuato è stata condotta un’analisi del contenuto testuale attraverso il software Nudist. De Rosa A. S., Fino E., Bocci E., ‘Sapienza’ Università di Roma, European PhD on Social Representations & Communication Research Centre and Multimedia Lab, Roma Il contributo è parte di un follow-­‐up condotto 50 anni dopo l’Opera Prima di Moscovici (1961), come un’opportunità del tutto speciale per investigare stabilità e possibili trasformazioni delle rappresentazioni sociali della psicoanalisi in un mutato contesto socio-­‐storico, ideologico e comunicativo (de Rosa, A.S., 2011). Dai risultati, emerge che il dibattito sul terremoto ruota attorno a quattro temi principali: (1) le cause, (2) la prevedibilità, (3) le predizioni, (4) la vicenda Giuliani. Per quanto riguarda le cause del terremoto, i commenti citano raramente la teoria sulla quale concorda la maggior parte degli scienziati della terra -­‐ la tettonica a zolle -­‐ mentre si focalizzano in larga misura su “rumors” riguardanti gli effetti di una serie di interventi umani, come ad esempio gli esperimenti condotti nel laboratorio di Fisica Nucleare del Gran Sasso e le detonazione di cariche esplosive inserite nel terreno. Il sostegno e la fiducia verso il tecnico Giuliani, e le accuse rivolte alla Protezione Civile per la mancata allerta sono espressione di un rapporto conflittuale tra la scienza ufficiale, i suoi criteri di valutazione dell’attendibilità, le sue procedure e istituzioni, i suoi rappresentanti e, dall’altra Il follow-­‐up non consiste in una mera clonazione della ricerca madre, ma introduce elementi innovativi in termini di: a) oggetti di rappresentazione: psicoanalisi e psicoanalista, ma anche psichiatria, psichiatra e malattia mentale; b) popolazione: gente comune, ma anche psicoanalisti e psichiatri; c) paesi: due contesti culturali (Italia e Francia), tenendo in conto il dominante interesse per le neuroscienze, la riforma 63
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parte, le persone comuni, le loro convinzioni, i loro bisogni, le loro ansie, i loro pensieri. urbani sugli abitanti-­‐ allo scopo di sviluppare un questionario affidabile e valido per la sua misura. Il progetto di ricerca ha avuto due fasi principali. LE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI DELLA CRISI ECONOMICA IN ITALIA ED IN GRECIA: UN’ANALISI COMPARATIVA 1) La prima fase aveva l’obiettivo di mettere in luce la rappresentazione condivisa della città, per come si articola nella reputazione e nei risvolti pratici connessi alla scelta, all'uso, alla percezione delle città stesse. Si è quindi articolata in un’indagine qualitativa che ha esplorato la declinazione della reputazione della città nelle rappresentazioni che i suoi fruitori sviluppano degli ambienti urbani, dal punto di vista sia dei residenti sia dei non residenti. In coerenza con l’approccio e gli obiettivi, sono stati realizzati 6 Focus Group, equamente distribuiti tra due centri urbani di dimensioni e importanza differenti (Roma e Cagliari, scelti per opportunità logistiche). I Focus Group hanno coinvolto cittadini residenti e non residenti, giovani e adulti. Le discussioni sono state registrate su supporto digitale e quindi trascritte integralmente. Il testo è stato poi utilizzato come base per l’analisi dei contenuti e dei dati, in particolare per mettere in luce aree considerate rappresentative della reputazione di città in ciascun contesto. I. Galli, A. Liguori, R. Fasanelli, Scienze Sociali, Università degli Studi di Napoli "Federico II" Il presente contributo è parte integrante di una ricerca sulla RS della crisi economica condotta, dal 2009, in diversi paesi europei nel quadro delle attività del Centro Mediterraneo per lo studio delle Rappresentazioni Sociali di Napoli. Gli obiettivi della ricerca sono: a) identificazione della specificità delle RS elaborate dalle differenti categorie di attori sociali implicati nello studio, così come le differenze caratterizzanti i distinti contesti culturali di appartenenza; b) evidenziazione delle trasformazioni sopravvenute nelle RS della crisi durante il periodo 2009-­‐2012; c) descrizione delle pratiche sociali influenzate, modificate o generate dalla crisi. I partecipanti alla ricerca, gruppi di soggetti totalmente comparabili tra loro (età, genere, occupazione, livello d’istruzione), differiscono unicamente per il paese di origine. Allo scopo di comprendere l’influenza esercitata dagli ancoraggi sociali, sia sulla struttura, sia sul contenuto della rappresentazione indagata, il campione è stato costituito da soggetti appartenenti a quattro categorie socio economiche differenti: piccoli commercianti, impiegati di banca, studenti della Facoltà di Economia e “gente comune”. 2) La seconda fase del lavoro ha previsto l’operazionalizzazione delle dimensioni costitutive della reputazione di città entro un questionario i cui item sono stati elaborati in coerenza con il linguaggio e i contenuti emersi nei Focus Group. Il questionario è stato quindi somministrato a un campione opportunistico di abitanti di Roma e Cagliari (N=362) e sottoposto ad analisi esplorative di componenti principali e alfa di Cronbach, portando così a una prima versione per la misura della reputazione di città articolata in 12 dimensioni con sufficienti proprietà psicometriche. La metotodologia prescelta ha previsto la somministrazione, nel corso di un’intervista direttiva, di un questionario semistrutturato composto da due sezioni: la prima, incentrata su una prova di associazioni libere, arricchita da questionari di giustificazione e di caratterizzazione, utile a risalire alla struttura delle rappresentazioni sociali indagate; la seconda, basata su una batteria di questionari di scelta ed item scalari, finalizzata a risalire al contenuto delle stesse rappresentazioni. QUALE RAPPORTO TRA RAPPRESENTAZIONI A LIVELLO SOCIETARIO E LOCALE? UNA RIFLESSIONE SUL TEMA DELLA SOSTENIBILITÀ ENERGETICA M. Sarrica, S. Brondi, G. Ferruta, Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, “Sapienza” Università di Roma I dati raccolti sono stati trattati, tra l’altro, con l’Analisi delle evocazioni gerarchizzate e l’Analisi delle similitudini. Le rappresentazioni sociali sono per definizione caratterizzate dalla dinamica tra omogeneità e conflittualità, in un processo di continua trasformazione che nasce nel confronto dialogico tra attori e gruppi sociali (Howarth, 2006). Tale dinamica è riassunta nel wind rose model (Bauer & Gaskell, 2008), dove l’oggetto di rappresentazione è posto al centro della rosa ed i petali rappresentano attori differenti, in competizione al fine di rendere la propria prospettiva legittima e egemonica. Nel corso della presentazione saranno illustrati e discussi i risultati relativi alla comparazione tra i dati italiani e quelli greci. LA REPUTAZIONE DELLA CITTÀ COME RAPPRESENTAZIONE R. Troffa, Facoltà di Studi Umanistici, Università di Cagliari Tuttavia, i petali della wind rose sembrano disporsi su un unico piano. Cosa avviene quando gli attori non sono allo stesso livello, quando i gruppi sono tra loro nested? E. Molinario, Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, “Sapienza” Università di Roma M. Bonnes, CIRPA -­‐ Centro Interuniversitario di Ricerca in Psicologia Ambientale, Roma Il presente contributo si propone di affrontare questa domanda interponendo tra dimensione sociale e individuale (Bauer & Gaskell, 1999; Moscovici, 1988) una molteplicità di dimensioni locali. In particolare ipotizziamo che le rappresentazioni sviluppate localmente a fini pratici e situati adottino i temi fondamentali delle rappresentazioni sviluppate a livello più alto, riorganizzandone le relazioni interne, avviando in tal modo un processo di trasformazione graduale. M. Bonaiuto, Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, Sapienza Università di Roma; CIRPA -­‐ Centro Interuniversitario di Ricerca in Psicologia Ambientale Lo studio riguarda la reputazione di città come rappresentazione multidimensionale dell'ambiente urbano per la sua utenza -­‐con particolare attenzione agli effetti 64
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d’interesse si focalizza inizialmente sul fenomeno del teacher stress (Kyriacou, et al. 1977), inquadrato come esperienza dell’insegnante nel provare, sul luogo di lavoro, emozioni negative quali rabbia, tensione, etc.. Studi successivi hanno sottolineato che, in mancanza di adeguate strategie di coping, si può giungere a esiti anche estremi, quali la forma di patologia organizzativa del teacher burnout, per cui, secondo Schaufeli ed Enzmann (1998), gli insegnanti manifesterebbero, sempre più frequentemente, generalizzati maggiori livelli di burnout al confronto con altre professioni. In questo quadro si colloca l’obiettivo della presente ricerca: esporre e discutere casi di studio riguardanti lo specifico ambito organizzativo scolastico (medio superiore). E stato utilizzato lo strumento “Valutazione dei Rischi Psicosociali” (Va.RP-­‐M) (Nardella, Aiello, 2012) nella forma per medie organizzazioni, in un’ulteriore forma qui appositamente studiata per i contesti organizzativi scolastici. Hanno partecipato alla ricerca 100 lavoratori di scuola medie di secondo grado di tre città di medie dimensioni, situate nell’Italia centrale. I risultati mettono in luce principalmente un emergente e generalizzato stato di malessere legato alle dimensioni valutative, comprese nel Modello VARP, dell’equità percepita, del ruolo, dell’avanzamento di carriera, della leadership e della flessibilità lavorativa e la carenza di strategie di coping. Nell’insieme le conclusioni dello studio forniscono indicazioni che dibattute in relazione al più ampio quadro della letteratura sul benessere organizzativo e con particolare attenzione a specifiche “azioni competenti” da pianificare in riferimento ai contesti scolastici. Il presente contributo esplora questa ipotesi prendendo a esempio il tema della sostenibilità energetica, che come altre questioni ambientali connette strettamente dimensione locale e globale (Castro, 2009). Le rappresentazioni della sostenibilità energetica sono state esplorate a partire da testi prodotti tra il 2009 e il 2012 da politici, amministratori e stakeholder nazionali, regionali e locali. Il corpus, costituito da dibattiti parlamentari, consultazioni, interviste con osservatori privilegiati, è stato sottoposto ad analisi del contenuto qualitative e quantitative. I risultati, in via di definizione, suggeriscono una riflessione sulla possibilità di considerare i frames elaborati localmente come manifestazioni situate di più ampie rappresentazioni condivise a livello societario. MALATTIA CRONICA E RAPPRESENTAZIONI SOCIALI: DAI ROMANZI AUTOBIOGRAFICI AGLI ARTICOLI SCIENTIFICI F. Emiliani, S. Potì, Dipartimento di Scienze dell'Educazione, Università di Bologna In questo contributo verrà discusso il tema delle rappresentazioni sociali della malattia cronica -­‐ in particolare dell'emofilia -­‐ nella letteratura e nel dibattito scientifico sull'argomento. A partire dal topos dello scrittore malato, si passerà a considerare le malattie letterarie e le immagini della malattia veicolate attraverso i romanzi. Nel caso dell'emofilia si prenderà in considerazione in particolare uno specifico genere letterario, l'autobiografia, nell'ambito del quale verranno considerati i principali nuclei tematici stabili della rappresentazione della malattia, che riguardano la diagnosi, il rapporto con i fratelli/sorelle, il sostegno della famiglia, i processi di socializzazione con i pari e il rapporto con lo staff medico (Massie & Massie, 1975; White & Cunningham, 1992). MODI REGOLATORI E SUCCESSO IMPRENDITORIALE. UN MODELLO DI MEDIAZIONE CON L’ALERTNESS. B. Barbieri, C. Amato, A. Pierro, Dipartimento di Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione,” Sapienza” Università degli studi di Roma Le considerazioni emerse verranno messe in connessione con i risultati di una rassegna della letteratura scientifica sul tema, di cui si prenderà in considerazione in particolare la trattazione del processo di normalizzazione (McDougal, 2002) e il valore protettivo di routine e rituali in caso di malattia cronica (Emiliani, 2008). R.A. Baron, School of Entrepreneurship, Oklahoma State University Numerosi studi sottolineano il ruolo chiave dell’imprenditore nel determinare il successo di una nuova impresa. Nonostante si sia indagato intorno a caratteristiche di personalità e cognitive che possano predire il successo aziendale, sono, ad oggi, poco conosciuti i meccanismi che entrano in gioco nella relazione “persona imprenditore”-­‐ successo. Il presente contributo intende verificare in che misura due aspetti specifici di regolazione della condotta (locomotion e assessment), predicano il successo delle piccole imprese. Coerentemente con quanto sostenuto in letteratura, ci si propone di indagare tale effetto all’interno di un modello di mediazione, in cui l’effetto indiretto della locomotion e dell’assessment sul successo è mediato dall’alertness imprenditoriale, ovvero dalla vigilanza verso le opportunità di business più redditizie. Il modello di mediazione è stato testato su 99 imprenditori di piccole e medie imprese, i quali hanno risposto ad un questionario composto da scale tese a misurare gli orientamenti alla locomotion e all’assessment, l’alertness e il successo aziendale. I risultati dimostrano, come ipotizzato, che sia l’orientamento alla locomotion che l’orientamento all’assessment giocano un ruolo importante: tanto più gli La trattazione permetterà di riflettere sulla costruzione delle rappresentazioni sociali della malattia, articolate sulla base di nuclei centrali ed elementi periferici, e sul confronto tra conoscenza del senso comune e conoscenza scientifica. Venerdì 27 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2E SESSIONE PROCESSI PSICOSOCIALI E ORGANIZZAZIONI Moderatore: Lucia Mannetti RISCHI PSICOSOCIALI E STRATEGIE DI COPING IN AMBITO SCOLASTICO. C. Nardella, Università di Modena e Reggio Emilia A. Aiello, Università di Pisa II tema benessere organizzativo è ormai diventato oggetto di ampio dibattito anche per gli specifici contesti organizzativi scolastici (Santavirta et al., 2007). Lo studio sul tema 65
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Introduzione. Il presente contributo nasce all’interno del filone di studi che si interroga sulla rappresentazione della professione e della figura dello psicologo. Nell’attuale contesto universitario italiano si assiste spesso ad uno scollamento tra formazione triennale e magistrale da un lato, e acquisizione di professionalità di base e specialistica dall’altro. Mentre a livello europeo acquistano rilevanza gli apporti di nuovi ambiti della psicologia, che rendono disponibili ulteriori possibilità occupazionali, nel nostro paese sembra prevalere la tendenza ad iscriversi ai corsi di laurea in Psicologia per seguire una formazione clinica e terapeutica. imprenditori che fondano una propria impresa hanno punteggi elevati in entrambi gli orientamenti, tanto più sono vigili verso le giuste opportunità e, conseguentemente, ottengono maggior successo nelle proprie attività di business. Da una parte, infatti, l’alertness è correlata significativamente e in maniera positiva al successo aziendale, dall’altra, sia la locomotion che l’assessment sono antecedenti dell’alertness imprenditoriale. I risultati aprono un filone di studi sull’applicabilità della teoria dei modi regolatori al settore dell’imprenditorialità, lasciando aperti nuovi sviluppi, in cui ad essere indagate potrebbero essere altre variabili legate all’imprenditoria. Obiettivi e Metodi. A partire da tali premesse, sono state indagate le rappresentazioni degli studenti universitari rispetto alla professione dello psicologo. A tal fine è stato utilizzato uno stimolo scritto al quale hanno risposto 106 studenti del corso di Laurea Triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche. Per acquisire una più profonda immagine di quanto essi hanno espresso, il materiale raccolto è stato analizzato con il software T-­‐LAB, utilizzando una metodología quali-­‐quantitativa di tipo simbolico-­‐strutturale. DISCREPANZA TRA ATTEGGIAMENTI IMPLICITI ED ESPLICITI VERSO UN’ORGANIZZAZIONE C. Zogmaister, Dipartimento di Psicologia, Università di Milano Bicocca Introduzione: Gli atteggiamenti impliciti delle persone sono talvolta incoerenti con quelli espliciti. Accade per esempio che le persone descrivano un atteggiamento positivo i contenuti del proprio lavoro ma abbiano al contempo reazioni spontanee negative verso gli stessi contenuti. Recenti studi socio cognitivi evidenziano che tale discrepanza attitudinale può influenzare cognizione e comportamento, provocando per esempio stati di disagio, dubbio e la ricerca di informazioni volte a risolvere l’incoerenza. Nel presente lavoro è stato studiato l’impatto della discrepanza implicito-­‐
esplicito su importanti comportamenti organizzativi (assenteismo e lavoro straordinario). Risultati. Dall’analisi del materiale raccolto è emersa la con-­‐
fusione dei futuri psicologi rispetto alla settorialità della professione e all’importanza di una specificità nella formazione in ogni ambito. Inoltre, è affiorata una difficoltà degli studenti di collocare la figura dello psicologo in una connotazione che non sia esclusivamente di cura: i significati attribuiti alle potenziali applicazioni della psicologia rimandano a modalità prettamente clinico-­‐assistenziali, finalizzate alla diagnosi e all’alleviamento di sofferenze e disagi. Obiettivi e metodi: La ricerca è stata effettuata col metodo correlazionale ed ha coinvolto N = 30 operatori e N = 27 volontari che prestano servizio in Comunità Terapeutiche per tossicodipendenti, oltre a N = 30 persone che non avevano contatti diretti con tossicodipendenti. Queste persone hanno risposto a un questionario di self report e a una misura implicita d’atteggiamento verso i tossicodipendenti. Gli operatori hanno indicato anche il numero di giorni d’assenza dal lavoro e il numero di occasioni in cui hanno svolto lavoro straordinario nei sei mesi precedenti la ricerca. Conclusioni. Questi risultati offrono spunti di riflessione sulla necessità di individuare nuovi percorsi formativi e professionali che possano sostenere i diversi ambiti occupazionali della psicologia. Risultati: È emerso che al crescere del grado di discrepanza implicito-­‐esplicito aumentava il numero di giornate di assenteismo riportate e diminuiva il numero di occasioni in cui era stato svolto lavoro straordinario. Coerentemente con l’ipotesi che la discrepanza implicito-­‐esplicito sia vissuta come spiacevole e le persone cerchino di ridurla, tale discrepanza diminuiva con il numero di anni di esperienza lavorativa. Conclusioni: Questi risultati sottolineano l’importanza degli aspetti impliciti della cognizione umana, evidenziandone l’impatto su comportamenti che sono rilevanti sia per il singolo individuo poiché sono spia di disagio, sia per l’organizzazione per le importanti ricadute economiche. Cosa spinge le persone a dedicarsi volontariamente all’aiuto dell’altro? Perché decidono d’essere costanti nell’impegno? La letteratura evidenzia un complesso di fattori interrelati che chiamano in causa elementi disposizionali e situazionali: l’attitudine alla pro-­‐socialità (Penner et al., 2005), i sistemi motivazionali (Omoto, & Snyder, 2000), le dinamiche identitarie (Guglielmetti, 2003) e i contesti relazionali-­‐
organizzativi (Duca, & Ferrittu, 2006). In tal senso, il volontariato si collocherebbe in una zona di frontiera, di passaggio tra egoismo e altruismo, tra fare per sé e adoprarsi per gli altri, tra individuo e collettività. La ricerca ha coinvolto 144 volontari di due organizzazioni socio-­‐sanitarie, una di livello internazionale (Croce Rossa Italiana-­‐CRI) e una di livello Venerdì 27 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 3I SESSIONE SOCIETÀ CIVILE E CONVIVENZA DI DIVERSITÀ Moderatore: Caterina Arcidiacono DIMENSIONI SOGGETTIVE E INTERSOGGETTIVE NEL VOLONTARIATO: UN CONFRONTO FRA ORGANIZZAZIONI SOCIO-­‐SANITARIE O. Licciardello, G. Di Marco, M. Mauceri, R. M.C. La Guidara, Scienze della Formazione, Università degli Studi di Catania IL LAVORO DELLO PSICOLOGO DAL PUNTO DI VISTA DEGLI STUDENTI UNIVERSITARI: UNA RICERCA QUALI-­‐
QUANTITATIVA F. Tuccillo, S. Scotto di Luzio, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli “Federico II” 66
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contribuenti all’evasione fiscale. nazionale (Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia) della Sicilia orientale. Sono stati utilizzati strumenti quali: Function Volunteer Inventory (VFI, Omoto e Snyder, 1995), Termometri dei Sentimenti, Differenziali Semantici. Dai risultati è emerso che la funzione Valori motivasse maggiormente al volontariato; significativamente inferiore (ma, comunque, apprezzata) la funzione auto-­‐centrata dell’Accrescimento. I volontari delle “Misericordie”, più di quelli della CRI, hanno valutato più positivamente le funzioni più squisitamente utilitaristiche (Carriera e Conoscenza), ma anche l’opportunità relazionale rappresentata dalla funzione Sociale. Molto favorevole, in entrambi i gruppi, il giudizio circa la percezione generale del Clima Interno;con riferimento specifico alle Relazioni tra Colleghi, i volontari della CRI hanno espresso maggiore soddisfazione rispetto ai volontari delle “Misericordie”. Dai Differenziali Semantici è emersa una rappresentazione estremamente positiva, quasi idealizzata, del “Volontariato”; favorevolmente valutata “l’Utenza” pur se con un punteggio inferiore alla rappresentazione di Sè come volontario. ‘CORTOCIRCUITI’ ARGOMENTATIVI NEI DIBATTITI POLITICI SULL’ENERGIA SOSTENIBILE: QUALE SPAZIO PER LA PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI? S. Brondi, C. Piccolo, B.M. Mazzara, Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, “Sapienza” Università di Roma Il successo del processo di transizione energetica dagli attuali sistemi produttivi ad altri maggiormente sostenibili passa anche attraverso la fruttuosa collaborazione tra responsabili politici, operatori e cittadini (Schweizer-­‐Ries, 2008). A questo proposito le politiche e i dibattiti pubblici – al pari dell’innovazione tecnologica – giocano un ruolo importante nel favorire od ostacolare tanto lo sviluppo di pratiche individuali quanto la partecipazione attiva di intere comunità (Castro e Mouro, 2011). Muovendo da queste premesse, il presente contributo si propone di affrontare il modo in cui il tema dell’energia sostenibile è socialmente costruito nei dibattiti politici al fine di individuare, nelle rappresentazioni che i policy maker sviluppano, elementi di inclusione o di esclusione della cittadinanza. Nello specifico si è scelto di considerare l’energia sostenibile come l’area di un triangolo i cui vertici sono definiti dagli utenti, dall’energia, e dal sistema produttivo (Devine-­‐Wright, 2007) e si è esaminato se e come, nell’argomentazione dei discorsi politici, tali elementi siano tra loro concatenati favorendo o ostacolando l’emergere di una vera e propria cittadinanza energetica. Un ampio corpus, costituito da testi integrali di dibattiti parlamentari e consultazioni con stakeholder avvenuti negli anni 2009-­‐2012, è stato sottoposto ad analisi del contenuto qualitativa e quantitativa. I risultati indicano che i discorsi sull’energia sostenibile sono orientati in una direzione che esclude la partecipazione attiva dei cittadini. Anche laddove sembra emergere una maggiore sensibilità verso la piena sostenibilità, ‘cortocircuiti’ argomentativi ostacolano l’emergere di una rappresentazione della cittadinanza energetica e lasciano poco spazio al contributo delle comunità e alle ricettività verso iniziative dal basso. VARIAZIONI PARADOSSALI NELLA PROPENSIONE A NON PAGARE LE TASSE IN ITALIA G. Pantaleo, Università Vita-­‐Salute San Raffaele, Milano C.A. Veneziani, Università degli Studi di Padova S. Visentin, Università Vita-­‐Salute San Raffaele, Milano Secondo le teorie dell’intensità della motivazione e delle emozioni (Brehm & Self 1989; Brehm 1999; Wright & Pantaleo 2013) la forza di una spinta motivazionale aumenta in proporzione alla grandezza degli ostacoli che vi si contrappongono, per ridursi drasticamente di fronte a ostacoli eccessivi. Le ricerche di Gendolla et al (e.g. 2000), inoltre, dimostrano che l’umore, influenzando la percezione della grandezza degli ostacoli, è in grado di anticipare o posticipare tale caduta motivazionale. L’esperimento mira a dimostrare come sia possibile modulare—e quindi anche ridurre—la tendenza a non pagare le tasse intervenendo contemporaneamente 1) su ciò che ne ostacola la spinta e 2) sull’umore dei partecipanti. E’ stata ipotizzata, quindi, un’interazione a due vie tra il tipo di umore indotto (negativo vs. neutro) e la forza degli ostacoli contrapposti a tale tendenza (bassa vs. intermedia). Se un piccolo ostacolo dovrebbe cioè essere sufficiente a diminuire la propensione a NON pagare le tasse nelle persone con umore neutro, un ostacolo più grande dovrebbe, invece, essere paradossalmente necessario per provocare una diminuzione analoga nella spinta motivazionale a NON pagare le tasse nei partecipanti con umore negativo. Nei partecipanti veniva quindi sperimentalmente a) indotto, con un filmato, umore neutro vs. negativo e b) manipolata la percezione della forza dell’ostacolo, presentando loro i dati di una ricerca fittizia per convincerli che pagare le tasse avrebbe consentito di ottenere un piccolo vs. maggiore vantaggio personale. I risultati confermano la significatività dell’interazione ipotizzata tra la forza dell’ostacolo e la valenza dell’umore sull’intensità della spinta motivazionale a NON pagare le tasse (F (1, 34) = 5.35, p < .028), e suggeriscono, in conclusione, come—in linea di principio—sia possibile agire sia sull’umore che sulla grandezza degli ostacoli per demotivare i LE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI DEL DIRITTO D’ASILO IN ITALIA: IL PUNTO DI VISTA DEGLI OPERATORI DEL SISTEMA DI ACCOGLIENZA T. Mancini, B. Bottura, C. Cilardo, Dipartimento di Lettere, Arte, Storia e Società, Università degli Studi di Parma M. Rossi, Associazione CIAC Onlus (Centro Immigrazione Asilo e Cooperazione internazionale), Parma Introduzione: Lo studio si inserisce in un più ampio progetto finanziato dal Fondo Europeo Rifugiati 2010 volto ad analizzare le Rappresentazioni Sociali del Diritto d’Asilo diffuse in Italia e tra gli operatori dei servizi di accoglienza. Nel nostro Paese i percorsi di accoglienza sono caratterizzati dalla simultaneità dei bisogni giuridici, sanitari e sociali presentati dagli utenti e da una presa in carico distribuita tra diversi servizi e diverse tipologie di operatori. Obiettivi E Metodi: Obiettivo generale è stato esplorare le Rappresentazioni Sociali delle pratiche istituzionali che 67
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Venerdì 27 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2A strutturano attualmente il sistema di accoglienza italiano. Nello specifico, attraverso un’intervista semistrutturata, sono state analizzate le criticità percepite e le possibili soluzioni proposte da 256 operatori, individuati sulla base del ruolo professionale e della funzione svolta nelle fasi del percorso di accoglienza dei migranti forzati (accesso, emersione/diagnosi, presa in carico). Le risposte sono state codificate ‘in vivo’ selezionando le espressioni più rappresentative, attribuite da due giudici indipendenti a 4 aree di criticità/soluzioni (giuridica, professionale, relazionale e organizzativa), sottoposte ad analisi delle corrispondenze lessicali e, successivamente, scomposte in categorie di contenuto omogenee. SIMPOSIO: L’INTRECCIO TRA LE GENERAZIONI PER LA PROMOZIONE DEL BENESSERE Proponente: Margherita Lanz e Silvio Ripamonti Discussant: Orazio Licciardello Presentazione del simposio I rapporto fra le diverse generazioni sono trasversali ai diversi contesti di vita delle persone e possono, potenzialmente, essere il motore della promozione del benessere favorendo la costruzione delle identità personali che trovano una diversa estrinsecazione nei diversi ambiti di vita. Le dinamiche intergenerazionali possono però essere anche generatrici di dinamiche ricche di complessità e resistenze ostacolando il potenziale di sviluppo presente nei soggetti nelle diverse età della vita. Il simposio pone in primo piano la questione della generatività potenziale tra le generazioni che si confrontano in differenti ambiti della vita sociale: famiglia, lavoro e comunità, che rappresentano tre snodi critici della vita delle persone e vedono implicate le generazioni in differenti forme di scambio. I lavori presentati si focalizzano sull’intreccio fra le generazioni evidenziando come il confronto fra di esse possa far emergere i ruoli e le funzioni differenti svolte da ciascuna generazione nella promozione di benessere individuale e sociale. In particolare l’analisi del clima familiare nel passaggio all’età adulta evidenzia la dimensione generativa delle dinamiche di scambio presenti tra figli e genitori che in tale fase di transizione si incontrano/scontrano mettendo in luce diverse modalità di promozione delle giovani generazioni. Il livello sociale, identifica nei costrutto di cittadinanza degli adolescenti e di coesione intergenerazionale due aree nelle quali i rapporti tra le generazioni si esprimono con maggiore intensità. Infine l’area del lavoro, identifica nelle dinamiche tra generazioni che si innescano nella fase di socializzazione lavorativa e negli effetti del processo di identificazione tra gruppi di differenti età le aree di interesse privilegiato da monitorare per valutare gli esiti dell’incontro tra senior e junior, in termini di outcome, di autoefficacia e di qualità percepita sui luoghi di lavoro. Risultati: L’analisi ha evidenziato criticità/soluzioni percepite dagli operatori in riferimento più ai loro bisogni formativi e ai problemi organizzativi che alle procedure giuridiche o alle relazioni con gli utenti. Conclusioni: Sembra diffusa una Rappresentazione Sociale che vede il sistema di accoglienza dispersivo nei tempi e nella distribuzione delle risposte. La fase dell’accesso in particolare è percepita come la più critica per la mancanza di specifici protocolli operativi di invio. La soluzione proposta riguarda la necessità di un maggiore raccordo tra i nodi della rete del sistema e tra gli operatori. ESSERE LAICO: CORRELATI PSICOLOGICI E SOCIALI Z. Hichy, M. Halim Helmy Gerges, S. Platania, G. Santisi, Università di Catania Introduzione. Secondo il diritto canonico i laici sono i fedeli non chierici, ovvero, tutti i fedeli ad esclusione di quelli appartenenti all’ordine sacro. Nel linguaggio comune, tuttavia, il termine laico, indica la separazione tra stato e istituzioni religiose e, quando il termine è riferito alle persone, una persona che considera la religione come una questione privata. Obiettivi e metodi. L’obiettivo di questo studio è quello di creare una scala multifattoriale per rilevare l’laica e di indagare le relazioni tra tali credenze e alcuni costrutti psicosociali (ad es., apertura mentale, autoritarismo e identità religiosa). Inoltre, si è voluto verificare l’influenza dell’ideologia laica su alcune questioni sociali (ad es., eutanasia, matrimonio tra persone dello stesso sesso). Hanno partecipato alla ricerca un gruppo di italiani a cui è stato somministrato un questionario contenente gli item della scala di laicità e le misure dei costrutti indagati. NEGOZIARE LA CITTADINANZA TRA GENERAZIONI E CULTURE: PROSPETTIVE DI GIOVANI E ADULTI C. Albanesi, E. Cicognani, B. Zani, Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna Risultati. Le analisi hanno verificato la multifattorialità della scala di laicità. Sono state trovate, inoltre, varie relazioni con i costrutti indagati; ad esempio, la laicità è correlata positivamente con l’apertura mentale e negativamente con autoritarismo e identità religiosa. Infine, si è visto che l’ideologia laica influenza l’atteggiamento nei confronti delle questioni sociali indagate; ad esempio, le persone più laiche accettano maggiormente l’eutanasia. Introduzione e obiettivi. Scopo del contributo è analizzare i processi psicosociali implicati nel processo di costruzione della cittadinanza nei contesti significativi per giovani e adolescenti di diverse culture e esaminare come questi sono negoziati nel rapporto tra le generazioni in riferimento alla partecipazione civica e politica delle giovani generazioni. Metodi. I dati sono stati raccolti con metodi qualitativi. Sono stati realizzati 13 focus group (FG) con giovani e adolescenti, mentre la prospettiva degli adulti (segnalati dai partecipanti ai FG come importanti fonti di influenza sui temi politici e sociali) è stata raccolta mediante 13 interviste individuali Conclusioni. Tale ricerca indica che l’ideologia laica ha varie sfaccettature che sono coerenti con i costrutti psicosociali considerati. Inoltre, tali credenze influenzano questioni sociali rilevanti per i diritti civili dell’individuo. 68
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semistrutturate. I temi affrontati sono: la concezione di cittadinanza, le risorse disponibili per la partecipazione dei giovani, la misura dell’impegno dei giovani; le aspettative e le risposte degli adulti. Lo studio dimostra quindi l’effetto del processo di identificazione con il gruppo su outcomes direttamente collegati alla performance lavorativa. Nei FG sono stati coinvolti 85 partecipanti (40 maschi, 45 femmine), di cui 28 italiani, 28 albanesi e 29 marocchini, di età compresa tra 14 anni e 26 anni. Le interviste sono state realizzate con 2 genitori per ciascun gruppo etnico, 2 insegnanti e 5 operatori dei media. I dati sono stati sottoposti a analisi del contenuto tematico (Braun & Clarke, 2006) utilizzando NVivo 8. GENERATIVITA’ E GENERAZIONI: IL RUOLO DEL CLIMA GENERATIVO M. Lanz, E. Marta, Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica di Milano S. Tagliabue Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica di Brescia Risultati e conclusioni. Le analisi mostrano che i giovani attribuiscono agli adulti “di potere” molte responsabilità per l’assenza delle nuove generazioni sullo scenario civico e politico e confermano che la famiglia ha un ruolo cruciale nel processo di costruzione della cittadinanza e di partecipazione delle giovani generazioni (Zukin et al., 2006). Essa è l’unica agenzia di socializzazione alla quale viene esplicitamente riconosciuta una funzione “normativa” su questioni di interesse sociale e collettivo. La direzione di tale influenza tuttavia, non è univoca ma riflette l’intersezione tra età, genere e cultura. La generatività è un processo psicologico e sociale: grazie ad esso le generazioni vengono curate e sostenute nella loro successiva presa di responsabilità in famiglia e nella società (Erikson, 1964; McAdams, 1992, 1998). La famiglia fa esperienza di generatività fin dalla sua costituzione mostrando come la generatività sia strettamente connessa alle relazioni reciproche tra le generazioni (Imada, 2004). Durante la transizione all’età adulta le famiglie affrontano un momento cruciale per la generatività: i genitori devono compiere il passaggio alla generatività sociale mentre i figli devono acquisire la generatività , caratteristica propria dell’adulto. E’ in tale fase di passaggio familiare che è possibile indagare il clima familiare generativo inteso come esito dello scambio fra le generazioni all’interno delle relazioni familiari. Obiettivo del lavoro è di testare un modello di clima generativo familiare in famiglie con giovani-­‐
adulti. L’EFFETTO DELLA SENIORITY SU AUTOEFFICACIA LAVORATIVA E COMPORTAMENTI DI CITTADINANZA ORGANIZZATIVA: UN APPROCCIO INTERGRUPPI R. Chiesa, Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna Il contesto demografico degli ultimi decenni ha sollecitato numerosi studi sul tema dell’aging nei luoghi di lavoro ed, in particolare, sono stati evidenziati diversi stereotipi, soprattutto negativi, associati ai lavoratori “anziani”. La seniority è però un attributo che va oltre l’età anagrafica, ma si accompagna spesso anche ad uno status elevato all’interno dell’organizzazione dovuto all’anzianità lavorativa e all’esperienza maturata. 160 famiglie composte da madre, padre e almeno un giovane adulto di età compresa tra i 21 e i 27 anni (48.1% maschi; 36.9% lavoratori) che vive con i genitori, hanno compilato diversi strumenti: Loyola Generativity Scale; Family Satisfaction Scale; Value transmission scale; Parent-­‐child Relationship Care Scale; Promotion of volitional functioning. L’analisi dei dati conferma il modello ipotizzato. Se ne evince che : 1. Genitori e giovani adulti hanno lo stesso livello di generatività individuale; 2. i giovani adulti contribuiscono notevolmente alla costruzione del clima generativo familiare; 3. la generatività può essere considerata anche come processo e outcome co-­‐costruito all’interno delle relazioni familiari. Ragionare in termini di gruppi o contesti generativi consente di approfondire il concetto di generatività identificandone non solo le caratteristiche individuali ma anche quelle relazionali che rendono un sistema generativo. Il presente studio affronta questo tema attraverso una prospettiva intergruppi. Nello specifico intende verificare l’effetto del processo di identificazione con il gruppo di junior vs senior e la percezione di permeabilità tra gruppi, definiti secondo la Teoria dell’Identità Sociale (Tajfel e Turner, 1979), sull’autoefficacia e i comportamenti di cittadinanza organizzativa (OCB) di lavoratori junior e senior. La survey ha coinvolto un campione di 352 dipendenti (53% under 35 e 47% over 50) di un’azienda di servizi. Attraverso l’analisi dei cluster sono stati identificati tre gruppi (gli identificati senior, gli identificati junior e i permeabili). I RAPPORTI TRA GENERAZIONI NEI LUOGHI DI LAVORO: LA SOCIALIZZAZIONE LAVORATIVA TRA STRUMENTALITÀ E GENERATIVITÀ. L’analisi della varianza multivariata a 3 vie (cluster x età x ruolo) ha mostrato che l’appartenenza ai diversi cluster ha un effetto differente a seconda dell’età (under 35 vs. over 50) e del ruolo (operaio, impiegato, dirigente) sull’autoefficacia lavorativa e sugli OCB dei partecipanti: in particolare, gli over50 appartenenti al gruppo di identificati con i junior o al gruppo dei permeabili mostrano maggiore autoefficacia e comportamenti di OCB dei colleghi coetanei che si identificano con il gruppo senior, eccezion fatta per i dirigenti, mentre per i giovani avviene il contrario, in quanto sono proprio coloro che si identificano con il gruppo senior a mostrare i punteggi più elevati. S. Ripamonti, A. Bruno, B. Bertani, L. Galuppo, C. Kaneklin, G. Scaratti, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Il presente lavoro prende spunto da due ricerche aventi per tema lo scambio tra le generazioni nei luoghi di lavoro. La prima ricerca si è incentrata sulla socializzazione lavorativa e sulla costruzione dell’identità professionale nella fase di ingresso al mondo del lavoro dei neolaureati, approfondendo lo scambio generazionale tra senior e junior. Questa prima indagine ha evidenziato, attraverso 69
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un’esplorazione di tipo qualitativo, quattro modalità di interazione prevalenti nel processo di scambio tra le generazioni. La seconda ricerca ha come obiettivo il confronto tra le generazioni di senior e junior nell’esperienza di intership o tirocinio curricolare, che rappresenta un luogo/tempo al confine tra l’università e il mondo del lavoro, entro il quale il processo di costruzione dell’identità degli studenti e dei giovani neolaureati subisce forti sollecitazioni. I risultati della ricerca evidenziano che l’esito del tirocinio curricolare dipende dallo scambio che si attiva tra le generazioni che si incontrano nei luoghi di lavoro. Le attese e le prefigurazioni dei tutor delle organizzazioni ospitanti generano una prefigurazione di ruolo per i tirocinanti che è determinante rispetto agli esiti formativi dell’esperienza stessa. Tali attese sono l’esito dell’incontro tra la generazione dei senior e degli junior e dal rapporto di scambio che si costruisce nei luoghi di lavoro. Il presente contributo mette a confronto i risultati delle due ricerche fatte per identificare alcune ipotesi sullo scambio tra generazioni nei luoghi di lavoro. In particolare si identificano alcune modalità prevalenti di relazioni che sono orientate su un continuum che a partire da un rapporto meramente strumentale si sposta fino a poter identificare un tipo di relazione generativa secondo il modello simbolico-­‐relazionale. Attraverso i risultati ottenuti dalle autrici in ambito nazionale e internazionale vengono illustrate alcune modalità di intervento che promuovono l’empowerment femminile, ossia la consapevolezza e l’autostima, favorendo la ri-­‐
appropriazione della soggettività e dell’autonomia. Tali obiettivi vengono raggiunti attraverso pratiche che investono o dovrebbero investire i vari livelli di intervento, dall’individuale fino al sociale, coinvolgendo la rete degli operatori e favorendo il cambiamento nelle relazioni sia inter-­‐
generi che intra-­‐genere. MODELLI MEDIATICI E OGGETTIVAZIONE, OVVERO COME INCREMENTARE L’ADESIONE A STEREOTIPI SESSISTI C. Rollero, N. De Piccoli, Dipartimento di Psicologia, Università di Torino Introduzione: La letteratura sull’oggettivazione ha ampiamente dimostrato che l’esposizione a modelli mediatici oggettivati incrementa l’insoddisfazione e la vergogna nei confronti del proprio corpo, contribuendo all’insorgenza di forme depressive e di disturbi alimentari. Obiettivi e metodi: Il lavoro qui presentato intende ampliare lo studio delle conseguenze di tale esposizione -­‐ esaminando sia modelli maschili che femminili – in relazione al benessere psicologico, all’autostima e all’adesione ad atteggiamenti sessisti. A tal fine sono stati reclutati 166 studenti universitari (51.8% maschi) ed è stato utilizzato un disegno fattoriale 2 (genere dei partecipanti) x 3 (condizione sperimentale: oggettivazione maschile, oggettivazione femminile, condizione di controllo). Venerdì 27 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 2D SIMPOSIO GENERE E VIOLENZE: CONTESTI, PRATICHE DI INTERVENTO, MODALITÀ DI RESILIENZA Risultati: I risultati hanno dimostrato che, per gli uomini, la visione di modelli oggettivati maschili decresce il benessere, mentre per le donne l’esposizione a modelli oggettivati femminili non solo diminuisce il benessere ma anche la percezione di attraenza e di autostima sociale. Inoltre, l’oggettivazione femminile influenza il sessismo degli uomini, incrementando l’ostilità verso le donne e contemporaneamente attenuando quella verso il proprio genere. Proponenti: Elisabetta Camussi e Nadia Monacelli Discussant: Fortuna Procentese Presentazione simposio Il tema della violenza contro le donne è oggi oggetto di indagine e di dibattito nel discorso pubblico, anche a causa dei numerosi casi riportati dalla cronaca che vedono le donne vittime di atti violenti e/o mortali o di tante altre forme di denigrazione. Non altrettanta riflessione viene specificamente dedicata all’analisi critica delle ‘pratiche’ di prevenzione ed intervento né alle forme di resilienza che le donne provano a mettere in atto. Conclusioni: Lo studio evidenzia il ruolo chiave che detengono i media non solo nell’influenzare variabili individuali, quali l’autostima o il benessere percepito, ma anche nel veicolare e rinforzare specifici stereotipi. Il simposio affronta la violenza di genere in riferimento alle diverse dimensioni definitorie secondo una prospettiva non riduzionista. Vengono in particolare considerati fattori di ordine psicosociale quali i processi di influenza mediatica, la socializzazione di genere, le rappresentazioni e le pratiche degli operatori, lo spazio di ‘resistenza’ delle vittime. LA RESILIENZA DELLE DONNE VITTIME DI VIOLENZA DI GENERE E I VINCOLI DEGLI INTERVENTI DI TUTELA N. Monacelli, Dipartimento di Economia, Università di Parma Le diverse modalità di presa in carico delle donne vittime di violenza, la pluralità delle loro storie di vita assieme al moltiplicarsi delle figure di riferimento delineano percorsi di sostegno differenziati sia nel loro divenire sia nei loro esiti. Allo stato delle cose è importante chiedersi quali sinergie sviluppano queste diverse figure, come si coordinano per venire incontro ai bisogni delle loro assistite, ma anche in che modo e da chi vengono definiti questi bisogni. L’ipotesi che ha guidato la ricerca è stata che fosse possibile individuare le criticità del percorso nei termini di conseguenze inattese e potenzialmente iatrogene degli interventi. Il contributo I contributi descrivono, attraverso diversi approcci teorico/empirici: la socializzazione, attuata per via matrilineare, al ruolo femminile subordinato; la rappresentazione stereotipata della violenza domestica dominante tra gli operatori anche psicologi; i modelli, spesso impliciti, di intervento che riducono lo spazio di autonomia delle vittime; l’influenza mediatica sui processi di percezione di se’ e sull’insoddisfazione e la vergogna nei confronti del proprio corpo. 70
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‘essere sé stesse, il proprio corpo’. A condizione che venga favorito l’instaurarsi di relazioni collaborative tra donne e l'esistenza di luoghi di elaborazione condivisa. presenta l’analisi di un caso singolo. L’osservazione partecipata sulla quale si fonda l’analisi è iniziata quando la signora ID, al 4 mese di gravidanza, si è presentata presso un consultorio familiare di una città emiliana chiedendo aiuto in seguito alle percosse subite dal marito. I dati, relativi a 4 mesi di osservazione, sono stati raccolti in diari e note che comprendono la descrizione degli eventi, dei loro protagonisti e dei significati che questi ultimi attribuiscono agli eventi stessi. Lo svolgersi delle diverse azioni e retroazioni compiute dai protagonisti è stato analizzato valutando sia la responsabilità da loro assunta, intesa come consapevolezza/comprensione del proprio ruolo sia la dimensione etica del loro agire intesa come la posizione/funzione/capacità riconosciute all’altro. Il modello implicito di intervento proposto dagli operatori dell’associazione che ha ospitato ID e dei servizi sociali è prevalentemente quello della sostituzione. ID, in nome della tutela, si è così ritrovata ad essere subordinata a un progetto di vita che la riguardava, ma alla definizione del quale non le era permesso partecipare e che le rimaneva pertanto oscuro e sconosciuto; posizione drammaticamente analoga a quella in cui si trovava nella relazione con il marito. LA VIOLENZA DOMESTICA NELLA PRATICA DEGLI PSICOLOGI C. Arcidiacono, I. Di Napoli, Dipartimento Studi Umanistici, Università Federico II Introduzione: La letteratura recente propone linee guida per l’intervento sulla violenza contro le donne (Reale, 2011; Romito, 2012; Testoni 2012) ma, Arcidiacono, & Di Napoli, (2012) hanno piuttosto, evidenziato aree critiche nell’intervento e formazione di medici di famiglia (Di Napoli, Aria, Arcidiacono, &Tuccillo 2012), parroci (Arcidiacono, et al, 2012) e operatori di servizi non dedicati (Di Napoli, 2012).Arcidiacono ed Esposito (2013) forniscono, anche, riflessioni sulle modalità con cui giovani psicologi, in formazione, illustrano la gestione di casi di violenza domestica. La presente ricerca indaga, invece, rappresentazioni e interventi professionali dello psicologo. Obiettivi e metodi: Il lavoro è, infatti, teso a conoscere come gli psicologi gestiscono i casi di violenza e la loro rappresentazione della violenza sulle donne nelle sue diverse forme. ‘QUELLE PIÙ MAGRE…’: VIOLENZA RAPPRESENTAZIONI DEL CORPO MEDIATICA E E. Camussi, C. Annovazzi, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Milano, Bicocca Sono stati intervistati 100 psicologi iscritti all’albo di psicologi e/o psicoterapeuti della Campania, con differente anzianità professionale, e operanti in servizi pubblici e privati e in associazioni. Introduzione: Nella contemporaneità dell’occidente l’ideale estetico femminile prevalente mostra donne sempre (più) giovani, snelle, sessualmente attraenti: standard estetici irrealistici, statisticamente raggiungibili solo da poche donne, attraverso il mercato della cosmesi. Ne derivano pratiche estenuanti, dai costi molto alti sul piano economico, del tempo e delle energie, nonché sul piano fisico e dell’investimento psicologico. Inoltre il continuo confronto tra il proprio corpo e il modello mediatico produrrebbe frustrazione, senso di inadeguatezza e scarsa autostima, favorendo i processi di auto-­‐oggettivazione e la limitazione di esperienze di vita positive. Sono stati discussi i risultati ottenuti dalla somministrazione di un questionario, costituito da item su scala autoancorante (Di Napoli e Arcidiacono, 2012), relativi: alla valutazione degli atti di violenza intrafamiliare e sessuale; alla gestione del caso di violenza; alla percezione del proprio senso di adeguatezza; alla necessità di una formazione personale della gestione dei casi di violenza. A conclusione sono stati analizzati racconti della esperienza professionale nella gestione di violenza domestica. Risultati E Conclusioni: Tra i risultati è emerso un atteggiamento di evitamento rispetto alla violenza e alla sua vittima, richiamando, pertanto, la necessità di introdurre nei corsi di laurea uno spazio dedicato alla formazione della presa in carico della violenza domestica Obiettivo e metodo: Il contributo presenta i risultati della seconda fase di un progetto di ricerca sulle rappresentazioni sociali del corpo femminile in donne di diverse generazioni. L’obiettivo di questa fase è l’indagine a livello microgenetico, attraverso l’Analisi Tematica delle produzioni discorsive di due gruppi di partecipanti (20 giovani donne e 20 donne adulte: lavoratrici, scolarità medio alta, residenti al Nord). La domanda principale di ricerca riguarda la percezione dei processi di influenza mediatica e le possibili forme di ‘resistenza’ discorsiva. PROGETTO EMPOWER: PSICODRAMMA E ELABORAZIONE DEL MATERNO IN VITTIME DI VIOLENZA DOMESTICA. I. Testoni, Dipartimento FISPPA, Università di Padova Introduzione. Empower è un progetto europeo inscritto nel Daphne Programme, volto a sostenere donne vittime di violenza domestica. Ha coinvolto Associazioni di Psicodramma e Centri antiviolenza in sei Paesi: Italia, Albania, Austria, Bulgaria, Portogallo, Romania. Obiettivi e metodi: L’ipotesi del progetto ha rispettato quanto indicato dall’agenda della Conferenza di Pechino, la quale suggeriva di lavorare sul mandato generazionale familiare che mantiene le usanze di sottomissione della donna da secoli in tutto il mondo e anche in Occidente. Empower ha dunque lavorato con lo psicodramma sul rapporto madre-­‐figlia al fine Risultati: L’Analisi mostra gli effetti ‘violenti’ dell’influenza mediatica e la pressione all’omologazione. Emerge in particolare quanto il canone estetico proposto dai media sia violento e pervasivo: tuttavia, nessuna delle partecipanti dichiara di apprezzarlo completamente, né di condividerlo. Conclusioni: Dalle narrazioni emergono dimensioni critiche, auto-­‐riflessive e di potenziale “resistenza” discorsiva alla violenza mediatica: l’interiorizzazione dello sguardo oggettivante non riesce infatti a prevalere sul desiderio di 71
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di riconoscere come e se gli insegnamenti materni inducono le donne vittime di violenza ad adottare un ruolo subordinato rispetto all’uomo, al fine di permettere loro di metterlo in discussione e scoprire altri schemi relazionali. Grazie alla psicodramma è possibile infatti inscenare i modelli interiorizzati e vederli in funzione, tanto da poterli poi modificare. La novità metodologica di Empower è consistita nel promuovere una medesima linea di intervento psicosociale integrandolo con tecniche psicodrammatiche, misurandone parzialmente l’effetto nei tempi di entrata e uscita, con test standardizzati (SaiR e Core-­‐Om) e metodi qualitativi applicati ai report redatti in inglese regolarmente dagli operatori di tutti i Paesi. Risultati: Per indagare le rappresentazioni del modello femminile interiorizzato sono stati dunque analizzati di tutti i Paesi i report pervenuti regolarmente. Le figure di madre che risultano sono: intrusiva, distante, inefficace e violenta. Conclusioni: La ricerca ci permette quindi di ipotizzare che le vittime di violenza domestica abbiano a che fare con madri che, in quanto a loro volta vittime di una cultura tradizionalista che impone loro la subordinazione, non sono capaci di educare le figlie all’autodeterminazione e al rispetto di sé. Conclusioni. Lo studio dimostra il ruolo causale svolto dai meccanismi retorici (e dal contesto in cui essi sono usati) nell’influenzare il giudizio psicosociale. LE FEMMINE SONO “IMPREPARATE” MENTRE I MASCHI “SBAGLIANO”: IL RUOLO IMPLICITO DELL’ASTRAZIONE LINGUISTICA NELL’OSTACOLARE LA CARRIERA ACCADEMICA DELLE DONNE M. Menegatti, M. Rubini, Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna Raggiungere l’uguaglianza di genere nel mondo del lavoro rappresenta ancora una delle sfide più importanti della nostra società. La persistenza delle barriere di genere è tuttavia particolarmente preoccupante quando riguarda l’Università, luogo di sviluppo della conoscenza e del cambiamento sociale. La ricerca in tale ambito ha evidenziato che, nonostante leggi e regole esplicite proibiscano tale discriminazione, le donne hanno meno probabilità di accedere alla carriera accademica e di raggiungere posizioni elevate. Obiettivo di questo contributo è indagare se le variazioni dell’astrazione linguistica nei giudizi dei candidati e delle candidate a posizioni accademiche costituisca un mezzo per aggirare tali regole formali e discriminare implicitamente le donne nel momento della selezione. Venerdì 27 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 3I SESSIONE LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE Il campione è costituito da 814 giudizi formulati da 139 commissari (96 maschi; 46 femmine) su 194 candidati (118 maschi; 76 femmine) a posizioni accademiche dell’Università di Bologna. Per ogni giudizio sono stati codificati la valenza e il livello di astrazione di verbi ed aggettivi sulla base del Modello delle Categorie Linguistiche. Moderatore: Mara Cadinu UNO STUDIO QUASI-­‐SPERIMENTALE SULL’INFLUENZA DEI MECCANISMI RETORICI NEI DISCORSI POLITICI A. Gnisci, A. Pace, Dipartimento di Psicologia, Seconda Università degli studi di Napoli, Caserta I risultati hanno evidenziato che le candidate femmine sono descritte con termini positivi più concreti e negativi più astratti dei candidati maschi e che tale discriminazione linguistica è perpetrata solamente dai commissari maschi. In altri termini, i commissari maschi descrivono le candidate femmine in modo più sfavorevole ascrivendo loro caratteristiche negative astratte, generalizzabili e durevoli nel tempo. È inoltre emerso il bias linguistico di selezione per cui i candidati selezionati sono generalmente descritti con termini positivi più astratti e negativi più concreti di quelli non selezionati. Introduzione. I meccanismi retorici sono un importante strumento di comunicazione (e.g., Billig, 1985,1987, 1991; Potter, 1996b; Toulmin, 1958, 1990). In particolare, alcune categorie di persone, come i politici, se ne avvalgono strategicamente per persuadere l’uditorio circa la correttezza delle proprie opinioni. Obiettivi e Metodo. Le ricerche sui meccanismi retorici sono solitamente condotte con studi qualitativi o correlazionali. Con l’obiettivo di investigare l’influenza di tali meccanismi sul giudizio psicosociale, è stato in questo caso condotto uno studio quasi-­‐sperimentale. Innanzitutto, sono state create due versioni di un discorso politico persuasivo privo di meccanismi retorici: uno riguardava la politica nazionale, l’altro quella universitaria. Per ciascuna versione, sono stati poi preparati altri sette discorsi, ciascuno con un differente meccanismo: la ripetizione, la metafora, il contrasto, la generalizzazione, l’umorismo, la domanda-­‐soluzione e la lista. Dopo aver letto uno dei sedici discorsi creati, i partecipanti completavano un questionario per valutare il parlante e il suo stile comunicativo. Le implicazioni di questi risultati saranno discusse considerando l’astrazione linguistica come uno strumento implicito e quindi “legale” per ostacolare la carriera accademica delle donne. “LA TV DEL MIO VICINO È PIÙ ORRIBILE DELLA MIA”. SCENARI CULTURALI E POSIZIONAMENTI PSICOSOCIALI DELL’AUDIENCE R. Scardigno, M. Marzano, G. Mininni, Dipartimento di Scienze della formazione, psicologia e comunicazione, Università degli Studi di Bari Aldo Moro Risultati. La metafora (in misura maggiore) e l’umorismo (in misura minore) hanno influenzato in negativo i giudizi psicosociali sul parlante e il suo stile comunicativo. La versione universitaria ha favorito positivamente i giudizi sul parlante e il suo stile. Nelle società globali contemporanee i media sono i punti di snodo tra le culture e le matrici di soggettività a livello personale e istituzionale (Valsiner 2010). In particolare le reti locali di trasmissione televisiva possono far valere contratti di 72
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rispetto alla quale sono stati formulati, ed inoltre come il grado di astrazione linguistica sia scarsamente in relazione con la capacità di generare repliche e condivisioni per ogni messaggio. comunicazione basati su una speciale clausola di identificazione tra le soggettività enunciatrici di senso, accreditandosi come portavoce del proprio uditorio. L’obiettivo del progetto è di indagare le peculiarità e le specificità che rendono l’emittenza locale pugliese uno dei canali privilegiati ai fini della costruzione, veicolo e rinnovo delle varie forme della cultura locale. Si tratta della modalità principale attraverso la quale l’emittenza costruisce un legame con il pubblico, considerato che l’appartenenza locale si configura come un posizionamento prioritario nella costruzione dialogica e radicata della soggettività. Si mira, pertanto, ad individuare le credenze e i valori che sottendono alla forma di vita culturale in questione, verificando altresì il modo in cui l’emittenza locale costruisce, organizza e mette in gioco la propria “credibilità” (Gili, 2005) per l’identificazione di tali scenari. L’ASTRAZIONE SALVERÀ IL MONDO: UN’ESPLORAZIONE DEL LINGUISTIC INTERGROUP BIAS IN UNA PRATICA DISCORSIVA RELIGIOSA. M. Marzano, R. Scardigno, G. Mininni, Università Aldo Moro, Bari Le principali tradizioni di ricerca in psicologia sociale convergono nel riconoscere il valore modellante delle pratiche discorsive per i processi di interazione tra persone e tra gruppi. Secondo il Linguistic Intergroup Bias, ad esempio, in una condizione intergruppi i comportamenti attesi e stereotipati vengono sistematicamente descritti in termini relativamente astratti, mentre si utilizzano termini più concreti quando si devono descrivere i comportamenti non attesi e non stereotipati (Maass e Arcuri, 1992). Obiettivo dello studio è di esplorare il LIB nelle pratiche discorsive religiose, e di verificare l’esistenza di regolarità nelle scelte linguistiche all’interno di tali pratiche facendo riferimento ad una strategia più complessiva di elaborazione del senso, rilevabile anche ad altri livelli di organizzazione testuale. La nostra ipotesi dunque, mira a fornire un contributo all’integrazione teorico-­‐metodologica tra gli approcci della social cognition e del socio-­‐costruzionismo, in una prospettiva di indagine psicosemiotica etichettata diatestualismo (Mininni, 2003, 2010). Attraverso l’analisi di alcuni testi di omelie relative a riti (ad es., funebri) di persone appartenenti a categorie opposte in termini di responsabilità e pregiudizio, abbiamo voluto verificare come perfino questa speciale pratica discorsiva di estrema presa in carico dell’altro riveli una sottile attivazione del LIB. Le analisi dei dati testuali, effettuate anche con l’ausilio di T-­‐Lab, suggeriscono inoltre come il confronto tra la polarità “astratto-­‐concreto” operi anche ad altri livelli più olistici di analisi dei testi (ad esempio lo stile modalizzato vs. assertivo) mettendo in luce un quadro articolato e non sempre lineare che evidenzia la complessità dell’analisi psicosemiotica nel contesto sociale. Il materiale videoregistrato verrà sottoposto a un doppio esame: con l’analisi del contenuto (Lancia, 2004) si mira a individuare i principali nuclei tematici delle interazioni mediatiche; con l’analisi psicosemiotica delle immagini e dei discorsi (Mininni, 2004; 2007) si cerca di cogliere le retoriche socio-­‐epistemiche (Berlin 1993) che inquadrano i contratti di gestione dei significati specifici ai generi di programmazione considerati. Il confronto dei risultati evidenzia percorsi sia di “ibridazione” che di “polarizzazione” delle strategie di costruzione identitaria perseguite dai programmi, che sembrano assumere molteplici funzioni: esasperare i format proposti dall’emittenza nazionale, promuovere la disseminazione della cultura locale, fidelizzare l’audience LA COMUNICAZIONE SUI SOCIAL NETWORK. UNA ANALISI MEDIANTE IL MODELLO DELLE CATEGORIE LINGUISTICHE S. Ruggieri, S. Boca, C. Scaffidi Abbate, Dipartimento di Psicologia, Università di Palermo Introduzione. L'avvento di Internet, ed in particolare dei Social Network Site e del Web 2.0, ha rivoluzionato le interazioni sociali tra gli individui nel corso dell'ultimo decennio. I blog, Facebook e Twitter sono i tre principali strumenti che hanno contribuito a trasformare il nostro modo di comunicare, sempre meno visto come un processo passivo, e sempre più orientato lungo la dimensione dell'interazione. Numerose sono infatti le ricerche che hanno analizzato il fenomeno del passaparola all'interno di questi contesti. Venerdì 27 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 3F Obiettivi e Metodi. Obiettivo del presente studio è l'analisi delle comunicazioni all'interno dei contesti virtuali del Web 2.0. In particolare, sono stati raffrontati gli stili comunicativi all'interno dei tre contesti virtuali d'interazione più diffusi, Facebook, Twitter ed i blog, analizzandone anche la loro capacità di generare repliche e condivisioni in funzione dello stile comunicativo utilizzato. Lo strumento di cui ci si è avvalsi è stato il Linguistic Category Model. SESSIONE FENOMENI PSICOLOGICO POLITICI E ORIENTAMENTO MODERATORE: GIUSEPPE PANTALEO LA VALUTAZIONE DI FENOMENI SOCIALI DELLA POLITICA ATTRAVERSO LA MISURA BREVE DI ORIENTAMENTO ALLA DOMINANZA SOCIALE Il campione di riferimento sono i messaggi postati da influencer molto famosi con all'attivo migliaia di follower, che utilizzavano tutti e tre gli strumenti per comunicare. A. Aiello, D. Morselli, F. Prati, C. Serino, F. Pratto, A. Stewart, F. Bou Zeineddine, Università di Pisa Risultati e conclusioni. I risultati hanno mostrato come strumenti diversi orientino e condizionino la comunicazione in modo differente, indipendentemente dall'area tematica Nel presente studio, dimensioni e valutazioni sociali della politica sono state prese in esame e messe in relazione con la 73
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misura breve di Orientamento alla dominanza sociale, delineata da Pratto e collaboratori (“Short-­‐Social dominance orientation”, SSDO; Pratto et al, 2013). Un insieme di 170 intervistati, residenti in tre diverse aree regionali italiane, ha risposto a un “questionario internazionale” comprendente la SSDO. L’intento di questo studio è stato principalmente quello di studiare le specifiche relazioni intrattenute da tale strumento verso temi di snodo di psicologia sociale della politica e di confermare la dimensionalità della SSDO. In particolare, visto il carattere internazionale dello studio, si è considerato il modo di valutare/orientarsi degli intervistati verso un recente fenomeno politico-­‐sociale: i movimenti di protesta Arabi (Arab uprising). Su questa linea, i risultati mettono in luce come il differente orientarsi in termini di dominanza sociale si leghi in modi del tutto peculiari alla diversa “giustificazione dello status-­‐quo” (Jost, 2006) di assetti politico-­‐sociali dichiaratamente antidemocratici. Altre dimensioni valutative ipotizzate e rivelatesi particolarmente salienti, hanno messo in luce le relazioni intrattenute dalla SSDO verso la valorizzazione della “protezione delle minoranze”, il sostegno verso fasce di popolazione a rischio esclusione sociale (“i poveri”), le differenze tra i Generi. Si è studiata inoltre la conferma delle relazioni tra dominanza sociale e orientamenti politici degli intervistati. La discussione si impegna a focalizzare come, su temi e problemi picologico-­‐
politici particolarmente attuali e di snodo -­‐ anche per il contesto italiano -­‐ la SSDO si conferma in grado di far emergere un quadro di relazioni particolarmente articolato, con ricadute sulle teorie della Dominanza sociale e della Giustificazione del sistema, che verranno in sede di discussione criticamente richiamate. I risultati mostrano che, mentre l’identificazione con un gruppo sociale rilevante e la percezione di efficacia si confermano essere dei predittori positivi dell’intenzione a recarsi alle urne, la rabbia è risultata essere un predittore negativo. I diversi livelli di efficacia (individuale vs. di gruppo) e di identificazione (gruppo di votanti vs. sostenitori del proprio partito) sono risultati predittori significativi in sottogruppi specifici. I risultati confermano che il modello SIMCA può essere in parte applicato per spiegare anche le intenzioni di voto. Tuttavia, la presenza di sentimenti di rabbia sembra poter favorire il non-­‐voto come forma di non-­‐partecipazione attiva. La discussione si soffermerà sul significato attribuito al voto politico come mezzo per produrre un cambiamento sociale. COMUNICARE L’UNIONE EUROPEA: EREDITA’ O PROGETTO COMUNE? F. La Barbera, P. Cariota Ferrara, Università degli Studi di Napoli “Federico II” La comunicazione relativa all’UE può essere basata su prospettive differenti in merito all’UE stessa, che propongono differenti rappresentazioni del collective self (Herrmann & Brewer, 2004). La ricerca che presentiamo è stata incentrata su due differenti prospettive: UE come eredità comune vs. UE come progetto comune (Herrmann & Brewer, 2004; La Barbera, Cariota Ferrara & Boza, 2013; Reijerse et al., in press). Nella prospettiva dell’eredità comune, l’UE è fondata sulla credenza che vi sia un etnos comune che gli Europei hanno ereditato dal passato e condividono nel presente (Bruter, 2003). Nella prospettiva del progetto comune, invece, l’UE è fondata sulla credenza che vi siano obiettivi sociali, politici ed economici condivisi da raggiungere nel futuro (La Barbera et al., 2013). Due esperimenti hanno analizzato gli effetti di due comunicazioni relative all’UE basate su queste differenti prospettive sull’identificazione con l’UE, l’atteggiamento verso l’integrazione europea e l’atteggiamento verso l’allargamento dell’UE (Boomgaarden et al., 2011; Karp & Bowler, 2006). Inoltre, essendo entrambi gli atteggiamenti correlati all’identificazione con l’UE (Fuchs & Schlenker, 2006), è stato verificato se l’identificazione stessa fosse il mediatore dell’effetto della comunicazione sull'atteggiamento verso l’integrazione e l’allargamento dell’UE. Il messaggio basato sulla prospettiva del progetto comune è risultato più efficace di quello basato sulla prospettiva dell’eredità comune nel promuovere l’identificazione con l’UE, così come un atteggiamento positivo verso l’integrazione e l’allargamento dell’UE. Nel caso dell’atteggiamento verso l’allargamento, l’effetto della comunicazione è parzialmente mediato dall'identificazione. IL VOTO POLITICO COME FORMA DI AZIONE COLLETTIVA? D. Mazzoni, E. Cicognani, Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna M. Van Zomeren, Department of Social Psychology, University of Groningen, Groningen, Netherlands Sebbene il voto politico sia stato in genere studiato come comportamento individuale, vi sono circostanze nelle quali potrebbe essere considerato e analizzato anche come una forma di azione collettiva volta a produrre un cambiamento sociale. Secondo il Social Identity Model of Collective Action (SIMCA, Van Zomeren, Postmes, e Spears, 2008) l’intenzione ad attivarsi in varie forme di azione collettiva dipenderebbe dall’identificazione con un gruppo sociale rilevante, da sentimenti condivisi di rabbia, e dalla percezione di efficacia nel produrre cambiamenti sociali. Obiettivo principale di questo studio è stato quello di applicare il modello SIMCA alla spiegazione delle intenzioni di voto alle elezioni politiche italiane del Febbraio 2013. Un campione di 210 studenti universitari (47 % maschi, età media 24 anni) ha compilato un questionario nel mese precedente le elezioni. Il questionario includeva le seguenti aree: orientamento politico, opposizione al governo precedente, identificazione (con il gruppo di votanti e con i sostenitori del proprio partito), efficacia percepita (individuale e di gruppo), rabbia, intenzione di voto. RELAZIONI AUTOMATICHE A STIMOLI NEGATIVI IN CONSERVATORI E PROGRESSISTI: APPROCCIO O EVITAMENTO? P. Negri, L. Carraro, L. Castelli, Università Degli Studi di Padova Conservatori e progressisti sono diversi non solo per opinioni e stili di vita, ma anche per processi cognitivi di base. In particolare, i conservatori presentano un’attenzione 74
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testare queste due ipotesi superando i limiti metodologici dei test condotti in precedenza (Wichman et al., 2006), mediante l’adozione di un disegno di ricerca propriamente familiare e l’applicazione dell’analisi multilivello. Hanno partecipato allo studio 96 famiglie italiane, composte da entrambi i genitori e due figli (primogeniti, età media = 23.7 anni, e secondogeniti, età media = 19.5 anni), per un totale di 384 partecipanti, cui è stata richiesta la compilazione individuale della sottoscala di Conservatorismo del Portrait Values Questionnaire (Schwartz et al., 2001). I risultati supportano chiaramente la prima ipotesi di Sulloway, anche controllando gli effetti di altre variabili within-­‐family (es: genere) e between-­‐family (es: livello di istruzione dei genitori ed età della madre alla nascita del primogenito); le interazioni tra i valori di padri e madri da un lato e l’ordine di genitura dei figli dall’altro non hanno invece influito sul conservatorismo di questi ultimi. Vengono discusse le implicazioni dei risultati e i futuri sviluppi per la ricerca. automatica selettiva per gli stimoli negativi (Carraro et al., 2011). Il presente contributo si propone di indagare le risposte comportamentali automatiche nei confronti di stimoli positivi/negativi. Nello Studio 1, utilizzando un Implicit Approach Avoidance Task (Paladino & Castelli, 2008), ai partecipanti sono state presentate al centro del monitor immagini positive/negative, alcune senza alterazioni, mentre altre a mosaico. Al partecipante, era chiesto di indicare se le immagini fossero normali oppure a mosaico, senza nessun riferimento esplicito alla valenza, con un movimento di avvicinamento oppure di allontanamento della mano dallo stimolo. I conservatori si sono dimostrati più lenti con le immagini negative vs. positive, sia in approccio che in evitamento, confermando quindi come la loro attenzione automatica sia catturata proprio da tali immagini. Inoltre, i conservatori hanno manifestato una tendenza automatica ad allontanarsi non appena possibile da tali stimoli, essendo più rapidi nell’evitare vs. approcciare stimoli negativi. In seguito, a livello esplorativo, nello Studio 2, le reazioni comportamentali sono state indagate con uno strumento innovativo in grado di rilevare la traiettoria descritta con il mouse nel categorizzare gli stimoli (Mouse Tracker; Freeman & Ambady, 2010). Ai partecipanti sono state presentate le immagini usate nello Studio 1, ed era chiesto loro di categorizzarle sia in base alla valenza che alla modalità con cui erano presentate (due compiti controbilanciati). Nel categorizzarle, dovevano compiere un movimento con il mouse dal centro inferiore del monitor a uno dei due vertici superiori del monitor stesso, descrivendo quindi una curva. Anche in questo caso i risultati hanno mostrato delle modulazioni legate all’ideologia politica del partecipante Venerdì 27 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 2B GLI EFFETTI A LUNGO TERMINE DEL PERDONO CONIUGALE E IL RUOLO MODERATORE DELLE SCUSE PROFFERTE F. G.Paleari, Università degli Studi di Bergamo S. Pelucchi, C. Regalia, Università Cattolica di Milano Molteplici studi dimostrano che la propensione al perdono favorisce il benessere delle vittime che a sua volta comporta ripercussioni positive sulla tendenza a perdonare. Le evidenze a sostengo di questi nessi di influenza reciproca riguardano tuttavia lassi temporali perlopiù limitati. McNulty e colleghi (2008; 2011) hanno inoltre recentemente messo in dubbio gli effetti benefici del perdono, riscontrando attraverso studi sperimentali e longitudinali che il perdono riduce il rispetto di sé, la chiarezza del concetto di sé e la soddisfazione matrimoniale qualora venga concesso a partner che sono poco accomodanti, non si scusano, né cercano di rimediare alle offese commesse. SESSIONE: RELAZIONI FAMILIARI Moderatore: Norma De Piccoli L’obiettivo di questo lavoro è verificare gli effetti reciproci a lungo termine del perdono coniugale e del benessere individuale e relazionale, nonché il ruolo moderatore eventualmente svolto dalla tendenza del partner a pentirsi e chiedere scusa per le offese commesse. NATI PER ESSERE CONSERVATORI? UN’ANALISI MULTILIVELLO DELLA RELAZIONE TRA ORDINE DI GENITURA E CONSERVATORISMO D. Barni, S. Alfieri, Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano 62 coppie sposate hanno compilato per due volte, a distanza di 10 anni l’una dall’altra, un questionario finalizzato a rilevare: la tendenza a perdonare il coniuge, alcuni indicatori di benessere individuale (la presenza di sintomi depressivi, l’autostima e la soddisfazione per la vita) e benessere relazionale (la qualità del rapporto coniugale e il suo grado di intimità), la percezione della tendenza da parte del partner a pentirsi e chiedere scusa per le offese arrecate. M., Roccato, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino A., Vieno, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli Studi di Padova Secondo Sulloway (1996), che costituisce il principale punto di riferimento per gli psicologi sociali interessati alla relazione fra ordine di genitura e conservatorismo, lo status di primogenito, avendo portato a godere in via esclusiva delle cure genitoriali fino alla nascita del secondogenito, può impattare sui valori, gli atteggiamenti e le ideologie politiche delle persone in due modi diversi. Da un lato, porterebbe a cercare di preservare lo status quo e dunque ad aderire alle ideologie conservatrici. Dall’altro, spingerebbe a identificarsi fortemente con i genitori, fino a interiorizzarne in larga misura i valori politici, indipendentemente dal loro essere conservatori o progressisti. Il presente studio si propone di I dati, analizzati mediante modelli di equazioni strutturali evidenziano che, mentre per i mariti non sussistono effetti significativi a lungo termine, per le mogli è il perdono ad influire a 10 anni di distanza sul benessere individuale e relazionale, e non viceversa. Tali effetti risultano principalmente dovuti alla notevole stabilità che la propensione a perdonare il coniuge manifesta nel tempo e sono più pronunciati nel caso in cui le mogli siano sposate a uomini che a loro avviso sono poco inclini a pentirsi e chiedere scusa. 75
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focalizza sull’other-­‐serving bias, una strategia coinvolta nel processo di mantenimento dell’identità di coppia. 102 fidanzati hanno svolto in coppia un compito dal risultato interdipendente e hanno compiuto attribuzioni di responsabilità rispetto all’esito. Nel secondo studio 203 giovani adulti in una relazione di coppia hanno attribuito un valore monetario alla propria identità di coppia. In entrambi gli studi i partecipanti hanno completato misure preliminari di intrusività genitoriale. BISOGNI E PERCEZIONI DI CONCILIAZIONE E TELELAVORO IN LOMBARDIA: UNO STUDIO PILOTA F. Cilento, E. Brivio, C. Galimberti, Centro Studi e Ricerche di Psicologia della Comunicazione, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Il presente contributo raccoglie i primi risultati della fase quantitativa di una ricerca più ampia che ha come obiettivo l’individuazione di buone pratiche nella conciliazione lavoro-­‐
famiglia e nel telelavoro. I nuovi contesti tecnologici e produttivi, grazie al telelavoro, possono venire incontro alle esigenze di flessibilità sia della persona sia del contesto lavorativo. Ciò si associa ad una maggiore femminilizzazione del mercato del lavoro, attrazione di talenti e soddisfazione del personale con un aumento della produttività, e riduzione di stress, assenteismo, o turn over. In Italia sussiste il problema di credenze confuse su questi temi. Lo scopo della fase quantitativa del progetto è sia di esplorare credenze, conoscenze e associazioni relative alla conciliazione e al telelavoro, sia quantificarne il bisogno reale e potenziale all’interno della popolazione lombarda. Lo strumento di indagine sarà un questionario costruito ad hoc somministrato via internet nel periodo di maggio-­‐luglio 2013, composto da tre aree: dati sociodemografici, descrizione della conciliazione (bisogni soddisfatti e non, caratteristiche della mansione, ecc.), telelavoro (professioni compatibili al telelavoro, adattabilità della propria mansione al telelavoro, ecc.). Il campione, reclutato online utilizzando la tecnica a valanga, sarà composto da circa 400 persone suddivise equamente per genere, età, inquadramento professionale e stato genitoriale. Dall'analisi ci si attende di ottenere una descrizione approfondita di conciliazione, lavoro e telelavoro presente attualmente nel territorio lombardo. I risultati ottenuti saranno utilizzati come punto di partenza per l’approfondimento qualitativo della seconda fase della ricerca, il cui obiettivo è indagare il tema in profondità presso gli stakeholders (istituzioni, aziende e lavoratori) in maniera dialogico conversazionale (focus group, interviste) per creare buone pratiche relative al telelavoro e alla conciliazione. Risultati. Nel primo studio i partner manifestano l’other-­‐
serving bias solo in caso di bassa intrusività genitoriale. Nel secondo studio i partecipanti con genitori intrusivi attribuiscono minore valore alla propria identità di coppia; il legame tra intrusività e identità di coppia è inoltre mediato dalla chiarezza del concetto di sé. Conclusioni. La capacità della famiglia di “lasciare andare” i figli non influisce solo sul processo di costruzione dell’identità individuale, ma anche sull’acquisizione dell’identità di coppia dei figli. Venerdì 27 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 3G SESSIONE PREGIUDIZIO E DISCRIMINAZIONE Moderatore: Luigi Castelli GLI EFFETTI DELLA DISCRIMINAZIONE PER ETÀ SUI LAVORATORI ANZIANI A. R. Donizzetti, Dipartimento di Studi Umanistici, Università “Federico II”, Napoli L’Unione Europea, da alcuni anni, ha indicato come obiettivo da perseguire quello del prolungamento della vita lavorativa attraverso la promozione dell’invecchiamento attivo e l’aumento della partecipazione nel mercato del lavoro, in un approccio life-­‐cycle. Tale obiettivo è stato recentemente recepito anche dall’Italia con l’innalzamento dell’età pensionabile e l’equiparazione tra uomini e donne, che comporterà l’aumento, negli anni, del numero di lavoratori anziani. L’obiettivo del presente studio è quello di verificare se i lavoratori più anziani percepiscono di subire delle discriminazioni a causa della loro età e di valutare gli effetti di tali percezioni e di altre variabili psicosociali sulla soddisfazione lavorativa e sulla volontà di cambiare lavoro e/o di andare in pensione prima. RELAZIONI FAMILIARI E PROCESSI IDENTITARI: INTRUSIVITÀ GENITORIALE E COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ DI COPPIA M. Parise, R. Iafrate, C. Manzi Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Introduzione. L’acquisizione di un assetto identitario chiaro e distinto è influenzato dalla modalità in cui il sistema familiare tratta i confini psicologici dei suoi membri. Il raggiungimento di un’identità matura è facilitato dalla presenza di confini chiari all’interno della famiglia. Al contrario, la violazione dei confini psicologici da parte dei genitori, o intrusività genitoriale, interferisce con i processi identitari dei figli. A tal fine saranno presentati i risultati di uno studio, che ha coinvolto 200 lavoratori con una età media di 52.98 anni (DS = 5.84, range = 45-­‐69) quasi equamente distribuiti per genere (femminile: 53%). È stato somministrato un questionario self-­‐
report comprendente i seguenti strumenti: Job Satisfaction Scale, OCS, Perception of Ageist Communication, Beliefs about older workers, Scala di Efficacia Personale Percepita nelle organizzazioni produttive, Self-­‐Estreem Scale, Work Performance, Work Ability. Sono state condotte analisi della varianza, correlazionali e di regressione. Obiettivi e Metodi. La letteratura si è concentrata quasi esclusivamente sugli effetti negativi dell’intrusività genitoriale sul sé individuale dei figli durante l’infanzia e l’adolescenza. Il presente lavoro intende verificare l’influenza dell’intrusività genitoriale sui processi identitari a livello del sé relazionale, e in particolare dell’identità di coppia, dei figli in età giovane adulta attraverso due studi sperimentali. Il primo studio si Dalle analisi è emerso che subiscono maggiori discriminazioni lavorative a causa della propria età i maschi e i lavoratori più anziani (54.69 anni). Coloro che non sono soddisfatti, coloro 76
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L’identità etnica è una delle dimensioni cruciali che entra in gioco nei processi di formazione del sè. Tale tematica è assai indagata nelle minoranze etniche, mentre scarsi sono gli studi che focalizzano l’esperienza dei figli adottivi: essi vivono una situazione del tutto particolare da alcuni definita come migrazione “in solitaria” (Scherman, 2010), caratterizzata dalla mancata condivisione dell’origine etnica con i genitori adottivi (Lee, 2003). Se recenti studi hanno sottolineato l’importanza cruciale dei fattori relazionali per la promozione della costruzione dell'identità (Scabini & Manzi, 2009), sia in ambito internazionale che nel contesto italiano, sono relativamente pochi i contributi che considerano i fattori che favoriscono il processo di costruzione dell’identità etnica (Branscombe et al., 1999; Mohanty et al. 2006), dimensione riconosciuta come rilevante per il benessere dell’adottato (Basow et al., 2008). In questa direzione, il presente studio intende indagare il ruolo di due fonti di influenza per la costruzione dell’identità etnica. In primo luogo, obiettivo del lavoro è verificare se e in che misura la socializzazione culturale consente l’identificazione con il gruppo etnico di nascita. In secondo luogo, si intende analizzare se e in che modo la percezione di discriminazione da parte dell’adottato sia legata alla costruzione dell’identità etnica. I partecipanti sono 128 ragazzi italiani in adozione internazionali di età compresa tra i 15 e i 25 anni, nati in America Latina e le loro madri. Le analisi, attraverso un modello di path analisi, hanno evidenziato come i genitori svolgano un ruolo fondamentale nel sostenere il processo di identità etnica attraverso le strategie di socializzazione culturale, mentre la percezione di discriminazione influenzerebbe negativamente la costruzione dell'identità etnica. I risultati saranno discussi alla luce delle implicazioni per l’intervento con le famiglie adottive. che avendone la possibilità cambierebbero lavoro o andrebbero in pensione prima hanno più elevati livelli di burnout e di percezioni di discriminazioni per età. Saranno inoltre presentati nel dettaglio le relazioni tra le suddette variabili. Sarà discussa l’importanza di questi risultati per le strategie volte ad affrontare il fenomeno dell’ageism in contesto lavorativo. ETEROSESSUALE O OMOSESSUALE? IL CASO DEL GIUDIZIO DELL'ORIENTAMENTO SESSUALE SULLA BASE DELLA VOCE F. Fasoli, A. Maass, Università di Padova, Padova S. Sulpizio, F. Vespignani, M. P. Paladino, Università di Trento F. Eyssel, Center of Excellence Cognitive Interaction Technology, Bielefeld, German L’orientamento sessuale è spesso riconoscibile dall’aspetto esteriore, dalle movenze, ma anche dalla voce. Ricerche precedenti condotte sull’inglese hanno mostrato che gli ascoltatori sono molto accurati nel giudicare l’orientamento sessuale del parlante. È davvero così? Siamo davvero in grado di identificare l’orientamento sessuale del nostro interlocutore solo sulla base della sua voce? In una serie di studi, ai partecipanti veniva chiesto di ascoltare delle brevi frasi prodotte da voci maschili, appartenenti a persone che si erano autodefinite eterosessuali o omosessuali, e di indicare l’orientamento sessuale dei parlanti. Gli studi sono stati condotti in due paesi (Italia e Germania); le risposte degli ascoltatori sono state misurate sia su scala Likert a 7 punti (1= esclusivamente eterosessuale; 7 = esclusivamente omosessuale), sia su scala dicotomica (eterosessuale vs. omosessuale) utilizzando il paradigma di Mouse Tracker. I risultati hanno mostrato che i giudizi non erano accurati e che i partecipanti tendevano a categorizzare la maggior parte dei parlanti come eterosessuali. Ciononostante, gli ascoltatori tendevano a fare una distinzione e a percepire alcuni parlanti come sounding gay, ma ciò indipendentemente dal loro reale orientamento sessuale. In studi successivi è stato anche esaminato se gli ascoltatori fossero in grado di riconoscere l’orientamento sessuale di persone che parlavano una lingua diversa dalla loro (es. italiani che ascoltano voci tedesche). I risultati hanno mostrato un pattern analogo al precedente: in generale, il giudizio non è accurato, ma gli ascoltatori tendevano a percepire alcuni parlanti come omosessuali, anche se ciò non sempre corrispondeva all'orientamento sessuale dichiarato. I risultati sono discussi confrontando la letteratura precedente e avanzando potenziali spiegazioni del processo esaminato. COLPEVOLE O INNOCENTE? VARIAZIONI PARADOSSALI NELL’INTENSITÀ DEL PREGIUDIZIO NEI CONFRONTI DI PERSONE CON MALATTIE PSICHIATRICHE A. Rossi, S. Cavedoni, M. P. Marchese, E. Cernuschi, Università Vita-­‐Salute San Raffaele, Milano La teoria delle emozioni paradossali di Brehm (1999; Brehm & Miron 2006; Miron & Pantaleo 2011) prevede che l’intensità di un’emozione debba variare in funzione degli ostacoli (deterrenti) che vi si contrappongono: risulterà elevata in assenza di ostacoli, si ridurrà in presenza di piccoli ostacoli, aumenterà al loro aumentare, e diminuirà nuovamente in presenza di ostacoli eccessivi (trend cubico). Questo lavoro esamina le variazioni nelle componenti affettive di due forme di pregiudizio. Nel primo studio i partecipanti venivano indotti a credere che un malato mentale autore di un crimine ne è sempre responsabile (pregiudizio “colpevolista”). Nel secondo studio veniva indotta la convinzione opposta (pregiudizio “innocentista”). La forza dell’informazione contraria (deterrente) al pregiudizio “colpevolista” veniva manipolata facendo credere ai partecipanti che solo nel 12% dei casi (basso deterrente)—vs. 48% (deterrente medio) vs. 73% (deterrente alto)—i crimini erano stati commessi a causa della malattia mentale. La forza dell’informazione contraria al pregiudizio “innocentista” veniva invece manipolata specularmente, facendo credere ai partecipanti che solo nel 12% dei casi (basso deterrente)—vs. 48% (deterrente medio) COME COSTRUISCONO L’IDENTITÀ ETNICA I RAGAZZI IN ADOZIONE INTERNAZIONALE? UNO STUDIO CROSS-­‐
CULTURALE SUL RUOLO DELLA DISCRIMINAZIONE E DELLA SOCIALIZZAZIONE CULTURALE L. Ferrari, R. Rosnati, Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano R.M Lee, A.W. Hu, Department of Psychology, University of Minnesota. 77
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Un’indagine condotta dall’Osservatorio di Pavia ha evidenziato che il 48% degli Italiani mostra un forte timore nei confronti dell’immigrazione e il 37% degli Italiani la considera una minaccia per la sicurezza nel territorio. A partire da questi dati empirici, nella presente ricerca, attraverso l’ausilio di una misurazione implicita (Implicit Association Test), in un primo studio analizzeremo in che misura gli atteggiamenti nei confronti degli immigrati possono predire i sentimenti di paura nei confronti del crimine e in un secondo studio, se la relazione tra atteggiamento nei confronti degli immigrati e paura del crimine è dovuta a un generalizzato atteggiamento negativo nei confronti degli immigrati (pregiudizio) oppure se tale relazione è direzionata da un atteggiamento che rappresenta gli immigrati come criminali (pregiudizio-­‐stereotipico). I risultati dello Studio 1 indicano che i partecipanti presentano un’associazione tra la categoria sociale dell’immigrato e concetto di criminalità più forte rispetto a quella che lega la categoria dell’immigrato al concetto di giustizia e che tale atteggiamento nei confronti degli immigrati predice la preoccupazione di essere vittima di un crimine, ma non la probabilità di essere vittima di un crimine o il poter controllare l’essere vittima di un crimine. I risultati dello Studio 2 mostrano che è il pregiudizio-­‐stereotipico e non il pregiudizio a predire la paura del crimine. In altre parole, non è l’atteggiamento negativo nei confronti degli immigrati che è associato alla paura del crimine, ma tale sentimento di insicurezza è legato ad una visione stereotipica e negativa degli immigrati, ritratti come criminali. Questa ricerca dimostra che gli atteggiamenti impliciti nei confronti degli immigrati possono strutturare la paura della criminalità e il sentimento di insicurezza. vs. 73% (deterrente alto)—i crimini sarebbero stati commessi anche se le persone NON fossero state affette da patologia mentale (nella condizione di controllo non si faceva alcun riferimento ai deterrenti). I contrasti polinomiali confermano il trend cubico previsto dalla teoria sia per il pregiudizio “colpevolista” (t (53) = 2.01, p =.05) che per quello “innocentista” (t (41) = 2.82, p<.008). Poiché entrambe le forme di pregiudizio si intensificano all’aumentare dei motivi (deterrenti) che ne contrastano l’intensità, questi dati suggeriscono che, per essere efficace, una strategia persuasiva basata sull’impiego di deterrenti dovrà far ricorso a forze di contrasto di entità molto contenuta. Venerdì 27 settembre 2013 (14:30 / 16:30) Aula 3H SIMPOSIO IMMIGRAZIONE, PAURA DEL CRIMINE E I MEDIA Proponente: Caterina Suitner Discussant: Monica Rubini Presentazione del simposio Negli ultimi anni si sono moltiplicate le ricerche scientifiche che si sono poste l’obiettivo di affrontare alcune fondamentali questioni legate al problema dell’immigrazione; esistono, invece, pochi studi dedicati all’analisi degli specifici contenuti e alla ricostruzione dei processi di tipo mediatico grazie ai quali le espressioni di pregiudizio nei confronti degli immigrati possono incrementare o attenuarsi. Il simposio si propone di fornire un’analisi approfondita del ruolo dei media nel formare e consolidare atteggiamenti e sentimenti di paura verso i gruppi di immigrati che vivono in Italia. Il 1° contributo (Del Missier & Girotto) analizza l’effetto di sovrastima della numerosità degli immigrati in Italia e la sua relazione con la paura del crimine. Il 2° contributo (Puvia & Maass) indaga la relazione tra la presenza di militari impiegati nella prevenzione del crimine all’interno di scene urbane e la percezione di sicurezza dei cittadini, rispetto ad altre forze di sorveglianza. Il 3° contributo (Piccoli & Carnaghi) verifica se la paura di essere vittima di un crimine è dovuta a un atteggiamento negativo o se tale sentimento di insicurezza è legato ad una visione stereotipica e negativa degli immigrati stessi, ritratti come criminali. Il 4° contributo (Suitner & Muratore) si focalizza sull’analisi linguistica delle cronache proposte dai mezzi di comunicazione di massa: lo scopo è quello di individuare delle possibili tendenze sistematiche di tipo linguistico, a seconda che il protagonista della notizia di un crimine sia un immigrato oppure un italiano. Il 5° contributo (Vaes, Latrofa, & Arcuri) si focalizza sulla domanda se i riferimenti all’appartenenza categoriale sono un fattore sufficiente per creare stereotipi negativi verso gli immigrati e se il modo in cui gli immigrati sono presentati nei media promuove un legame tra immigrazione e criminalità. LA STAMPA ITALIANA È POLTICAMENTE CORRETTA? UN’INDAGINE SUI BIAS LINGUISTICI CHE ALIMENTANO L’ASSOCIAZIONE STEREOTIPICA TRA CRIMINALITÀ E IMMIGRAZIONE C. Suitner, M. Muratore, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli Studi di Padova Quanti sono, secondo gli italiani, gli immigrati in Italia? Questa domanda ha un valore psicologico-­‐sociale, oltre che politico-­‐sociale. Nonostante l’ampia letteratura esistente sulle stime numeriche, poca attenzione è stata prestata alle stime di gruppi sociali. La letteratura e alcuni sondaggi fanno ipotizzare una potenziale sovrastima degli immigrati. L’evidenza è, però, metodologicamente debole, perché i dati dei sondaggi sulla “percentuale di immigrati” non sono comparabili ai dati ISTAT sulla popolazione straniera residente in Italia. Abbiamo indagato la stima degli immigrati da parte degli italiani e il suo legame con la paura del crimine. In un primo studio (n = 120) è emersa una forte sovrastima della percentuale di immigrati rispetto alle stime ufficiali (+20%). La sovrastima permane anche se si fa riferimento alle persone non in possesso della cittadinanza italiana (e quindi non –o non solo-­‐ agli “immigrati”), rendendo le stime più comparabili ai dati ISTAT. Un secondo studio (n = 178) ha indagato l’effetto del formato di risposta, replicando l’effetto di sovrastima percentuale, ma rilevando una forte riduzione CHI HA PAURA DI CHI? ATTEGGIAMENTI AUTOMATICI VERSO IMMIGRATI-­‐ITALIANI E LA PAURA DEL CRIMINE V. Piccoli, A. Carnaghi, F. Del Missier, Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste 78
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delle stime nel formato ‘frequenze assolute’. Si sono però osservati giudizi di minaccia percepita rispetto all’immigrazione più elevati dopo le stime nel formato ‘frequenze assolute’, corroborando le ipotesi che tale formato possa migliorare l’accuratezza delle stime, ma rendere anche più vivida e concreta la rappresentazione delle entità stimate. Un terzo studio (n = 128), comprendente misure emotive, sociali e cognitive, ha indagato i predittori della stima percentuale degli immigrati e il legame stima-­‐
paura del crimine. La stima è più elevata nei partecipanti con minore competenza numerica e atteggiamento più sfavorevole verso gli immigrati. Inoltre, la stima sembra influire sulla paura mediante il legame percepito criminalità-­‐
immigrazione, sul quale influisce anche l’esposizione ai media. SIMPOSIO IL LATO OSCURO DELLE RELAZIONI INTIME INTERPERSONALI: LA VIOLENZA E I SUOI MECCANISMI DI GESTIONE E PERCEZIONE PSICOSOCIALI Proponente: Anna Costanza Baldry e Irene Petruccelli Discussant: Rosa Rosnati Presentazione del simposio Le relazioni interpersonali ‘intime’ costituiscono fra i principali contesti di confronto, crescita, benessere, sostegno e protezione. La coppia può però anche essere terreno di forti conflitti che sfociano in violenza. La prevalenza della violenza (fisica o sessuale) di coppia in Italia riguarda il 14.3% di delle donne fra i 16 e i 70 anni (Istat, 2007). In questo simposio applichiamo un modello psicosociale per studiare la regolamentazione e il giudizio di questi comportamenti. Cabras e Nicotra in un campione di donne vittime di violenza studiano la relazione fra percezione delle violenze subite e coping adattivo, intelligenza emotiva e life adjustment, ipotizzando una correlazione positiva tra queste variabili. Craparo, Ardino, Fasciano e Petruccelli confrontano donne vittime di violenza e non analizzando le strategie di coping e di attaccamento all’interno della relazione, evidenziando quanto le donne che subiscono violenza presentano livelli più bassi di adattamento e attaccamento insicuro. Baldry e Regalia nel presentare i risultati dello studio condotto con 150 donne vittime di stalking studiano quanto i meccanismi di regolamentazione del perdono e di gratitudine verso l’ex incidono sul benessere. Le donne che perdonano l’ex percepiscono una qualità della vita migliore, e questo legame risulta mediato dalla gratitudine da loro sperimentata nei confronti del loro ex. SONO ARMATI E PERICOLOSI: BIAS LINGUISTICI E PREGIUDIZIO J. Vaes, M. Latrofa, L. Arcuri, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli Studi di Padova Diversi studi hanno dimostrato che l’esposizione ai media incrementa l’uso di stereotipi negativi riguardanti i gruppi di minoranza. L’influenza che i media esercitano può essere spiegata ricorrendo a due diversi meccanismi: è sufficiente riferirsi all’appartenenza categoriale del protagonista di una storia per attivare lo stereotipo negativo associato e/o il modo tendenzioso in cui gli immigrati sono descritti nelle cronache dei media favorisce la creazione di un legame tra immigrazione e criminalità. In due esperimenti abbiamo voluto analizzare separatamente questi due processi. In un primo studio, basato sulla manipolazione del contesto, dopo aver letto una notizia di cronaca, i partecipanti erano sottoposti al weapon paradigm, un compito in cui dovevano distinguere tra armi da fuoco o oggetti inoffensivi, dopo che volti di neri oppure di bianchi erano comparsi sullo schermo di un computer. Confermando l’ipotesi che il contesto è fondamentale per favorire l’attivazione di uno stereotipo negativo, solo i partecipanti che avevano letto la notizia di un crimine commesso da un immigrato (vs. un crimine commesso da un italiano o una storia in cui un immigrato salvava eroicamente un italiano), riconoscevano più velocemente le armi quando erano precedute dal volto di un nero rispetto ai partecipanti sottoposti all’altra condizione. In un secondo studio partecipanti leggevano una notizia di cronaca che descriveva: con un linguaggio tendenzioso, oppure non tendenzioso un crimine commesso da un italiano, oppure da un immigrato. I risultati mostrano che la tendenza a riconoscere più velocemente un’arma se anticipata dal volto di un nero emergeva quando il criminale di cui si parlava nell’articolo era un immigrato e la notizia era riportata utilizzando un linguaggio tendenzioso, rispetto a quando la stessa notizia era riportata utilizzando un linguaggio neutro. Un simile effetto non è emerso se il criminale della cronaca era un italiano. Porcaro analizza la funzione delle norme sociali nel comportamento di aiuto nei confronti della vittima. Si è ipotizzato che i soggetti (professionisti o ‘semplici’ osservatori che si identificano con il gruppo normativo di riferimento, i.e. ‘Italiani’ o ‘Polizia’) riferiscono una maggiore propensione ad assumere comportamenti di aiuto e di protezione nei confronti della vittima quando viene presentata la norma morale: è moralmente corretto aiutare. Tutti questi studi hanno forti implicazioni per le politiche di intervento e di protezione della vittima. VIOLENZA DI GENERE AGITA/SUBITA E ADATTAMENTO PSICOLOGICO-­‐SOCIALE C. Cabras, E. Nicotra, Dipartimento di Pedagogia, Psicologia, Filosofia, Università di Cagliari Premessa: Recenti studi individuano alcuni fattori che influenzano la percezione di violenza agita o subita e mostrano specificità di genere tra cui: la tendenza degli uomini a riportare la violenza agita tramite colpevolizzazione della vittima, necessità di esprimersi, paura delle conseguenze ed evitamento; la tendenza delle donne a sottorappresentare la violenza agita dal partner tramite ricorso a giustificazioni, normalizzazioni, dipendenza e auto colpevolizzazione. Sabato 28 settembre 2013 (09:00 / 11:00) Aula 2B Obiettivo: A partire da tali argomenti abbiamo condotto uno studio che esamina la relazione tra la percezione di violenza 79
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agita/subita e l’adattamento psicologico-­‐sociale in un campione di 60 donne vittime di violenza di genere. Abbiamo ipotizzato una correlazione positiva tra la percezione di elevata frequenza di violenza agita, alti livelli di coping adattivo, intelligenza emotiva e life adjustment. Nel presente lavoro sono presentati due esperimenti che esaminano l’effetto delle norme morali dell’ingroup sulla volontà individuale di fornire aiuto in casi di Intimate Partner Violence (IPV). Nello studio 1, è stato chiesto a 218 studenti universitari di leggere un articolo di giornale che descriveva un caso di IPV. I partecipanti erano poi spinti a confrontarsi con le norme morali dell’ingroup che accentuavano l’importanza di fornire aiuto e supporto alla vittima e di denunciare vs. non denunciare il caso (vs. condizione di controllo); veniva poi chiesto agli studenti di indicare la loro disponibilità ad aiutare la vittima. Strumenti: Gli strumenti utilizzati sono: CISS (Coping Inventory for Stressful Situations – Endler, Parker, 1990), CTS2 (The Revised Conflict Tactics Scales -­‐ Straus, Hamby, Boney, McCoy, Sugarman, 1996), Evaluation questionnaire for social support (Jang, Jonhson, 2005), MSCEIT (Mayer-­‐
Salovey-­‐Caruso Emotional Intelligence Test, 2010 ed it). Lo studio2 è stato condotto al fine di valutare l’effetto delle norme morali dell’ingroup sulla volontà dei poliziotti di arrestare l’autore delle violenze e di assistere la vittima. E’ stato chiesto ad un campione di 216 poliziotti, di leggere un estratto di un vero rapporto di polizia relativo ad un caso di IPV. Ai partecipanti è stato poi chiesto cosa avrebbero fatto in quella situazione relativamente all’ arresto dell’autore delle violenze ed al supporto alla vittima. Ai poliziotti erano poi succesivamente fornite indicazioni rispetto alla norme di gruppo relative ai comportamenti moralmente corretti da tenere, dando comunque alla polizia la discrezionalità rispetto alla possibilità dell’arresto. Risultati attesi:Le prime analisi confermano solo parzialmente le ipotesi formulate. LA VIOLENZA DOMESTICA: STILI RELAZIONALI E STRATEGIE DI COPING G. Craparo, V. Ardino, S. Fasciano, V. Cannella e I. Petruccelli, Università Kore di Enna Introduzione: Dai recenti studi dell’ISTAT risulta che il 16% circa delle donne italiane ha subito violenza domestica da parte del proprio partner. Obiettivi: Considerata l’incidenza del fenomeno, è stata realizzata una ricerca con l’obiettivo di verificare il ruolo di alcune dimensioni quali siano le variabili psicosociali implicate nella vittimizzazione di donne vittime di violenza domestica come le strategie di coping. In entrambi gli studi, i partecipanti molto identificati con l’ingroup tendono maggiormente ad aderire maggiormente alle norme dell’ingroup e, di conseguenza, ad adattare il proprio comportamento a queste norme. I risultati offrono importanti implicazioni sia in termini di ricerca che di intervento, quali ad esempio il ruolo delle cosidette variabili di “mesosistema” sulla decisione di aiutare gli altri o meno. Inoltre, i risultati offrono spunti rilevanti per lo sviluppo di campagne di opinione e di moduli di formazione specifici per le forze dell’ordine su questi temi. Metodi: Hanno preso parte alla ricerca un totale di 160 donne: 80 vittime di violenza domestica di età compresa fra i 18 e i 54 anni (M = 31.62; DS = 9.81) e 80 che non rientravano in questa categoria di età compresa fra i 19 e 37 anni (M = 25.05; DS = 3.67). Alle partecipanti sono stati somministrati i seguenti self-­‐report: TAS-­‐20 (20 Items -­‐ Toronto Alexithymia Scale: Bagby, Parker e Taylor 1994) per la misurazione dell’alessitimia; ASQ (Attachment Style Questionnaire, Feeney, Noller, Hanrahan, 1994) per valutare le disposizioni di attaccamento in età adulta; COPE (Coping Orientation to Problems Experienced: Carver, Scheier e Weintraub, 1989) per la valutazione delle capacità di gestione dello stress. PERDONARE L’EX VIOLENTO FA STAR MEGLIO? I MECCANISMI DI PERDONO E GRATITUDINE NELLE DONNE VITTIME DI STALKING DA EX A.C. Baldry, Dipartimento di Psicologia, Seconda Università degli Studi di Napoli Risultati: Nelle donne vittime di violenza domestica sono stati riscontrati, rispetto al gruppo di controllo: valori significativamente più alti alla TAS-­‐20; una maggiore frequenza di un attaccamento insicuro; una significativa difficoltà nella gestione dello stress, riconducibile a una scarsa capacità di coping. C. Regalia, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica di Milano Sacro Cuore Le vittime di atti persecutori da parte dell’ex partner che hanno chiesto e ottenuto l’ammonimento si sono rivolte alle Forze dell’Ordine per prevenire di essere nuovamente perseguitate (Baldry & Winkel, 2008). La ricerca che qui presentiamo si propone di indagare il ruolo svolto dal perdono e dalla gratitudine sul benessere delle donne che subiscono violenza. Grazie agli studi di Karremans et al., (2011) e Regalia (2009) emerge che il perdono di episodi negativi nelle relazione di coppia influenza sul benessere percepito. Conclusioni: Gli stili di attaccamento insicuri, le difficoltà a gestire le emozioni e lo stress rilevati nelle donne vittime rappresentano fattori di rischio precipitanti che, se correttamente analizzati, possono costituire la base per attivare percorsi di intervento, di sostegno e di prevenzione mirati alla promozione di strategie di coping, attraverso programmi di empowerment a livello della rete delle relazioni sociali oltre che individuali. Si esamina il legame fra perdono e gratitudine sperimentati nei confronti dell’ex partner violento, con lo scopo di capire se questi costrutti possano avere un valore esplicativo del benessere che la donna vittima di violenza puo’ provare. AIUTARE LE VITTIME DI VIOLENZA DOMESTICA: L’INFLUENZA DELLE NORME SU BYSTANDERS E FORZE DI POLIZIA Si ipotizza che: C. Porcaro, Dipartimento di Psicologia, SUN, Napoli 80
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a) il perdono nei confronti del partner sarà direttamente collegato alla gravità e all’intensità delle offese subite B. Zani, C. Albanesi, D. Mazzoni, Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna b) Il perdono accordato sarà positivamente correlato a un benessere psicosociale L’appartenenza ad associazioni e la qualità delle esperienze di partecipazione civica durante l’adolescenza sono considerati fattori centrali per la partecipazione politica futura (Sherrod et al., 2010). Esistono conferme del ruolo delle esperienze associative anche fra gli immigrati (Quintelier, 2008); sono meno chiari i processi psicosociali che mediano gli effetti del coinvolgimento in organizzazioni e la partecipazione politica e l’eventualità che questi differiscano in base al background etnico/culturale. c) Il rapporto tra perdono nei confronti dell’ex e livelli di benessere psicosociale sarà mediato dai sentimenti di gratitudine nei confronti dell’ex Il campione è costituito da 150 donne vittime di stalking da parte dell’ex (marito, fidanzato, compagno) provenienti da tutta Italia che hanno fatto richiesta e ottenuto ammonimento per le persecuzioni subite alla Questura di riferimento. I risultati verranno presentati e discussi anche in ottica delle implicazione di tutela e protezione delle vittime Scopo dello studio era verificare, un modello dei predittori della partecipazione politica futura che prevede fattori sociodemografici (età, genere, status di immigrato vs italiano), l’appartenenza ad organizzazioni, la qualità della partecipazione, il senso di comunità e il benessere sociale. Si ipotizzava che l’esperienza associativa e la qualità della partecipazione fossero predittivi della partecipazione politica futura in entrambi i gruppi, ma che negli italiani tale associazione fosse mediata in particolare dal senso di comunità, mentre fra gli immigrati il benessere sociale svolgesse un ruolo più determinante. Sabato 28 settembre 2013 (09:00 / 11:00) Aula 3I SESSIONE INTERCULTURA E CITTADINANZA Moderatore: Bruno Mazzara GLI ADOLESCENTI DI UN PALAZZO MULTIETNICO. IL CASO “HOTEL HOUSE” NELLE MARCHE I partecipanti sono 1145 adolescenti e giovani, 799 italiani e 346 immigrati (173 marocchini e 173 albanesi), dai 16 ai 26 anni, 49.1 % maschi. E’ stato utilizzato un questionario per misurare: frequenza e intensità di partecipazione a diversi gruppi, qualità delle esperienze di partecipazione (Ferreira et al., 2012), senso di comunità (Chiessi et al., 2010), benessere sociale (Keyes, 1998) e partecipazione politica futura. A., Fermani, G., Cingolani, Università di Macerata Introduzione e obiettivi L’Hotel House è un condominio di Porto Recanati (MC) composto da 480 appartamenti. Nato alla fine degli anni ’60 come residence per le vacanze, è oggi un luogo isolato in cui risiedono più di 1.500 persone, il 91% di origine straniera. E’ una realtà originale nel panorama europeo poco approfondita dai ricercatori per problematiche inerenti l’accesso. Lo scopo della ricerca è indagare l’esperienza degli adolescenti che vi vivono. Partecipanti e metodo Hanno partecipato alla ricerca 85 adolescenti (11-­‐19 anni) che hanno completato un questionario anonimo auto somministrato composto da domande socio anagrafiche e dalle seguenti scale: Valutazione dell’autodeterminazione (Ferrari et al., 2004);Valori (De Lillo, 2007);Identification (Mael e Ashforth, 1992);Self Concept Clarity (Campbell et al. 1996);The Ultrecht-­‐Managment of Identity Commitments (Meeus, 1996);The Inventory of Parent and Peer Attachment (Armsden e Greenberg, 1987);The Children’s Depression Inventory (Kovacs 1985);Satisfaction with Life (Diener eal., 1985). Risultati e conclusioni. Le ragazze manifestano difficoltà di autodeterminazione e nella scala dei valori danno minore importanza all’amore e maggiore all’autorealizzazione nel lavoro. In generale è scarsa l’identificazione con i gruppi dei connazionali e alta la riconsiderazione dell’impegno scolastico. La chiarezza del concetto di Sé è poco al di sopra del punto medio della scala e i dati fanno rilevare medie basse in relazione alle dimensioni della fiducia e della comunicazione con i genitori. Le femmine si rappresentano come più depresse rispetto ai loro coetanei e la depressione è più alta nei ragazzi più adulti con bassi valori di soddisfazione per la vita. Quest’ultima è associata negativamente alla chiarezza del concetto di Sé. I risultati confermano che l’appartenenza ad organizzazioni, ma (soprattutto) la qualità delle esperienze partecipative, sono importanti nel prevedere la partecipazione politica futura, favorendo la costruzione di capitale sociale. Fra gli immigrati, tale effetto è mediato dal grado di integrazione sociale percepito nella società italiana. RILEVANZA E COMPLESSITA’ DEI PROCESSI DI INTEGRAZIONE: UNO STUDIO CON INSEGNANTI DI SCUOLA PRIMARIA D. Damigella, Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università di Messina O. Licciardello, Dipartimento di Processi Formativi, Università di Catania Le problematiche inerenti le relazioni interetniche si inseriscono nella più ampia questione della convivenza civile e dell’esigenza di concorrere a sviluppare atteggiamenti di apertura, partecipazione e capacità di pensare al plurale. Un tale cambiamento richiede il coinvolgimento dell’intera comunità e si rivolge anche ai processi formativi che dovrebbero essere posti nelle condizioni di offrire esperienze funzionali al mutamento cognitivo e relazionale, nonché all’instaurarsi di atteggiamenti interculturali positivamente orientati. Peraltro, la presenza diffusa di classi plurietniche induce a guardare alla scuola quale luogo elettivo per un contatto funzionale all’abbattimento delle barriere pregiudiziali e al PREDITTORI DELLA PARTECIPAZIONE POLITICA IN GIOVANI ITALIANI E MIGRANTI 81
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riconoscimento della diversità (Damigella, Licciardello, Eterno, 2011). FIDUCIA ED ENGAGEMENT ACCADEMICO IN RELAZIONE AGLI ORIENTAMENTI CULTURALI: UNA RICERCA SU STUDENTI ITALIANI E STATUNITENSI. L’obiettivo della presente ricerca è di esplorare gli atteggiamenti etnici ed il quadro rappresentazionale di un campione di insegnanti rispetto al fenomeno immigratorio e delle seconde generazioni. Nello specifico, si ipotizza che l’attuazione del progetto Comenius possa incidere positivamente sulla direzione degli atteggiamenti rilevati. Gli strumenti comprendono: domande chiuse; un gruppo di item (ciascuno trattato come una scala Likert a sette punti) e quattro Differenziali Semantici. L’analisi dei dati è stata condotta mediante il pacchetto SPSS e l’utilizzo della Manova, del “t” di Student e della “r” di Pearson. S. Di Battista, C. Berti, Università “G. d’Annunzio” di Chieti-­‐
Pescara, Dipartimento di Scienze psicologiche, umanistiche e del territorio (DiSPUTer) La fiducia gioca un ruolo importante nei contesti educativi favorendo l’engagement (Tschannen-­‐Moran et al., 2000). Inoltre, studi svolti in ambito accademico, in Italia e negli USA (Berti et al., 2010; Smith et al., 2009) mostrano che, tra gli studenti maggiormente identificati con l’università, il trattamento comunicato da un’autorità predice l’engagement degli studenti. Questa ricerca sperimentale investiga come la motivazione a cooperare possa dipendere anche dagli orientamenti culturali (Triandis et al., 1995); in particolare, la fiducia nell’autorità e l’identificazione degli studenti potrebbero favorire l’engagement accademico in contesti centrati sull’indipendenza individuale e in cui le relazioni sono egualitarie e le gerarchie di potere orizzontali (individualismo orizzontale), meno invece, in contesti che promuovono la subordinazione degli obiettivi personali a quelli di gruppo e nei quali le gerarchie sono verticali (collettivismo verticale). Due studi condotti tra gli studenti di una università del sud Italia (N=107) e di una università della California (N=120) prevedevano 8 condizioni sperimentali, 2 [bassa vs. alta identificazione] x 2 [bassa vs. alta fiducia basata sulla competenza] x 2 [bassa vs. alta fiducia basata sulla benevolenza]. Venivano quindi misurati i livelli di engagement (misura comportamentale) degli studenti e il loro orientamento culturale. I risultati mostrano livelli maggiori di collettivismo verticale tra gli studenti italiani e livelli maggiori di individualismo orizzontale tra gli statunitensi. Inoltre, gli studenti italiani cooperano maggiormente in una condizione di bassa identificazione e di alta percezione di fiducia. Al contrario, gli studenti statunitensi cooperano maggiormente in condizione di alta identificazione e se in particolare percepiscono l’autorità come competente. I risultati saranno discussi alla luce degli studi sugli orientamenti culturali. I dati, nonostante un generale quadro rappresentazionale positivamente orientato, rilevano alcune ambivalenze che sembrerebbero denotare un razzismo avversivo (Dovidio & Gaertner, 2000). L’ipotesi non risulta confermata e ciò deporrebbe a favore di un contatto puramente “ideologico”. IL RUOLO DI ACCENTO E ASPETTO NELL’EVOLVERSI DINAMICO DELLA CATEGORIZZAZIONE SOCIALE DELLE SECONDE GENERAZIONI IN ITALIA M. Mazzurega, M. P. Paladino, D. Facchin, M. Pompa, M. Berto, Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive, Università di Trento L’Italia è sempre più multietnica. Incontrare persone dai tratti africani o asiatici che parlano italiano madrelingua è diventato relativamente comune, come nel caso delle seconde generazioni, i figli degli immigrati nati e vissuti in Italia. Queste persone vengono percepite a tutti gli effetti come italiani? Qual è il ruolo di accento e aspetto nel definire la nazionalità? Le rare ricerche che hanno preso in considerazione entrambe queste informazioni sottolineano come sia l’accento a guidare la categorizzazione basata sulla nazionalità, mostrando però solo l’esito finale del processo. Con l’obiettivo di comprendere come vengano elaborati accento e aspetto nell’evolversi della categorizzazione, abbiamo condotto due studi dove è stata variata la tipicità dell’aspetto di un target (caucasico vs. africano), associato ad un accento (italiano vs. straniero). Ogni target doveva essere categorizzato dai partecipanti come italiano o straniero. Attraverso il software Mouse Tracker è stata registrata la risposta finale e la traiettoria del mouse compiuta nel darla, che permette di osservare on-­‐line l’elaborazione compiuta. Infine, i partecipanti hanno compilato la Scala di Razzismo Sottile e Manifesto. In linea con precedenti studi, la nazionalità del target è stata definita in base all’accento. Più alti livelli di razzismo fanno si che vi sia la tendenza a categorizzare meno spesso come italiano un target dalla pelle nera ma anche ad essere più cauti nell’utilizzare un accento madrelingua come indizio di provenienza italiana. Di particolare interesse è la traiettoria di risposta che mostra come più i volti sono atipici più vi è un’attivazione della categoria straniero seguita da una correzione sulla categoria italiano, basata sull’accento. Questi studi contribuiscono a spiegare il ruolo di aspetto e accento nella categorizzazione sociale, intesa come processo dinamico, nel particolare caso delle seconde generazioni in Italia. Sabato 28 settembre 2013 (09:00 / 11:00) Aula 2A SESSIONE GENERE E RELAZIONI SOCIALI Moderatore: Chiara Volpato GIOVANI DONNE E COMPORTAMENTI SESSUALI PROTETTI: UNA REVISIONE DELL’INFORMATION-­‐MOTIVATION-­‐
BEHAVIOUR SKILLS MODEL C. Matera, Sezione di Psicologia, Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia, Università degli Studi di Firenze A. Nerini, C. Stefanile, Sezione di Psicologia e Psichiatria, Dipartimento di Scienze della Salute (DSS), Università degli Studi di Firenze Introduzione: Le malattie a trasmissione sessuale sono un gruppo di malattie infettive molto diffuse, in particolare tra le adolescenti e le giovani donne (Ministero della Salute, 2010). Usare il preservativo durante i rapporti sessuali rappresenta il 82
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non particolarmente noti. Di seguito veniva chiesto di compilare le due scale sul sessismo benevolo (Asi e Ami), e la scala di giustificazione del sistema di genere. modo migliore per proteggersi da malattie sessualmente trasmissibili; appare dunque di grande rilevanza riuscire a individuare i fattori che influenzano la scelta di attuare tale comportamento preventivo. Risultati: I risultati mostrano che il sessismo benevolo nei confronti degli uomini e la giustificazione del sistema di genere sostengono la scelta del candidato uomo; il sessismo benevolo nei confronti delle donne favorisce la scelta del candidato donna; gli uomini esprimono maggior sessismo benevolo nei confronti degli uomini e maggiore giustificazione di genere. Non vi sono, invece, differenze di genere riguardanti il sessismo benevolo nei confronti delle donne. Obiettivi e metodi: Il presente studio si propone di applicare l’Information Motivation Behavioural Skills model (IMB model; Fisher & Fisher, 1992) nel contesto italiano e di valutare se l’integrazione dell’IMB model con costrutti aggiuntivi, quali norme morali ed emozioni provate durante i rapporti sessuali, risulta adeguata nello spiegare l’uso del preservativo da parte di giovani donne. A 188 giovani adulti di sesso femminile (età media=23 anni) è stata somministrata una batteria di strumenti volti a misurare le variabili di interesse. Conclusioni: I dati si inseriscono nel dibattito psicosociale volto a sviluppare le origini culturali e le conseguenze sociali delle differenze di genere. Risultati: La componente motivazionale del modello appare adeguatamente integrata dalle emozioni (positive e negative) e dalle norme morali che, insieme alla percezione del rischio, appaiono i principali predittori delle abilità comportamentali (autoefficacia, strategie di negoziazione del preservativo e assertività sessuale), a loro volta correlate con l’uso del preservativo. IL GENERE COME MODERATORE NELLA RELAZIONE TRA STRATEGIE DI COPING E QUALITÀ DELLA VITA S. Gattino, N. De Piccoli e C. Rollero, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino Conclusioni: Complessivamente i risultati evidenziano come questa nuova concettualizzazione dell’IMB model permetta di spiegare l’attuazione di comportamenti sessuali protetti da parte di giovani donne nel contesto italiano. Oltre ad offrire un contributo a livello teorico, la ricerca ha importanti implicazioni in campo preventivo, suggerendo quali siano i fattori su cui puntare nella pianificazione di interventi efficaci in grado di motivare le giovani donne ad adottare comportamenti sessuali protetti. Introduzione: La qualità della vita (QdV) è un concetto multidimensionale che riguarda la salute fisica e psicologica, le relazioni sociali e l’ambiente (Camfield & Skevington, 2008; Cummins, 2000; Cummins & Nistico, 2002). Le strategie di coping che gli individui mettono in atto contribuiscono a migliorare la loro qualità della vita. Se la ricerca psicosociale ha analizzato le differenze di genere in relazione alla QdV, a nostra conoscenza, nessuno studio ha ancora indagato l’effetto che il genere, in quanto moderatore, ha nel rapporto tra strategie di coping e QdV. Obiettivi: Il lavoro qui presentato intende studiare il ruolo che il genere, come moderatore, ha nella relazione che intercorre tra coping e dimensioni della qualità della vita. A tal fine a 600 individui (F= 56%; eta media 42.73, ds13.02) è stato somministrato un questionario contenente la scala della Qualità della vita, versione breve (De Girolamo et al., 2001), il COPE Inventory, versione Breve (Carver, 1997) e informazioni socio-­‐
demografiche. Risultati: i risultati ottenuti hanno evidenziato che l’effetto di alcune strategie di coping (autocolpevolizzazione, umorismo e sostegno) sulla QdV è moderato dal genere, mentre le altre strategie esercitano un ruolo significativo, indipendentemente dal genere dei partecipanti. Conclusioni: il ruolo che il genere ha in quanto variabile moderatrice evidenzia la rilevanza dei fattori socio-­‐
culturali anche in relazione a costrutti solitamente considerati prettamente psicologici. IL SESSISMO AMBIVALENTE E IL SOSTEGNO ALLO STATUS QUO COME ORIENTAMENTO ALLA SCELTA DEL CANDIDATO POLITICO F. Rutto, N. De Piccoli, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino Introduzione: Il sessismo benevolo e quello ostile rappresentano due sistemi di credenze ideologiche complementari che, insieme, stabilizzano l’egemonia del genere maschile (Becker& Wright, 2011) in numerosi ambiti (Glick & Fiske, 1996; Jost & Kay, 2005). Diverse ricerche (Lammers, Gordijn & Otten, 2009) hanno indagato gli effetti del genere del candidato e della prototipicalità ad esso legata, sul giudizio e sulla idoneità del candidato alle elezioni. Possono allora le credenze sessiste, in particolare quelle benevole, giocare un ruolo nella scelta del genere del candidato? La nostra ricerca intende indagare come le due espressioni del sessismo benevolo (nei confronti delle donne e degli uomini) possano influire sulla scelta del genere del candidato. WOMEN @ WORK: PERCORSI FORMATIVI E TRASFORMATIVI SULLA PARITA’ DI GENERE V. Manna, G. Borrelli, Dipartimento di Studi Umanistici, Università Federico II, Napoli Obiettivi e Metodo: La nostra ipotesi è che e il sessismo benevolo, sia nei confronti delle donne che degli uomini, e la giustificazione di genere sostengano la scelta del candidato uomo. Introduzione: In letteratura, la nozione di pari opportunità trova una collocazione tanto estesa da apparire definita in maniera talvolta confusiva. Tra gli altri, secondo Jonter-­‐
Loiseau e Tobler (1996), le pratiche di costruzione e diffusione del concetto di pari opportunità determinano effetti perversi che corrono il rischio di influenzare la E’ stato condotto uno studio (N=204; donne=66,13%; età: M=22,95, D.S.=4,86) nel quale ai soggetti veniva richiesto di scegliere il candidato da eleggere da una serie di 20 coppie di immagini in bianco e nero rappresentanti personaggi politici 83
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rappresentazione delle pari opportunità come finzione sociale. Si evidenzia pertanto la necessità della definizione di contesti formativi in cui la nozione di pari opportunità possa essere discussa nelle sue potenzialità e criticità, attraverso esperienze di elaborazione, confronto e discussione che possano influenzarne le relative rappresentazioni. In linea con tale approccio, esponiamo alcuni progetti di ricerca ideati e realizzati da de Rosa in collaborazione con giovani ricercatori in formazione dell’European/International Joint PhD on Social Representations and Communication, rispetto alle aree tematiche: a) psicoanalisi e psichiatria 50 anni dopo, nel contesto del follow-­‐up de La psychanalyse, son image et son public Obiettivi e Metodi: Il contributo si propone di analizzare le rappresentazioni della nozione di pari opportunità in un gruppo di 70 partecipanti ad un corso di formazione sul tema e le eventuali trasformazioni del concetto a seguito del percorso formativo svolto. Un’analisi qualitativa degli elaborati prodotti ad inizio e conclusione del corso, con l’ausilio del software t-­‐lab, evidenzia le rappresentazioni condivise e gli elementi trasformativi intervenuti. b) stock market tra financial advisors, investors e media c) rappresentazioni sociali incrociate di capitali storiche d) famiglia attuale, futura e ideale La discussione verte sulla proposta ri-­‐unificante del Modeling Approach, nel quadro degli approcci paradigmatici esistenti in letteratura, esemplificata mediante la presentazione dei piani multi-­‐metodo di indagine. Risultati: Si evidenziano differenze intergenerazionali rispetto al concetto di pari opportunità, che da iniziale utopia, viene rappresentato, a seguito del corso, come un processo culturale in continua ridefinizione, connesso all’interiorizzazione soggettiva dei ruoli sociali differenziati per genere. Si individua nel carattere partecipato delle metodologie adottate un punto di forza nell’influenzare una rielaborazione della nozione di pari opportunità, che ha giovato di un confronto intergenerazionale e intergenere. VIVERE LA CITTÀ DA EMIGRANTE: RAPPRESENTAZIONI SOCIALI INCROCIATE DI ROMA E VARSAVIA DA PARTE DI EMIGRANTI POLACCHI E ITALIANI AD ALTA QUALIFICAZIONE. L. Dryjanska, A.S. de Rosa, E. Bocci Prima della crisi finanziaria, molti polacchi ad alta qualificazione intellettuale e lavorativa si sono installati in Italia, cosi come molti italiani di alto profilo manageriale hanno scelto di iniziare una attività economica in città polacche. Questi professionisti, che vivono rispettivamente in Roma e Varsavia, costituiscono una comunità che rappresenta le loro città in un modo diverso, sia dai cittadini residenti, che dai visitatori stranieri alla loro prima visita in città: popolazione, che costituisce il target di un ampio programma di ricerca svolto da de Rosa (2010, 2013) in varie capitali storiche europee: Roma, Parigi, Lisbona, Londra, Madrid, Helsinki, Vienna. In accordo con l’approccio multi-­‐costrutto e multi-­‐metodo definito “modellizzante” (de Rosa, 1990, 2013), sono state analizzate le rappresentazioni sociali di Roma e di Varsavia e della città ideale, rilevate mediante due direttive metodologiche complementari: • La prima è basata un questionario che include varie tecniche: o a) la trama associativa (de Rosa, 2002), o b) la “striscia temporale” (strumento ideato da de Rosa, 1992) basata sul costrutto di “place identity” di Proshansky (1978), o c) individuazione dei luoghi più significativi delle città, o d) libere associazioni aggettivali, o e) scale di valutazione delle fonti di informazione sulle città. • La seconda include “interviste guidate” circa: o i motivi delle scelte effettuate, o i giudizi sulla città, sia come prima impressione che al momento dell’intervista, o i luoghi più significativi che consiglierebbero ad un visitatore. I risultati ottenuti dimostrano come le rappresentazioni sociali di Roma e Varsavia sono trasmesse e si trasformano tra specifici gruppi delle comunità analizzate di professionisti, manager e rappresentanti delle istituzioni emigrati, ad alta qualificazione sociale, professionale e culturale. Conclusioni: Il contributo apre spunti di riflessione sulla trasmissione della cultura di genere e pari opportunità in contesti formativi,interrogandosi su possibili modalità di diffusione e reinterpretazione del tema della parità di genere. Sabato 28 settembre 2013 (09:00 / 11:00) Aula 2D SIMPOSIO: IL MODELING APPROACH: UN PARADIGMA DI RICERCA UNIFICANTE NELL'AMBITO DELLA TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI Proponente: Anna Maria Silvana De Rosa Discussant: Mauro Sarrica Presentazione del simposio Il Modeling Approach articola differenti costrutti psicologici (atteggiamenti, opinioni, stereotipi, memoria sociale, immagine, emozioni, comunicazione, pratiche sociali...) e metodologie (superando la dicotomia tra metodi sperimentali/qualitativi), guidando il processo di verifica empirica tramite ipotesi su interazioni tra dimensioni di costrutto, metodi, strategie d’analisi e risultati attesi. Insieme alla scuola strutturale, socio-­‐dinamica, antropologica e narrativa, è uno degli approcci paradigmatici allo studio delle rappresentazioni sociali. Il suo fondamento epistemologico muove dall'originaria proposta di Moscovici (1961; de Rosa, 2011, 2012, 2013) di triangolazione tra attori e oggetti sociali, sintetizzando la natura intrinsecamente sociale della conoscenza, non solo in quanto riferita a oggetti “presumibilmente sociali” (come riscontriamo in un’ampia letteratura collocabile nel mainstream della Social Cognition), ma per la dinamicità delle interazioni nel confronto con un Alter (individuo/i, gruppo/i, istituzione/i), evidenziando il ruolo centrale della comunicazione e implicando la necessità di approcciare lo studio del sociale mediante esplorazione di sistemi interrelati di rappresentazioni. 84
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sociali della psicoanalisi nel mutato contesto socio-­‐storico e comunicativo (de Rosa, 2012). FAMIGLIA ATTUALE, FUTURA E IDEALE NELLE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI DI GIOVANI ADULTI. UN CONFRONTO CROSS-­‐CULTURALE DI MODELLI FAMILIARI. Il valore del follow-­‐up non si esaurisce nel significato ritualistico-­‐simbolico del suo anniversario (de Rosa, 2011): esso costituisce, altresì, un’occasione di studio della stabilità e trasformazioni delle rappresentazioni sociali, a fronte di cambiamenti non solo nei tre apici del triangolo epistemico Soggetto-­‐Altro-­‐Oggetto, ma anche nel mutato contesto socio-­‐
storico e comunicativo. La riformulazione non trae ispirazione da una mera rilettura a ritroso dell’impianto generale della ricerca, ma è suggerita da una profonda e attenta riscoperta del potere della dinamica generativa dello studio che diede il via all’impresa intellettuale di Moscovici, attraverso una riflessione focalizzata sui relativi fondamenti epistemologici e l’adozione di un approccio modellizzante (cfr. de Rosa, 2013). Indagare l’immagine della psicoanalisi, 50 anni dopo, ha significato porsi in ascolto dei suddetti cambiamenti, partendo dall’ipotesi fondante di co-­‐evoluzione di sistemi di rappresentazione interrelati e riferiti alla psicoanalisi, oggetto di conoscenza e rappresentazione (seppure non esclusivo, con l’aggiunta della psichiatria e la salute mentale), ed esplorare la dinamica di stabilità/mutamento dell’immagine della disciplina lungo il continuum temporale che separa i due programmi di ricerca, ampliando il contesto geografico d’interesse all’Italia, ove il dibattito sulla validità scientifica della psicoanalisi, esploso precedentemente in Francia (Onfray, 2010), ha riportato l’attenzione sul tema della ridefinizione dei confini conoscenza scientifica/“pseudoscientifica”, come sarà evidenziato dalla presentazione dei risultati. S. Aiello, A. S. de Rosa, M. d'Ambrosio, E. Pascal, Università “La Sapienza” Roma, Dipartimento dei processi di sviluppo e socializzazione. Dimensioni iconiche, temi-­‐chiave ed elementi di normatività nelle rappresentazioni della famiglia attuale, futura e ideale sono stati esplorati, rispetto a dati oggetti sociali quali il genere e le generazioni (Scabini & Iafrate, 2003), in un campione di giovani adulti – ancora conviventi con la propria famiglia di origine – nella loro cosiddetta fase di transizione all’età adulta in due contesti culturali differenti: Italia e Romania. Nonostante la Teoria delle Rappresentazioni sociali abbia da poco compiuto 50 anni (de Rosa, 2012; 2013; Galli, 2012), infatti, la famiglia intesa come oggetto sociale è stata relativamente poco esplorata da questo specifico paradigma teorico, a fronte di una vasta e riconosciuta letteratura clinica e psico-­‐sociale. Ispirati dal modeling approach (de Rosa, 1990, 2012), tali RS sono state indagate tramite un questionario multi-­‐metodo che include strumenti sia verbali che grafici, proiettivi e non: a) FACES III (Olson, 1985); b) Zimbardo Time Perpsective Scale (Zimbardo & Boyd, 1999) c) disegni a mano libera; d) trame associative (de Rosa, 1995a, 2002a, 2003a). Prendendo in considerazione le trasformazioni che negli ultimi anni hanno caratterizzato, a livelli e prospettive differenti, sia il contesto Italiano che quello Rumeno, i risultati in merito agli eventuali cambiamenti nella tipologia familiare e nelle relazioni familiari, sono stati introdotti all’interno di un dialogo complesso tra le diverse tecniche utilizzate. Considerazioni su elementi di rottura e continuità tra l’esperienza diretta dei partecipanti (famiglia attuale), le loro attese future (famiglia futura) e ciò che abbiamo inteso come il loro modello normativo (famiglia ideale), saranno inoltre presentati ponendo l’accento su come supposte modifiche dei rispettivi sistemi di valori nei due contesti, Italiano e Rumeno, possano modificare le rappresentazioni di modelli relazionali attesi e idealizzati. SOCIAL REPRESENTATIONS OF THE STOCK MARKET IN FINANCIAL ADVISORS, INVESTORS AND MEDIA”: UNO STUDIO SUL CAMPO REALIZZATO IN EU S. Sun, A.S. De Rosa, E. Bocci, Dipartimento dei processi di sviluppo e socializzazione, ‘Sapienza’ Università di Roma Il contributo presenta alcuni risultati del programma di ricerca: “Social representations of the stock market in financial advisors, investors and media”. Tale ambito di studio è tradizionalmente affrontato secondo micro-­‐paradigmi dominanti nel campo della psicologia economica, mentre noi, ispirandoci alla teoria delle rappresentazioni sociali (Moscovici, 1961/1976) e al paradigma “modellizzante” (de Rosa, 2013), siamo interessati a una più ampia interpretazione socio-­‐dinamica della realtà psico-­‐sociale riferita ai fenomeni economico-­‐finanziari, per studiare l’articolazione tra saperi condivisi, conoscenze esperte e non, pratiche sociali e connesse dimensioni psicologiche mediazionali, considerando il ruolo generativo-­‐trasmissivo-­‐
trasformativo delle rappresentazioni sociali nell’interazione sociale interpersonale e mediata nei nuovi scenari della comunicazione. “LA PSYCHANALYSE, SON IMAGE ET SON PUBLIC”: 50 ANNI DOPO Fino, E., de Rosa, A. S., Bocci, E., ‘Sapienza’ Università di Roma -­‐ European/International Joint PhD in Social Representations & Communication Research Centre and Multimedia Lab – Roma Il disegno di ricerca si articola in linee d’indagine interrelate inerenti media tradizionali e non, e ricerche sul campo. Il contributo si riferisce alle ricerche sul campo condotte tra gennaio-­‐maggio 2010 in Europa (Italia, UK, Francia) e Cina (mercato finanziario in crescita esponenziale) su 803 partecipanti distinti in 3 gruppi target: promotori finanziari, Il contributo è parte di un follow-­‐up dell’Opera Prima di Moscovici (1961, 1976), un’opportunità speciale per investigare stabilità e trasformazioni delle rappresentazioni 85
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investitori tramite promotori finanziari e investitori autonomi on line. Proponenti: Daniele Paolini, Paolo Riva, e Adriano Zamperini Il focus è sulle relazioni tra profili socio-­‐demografici e finanziari dei diversi gruppi, dimensioni psicologiche assunte come mediazionali (prospettiva temporale, propensione e tolleranza del rischio, fiducia…) e rappresentazioni sociali e metafore dello stock market, plasmate dalle pratiche finanziarie e in grado di orientarle. Discussant: Silvia Gattino, Simona Sacchi Presentazione simposio L'esclusione sociale rappresenta un fenomeno negativo e in costante aumento nel mondo occidentale, dove la contrapposizione tra individualismo e altruismo è sempre più pressante. Poiché la socialità e il senso di appartenenza sono bisogni umani fondamentali, l’esclusione sociale, che si configura come la negazione di questi bisogni, è in grado di provocare vissuti dolorosi e alienanti con conseguenze sul piano psicologico e psicosociale; si pensi, alle diverse forme di bullismo, al mobbing, ai fenomeni di emarginazione etc. Mirate strategie di analisi hanno consentito di posizionare i gruppi sui campi rappresentazionali, evidenziando elementi di continuità e differenze nella psicologia dello stock market rispetto alle tipologie di investitori, alle loro caratteristiche psicologiche e ai contesti geo-­‐culturali. Il simposio raccoglie i contributi di diversi gruppi di ricerca che studiano gli effetti dell'esclusione sociale attraverso approcci metodologici differenti. Il proposito è quello di aprire uno spazio di confronto tra le diverse prospettive di ricerca al fine di fornire una lettura del fenomeno completa e integrata, nonché di rintracciare nuovi spunti sul piano applicativo. Nello specifico, a livello della ricerca di base, due studi evidenziano rispettivamente la variazione delle risposte autonomiche durante l'esperienza e l'osservazione dell'esclusione sociale in funzione dell’appartenenza al gruppo e l'effetto delle strategie di identificazione e della neurostimolazione della corteccia ventrolaterale prefrontale destra sulle risposte emotive conseguenti l’esclusione sociale. A livello della ricerca applicata, invece, viene analizzata la condizione psicosociale del richiedente asilo, modulata dalla percezione di ricevere aiuto e dalle risposte offerte dalle istituzioni responsabili della gestione dell’emergenza; vengono inoltre presentate le tipologie di intervento per il contrasto alla marginalità e all’esclusione, confutando l’ipotesi che il modello di intervento empowering possa ottenere risultati più duraturi nel sistema dei servizi. Infine, con particolare attenzione ai processi di esclusione morale, vengono analizzati i diversi criteri di valutazione della giustizia in funzione della nazionalità del colpevole. SOCIAL REPRESENTATIONS OF THE STOCK MARKET IN FINANCIAL ADVISORS, INVESTORS AND MEDIA: LA LINEA DI INDAGINE SULL’ANALISI DI MEDIA (TRADIZIONALI E NUOVI) IN EUROPA E IN CINA H. Wang, A.S. De Rosa, E. Bocci, Dipartimento dei processi di sviluppo e socializzazione, ‘Sapienza’ Università di Roma Il contributo presenta i principali risultati emersi dall’analisi dei media, in una delle linee d’indagine del programma di ricerca su: “Social representations of the stock market in financial advisors, investors and media”: linea che si articola con la ricerca sul campo e non semplicemente si aggiunge a questa, coerentemente con il paradigma unificante del modelling approach allo studio delle rappresentazioni sociali. Come la ricerca sul campo, anche la linea di ricerca sui media è volta ad ancorare lo studio in Europa e Cina, contesti geo-­‐
economici e culturali entrambi ma diversamente esposti agli effetti globali della crisi finanziaria e alle mirate strategie d’intervento delle diverse istituzioni politico-­‐finanziarie. Vengono presi in considerazione diversi giornali generalisti e specialistici negli stessi Paesi Europei nei quali è stata condotta la ricerca sul campo: Italia, Francia, U.K. (generalisti: La Repubblica, The Times, Le Monde; specialistici: Il Sole 24 Ore, The Economist e Les Echos), nonché , per i new media, il social network Yahoo Answers; in Cina (generalista: China Daily; specialistico: China Securities Journal) e per i new media, il social network Bai Du Answers. STRATEGIE COMMUNITY ALL’OSTRACISMO BASED DI CONTRASTO P. Meringolo, A. Morandi, Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia, Università degli Studi di Firenze I testi delle fonti giornalistiche europee e cinesi sono stati sottoposti ad analisi qualitativa mediante una griglia di analisi del contenuto dei media costruita ad hoc (secondo criteri di fortemente interrelati con l’impianto generativo degli strumenti utilizzati nella ricerca sul campo e guidati dalle ipotesi dell’intero disegno di ricerca) e quantitativa dei dati mediante l’utilizzo del software Alceste. I risultati sono discussi anche in relazione alle visioni alternative delle rappresentazioni sociali dell’economia e della finanza, contrapposte tra la “buona” e produttiva economia reale versus la “cattiva” e speculativa finanza virtuale, come emerso in precedenti ricerche (de Rosa et. al. , 2010; de Rosa, Bocci, Bulgarella, 2011). Introduzione. Sebbene ostracismo ed esclusione siano connessi, il primo comprende elementi di indesiderabilità sociale, di rifiuto e di apartheid non ugualmente presenti nell'esclusione. La definizione del breaking point tra i due fenomeni non è univoca, e spesso basata su ricerche di laboratorio piuttosto che su ricerche situate. Gli studi community based, ai quali ci riferiamo, sono finalizzati all'individuazione di variabili di tipo proattivo, per impedire l’ostracismo, o reattivo, per diminuirne gli effetti in situazioni già compromesse (Drury, & Reicher, 2005; Toro, Trickett, Wall, & Salem, 1991; Toro, 2007; Zimmerman, 2000). Sabato 28 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2D Obiettivo. Analizzare gli interventi di contrasto all'esclusione, ipotizzando che un modello di intervento empowering produca cambiamenti positivi. SIMPOSIO OSTRACISMO E ESCLUSIONE SOCIALE 86
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Metodo qualitativo. Partecipanti: 53 utenti dei servizi sociali e sanitari (homeless e pazienti dei Servizi di Salute Mentale) e 23 professionisti (psicologi, assistenti sociali, educatori, responsabili di servizi territoriali e residenziali). valutare più severamente le loro azioni. Questi risultati potrebbero avere una rilevanza rispetto alle strategie per ridurre i pregiudizi nei confronti delle minoranze. Strumenti: intervista semi strutturata, analisi di contenuto computer assisted. RETORICHE DELL’INCLUSIONE E PRATICHE DELL’ACCOGLIENZA: LA CONDIZIONE DI RICHIEDENTE ASILO IN ITALIA Risultati. Considerare i marginali solo come individui bisognosi di assistenza sociale aumenta lo stigma, l’indesiderabilità sociale e forme di ostracismo. Questo induce un progressivo disempowerment, provocando il fenomeno delle revolving doors (Kushel et al., 2005), con un passaggio tra i servizi senza uscire dalla marginalità. A. Zamperini, M. Menegatto, S. Frattini, A. Cesaro, Dipartimento FISPPA, Università degli Studi di Padova Introduzione – Il fenomeno dei richiedenti asilo obbliga a ripensare l’attrito tra inclusione ed esclusione, dinamiche considerate di tipo on-­‐off, e che rivelano nella quotidianità una natura processuale di incongruenze e contraddizioni. Conclusioni. Appare rilevante per gli individui la personalizzazione degli interventi e la valorizzazione delle competenze residue; per i servizi il monitoraggio e la valutazione, il lavoro di rete e la formazione degli operatori. Punto cruciale sono le strategie empowering, non basate su logiche assistenziali ed in grado di incrementare l’autostima degli individui e l’efficacia dei servizi. Ulteriore elemento è la connessione con la comunità locale, gli attori sociali direttamente e indirettamente coinvolti e i policy makers. Obiettivi e metodo -­‐ Scopo dell’indagine è analizzare i legami tra percezioni di aiuto e rappresentazione delle istituzioni responsabili dell’emergenza, con particolare attenzione verso sentimenti di esclusione sociale e le pratiche di accoglienza e tutela, con la capacità di ripensare la propria vita dopo la migrazione forzata. I partecipanti sono richiedenti asilo (N=27), range età 19-­‐44, genere maschile, da circa 4 anni in Italia. La ricerca è stata condotta secondo un approccio etnografico; le interviste realizzate sono state trascritte e analizzate con Atlas.ti. GIUSTIZIA ED ESCLUSIONE SOCIALE: L’EFFETTO DELLA NAZIONALITÀ DEL COLPEVOLE SULLA VALUTAZIONE DI UNA NOTIZIA DI CRONACA Risultati – A livello generale, emerge una tensione fra adattamento (fiducia nella visione istituzionale dell’integrazione) e un soggettivo senso di sé pregno di ricordi e esigenze progettuali. Una tensione che si risolve in compromesso: l’ottenimento di uno status giuridico in cambio di adeguamento. Il rapporto con le istituzioni è ambiguo: vengono riconosciuti gli aiuti ricevuti (non sempre ritenuti utili), ma in un clima di incertezza, nutrita da disinteresse e malafede. Sentimenti di ostracismo e esclusione investono i (non) rapporti con la popolazione italiana. Le pratiche di accoglienza diventano una forma di assoggettamento; le persone ospitate nelle strutture sono confinate in isolamento, giustificato con la retorica dell’aiuto: la frequenza di diagnosi di disturbo post-­‐traumatico da stress, il dovere e la volontà delle istituzioni di proteggere. P. Villano, S. Passini, Dipartimento di Scienze della Formazione, Università di Bologna Questa ricerca è volta ad approfondire il tema della violazione delle norme da parte di persone italiane e immigrate. In specifico, si è indagato se le persone utilizzano criteri differenti di valutazione nel giudicare la violazione di una norma da parte di un membro dell’ingroup o dell’outgroup. Alcuni studi (vedi van Dijk, 2000) hanno infatti mostrato che quando i colpevoli sono migranti, le persone tendono a giudicare l'evento più severamente. Questa differente valutazione non dovrebbe essere però considerata una tendenza generale. Nella presente ricerca, abbiamo infatti considerato gli effetti dei processi di esclusione morale sulla valutazione della giustizia, con l'idea che solo le persone che tendono a escludere gli outgroups dalla propria comunità morale – che definisce il gruppo a cui si applicano le regole di giustizia (Opotow, 1990; Passini, 2010) – forniranno una valutazione pregiudizievole. Conclusioni -­‐ Nel complesso, la consapevolezza della propria condizione origina processi di ri-­‐significazione rispetto all’aiuto chiesto e ricevuto: rabbia, percezione di esclusione, urgenza di azioni concrete. Ma pure progettualità, reazioni al disinteresse e all’incertezza. Sono stati condotti due studi: (1) un’analisi qualitativa riguardante notizie di cronaca con un italiano e uno straniero come protagonista condotta su alcuni dei più diffusi quotidiani nazionali; (2) un’analisi delle risposte date da 160 soggetti a due scenari ispirati a notizie di cronaca con un italiano e un rumeno come protagonista. IN&OUT: IL RUOLO DELLA MEMBERSHIP NELLE RISPOSTE AUTONOMICHE DURANTE L’ESPERIENZA E L’OSSERVAZIONE DELL’ESCLUSIONE SOCIALE D. Paolini, D. Cardone, A. Merla, A. Aquino, F. R. Alparone, Dipartimento Neuroscience e Imaging e ITAB, Università degli Studi di Chieti-­‐Pescara Gli studi confermano le ipotesi: sia le analisi condotte sui quotidiani e sui partecipanti allo studio 2 mostrano l’utilizzo di criteri differenti nel valutare un evento di cronaca quando il protagonista fa parte dell’ingroup o di un outgroup. In quest’ultimo caso, l’evento è valutato più severamente. Lo studio 2 mostra che questa valutazione pregiudizievole è strettamente collegata ai processi di inclusione/esclusione morale: solo quando le persone tendono ad escludere alcuni outgroups dal loro scopo di giustizia vi è una tendenza a Introduzione. Diverse ricerche evidenziano che essere vittime di esclusione sociale rappresenta un’esperienza dolorosa (Eisenberg et al., 2003) per chi la subisce e per chi la osserva (Wesselmann et al., 2009). Il dolore sociale della vittima sembra manifestarsi allo stesso modo se l’esclusione viene agita da un membro dell’ingroup o 87
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dell’outgroup, ma non è ancora chiaro il ruolo dell’appartenenza al gruppo nell’esperienza dell’osservatore. riduzione delle conseguenze psicologiche dell’ostracismo e dell’esclusione sociale. Obiettivi E Metodi. Due studi hanno indagato se l’esclusione sociale è in grado di elicitare una diversa attivazione autonomica -­‐misurata come variazione della temperatura in diverse aree del volto-­‐ nel partecipante e nell’osservatore in funzione dell’appartenenza al gruppo (ingroup vs. outgroup). A tale scopo, in entrambi gli studi, dopo essere stati suddivisi in gruppi minimi i partecipanti hanno preso parte (Studio 1, N=21) o assistito (Studio 2, N=25) ad una sessione di Cyberball durante la quale è stato registrato il segnale IR con la termocamera. Sabato 28 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2B SESSIONE PREGIUDIZIO E CATEGORIE SOCIALI Moderatore: Alberto Voci NAZIONALISMO E PATRIOTTISMO NELLA RELAZIONE TRA VALORI INDIVIDUALI E PREFERENZE DI ACCULTURAZIONE. UNO STUDIO SU STUDENTI ITALIANI Risultati. In linea con le ipotesi, in funzione dell’appartenenza al gruppo è emersa una differenza significativa nella variazione di temperatura in alcune aree specifiche del volto tra i partecipanti inclusi vs. esclusi. Queste differenze appaiono meno marcate quando i partecipanti osservano un processo di esclusione sociale. A. Miglietta, Università di Torino Introduzione. Il problema che i sentimenti positivi verso la propria nazione possano produrre il rifiuto dello straniero è noto nel dibattito psicosociale su Nazionalismo e Patriottismo. Queste due forme di identità sociale sono accomunate dall’ingroup bias ma solo il nazionalismo svaluta l’outgroup e mostra sentimenti di dominanza sociale. Tale differenza può essere ricondotta alla compatibilità di N e P con specifici orientamenti valoriali: il primo con i valori conservatori; il secondo con l’apertura al cambiamento. Anche l’atteggiamento verso gli immigrati è influenzato da questi valori ed è più positivo se questi enfatizzano l’indipendenza dal gruppo e l’apertura a nuove esperienze. Nella ricerca, l’atteggiamento verso gli immigrati è stato rilevato come preferenza espressa dagli italiani rispetto all’adozione da parte degli immigrati di una strategia di acculturazione assimilazionista o individualista. Obiettivi e metodi. La ricerca intende verificare se: (a)N e P si distinguono sulla base dei valori implicati; (b) N predice la preferenza per l’assimilazione degli immigrati; P l’approccio individualista, (c) N e P mediano la relazione valori-­‐preferenze di acculturazione. 504 studenti italiani (F = 53%; età: 19; ds. .6). Questionario: Schwartz Value Survey; Nationalism and Patriotism scales; HCAS scale. Analisi dei dati: SEM; Mediazione: Boostraps. Risultati Hps: (a) nazionalismo e patriottismo si fondano su valori conservatori; sul nazionalismo incide anche la relazione negativa con i valori di autotrascendenza; (b): N influenza positivamente assimilazione e negativamente l’individualismo; (c) N media parzialmente la relazione conformismo/assimilazione e completamente quella autotrascendenza/individualismo. Conclusioni. Nazionalismo e patriottismo sono empiricamente distinguibili; l’identificazione con la Nazione influenza le preferenze del gruppo dominante rispetto al tipo acculturazione richiesto alle minoranze immigrate. Conclusioni. Gli studi confermano, anche a livello autonomico, l’impatto negativo dell’esclusione sociale nella vittima e nell’osservatore ed evidenziano l’importanza dell’appartenenza al gruppo in questo fenomeno. RIDURRE GLI IMPATTI NEGATIVI DELL’OSTRACISMO E DELL’ESCLUSIONE SOCIALE: EVIDENZE PSICOLOGICHE E DI NEUROMODULAZIONE P. Riva, Università degli Studi di Milano-­‐Bicocca Dalla pubblicazione dell’articolo di Baumaister e Leary (1995) sul bisogno di appartenenza come bisogno psicologico fondamentale degli esseri umani, quasi due decenni di lavori empirici hanno mostrato gli effetti negativi che fenomeni quali ostracismo ed esclusione sociale hanno sulle emozioni, sulle cognizioni, sulla salute e sul comportamento umano. Considerata questa mole di studi, si pone ora la necessità di capire come poter ridurre le conseguenze negative di tali fenomeni. Verranno presentati due studi. Il primo esplora l’effetto dell’identificazione con la categoria sovraordinata dell’umanità sulla riduzione degli impatti negativi dell’ostracismo. I partecipanti (N = 80) sono stati assegnati a una condizione di inclusione vs. ostracismo e successivamente a tre diverse condizioni di identificazione sociale (con la categoria sovraordinata, con il gruppo nazionale, gruppo di controllo). I risultati mostrano che solo l’identificazione con la categoria sovraordinata è in grado di attenuare gli impatti negativi dell’ostracismo. Il secondo studio ha indagato l’effetto della stimolazione transcranica a corrente continua sulla corteccia prefrontale ventrolaterale prefrontale destra. I partecipanti (N = 80) sono stati assegnati a una condizione di inclusione vs. esclusione sociale durante le quali è stata applicata la neurostimolazione. I risultati hanno mostrato che la neurostimolazione ha ridotto gli impatti immediati dell’esclusione sociale, mentre nessun effetto è stato osservato per i partecipanti socialmente inclusi. Considerati nel suo insieme, questi studi da un lato mostrano come sia possibile ridurre le conseguenze negative dell’esclusione sociale attraverso approcci differenti e dall’altro gettano le basi per nuove ricerche sul tema della COMBINAZIONI CATEGORIALI CONTRO-­‐STEREOTIPICHE ED ESPERIENZE EMOZIONALI INTERGRUPPI F. Prati, Università di Bologna R. J. Crisp, Università di Sheffield, Sheffield, U.K. Recenti studi hanno mostrato che quando le persone sono poste di fronte a combinazioni non stereotipiche (vs. stereotipiche) di categorie sociali rilevanti riducono il pregiudizio verso i target considerati e sono in grado di produrre caratterizzazioni più specifiche e articolate degli stessi. 88
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I COSTI DELLA DENIGRAZIONE VERSO I MEMBRI DELL’INGROUP: BSE E PROSPETTIVE MULTIPLE La presente linea di ricerca estende gli effetti positivi delle categorizzazioni contro-­‐stereotipiche considerando i loro effetti sulle esperienze emozionali intergruppi. R. Viola, M. Rullo, S. Livi, G. Pantaleo, Università La Sapienza, Roma In un primo studio, i partecipanti sono stati esposti a combinazioni contro-­‐stereotipiche vs. stereotipiche ed è stato chiesto loro di indicare quali emozioni venivano suscitate dai target di giudizio. I risultati hanno mostrato la formulazione di una maggiore quantità di emozioni positive in Gli studi Black Sheep Effect (BSE, Marques, et al., 1988) hanno dimostrato come i gruppi tendano a denigrare maggiormente un membro deviante quando questo appartiene all’ingroup mostrando una sorta di favoritismo per l’outgroup.L’emergenza di questa particolare forma di ingroup bias è stata spiegata come una sofisticata forma di favoritismo per l’ingroup che si manifesta attraverso la denigrazione volta a ridurre la minaccia all’identità sociale generata dalla presenza di un membro deviante (cfr. Marques et al., 2001). Nel presente studio è stata indagata l’emergenza del BSE in condizione di confronto sfavorevole con l’outgroup ipotizzando che di fronte una prestazione scadente di un membro dell’ingroup e positiva dell’outgroup, il BSE si riducesse per i soggetti molto identificati in virtù di una minaccia al valore del gruppo superiore a quella generata dal membro “deviante”. Ottantasette partecipanti hanno valutato due elaborati di qualità alta/bassa scritti sia dall’ingroup che dall’outgroup.I risultati hanno mostrato che quando l’elaborato di scarsa qualità era attribuibile all’ingroup e quello di alta qualità all’outgroup (confronto sfavorevole), le valutazioni tra i gruppi differivano mostrando punteggi significativamente più alti per l’ingroup in questa condizione rispetto alle altre (confronti neutri). Inoltre, l’effetto della minaccia derivante dal confronto con l’outgroup è stato indagato attraverso la chiusura a una molteplicità di prospettive (Pantaleo e Wicklund, 2001) che si è rivelata più evidente nella condizione di confronto sfavorevole. Questi risultati mostrano come la minaccia derivante da un outgroup saliente possa influenzare le strategie messe in atto dai membri di un gruppo per tutelare la propria identità sociale minacciata dimostrando che il BSE, oltre ad essere una strategia “costosa”, è anche un comportamento contro produttivo per il gruppo stesso condizioni di categorie contro-­‐stereotipiche. In un secondo studio, i partecipanti dopo l’esposizione a categorizzazioni contro-­‐stereotipiche (donna meccanico) valutavano il grado in cui il target suscitava in loro emozioni positive e negative. I risultati hanno mostrato una diminuzione di giudizi emozionali negativi ed un aumento di giudizi emozionali positivi nelle condizioni controstereotipiche. Infine un terzo studio ha confermato la validità dei risultati precedenti con un target di giudizio differente (manager rumeno). Saranno discusse le implicazioni di questi risultati in termini di esperienze emozionali generate dalla sorpresa che le combinazioni contro-­‐stereotipiche inducono. DA DEVIANTE A PECORA NERA: INTERAZIONE ENTATIVITÀ E IDENTIFICAZIONE SOCIALE M. Rullo, S. Livi, Università La Sapienza, Roma Gli studi sull’effetto black sheep (BSE, i.a Marques et al., 1998), ovvero la derogazione dei membri dell’ingroup, mostrano come esso sia un fenomeno influenzato principalmente da fattori quali la salienza delle norme del gruppo o l'identificazione dei membri con il gruppo. Tuttavia ricerche più recenti indicano come l’entitatività, ovvero la percezione del grado in cui un gruppo è percepito come dotato di esistenza reale e come un'unica entità sociale (Campbell,1958), sia in grado di moderare tale effetto: in particolare lo studio di Lewis e Sherman (2010) ha dimostrato che il black sheep effect emerge quando si valutano gruppi molto entitativi mentre non sussiste nessuna differenza nei giudizi rivolti a membri di gruppi considerati poco entitativi. Nel presente studio è stato ipotizzato che a predire l'emergere del black sheep effect sia il grado di identificazione dei membri con l'ingroup che, interagendo con l'entitatività, genera elevati livelli di denigrazione verso l'ingroup. Infatti, la risposta di allontanamento psicologico e di denigrazione verso membri dell’ingroup devianti può avvenire solo per coloro che traggono dal proprio gruppo parte della loro autostima e della loro identità. 169 partecipanti hanno valutavano due scenari che descrivevano comportamenti negativi ascrivibili ora all'ingroup ora all'outgroup. Quando il gruppo era molto entitativo ma i soggetti poco identificati, non sono emerse differenze di valutazione tra i gruppi; viceversa, quando l'identificazione era l'alta, è stato possibile osservare l'effetto black sheep a prescindere dall'entitatività dei gruppi. Questi risultati confermano che è la minaccia all'identità sociale a generare l'effetto black sheep e che l'entitatività agisce incrementando la percezione di minaccia ma solo nei membri molto identificati. Sabato 28 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 2C SESSIONE COMPORTAMENTI DI SALUTE E DI MALATTIA Moderatore: Giovanna Petrillo IL BINGE DRINKING: DIMENSIONE SOCIALE, FATTORI MOTIVAZIONALI E INTENZIONI DEL BINGE DRINKING A. Gabbiadini, F. Cristini, L. Scacchi, M.G. Monaci, Università della Valle d'Aosta La letteratura scientifica ha evidenziato come il consumo di alcolici possa avere conseguenze deleterie sia sulle relazioni sociali sia sulla salute. Il consumo alcolico è un fenomeno moderatamente diffuso in Italia (con valori talvolta più bassi di quelli di altri paesi europei) ma significativamente in crescita (ISTAT, 2012). Tuttavia, non è solamente la dipendenza alcolica che desta preoccupazione ma, se eccessivo, anche un consumo 89
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occasionale può rappresentare un serio problema di natura sociale. sorting), con una sequenza di analisi statistiche multivariate (multidimensional scaling, analisi gerarchica dei cluster). In letteratura, l'assunzione di più bevande alcoliche in un breve intervallo è noto come binge drinking: non è importante il tipo di sostanza che viene ingerita, gli obiettivi principali di questo tipo di abuso occasionale, che avviene spesso in gruppo, sono infatti l'ubriacatura immediata e la perdita di controllo. Risultati. I risultati ricostruiscono la teoria implicita dell’intervento condivisa dagli operatori evidenziando i nessi logici fra le componenti essenziali del programma e mettendo in luce le differenze con la teoria esplicita. Conclusioni. L’approccio theory driven ha permesso di ridefinire il progetto individuando i criteri e gli indicatori più utili per la valutazione della sua efficacia e il monitoraggio del suo funzionamento nel tempo. Per queste ragioni, risulta di primaria importanza indagare il fenomeno del binge drinking in relazione alla dimensione sociale del gruppo e non isolatamente come fenomeno di consumo problematico. AUTOEFFICACIA PERCEPITA E COMPETENZE RELAZIONALI NEL MODELLO RELAZIONALE DEL SERVIZIO SOCIALE DI BASE In questo studio, che ha interessato 411 studenti (374 F, età M = 25,48 DS = 35,27) delle città di Brescia, Milano e Aosta, si è indagato il ruolo di variabili motivazionali che influenzano il consumo problematico di alcolici in un’unica occasione, considerando oltre all’utilizzo di strumenti classici quali il Drinking Motives Questionnire e l’Alcool Expectancy Questionnaire, anche gli effetti della identificazione con il gruppo (identità sociale e norme di gruppo). Il binge drinking è stato considerato come un obiettivo comportamentale collettivo, pertanto, in questa ricerca s’inserisce nella cornice teorica della previsione comportamentale, partendo dalla relazione fra atteggiamento e comportamento (si vedano Ajzen, 1988; Perugini e Bagozzi, 2001). S. Berlanda, M. Pedrazza, Università di Verona L’obiettivo di questa ricerca è analizzare la relazione tra autoefficacia percepita, abilità relazionali nel rapporto con l’utenza e burnout in un campione di 805 assistenti sociali del servizio sociale di base che operano nel Veneto. Le percezioni di autoefficacia non riflettono un senso generico di competenza, ma sono legate al contesto specifico. Per questo motivo, grazie a dei focus group con testimoni privilegiati, abbiamo costruito e validato una scala che misura l’autoefficacia negli assistenti sociali. Per la validazione abbiamo effettuato una suddivisione casuale del campione in due parti. I dati del primo sottocampione (n = 402) sono stati analizzati con l’analisi fattoriale esplorativa, che ha rivelato tre dimensioni di autoefficacia: regolazione affettiva, ricerca di supporto ed autoefficacia procedurale. La struttura a tre fattori è stata confermata con l'analisi fattoriale confermativa sulla seconda parte del campione (n = 403). In seguito abbiamo analizzato la relazione tra percezione di autoefficacia, empatia, assertività e burnout . In particolare abbiamo rilevato come ad alti livelli di autoefficacia corrispondano bassi livelli di esaurimento emotivo e cinismo. Inoltre, è emerso che gli assistenti sociali con alti livelli di autoefficacia percepita presentano una minor difficoltà nel mostrarsi assertivi ed una maggior capacità di mostrarsi empatici. Alla luce dei nostri risultati sarebbe necessario rivalutare l’opportunità di offrire agli assistenti sociali occasioni strutturate per riflettere sulle loro competenze relazionali. Inoltre sarebbe utile pensare ad interventi formativi finalizzati al rafforzamento della percezione di autoefficacia e quindi del benessere lavorativo. I risultati e i limiti della ricerca, ottenuti attraverso la verifica di modelli con equazioni strutturali, saranno discussi in maniera critica rispetto alle ipotesi presentate. UN’APPLICAZIONE DELLA VALUTAZIONE THEORY DRIVEN AD UN PROGETTO DI PREVENZIONE DEL DISAGIO IN ADOLESCENZA L. Palareti, R. Biolcati, C. Mameli, M. Fabbri, F. Emiliani Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Bologna Introduzione. Sulla scia di una sempre maggiore insoddisfazione rispetto al tradizionale modello sperimentale black box (Leone, 2006; Pawson e Tilley, 1997; Stame, 2004), le recenti linee guida del European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA, 2012) indicano l’approccio theory driven come il metodo più utile alla valutazione dei programmi di prevenzione, in quanto permette di svelare quali condizioni e meccanismi sono alla base dei processi di cambiamento attesi (Weiss, 1997; Coryn et al., 2010). LA FATIGUE NEI PAZIENTI ONCOLOGICI: SIGNIFICATI E PAROLE. UNA RICERCA QUALITATIVA NEL CONTESTO ITALIANO. Il nostro contributo presenta un lavoro di valutazione guidato dalla teoria applicato ad un ampio progetto di prevenzione del disagio realizzato in 14 scuole secondarie di primo e secondo grado nel Nord Italia. S. Barello, G. Graffigna, C. Bosio, Facoltà di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Obiettivi e metodo K. Olson, Faculty of Nursing, University of Alberta, Edmonton, Canada L’obiettivo dello studio è identificare e descrivere quali componenti, secondo le teorie implicite dei quattordici operatori impegnati nel progetto, hanno un ruolo chiave per l’efficacia del programma. Sul piano metodologico, abbiamo utilizzato l’approccio del concept mapping (Marcier e Piat, 2000; Trochim e Kane, 2005) che combina attività di gruppo e individuali di produzione e raccolta dati (es. brainstorming, Introduzione. La fatigue costituisce una sintomatologia che affligge circa l’80% dei pazienti oncologici con un impatto negativo sulla qualità di vita e sulla sopravvivenza. Nonostante la complessità e rilevanza clinica di questo fenomeno, le caratteristiche psicosociali della fatigue non sono ancora pienamente comprese Obiettivi. Indagare 90
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fissazione (gaze duration) inferiori a quelli relativi alle informazioni di socievolezza e competenza. Nel complesso, pertanto, i risultati rivelano che i tratti morali sono più cognitivamente accessibili dei tratti di competenza e socievolezza. I risultati verranno discussi in rapporto alle teorie funzionaliste applicate al giudizio sociale. l’esperienza soggettiva e i significati attribuiti all’esperienza di fatigue nei pazienti oncologici, con particolare attenzione al lessico e alle costruzioni linguistiche utilizzate per descrivere la loro esperienza al fine di supportare la progettazione di strumenti di assesment ecologici e fine-­‐tuned con l’esperienza socio-­‐culturalmente connotata dei pazienti. Metodologia. Interviste in profondità a 16 pazienti affetti da patologia tumorale metastatica, con livelli di fatigue differenti, condotte ed analizzate secondo il metodo dell’Ethnoscience, in quanto particolarmente adeguato per studiare i significati veicolati dal linguaggio. Risultati. La fatigue ha un impatto su tre principali aree di vita: quella corporea, quella emotiva e quella attinente alla qualità delle relazioni interpersonali. I pazienti forniscono ipotesi causali diverse della fatigue a seconda del livello con cui ne esperiscono i sintomi: pazienti con fatigue bassa e moderata tendono ad attribuire questa sindrome a fattori contestuali (terapie, età, stile di vita); pazienti con fatigue severa attribuiscono la sintomatologia a fattori di carattere medico (malattia, il corpo che non reagisce). Infine, livelli differenti di fatigue si associano a pattern linguistici specifici. Risultati e conclusioni. La fatigue è un fenomeno clinico complesso che necessita di strategie di cura multilivello. L’identificazione di vocabolario condiviso culturally-­‐based potrebbe favorire la compliance dei pazienti alle prescrizioni terapeutiche e la realizzazione di strumenti di assesment della fatigue specifici per il contesto italiano. QUANDO L'ABITO (NON) FA IL MONACO: EFFETTI DELL’OGGETTIVAZIONE SESSUALE E DELLA MORAL PATIENCY SULLA DISPONIBILITA' ALL’AIUTO M. G. Pacilli, Università di Perugia S. Pagliaro, Seconda Università di Napoli, Caserta S. Gramazio, Università di Chieti-­‐Pescara A.C. Baldry, Seconda Università di Napoli, Caserta Introduzione. La violenza contro le donne è un fenomeno preoccupante per le numerose implicazioni che presenta a livello psicologico e sociale, oltre che a livello fisico. Ricerche precedenti hanno mostrato non solo come focalizzarsi sull'aspetto di una donna porti a percepire la stessa come meno morale, ma anche che la disponibilità a prestare aiuto a una donna vittimizzata dipende dalla percezione di umanità della stessa. Obiettivi e Metodi. L'obiettivo del presente contributo è stato quello di esaminare il modo in cui i processi di oggettivazione incidono sulla disponibilità all'aiuto di una donna vittima di violenza, considerando in questo senso il ruolo della moral patiency, ovvero la percezione che un dato target sia meritevole o meno di un trattamento morale. Attraverso uno studio sperimentale, è stato chiesto a 109 studenti universitari di leggere un articolo fittizio di giornale inerente una donna vittima di violenze da parte del marito. L’articolo era accompagnato da una foto, presumibilmente tratta dal profilo facebook della donna. A seconda della condizione sperimentale, l'articolo era accompagnato dalla foto di una donna sdraiata su un divano, vestita con un abito sexy (condizione oggettivante) o dalla foto della stessa donna in un pub vestita con abbigliamento casual (condizione non oggettivante). I partecipanti sono stati poi invitati a valutare la moral patiency della vittima e a indicare la loro disponibilità a fornire aiuto. Sabato 28 settembre 2013 (11:30 / 13:30) Aula 3I SIMPOSIO L'IMPORTANZA DI ESSERE ONESTI. LA MORALITÀ COME DIMENSIONE FONDAMENTALE NEL GIUDIZIO SOCIALE Proponente: Luciana Carraro Discussant: Stefano Boca ONESTO A COLPO D’OCCHIO: ACCESSIBILITÀ COGNITIVA E TRATTI MORALI M. Brambilla, S. Sacchi, Università degli Studi di Milano-­‐
Bicocca, Milano M. Marelli; Università degli Studi di Trento Recenti studi nell’ambito del giudizio sociale hanno dimostrato che tratti e caratteristiche morali sono determinanti nel definire la percezione interpersonale e intergruppi. Nello specifico, le informazioni circa la moralità hanno un maggior peso nelle diverse fasi che sottendono la formazione di impressioni rispetto alle informazioni circa la socievolezza e la competenza. Obiettivo del presente lavoro è di indagare se tratti e caratteristiche morali siano differentemente processate rispetto a tratti e caratteristiche riferite ad altre dimensioni (socievolezza e competenza) nelle prime fasi di elaborazione delle informazioni. Al riguardo è stato chiesto ai partecipanti in due diversi studi di formarsi un'impressione su un target sconosciuto sulla base di specifiche caratteristiche proiettate sullo schermo. I tratti variavano lungo le dimensioni di socievolezza, moralità e competenza. Tramite l’utilizzo dell’eye-­‐tracker sono stati misurati i tempi di prima fissazione dei tratti. I risultati mostrano che le informazioni morali elicitano tempi di prima Risultati. Nella condizione oggettivante, abbiamo riscontrato livelli più bassi di moral patiency attribuita alla vittima così come minor disponibilità all'aiuto nei suoi confronti. Inoltre, la visione della foto oggettivante ha influenzato la disponibilità ad aiutare la donna tramite la mediazione parziale della moral patiency. Conclusioni. I risultati sono discussi alla luce dei risvolti negativi che i processi di oggettivazione sessuale implicano nella percezione del fenomeno della violenza di genere. LA MORALITÀ NEL GIUDIZIO INTERGRUPPI: IL FENOMENO DELL’INGROUP MORALITY BIAS S. Moscatelli, F. Albarello, O. Bernardini, Università di Bologna Recenti ricerche hanno messo in luce che il giudizio sociale si organizza prevalentemente intorno a tre dimensioni fondamentali – moralità, socievolezza e competenza – ed 91
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olistico (alto construal level) oppure analitico (basso construal level). Dai risultati è emerso che nella condizione di indotta percezione olistica i partecipanti distribuiscono le risorse (Van Lange et al., 2007) seguendo i propri principi morali, quindi i progressisti (vs. conservatori) operano più scelte pro-­‐sociali. Al contrario, quando viene indotta una visione analitica, i conservatori tendono ad operare più scelte pro-­‐sociali scostandosi quindi dal loro comportamento abituale. I risultati verranno discussi relativamente alle possibili conseguenze applicative e ai processi sottostanti. hanno sottolineato il ruolo primario della moralità per la valutazione positiva del proprio gruppo. Il presente lavoro, prendendo in considerazione il giudizio intergruppi, si pone l’obiettivo di esaminare se la moralità costituisca una dimensione per differenziare positivamente l’ingroup da altri gruppi. A questo scopo, nello studio (in corso di realizzazione) i partecipanti valuteranno in quale misura il proprio gruppo nazionale (gli italiani) e tre outgroup di status uguale, inferiore e superiore possiedano caratteristiche di moralità (e mancanza di moralità), competenza (e mancanza di competenza), socievolezza (e mancanza di socievolezza). Facendo riferimento al modello del contenuto degli stereotipi, secondo cui lo status sociale e l’esistenza di competizione nella relazione intergruppi influenzano la percezione di competenza e di calore (inteso come moralità e socievolezza) dei gruppi, si controlleranno gli effetti di queste due variabili. In linea con questo modello, si ipotizza che il gruppo di status superiore sarà percepito come più competente degli italiani e che la percezione di socievolezza di ciascun outgroup correlerà negativamente con la competizione percepita. Tuttavia, in contrasto con il modello ipotizziamo che in tutti i tipi di confronti la dimensione di moralità sarà utilizzata per ottenere una specificità positiva per l’ingroup. In altre parole, il proprio gruppo sarà valutato come più morale degli altri gruppi indipendentemente dal loro status e dalla percezione di competizione. GLI EFFETTI DEGLI ATTACCHI ALLA MORALITÀ: DIMENSIONE PUBBLICA E DIMENSIONE PRIVATA M. Bertolotti e P. Catellani, Università Cattolica di Milano Introduzione Numerose ricerche sulla formazione dei giudizi sociali hanno evidenziato l’importanza della dimensione della moralità, specialmente in presenza di informazioni negative. In ambito politico tuttavia non sempre gli attacchi alla moralità dei candidati hanno l’effetto atteso: se un attacco è percepito come pretestuoso il giudizio sulla fonte può essere più negativo di quello sul politico attaccato. Resta da capire quali attacchi siano giudicati accettabili e siano quindi più efficaci. In una serie di studi sperimentali abbiamo indagato alcuni dei fattori che possono influenzare l’efficacia degli attacchi alla moralità dei politici. Obiettivi e Metodi Attraverso uno scenario simulato, abbiamo presentato ai partecipanti diverse versioni di un testo contenente un attacco ad un politico immaginario. Nelle diverse condizioni sperimentali abbiamo manipolato la dimensione di personalità attaccata (leadership o moralità), la rilevanza pubblica o privata dell’attacco, il contesto nel quale l’attacco viene rivolto (pubblico o privato) e l’autorevolezza della fonte dell’attacco. Abbiamo quindi misurato i giudizi degli elettori sui politici attaccati e sulla fonte degli attacchi. Risultati Dai risultati è emerso che gli attacchi alla moralità pubblica dei politici sono giudicati più accettabili e quindi più efficaci di quelli alla moralità privata. Al contrario un contesto privato rende gli attacchi più efficaci di un contesto pubblico. In alcune condizioni, tuttavia (ad esempio quando la fonte dell’attacco è considerata poco autorevole), anche un attacco alla moralità privata risulta accettabile e ha un effetto negativo sulla valutazione del politico attaccato. La competenza politica dei partecipanti modera questi effetti. Conclusioni La discussione si centra su come, a seconda dei contesti comunicativi, l’importanza attribuita alla dimensione della moralità nei giudizi sociali possa rendere gli attacchi ai politici irrilevanti o, al contrario, sorprendentemente efficaci. I risultati potranno avere interessanti implicazioni rispetto alle teorizzazioni sul giudizio sociale, mostrando come la moralità giochi un ruolo primario non solo nelle valutazioni verso l'ingroup, ma anche come dimensione di giudizio nell'arena intergruppi. MORALITÀ IN CONSERVATORI E PROGRESSISTI: È POSSIBILE MODIFICARE LA LORO VISIONE DEL MONDO? L. Carraro, L. Castelli, Università Degli Studi di Padova Recentemente diversi studi hanno messo in evidenza come conservatori e progressisti siano molto diversi tra loro, non solo per opinioni e stili di vita, ma anche per meccanismi più profondi, quali ad esempio processi attentivi automatici (e.g., Carraro et al., 2011). Nel presente contributo l’indagine di queste differenze viene estesa, attraverso due studi, ai concetti di moralità, valori fondamentali e distribuzione di risorse. Lo Studio 1 rappresenta un’indagine preliminare al fine di analizzare differenze nell’ambito della Moral Foundation Theory (MFT; Graham et al., 2009), dei valori fondamentali (Schwartz, 1992) e nella distribuzione di risorse (Van Lange et al., 2007). In accordo con la MFT i risultati hanno evidenziato come conservatori (vs. progressisti) valorizzino maggiormente ingroup/loyalty, authority/respect e purity/sanctity. Nel caso dei valori fondamentali (Schwartz, 1992), i progressisti ottengono punteggi maggiori (vs. conservatori) in apertura al cambiamento e autotrascendenza. Infine, nella distribuzione di risorse, i progressisti (vs. conservatori) adottano più scelte pro-­‐sociali. Lo Studio 2 rappresenta un primo tentativo volto ad indagare la possibilità di modificare alcune di queste risposte. A questo scopo, dopo aver misurato l’ideologia politica, i partecipanti sono stati indotti ad una percezione della realtà di tipo 92
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Dean,1999; ad. Italiano Bobbio, Manganelli e Spadaro, 2006); la scala di giustizia organizzativa (Colquitt, 2001). Risultati La correlazione tra cinismo e giustizia organizzativa ha evidenziato una relazione negativa (r= -­‐.521 p.< .01 test ad una coda). L’analisi testuale ha permesso di identificare 55 cause di cinismo (28 positive e 27 negative). Due poli sembrerebbero spiegare il costrutto: la soddisfazione lavorativa (8 persone la indicano come causa), che sembrerebbe legata alla coerenza organizzativa, alla collaborazione e all’autonomia; l’insoddisfazione lavorativa (4 persone la indicano come causa), che sembrerebbe invece collegata all’ambiguità dell’azione alla mancanza di meritocrazia e all’incapacità organizzativa. Conclusioni Per quanto riguarda possibili sviluppi futuri, sarebbe interessante ampliare il ventaglio delle variabili che possono essere messe in relazione con il cinismo al fine di testare modelli di relazioni causali e approfondire le cause che ne favoriscono l’emergere. POSTER TRE ANNI ALL’INTERNO DI UN AEROPORTO INTERNAZIONALE: ANALISI DI UN LABORATORIO PERMANENTE SULLA SICUREZZA. A., Armenti, Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Sezione di Psicologia Applicata Entrare ed osservare un aeroporto per tre anni, permette di cogliere il complesso sistema che concorre ogni giorno per la sicurezza. L’attualità del tema “sicurezza” è legata agli ultimi eventi che hanno modificato l’agenda politica dei Paesi e diffuso una percezione di insicurezza generalizzata. L’obiettivo è identificare fattori e processi psicosociali alla base della sicurezza percepita (SP) dei passeggeri aeroportuali, mediante un modello di integrazione interdisciplinare e metodologica. L’approccio multi-­‐metodo, che prende in considerazione trasversalmente attori, pratiche sociali e artefatti tecnologici, fa emergere gli aspetti salienti del contesto. La ricerca è suddivisa in due fasi: I) qualitativa, condotta mediante triangolazione metodologica legando tra loro norme sociali (ordinanze), situazioni (interviste) e artefatti (osservazioni), sono state effettuate analisi del contenuto, del discorso e della conversazione; II) quantitativa, orientata allo sviluppo di uno strumento di misura della SP (PASQ-­‐ Perceived Airport Security Questionnaire), tradotto in cinque lingue e somministrato a 1004 passeggeri. Sono stati condotti multipli pretest e studi pilota con passeggeri italiani, analisi fattoriali esplorative, di attendibilità, correlazione, regressione multipla, mediazione e confronti tra sottogruppi di partecipanti. I principali risultati definiscono e verificano i processi psicosociali alla base della SP, evidenziando l’importanza del fattore umano e della conoscenza. I risultati assumono notevole valenza applicativa nella definizione degli investimenti di progettazione strutturale degli aeroporti e progettazione formativa del personale. ORIENTAMENTI RELIGIOSI E PREGIUDIZIO: OMOSESSUALI, OMOSESSUALITÀ E RISPETTO INCONDIZIONATO G. L. Bosetti, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova, Padova Una relazione di particolare interesse in letteratura è quella tra gli orientamenti religiosi e il pregiudizio sessuale: le tre dimensioni di religiosità, intrinseca, estrinseca e quest, mostrano un legame differente con questa forma di pregiudizio a seconda che gli atteggiamenti pregiudiziali siano espressi nei confronti degli omosessuali o nei confronti dell’omosessualità. In questo studio, condotto attraverso la somministrazione di un questionario a partecipanti italiani di religione cattolica (N = 173), si è esaminata la relazione tra la religiosità e il pregiudizio verso l’omosessualità e verso gli omosessuali. Si è valutata inoltre la relazione tra la religiosità, nelle sue tre dimensioni, e il rispetto. Per osservare tali relazioni si sono condotte una serie di regressioni multiple. Nella prima serie, si sono considerati come predittori i tre orientamenti religiosi e si è osservato che: l'orientamento intrinseco riduce il pregiudizio verso gli omosessuali e aumenta il rispetto; l’orientamento estrinseco aumenta il pregiudizio verso l’omosessualità; la religiosità quest è associata ad una riduzione del pregiudizio, sia verso l'omosessualità sia verso gli omosessuali. L'orientamento quest è inoltre legato ad un aumento del rispetto. Nella seconda serie di regressioni si è inserito tra i predittori il fondamentalismo religioso. Il fondamentalismo, essendo una forma conservatrice di religiosità, porta ad un aumento del pregiudizio sessuale e ad una riduzione del rispetto. Infine, si è condotta un'analisi di moderazione con l'obiettivo di esplorare gli effetti di interazione tra i tre orientamenti religiosi. Con questa analisi è stato possibile estendere all'orientamento quest l'ipotesi di Allport e Ross (1967) riguardo agli “indiscriminatamente pro-­‐religiosi”, mostrando che questa forma matura di religiosità è costantemente associata alla riduzione del pregiudizio e a sentimenti di tolleranza. CINISMO E GIUSTIZIA NELL’AMBIENTE DI LAVORO D.Bellini, Università degli Studi di Verona T.Ramaci, Università "KORE", Enna Introduzione Gli studi effettuati nell’ambito della gestione delle Risorse Umane hanno evidenziato che l’implementazione di pratiche che influenzano la soddisfazione e il coinvolgimento dei lavoratori sono un vantaggio determinante per l’organizzazione (Becker e Gerhart, 1996). Se è vero che le organizzazioni oggi richiedono più frequentemente ai dipendenti di lavorare di più, incrementare il proprio bagaglio di competenze, che genere di risposta potranno attendersi dai“cinici”? Obiettivi e Metodi Gli obiettivi del presente studio sono due. Il primo è verificare la relazione tra cinismo organizzativo e la percezione di giustizia organizzativa; un secondo è esplorare, tramite l’analisi testuale, le cause che generano cinismo su un campione di 88 lavoratori. Gli strumenti sono: la versione italiana della scala del cinismo (Brandes, Dharwadkar e 93
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gli studenti statunitensi sono più focalizzati sul loro impegno accademico e sulle attività sociali previste all’interno del campus. Gli studenti italiani denunciano le carenze organizzative della loro università, mentre gli studenti statunitensi non citano tale problema. Le differenze emerse fra i due contesti verranno discusse alla luce delle ricerche sugli orientamenti culturali (Hofstede, 2010; Oyserman et al., 2002; Triandis et al., 1990; 1995). MISURARE LA RELIGIOSITÀ: VALIDAZIONE ITALIANA DELLA CHRISTIAN RELIGIOUS INTERNALIZATION SCALE (CRIS) M. Brambilla, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Introduzione. Ricerche recenti hanno constatato i limiti legati agli strumenti a disposizione per misurare la religiosità ed è emersa la necessità di strumenti in grado di discriminare tra diverse tipologie di religiosità. Da un’analisi della letteratura internazionale emerge come la Christian Religious Internalization Scale (CRIS, nota anche come Religious Self-­‐
Regulation Questionnaire, Ryan, Rigby, & King, 1993) si sia dimostrata uno strumento in grado di cogliere due tipologie di religiosità – identificazione e introiezione – a partire dall’analisi delle motivazioni per cui le persone mettono in atto dei comportamenti religiosi. In particolare, le due tipologie individuate dalla CRIS sono risultate in grado di discriminare rispetto ad outcomes individuali, come il benessere (Ryan et al., 1993) e gli stili cognitivi (Soenens, Neyrinck, Vansteenkiste, et al., 2011), e rispetto ad outcomes sociali, come il pregiudizio verso un altro gruppo (Brambilla, Manzi, Regalia, & Verkuyten, 2013). Obiettivi e metodi. Nel presente contributo analizziamo la versione italiana della scala, verificandone la struttura fattoriale (tramite analisi fattoriale esplorativa e confermativa) e la affidabilità in termini di coerenza interna. Risultati. I risultati delle analisi delle risposte di 431 partecipanti italiani cristiani di età compresa tra 15 e 30 anni (media = 19.89, D.S. = 2.72) confermano la struttura bifattoriale e la coerenza interna della scala anche nella versione italiana, che comprende le due sottoscale di identificazione e introiezione, ciascuna costituita da 5 items. Conclusioni. Dai risultati emerge come la CRIS possa rappresentare un utile strumento anche nella ricerca psicosociale in Italia quando si voglia indagare il fattore religioso. STATUS QUO, SALUTE E RISPARMIO: IL RUOLO DEL FRAMING NELLA SCELTA DI UN PRODOTTO A. Callea, G. Cosentino, A. Di Giovenale, J. Jarach, Scienze Umane, LUMISA Introduzione -­‐ La teoria del prospetto (Kahneman e Tversky, 1979) supera la teoria dell’utilità attesa (Von Neumann e Morgenstern, 1944) considerando anche il ruolo del framing nelle scelte comportamentali. L’effetto framing suggerisce che lo stesso problema può portare a decisioni differenti rispetto al modo in cui è posto. Gli studi sul framing hanno portato alla distinzione di vari tipi di frame, tra cui lo status quo. Il framing status quo può indurre i decisori a rimanere nella condizione in cui si trovano e può avvenire in situazioni di incertezza sui possibili esiti. Obiettivi e Metodi -­‐ Lo studio indaga se la scelta di un prodotto di uso comune (latte) dipende dal framing status quo o da frame linguistici “salute” e “risparmio”, utilizzati alternativamente in due studi diversi. Nel primo i partecipanti (N=200) dovevano scegliere tra due alternative: “il latte manterrà la stessa quantità di grassi e il suo costo resterà invariato” (A); “il latte avrà il 25% di grassi in meno e il suo costo aumenterà del 30%” (B). Nel secondo i partecipanti (N=200) dovevano scegliere tra la precedente opzione A, e l’opzione “il latte avrà il 25% di grassi in più e il suo costo diminuirà del 30%” (C). Risultati – Le percentuali del primo studio evidenziano che il 58.7% sceglie l’opzione A mentre il 41.3% sceglie l’opzione B; i risultati (χ2(1)=3.38; p=.06) mostrano che le donne scelgono in maniera significativamente maggiore degli uomini l’opzione B. Nel secondo studio, le percentuali evidenziano che l’86.8% sceglie l’opzione A mentre il 13.2% sceglie l’opzione C; non risultano effetti tra scelta e variabile genere. Conclusioni – Lo studio ha evidenziato che la scelta del latte dipende soprattutto dal framing status quo, confermando i risultati di ricerche precedenti (Levin et al., 1998). Lo studio, inoltre, suggerisce che le donne nella scelta del prodotto sono più influenzate dal framing salute. I PROBLEMI NELLA VITA QUOTIDIANA DEGLI STUDENTI UNIVERSITARI ITALIANI E STATUNITENSI A., Caggiano, Università “G. d’Annunzio” di Chieti-­‐Pescara, Dipartimento di Scienze psicologiche, umanistiche e del territorio (DiSPUTer) Questo studio analizza i problemi quotidiani degli studenti appartenenti a due università pubbliche in Italia e negli USA e presenta un’analisi secondaria di dati qualitativi ottenuti da uno studio cross-­‐culturale sperimentale. L’obiettivo è esplorare le differenze che emergono tra i due contesti accademici, le quali potrebbero anche riflettere differenze culturali tra Italia e Stati Uniti (Hofstede, 2010). In particolare, ci proponiamo di comprendere il modo in cui gli studenti intendono la loro cultura universitaria, quali sono i problemi con cui si confrontano quotidianamente e le soluzioni che prospettano per affrontarli. Applicando il metodo dell’analisi del contenuto (Hsieh & Shannon, 2005), sono stati costruiti due diagrammi per ogni contesto universitario, che sintetizzano graficamente i contenuti delle risposte degli studenti. Emergono sostanziali differenze rispetto alle tematiche trattate; infatti, i risultati indicano che mentre gli studenti italiani sembrano più orientati al loro futuro lavorativo esprimendo la loro preoccupazione a tale riguardo, IL CONSUMO DI SNACK TRA I GIOVANI. IL RUOLO DELL’ABITUDINE NELLA TEORIA DEL COMPORTAMENTO PIANIFICATO L. Canova, A.M. Manganelli, A. Bobbio, Dipartimento FISPPA – Sezione di Psicologia Applicata, Università di Padova Questo studio ha l’obiettivo di testare la validità di un modello di previsione delle intenzioni del comportamento di consumare frutta e verdura fresca come snack, cioè come spuntino tra un pasto e l’altro. Il modello considerato è la Teoria del Comportamento pianificato (TPB; Ajzen & Madden, 1985; Ajzen, 1991) integrato dall’inclusione di due ulteriori 94
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predittori: la norma descrittiva (la percezione di ciò che altri importanti fanno) e l’abitudine (una risposta appresa e automatica a stimoli specifici) rilevata grazie al Self-­‐Report Habit Index di Verplanken e Orbell (2003). I dati sono stati raccolti grazie a due questionari autosomministrati distribuiti in altrettanti fasi svolte a distanza di un mese l’una dall’altra. Nella prima fase sono stati misurati i costrutti della TPB oltre alla norma descrittiva e all’abitudine a consumare come snack frutta e verdura fresca. Nella seconda fase si è rilevato il comportamento di consumo. Alla prima fase hanno partecipato 250 studenti dell’Università di Padova (88.7%) e di scuola superiore (71.6% donne; età media 20.1); alla seconda hanno preso parte 162 (65%) dei 250 studenti reclutati nella prima fase. I dati sono stati analizzati grazie a modelli di equazioni strutturali con il software LISREL. Il modello della TPB ha ricevuto ampio sostegno. L’introduzione della norma descrittiva e dell’abitudine ha migliorato la quota di varianza dell’intenzione spiegata dalle variabili antecedenti. Queste nel loro complesso spiegano il 76% della varianza dell’intenzione e il 28% di quella del comportamento. In conclusione, i risultati sostengono l’utilità della TPB nel prevedere i comportamenti alimentari e nel progettare interventi volti a promuovere stili alimentari sani. RAPPRESENTAZIONI SOCIALI DEI DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO NEI DISCORSI DEI DOCENTI: UN’APPROCCIO DI RETORICA SOCIO-­‐EPISTEMICA C. Colonna, Università degli studi di Bari “Aldo Moro” Il paradigma culturale e il paradigma discorsivo rappresentano due importanti direttrici di sviluppo della psicologia sociale. La natura culturale (Mazzara, 2002) e discorsiva (De Grada e Bonaiuto, 2002) della mente consente di descrivere i costrutti della psicologia sociale come sistemi culturali e discorsivi, in quanto negoziati e rinnovati in uno specifico contesto interattivo. Rientrano in questa descrizione le rappresentazioni sociali, considerate repertori interpretativi (Potter e Wetherell, 1987) in grado di dare senso ad azioni, eventi e contesti discorsivi. La presente ricerca verte sul ruolo argomentativo svolto dalle rappresentazioni sociali dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) nei discorsi dei docenti. L’analisi è condotta nell’ottica della retorica socio-­‐epistemica (Berlin, 1991). Tale approccio consente di ipotizzare differenze di natura socio-­‐culturale nell’elaborazione di una categoria diagnostica, tradizionalmente espressa in termini assolutistici. In particolare, l’ipotesi di ricerca concerne la costruzione discorsiva delle rappresentazioni sociali dei DSA e degli alunni con DSA in docenti di scuola primaria, indagate nella dimensione socio-­‐culturale dell’anzianità di ruolo. I dati discorsivi sono stati raccolti tramite 2 focus group e saranno sottoposti all’Analisi del Contenuto, eseguita tramite il software T-­‐LAB (Lancia, 2004) e all’Analisi del Discorso, condotta sulla base di marcatori psicosemiotici di Soggettività, Argomentatività e Modalità (Mininni, 2007). I risultati attesi dovrebbero far emergere strategie di “comprensione” o “spiegazione” del disturbo in funzione dell’esperienza professionale dei docenti. Di conseguenza, la presunta “realtà” oggettivamente data dei DSA troverebbe un’interpretazione più dinamica, compatibile con la processualità delle interazioni e delle istituzioni sociali. BACK TO THE FUTURE: TIME PERSPECTIVE ACCULTURATION OF FOREIGN STUDENTS IN ITALY ON M. Chayinska & S. Mari, University of Milano – Bicocca The discussion concerning the acculturation process has reached a new altitude in Italy due to the growing stream of foreign students at the universities. Yet the influence of time constructs in shaping their acculturative patterns has received little theoretical and empirical attention. The present research addresses this gap by exploring the relationship between acculturation strategies and future time perspective (FTP). FTP is a fundamental cognitive dimension in the perception of time that profoundly shapes the priority assigned to diverse social goals (Carstensen, Isaacowitz, & Charles, 1999). A sample of international students enrolled in an Italian university completed a web-­‐survey containing measures of acculturation experiences (Berry et al.,, 1994; Pederson, 1991; Poyrazli et al., 2010), temporal items (Zimbardo & Carelli, 2011), and other socio-­‐cultural factors affecting acculturation. Models of regression were performed to test the hypotheses that FTP affects acculturation strategies and related stress. In addition, the joint effects of “inclusion of other in the self” (Wright & Tropp, 2001) and affective expectations (Mackinnon et al., 1999) on predicting one’s acculturation strategy were controlled. It was revealed that Negative FTP determined Separation; likewise, Positive FTP found to be consistent predictors of Assimilation to the host society. Results indicate that Negative FTP and all factors of acculturative stress were significantly interdepended. Overall findings support the view that foreign students’ psychological adjustment can be explained, in part, by their future time perspective, suggesting that strategy for a contact and inclusion of a novel social group is likely to improve one’s engagement with a new cultural environment. ALESSITIMIA E FATTORI DI RISCHIO PSICOSOCIALE: UN’INDAGINE PILOTA V. Costantino, S. Fasciano, Università “Kore” Enna Negli ultimi decenni l’alessitimia ha generato interesse tra i membri della comunità scientifica. I primi a studiare il fenomeno furono Sifneos e Nemiah, che coniarono nel 1970 il termine per indicare “un disturbo specifico nelle funzioni affettive e simboliche”, spesso presente nei pazienti psicosomatici. In tali pazienti, gli studiosi riscontrarono una significativa difficoltà nel riconoscimento e nell'espressione verbale delle emozioni e uno stile comunicativo privo di qualsiasi riferimento ai vissuti interiori. L’obiettivo di questa indagine è di rilevare eventuali correlazioni tra il costrutto alessitimico e varie condizioni di disagio psicopatologico e sociale, tra i quali l’ansia, la depressione, la somatizzazione e il senso di colpa attraverso l’utilizzo di due importanti strumenti di ricerca: la TAS 20-­‐
Toronto Alexithymia Scale e la Symptom Check List 90-­‐R. La ricerca è stata svolta nelle province di Ragusa, Siracusa, Catania, Enna, Trapani, Caltanissetta ed il campione è costituito da 264 soggetti. 95
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Dalle correlazioni emerge una relazione significativa tra le dimensioni alessitimiche e il disagio psicopatologico riferito dai soggetti. Coloro i quali mostrano maggiori punteggi alla TAS-­‐20 riferiscono, infatti, maggiori sintomi di malessere psicologico, come: ansia, depressione, somatizzazione, ostilità e senso di colpa. Emerge come tre delle quattro dimensioni che caratterizzano la TAS-­‐20 siano significativamente correlate con tutte e nove le dimensioni indagate dalla Symptom Check List-­‐90-­‐R. Inoltre, le persone alessitimiche, hanno anche difficoltà nel sintonizzarsi con i sentimenti e i vissuti altrui, questo rende il loro adattamento sociale efficace solo in apparenza. I risultati ottenuti supportano l'ipotesi che livelli significativi di alessitimia possono costituire fattori di rischio per livelli più elevati di psicopatologia globale e problemi di tipo sociale, quali l’ipersensibilità interpersonale e l’ostilità. TRASMISSIONE INTERGENERAZIONALE DELLA CHIAREZZA DEL CONCETTO DI SÉ IN FAMIGLIE CON ADOLESCENTI: UNO STUDIO LONGITUDINALE E. Crocetti, Utrecht University, Utrecht, the Netherlands Introduzione: La famiglia rappresenta un contesto relazionale decisivo per la formazione dell’identità adolescenziale (Scabini, Iafrate, 2003). È infatti ampiamente dimostrato che la qualità delle relazioni familiari favorisce l’esplorazione identitaria e l’assunzione di impegni con i vari ambiti della realtà. Meno studiati sono, invece, gli effetti che le caratteristiche dei genitori hanno sulla formazione dell’identità dei figli adolescenti. Obiettivi: Lo scopo di questo studio è esaminare se la misura in cui i genitori hanno un concetto di sé ben definito influenza nel tempo la formazione del concetto di sé dei figli adolescenti. Pertanto analizzeremmo i processi di trasmissione intergenerazionale della chiarezza del concetto di sé (SCC; Campbell, 1990) in famiglie con adolescenti, esaminando se questi processi si declinano diversamente in base al genere dei figli. Metodo: Hanno partecipato a uno studio longitudinale 497 nuclei familiari comprendenti il padre, la madre e un/una figlio/a adolescente. All’inizio dello studio i figli avevano in media 13 anni e sono stati seguiti, insieme ai loro genitori, per 6 anni, con rilevazioni annuali (T1-­‐T6). I livelli di SCC sono stati misurati sia per i figli sia per i genitori con la Self-­‐
Concept Clarity Scale (Campbell et al., 1996). Risultati: Le Latent Growth Analyses sono state usate per testare come cambiano nel tempo i livelli di SCC dei figli e dei genitori. Le Cross-­‐Lagged Analyses hanno evidenziato che, per tutto il corso dell’adolescenza, i livelli di SCC del padre e della madre predicono positivamente i livelli di SCC dei figli. Le analisi multigruppo non hanno evidenziato differenze di genere. Conclusioni: I risultati documentano chiaramente processi intergenerazionali di trasmissione di SCC all’interno dei sistemi familiari. I genitori continuano a rappresentare importanti modelli con cui i figli adolescenti si possono identificare nel loro percorso di crescita. LE PROPRIETÀ PSICOMETRICHE DELLA VERSIONE ITALIANA DEL SELF-­‐REPORT EMOTIONAL INTELLIGENCE TEST (SREIT). G. Craparo, P. Magnano, Università degli Studi Kore, Enna Introduzione L’Intelligenza Emotiva, nella definizione di Salovey e Mayer (1990), è “la capacità di monitorare i sentimenti e le emozioni proprie ed altrui, di discriminare tra di essi, e di utilizzare queste informazioni per guidare il proprio pensiero e comportamento” (p. 189). Sebbene le emozioni siano il nucleo centrale di questo modello, l'intelligenza emotiva comprende anche dimensioni cognitive e sociali associate all’espressione, alla regolazione e all’utilizzo delle emozioni. Partendo dal modello di intelligenza emotiva proposto da Salovey e Mayer, Schutte & al. (1998) hanno sviluppato il Self-­‐
Report Emotional Intelligence Test. Obiettivi Scopo del presente lavoro è adattare al contesto italiano la Self-­‐Report Emotional Intelligence Test di Schutte & al. (1998). Metodi Alla ricerca hanno preso parte 486 adulti, pareggiati per genere (M=50.82%, F=49.18%), di età compresa tra 18 e 55 anni (18-­‐29 anni=38.80%; 30-­‐39 anni=18.67%; 40-­‐49 anni=18.05%; oltre 50=24.48%), a cui stati somministrati i seguenti self-­‐report: Self Report Emotional Intelligence Test (SREIT) (Schutte & al., 1998); Twenty-­‐Items Toronto Alexithymia Scale (TAS-­‐20) (Bagby, Parker & Taylor, 1994, tr. it. Bressi et al., 1996); Big Five Questionnaire 2 (BFQ-­‐2) (Caprara, Barbaranelli, Borgogni & Vecchione, 2007) Risultati L’analisi dell’attendibilità mostra una buona consistenza interna del test (alpha di Cronbach e coefficiente di Spearman-­‐Brown >.80). L’analisi fattoriale confermativa presenta indici di fit accettabili (X2 per p<.001; RMR=.06; AGFI=.80). Sono inoltre emerse correlazioni significative di segno negativo con le scale della TAS-­‐20 e di segno positivo con i fattori del BFQ-­‐2 Conclusioni Lo strumento presenta adeguate proprietà psicometriche e appare applicabile anche al contesto italiano. CARATTERISTICHE INDIVIDUALI, BENESSERE SOGGETTIVO E SODDISFAZIONE LAVORATIVA: IL RUOLO DI MEDIAZIONE DEL WORKAHOLISM C. Dazzi, D. Colledani, Dipartimento FISPPA – Sezione di Psicologia Applicata Il costrutto di Workaholism o dipendenza da lavoro è oggi al centro di un acceso dibattito, che riguarda il suo significato ma anche le sue cause e le possibili conseguenze che può generare su benessere (SWB) e soddisfazione lavorativa (JS). Attualmente le teorie dei tratti rappresentano l’approccio più accreditato per avvicinarsi allo studio di tale costrutto, tuttavia sono oggetto di crescente interesse anche i valori personali. Tratti e valori, infatti, benché concettualmente distinti condividono con il Workaholism la capacità di influire su SWB e JS, come dimostrato anche dalle numerose relazioni evidenziate empiricamente tra tali costrutti (e.g., Andreassen, Ursin, & Eriksen, 2010; Ng, Sorensen, & Feldman, 2007; Schwartz, 1992). 96
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I risultati indicano che il priming subliminale è efficace nell’influenzare l’audience se inserito all’interno di un contesto positivo, e che quest’effetto può essere allargato anche a scelte socialmente rilevanti, come scelte di consumo sostenibile e comportamenti pro-­‐ambientali più in generale. L‘obiettivo della presente ricerca è di indagare le dinamiche esistenti tra queste dimensioni contribuendo alla comprensione di cause ed outcomes del Workaholism. Le evidenze attualmente disponibili permettono di ipotizzare che tratti e valori influiscano su SWB e JS non solo direttamente, ma anche attraverso la mediazione di due tra le principali dimensioni del Workaholism ovvero Joy in Work (JW) e Drive to Work (DW). Tale ipotesi è stata verificata attraverso la somministrazione di una batteria di test standardizzati a 191 lavoratori della pubblica amministrazione. I dati sono stati analizzati attraverso modelli di equazioni strutturali (Lirel8: Jöreskog & Sörbom, 2004). I risultati hanno confermato il ruolo di mediazione del Workaholism, nelle sue dimensioni di DW e JW, tra valori e tratti di personalità e le variabili dipendenti considerate. La dimensione DW, in particolare, ha dimostrato di influire negativamente sul SWB, mentre la dimensione JW positivamente su benessere e soddisfazione lavorativa. Tali risultati contribuiscono a chiarire il ruolo che le differenze individuali svolgono nella genesi del Workaholism e l'influenza esercitata da tale costrutto sulla sfera personale e professionale. FORUM DI DISCUSSIONE ONLINE: GLI UTENTI DI UNA WEB COMMUNITY VOGLIONO DAVVERO OFFRIRTI IL LORO AIUTO? A. Gabbiadini, Università della Valle d'Aosta La sopravvivenza di una comunità virtuale è garantita dalla partecipazione da parte dei suoi membri ma soprattutto dai contenuti che essi generano online. Nielsen (2006) mostra empiricamente come la percentuale di individui che creano contenuti innovativi sia in realtà molto modesta (circa l’1%) rispetto al numero complessivo dei membri di una comunità online. Il processo di contribuzione ai contenuti di una comunità o di un forum online può anche essere interpretata come un’azione collettiva, per il cui successo ricoprono un ruolo di primaria importanza le intenzioni collettive, o we-­‐intentions (Tuomlea, 1991). Tuttavia, alcune persone scelgono di non partecipare all'azione collettiva, ma di beneficiare ugualmente delle risorse offerte dal resto della comunità, massimizzando in questo modo i risultati individuali; questa tendenza è definita in letteratura come fenomeno del free-­‐riding (o fenomeno dei “battitori liberi”). Attraverso uno studio longitudinale (N = 250), sono stati indagati gli effetti della tendenza al free-­‐riding, descritto teoricamente come la volontà di massimizzare i risultati personali, all’interno di un forum di supporto virtuale, generalmente utilizzato in maniera strumentale da molti utenti di Internet per trovare informazioni e soluzioni a problemi specifici. Abbiamo usato la Teoria del comportamento pianificato (Ajzen, 1991), oltre a variabili di influenza sociale, per verificare l'effetto della tendenza free-­‐riding come inibitore della contribuzione online, considerando sia il ruolo delle intenzioni individuali che delle we-­‐intentions. I risultati hanno dimostrato che le intenzioni non predicono il comportamento di contribuzione, poiché negativamente influenzati dal costrutto di tendenza al free-­‐riding. Considerazioni e sviluppi futuri di questi risultati sono discussi. PRIMING SUBLIMINALE E COMPORTAMENTI PRO-­‐
AMBIENTALI: IL RUOLO DI MODERAZIONE DELLE EMOZIONI S. De Dominicis, M. Bonaiuto, Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, Sapienza Università di Roma e CIRPA – Centro Interuniversitario di Ricerca in Psicologia Ambientale Ricerche passate suggeriscono che il priming subliminale influenza il comportamento di consumo quando l’oggetto del prime soddisfa il raggiungimento di un obiettivo. Esiste però un gap in letteratura riguardo alcuni stimoli usati come prime e il ruolo delle emozioni nel moderarne l’effetto. La presente ricerca indaga sperimentalmente gli effetti del priming subliminale basato sulle immagini e sul colore, quando esso è inserito in un setting naturale (in un film), nonché analizza il ruolo delle emozioni nel moderare gli effetti del priming nell’influenzare le scelte di consumo: se inserito in un video a valenza emozionale positiva (vs. negativa), il priming subliminale aumenta la scelta verso il brand attivato. Nello Studio 1 si ipotizza che il priming subliminale basato sulle immagini è efficace quando l’oggetto attivato è saliente per il raggiungimento di un obiettivo, e quando il prime è inserito all’interno di un contesto emozionale positivo. Nello Studio 2 si indaga l’effetto del priming subliminale basato sui colori nell’influenzare i comportamenti di consumo: si ipotizza che tale effetto esista quando l’oggetto del prime soddisfa il raggiungimento di un obiettivo e se inserito in un contesto positivo. Nello Studio 3 vengono indagati gli effetti di attivazione emotiva dei colori di base. Nello Studio 4 si indaga come il verde, riconosciuto in letteratura come il colore più rappresentativo della natura, attivi emozionalmente e cognitivamente gli individui verso il concetto di natura: si ipotizza quindi che il priming subliminale basato sul colore verde possa aumentare atteggiamenti, intenzioni e comportamenti pro-­‐ambientali. COME PUNIAMO GLI ALTRI: PROPORZIONALITA’ O DETERRENZA? IL RUOLO DEL BISOGNO DI CHIUSURA COGNITIVA M. Giacomantonio, A. Pierro, Università degli Studi di Roma “Sapienza” In letteratura (Carlsmith, 2002) sono stati distinte due specifiche prospettive sulle quali è possibile basare la punizione di qualsiasi tipo di infrazione. Da un lato, è possibile basare la punizione sulla “meritevolezza”. In questo caso la persona che ha commesso l’infrazione sarà punita in modo proporzionale rispetto alla gravità dell’infrazione stessa. Dall’altro lato, l’entità della punizione può essere basata sulla sua presunta capacità di agire da deterrente per future infrazioni della stessa o di altre persone. In questo caso la 97
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delle indagini di Customer Satisfaction, ampiamente diffuse in ambito sanitario. punizione non sarà necessariamente proporzionale all’infrazione, ma sarà più severa. Sebbene le implicazioni sociali e politiche di queste due prospettive riguardanti il sistema penale siano particolarmente importanti, non sono noti fattori psicologici che influenzano la preferenza per l’uno o l’altro approccio. Nel presente contributo proponiamo che il bisogno di chiusura cognitiva possa avere un ruolo particolarmente rilevante nella scelta della prospettiva su cui basare la punizione. In particolare, poiché le persone cognitivamente chiuse sono più sensibili alle violazioni normative, ipotizziamo che il bisogno di chiusura cognitiva sia più fortemente associato alla deterrenza piuttosto che alla proporzionalità. Per testare questa ipotesi sono stati condotti due studi correlazionali in cui sono state somministrate sia scale sviluppate appositamente per lo studio degli preferenze nella scelta delle punizioni, sia scenari che descrivevano diversi tipi di crimini. I risultati mostrano come il bisogno di chiusura cognitiva sia correlato positivamente alla preferenza verso politiche di punizione a “tolleranza zero”, cioè quelle che garantiscono la massima deterrenza. Inoltre emerge come tale preferenza sia giustificata dalla volontà di evitare in futuro ulteriori violazioni delle norme. L'INFLUENZA DEI TEMI CULTURALI NELLA SCELTA DI UN PRODOTTO: CONFRONTO TRA ITALIA, GIAPPONE E COLOMBIA J. Jarach, A. Di Giovenale, G. Cosentino, A. Callea Dipartimento di Scienze Umane, Università Lumsa, Roma Introduzione: La teoria del prospetto (Kahneman e Tversky, 1979) si focalizza sul ruolo del framing nelle scelte comportamentali. L’effetto framing dimostra che il modo in cui è posto un problema può portare l'individuo a prendere decisioni differenti. Schwartz et al. (2008) hanno evidenziato che anche i temi culturali possa influenzare la presa di decisione; un messaggio, infatti, risulta più persuasivo se attinge a frame rilevanti per i temi culturali di un dato paese (Oyserman, 2008). Obiettivi e Metodi: Il presente studio indaga l'influenza dei temi culturali (Italia, Giappone e Colombia) e dei frame linguistici (“salute” vs “risparmio”) nella scelta di un prodotto di uso comune (latte). Ai partecipanti (N=200 per ogni paese) è stato chiesto di scegliere tra due alternative: “il latte avrà il 25% di grassi in meno e il suo costo aumenterà del 30%” (A); “il latte avrà il 25% di grassi in più e il suo costo diminuirà del 30%” (B). Risultati: Sono stati condotti una serie di test del χ2 per testare il ruolo dei temi culturali e del genere nella scelta dei prodotti. Rispetto al ruolo della cultura, il χ2 è risultato significativo (χ2(2)=11.13; p<.01): gli italiani scelgono maggiormente l'opzione A, mentre i giapponesi ed i colombiani l'opzione B. Le donne preferiscono maggiormente l'opzione A nei tre campioni considerati (italiani χ2(1)=4.61; p<.05; giapponesi χ2(1)=3.57; p<.05; colombiani χ2(1)=3.67; p<.05). Conclusioni: Lo studio ha messo in relazione il ruolo dei temi culturali, del genere e dei frame salute e risparmio nella scelta del latte. I risultati hanno dimostrato che i temi culturali influenzano la scelta degli individui: gli italiani sono maggiormente indirizzati a scegliere il prodotto più “salutare”, mentre i giapponesi ed i colombiani scelgono il prodotto più “conveniente”. All'interno di ciascun paese, le donne scelgono il prodotto più “salutare” mentre gli uomini quello più “conveniente”. LA SODDISFAZIONE PER LE CURE NEI PAZIENTI CRONICI: LA VALIDAZIONE DEL FACIT TS-­‐PS C. Guglielmetti, S. Gilardi, F. Cugnata, S. Salini, Università degli Studi di Milano Introduzione. La valutazione del livello di soddisfazione dei pazienti è una delle misure di outcome della qualità delle cure più ampiamente utilizzata non solo per monitorare i servizi offerti, ma anche per definire adeguate strategie di intervento migliorativo. In particolare nell’ambito della cura delle patologie croniche è oggi pressante l’esigenza di rispondere ai bisogni emergenti e articolati di un numero sempre crescente e longevo di pazienti. Il Functional Assessment of Chronic Illness Therapy versione Treatment Satisfaction-­‐Patient Satisfaction è uno strumento di misura della soddisfazione che tiene conto di 7 differenti dimensioni della qualità della presa in carico specifiche per la cura del paziente cronico. Obiettivi. Il poster propone un metodo di validazione che prevede l’uso integrato dell’Analisi Fattoriale Confermativa (CFA) e i modelli Covariate Uniform Binomial (CUB) applicato al FACIT TS-­‐PS. Metodologia. Lo strumento è stato somministrato nell’ambito di due studi (n= 137 nello studio I; n=365 nello studio II), condotti con differenti tipologie di pazienti cronici adulti in 9 ospedali del Nord Italia. Risultati e Conclusioni. L’utilizzo integrato di CFA e CUB ha permesso di ottenere una struttura fattoriale soddisfacente (CFI 0.97; RMSEA 0.05), confermando l’articolazione nei 7 fattori dello strumento originario e permettendo di mantenere ottimi livelli di affidabilità su ciascun fattore con un minor numero di items (da 27 a 17 totali). Inoltre l’applicazione di modelli CUB ha permesso di evidenziare la mancata corrispondenza tra le risposte di soddisfazione globale espresse dal paziente e la misura latente, scaturita dalle valutazioni sui singoli fattori. Tale risultato fornisce un interessante spunto di riflessione circa la validità dei risultati ORIENTAMENTO RELIGIOSO AMBIVALENTI DI GENERE E ATTEGGIAMENTI A.M. Manganelli, A. Bobbio e L. Canova, Università di Padova, Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata Lo studio analizza gli effetti degli orientamenti religiosi intrinseco, estrinseco, quest (Batson et al., 1993) sulle componenti del sessismo (ostile, HS, e benevolo, BS) e dell'atteggiamento ambivalente verso gli uomini (ostilità, HM, e benevolenza, BM). Le ipotesi sono: a) l'orientamento quest è indipendente dagli atteggiamenti ambivalenti di genere; b) gli orientamenti intrinseco ed estrinseco sono positivamente associati a BS e a BM; c) gli orientamenti intrinseco ed estrinseco sono negativamente associati a HS e HM; d) le relazioni espresse dalle ultime due ipotesi sono moderate dal 98
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della Terza età; uno con studenti universitari. L’obiettivo è: esplorare le dimensioni psico-­‐sociali della Qualità e Soddisfazione di Vita nell’anzianità, sia in coloro che tale periodo di vita stanno vivendo (gli anziani), sia in coloro che in futuro, per scelta professionale, di “anzianità” potrebbero occuparsi. In entrambi gli studi, ipotizziamo differenze in relazione al contesto nazionale e l’interrelazione positiva tra le varie dimensioni psicosociali considerate. genere. Hanno partecipato allo studio 100 uomini e 110 donne, residenti nel Nord-­‐est (95.2%); il 68.6% si è dichiarato cattolico (praticante e no). Lo strumento utilizzato è un questionario contenente la versione italiana delle scale di atteggiamenti ambivalenti di genere (Glick et al., 2004; Manganelli et al, 2008) e una scala di 15 item per la misura dell'orientamento religioso (Bosetti et al., 2011). Le analisi di regressione gerarchica, condotte separatamente per uomini e donne, controllando le variabili età ed istruzione, hanno indicato: a) nel caso degli uomini l'atteso effetto negativo dell'orientamento intrinseco su HS (β = -­‐.38, p < .01) e un effetto positivo dell'orientamento estrinseco sulla stessa componente del sessismo (β = .48, p < .01); b) nel caso delle donne l'orientamento religioso non ha effetti sul sessismo. Considerando l'atteggiamento ambivalente verso gli uomini si rileva invece solo nelle donne l'ipotizzato effetto positivo dell'orientamento estrinseco su BM (β =.33 p< .01). L'orientamento quest, come atteso, non ha effetti significativi. I risultati sono analoghi considerando solo il sottogruppo dei partecipanti cattolici. Le ipotesi sono parzialmente confermate e i risultati sostengono l'importanza di tener conto del genere nell'analizzare la relazione tra religiosità, sessismo e atteggiamenti ambivalenti verso gli uomini. DONNE E POLITICA: IL RUOLO DELLE MOTIVAZIONI CHE LEGITTIMANO IL SISTEMA DEMOCRATICO. C. Mosso, F. Rutto, E. Viola, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino Introduzione Recenti studi hanno approfondito la relazione tra la motivazione umana e le ideologie (Jost et al.,, 2010; Jost & Amodio, 2012), evidenziando come queste ultime possano essere considerate come potenti forze motivazionali. La motivazione umana è legata al modo in cui le persone introiettano norme e valori e di come questi si modifichino nel tempo influenzando l’agire umano (Marcia, 1980). Gli individui tuttavia sembrano dimostrare livelli qualitativamente diversi di regolazione del comportamento (Losier et al., 2001). La Self-­‐Determination Theory (Deci & Ryan, 1985, 1991, 2000), cerca di ampliare la visione contemporanea di motivazione umana per spiegare una maggiore variabilità nello sviluppo e nell'adattamento psicologico delle persone. Obiettivi. La nostra ricerca ha voluto indagare la relazione tra i bisogni sottostanti le ideologie che legittimano il sistema democratico e i bisogni di autonomia, competenza e relazione descritti mediante il costrutto di self-­‐determination attraverso un campione di donne attive in movimenti, partiti o associazioni. L’ipotesi è che vi sia una relazione positiva tra le credenze di legittimazione del sistema e tra gli stili regolatori intrinseci, mentre non vi sia con quelli estrinseci. E’ stato condotto uno studio su un campione di donne (N=142; età: M=39,34, D.S.=14,04) nel quale veniva richiesto di compilare la scala di giustificazione del sistema democratico, la scala della Political Group identity e la Self-­‐
Determination Scale of Political Motivation. Risultati I risultati mostrano come le credenze relative al sistema democratico siano influenzate sia dall’ intrinsic motivation che dall’identified regulation. Sembrano invece non avere effetti l’introjected regulation e l’amotivation. Conclusioni Sembra che le credenze relative alla legittimità del nostro sistema democratico possano essere un utile strumento per comprendere, in parte, la motivazione alla partecipazione politica. L’ANZIANITA’ TRA VISSUTI E RAPPRESENTAZIONI: UNA RICERCA SPAGNA-­‐ITALIA M. Mauceri, G. Di Marco, Università degli Studi di Catania La dilatazione dell’aspettativa di vita, se, per un verso, ha dato “più anni alla vita”, dall’altro, impone di centrare l’attenzione su come aggiungere “più vita agli anni”. La questione rimanda al tema della Qualità di Vita (Walker, 2005; Zahava, Bowling, 2004) così come della Soddisfazione di Vita (Pavot e Diener 1993; Pavot et al. 1991; Diener et al. 1985). Qualità e Soddisfazione risentono fortemente dell’Ambiente di vita (Lewin, 1935 [1965]), delle dinamiche identitarie (Tajfel, 1985 [1981]) e delle “rappresentazioni sociali” (Moscovici, 1984). Nello specifico, l’immagine che l’alter (significativo per il soggetto: James,1894) rimanda alla persona anziana e le rappresentazioni prevalenti in merito alla vecchiaia concorrono alla definizione/ri-­‐definizione che l’individuo fa di Sé (Gergen, 1979) e si riverberano sulla vita stessa, intesa e vissuta come “destino”, piuttosto che come “progetto. L’anzianità, (soggettivamente) vissuta e (intersoggettivamente) considerata, dunque, va ri-­‐
concettualizzata come specifico periodo di partecipazione attiva alla pienezza dell’esistenza. Stiamo conducendo una ricerca che coinvolge due contesti territoriali, similari dal punto di vista socio-­‐economico: uno in Spagna e uno in Italia. La ricerca si declina in due studi: uno con anziani, che frequentano centri per anziani e Università L'INFLUENZA DEI GESTI DELLE MANI: UNO STUDIO SPERIMENTALE SUL GIUDIZIO PSICOSOCIALE 99
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costruttivo, attivo-­‐distruttivo e passivo-­‐distruttivo correlano positivamente tra loro. Questa struttura a 4 fattori è supportata dall’analisi multi-­‐gruppo, che mostra che la scala risulta essere invariante tra i generi. La scala, infine, mostra una buona validità di criterio. Conclusioni. La versione italiana della PRCAs risulta un valido strumento per riconoscere la reazione del partner quando un evento positivo è comunicato e condiviso con lui/lei. A. Pace, Dipartimento di Psicologia, Seconda Università degli studi di Napoli, Caserta Introduzione. Esistono molte classificazioni dei gesti delle mani (e.g., Maricchiolo, Gnisci & Bonaiuto, 2012). Le diverse categorie di gesti potrebbero essere percepite differentemente dagli ascoltatori, influenzando il giudizio sui parlanti. Due dimensioni sono alla base della maggior parte dei giudizi psicosociali: una si riferisce alle abilità emotive, l’altra a quelle cognitive (e.g., Fiske, Cuddy & Glick, 2007). Obiettivi e Metodo. Finora, nessuno studio ha investigato sperimentalmente gli effetti dei gesti delle mani (e della loro frequenza) durante una reale conversazione. Con l’obiettivo di colmare questa lacuna, sono stati condotti due esperimenti, nei quali dei confederati manipolavano “Tipo” (ritmici, coesivi e autoadattatori nel primo esperimento; ritmici, coesivi focalizzatori e coesivi di sviluppo nel secondo esperimento) e “Frequenza” (bassa e alta) di gesti durante un’interazione faccia a faccia con i partecipanti. Dopo la conversazione, i partecipanti completavano un questionario di valutazione psicosociale dell’interlocutore. Risultati. I gesti ritmici hanno influenzato positivamente il giudizio sulla competenza, a scapito di quello sul calore; gli autoadattatori hanno accresciuto la percezione di calore, a scapito della competenza; i coesivi hanno influenzato positivamente il giudizio sulla socievolezza. Gesticolare frequentemente, in generale, ha accresciuto la percezione di dominanza. Un’alta frequenza di coesivi focalizzatori ha influenzato positivamente il giudizio sul calore. Conclusioni. Lo studio costituisce una forte prova a sostegno della presenza di una relazione causale tra tipo (e frequenza) di gesti e il giudizio psicosociale. LA MEDIAZIONE DI EMPATIA E ANSIA NEGLI EFFETTI DEL CONTATTO INTERGRUPPI E IL PROCESSO DI GENERALIZZAZIONE AFFETTIVA L. Pagotto, FISPA, Università di Padova Lo studio dei processi che spiegano come il contatto intergruppi possa portare ad una riduzione del pregiudizio è in costante crescita, e ha recentemente evidenziato la centralità dei fattori affettivi. Gli studi che esaminano il ruolo dell’empatia e delle sue diverse forme sono tuttavia ancora limitati. Il presente lavoro si focalizza sul processo di mediazione dell’empatia, assieme all’ansia, ed esplora la generalizzazione di tali emozioni dal livello interpersonale al livello intergruppi. In tre studi, abbiamo esaminato gli effetti del contatto con immigrati in Italia sul pregiudizio riportato dai rispondenti italiani. I dati sono stati analizzati attraverso modelli di equazioni strutturali. I risultati del primo studio (N=365) mostrano che il contatto positivo con immigrati è associato anzitutto ad una diminuzione dell’ansia e ad un aumento dell’empatia nei confronti degli immigrati conosciuti; tali emozioni poi vengono generalizzate all’intero gruppo (gli immigrati in generale); infine, ansia e empatia intergruppi predicono atteggiamenti più positivi e minor pregiudizio. Nel secondo studio (N=417) abbiamo preso in considerazione diverse forme di empatia (cognitiva, reattiva e parallela), sia a livello interpersonale che intergruppi. I risultati confermano il processo di generalizzazione affettiva e dimostrano che, oltre all’ansia, sia l’empatia parallela che quella reattiva rivestono il ruolo di mediatori. Infine, nel terzo studio (N=730), abbiamo approfondito il ruolo delle diverse forme di empatia e abbiamo testato l’ordine tra i diversi mediatori. I risultati suggeriscono che l’empatia cognitiva (assunzione di prospettiva) agisce come antecedente dell’empatia affettiva (reattiva e parallela), contribuendo indirettamente alla riduzione del pregiudizio. Nell’insieme, questi risultati estendono la nostra conoscenza sui meccanismi di mediazione e generalizzazione coinvolti nella relazione tra contatto intergruppi e pregiudizio. IL PROCESSO DI CAPITALIZZAZIONE: STRUTTURA FATTORIALE E AFFIDABILITÀ DELLA PERCEIVED RESPONSES TO CAPITALIZATION ATTEMPTS SCALE A. F. Pagani, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Introduzione. Il processo di capitalizzazione è quel processo attraverso cui le persone condividono buone notizie con un altro significativo (amico, partner, familiare), il quale a sua volta dovrebbe rispondere in maniera “attiva” in modo da massimizzare i benefici derivanti dall’evento (Gable, Gonzaga, & Strachman, 2006; Langston, 1994). Obiettivi e Metodi. L’obiettivo di questo studio è quello di analizzare la struttura fattoriale della versione italiana della Perceived Responses to Capitalization Attempts (PRCAs; Gable, Reis, Impett, & Asher, 2004) scale, attraverso un’analisi fattoriale esplorativa e confermativa, la sua affidabilità, la sua validità di criterio e la sua invarianza tra i generi. Lo strumento è composto da 12 items self-­‐report e valuta la percezione delle risposte tipiche dell’altro significativo quando viene condiviso con lui/lei un evento positivo. Il campione è composto da 478 soggetti (239 coppie eterosessuali e sposate). Risultati. Sia i risultati dell’analisi fattoriale esplorativa che i risultati dell’analisi fattoriale confermativa supportano la struttura a 4 fattori (attivo-­‐costruttivo, passivo-­‐costruttivo, attivo-­‐distruttivo, passivo-­‐distruttivo) in accordo con il modello teorico che ha ispirato lo sviluppo della scala. Le correlazioni tra le sottoscale mostrano che la sottoscala attivo-­‐costruttivo correla negativamente con le altre tre, mentre le sottoscale passivo-­‐
ATLETI ADOLESCENTI E IMPEGNO SPORTIVO: IL SENSO PSICOLOGICO DI COMUNITÀ APPLICATO ALLO SPORT S. Scotto di Luzio, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli studi di Napoli Federico II Il presente lavoro nasce all’interno del filone di studi che mira a creare e promuovere un Senso di Comunità nello sport, in virtù della potenziale influenza del Senso di Comunità sulla percezione di un miglioramento della qualità della vita da parte di tutti protagonisti delle organizzazioni sportive. 100
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desideri; bisogni medici / infermieristici. Il presente contributo presenterà i risultati derivanti dall'applicazione della scheda valutativa su un campione significativo di persone con disabilità intellettive; e discuterà la necessità di differenziare la valutazione sulla base dei diversi bisogni connessi alle fasi del ciclo di vita. Nonostante l’importanza attribuita al Senso di Comunità, solo pochi studi hanno fornito informazioni sui meccanismi che possono portare alla formazione di un Senso di Comunità sportivo in adolescenza. A partire da tali premesse, in una prospettiva transculturale, il primo obiettivo del presente lavoro è stato costruire e validare un questionario sul Senso di Comunità Sportivo in Adolescenza, in lingua italiana e in lingua francese. Il secondo obiettivo è stato indagare le relazioni tra il Senso di Comunità Sportivo e le seguenti variabili: il Clima percepito dei genitori, dell’allenatore e dei pari non – sportivi, e l’impegno sportivo. Allo studio hanno partecipato 255 atleti adolescenti italiani e 183 atleti adolescenti francesi, praticanti sport a livello agonistico. I partecipanti hanno compilato un unico questionario anonimo composto da una specifica sezione per ogni variabile considerata. I risultati hanno mostrato che in adolescenza il Senso di Comunità Sportivo influenza significativamente l’impegno sportivo, e che la relazione tra il clima dell’allenatore e l’impegno sportivo è mediata dal Senso di Comunità Sportivo. Inoltre, il clima dei pari-­‐non sportivi influenza la costruzione del Senso di Comunità sportivo. Sono state individuate peculiarità legate al contesto e al genere e al tipo di sport. Questo lavoro mostra che gli atleti adolescenti che percepiscono un Senso di Comunità Sportivo vivranno in maniera funzionale le difficoltà e le risorse insite nella pratica dello sport a livello agonistico. Futuri approfondimenti potranno fornire risposte ulteriori sul ruolo del Senso di Comunità nell’impegno sportivo. DIGITAL EDUCATION FOR OLD GENERATION NON NATIVES: A FOCUSED ETHNOGRAPHY STUDY ON A PILOT PROJECT C. Strada, E. Brivio, C. Galimberti, Centro Studi e Ricerche di Psicologia della Comunicazione, Università Cattolica del Sacro Cuore Milano Una parte di persone con più di 55 anni di età è ancora parzialmente o totalmente escluso dalle innovazioni tecnologiche, ignorandole o avvicinandosi passivamente. Vi sono numerosi fattori sociali che bloccano la’utilizzo da parte degli anziani delle nuove tecnologie mobili. In questo contesto, è stata effettuata una serie di studi a partire da un progetto pilota che prevede 5 incontri di familiarizzazione all’uso di tablet di 2 ore ciascuno. Sono stati selezionati 6 gruppi di 18-­‐20 partecipanti con più di 55 anni con un campionamento snowball. Ogni sessione era costituita da una parte teorica e una esercitazione pratica in cui ogni partecipante utilizzava il proprio tablet, in base ai contenuti affrontati durante la lezione. Si è scelto di adottare un approccio di etnografia focalizzata (Knoblauch, 2005) per produrre e analizzare i dati. L’etnografia focalizzata è una strategia di ricerca che si riferisce a un fenomeno sociale contemporaneo, caratterizzata da brevi periodi di osservazione, che si concentra sulle attività e le esperienze communicative (Richards e Morse, 2007). Sono stati considerati quattro differenti focus per le osservazioni: 1. rapporto tra trainer e gruppo dei partecipanti, mediata e non dal tablet 2. rapporto tra trainer e il singolo partecipante, mediata e non dal tablet 3. interazione tra partecipanti e il proprio tablet 4. interazione tra il gruppo di partecipanti e l’oggetto tablet. Risultati preliminari mostrano che: • il modo in cui i partecipanti interagiscono con il tablet è fortemente influenzato dall'approccio seguito dal trainer • l’eterogeneità dei partecipanti e la loro relativa distribuzione in classe porta a reazioni emotive ed attivazioni diverse • il modello di tablet e la velocità di rete sono fattori molto importanti che influenzano il successo dei corsi di formazione • la numerosità di studenti di ogni classe può influire la sessione di formazione. AL SERVIZIO DELLA QUALITÀ V., Sommovigo, Dipartimento di Filosofia, Sociologia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova. Il progetto di ricerca descritto nel presente contributo nasce in seno alla S.S. Disabili – Adulti dell’Asl 5 Spezzino della Regione Liguria, al fine di rispondere al bisogno espresso dall'equipe multidisciplinare di disporre di uno strumento in grado di valutare la Qualità di Vita degli utenti, oltreché la qualità del servizio offerto. Il concetto di QdV, infatti, può fungere da guida e da indicatore delle aree che richiedono attenzione e azione, fornendo una bussola per la programmazione dei progetti di vita individualizzati e per la riorganizzazione delle risorse e dei sostegni intorno alle persone (Schalock et al., 2006). Tale costrutto multidimensionale può altresì risultare utile nella valutazione degli esiti di qualità dei progetti stessi, che possono fornire indicatori utili al miglioramento dell’efficienza organizzativa e della qualità del servizio socio-­‐sanitario stesso. Il progetto si propone di ampliare la Scheda per la Valutazione Multidimensionale delle persone Disabili, includendo una valutazione fondata sul costrutto di Qualità della Vita e sul modello dei sostegni. A tal scopo, è stata condotta una ricerca bibliografica sugli strumenti di valutazione applicati nell'ambito delle disabilità intellettive, e è stata svolta un’analisi qualitativa delle schede di valutazione in uso presso le aziende socio-­‐sanitarie presenti sul territorio nazionale. Il background teorico di riferimento è il modello AIRIM per l’allineamento dei processi di qualità nei servizi alla disabilità (Leoni et al., 2011), secondo il quale l’assessment dovrebbe svolgersi in molteplici aree: funzionamento; bisogni e IL RUOLO DELLE INFORMAZIONI VISIVE E UDITIVE NEL PROCESSO DI ASSUNZIONE LAVORATIVA S. Sulpizio, F. Fasoli, A. Maass, R. Boldrin, I. Caon, L. Totano, Università di Trento, Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive La formazione di impressioni relative a un individuo passa attraverso le informazioni visive e uditive che abbiamo a 101
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gerarchica confermano inoltre che, in aggiunta agli effetti del commitment organizzativo, le variabili individuali aumentano in modo significativo la varianza spiegata degli indicatori di benessere lavorativo. In conclusione, il benessere sul luogo di lavoro può essere migliorato stimolando la self-­‐compassion e soprattutto la mindfulness, per esempio attraverso l’uso di programmi strutturati, come il Mindful Self-­‐Compassion Program (MSC; Neff, & Germer, 2013). disposizione. Nel caso dell’orientamento sessuale è stato mostrato che il volto e la voce sono elementi che permettono di categorizzare un individuo come omosessuale o eterosessuale. Quali sono le conseguenze di tale processo? Abbiamo analizzato in che modo un volto o una voce, percepiti come appartenenti a una persona omosessuale o eterosessuale, possano influenzare le reazioni di coloro che vedono o ascoltano l’individuo. In particolare, in un esperimento abbiamo chiesto ai partecipanti di valutare e decidere se assumere un candidato per una posizione di leadership, lavoro tipicamente maschile. I partecipanti vedevano per pochi secondi il volto del candidato oppure ascoltavano un breve file audio della sua voce. A seconda della condizione sperimentale, i volti e le voci potevano appartenere a persone percepite eterosessuali o omosessuali. I partecipanti dovevano valutare il candidato su una serie di tratti stereotipici e contro-­‐stereotipici e indicare sia quanto lo ritenevano adatto per la posizione di leadership, sia la loro intenzione ad assumerlo. I risultati hanno mostrato che la voce aveva un chiaro effetto sul giudizio espresso dai partecipanti: il candidato con voce omosessuale erano associato maggiormente a tratti stereotipici, era giudicato meno adatto per la posizione di leadership e veniva assunto con una minore probabilità. Al contrario, nella condizione in cui i partecipanti dovevano esprimere i loro giudizi dopo aver visto il volto del candidato, non è emersa nessuna differenza legata all'orientamento sessuale. I risultati sono discussi sulla base della letteratura relativa alla categorizzazione su base visiva e uditiva e agli studi sul pregiudizio omofobo. BENEFICI DELLA MINDFULNESS E DELLA SELF-­‐COMPASSION SUL BENESSERE LAVORATIVO C.A., Veneziani, Università degli Studi di Padova La mindfulness è una forma di consapevolezza non giudicante, che emerge ponendo attenzione al momento presente (Kabat-­‐Zinn, 2003) e che facilita il benessere individuale (Keng, Smoski, & Robins, 2011). Alcuni studi (e.g. Thomas & Otis, 2010) hanno cominciato a indagare i suoi benefici sul benessere lavorativo, senza considerare però il ruolo concorrente di variabili lavorative, come il commitment organizzativo, un costrutto multidimensionale tra i più predittivi del benessere sul luogo di lavoro (Meyer & Herscovitch, 2001). Obiettivo di questo studio è indagare gli effetti di variabili individuali, ovvero la mindfulness, la self-­‐compassion -­‐ un atteggiamento di gentilezza e comprensione verso i propri difetti (Neff, 2003) -­‐ e la ruminazione -­‐ una forma maladattiva di attenzione al sé (Trapnell & Campbell, 1999) -­‐ su alcuni indicatori del benessere lavorativo generale, considerando anche gli effetti del commitment organizzativo. Lo studio (N=149) si è avvalso di un questionario composto da scale per la misurazione delle variabili individuali, del commitment organizzativo e degli indicatori del benessere lavorativo: depersonalizzazione, esaurimento emotivo, intenzioni di turnover e soddisfazione lavorativa. I risultati mostrano che il commitment, soprattutto affettivo, la mindfulness e la self-­‐compassion hanno un effetto predittivo positivo sul benessere lavorativo, che sembra invece ostacolato dalla ruminazione. Le analisi di regressione 102
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Congresso delle sezioni di Psicologia per le organizzazioni e