APPUNTI DI MALATTIE INFETTIVE 1 “Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi.
Gli occhi vedono solo ciò’ che è limitato.
Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già’,
allora imparerai come si vola.”
il gabbiano Jonathan Livingston
2 ENTEROCOLITI
Sono malattie infiammatorie o ulcero-infiammatorie dell’intestino associate a sindrome diarroica. Possono
essere fatte diverse classificazioni:
•
criterio topografico: diffuse, segmentarie (appendicite, enterite regionale);
•
criterio patogenetico: specifiche, aspecifiche;
•
criterio morfologico: catarrale, pseudomembranosa, suppurativa, granulomatosa;
•
criterio eziologico: da causa nota, infettiva, non infettiva (ischemia, radiazioni, uremia, metalli
pesanti, citotossici, antibiotici), da causa sconosciuta (in assenza di morbo di Crohn o colite
ulcerosa).
ENTEROCOLITI DI NATURA INFETTIVA
Sono dovute alla colonizzazione intestinale di batteri, virus o protozoi che possono localizzarsi
prevalentemente nell’intestino tenue o nell’intestino crasso o in entrambi. Si possono distinguere in:
-
invasive quando l’infiammazione si estende a tutta la parete, sono provocate da batteri enteroinvasivi
che sono in grado di penetrare attraverso la mucosa ed alterarla producendo o meno una tossina
(Clostridium Difficilis, Escherichia Coli invasivo o enteroemorragico, Shigella, Salmonella,
Yersinia, Stafilococcus Aureus), la diarrea è di tipo muco-sanguinolento, si ha infiammazione della
mucosa intestinale e presenza di leucociti nelle feci, può essere presente febbre ed altri sintomi
generali come cefalea e mialgie;
-
non invasive quando l’infiammazione non coinvolge l’intera parete intestinale sono provocate da
batteri non invasivi o enterotossigeni che agiscono mediante la produzione di una tossina senza
invadere la parete intestinale (Vibrio Cholerare, Escherichia Coli enterotossica), la diarrea è di tipo
acquoso (diarrea secretoria), non si ha infiammazione ne invasione della mucosa e non c’è presenza
di leucociti nelle feci, non è presente febbre ne sintomi di interessamento generale.
Le tossine prodotte dai batteri non invasivi agiscono con un meccanismo di diarrea secretiva agendo sui
meccanismi che nell’enterocita sono predisposti alla secrezione di ioni quali K+ e Cl-. Le tossine prodotte dai
batteri invasivi invece sono citossiche cioè provocano un danno tissutale diretto mediante la necrosi delle
cellule epiteliali.
La diarrea acuta infettiva può anche manifestarsi come intossicazione alimentare (non propriamente
infezione) tramite cibo contaminato da tossine batteriche (ex. Clostridium Botulinum, Staffilococcus
Aureus).
Quadri misti sono le cosiddette tossinfezioni in cui al danno della tossina si somma quello prodotto dai
microrganismi non invasivi presenti negli alimenti contaminati che si moltiplicano a livello intestinale
(Clostridium Perfrigenes, Bacillus Cereus, Vibrio Parahaemoliticus).
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La maggior parte delle infezioni batteriche presentano un quadro istologico aspecifico: danno all’epitelio
superficiale, diminuita maturazione delle cellule epiteliali, aumento del numero delle mitosi, iperemia ed
edema della lamina propria, infiltrazione neutrofila di grado variabile della lamina propria e dell’epitelio.
INTOSSICAZIONE STAFILOCOCCICA
Insorge dopo ingestione di alimenti contaminati con l’enterotossina termostabile che viene prodotta da
numerosi ceppi di S.Aureus.
I cibi vengono contaminati tramite il contatto con le mani di persone infette o portatrici senza che i cibi
vengono poi cotti o refrigerati (in genere panna creme e mascarpone). Quando infatti i cibi rimangono per
parecchio tempo a temperatura ambiente gli Stafilococchi tossino-produttori possono moltiplicarsi ed
elaborare la tossina. Il periodo di incubazione è breve di 1-6 ore. L’esordio è brusco con vomito, diarrea e
crampi addominali, sudorazione, scialorrea, cefalea e ipotensione arteriosa. Il vomito è una manifestazione
clinica peculiare probabilmente legata all’azione diretta dell’enterotossina a livello del SNC. Non è presente
febbre.
La diarrea non è di tipo infiammatorio: nelle feci non si ritrovano né leucociti, né eritrociti né tantomeno
stafilococchi. Si ha una rapida remissione spontanea del quadro in 2-4 giorni, ma nel paziente anziano può
essere importante la reidratazione.
La diagnosi è per lo più clinica ed è facilitata in caso di interessamento simultaneo di più individui che hanno
consumato lo stesso cibo contaminato; il singolo caso invece è etichettato come gastroenterite acuta.
La diagnosi differenziale con le tossinfezioni alimentari si fa in base al periodo di incubazione che nella
forma stafilococcica è più breve.
BOTULISMO
È una intossicazione alimentare causata da una neurotossica prodotta dal Clostridium botulinum è un bacillo
gram +, sporigeno, mobile, anaerobio obbligato, è un saprofita del suolo e commensale dell’intestino di
alcuni animali.
Ne sono presenti almeno 7 tipi dalla A alla G ciascuno dei quali produce una tossina.
La tossina botulinica è termolabile e viene prodotta in condizioni di anaerobiosi stretta, PH alcalino e
temperatura di 30° (ma anche a temperatura di frigo, 4°C).
L’intossicazione alimentare si verifica per ingestione di cibo contaminato dalla tossina in particolare: carne
in scatola, prosciutto, insaccati, vegetali sott’olio, pesce in scatola.
Sono implicate soprattutto le conserve alimentari di produzione casalinga difficilmente cibi di produzione
industriale.
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I caratteri organolettici dei cibi inquinati in genere non si alternano in modo evidente ma è molto
caratteristico il rigonfiamento delle scatole metalliche dovuto alla formazione di gas.
Una forma particolare di botulismo è quello da ferita in cui si verifica la contaminazione di una ferita da
parte delle spore con successiva germinazione e produzione di tossina da parte della forma vegetativa. Il
periodo d’incubazione in questo caso è sensibilmente più lungo.
Nel botulismo infantile (la forma più frequente) la tossina viene prodotta e assorbita nell’intestino a seguito
della germinazione delle spore. La colonizzazione avviene per ingestione di alimenti contaminati come il
miele ed è facilitata dall’incompleto sviluppo della flora locale. Anche alcuni casi di botulismo in cui non
sembra essere implicato alcun cibo seguono il modello infantile (botulismo adulto di tipo neonatale).
La produzione della tossina avviene lentamente (2-14 giorni) e l’azione della tossina è estremamente potente
tanto che ne basta una piccola quantità per provocare la malattia (dose letale: 0.0084 mg/os).
La tossina botulinica viene assorbita a livello di stomaco ed intestino e diffonde per via ematica andando ad
agire a livello delle sinapsi colinergiche dove inibisce a livello presinaptico la liberazione di acetilcolina.
Ciò determina paralisi flaccida non solo della muscolatura scheletrica ma anche della muscolatura liscia e
delle ghiandole.
Clinica
La malattia può andare da una forma molto lieve che non richiede l’intervento medico fino a una forma
grave che può portare a morte in 24 h.
Dopo un periodo di incubazione di 12-36 ore si ha inizio della sintomatologia con nausea, vomito e dolori
addominali. Non è presente febbre ne diarrea ed il sensorio è integro.
Compare quindi la paralisi muscolare flaccida che è di tipo simmetrico discendente con progressione craniocaudale dai nervi cranici fino alle estremità.
Inizialmente si ha visione offuscata e diplopia seguite da paralisi della muscolatura intrinseca ed estrinseca
dell’occhio (paralisi oculari del III-IV e VI paio di nervi cranici) con strabismo, ptosi palpebrale, midriasi,
anisocoria e paralisi dell’accomodazione.
Quindi compare paralisi del IX-X e XII nervo cronico con disturbi della deglutizione, disfagia, disfonia e
paralisi della lingua.
Si hanno inoltre paralisi neurovegetative con xerostomia, xeroftalmia, secchezza della gola (per blocco delle
ghiandole mucipare delle prime vie respiratorie), stipsi, ileo paralitico, ritenzione urinaria.
Il liquor è normale.
La letalità è del 30-70% e la morte può intervenire per paralisi respiratoria o bulbare.
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Diagnosi
È essenzialmente clinica, la diagnosi di conferma può essere fatta tramite l’isolamento della tossina
botulinica dal cibo contaminato. La dimostrazione della tossina nel siero del paziente mediante la prova
biologica nel topino è determinante ma presenta falsi negativi in caso di botulismo da ferita o infantile.
Anche l’evidenziazione della tossina nel vomito, nel succo gastrico e nelle feci è fortemente indicativa,
perché la condizione di portatore intestinale è rarissima. Non basta invece a fini diagnostici il solo
isolamento del germe dai cibi senza contemporanea dimostrazione della tossina.
Terapia
La terapia si basa sull’impiego dell’antitossina con siero polivalente di cavallo, la cui efficacia dipende dalla
precocità dell’assunzione.
È necessario procedere alla prova di sensibilità cutanea verso il siero di cavallo, in caso di negatività si
somministrano ev 50-100 ml di siero trivalente ABE da sostituire con le antitossine specifiche se si giunge a
tipizzazione.
La antitossina neutralizza la sola tossina circolante e quindi deve essere ripetuta. Quando il consumo degli
alimenti inquinati è recente viene fatta la lavanda gastrica altrimenti va fatto un clisma e purganti (solo se
non si è ancora instaurato un ileo paralitico).
L’uso della guanetidina che dovrebbe aumentare la liberazione di Ach non ha dato risultati soddisfacenti. I
pazienti devono essere sottoposti ad attento monitoraggio tramite spirometria e ossimetria per il rischio di
sviluppare insufficienza respiratoria: quando i valori si alterano del 30% in poche ore è imperativo il ricorso
all’intubazione endotracheale e alla ventilazione meccanica.
Altre tossinfezioni alimentari
TOSSINFEZIONE DA BACILLUS CEREUS
Fa seguito all’ingestione di cibi contaminati dall’enterotossina del Bacillus Cereus che è un bacillo gram +,
aerobio, sporigeno.
I cibi sono: farina di cereali, riso ed altri cibi secchi. Il quadro è simile alla forma Stafilococcica con
incubazione di 8-10 ore.
TOSSINFEZIONE DA VIBRIO PARAHAEMOLICUS
È causata dall’ingestione di cibi contaminati dall’enterotossina del Vibrio Parahaemoliticum che è un bacillo
gram -.
I cibi sono: pesce crudo, frutti di mare, crostacei consumati crudi o inadeguatamente cotti. Il quadro clinico è
simile a quello dell’enterite da Salmonella.
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TOSSINFEZIONE DA CLOSTRIDIUM PERFRIGENES
È causata dall’ingestione di cibi contaminati dall’enterotossina del Clostridium Perfrigenes che è un bacillo
gram +, sporigeno.
I cibi interessati sono: carni (di grossa pezzatura) cotte in modo inadeguato o riscaldate, in quanto con la
cottura le forme vegetative vengono uccise mentre le spore sopravvivono ma se le carni vengono lasciate
raffreddare e consumate successivamente si ha germinazione delle spore che formano la tossina.
Il periodo di incubazione è di 8-20 ore. Compare quindi diarrea con dolori addominali di breve durata. Non è
presente febbre e le feci non sono infiammatorie.
La diagnosi si basa sull’isolamento di grandi quantità di Clostridium negli alimenti infetti e nelle feci.
Colite Pseudomembranosa
È una lesione necrotico flogistica del colon caratterizzata dalla formazione di pseudomembrane.
Eziopatogenesi
È detta anche colite iatrogena poiché nella maggior parte dei casi è dovuta alla somministrazione di
antibiotici ad ampio spettro che modificano la normale flora batterica intestinale favorendo la colonizzazione
dell’intestino de parte del Clostridium Difficilis un normale saprofita del colon che determina danno della
mucosa tramite la produzione di enterotossine.
Anche altri agenti infettivi possono essere implicati come Shigella, Stafilococco e Candida (anche in
esofago).
La malattia può manifestarsi anche in assenza di terapia antibiotica in alcune situazioni particolari: in corso
di ischemia con infezione secondaria (ex. dopo interventi chirurgici, ustioni e shock) o anche in corso di
malattie croniche debilitanti.
Sono implicati diversi antibiotici, assunti per via IM fino da due settimane prima, o per via orale di recente,
di cui il principale è la clindamicina ma anche Vancomicina, Cefalosporine, Aminoglicosidi, Penicillina
possono modificare la flora batterica intestinale aerobica, uccidendola a spese di quella anaerobica.
Anatomia patologica
La malattia colpisce il colon principalmente a livello della flessura epatica e del retto-sigma. Raramente
viene colpito il piccolo intestino. La caratteristica della malattia è la formazione delle pseudomembrane che
sono caratterizzate da un coagulo di detriti fibrino-purulento-necrotici e da muco che aderiscono alla mucosa
colica lesa (non sono delle vere e proprie pseudomembrane in quanto non sono costituite da uno strato
epiteliale).
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Nella colite da Clostridium Difficilis sono presenti delle alterazioni microscopiche peculiari: nella lamina
propria è presente un infiltrato di PMN che invade le cripte determinando la distruzione della ghiandola. Le
cripte diventano ripiene di essudato purulento che fa eruzione sulla superficie epiteliale danneggiata e vi
aderisce determinando la formazione delle pseudomembrane.
Clinica
Clinicamente la malattia si manifesta con diarrea modesta o abbondante che può anche essere di tipo
mucosanguinolenta che in genere compare dopo alcuni giorni dall’inizio del trattamento antibiotico ma che
può comparire anche dopo 1-2 settimane dalla sospensione.
Diagnosi
Le membrane si osservano bene alla colonscopia e ciò unito alla coprocultura è sufficiente a fare una
diagnosi, fortemente indicata anche dalla sola anamnesi.
Terapia
La terapia specifica non è sempre necessaria, in quanto basta spesso sospendere la terapia antibiotica per
ottenere la guarigione. L’antibiotico d’elezione contro il Clostridium Difficilis è la vancomicina.
INFEZIONI DA SALMONELLE
È una malattia infettiva acuta di tipo endemico-epidemico causata dal bacillo di Elberth o Salmonella Tiphy.
La trasmissione della malattia avviene per via orofecale attraverso cibi infetti soprattutto carne, uova, latte e
derivati e cibi poco cotti o preparati su superfici contaminate o da manipolatori infetti. La malattia è diffusa
soprattutto nei mesi caldi.
L’infezione da Salmonella può determinare 2 condizioni (oltre a quella di portatore sano): enterite
(tossinfezione alimentare) o febbre enterica.
Tossinfezione alimentare
Dopo 4-6 ore dal consumo di cibo infetto si verificano i sintomi che durano da 2 giorni ad 1 settimana:
nausea, vomito, diarrea senza sangue, febbre, crampi addominali, mialgia, cefalea.
La Salmonella essendo resistente al pH gastrico si localizza a livello dell’intestino tenue, penetra negli
enterociti per endocitosi e sopravvive e si moltiplica all’interno della cellula.
Il microrganismo determina incremento della secrezione di liquidi tramite aumento di cAMP e rilascio di
prostaglandine.
LA FEBBRE TIFOIDE
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La febbre tifoide è una tossinfezione contagiosa, endemica epidemica, propria dell'uomo, provocata dalla
Salmonella typhi. Altri sinonimi di questa malattia sono tifo addominale, tifo intestinale e ileotifo.
Molto interessante risulta essere la storia di tale patologia. Nel 1804, Proust osservò delle ulcerazioni
dell'intestino tenue. Nel 1809, Morgagni descrisse delle tumefazioni nelle ghiandole mesenteriche. Nel 1820,
Bretennau descrisse la fisionomia e l'evoluzione della malattia e nel 1834 Chomel analizzò l'assetto anatomoclinico e diede la prima definizione di febbre tifoide. Nel 1880 Eberth isolò il bacillo nelle ghiandole
mesenteriche e nella milza. Fu solo nel 1896 che Widal mise a punto la tecnica diagnostica delle sieroagglutinazione. Nel 1946, Kaufmann e White fecero una prima classificazione delle salmonelle. Nel 1947,
Burkholden estrasse la cloromicentina da colture di Streptomices venezuelae.
La febbre tifoide è una malattia febbrile acuta, sostenuta da Salmonella typhi. È endemica nei paesi della
fascia tropicale ed equatoriale ma è presente anche in Italia. La sorgente d'infezione è rappresentata dal
malato e dal portatore asintomatico. La trasmissione della patologia avviene per via oro-fecale.
Generalità su Salmonelle
Per quanto riguarda le generalità sulle salmonelle, questa specie appartiene alla famiglia delle
enterobacteriacee. Presentano una forma bastoncellare, sono gram-negativi, aerobi, asporigeni, capsulati.
Risultano essere mobili per la presenza di peritrichi e vengono in attivate dalla cottura, dall'ebollizione, dalla
pastorizzazione e dall'irradiazione. Le salmonelle possiedono un’endotossina liposaccaridica. Hanno una
struttura antigienica molto complessa, infatti sono presenti oltre 2000 sierotipi, e la loro classificazione è una
classificazione di tipo sierologico. Per quanto riguarda gli antigeni distinguiamo:
-
l'antigene H: antigene flagellare, proteico, inattivato dal calore, che provoca la formazione di
anticorpi agglutinanti del tipo di IgG, di lunga durata;
-
l'antigene O: è un antigene somatico, liposaccaridico e presente nella parete. È termostabile e
provoca la formazione di anticorpi agglutinanti del tipo di IgM, ma tuttavia non sono protettivi o
presentano una protezione di breve durata;
-
l'antigene K o Vi: periferico di natura glicoproteica, è presente anche nella capsula.
Una prima classificazione delle salmonelle prevede la suddivisione in 60 sierogruppi in base l'antigene
somatico O. I gruppi più importanti sono:
-
A, a cui appartiene Salmonella paratyphi A;
-
B, a cui appartiene Salmonella paratyphi B e Salmonella typhimurium;
-
C, a cui appartiene Salmonella paratyphi C e cholaresius;
-
D, a cui appartiene Salmonella typhi e Salmonella entiritidis.
Epidemiologia
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Per quanto riguarda le epidemiologia della febbre tifoide, nel mondo questa risulta essere diffusa in tutto il
globo, ma negli ultimi 10 anni Africa e America Latina sono diventate aree a maggior rischio rispetto alle
altre. Si osserva una minore diffusione alle regioni altamente industrializzate, come America settentrionale,
Australia, Giappone ed Europa occidentale. Particolarmente a rischio risultano essere i paesi dell'Africa
settentrionale, il Perù e l'Asia meridionale. In genere la febbre tifoide rappresenta una malattia ad alta
morbosità e letalità per la maggior parte dei paesi tropicali. La più alta incidenza si è vista soprattutto in
paesi quali Papua Nuova Guinea ed in Indonesia. Nel maggio del 2003, un'epidemia di febbre tifoide è stata
segnalata anche ad Haiti. In tutto il mondo, i casi di febbre tifoide si aggirano intorno a 21 milioni all'anno
con circa 200.000 morti. In Europa il tasso di incidenza della febbre tifoide è in rapido declino dal 1995. Nel
2005 i casi di febbre tifoide e paratifo riportati nei 26 paesi dell'Europa sono stati 1364. Il tasso più alto è
stato registrato in Norvegia. Tuttavia l'incidenza media registrata negli ultimi anni è molto bassa ed è pari a
0,03 ogni 100.000 abitanti. Non si sono registrate differenze di genere e l'incidenza della malattia, ma si
indica una maggiore diffusione della febbre tifoide nei bambini più piccoli, con età al di sotto dei quattro
anni.
Per quanto riguarda la diffusione all'interno dell'arco dell'anno, l'epidemia di febbre tifoide presenta una certa
stagionalità: si ha un picco ad agosto e settembre, con un aumento leggero a marzo e aprile. Si pensa che in
Europa occidentale la maggior parte dei casi siano dovuti a contagi avvenuti all'estero. L'Europa dell'est è
invece considerata ancora a rischio.
Vie di Trasmissione e fattori di rischio
Per quanto riguarda le vie di trasmissione, il serbatoio d'infezione per eccellenza è rappresentato dall'uomo, o
come malato o come portatore di stato convalescente o cronico. I microrganismi infatti risultano essere
presenti nell'intestino e nella colecisti e nei soggetti portatori di un'elevata carica fecale, compresa tra 106-109
batteri per grammo di feci. Inoltre, bisogna considerare che le salmonelle possiedono una prolungata
sopravvivenza nell'ambiente, infatti, sopravvivono per varie settimane in acqua, ghiaccio e alimenti. La
trasmissione avviene soprattutto per ciclo oro fecale. Ciò si verifica:
-
per ingestione di acqua e ghiaccio, contaminati a seguito di infiltrazione di pozzi e condutture da reti
fognarie;
-
alimenti come frutti di mare, frutta e verdura cruda, latte, gelati, carne non cotta che sono stati
contaminati con acqua o manipolazione diretta;
-
un'ulteriore fonte di contaminazione è data da alcuni oggetti, come per esempio la biancheria, gli
indumenti, oggetti da toilette, piatti, bicchieri, eccetera;
-
un vettore di trasmissione risulta essere la mosca;
-
un'ulteriore via di trasmissione è data dal contatto diretto oro-fecale.
Per quanto riguarda i fattori di rischio della febbre tifoide, questi vengono distinti in fattori di rischio
individuali e fattori di rischio ambientali. I fattori di rischio individuali comprendono: ingestione di cibi o
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bevande contaminate soprattutto mitili e verdure crude, scarso livello igienico e affollamento. Per quanto
riguarda i fattori ambientali, vanno ricordati la presenza di una rete idrica inadeguata, così come anche di una
rete fognaria inadeguata, ciò dà luogo alle cosiddette epidemie idriche.
Per quanto riguarda la carica infettante, è necessaria una carica elevata per determinare la malattia:
ingestione di circa 1000 salmonelle non determina la malattia, al contrario invece ingestione di circa 10.000
salmonelle determina la malattia in circa il 30% dei casi. In alcuni organismi la carica infettante risulta essere
particolarmente elevata. Questo è il caso dei militi. Un milite filtra fino a 45 L di acqua al giorno e
Salmonella typhi sopravvive in un'ostrica fino a quattro settimane. Inoltre latte e crema sono un ottimo
terreno di coltura per Salmonella typhi e la carne e scatolame possono essere inquinate dalle mani di un
portatore.
Per quanto riguarda lo stato di portatore, questo individuo alberga ed elimina Salmonella typhi senza avere
mai sofferto della malattia. Il portatore convalescente elimina le salmonelle sino a tre mesi dopo la
guarigione. Invece, il portatore cronico elimina salmonelle per anni dopo la guarigione, questo perché
salmonella tende a localizzarsi e a risiedere cronicamente nella colecisti.
Meccanismi patogenetici
Per quanto riguarda il meccanismo patogenetico, i microrganismi ingeriti penetrano per os e devono essere in
grado di resistere per almeno 30 minuti alla acidità gastrica. I germi, dallo stomaco raggiungono il duodeno e
penetrano a livello dell'orletto a spazzola degli enterociti oppure a livello delle giunzioni intercellulari. Sono
in grado di attraversare le cellule epiteliali senza danneggiarle e senza moltiplicarsi. Dopo 24 ore, iniziano
moltiplicarsi all'interno della lamina propria e si innesca quella che è la reazione dell'ospite. Più
precisamente, la reazione dell'ospite consiste nella afflusso di cellule di mononucleati e alcuni di questi
captano le salmonelle. A questo punto le salmonelle raggiungono i vasi chiliferi. Da qui vengono drenati fino
a raggiungere i linfatici mesenterici e qui inizieranno a moltiplicarsi. A questo punto inizia il percorso
attraverso il dotto toracico, con raggiungimento del torrente ematico. In questa fase si verifica quella che è la
prima batteriemia. All'interno del torrente ematico le salmonelle giungono nel tessuto linfatico, e soprattutto
il sistema reticolo endoteliale, presente maggiormente a livello della milza, midollo osseo, placche del Peyer
e fegato. Le cellule del Kuppfer si trovano a livello del fegato, ed è per queste che le salmonelle raggiungono
la colecisti, per passare poi nella bile. La bile normalmente viene immessa all'interno dell'intestino, più
precisamente nel duodeno, di conseguenza i batteri ritornano di nuovo nell'intestino dove si moltiplicano. In
questa fase si verifica una seconda batteriemia, sufficientemente abbondante, e così termina il periodo di
incubazione. Inizia la sintomatologia clinica.
I principali fattori predisponenti per la febbre tifoide sono:
-
l'età soprattutto neonati, lattanti, anziani;
-
deficit di risposta immunitaria cellulo-mediata;
-
deficit di risposta macrofagica;
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-
gastrectomia, e farmaci antiacidi, questi ultimi perché tendono ad aumentare il pH gastrico;
-
alterazioni della flora microbica intestinale, dovuta a terapia antibiotica protratta;
-
lesioni della mucosa gastrointestinale;
-
condizioni di sovraffollamento;
-
precarie condizioni igieniche.
Anatomia patologica delle lesioni
Riguardo alle lesioni anatomopatologiche della febbre tifoide, queste vengano a localizzarsi soprattutto a
livello dell'ileo distale e del colon, soprattutto a livello dei follicoli linfatici e delle placche di Peyer.
L'andamento delle lesioni può essere suddiviso, da un punto di vista temporale, in quattro fasi, ciascuna delle
quali corrispondente ad una settimana:
1. nella prima settimana si verifica iperemia della mucosa enterica, tumefazione delle placche di Peyer
e dei follicoli linfatici;
2. nella seconda settimana si ha la necrosi dei follicoli e la formazione dell'escara;
3. nella terza settimana, l’escara cade e si forma l'ulcera;
4. infine nella quarta settimana, c'è cicatrizzazione dell'ulcera.
Il periodo di incubazione è variabile, ma di solito è di circa 1 o 2 settimane.
Clinica
Il decorso clinico della patologia può essere suddiviso in quattro settenari. Al primo Settenario si ha un
esordio graduale, con febbre ad andamento a scalini crescente. In 4-5 giorni si raggiunge il plateau intorno ad
una temperatura di 39 °C. Inoltre sono presenti cefalea, Tosse stizzosa, dolore addominale diffuso, stipsi. La
diarrea risulta essere presente soltanto nel 20% dei casi, molto frequente l'epistassi. Altri segni clinici sono le
labbra aride e la lingua asciutta e infine è possibile una tumefazione tonsillare. All'esame obiettivo, è
possibile vedere bradicardia relativa, cioè il battito cardiaco presenta una frequenza minore rispetto al rialzo
termico, si può osservare inoltre addome meteorico, gorgoglio ileo-cecale, splenomegalia. Inoltre sono
presenti rumori bronchiali e diffusi. Da un punto di vista diagnostico, intorno alla metà della prima
settimana, l’emocoltura è positiva nell'85% dei casi.
Durante il secondo settenario si osservano delle profonde alterazioni del sensorio, il paziente è apatico,
ottuso e distaccato dall'ambiente. Questo quadro prende il nome di stato stuporoso o stupor. Inoltre può
manifestare delirio, allucinazioni visive e uditive. All'esame obiettivo può essere presente lingua a dardo,
addome tumido, gorgoglio ileo-cecale e splenomegalia. Può essere presente una tosse ostinata e alvo
diarroico, che è molto caratteristico e definito anche a purea di piselli. Patognomonica è la presenza di
roseole. È presente inoltre leucopenia, anemia e modesta proteinuria. L’emocoltura è positiva in circa 5060% dei pazienti. La siero-agglutinazione è positiva intorno alla seconda metà della seconda settimana,
mentre la coprocoltura è positiva nel 25% dei pazienti.
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Il terzo settenario invece è caratterizzato da tossiemia, con segni e sintomi immodificati, ad eccezione della
bradicardia che regredisce. La febbre presenta delle profonde oscillazioni e questo periodo viene definito
anfibolico. Il periodo anfibolico è il preludio alla normalizzazione termica per lisi della quarta settimana. In
corrispondenza delle lesioni anatomiche, durante questa fase, può verificarsi come complicanza una
perforazione con la successiva enterorragia. L’emocoltura è positiva nel 20-30% dei pazienti, mentre la
coprocoltura lo è nel 33% dei pazienti. La siero-agglutinazione invece tende ad aumentare di titolo.
Infine, il quarto settenario è caratterizzato dalla risoluzione graduale del quadro clinico. Assistiamo alla
caduta termica per lisi, con miglioramento del sensorio. Sì ha risoluzione dei reperti addominali con ripresa
della diuresi ed attenuazione dell'astenia. L’emocoltura non risulta essere positiva per Salmonella typhi,
mentre invece la coprocoltura è positiva solo nel 10% dei pazienti. Durante la convalescenza sono possibili
ricadute e recidive nell'8-10% dei pazienti.
Ritornando alle manifestazioni tipiche dell'esame obiettivo, il paziente si presenterà in stato tifoso, ovvero
presenterà alterazioni del sensorio con addome dolente, meteorico, presenza di gorgoglio ileo-cecale. Inoltre
è possibile rinvenire splenomegalia, roseole, lingua a dardo e bradicardia relativa. Segni molto importanti
sono la splenomegalia, epatomegalia e appunto le roseole. Tra le complicanze, ricordiamo soprattutto
l'emorragia digestiva e la perforazione intestinale.
Tuttavia l'infezione non tende a localizzarsi soltanto a livello dell'apparato gastrointestinale. Le altre
localizzazioni dell'infezione possono determinare: meningite, polmonite, endocardite, osteomielite, ascessi
epatici, e artrite settica. Inoltre è possibile avere anche delle forme fruste o abortive. Per forma frusta si
intende una patologia con sintomatologia clinica attenuata rispetto alla forma classica. Le forme fruste sono
lievi e di breve durata. Oltre alle forme fruste vi sono anche le forme ipertossiche, caratterizzate da coma,
insufficienza renale, e shock settico. Infine si ricordano le forme tipiche dell'infanzia, che colpiscono
bambini con età inferiore due anni, queste forme sono attenuate, con rare alterazioni del sensorio e frequente
presenza di diarrea.
Ritornando alle complicanze della febbre tifoide, queste vanno dalla perforazione intestinale sino alla
peritonite acuta. Entrambe sono una caratteristica del terzo settenario, mentre l’enteroraggia è caratteristica
del seconda e del terzo settenario. Inoltre, bisogna prendere in considerazione come l'infezione da
Salmonella typhi sia responsabile di colecistite acute cronica, di epatite acuta, pancreatite acuta e rottura
splenica. In alcuni casi può verificarsi anche miocardite, pericardite, endocardite. Non rare le forme che
colpiscono le vene come le flebiti e tromboflebite. Inoltre, bisogna prendere in considerazione anche
eventuali affezioni dell'apparato locomotore come artrite e osteomielite. L’infezione può interessare
l'apparato respiratorio con broncopolmonite e ulcere laringee. Neppure i reni sono risparmiati dall'infezione,
infatti si può avere glomerulonefrite e pielonefrite. A livello del sistema nervoso centrale è possibile
riscontrare una meningite, una encefalomielite o una neurite ottica. Alcuni pazienti inoltre presentano anemia
e, in rari casi, anche la cosiddetta coagulazione intravascolare diffusa o CID. Infine, può verificarsi sepsi ed
ascessi in vari organi.
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Diagnosi di laboratorio
Per riguarda le diagnosi di laboratorio, l’emocoltura risulta essere positiva nel 90% dei casi nella prima
settimana. La coprocoltura invece è positiva a partire dalla seconda settimana. La siero-agglutinazione di
Widal è positiva a partire dalla fine della prima settimana, per la presenza dell'antigene H, e dalla seconda
settimana, per la presenza dell'antigene O. Il titolo significativo è quello di 1:200. In alcuni casi, all'esame
emocromocitometrico è possibile notare leucopenia con neutropenia ed in alcuni casi si osserva anche
l'aumento della VES.
Per quanto riguarda la siero-agglutinazione di Widal, questa metodica rivela la presenza di agglutinine anti-O
ed anti-H. Questa risulta essere positiva nell'85-90% dei casi. Per quanto riguarda il titolo, questi deve essere
maggiore di 1:40 per quanto riguarda l'antigene O. In questo caso, gli anticorpi sono del tipo IgM e
compaiono intorno all'ottava giornata e poi aumentano di titolo fino a raggiungere un titolo di 1:800. Per
quanto riguarda invece il titolo anticorpale anti-H, per essere positivo deve avere un titolo superiore di 1:80.
In questo caso le immunoglobuline sono il tipo IgG e compaiono in 10ª giornata e persistono per anni.
La coprocoltura invece si positivizza solo nel 3° settenario e serve per stabilire solo lo stato di portatore
cronico ma NON per fare diagnosi.
Terapia
Infine bisogna affrontare quello che è il tema della terapia. Lo schema terapeutico prevede innanzitutto la
somministrazione di antibiotici:
•
cloramfenicolo, farmaco di scelta storico (bisogna ricordare gli eventuali effetti tossici dovuti alla
somministrazione di tale composto);
•
ampicillina, Amoxicillina, cotrimossazolo, utilizzate soprattutto per i ceppi resistenti;
•
fluorochinoloni, come la ciprofloxacina, sono gli attuali farmaci di scelta;
•
cefalosporine di terza generazione, tra queste il ceftriaxone;
•
azitromicina;
•
cefixima.
Inoltre bisogna prendere in considerazione anche una terapia sintomatologica, che consiste soprattutto nella
somministrazione di soluzione reidratante. Per le forme ipertossiche, shock, e gravi alterazioni del sensorio, è
possibile utilizzare i corticosteroidi. Per i portatori cronici si consiglia la somministrazione di ampicillina o
ciprofloxacina per 4-6 settimane o eventualmente ricorrere alla colecistectomia. La mortalità attuale per la
febbre tifoide si aggira intorno al 10%. I principali composti che vengono utilizzati sono:
-
ciprofloxacina, alla dose di 500 mg per due volte al giorno per os, disponibile anche in e.v., tuttavia
sono presenti ceppi resistenti in alcune aree;
-
azitromicina, alla dose di 1 g per os il primo giorno, poi 500 mg per sei giorni, è disponibile anche
come iniezione endovena;
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-
ceftriaxone, alla dose di 1 g per due volte al giorno e.v., per 14 giorni, risulta essere la prima scelta
nei casi gravi.
La diagnosi di febbre tifoide è soggetta a notifica. La profilassi si divide in una profilassi individuale e una
profilassi specifica. La profilassi individuale consiste in norme aspecifiche, o profilassi comportamentale.
Ciò vale anche per le altre malattie a trasmissione oro-fecale.
La profilassi specifica consiste nel vaccino somministrato per os, costituito da germi vivi attenuati non
patogeni (ceppi y 21 a) in 3-4 dosi, a giorni alterni. Offre una valida protezione contro febbre tifoide e
paratifi per almeno due anni. Tuttavia è controindicato nei bambini con età inferiore ai sei anni e negli
immunodepressi. È disponibile anche un vaccino somministrabile per via intramuscolare, costituito
dall'antigene polisaccaridico Vi purificato, in dose unica. Questo tipo di vaccino offre protezione
immunitaria efficace per circa due anni ed è praticabile anche nei bambini con età superiore ai due anni e
negli immunodepressi. La vaccinazione è raccomandata per soggetti che effettuano viaggi in aree endemiche
ad alto rischio.
PARATIFO
Il paratifo è un quadro morboso clinicamente indifferenziabile dalla febbre tifoide. Tuttavia presenta una
diversa eziologia. Infatti è sostenuto da: Salmonella paratifi A, B, C. Il quadro clinico è sovrapponibile a
quello della febbre tifoide, ma l'impegno del malato e il decorso della malattia sono assai minori. La diagnosi
e la terapia sono sovrapponibili a quelli della febbre tifoide.
SALMONELLOSI MINORI
Le salmonellosi minori sono affezioni acute, a limitazione spontanea, di origine alimentare. Sono sostenute
soprattutto da microrganismi del genere Salmonella. Sono diffuse in tutto il mondo con una frequenza
ovunque in aumento. Nell’adulto sono causa di diarrea benigna. Circa 20 sierotipi diversi sono responsabili
di oltre il 90% delle salmonellosi, tra queste ricordiamo soprattutto Salmonella typhimurium.
Epidemiologia
Per quanto riguarda l’epidemiologia, sono frequenti in entrambi i sessi e a qualunque età. Tuttavia
l’infezione presenta una maggiore gravità nei neonati, nei lattanti, nei pazienti anziani e defedati, e negli
immuno-compromessi. Sono infezioni endemiche in tutti paesi del mondo e piccole epidemie si verificano in
famiglie e comunità chiuse (scuole, collegi, ospedali, case di riposo, caserme). L’incidenza risulta essere
maggiore tra giugno e ottobre.
Vie di trasmissione
Per quanto riguarda le vie di trasmissione, il serbatoio di naturale risulta essere rappresentato dagli animali
domestici (pollame, bovini, ovini, suini, cani, gatti), rettili, tartarughe, raramente uomini (malati, portatori
asintomatici). La trasmissione avviene per via fecale-orale, con alimenti contaminati derivati degli animali
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infetti come uova, maionese, creme, latte, gelati, e carne. Raramente la trasmissione si verifica da portatori
fecali umani, tramite diffusione diretta o indiretta con alimenti e oggetti. Infine è possibile una trasmissione
verticale perinatale e con contatti tra omosessuali.
Meccanismi patogenetici
Anche in questo caso, i microrganismi devono superare la barriera gastrica e localizzarsi a livello
dell’intestino tenue. Qui, si verifica l’invasione delle cellule epiteliali della mucosa e la moltiplicazione nella
lamina propria. Ciò determina iperemia ed edema della mucosa con microemorragie, iperplasia dei follicoli
linfatici, e linfoadenomegalie. Si verifica la secrezione di interleuchina 1 e 8 e di prostaglandine dalle cellule
epiteliali. A seguito dell’infezione, si verifica l’attivazione dell’adenilato-ciclasi, con aumento della
produzione del c-AMP. Si verifica anche la migrazione e l’infiltrazione dei granulociti neutrofili con
aumento della flogosi della mucosa. Tutto ciò ostacola i normali processi di assorbimento che si verificano in
questo distretto anatomico, causando diarrea.
I principali fattori predisponenti sono l’elevata carica microbica infettante, la virulenza del sierotipo, che è
elevata per Salmonella cholaresius e ridotta per Salmonella anatum. Molto importante è anche l’alterazione
della flora microbica intestinale. Particolarmente esposti sono i soggetti con gastrectomia e che utilizzano
farmaci antiacidi. Altri fattori predisponenti sono malattie infiammatorie o neoplasie intestinali,
immunodepressione, neonati, lattanti e anziani. Inoltre, anche qui, l’iper-affollamento e le precarie
condizioni igieniche giocano un ruolo molto importante.
Clinica
Da un punto di vista clinico si possono avere forme subcliniche, ad opera soprattutto di Salmonella anatum,
forme protratte, che tendono a risolversi dopo 10-15 giorni, e forme complicate. Le forme complicate sono
caratterizzate da disidratazione, alterazioni elettrolitiche, acidosi metabolica. Ciò si verifica soprattutto nei
soggetti immunodepressi, nei bambini, e negli anziani. Inoltre, tra le forme complicate, rientrano le forme
batteriemiche e settiche, che possono determinare artriti, osteomielite, polmoniti, ecc.... Lo stato di portatore
cronico risulta essere molto raro e in questi casi il soggetto può eliminare il microrganismo per via fecale per
oltre un anno.
Diagnosi
La diagnosi normalmente viene effettuata tramite l’esame microscopico delle feci e la coprocoltura. La
terapia è perlopiù una terapia sintomatica, che prevede la reidratazione del soggetto, la correzione delle turbe
elettrolitiche e l’utilizzo degli antibiotici solo in caso di batteriemia o localizzazioni extraintestinali, oppure
nei lattanti e bambini con età inferiore ai due anni, negli anziani, e defedati, negli immunodepressi. I farmaci
che vengono maggiormente utilizzati sono: il cloramfenicolo, l’ampicillina e il cotrimossazolo, questi ultimi
due somministrati per due settimane.
COLERA
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Il colera è un'infezione diarroica acuta, altamente contagiosa, sostenuta da Vibrio cholerae. La trasmissione
avviene per contatto oro-fecale, diretto o indiretto, con gli alimenti contaminati e nei casi più gravi può
portare a pericolosi fenomeni di disidratazione. Nel 19º secolo, il colera si è diffuso più volte dalla sua
regione di origine attorno al delta del Gange verso il resto del mondo. Si sono verificate sei pandemie, che
hanno ucciso milioni di persone. La settima pandemia è ancora in corso: è iniziata nel 1961 in Asia
meridionale, raggiungendo quell'Africa nel 1971 e l'America nel 1991. Oggi la malattia viene considerata
endemica in molti paesi e il batterio che la provoca non è ancora stato eliminato dall'ambiente.
Vibrio cholerae è un bacillo gram negativo, asporigeno, di piccole dimensioni, a forma lievemente ricurva,
come una virgola, e molto mobile per la presenza di un unico flagello. Presenta antigeni, come l'antigene
flagellare H aspecifico e l'antigene somatico O. In base all'antigene somatico O è possibile la suddivisione in
139 sierogruppi diversi. L'antigene O fornisce indicazioni sulla patogenicità. Il colera classico è determinato
dai sierotipi O1 e O139. Per la classificazione, si distinguono:
-
ceppi agglutinanti da antisiero diretto contro antigeni specifici del gruppo O1 (Vibrio cholerae O1);
-
ceppi non agglutinati da tale antisiero e che quindi appartengono agli altri sierogruppi (Vibrio
cholerae non O1).
L'epidemia del 1992 è stata causata da Vibrio cholerae O139 Bengala, che produce una tossina simile a
quella del Vibrio cholerae O1. I diversi biotipi di Vibrio cholerae O1 sono simili per patogenicità, ma non
per le altre caratteristiche. Tra questi vi sono il biotipo classico ed il biotipo el tor.
Il colera rappresenta una grave minaccia per quasi tutti paesi in via di sviluppo. Tuttavia sono stati registrati
casi anche nel mondo occidentale, compresa l'Italia. Per quanto riguarda la carica infettante, per determinare
la malattia è necessaria una carica abbastanza elevata, in funzione del veicolo. Infatti nell'acqua la carica
infettante deve essere molto elevata al contrario invece dei cibi solidi, con una carica infettante di qualche
migliaio di particelle. I soggetti a maggior rischio sono soggetti gastroresecati o con diminuzione dell’acidità
gastrica, soprattutto quelli che fanno assunzioni di antiacidi o di antagonisti H 2 .
Meccanismi patogenetici
Per quanto riguarda la patogenesi, il vibrione colonizza l'intestino tenue ed inizia la produzione della tossina.
Questa è un’enterotossina, distrutta a 56 °C per 30 minuti, e risulta essere resistente alla tripsina. La tossina
induce la secrezione di acqua ed elettroliti da parte delle cellule della mucosa intestinale, in quanto va ad
attivare il sistema del cAMP. Non determina lesioni anatomopatologiche a carico della mucosa, quindi la
diarrea sarà soprattutto una diarrea di tipo osmotico.
I vibrioni si moltiplicano nella superficie della mucosa intestinale dell’ileo (talvolta anche del colon) senza
penetrare nell’epitelio non sono cioè invasivi.
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L’azione patogena viene svolta esclusivamente da una enterotossina la tossina colerica costituita da una
subunità A e 5 subunità B che la circondano come una corona. Le subunità B si legano ai recettori degli
enterociti costituiti dai gangliosidi M permettendo alla subunità di penetrare nel citosol.
Dalla subunità A si libera il frammento A1 che si lega alla proteina G che attiva l’adenilato ciclasi
innalzando i livelli intracellulari di cAMP che determina una ipersecrezione di elettroliti da parte degli
enterociti.
Gli elettroliti provocano per richiamo osmotico l’afflusso di un gran volume di acqua che nei casi più gravi
può anche raggiungere i 14 litri al giorno con più di 10 scariche l’ora (diarrea secretiva).
La tossina inoltre determina vasodilatazione dei capillari con trasudazione di liquidi.
Non essendo il batterio invasivo le alterazioni della parete intestinale sono minime e rappresentate da lieve
infiltrato infiammatorio della lamina propria e piccole lesioni all’apice dei villi.
Clinica
Passiamo adesso descrivere la sintomatologia. In molti casi, fino al 75%, l’infezione rimane subclinica, con
un periodo di incubazione di uno o cinque giorni. Nel periodo di Stato si ha diarrea, anche con 50-100
scariche al giorno, diarrea di tipo acquosa ed intensa, definita ad acqua di riso. Questa denominazione è
dovuta alla presenza di fiocchi di ammassi di vibrioni e di leucociti. Vi è l'assenza di dolori addominali e
febbre. Si può osservare ipovolemia, acidosi, iperpotassiemia. In alcuni casi si ha anche vomito e algidismo.
Per algidismo s'intende l'assenza di febbre e sudorazione fredda e viscida. Inoltre possono essere presenti
crampi muscolari e una sete intensissima. Nei casi più gravi si ha una rapida disidratazione, che determina
oligoanuria e shock ipovolemico. Caratteristica è la facies da mummia, l'addome incavato a barca e la voce
afona. Le forme gravi non trattate portano a morte in poche ore o in 2-3 giorni. La morte sopraggiunge per
shock, acidosi, insufficienza renale per necrosi tubulare acuta, e prolungata ipotensione.
L'esordio si ha dopo 24-48 ore di incubazione, con diarrea intensa, ad acqua di riso, senza dolori addominali
e abitualmente senza febbre. Il periodo di stato consiste appunto in una diarrea persistente, con vomito e
crampi muscolari, questi dovuti all'iperpotassiemia, sete intensissima rapida e profonda disidratazione e
oligoanuria.
Diagnosi di laboratorio
Le indagini di laboratorio comprendono l'esame batterioscopico e l'esame colturale. L'esame batterioscopico
consiste nell'osservazione del vibrione a fresco in campo oscuro, che apparirà come un bacillo mobile e
flagellato. L'esame colturale avviene in un terreno arricchito con acqua peptonata o su terreni selettivi per
l'identificazione.
Terapia
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La terapia del colera consta in una terapia sintomatica ed antibiotica. Il trattamento sintomatico consiste nella
reintegrazione rapida di liquidi ed elettroliti, con correzione dell’acidosi metabolica. L'organizzazione
mondiale della sanità consiglia l'utilizzo di soluzioni idratanti ad elevato quantitativo di sodio, viste le alte
perdite di quest'elettrolita durante la malattia. Generalmente le soluzioni idratanti standard non presentano
livelli di sodio così elevati, per cui diviene importante avere una diagnosi rapida di colera. La terapia
antibiotica prevede la somministrazione di:
-
tetraciclina, 2 g, per os;
-
doxiciclina, 300 mg per os, in un'unica dose.
Si ricorda che le tetracicline, a causa dei loro effetti collaterali, non posso essere somministrate nei bambini
con età inferiore agli otto anni. In aree endemiche, tuttavia sono presenti ceppi del vibrione resistente alle
tetracicline ed in questi casi si può utilizzare:
-
ciprofloxacina, 300 mg per chilo per os, in dose unica;
-
doxiciclina, 300 mg per os, in dose unica;
-
eritromicina, 40 mg per chilo al giorno in tre dosi per os, per tre giorni, questa risulta essere la
terapia di scelta per i bambini. Un tempo venivano anche utilizzati il cotrimossazolo e il
furazolidone.
Per quanto riguarda la profilassi specifica, l'immunizzazione attiva comprende vaccini iniettabili e vaccini
orali. I vaccini iniettabili constano di microrganismi uccisi. Si effettua con due inoculazioni intramuscolo o
sottocute, a distanza di 16 settimane una dall'altra. Tuttavia la protezione è di breve durata e non completa.
Non prevengono lo stato di portatore e hanno un’elevata incidenza di effetti collaterali, di conseguenza
attualmente sono sconsigliati. I vaccini orali maggiormente utilizzati sono:
-
l’orochol, formato da microrganismi vivi ma geneticamente modificati, incapaci di produrre la
subunità A dell’enterotossina, con efficacia protettiva del 60 90%, con durata da sei mesi a forse
superiore ai due anni, soprattutto se si effettuano i richiami;
-
cholerix, formato da microrganismi uccisi più la subunità A dell'enterotossina, ha un'efficacia
protettiva del 65%, con durata da sei mesi a forse maggiore di due anni con i richiami e offre il
vantaggio di una protezione parziale contro i ceppi ETEC.
Nessuno di questi vaccini può impedire la trasmissione del vibrione e quindi incidere sull'epidemiologia. La
profilassi è sconsigliata in quanto aumenta il diffondersi della farmacoresistenza. Da limitare soltanto ai
familiari del soggetto affetto. Si può utilizzare la doxiciclina o, laddove presente resistenza, tetraciclina,
fluorochinoloni o eritromicina. Anche qui, un ruolo importante gioca la profilassi aspecifica intesa come
profilassi comportamentale.
Enterocolite stafilococcica
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È una infezione conseguente alla moltiplicazione dello Stafilococcus Aureus a livello della mucosa
intestinale.
Lo S.Aureus è un normale componente della flora batterica intestinale perciò la sintomatologia compare solo
quando esso viene a costituire la parte più cospicua della flora gram + in genere per spiazzamento della
normale flora commensale a causa di un trattamento antibiotico (cloramfenicolo, tetracicline, neomicina etc.)
o per riduzione dei poteri di difesa dell’ospite. Sono più colpiti neonati e soggetti anziani.
I reperti anatomopatologici sono sovrapponibili a quelli della colite pseudomembranosa.
L’esordio si ha dopo alcune settimane dall’inizio della terapia antibiotica ed è brusco, caratterizzato da dolori
addominali, febbre, nausea, vomito e diarrea.
La diarrea è di tipo essudativo e la perdita di liquidi è cospicua e porta a disidratazione e squilibri
idroelettrolitici.
La terapia si basa sulla correzione degli squilibri idroelettrolitici e sull’interruzione degli antibiotici causali.
Si possono somministrare anche antibiotici attivi sullo S. Aureus come vancomicina e teicoplanina.
ENTERITI DA ESCHERICHIA COLI
Escherichia coli è un bacillo gran negativo, appartenente alla famiglia delle enterobacteriacaee, asporigeni,
aerobio facoltativo, mobile per flagelli peritrichi e immobile, capace di fermentare il lattosio. Questo
microrganismo è dotato di tre antigeni:
-
O, somatico;
-
K, capsulare;
-
H, ciliare.
L'antigene O, termostabile, di natura lipolisaccaridico, gruppo specifico, permette la distinzione di almeno
170 gruppi diversi. In esso viene riconosciuta l'attività endotossinica del microrganismo. L'antigene H,
flagellare, incostante, e termolabile è tipo specifico. L'antigene K, anche se incostante, consente di
riconoscere cento differenti tipi antigienici.
Esistono vari tipi di ceppi di Escherichia coli:
-
I ceppi enterotossigeni o ETEC sono in grado di produrre 1 o 2 distinte tossine. La tossina
termolabile o LT viene inattivata dal calore ed immunologicamente è simile alla enterotossina
colerica. La tossina termostabile o ST, è una molecola di dimensione inferiore a quella di LT,
composta da un singolo peptide e dotata di potere antigienico modesto. Nell'uomo sono state
descritte due varianti di ST. Il meccanismo di azione di ST è stato identificato nella stimolazione
della guanilato ciclasi;
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-
I ceppi enteropatogeni o EPEC, non producono enterotossina e vengono ritenuti privi di poter
invasivo. La loro patogenicità sembra dovuta in particolare al fattore di adesività localizzata, che
determina l'alterazione dei microvilli delle cellule della mucosa intestinale. Questi ceppi provocano
la scomparsa dell’orletto a spazzola delle cellule dell’epitelio intestinale;
-
I ceppi enteroaggreganti o EAggEC sono caratterizzati da capacità di aderire in vitro alla linea
cellulare HEp-2, formando aggregati. Molti ceppi possiedono un plasmide che reca il gene da cui
dipendono interamente i fenomeni di adesione e la produzione di una enterotossina termostabile
simile alla ST;
-
I ceppi diffusamente adesivi di Escherichia coli o DAEC vengono anch'essi identificati per la loro
capacità di aderire alle cellule HEp-2, ma non determinano la formazione di aggregati. Questi ceppi
non sembrano elaborare enterotossina, né invadere le cellule epiteliali dell'intestino. Il meccanismo
col quale questi provocano diarrea è in gran parte oscuri;
-
I ceppi entroinvasivi o EIEC rappresentano un piccolo numero di sierogruppi. Questi ceppi hanno la
capacità di penetrare e di moltiplicarsi nelle cellule epiteliali del colon, distruggendo e causando la
desquamazione di vaste aree di mucosa; ciò provoca una sindrome dissenteriforme particolarmente
grave;
-
Infine vi sono i ceppi entroemorragici o EHEC (che determinano la sindrome uremico-emolitica), di
cui quello di gran lunga più comune e il sierotipo O157:H7. La patogenicità di questi ceppi è
correlata con la produzione di una o più tossine, espressione dell'infezione da batteriofago, e il
meccanismo d'azione è molto simile a quello della tossina di Shiga, denominata vero tossina o VT o
Stx.
Diarrea del viaggiatore
La diarrea del viaggiatore viene anche definita come vendetta di Montezuma. La diarrea del viaggiatore
viene definita come una situazione patologica nella quale si verificano 4 o più scariche di feci in un periodo
di 24 ore, oppure tre o più scariche in un periodo di 8 ore. Accanto all’alterazione dell'alvo, sono associate
almeno uno dei seguenti sintomi: nausea, vomito, dolori addominali crampiformi, febbre, tenesmo rettale o
emissione di muco o sangue con le feci.
La diarrea nei paesi tropicali è responsabile di milioni di decessi soprattutto in età pediatrica ed è la malattia
più frequente dei viaggiatori. Infatti, l'incidenza nei viaggiatori è del 30-80%. L’eziologia è infettiva nella
maggioranza dei casi. Il modello di trasmissione è quella del tipo oro-fecale con ingestione di acqua o cibi
contaminati. È il disturbo più comune che può colpire chi è in viaggio: ogni anno colpisce tra il 20 e il 50%
dei 35 milioni di viaggiatori internazionali, di cui il 30% e costretto a letto.
L'esordio si ha entro la prima settimana, ma può verificarsi in ogni momento durante il viaggio e anche dopo
il ritorno a casa. L'elemento più importante del rischio e la destinazione del viaggio. Le destinazioni a rischio
più elevato sono i paesi in via di sviluppo dell'America Latina, dell'Africa, del Medio Oriente e dell'Asia. Le
persone a maggior rischio comprendono i giovani adulti, gli immunodepressi, le persone affette da malattie
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infiammatorie intestinali o diabete, e coloro che assumono antistaminici del tipo anti-H 2 o antiacidi.
L'incidenza della malattia e simile sia negli uomini che nelle donne.
La fonte primaria dell'infezione è l'ingestione di acqua e cibi contaminati dalle feci. Per quanto riguarda
l’eziologia della diarrea del viaggiatore, risulta essere determinata da:
-
E. coli entrotossici o ETEC, nell'80% dei casi;
-
Salmonella, Shigella, Campylobacter, V. parahaemoliticus soprattutto in Asia;
-
rotavirus soprattutto in America Latina;
-
Giardia lamblia, E.histolytica, Cryptosporidium e Cyclospora.
E. coli entrotossici sono produttori di una o due tossine:
-
la tossina termolabile o LT, che viene inattivata dal calore, ed è simile a quella colerica con un
aumento dell’attività adenilato-ciclasica, che determina l'accumulo di cAMP, con aumento della
secrezione di cloruri e quindi diarrea;
-
la tossina termostabile o ST, che invece va a stimolare l’attività della guanilato-ciclasi, determinando
un accumulo di cGMP.
Possiedono inoltre fattori di adesività o di colonizzazione (fimbrie in particolare), che consentono l'adesione
all'epitelio intestinale impedendo ai movimenti peristaltici di rimuovere i microrganismi. Questi
microrganismi sono ubiquitari, ma soprattutto diffusi in America Latina, Africa, Asia, forse per il minore
livello igienico delle popolazioni residenti.
Clinica
La sintomatologia prevede un esordio repentino, con aumento della frequenza, del volume e del peso
dell'evacuazione. È comune anche l'alterazione della consistenza delle feci. Tipicamente, un viaggiatore ha
da quattro a cinque movimenti intestinale abbondanti e acquosi ogni giorno. Si ha una diarrea acuta, che può
essere modesta, transitoria, autolimitata che si risolve entro quattro giorni, talvolta si ha anche nausea,
vomito, anoressia, disidratazione, crampi addominali, raramente febbre. La dissenteria si caratterizza per la
presenza di febbre, dolori addominali, tenesmo, disidratazione. La diarrea cronica invece si caratterizza per
la presenza di anoressia, nausea, distensione addominale e crampi. La maggior parte dei casi ha andamento
benigno e si risolve in 1-2 giorni senza alcun trattamento. Solo raramente la diarrea del viaggiatore è un
rischio per la vita. La storia naturale della diarrea del viaggiatore si risolve nel 90% dei casi entro una
settimana e nel 98% dei casi entro un mese.
Terapia
Per quanto riguarda la terapia questa è sintomatica e prevede l'introduzione di liquidi ricchi di glucosio,
potassio, e sodio. La loperamide viene utilizzata per ridurre il numero delle scariche e la terapia antibiotica
prevede l'utilizzo della ciprofloxacina, del cotrimossazolo, e dell'Amoxicillina. In caso di diarrea cronica o
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dissenteria si ricorre alla terapia eziologica. Per quanto riguarda le eventuali misure preventive queste
riguardano soprattutto la profilassi comportamentale. Quindi bisogna evitare di assumere acque non
imbottigliate, fare attenzione soprattutto al ghiaccio. Evitare il latte non pastorizzato e tutti i suoi derivati,
evitare uova crude poco cotte, lavare con cura frutta e verdura ed evitare di mangiare molluschi crudi.
Shigellosi o dissenteria bacillare
È caratterizzata da una breve periodo di incubazione, i sintomi sono rappresentati da violente scariche
diarroiche con feci prima acquose e poi mucosangionolente.
Il contagio avviene per via orofecale tramite acqua e cibi contaminati.
Le Shigelle vanno a localizzarsi a livello della mucosa del colon penetrano negli enterociti e si riproducono
all’interno dei vacuoli fagocitari.
Esse inoltre producono una potente enterotossica, la tossina di Shiga, che provoca la necrosi dell’epitelio del
colon tramite blocco della sintesi proteica.
La Shigella Dissenterie inoltre produce anche una esotossina simile a quella di E.C. enteroemorragico che
determina la sindrome uremico-emolitica.
Per quanto riguarda le alterazioni anatomopatologiche inizialmente un essudato fibrino-suppurativo ricopre
la mucosa a tratti e poi diffusamente producendo una pseudomembrana. Si instaura quindi una reazione
infiammatoria all’interno della mucosa intestinale con infiltrato linfomonocitario nella lamina propria e
ulcere superficiali con infiltrato di PMN. Con la remissione della malattia le ulcere guariscono con la
rigenerazione dell’epitelio mucoso.
Colite amebica
È causata da un parassita commensale dell’intestino crasso detto Entamoeba Histolitica. La trasmissione
dell’infezione avviene per via orofecale tramite acqua e cibi contaminati. L’Entamoeba viene ingerita sotto
forma di cisti che sotto l’azione del succo gastrico si trasforma in trofozoita che rappresenta la forma
metabolicamente attiva la quale invade le pareti del colon e produce enzimi citolitico che determinano danno
tissutale con formazione di ulcere.
I parassiti vengono eliminati con le feci sotto forma di trofozoiti nelle forme acute e di cisti nelle forme
croniche e nello stato di portatore.
La capacità patogena del parassita dipende dalla sua trasformazione dalla forma minuta alla forma invasiva
in seguito a diversi stimoli e situazioni dell’ospite: flora batterica intestinale, stato di nutrizione, condizioni
del sistema immune.
All’infezione per tanto può far seguito:
21
-
Stato di portatore sano in cui il trofizoita è presente in forma minuta, rappresenta un serbatoi
dell’infezione in quanto elimina la cisti con le feci;
-
Amebiasi intestinale in cui il trofoziota è presenta in forma magna invasiva che penetra nella
mucosa, invade le cripte attraverso cui si apre un varco nella lamina propria e determina danno con
formazione di ulcere (tipicamente a forma di fiasco con un collo stretto ed un’ampia base) che
possono
determinare
anche
perforazione
con
peritonite,
clinicamente
si
ha
diarrea
mucosanguinolenta, raramente si può avere la formazione di un ameboma caratterizzato da un
focolaio di intensa risposta granuleggiante ai parassiti.
In circa il 40% dei pazienti con dissenteria amebica i parassiti penetrano nei vasi portali ed embolizzano il
fegato producendo ascessi solitari o multipli (ascessi amebici epatici). La diagnosi viene fatta tramite la
ricerca del parassita nelle feci.
GASTROENTERITI VIRALI
Nei paesi sviluppati la diarrea infettiva rimane un importante causa di morbilità sia negli adulti che nei
bambini; gli agenti eziologici più frequenti sono due distinti gruppi di virus, i Rotavirus e i virus di Norwalk.
Rotavirus
Appartengono alla famiglia delle Reoviridae e hanno la caratteristica di avere un genoma frammentato in 11
segmenti di RNA a doppia elica, motivo per cui i Rotavirus vanno incontro con elevata frequenza a fenomeni
di ricombinazione genetica (anche se non è noto quanto questo aspetto sia importante nel generare la
diversità antigenica).
L'infezione da Rotavirus è ubiquitaria e all'età di tre anni virtualmente ogni bambino ha contratto almeno una
volta l'infezione; nelle zone a clima temperato l'infezione segue l'andamento stagionale, verificandosi nei
mesi invernali. I rotavirus sono responsabili del 30-50% di tutti i casi diarrea che richiedono
ospedalizzazione o intensa reidratazione; benché la maggior parte dei casi interessi i bambini al di sotto dei
tre anni, si riscontrano frequentemente associati a diarrea negli adulti, particolarmente negli anziani e negli
immunocompromessi (malati di AIDS). Le infezioni subcliniche sono comunque la maggioranza dei casi,
per lo più tra gli adulti, ma anche tra i bambini, nei quali conferiscono un'immunità che dura tre anni circa.
Negli adulti con bassi livelli di IgAs si possono verificare reinfezioni sintomatiche, che potenziano
l'immunità.
I rotavirus vengono abbondantemente eliminati con le feci ed è presumibile che la trasmissione avvenga per
via oro-fecale. I rotavirus causano un'infezione litica delle cellule mature poste all'estremità dei villi
dell'intestino tenue: esse sono sostituite da cellule immature con inefficienti capacità assorbitive. La diarrea è
quindi osmotica da malassorbimento e può essere occasionalmente fatale. L'esordio dei sintomi è in genere
brusco, con vomito e diarrea e, in 1/3 dei casi, febbre anche superiore a 39°C. I sintomi gastroenterici, che si
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esauriscono tra il 2° e il 6° giorno, sono accompagnati a sintomi respiratori, anche se non c'è evidenza che i
rotavirus siano capaci di replicarsi nelle cellule dell'apparato respiratorio.
Altre sindromi cliniche di volta in volta associate a infezione da rotvirus sono: sindrome di Reye,
meningoencefaliti, polmoniti, enterocoliti necrotizzanti, porpora di SH, CID ecc... Probabilmente nella
maggior parte dei casi questa associazione è casuale.
Esistono numerosi kit per la rilevazione degli Ag dei rotavirus direttamente in campioni di feci, come pure le
DNA probes; clinicamente invece non ci sono segni patognomonici, eccetto forse una maggiore
disidratazione.
Il più delle volte è sufficiente una terapia reidratante orale standard (solo nei casi gravi si rende necessaria
una reidratazione per via endovenosa). Poiché l'infezione da rotavirus è ampiamente diffusa anche nei paesi
sviluppati, è improbabile che possa essere prevenuta solo attraverso misure igienico sanitarie; per quanto
riguarda il futuro è allo studio un vaccino vivo attenuato.
Virus di Norwalk e calicivirus eneterici correlati
Rappresentano gli agenti eziologici più frequentemente studiati responsabili di gastroenteriti acute non
batteriche. L'infezione da virus di Norwalk è assai comune e non ha andamento stagionale; il primo contatto
si verifica in un età considerevolmente più bassa nei bambini dei paesi meno sviluppati, in conseguenza del
fatto che la trasmissione è oro-fecale.
Tuttavia il virus di Norwalk è ritenuto responsabile di numerose epidemie di gastroenterite virale di origine
alimentare (cibi e acqua potabile), soprattutto in alberghi, navi da crociera e scuole. Il reale impatto della
diarrea da esso provocata nei paesi meno sviluppati è difficilmente quantificabile poiché l'epidemiologia va
differenziata da quella degli altri calicivirus enterici.
L'infezione è limitata al tratto prossimale di intestino tenue, al livello del quale si ha accorciamento dei villi,
iperplasia criptica e infiltrazione della lamina propria da parte di monociti e polimorfonucleati; non sono note
le cellule nelle quali si verifica la replicazione virale. Le alterazioni funzionali si riflettono in: steatorrea,
malassorbimento dei carboidrati e diminuiti livelli di alcuni enzimi dell'orletto a spazzola; non vi sono invece
alterazioni nell'attività dell'Adenilato ciclasi.
Dopo un periodo di incubazione compreso tra 18 e 72 ore, la malattia esordisce improvvisamente con nausea
e crampi, seguiti da vomito (più nei bambini) e/o diarrea; metà dei pazienti presenta anche febbricola, cefalea
e mialgie. Le feci non sono infiammatorie. La malattia è generalmente lieve e ad auto risoluzione spontanea
nell'arco di un paio di giorni.
La maggior parte dei pazienti non sviluppa una resistenza a lungo termine (due o più anni) alla reinfezione; il
dato più curioso è che c'è una reazione paradossale tra livelli di anticorpi specifici nel siero e nell'intestino e
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suscettibilità alla malattia: sembra quindi che la risposta immunitaria non sia il fattore determinante nella
protezione, per cui anche il ruolo di un'eventuale vaccinazione sarebbe dubbio.
Trattandosi di forme acute e a risoluzione spontanea, normalmente non è necessaria la diagnosi eziologica
(peraltro possibile con test radioimmunologici e immunoenzimatici) e nemmeno la terapia (solo nei casi
gravi è indicata la reidratazione).
ALTRI VIRUS PATOGENI ENTERICI
Gli adenovirus enterici non coltivabili costituiscono una causa minore (10%) di diarrea nei neonati e nei
bambini, mentre il loro ruolo negli adulti e nei paesi meno sviluppati non è conosciuto; questo gruppo
differisce dagli altri adenovirus per fattori che includono la diversità dei sierotipi e lo spettro di digestione
con enzimi di restrizione.
Gli astrovirus sono emersi come agenti comuni di diarrea in ospiti immunocompromessi (soprattutto
trapiantati di midollo osseo e affetti da Aids): la recente disponibilità di saggi diagnostici specifici e sensibili,
potrebbe ampliare la conoscenza della loro reale portata.
I coronavirus sono spesso responsabili di diarrea in una grande varietà di animali, ma le particelle virali
identificate nelle feci pazienti con diarrea non hanno le caratteristiche morfologiche di questi virus e
potrebbero rappresentare prodotti di degradazione batterica o frammenti cellulari.
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BRUCELLOSI
Sinonimi di brucellosi sono febbre maltese, febbre melitense, febbre ondulante. La brucellosi è un
antropozoonosi a decorso acuto, subacuto o cronico, causata da batteri del genere brucella. La brucellosi,
nella sua forma tipica, è caratterizzata da:
-
esordio insidioso;
-
febbre;
-
artromialgie;
-
sudorazioni;
-
cefalea;
-
anoressia;
-
condizioni generali non compromesse.
Anche qui molto interessante è la storia. Nel 450 a.C., Ippocrate da la prima testimonianza della malattia.
Nel 1859 Marston, un chirurgo dell'artiglieria inglese, descrive, durante la guerra di Crimea, il decorso
clinico della malattia. Fu solo nel 1886 che David Bruce identifica il batterio nella milza di un paziente
deceduto per febbre di Malta, chiamandolo Micrococcus Melitensis . Nel 1897 Wright utilizza una reazione
di sieroagglutinazione per la ricerca degli anticorpi specifici e nel 1920 Evans cambiò il nome del
micrococco con Brucella.
La brucellosi presenta un andamento clinico poco caratteristico, infatti non esistono altre malattie, ad
eccezione della sifilide e della tubercolosi, così variabile nelle manifestazioni cliniche.
Generalità su Brucella
Per quanto riguarda il microrganismo, Brucella è un piccolo microrganismo con forma coccoide o bacillare.
È un gran negativo, asporigeno ed immobile. Brucella è un parassita intracellulare obbligato degli animali e
dell'uomo. Infatti tende a localizzarsi a livello del sistema reticolo endoteliale. Non produce tossine tuttavia
sono presenti endotossine nella parete cellulare che vengono liberate durante l'infezione. Tuttavia il ruolo
patogenetico di queste endotossine non è noto. In natura sono presenti diverse specie, tuttavia studi di
ibridazione del DNA hanno dimostrato che esiste una sola specie, Brucella melitensis, con differenti
biovarianti. Le specie patogene per l'uomo presentano un serbatoio animale:
-
Brucella melitensis si ritrova soprattutto nella capra, nella pecora e nei bovini ed è molto diffusa a
livello del bacino del Mediterraneo;
-
Brucella abortus bovis si ritrova soprattutto nei bovini ed è molto diffusa in Africa centromeridionale, Nord Europa, Asia e Sudamerica;
-
Brucella abortus suis ha come serbatoio il maiale ed è diffusa nel Nord America, e nell'Europa
centrale;
-
infine Brucella canis ha come serbatoio il cane.
1
Vie di trasmissione ed epidemiologia
Gli animali presentano diverse vie di eliminazione del microrganismo. Sicuramente molto importante è
quella attraverso il latte. Il microrganismo può essere eliminato sia a seguito di processi infiammatori della
mammella, ovvero mastiti, ma anche dalla mammella sana. Ulteriori vie di eliminazione sono le urine, le
feci, gli scoli vaginali dopo l'aborto e il liquido seminale nel toro. Per quanto riguarda le modalità di contagio
tra gli animali, queste sono:
-
per via orale tramite la contaminazione di foraggi, acqua, pascoli, ambiente delle stalle;
-
mucose, come nel caso di accoppiamenti tra tori infetti e femmine sane;
-
via cutanea, soprattutto durante l'operazione di mungitura, infatti dalla mano del mungitore, che si
infetta con le mammelle malate, alla cute delle mammelle sane.
Nelle specie animali, più precisamente nelle femmine gravide, la Brucella si ritrova livello dell'epitelio
coriale. L'infezione in questo sito determina flogosi dei tessuti ed edema del circolo placentare alterato. Da
qui si può passare all'infezione del liquido amniotico, ma molto spesso il feto muore e si ha aborto. In questa
fase, Brucella si ritrova a livello del materiale abortivo fetale, della placenta e nelle secrezioni vaginali.
Questi risultano essere fortemente contaminati. Nel maschio, invece, Brucella si ritrova soprattutto a livello
dei testicoli e delle vescicole seminali e da qui vengono riversati nel seme. Un'ulteriore modalità di
eliminazione di Brucella e quindi di contagio per l'uomo sono le mammelle, sia sane e infette. Dalle
mammelle Brucella è in grado di raggiungere l'uomo per via orale, con ingestione di latte e derivati, per via
cutanea, a seguito della mungitura per contatto col latte infetto. Anche le urine e le feci degli animali infetti
rappresentano una modalità di contagio per l'uomo, sia per via orale, tramite l'ingestione di verdure e acqua
contaminati in quanto Brucella è molto resistente nell'ambiente esterno, sia per via inalatoria-congiuntivale.
Attraverso la vagina, Brucella viene eliminata con le secrezioni vaginali e con i prodotti dell'aborto e il
microrganismo raggiunge l'uomo per via cutanea, soprattutto nel caso dei veterinari, che effettuano manovre
ostetriche. Lo stesso dicasì per l'utero. La trasmissione interumana è eccezionale e l'uomo elimina la Brucella
con le urine, con le feci, ma non con il latte. Per tutta questa serie di fattori, vi sono delle classi professionali
che presentano un maggior rischio. Tra questi vi sono soprattutto:
-
contadini, pastori e caprai, soprattutto se l'allevamento è condotto in maniera primitiva e il contatto
tra animali ed allevatore è molto stretto;
-
veterinari, il rischio di contrarre la malattia è connesso con la pratica ostetrica soprattutto con la
rimozione di prodotti ritenuti, che hanno molta probabilità di essere infetti;
-
personale di laboratorio tramite l’utilizzo di pipette;
-
Una particolare categoria di soggetti a rischio è rappresentato dai lavoratori dei macelli e delle
fabbriche di carne in scatola. Infatti questi sezionano le carcasse e gli organi interni di conseguenza
possono infettarsi col sangue.
Meccanismi patogenetici
2
L’infezione può avvenire per penetrazione dei germi attraverso le soluzioni di continuità della cute o per
graffi, oppure tramite spruzzi di sangue che possono raggiungere la congiuntiva. Inoltre, se il numero delle
Brucella è elevato nell'atmosfera, si può avere una vera e propria nebulizzazione per cui possono infettarsi
anche gli addetti agli uffici e il personale che lavora lontano dal reparto in cui gli animali vengono macellati.
Questa rappresenta la modalità di trasmissione per via inalatoria.
Per quanto riguarda la patogenesi, Brucella è in grado di entrare all'interno dell'organismo tramite:
-
il tubo digerente;
-
la cute;
-
la congiuntiva;
-
le vie respiratorie.
Una volta all'interno dell'organismo, Brucella raggiunge i linfatici e si moltiplica nei linfonodi regionali, da
qui poi parte per la disseminazione ematica, dando batteriemia. Infine Brucella tende a localizzarsi in tutti gli
organi e tessuti che sono ricchi in cellule del sistema reticolo endoteliale, quindi soprattutto fegato, milza, i
linfonodi, midollo osseo, reni, ecc... Da un punto di vista anatomopatologiche, il sistema reticolo endoteliale
può rispondere con una reazione di tipo semplice o granulomatosa. Nei macrofagi, la Brucella può persistere
per mesi ed anni, soprattutto negli organi emolinfopoietici. La risposta immunitaria dell'ospite può essere una
risposta immunitaria umorale, con un aumento iniziale delle IgM ed un successivo aumento delle IgG dopo
7-14 giorni. Gli anticorpi sembrano avere un ruolo in qualche modo protettivo nei confronti della infezione.
L'evoluzione della malattia però è scarsamente influenzata dall'immunità umorale. L'immunità cellulomediata è più importante al fine della guarigione, perché implicato nell'uccisione dei batteri.
La brucella ha una PANtropismo, con particolare predilezione per il sistema reticolo-endoteliale: essa infatti
viene fagocitata dai PMN e dai macrofagi attivati. È infatti un parassita endocellulare, per cui può sviluppare
una risposta infiammatoria granulomatosa, anche con aspetti di caseificazione, di necrosi e di
ascessualizzazione.
Tra le citochine prodotte una preponderanza di IL-2 è protettiva perché stimola la sintesi di interferone, che
attiva i macrofagi. Al contrario l’IL-10 è dannosa perché limita l’efficienza della CMI. Le brucelle possono
così replicarsi indisturbate nei LN e nei tessuti del reticolo-endotelio in genere.
Clinica
Da un punto di vista clinico, distinguiamo una forma acuta e subacuta benigna senza localizzazioni. Questa
forme sono caratterizzata da febbre, che può essere ondulante, continua remittente, remittente intermittente,
febbricola o irregolare. Vi possono essere sudorazioni profuse, artralgie precoci e mialgie nevralgiche, epato
e splenomegalia con milza ingrossate in circa il 50% dei casi e fegato ingrossato nel 25% dei casi. Si può
avere leucopenia con linfocitosi ed aumento della VES.
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Tuttavia si può avere anche una brucellosi con localizzazioni viscerali. Se l'infezione si localizza a livello del
sistema nervoso centrale, vi sarà meningite a liquor limpido, con un elevato contenuto di proteine e cellule e
una riduzione della glicorrachia. Si potrà avere anche encefalite, mielite, radicolite e nevrite sciatica.
Brucella si localizza anche a livello dell'apparato digerente, e potrà determinare epatite Brucellare itterigena
o turbe gastroenteriche. La localizzazione dell'infezione a livello dell'apparato cardiovascolare può
determinare soprattutto enodcarditi, sia su endocardio sano che leso, soprattutto a livello della valvola aortica
e mitralica. Così, si possono formare delle ulcere vegetanti dalle quali si possono staccare emboli. A livello
dell'apparato respiratorio, l'infezione da Brucella determina bronchite, polmonite e pleurite. La
localizzazione a livello del sistema emolinfopoetico determina soprattutto splenite ed adenopatie. Quando la
localizzazione si ha a livello della cute, si osserva un'eruzione eritemato-papulosa pruriginosa, soprattutto a
livello delle mani e degli avambracci. A livello dell'apparato locomotore si avranno artro-mialgie, soprattutto
nelle forme tossico-allergiche, e osteo-artriti, soprattutto sacro-ileite, coxite e spondilite. A livello del
apparato urogenitale si avrà orchite. Da qui, è facile capire quali potrebbero essere le possibili complicanze:
quelle più frequenti sono osteiti, artriti, artrite suppurativa, endocardite, encefaliti e meningiti; meno
frequenti sono polmonite con pleurite, epatite e colecistite. L'aborto nella donna non è più frequente che in
altre malattie batteriche che colpiscono la donna gravida.
Nella Brucellosi cronica la sintomatologia può persistere per mesi o anni, ed è caratterizzata da piccoli rialzi
termici giornalieri, episodi febbrili di una certa entità, di breve durata, ricorrenti di tanto in tanto, assenza di
febbre ma compresenza di astenia, deperimento, disturbi nervosi, ecc.... Da un punto di vista clinico, ne
esistono tre forme:
-
forma febbricolare, con scarsi o assenti sintomi generali;
-
forma nevrastenica, con astenia fisica e psichica, irrequietezza, piccoli rialzi termici;
-
forma reumatica, con artralgie a uno o più distretti articolari, con o senza piccoli rialzi febbrili, con
segni di flogosi articolare, la radiografia risulta essere normale o viene sottolineata la presenza di
artropatia cronica.
Per quanto riguarda la diagnosi differenziale, nelle forme del corso tipico questa deve essere posto per:
-
l'influenza, con sintomi respiratori, astenia, tosse, starnuti;
-
il tifo, a seguito di ingestione di frutti di mare, con cefalea, compromissione dello stato generale,
astenia, obnubilamento del sensorio, Vidal positivo;
-
malaria, con anamnesi positiva per viaggi in isole tropicali, caratterizzata dall'accesso febbrile e
anemia, la diagnosi viene effettuata esaminando o lo striscio sottile o la goccia spessa;
-
leishmaniosi, con febbre ad andamento bifasico ad orecchie di gatto, interessamento della milza,
piastrinopenia ed aumento delle gammaglobuline;
-
sepsi e altre affezioni febbrili.
4
Molto importante è la diagnosi differenziale con la tubercolosi, che viene effettuata con il tine test,
radiografia del torace, biopsie, isolamento colturale, e i criteri ex adiuvantibus. Inoltre non bisogna
sottovalutare l'eventuale presenza del linfogranuloma maligno.
Diagnosi
La diagnosi eziologica viene effettuata tramite:
-
l'isolamento di Brucella;
-
analizzando la risposta anticorpale specifica;
-
identificando gli acidi nucleici del batterio.
Gli esami culturali prevedono:
-
l’emocoltura, effettuata nei momenti di massimo rialzo di febbre;
-
sternomielocoltura, effettuata in ogni momento della malattia anche in fase di febbricola, la
percentuale di positività e più elevata della emocoltura;
-
splenocoltura, abbastanza rischiosa;
-
esame dell'espettorato, soprattutto nelle broncopolmoniti;
-
liquido spermatico, nelle orchiti;
-
liquido cefalorachidiano, nelle meningoencefalite;
-
raccolta ascessuali.
L’emocoltura è positiva nel 75-80% del forme recenti dovute a Brucella militensis, e nel 50% dei casi di
Brucella abortus; raramente è positiva nelle forme croniche. La mielocoltura invece è positiva nelle forme
croniche. La coltura del liquor è positiva in meno del 15% in corso di meningite. Tuttavia la metodica
tradizionale per isolamento di Brucella presenta una serie di limiti:
-
infatti Brucella presenta una crescita lenta e la coltura deve essere prolungata per almeno quattro
settimane;
-
inoltre non bisogna sottovalutare il rischio biologico per gli operatori.
Di conseguenza per isolamento di Brucella si può ricorrere anche a metodi rapidi come a sistemi automatici
di fluorescenza e tecniche di lisi-concentrazione. Queste metodiche determinano una riduzione dei tempi di
isolamento da settimane a giorni. La tecnica di lisi-centrifugazione prevede che, dopo incubazione del
sangue con acqua distillata e sodio citrato, che determina la lisi, si centrifuga e il sentimento viene inoculato
sulle apposite piastre. Il tempo medio di isolamento va da poco più di due giorni nei casi acuti, e circa tre
giorni nei casi cronici.
Per quanto riguarda l'analisi della risposta anticorpale specifica, la diagnosi sierologica può avvenire tramite
la sieroagglutinazione di Wright, con Rosa Bengala, e con tecniche immunoenzimatiche. Per quanto riguarda
la sieroagglutinazione di Wright, ideata nel 1897, questa tecnica mette in evidenza gli anticorpi contro
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Brucella. Il potere agglutinante del siero verso Brucella compare entro la seconda settimana dall'inizio della
malattia. Compaiono dapprima le IgM e successivamente le IgG. I titoli significativi sono quelli maggiori di
1:160. La comparsa del potere agglutinante può essere tardiva, può subire oscillazioni fino alla temporanea
scomparsa nel corso della malattia. In caso di negatività occorre ripetere la prova più volte ed inoltre le
diluizioni del siero vanno spinte fino a titoli elevati, almeno di 1:1000, per la presenza di zone mute,
cosiddetta prozona, a diluizioni inferiori. La sieroagglutinazione di Wright è positiva nel 90-95% dei casi
nelle forme acute e subacute. La positività aumenta se si ricercano gli anticorpi incompleti. Nella fase acuta
si ritrovano soprattutto IgM e successivamente IgG, nelle recidive invece si ritrovano le IgG e le IgA
specifiche ma non le IgM. L'inizio della positività si ha intorno alla seconda settimana di malattia e la durata
della positività persiste per molti mesi dopo la guarigione. Questo test può essere negativo in fase acuta a
bassa diluizione del siero e ciò è dovuto alla presenza di anticorpi incompleti bloccanti, soprattutto IgA ed
IgM, che rappresentano la cosiddetta prozona. In questo caso bisogna ripetere l'agglutinazione a diluizioni
più elevate, come 1:1000, o 1:10.000.
La sieroagglutinazione è una tecnica semplice, rapida e poco costosa. L'antigene utilizzato proviene da
Brucella abortus 119 ed è presente su Brucella abortus, Brucella militensis, e Brucella suis, mentre è assente
su Brucella canis e Brucella bovis che comunque non determinano patologia umana. La positività e data per
titoli superiori a 1:160. Nelle forme acute-subacute il test è positivo nell'80-90% dei casi, mentre per le forme
croniche frequentemente risulta essere negativo. I limiti della sieroagglutinazione sono dati da falsi positivi e
falsi negativi. Falsi positivi possono aversi in:
-
categorie lavorative a rischio come veterinari, macellai, allevatori;
-
pregressa vaccinazione anticolera;
-
infezione da Y. enterocolitica, F. tularensis, E. coli.
Falsi negativi invece possono aversi:
-
in stadio precoce, per quantità insufficiente;
-
a causa della prozona, con diluizione superiore di 1:320;
-
per la presenza di anticorpi bloccanti incompleti.
Inoltre questa metodica non permette di distinguere le diverse classi di anticorpi.
La tecnica del rosa bengala è una tecnica semplice, che prevede l'agglutinazione rapida sul vetrino in mezzo
tamponato acido che utilizza una sospensione di Brucella, inattivate e colorate da Rosa Bengala. È una
tecnica rapida, poco costosa, e rispetto alla Wright presenta una sensibilità e specificità simile, ma maggiore
variabilità.
Infine la tecnica ELISA è semplice, poco costosa, ed è in grado di distinguere le diverse classi anticorpali.
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La diagnosi eziologica prevede anche l'identificazione degli acidi nucleici batterici tramite la PCR. La PCR
determina amplificazione e identificazione dell'acido nucleico di Brucella, a partire dal sangue, liquor,
tessuto e colture. Presenta numerosi vantaggi:
-
tempi rapidi, 24-48 ore;
-
elevata sensibilità ed elevata specificità.
Ma notevoli sono anche i limiti di questa metodica:
-
costi;
-
indaginosità;
-
mancanza di standardizzazione;
-
mancata differenziazione delle diverse specie.
Quindi, concludendo ad oggi i gold standards diagnostici in corso di brucellosi rimangono l'esame colturale e
le indagini standard di agglutinazione. Per il futuro, ulteriori mezzi diagnostici saranno la lisicentrifugazione, che risulta essere più efficace rispetto alla metodica colturale, metodiche sierologiche
innovative, che sono molto promettenti ma da validare; infine la real time PCR che possiede una massima
sensibilità ma il ruolo clinico rimane da chiarire.
Terapia
Per quanto riguarda la terapia questa viene effettuata con:
-
doxiciclina, 200 mg al giorno, più rifampicina, 600-900 mg al giorno, assunti per os per sei
settimane;
-
doxiciclina, alle dosi prima dette, e streptomicina, 1 g al giorno intramuscolo, la prima assunta per
sei settimane, la seconda per tre.
Per i bambini con età inferiore agli otto anni si può utilizzare la combinazione trimetoprim e sulfimtossazolo
per tre settimane più gentamicina nei primi cinque giorni. Il trimetoprim e il sulfimetossazolo possono essere
somministrati da soli o con rifampicina o gentamicina, in donne gravide e in chi non tollera le tetracicline.
Altri antibiotici meno usati per il trattamento della brucellosi sono:
-
Sulfonamidi;
-
cloramfenicolo;
-
ampicillina;
-
aminoglicosidi;
-
farmaci chinolonici, come la ciprofloxacina, che è un'alternativa molto utile.
Gli effetti della terapia si notano immediatamente. La temperatura decresce per lisi, scomparendo dopo 7-8
giorni di cura. I segni clinici regrediscono rapidamente. La splenomegalia regredisce invece più lentamente,
in circa 15-20 giorni. La epatomegalia può essere più persistente mentre l'orchite risponde rapidamente alla
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terapia. L'encefalite, meningite e l'endocardite presentano più problemi per quanto riguarda l'eradicazione
che viene effettuata con un prolungamento della terapia, da due a sette mesi. La leucopenia e la VES si
normalizzano progressivamente.
Le tetracicline non vanno date ai bambini con età inferiore agli 8 anni e alle donne dopo il quarto mese di
gravidanza. La Rifampicina si può associare con la tetraciclina, doxiciclina, trimetoprim e sulfimetossazolo.
Tuttavia il soggetto può andare incontro a recidive Brucellari con:
-
ricomparsa dei sintomi;
-
positivizzazione delle emocolture;
-
il titolo anticorpale può aumentare o non diminuire.
Il meccanismo della recidive risulta essere ignoto e non dipende dalla comparsa di batteri resistenti agli
antibiotici. Bisogna comunque escludere i casi con localizzazione dell’infezione e che richiederebbero
l'opera del chirurgo, come in caso di ascessi. Il sospetto diagnostico di brucellosi avviene in presenza di:
-
febbre, spesso presente da alcune settimane o mesi;
-
sudorazione;
-
artralgie;
-
condizioni generali buone;
-
tipo di professione;
-
alimenti ingeriti;
-
splenomegalia, non imponente, più dura nel tifo e meno dura che nella malaria;
-
leucopenia ed aumento della VES;
-
resistenza della febbre ad antibiotici non idonei;
-
localizzazione d'organo.
Infine la conferma diagnostica avviene con:
-
la sieroagglutinazione di Wright;
-
emocoltura;
-
sternomielocoltura;
-
sfebbramento dopo terapia adeguata.
La profilassi si effettua con: bollitura, pastorizzazione del latte, sorveglianza dei lavoratori a rischio
professionale, identificazione degli animali infetti, ottimo livello igienico nelle stalle, vaccinazione del
bestiame.
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LE ENDOCARDITI INFETTIVE
Le endocarditi infettive sono infezioni setticemiche a focolaio sepsigeno endocardico. Le endocarditi
possono essere classificate in: acute e subacute. Per quanto riguarda i criteri di classificazione, questi si
basano sulla:
-
durata della malattia;
-
pregressa cardiopatia;
-
decorso clinico;
-
agente zoologico.
Eziologia
Per quanto riguarda l’eziologia, la maggior parte delle endocarditi sono dovute ad infezioni di Streptococcus
viridans, Stafilococcus aureus e Stafilococcus epidermidis. Ulteriori agenti patogeni responsabili di
endocarditi sono gli enterococchi, lo Streptococcus pyogenes, gonococco, alcuni batteri gram-negativi come
Escherichia coli, e negli immunocompromessi Candida ed Aspergillus. Bisogna infine sottolineare come in
circa il 34% dei casi di endocarditi, non è possibile riscontrare alcune agente eziologico, risultando così
l’emocoltura negativa. In questo caso la negatività della coltura può essere dovuta a:
-
pregressa terapia antibiotica;
-
presenza di batteri è crescita lenta come Brucella, Listeria, ecc....
L’eziologia delle endocarditi varia a seconda se i microrganismi si impiantino su una valvola nativa o su una
valvola protesica. Inoltre, un altro fattore in grado di influenzare l’eziologia è l'uso o meno di sostanze
stupefacenti iniettabili per e.v.. La maggior parte delle endocarditi su valvola nativa, sia soggetti
tossicodipendenti che normali, è dovuta a Stafilococcus aureus. Nei soggetti non tossicodipendenti circa il
20% delle endocarditi infettive è data da infezioni da streptococchi orali, mentre nei soggetti
tossicodipendenti una certa quota è rappresentata dalle infezioni polimicrobiche. Per quanto riguarda invece
l'endocardite infettiva in soggetti con valvole protesiche, bisogna fare una distinzione in base al tempo
durante il quale si sviluppa l'endocardite. Nei soggetti con endocardite precoce, un circa 20% dei casi, è dato
da infezioni ad opera di Stafilococcus aureus. In circa un 25% dei soggetti che sviluppano endocardite
precoce l’emocoltura risulta essere negativa e in circa il 40 % è data da infezioni ad opera di SCN
(stafilococchi coagulasi negativi). Circa il 20 % delle infezioni tardive è dovuta ad infezione di streptococchi
orali.
Meccanismi patogenetici ed epidemiologia
Per quanto riguarda i meccanismi patogenetici, dobbiamo prendere in considerazione i fattori predisponenti:
-
alterazioni della normale struttura del miocardio, come nella cardiopatia reumatica o nella
cardiopatia aterosclerotica;
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-
interventi cardiochirurgici, che possono recidivare in endocarditi precoci (quando insorge entro i 60
giorni), endocarditi intermedie (dai 2 ai 12 mesi dopo l'intervento), forme tardive (con periodo di
insorgenza superiore ai 12 mesi);
-
soggetti tossicodipendenti, che iniettano la sostanza di abuso per via endovenosa, sono
maggiormente predisposti a tromboflebiti e ad endocarditi soprattutto a livello del cuore destro.
I fattori di rischio dell’endocardite sono:
-
cardiopatia congenita;
-
cardiopatia reumatica;
-
insufficienza mitralica da prolasso o degenerazione senile;
-
stenosi aortica aterosclerotica;
-
tossicodipendenza endovena, con localizzazione in oltre il 50% dei casi a livello della tricuspide, e
gli agenti patogeni rinvenuti sono soprattutto funghi e Pseudomonas aeruginosa;
-
dialisi, soprattutto l'emodialisi rispetto la dialisi peritoneale, in questo caso l'agente eziologico
principale è lo Stafilococcus aureus;
-
diabete mellito;
-
infezioni da HIV in soggetti con conta dei CD4+ inferiore a 200, in questo caso i principali agenti
eziologici sono Bartonella, Salmonella, Listeria.
Tra i fattori di rischio dell'ospite rientrano l'età e il sesso. L'età e il sesso maschile rappresentano fattori
predisponenti. I maschi presentano, infatti, un'incidenza almeno doppia rispetto a quelle delle femmine. I
soggetti di età superiore 65 anni presentano un'incidenza pari a circa nove volte quella dei soggetti con età
inferiore ai 65 anni.
Passiamo adesso ad analizzare lo schema patogenetico. In un primo momento si ha l'immissione in circolo di
microrganismi dalle sedi più varie, dovute ad estrazioni dentali, tonsillectomia, intubazione, ecc.... Così si
determina la batteriemia, con impianto dei batteri sull’endocardio e formazione di un focolaio sepsigeno sui
lembi valvolari o sulle corde tendine, più frequentemente sulla valvola mitralica. Dal focolaio possono
partire emboli settici che vengono immessi in circolo e così si ha la formazione di infarti settici o focolai
metastatici suppurativi. In questo caso si può avere anche la formazione di immunocomplessi, che possono
scatenare glomerulonefrite, fenomeni vasculitici e fenomeni cutanei. Molto importante è il ruolo di pratiche
invasive o manovre strumentali, quali l'utilizzo di cateteri vascolari, endoscopie, manovre urologiche, cure
odontoiatriche, che causano una batteriemia transitoria.
Per quanto riguarda l'epidemiologia dell’endocardite infettiva, l'età media dei pazienti attualmente si aggira
tra i 36 e i 69 anni contro i 30- 40 anni dell’era preantibiotica. L'incidenza annuale media è di 3,6 casi su
100.000 abitanti. L'incidenza aumenta all'aumentare dell'età e i soggetti colpiti con età inferiore cinquant'anni
sono circa 5/100.000, mentre i soggetti con età superiore 65 anni sono circa 15 ogni 100.000 abitanti. Il
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rapporto maschi femmine è di circa 2:1 e la letalità ospedaliera media è di circa il 16%. All'interno di questa
popolazione esistono delle categorie a rischio, cioè dei soggetti con un'incidenza maggiore. Questi sono:
-
tossicodipendenti;
-
soggetti HIV+;
-
soggetti con protesi valvolare.
Anatomia patologica
Passiamo adesso ad esaminare l'aspetto anatomopatologico della vegetazione. Le endocarditi infettive sono
appunto caratterizzate dalla presenza di vegetazione endocardica, di aspetto poliposico. Le dimensioni
variano da un grano di miglio ad una nocciola e le zone con maggiore probabilità di impianto sono
soprattutto sulla valvola mitralica e sulla valvola aortica. Le vegetazioni hanno natura vascolare, e sono
formate da fibrina, piastrine, emazie, batteri e leucociti. La consistenza è friabile. Nello sviluppo della
vegetazione, un ruolo importante è giocato dal sistema immunitario. Siccome l'endotelio valvolare è
scarsamente vascolarizzato, questi rappresenta un ambiente che favorisce la rapida crescita batterica e
protegge il microrganismo dai meccanismi di difesa.
Clinica
Per quanto riguarda la sintomatologia questa è caratterizzata da:
-
fenomeni generali infettivi;
-
fenomeni cardiaci;
-
fenomeni embolici;
-
fenomeni da immunocomplessi.
La sintomatologia infettiva comprende:
-
febbricola, subacuta e insidiosa;
-
febbre elevata brusca, acuta;
-
astenia;
-
pallore.
La sintomatologia cardiaca comprende:
-
la presenza di soffi cardiaci;
-
talvolta scompenso cardiaco, con fibrillazione, splenomegalia.
Le principali complicanze cardiache sono:
-
disfunzione valvolare o delle protesi, con insufficienza valvolare acuta che ne deriva può provocare
un quadro clinico di grave compromissione emodinamica;
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-
insufficienza cardiaca, che si riscontra più frequentemente nelle infezioni della valvola aortica,
gravata da una prognosi non favorevole;
-
infarto al miocardio;
-
ascessi cardiaci, presenti nel 30% delle endocarditi su valvola nativa e nel 50% su valvola protesica.
La sintomatologia embolica, che si riscontra in una percentuale di casi compresa tra il 13 e l'87 % , è dovuta
soprattutto all’organo interessato, con infarto splenico, ictus, nefrite embolica, infarto al miocardio, embolia
polmonare. Caratteristiche sono le manifestazioni cutanee come i noduli di Osler nel 20-25% dei casi. Le
principali complicanze extracardiache sono:
-
Embolie polmonari, con formazioni di ascessi, infarti e pleurite da endocardite su tricuspide o
polmonare;
-
embolie sistemiche, che possono decorrere in modo asintomatico, specie a livello splenico, con le
localizzazioni più gravi a livello cerebrale;
-
aneurismi micotici, che virtualmente possono colpire qualunque vaso ma che tuttavia interessano più
frequentemente i vasi cerebrali;
-
complicanze renali, di cui il quadro più grave è rappresentato dall'insufficienza renale acuta che può
richiedere anche il trattamento dialitico.
Altre manifestazioni emboliche sono: petecchie, nel 20-40% dei casi; emorragie del letto ungueale;
emorragie retiniche nel 5-15% dei casi, il cosiddetto segno di Roth. I fenomeni immunologici più importanti
sono la glomerulonefrite e le artralgie.
Dal punto di vista clinico, i segni semeiologici più importanti sono:
-
soffi cardiaci, che possono essere indice di aggravamento di pregressi vizi cardiaci oppure di nuova
comparsa;
-
petecchie, piccoli spot emorragici spesso al livello delle congiuntive, della mucosa del cavo orale, da
mettere in relazione a fenomeni di microembolizzazione e ad aumentata permeabilità capillare;
-
emorragie cutanee a livello dei polpastrelli delle dita e sul letto in ungueale dovuta
microembolizzazione;
-
macchie di Roth, che si rinvengono a livello retinico e sono macchie rosse con centro chiaro,
derivano da fenomeni emorragici e infiammatori;
-
noduli di Osler, piccoli noduli color porpora, molto dolenti, fugaci, presente al livello dei polpastrelli
delle dita, eminenza tenar, ma anche sulle palme e sulle piante, sono legati a fenomeni
probabilmente di tipo embolico, patognomonici dell'endocardite;
-
chiazze di Janeway, macule eritematose e con centro emorragico, non dolenti a livello di palme delle
mani e piante dei piedi.
Agli esami di laboratorio e possibile riscontrare: anemia nel 70-90% dei casi; trombocitopenia nel 15% dei
casi; leucocitosi modesta; aumento della VES; ematuria nel 30-60% dei casi; proteinuria nel 50% dei casi;
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emonocoltura positiva, quasi sempre, devono effettuarsi tre emocolture nelle prime 24 ore; ecardiografia
transtoracica e transesofagea permettono di visualizzare le vegetazioni.
Per quanto riguarda la classificazione clinica, di endocarditi esistono varie forme, classificabili in base
all’eziologia ed alla prognosi. Una prima forma è data dalle endocarditi su valvola nativa, con Eziologia
abituale e pregressa lesione valvolare in circa 60% dei casi. La localizzazione è al livello del cuore sinistro e
in circa il 40% dei casi si verificano fenomeni embolici. È molto frequente lo scompenso cardiaco e la
mortalità si aggira intorno al 20%.
Nelle endocarditi in tossicodipendenti, l’eziologia è dovuta soprattutto a S. aureus, Enterococcus,
Streptococcus, e Pseudomonas. La localizzazione si verifica soprattutto a livello del cuore destro e i
fenomeni embolici interessano soprattutto i polmoni. Lo scompenso cardiaco è poco frequente e la mortalità
è di circa il 7%.
Per quanto riguarda invece l'endocardite precoce ed intermedia su protesi valvolare, l'epoca ad insorgenza
oscilla tra la quinta e la sesta settimana dopo l'intervento. L’eziologia va ricercata in circa il 50% dei casi
nell'infezione da S. epidermidis. La localizzazione avviene soprattutto a livello del cuore sinistro, con in un
30% dei casi di scompenso cardiaco e in circa il 30% dei casi si hanno fenomeni embolici. La mortalità
oscilla intorno al 15%.
Infine abbiamo l'ultima forma clinica, quella dell'endocardite tardiva su protesi valvolare. In questo caso
l’eziologia è molto varia, riguardando Streptococcus, S. aureus ed enterococchi. In circa il 40% dei casi si ha
scompenso cardiaco e in quasi il 30% fenomeni di embolizzazione. La mortalità si aggira intorno al 18%.
Diagnosi
Per poter correttamente diagnosticare una endocardite, sono stati proposti vari schemi contenenti criteri.
Sicuramente uno dei più famosi criteri diagnostici è quello di Duke, che si basa sul riscontro di:
-
eventi clinici;
-
risultato microbiologico;
-
ecocardiografia.
Secondo lo schema di Duke, la diagnosi può essere effettuata dopo aver riscontrato la presenza di:
-
due criteri maggiori;
-
un criterio maggiore più 3 criteri minori;
-
cinque criteri minori.
Tra i criteri maggiori rientrano:
-
criteri batteriologici, ovvero emocoltura positiva;
-
ecardiografia transtoracica o transesofagea che evidenzia una vegetazione nelle sedi abituali;
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-
criterio clinico, con comparsa di un nuovo soffio cardiaco.
I criteri minori, invece, sono:
-
esistenza di pregressa cardiopatia, protesi valvolare o interventi di cardiochirurgia, oppure
tossicodipendenza;
-
fenomeni vascolari quali emboli o infarti polmonari, emorragia cerebrale, emorragie congiuntivali;
-
fenomeni immunologici come glomerulonefrite, macchie Roth, noduli di Osler;
-
batteriemia non persistente;
-
reperti ecocardiografici compatibili ma non inclusi nei criteri maggiori.
La diagnostica strumentale si avvale dell'ecocardiografia transtoracica e di quella tansesofagea.
L’ecocardiografia transtoracica presenta una sensibilità di circa il 60% nel rilevare le vegetazioni ed è la più
indicata per la diagnosi di endocarditi infettive localizzate a livello del cuore destro (questo perché il cuore
destro è più vicino alla parete toracica). L’ecocardiografia transesofagea ha una sensibilità di circa 95% per
rilevazione delle vegetazioni ed è in grado di rilevare anche ascessi perivalvolari. Il test è preferibile per la
valutazione delle valvole protesiche. Deve essere preso in considerazione nei pazienti con sospetto di
endocardite infettiva anche se vi è stata negatività in corso di ecocardiografia transtoracica.
Prognosi e terapia
Per riguarda la prognosi, in era pre-antibiotica era quasi sempre infausta, invece attualmente la mortalità è di
circa il 20%. La prognosi risulta essere influenzata da una serie di fattori quali: età superiore ai 50 anni;
inizio del trattamento dopo due settimane dall'inizio della febbre; localizzazione al livello della valvola
aortica; eziologia, con massima mortalità per le forme polimicrobiche e fungine; dimensioni delle
vegetazioni, se quest'ultima superiore 1 mm la prognosi è sfavorevole.
Passiamo adesso ad esaminare la terapia. I principi generali per una corretta terapia sono:
-
la terapia antibiotica deve essere tempestiva;
-
la somministrazione avviene per via endovenosa;
-
vengono somministrati antibiotici in grado di penetrare nelle vegetazioni, come le β- lattamine;
-
la terapia deve essere mantenuta per periodi prolungati, più di quattro settimane;
-
vi è la necessità di un monitoraggio dell'attività battericida del siero, con testi di batteriocidia
positivo per 1:8 oppure 1:16.
Di conseguenza lo schema terapeutico varia a seconda dell’agente eziologico. In caso di endocarditi da
Streptococcus viridans, vengono somministrati:
-
penicillina G, 20 milioni di UI al giorno per via endovenosa con streptomicina, 0,5 g per due volte al
giorno intramuscolare oppure gentamicina 240 mg al giorno;
-
ceftriaxone, 2 g endovena ogni 24 ore;
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-
cefotaxime, 2 g endovena ogni 6-8 ore.
In caso di endocardite da enterococcus la terapia è la seguente:
-
penicillina 40 milioni di UI oppure ampicillina 12 g al giorno endovena più gentamicina;
-
in alternativa vancomicina, 2 g endovena al giorno, e teicoplanina, 800 mg endovena al giorno.
In corso di endocardite da S. aureus la terapia è la seguente:
-
oxacillina, 2 g ogni sei ore con gentamicina;
-
in alternativa vancomicina o teicoplanina.
Vancomicina e teicoplanina vengono utilizzati per il trattamento di endocarditi da stafilococchi coagulasi
negativi. In caso di endocardite ad eziologia non conosciuta si procede alla somministrazione di ampicillina,
12 g più gentamicina. La profilassi dell'endocardite infettiva deve essere effettuata se vi sono condizioni
favorenti la batteriemia. Tra queste condizioni si ricordano: manovre strumentali odontoiatriche;
tonsillectomia; chirurgia dell'apparato digerente; broncoscopia; sclerosi delle varici esofagee; chirurgia
vescicale; cistoscopia; chirurgia urinaria e prostatica; incisione e drenaggio dei tessuti infetti; isterectomia.
La profilassi si effettua con somministrazione di ampicillina 3 g un'ora prima dell'intervento, più 1,5 g sei ore
dopo. In caso di allergia possono essere utilizzati eritromicina o clindamicina.
MIOCARDITI E PERTICARDITI INFETTIVE
Per miocardite si intende un processo infettivo che interessa la componente muscolare del cuore, il
miocardio. Le miocarditi infettive possono avere diversa eziologia:
-
virale, ad opera di svariati virus tra cui anche quelli dell'influenza, Cytomegalovirus, Echovirus,
Cocksakie B, EBV;
-
batterica, ad opera della tossina difterica prodotta dal corinebatterio, brucellosi, febbre tifoide,
leptospirosi, rickettsiosi;
-
protozoaria, tra cui toxoplasmosi e leishmaniosi.
Per quanto riguarda la patogenesi, il danno può essere di tipo autoimmune oppure provocato direttamente
dall’agente infettivo.
In clinica distinguiamo due forme:
-
benigne, che rappresentano l'85-90% dei casi;
-
un 10-15% dei casi sfocia nella cardiopatia dilatativa.
La sintomatologia è innanzitutto aspecifica, con febbre e artromialgie, e successivamente si instaura una
sintomatologia cardiaca, con dispnea da sforzo, dolore toracico, scompenso congestizio e aritmie.
La diagnosi si effettua con la radiografia del torace e l’ECG, supportata anche da indagini ecocardiografiche.
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Infezioni che interessano il pericardio prendono il nome di pericarditi infettive. L’eziologia è simile alla
pericardite infettiva. Il pericardio può essere raggiunto dall’agente patogeno sia per via ematogena oppure da
un focolaio vicino. All'esame obiettivo è possibile notare la presenza di sfregamenti pericardici. La diagnosi
si effettua con radiografia del torace ed ECG, nonchè un’indagine ecografica.
Tripanosomiasi americana
La tripanosomiasi americana o malattia di Chagas, è un'infezione dovuta al Trypanosoma cruzi,
generalmente trasmessa all'uomo dalle cimici ematofaghe; nella sua forma cronica, la più grave, si manifesta
con un quadro clinico caratterizzato soprattutto da segni di miocardite.
Per quanto riguarda l’eziologia, il Trypanosoma cruzi è un protozoo e negli ospiti vertebrati si presenta in
due forme: nelle cellule del sistema monociti-macrofagico e nelle fibre muscolari come amastigote non
flagellato, nel sangue come tripomastigote flagellato.
La malattia di Chagas, più spesso contratta durante l'infanzia, viene osservata in tutto il continente
americano. Nei paesi endemici, la prevalenza dell'infezione umana è ancora elevata, benché in progressiva
diminuzione, mentre la malattia clinicamente rilevabile è meno frequente. Per le zone ad alta endemia, la
principale fonte di infezione risulta essere l'uomo ammalato, ma un importante ruolo epidemiologico lo
hanno anche i mammiferi domestici e selvatici. Le cimici ematofaghe vivono nelle fessure delle pareti e
degli infissi e nei tetti, costruiti con materiali vegetali, delle abitazioni rurali. Al momento della puntura,
generalmente notturna, con cui succhiano il sangue, le cimici defecano. Il protozoo presente nelle deiezioni
entra attraverso le soluzioni di continuo cutanee e le mucose. A volte la malattia viene trasmessa per via
placentare, per ingestione di alimenti contaminati da deiezioni delle cimici, tramite trapianti d'organo, per via
sessuale o a causa di infezioni di laboratorio. Una volta entrati nell'organismo, i protozoi assumono la forma
di amastigoti e si moltiplicano nelle cellule del sistema monocitico-macrofagico. Successivamente si
trasforma in tripomastigote che è in grado di passare nel sangue e da qui raggiungono il miocardio, i muscoli
scheletrici e spesso raggiungono anche il sistema nervoso centrale, dove assumono nuovamente l'aspetto di
amastigoli e si moltiplicano ulteriormente. L'interessamento del miocardio è costante, con caratteristiche
lesioni dovute sia all'invasione diretta da parte del parassita, sia ad un meccanismo immunitario. La
degenerazione progressiva del tessuto miocardico determina stati di scompenso cardiaco congestizio, con
gravi disturbi della conduzione. Nella malattia di Chagas cronica dell'apparato digerente, l'esofago e il colon
appaiono dilatati in misura variabile. All'esame istologico si può notare un intenso infiltrato linfocitario con
riduzione del numero dei neuroni nel plesso mioenterico.
Clinica
Clinicamente, si distingue una forma acuta e una forma cronica. La forma acuta insorge dopo un periodo di
incubazione compreso tra 8-14 giorni, compaiono febbre remittente o continua, tumefazioni alle
linfoghiandole diffuse, epatomegalia, splenomegalia. Frequentemente si rilevano tachicardia, ipotensione e
transitorie alterazioni dell'elettrocardiogramma. Alle volte, in questa fase si instaura una meningoencefalite
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fatale. Le infezioni congenite alla nascita possono essere asintomatiche oppure avere un decorso grave, con
aborto, parto prematuro, malattia neonatale. Gli esami di laboratorio mostrano una linfocitosi periferica, con
aumento delle transaminasi e ipergammaglobulinemia. Nella maggior parte dei casi la fase acuta termina con
una guarigione tuttavia, dopo un lungo periodo di latenza di circa 10-20 anni, si evolve verso la forma
cronica. Lo stadio cronico e i sintomi dipendono soprattutto delle lesioni cardiache: disturbi del ritmo,
scompenso cardiaco soprattutto del cuore destro, edema e ascite sempre più grave. Inoltre possono verificarsi
fenomeni tromboembolici. Quando la localizzazione è a carico del tratto gastrointestinale si possono
verificare megaesofago con disfagia e megacolon con stipsi. Nei soggetti che sono andati incontro ad
immunodepressione la parassitosi può riattivarsi dando un quadro acuto molto grave.
Diagnosi, prognosi e terapia
La diagnosi di questa patologia è molto grave. La fase acuta di infezione va differenziata con la malaria, la
leshmaniosi viscerale, la tubercolosi e i linfomi. Invece, la forma cronica deve essere discriminata da tutte le
affezioni che possono provocare cardiomiopatia. Il primo accertamento si basa sull'identificazione del
protozoo nel sangue. Ciò viene fatto utilizzando con ottimi risultati la PCR, per identificare il DNA del
tripanosoma nel sangue periferico. È possibile effettuare anche le prove sierologiche, come la ricerca delle
IgM specifiche, che hanno un ruolo modesto in quanto le metodiche sono poco standardizzate. Nei casi
dubbi possono essere utilizzati sempre terreni liquidi per la coltura. Le infezioni croniche invece vengono
diagnosticate con la ricerca delle IgG.
La prognosi risulta essere relativamente benigna per le forme acute non complicate invece in quelle croniche
la mortalità risulta essere molto elevata. Per quanto riguarda la terapia, le possibilità di successo sono
modeste poiché mancano farmaci attivi sugli amastigoti, che sono localizzati all'interno della cellula.
Durante la fase di parassitemia si utilizza il nifurtimox (che determina un aumento dello stress ossidativo nel
protozoo) alle dosi di
-
negli adulti, 8-10 mg/Kg/die per os in quattro dosi per quattro mesi;
-
negli adolescenti di 11-16 anni, 12,5-15 mg/Kg/die in quattro dosi per tre mesi.
Dati gli effetti tossici, un preparato alternativo è il benzindazolo, che può essere utilizzato sia negli adulti che
nei bambini, alle dosi di 5-7 mg/Kg/die in due dosi per 30-90 giorni. Nello stadio cronico invece la terapia
farmacologica risulta essere inutile. Bisogna prendere in considerazione anche l'eventuale terapia per
controbilanciare il danno cardiaco indotto dall'infezione. La profilassi consiste soprattutto nella lotta agli
insetti vettori e nel risanamento delle precarie abitazioni rurali sudamericane. Non si dispone di vaccini.
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LE INFEZIONI DELLE VIE URINARIE
La nostra discussione sulle infezioni delle vie urinarie prevede di indagare l’eziopatogenesi, epidemiologia,
la clinica e la terapia.
Le infezioni delle vie urinarie, da un punto di vista epidemiologico, interessano il 2-3% della popolazione
mondiale, pari a 150 milioni di casi all'anno. La gestione di queste infezioni è a carico sia del medico di
medicina generale, nella grande maggioranza dei casi, ma anche ad opera di specialisti quali urologi, pediatri
e ginecologi. Tuttavia, questi ultimi vengono consultati in via del tutto occasionale e l'intervento degli
infettivologi è riservato soltanto ad affezioni gravi quali pielonefriti, infezioni ricorrenti o refrattaria. Da un
punto di vista economico, le infezioni delle vie urinarie incidono per lo 0,3% sulla spesa sanitaria globale
annuale.
Classificazione ed epidemiologia
Si definisce infezioni delle vie urinarie come la presenza di batteri nelle urine e localizzazione nell'apparato
urinario di un processo infiammatorio acuto, subacuto o cronico sostenuto da un agente infettivo. Esistono
vari criteri di classificazione di queste infezioni. Un primo criterio le suddivide in base alla localizzazione:
•
infezioni delle basse vie, uretriti e cistiti;
•
infezioni delle alte, vie prostatiti e pielonefriti.
In base al loro andamento temporale vengono suddivise in: acute, croniche e recidivanti. Sul piano clinico
vengono invece suddivise in infezioni complicate e di infezioni non complicate. Molto importante è la
classificazione clinica, che prevede una distinzione in:
•
infezioni isolate;
•
batteriuria non risolta;
•
infezioni recidivanti;
•
reinfezioni.
Da un punto di vista epidemiologico, le infezioni delle vie urinarie o IUV rappresentano la più frequente
localizzazione dopo quella respiratoria, colpendo circa il 2-3% della popolazione mondiale. Circa il 2% delle
visite ambulatoriali annuali è dovuto a questo tipo di infezioni. Le infezioni delle vie urinarie risultano essere
anche un problema pediatrico, in quanto hanno un'incidenza dell'1-3% nei bambini nel primo anno, mentre
invece in età scolare sono colpite soprattutto le bambine con un'incidenza del 2-4% (i maschi hanno
un'incidenza dello 0,05%). In età adulta, circa il 4% delle donne sessualmente attive (i maschi lo 0,5%)
presentano questo tipo di infezione. Quindi, in funzione della distribuzione nella popolazione, le infezioni
delle vie urinarie colpiscono soprattutto il sesso femminile e i maschi oltre i sessant'anni di età. Le IUV si
verificano anche nel 35% delle infezioni nosocomiali e nel 100% dei portatori di catetere vescicale a
permanenza. Una temuta conseguenza di queste infezioni è la pielonefrite cronica, con un'incidenza di un
caso ogni 100.000 soggetti all'anno.
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Per quanto riguarda i fattori predisponenti questi vengono suddivisi in:
•
fattori dismetabolici, quali malattie dismetaboliche, immunodepressione primitiva e secondaria;
•
fattori locali quali alterazioni anatomiche e funzionali delle vie escretrici, litiasi e uropatia ostruttiva,
nefropatia, trapianti renali, patologie infiammatorie genitali, manovre strumentali.
Diversi invece risultano essere i fattori predisponenti nella donna. Durante l'età infantile i fattori
predisponenti sono rappresentati da:
•
rapporti anatomici, per via della brevità tra regione anale e regione genitale;
•
pH vaginale, più basico rispetto alla donna feconda;
•
malformazioni anatomiche;
•
scarsa igiene personale.
Invece, in una donna in età feconda, i fattori predisponenti vanno differenziati se fuori dalla gravidanza o in
gravidanza. Per i fattori predisponenti fuori dalla gravidanza i principali sono:
•
l'attività sessuale;
•
l'eccessiva igiene, ciò in netto contrasto con la scarsa igiene come fattore predisponente dell'età
infantile;
•
contraccettivi;
•
indumenti, alle volte troppo stretti.
In gravidanza, invece, i fattori predisponenti principali sono i rapporti anatomo-funzionale. Sempre nella
donna, nel periodo post-menopausale, i principali fattori predisponenti sono l’involuzione degli organi
genitali e fattori sistemici concomitanti. Nell'uomo invece queste infezioni presentano diversi fattori
predisponenti. Durante l'età infantile i principali fattori predisponenti sono malformazioni e stati dispeptici.
Oltre i sessant'anni il principale fattore predisponente nell'uomo è la patologia prostatica.
Patogenesi
Passiamo adesso ad esaminare la patogenesi. Il microrganismo può raggiungere le vie urinarie per:
-
via ascendente, con passaggio di batteri di origine fecale attraverso l'uretra;
-
reflusso uretro-vescicale, col meccanismo analogo al precedente ed è favorita da una alterata
peristalsi uretrale;
-
via ematogena, poco frequente, secondaria ad altre localizzazioni infettive;
-
via linfatica, con meccanismi simili alla via ematogena.
Le infezioni delle vie urinarie nell'anziano sono dovute soprattutto ad una riduzione del flusso urinario.
Questo fenomeno è dovuto ad alterazioni patologiche dell'apparato uropoietico. Nei soggetti di età superiore
ai 75 anni il flusso ematico renale e ridotto del 50%, la filtrazione glomerulare del 32% e il numero dei
2
glomeruli del 44%. Ciò si traduce in una riduzione del volume urinario prodotto nelle 24 ore. Inoltre bisogna
considerare che, nei soggetti di età superiore ai 65 anni, il 25-30% presenta un'ipertrofia prostatica
clinicamente evidente, rappresentante un ostacolo al normale deflusso dell'urina. I fattori favorenti nel
soggetto anziano per queste infezioni possono essere suddivisi in:
-
fattori favorenti la colonizzazione batterica, quali una ridotta produzione di muco, anche di muco
vaginale, atrofia vaginale, alterazione della microflora dell'ostio vaginale;
-
fattori che riducono il flusso urinario, quali la disidratazione, ridotta funzione renale, ipertrofia
prostatica;
-
fattori che facilitano la contaminazione dell'uretra quali una ridotta igiene personale e l'incontinenza;
-
fattori che facilitano l'ascesa dei microrganismi, quali l'incontinenza e la cateterizzazione vescicale.
Nel soggetto anziano le IUV presentano un particolare decorso. La batteriuria è generalmente asintomatica e
generalmente non viene trattata, inoltre la terapia non previene gli episodi sintomatici, è associata
all’aumento di incidenza di effetti indesiderati e determina l'emergenza di resistenze. In questi casi la
ricorrenza precoce è la regola. Per le infezioni sintomatiche, invece, la terapia deve essere protratta per 7-14
giorni. Le terapie brevi, quelle di tre giorni, non sono efficaci e in caso di localizzazione prostatica la durata
deve essere protratta sino a 6-12 settimane.
Per quanto riguarda le IUV dovute alla presenza di un catetere vescicale, queste presentano una diversa
patogenesi. L’infezione può avere origine per:
-
via periuretrale, con trasporto dei microrganismi in vescica o risalita per via retrograda lungo la
superficie esterna, molto frequente nella donna, meno del maschio, ciò molto probabilmente è
dovuto al fatto che l'uretra maschile è più lunga rispetto quella femminile;
-
via intraluminale, per migrazione per via retrograda lungo la superficie interna del catetere, molto
frequente nell'uomo.
L'inserimento del catetere vescicale è dovuto a svariati motivi: interventi chirurgici in prossimità di strutture
dell'apparato urinario, ipertrofia prostatica che faccia presupporre una ritenzione urinario postchirurgica,
interventi di chirurgia urologica che necessitino d'irrigazione vescicale, incontinenza urinaria. Per quanto
riguarda la durata della cateterizzazione, il catetere può essere:
-
temporaneo;
-
a permanenza.
Nei soggetti portatori di catetere temporaneo, circa un terzo lo porta per meno di una giornata, tuttavia la
durata media di cateterizzazione gira intorno ai quattro giorni. In questi soggetti, circa il 10% di essi è
batteriurico con un rischio elevato di batteriuria sintomatica e il 10-20% dei soggetti non batteriurico rischia
di sviluppare un'infezione. Soggetti portatori di un catetere a permanenza, invece, ogni giorno il rischio di
una IUV aumenta del 5-10% e dopo un mese l’incidenza di batteriuria è del 100%.
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Passiamo ora ad analizzare le modalità di trattamento per le infezioni urinarie da catetere. Le terapie
antibiotiche sistemiche ripetute falliscono nel trattamento delle infezioni associata catetere. Il modo migliore
per prevenire le infezioni associata catetere resta quello di evitarne l'uso quando non sia necessario,
rimuoverlo al più presto quando non se ne abbia più bisogno.
In gravidanza sono diversi i fattori di rischio per lo sviluppo di una IUV:
-
vi è una relativa ostruzione degli ureteri da parte dell'utero;
-
si verifica il rilassamento della muscolatura liscia degli ureteri e dalla vescica ad opera del
progesterone;
-
si ha glicosuria ed amminoaciduria indotta, che facilitano la crescita dei microrganismi nelle urine.
Queste osservazioni sono confermate anche dai dati epidemiologici riguardo le infezioni delle vie urinarie in
gravidanza. La prevalenza globale di questo tipo di infezioni in gravidanza oscilla tra il 4-7%. Nel caso in cui
si ricerchi la batteriuria anche per Ureoplasma e Gardnerella, tale prevalenza può raggiungere il 25%. Il
rischio di acquisire un'infezione delle vie urinarie aumenta nel corso della gravidanza.
Soggetti particolarmente a rischio per lo sviluppo di infezioni delle vie urinarie sono i diabetici. In questi
soggetti i meccanismi patogenetici sono diversi. Innanzitutto vi è una ridotta attività antibatterica dovuta alla
glicosuria, che determina il fenomeno delle sweet urine. Inoltre vi è anche un difetto della funzione dei
neutrofili e, proprio per la presenza di zucchero nelle urine, aumenta l'aderenza dei microrganismi alle cellule
uroepiteliali. Quindi, nei soggetti diabetici, vi è una ridotta attività antiadesiva delle urine.
Clinica
Passiamo adesso ad esaminare la sintomatologia, che differisce in funzione dell'età. Nella prima infanzia, in
soggetti con età inferiore ai due anni, le IUV si manifestano in forma simile settica. Nella seconda infanzia,
in soggetti con età superiore ai due anni, un’infezioni delle vie urinarie può simulare diverse patologie,
dando luogo ad una:
-
forma pseudo-appendicolare;
-
forma pseudo-enterica;
-
forma pseudo-influenzale.
In tutte le età, le infezioni delle vie urinarie determinano:
-
disiuria, ovvero difficoltà alla minzione;
-
pollachiuria, aumento della frequenza delle minzioni;
-
stranguria, ovvero dolore alla minzione;
-
dolore sovrapubico;
-
ematuria, presenza di sangue nelle urine;
-
febbre;
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-
dolore addominale o lombare.
In funzione della sintomatologia è possibile risalire al livello anatomico di infezione. Così infezioni
dell'uretra saranno caratterizzate da disuria, stranguria, mentre invece la localizzazione a livello della vescica
sarà caratterizzata da dolore sovrapubico, così come l'interessamento delle alte vie prevederà soprattutto
febbre e dolore addominale o lombare.
L’infezione della vescica prende il nome di cistite ed è caratterizzata dalla seguente sintomatologia: disuria,
pollachiuria, dolore sovrapubico, febbre, dolori alla loggia renale, piuria. Se si effettua l'urinocoltura questa
sarà positiva.
Quando l’infezione comincia ad interessare le alte vie urinarie, con interessamento della pelvi renale, si avrà
una pielonefrite. Per la pielonefrite distinguiamo una forma acuta e una cronica. La forma acuta è
caratterizzata da:
-
febbre;
-
dolore lombare;
-
brivido;
-
piuria;
-
urinocoltura positiva.
La forma cronica invece è caratterizzata da:
-
Eziologia multifattoriale;
-
sintomi di riacutizzazione;
-
urinocoltura variabile;
-
insufficienza d'organo.
Su 770 episodi acuti di infezioni delle vie urinarie, il rapporto cistite/pielonefrite è risultato di 18:1. Per
quanto riguarda la patogenesi della pielonefrite questa può essere:
-
primaria, tipica della donna, si verifica in assenza di alterazioni strutturali, i batteri progrediscono dal
perineo all'uretra, poi alla vescica ed infine superano la valvola vescico-ureterale per giungere alla
pelvi renale;
-
secondaria, sempre in assenza di alterazioni delle vie urinarie, dovuta a reflusso vescico-ureterale,
calcoli renali, tumori, megauretere, rene policistico, vescica neurogena.
Per quanto riguarda la terapia della pielonefrite, questa deve essere effettuata per 2-3 settimane con:
-
ureidopenicilline;
-
aztreonam;
-
cefalosporine di terza generazione;
-
aminoglicosidi;
5
-
Carbapenemici;
-
fluorochinoloni iniettabili, con possibilità di effettuare terapia sequenziale con ciprofloxacina e
levofloxacina.
Diagnosi
Ritorniamo adesso alle infezioni delle vie urinarie in genere. La diagnosi di queste affezioni viene effettuata
grazie alla presenza di febbre, dolore lombare e aumento degli indici infiammatori. Si verifica un deficit del
potere di concentrazione urinaria e si ha positività del bladder washout di Fairley. Gli esami strumentali
significativi che vengono utilizzati sono l'ecografia è l'urografia. La diagnosi di laboratorio viene effettuata
con l'osservazione delle urine, esaminando caratteri fisico-chimici. Le urine possono apparire:
-
chiare;
-
marezzate, indice di una probabile batteriuria;
-
torbide.
All'interno è possibile rinvenire depositi non patologici come fosfati o urati, mentre patologica è la piuria.
Reperti patologici all'osservazione dell'urina sono:
-
presenza di filamenti, indicanti per una probabile uretrite o prostatite;
-
presenza di depositi che possono essere sabbiosi (cristalli), flocculanti (cristalli, piuria), ematici
(ematuria).
L'esame a fresco con colorazione su centrifugato permette di esaminare:
-
batteriuria, se presenti più di 20 batteri per campo;
-
piuria, con un numero di leucociti per campo superiore a cinque.
L'esame chimico permette di sottolineare la presenza di nitriti e di attività enzimatiche quali la catalasi. Utile
per la diagnosi e l'urinocoltura che si effettua con la semina rapida se il reperto viene conservato a
temperatura ambiente, oppure entro le ventiquattr'ore se refrigerato. Normalmente viene prelevata la seconda
parte del mitto, il cosiddetto mitto intermedio, dopo una pulizia accurata. In alcuni casi l'urina può essere
raccolta tramite cateterizzazione vescicale, oppure per puntura sovrapubica (in questo caso l'urina sarà
sterile, in quanto in vescica normalmente non vi sono batteri), oppure con il bladder washout di Fairley.
L’emocoltura viene richiesta soprattutto per i casi di pielonefrite, nelle quali è positiva per circa il 40% dei
casi.
Per quanto riguarda le modalità di raccolta dei campioni, queste differiscono se ci si trova in Europa o negli
Stati Uniti. In Europa si utilizza la tecnica del midstream o mitto intermedio: si ha la raccolta del secondo
getto di urine, dopo che la prima parte della minzione viene eliminata. Negli USA si utilizza il metodo di
clean catch: si raccoglie l'intera minzione in un recipiente sterile e si attua il trasferimento di una piccola
quota di urine in un recipiente più piccolo. Una volta effettuata la raccolta delle urine, queste vengono inviate
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al laboratorio. Le indagini laboratoristiche sono molteplici e tutte hanno dei tempi ben precisi per la loro
esecuzione e per l’ottenimento di un responso. Al tempo zero, immediatamente subito dopo la raccolta delle
urine, si è in grado di notare la presenza di batteri e/o leucociti nelle urine. In un lasso di tempo compreso tra
le ventiquattr'ore può essere accertata la sterilità delle urine, la carica batterica in caso di batteriuria
quantitativa, ed è possibile avere informazioni sulla specie batterica. In un lasso di tempo compreso tra le 4872 ore è possibile identificare il microrganismo ed avere l'antibiogramma. A seconda dei risultati che si
ottengono il medico dovrà poi interpretarli:
-
se la piuria si aggira intorno ai 10 leucociti per campo, e la batteriuria è inferiore a 103 CFU su ml,
allora in questo caso si parla di contaminazione;
-
se il numero dei leucociti per campo è inferiore a 10 e la batteriuria è compresa tra 103-105, allora si
parla di colonizzazione;
-
se la piuria è superiore a 10 e la batteriuria superiore a 105, è possibile fare la diagnosi di infezione;
-
infine, se la piuria è superiore a 20 leucociti per campo e la batteriuria inferiore a 103 allora
l'infezione è possibile, e deve essere convalidata valutando segni clinici e specie batterica isolata.
Passiamo adesso discutere il concetto di batteriuria. Per batteriuria si intende la presenza di batteri nelle
urine. La batteriuria può essere:
-
asintomatica, segno di infezione attiva soprattutto nei bambini, nelle gravide, e negli uropatici, ma il
rinvenimento di batteri può essere anche dovuto alla contaminazione dell'urina durante il suo
passaggio nell'uretra, di conseguenza bisogna effettuare ulteriori controlli;
-
sintomatica, segno di infezione attiva;
-
significativa, con presenza di più di 100.000 batteri per millilitro nel mitto intermedio;
-
non significativa, con una carica batterica inferiore a 10.000 su 1 ml nel mitto intermedio.
Quindi, in relazione alla presenza o meno di batteriuria, i criteri per indirizzare alla diagnosi sono:
-
infezione sintomatica, con batteriuria superiore a 105 CFU/ml, con piuria e sintomi;
-
infezione asintomatica, con batteriuria maggiore a 105 CFU/ml, piuria, ma assenza di sintomi;
-
batteriuria asintomatica, con più di 105 CFU/ml, ma assenza di piuria e sintomi.
Per quanto riguarda l’eziologia, nel 90% dei casi è implicata la flora microbica intestinale, è possibile un
incremento dei gram positivi e nel 95% dei casi l'infezione è monomicrobica. Pseudomonas, enterococchi e
stafilococchi si rinvengono soprattutto a seguito di manovre strumentali e/o inserimento di catetere.
L'infezione da miceti è dovuta soprattutto a manovre strumentali, presenza di catetere, utilizzo non
appropriato di antibiotici, e in soggetti con diabete.
L’agente eziologico inoltre varia a seconda che si tratti di pazienti ambulatoriali o pazienti ospedalizzati. Nel
paziente ambulatoriale, i principali microrganismi rinvenuti sono:
-
Escherichia coli, 75-85%;
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-
Proteus mirabilis, 5-7%;
-
Klebsiella, 4%;
-
Pseudomonas aeruginosa, 1-4%;
-
Enterobacter, 5-15%;
-
Enterococchi, 1%;
-
Stafilococchi, 2%.
Nel paziente ospedalizzato, invece, l’eziologia risulta essere più varia:
-
Escherichia coli, 30-50%;
-
Proteus mirabilis, 5-10%;
-
Klebsiella, 5-9%;
-
Pseudomonas, 4-8%;
-
Enterobacter, 2-5%;
-
Serratia, 3-5%;
-
Acinetobacter, 2%;
-
Citrobacter, 1-2%;
-
Providencia, 1-2%;
-
Enterococchi, 10-20%;
-
stafilococchi 3-6%.
Terapia
Per una corretta riuscita della terapia bisognerà innanzitutto ridurre la sintomatologia, prevenire le eventuali
complicanze e minimizzare gli effetti collaterali, intendendo tra questi: la non compliance della terapia, la
selezione di batteri resistenti e i costi. Il trattamento delle infezioni delle vie urinarie varia a seconda delle
caratteristiche del paziente. Se questi è un paziente sano, giovane, o una donna sessualmente attiva, per poter
accertare la presenza dell'infezione sarà sufficiente il semplice esame delle urine. Nel 90% dei casi l'agente
patogeno implicato e Escherichia coli, che presenta una sensibilità dell'89% al cotrimossazolo e del 90-100%
ai fluorochinoloni. La durata della terapia è di tre giorni e il follow-up non è necessario se c'è remissione dei
sintomi.
Nel caso in cui si tratti di un paziente con una predisposizione strutturale, disfunzione metabolica, molto
spesso anche anziano, oltre all'esame delle urine sarà necessario effettuare un'urinocoltura. Gli agenti
patogeni maggiormente implicati sono sia gram positivi e gram-negativi, con una sensibilità al
cotrimossazolo del 65% e fluorochinoloni del 90-95%. La terapia deve essere effettuata per un periodo di 714 giorni con fluorochinoloni e per il follow-up bisognerà ripetere le analisi delle urine e l’urinocoltura.
Riguardo alla somministrazione di una terapia antibiotica questa è controindicata nei pazienti con catetere
permanenza. È una scelta opzionale nelle donne ed anziani senza fattori complicanti, tuttavia è consigliabile
nei bambini con reflusso e donne diabetiche. La terapia antibiotica è obbligatoria nei seguenti casi:
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-
in gravidanza;
-
trapianto di rene;
-
prima di interventi chirurgici e manovre endoscopiche sulle vie urinarie;
-
dopo rimozione di un catetere a permanenza.
Il trattamento delle infezioni delle vie urinarie prevede:
-
l’idratazione, che favorisce la diluizione dei microrganismi, ma anche dei farmaci;
-
la somministrazione di analgesici, molto utile nel caso di intensa sintomatologia dolorosa;
-
la terapia antibiotica, che rappresenta il trattamento di elezione.
Nelle infezioni urinarie complicate, la terapia prevede un trattamento protratto per 7-10 giorni, con:
-
cotrimossazolo 160 mg per due volte al dì;
-
Amoxicillina 500 mg per tre volte al dì;
-
norfloxacina 800 mg per due volte al dì;
-
ciprofloxacina 500 mg per due volte dì;
-
levofloxacina bruciano 50 mg per una volta dì.
Sono possibili anche diversi schemi terapeutici:
-
la terapia ultra-breve o monodose, prevede la somministrazione di cotrimossazolo 880 mg,
Amoxicillina 3 g, norfloxacina 1,2 g, ciprofloxacina 1,5 g;
-
la terapia breve, un trattamento di tre giorni con cotrimossazolo 160 mg per due volte al dì,
Amoxicillina 500 mg per tre volte al dì, norfloxacina 400 mg per due volte al dì, ciprofloxacina 500
mg per due volte al dì.
A seguito della terapia, si potranno avere diversi quadri:
-
in caso di inefficacia del primo trattamento, molto probabilmente vi è la persistenza dello stesso
microrganismo;
-
in caso di recidiva dopo il primo trattamento, si ha la ricomparsa dello stesso microrganismo;
-
nella reinfezioni dopo il primo trattamento si può avere la comparsa di un microrganismo diverso e
se il numero di episodi all'anno è inferiore a due dovrà essere effettuato un trattamento antibiotico
protratto, se invece il numero delle infezioni e superiore a due bisognerà effettuare ulteriori
accertamenti strumentali e iniziare anche una terapia profilattica.
La profilassi deve essere effettuata in:
-
donne in età fertile con frequenti reinfezioni;
-
donne in gravidanza con recidive di reinfezioni;
-
pazienti con reflusso vescico-uretrale;
-
uomini con prostatite batterica;
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-
pazienti da sottoporre manovre strumentali.
La terapia profilattica prevede la somministrazione di antibiotici:
-
cotrimossazolo 160 mg al giorno per tre giorni alla settimana;
-
Nitrofurantoina 100 mg al giorno per tre giorni alla settimana;
-
acido nalidixico 1 g al giorno per 10 giorni ogni 20 giorni;
-
norfloxacina 400 mg al giorno per 10 giorni ogni 20 giorni;
INFEZIONE GONOCOCCICA
La gonorrea è un’infezione a trasmissione sessuale causata da Neisseria gonorrhoeae; selettivamente
localizzata nell’uomo eterosessuale all’epitelio uretrale, nell’uomo omosessuale alla mucosa ano-rettale e
nella donna al collo uterino, può estendersi alle strutture linfotrofe e per via sistemica alle articolazioni,
endocardio, meningi, cute.
Neisseria gonorrohoeae è un diplococco gram-negatico a “chicco di caffè”, immobile, non capsulato,
asporigeno, aerobio stretto.
Per quanto riguarda l’epidemiologia, l’incidenza e prevalenza della gonorrea sono correlate a svariati fattori
cui età, sesso, razza, livello socio-economico e culturale. L’unico ospite è l’uomo che può albergare il
gonococco anche in assenza di sintomatologia, e in tal caso diviene un potenziale, pericoloso disseminatore
inconsapevole. La trasmissione, a causa della fragilità del microrganismo nell’ambiente, avviene sempre per
contatto interumano diretto. Importantissima ai fini epidemiologici è la ricerca del partner, solitamente
asintomatico. Al contagio non segue necessariamente l’infezione che dipende dalla carica batterica, virulenza
del ceppo, stato immunitario dell’ospite e composizione della flora residente.
I fattori di virulenza sono molteplici: i pili, esplicano il loro ruolo nell’adesione delle cellule bersaglio,
mentre la porina facilita il processo di endocitosi e il LOS induce perdita delle ciglia e morte delle cellule
non infette. Inoltre sono presenti delle IgA-proteasi. Superata la barriera epiteliale i gonococchi raggiungono
lo spazio sottoepiteliale dove causa un’intensa risposta infiammatoria ricca in neutrofili che poi si riversano
all’esterno con le secrezioni, conferendo loro un tipico aspetto mucopurulento.
Clinica
Il quadro clinico varia a seconda della sede interessata. Nell’uomo eterosessuale si manifesta uretrite
gonococcica: dopo un’incubazione di 2-7 giorni, compaiono disuria, stranguria, arrossamento del meato
uretrale esterno e fuoriuscita di materiale purulento. La faringite gonococcica può colpire chi pratica
cunnilingus. Nell’uomo omosessuale, l’infezione si localizza su uretra, mucosa anorettale e faringe in ugual
frequenza. Nella donna la gonorrea interessa, nell’ordine, collo uterino, uretra, canale anale e faringe. Assai
più comuni sono le complicanze causate da diffusione per contiguità: bartoliniti, endometriti, salpingiti,
malattia infiammatoria pelvica o disseminazione ematogena. Tre volte più frequente nella donna che
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nell’uomo, è caratterizzata da febbre, manifestazioni cutanee polimorfe e artrite settica (l’artrite gonococcia è
la più comune artrite purulenta in età fertile). La donna infetta può contaminare il neonato al momento del
parto. L’infezione neonatale colpisce tipicamente congiuntive, vie respiratorie, canale anale. La congiuntivite
è grave.
Diagnosi e terapia
La diagnosi non è difficile nei casi tipici, soprattutto nell’uomo. L’esame microscopico dopo colorazione
Gram mostra i tipici diplococchi a chicco di caffè in posizione sia intra che extracellulare. L’indagine
microscopica ha elevata sensibilità e specificità. La coltura dei gonococchi costituisce l’accertamento
diagnostico definitivo.
Per la terapia, preparati d’elezione sono cefixima, ceftriaxone e fluorochinoloni.
URETRITI NON GONOCOCCICHE
Sono infezioni a trasmissione sessuale caratterizzate clinicamente da disuria, secrezione e bruciore uretrale,
eritema del meato ed ematuria all’inizio della minzione, per le quali sia stata esclusa l’eziologia gonococcica.
La diagnosi in genere è posta presuntivamente, in basa alla documentata assenza di diplococchi intracellulari
all’esame microscopico del tampone uretrale colorato con Gram.
Gli agenti eziologici principali sono Chlamydia trachomatis (25-50%), Ureaplasma urealyticum (15-40%) e
Mycoplasma genitalium (15-25%).
L’infezione da Chlamydia trachomatis è frequentemente asintomatica (fino al 70% dei casi nella donna e
50% nell’uomo) o provoca una sintomatologia clinicamente silente. Nei casi manifesti causa disuria e
secrezioni biancastre, inodori, di aspetto più mucoso che purulento, assai più scarse e meno cremose che
nell’uretrite gonococcica. Nella donna può determinare cercivite; l’infezione neonatale durante il passaggio
lungo il canale del parto, a volte può causare una congiuntivite con inclusi o un severa polmonite
interstiziale. Può essere causa di parto prematuro o neonato di basso peso alla nascita. Ureaplasma
urealyticum causa uretriti epidemiologicamente e clinicamente in differenziabili da C. trachomatis.
In un primo tempo si pone la diagnosi di uretrite, poi di uretrite non gonococcica e poi di uretrite da C.
trachomatis o U. urealyticum. La sindrome uretrale è rappresentata da disuria, pollachiuria e stranguria con
secrezione uretrale, in assenza di febbre. Quando il quadro clinico non è tipico e la secrezione scarsa allora
sarà utile la conta dei neutrofili nel liquido uretrale ottenuto con spremitura del pene alla base del meato
(manovra da eseguire la mattina al risveglio, prima di urinare): la presenza di più di 5 neutrofili per campo
all’osservazione microscopica con obiettivo ad immersione indica infezione in atto. La diagnosi eziologica è
relativamente complesso.
Il farmaco d’elezione è la doxiciclina (100mg bid per os x 7gg).
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INFEZIONI DA STREPTOCOCCO
Sono malattie infettive sostenute da streptococchi tramite 3 meccanismi:
•
Invasione diretta dei tessuti (forme invasive): piodermiti, ascessi, erisipela, setticemie, tonsillite,
febbre puerperale, polmoniti;
•
Azione delle tossine (forme tossiche): scarlattina;
•
Reazione differita dell’organismo di natura immunologica o meglio immunoallergica (malattie
metastreptococciche): RAA, glomerulonefrite poststreptococcica, eritema nodoso, porpora di S.H.
Gli streptococchi sono cocchi gram + capsulati che possiedono sulla membrana cellulare:
-
proteina M dotata di potere antifagocitario interferisce con l’attivazione del complemento, ha potere
patogeno e determina la formazione di Ab che proteggono dalle reinfezioni dello stesso sierotipo. Gli
streptococchi possono essere suddivisi in base alla proteina M in 80 sierotipi;
-
proteina T è un marker epidemiologico ma non rappresenta un fattore di virulenza;
-
acidi lipoteicoici importanti per l’adesione alle membrane;
-
polisaccaride C: o antigene C di superficie permette di distinguere 18 sierotipi dalla A alla R
(classificazione di Lancefield).
Alcuni streptococchi non tipizzabili per proteina M sono tipizzabili per proteina T.
In base alla capacità di produrre emolisi se incubati in agar-sangue gli streptococchi vengono distinti in:
-
α-emolitici: che producono emolisi incompleta (viridanti); pneumococchi, gruppo B e D commensali
del cavo orofaringeo; possono determinare granulomi ed endocarditi batteriche subacute;
-
β-emolitici: che producono emolisi completa; Pyogenes, Agalactiae, Milleri, enterococchi; sono
commensali del cavo orale;
-
γ-emolitici o anemolitici: che non producono emolisi, gruppo B e D, Streptococcus mutans che
determina carie dentaria e peptostreptococchi anaerobi obbligati, saprofiti del cavo orale che se
vanno incontro a virulentazione determinano infezione dei tessuto necrotici con ascessi che hanno il
caratteristico odore putrido.
Gli streptococchi β-emolitici sono quelli dotati di maggiore potere patogeno. Gli streptococchi patogeni per
l’uomo sono rappresentati da:
-
streptococchi β-emolitici di gruppo A (Pyogenes) hanno il maggiore potere patogeno, sono
responsabili di forme invasive, scarlattina, RAA, glomerulonefrite;
-
streptococchi β-emolitici di gruppo B (Agalactiae) che colonizzano la vagina e sono responsabili di
polmoniti, infezioni neonatali e infezioni vaginali;
-
streptococchi β-emolitici di gruppo C e G: infezioni faringee;
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-
streptococchi β-emolitici di gruppo D (enterococchi o non enterococchi): infezioni urinarie,
setticemie, endocarditi, colangiti;
-
streptococchi β-emolitici di gruppo F (Milleri): meningiti, endocarditi, infezioni suppurative.
Nel primo gruppo, quello degli α-emolitici, rientra Streptococcus pneumoniae.
Un'altra classificazione si basa sulla presenza di antigeni gruppo specifici, presenti sulla parete cellulare.
Questa è la classificazione di Lancefield che prevede la suddivisione della specie in diversi gruppi. Per
quanto riguarda le caratteristiche del genere, questi microrganismi sono cocchi gram-positivi, dal diametro di
0,5-1 micron. Osservati al microscopio ottico tendono a disporsi in coppia o a catenella. Non sono mobili,
sono asporigeni, aerobi e fermentano i carboidrati con produzione acido galattico. La patogenicità di questi
microrganismi è dovuto innanzitutto all'antigene gruppo specifico di natura polisaccaridica e all'antigene
proteico, la proteina M, responsabile della virulenza. In base alla proteina M si distinguono diversi tipi.
Inoltre Streptococcus pyogenes è anche in grado di rilasciare all'esterno una serie di prodotti solubili come la
tossina pirogenica o eritrogenica, responsabile della scarlattina, le streptomicina, streptoialuronidasi,
deossiribonucleasi, le streptochinasi, ecc...
Streptococcus pyogenes può determinare infezione tramite:
-
localizzazione diretta, come nel caso di infezione della cute tessuti molli, tonsillite, otite e sepsi;
-
produzione di tossine, responsabili della scarlattina e dello shock settico;
-
meccanismi immunitari, malattia reumatica e glomerulonefrite, temute sequele non suppurative
dell'infezione.
Di particolare interesse clinico sono le infezioni da Streptococcus β-emolitico di gruppo A (SBEGA) o
Streptococcus pyogenes. Questo microrganismo è responsabile di:
-
tonsillite acuta;
-
scarlattina;
-
impetigine;
-
erisipela;
-
fascite necrotizzante;
-
sindrome da shock settico.
Faringo-tonsillite
Per quanto riguarda la faringo-tonsillite, da un punto di vista epidemiologico è la malattia più frequente negli
Stati Uniti, con 40 milioni di visite mediche all'anno. La massima frequenza dell'infezione si ha nei soggetti
di età compresa tra i 5-15 anni. L'infezione presenta una certa stagionalità, con un picco in inverno e
primavera. La trasmissione del patogeno avviene soprattutto per via aerea. La faringo-tonsillite acuta è
quindi l'infezione più frequente da Streptococcus pyogenes. Colpisce tutte le età, ma con maggiore
prevalenza tra i 5-14 anni. Il periodo di incubazione oscilla tra 1-5 giorni, dopo i quali si manifesta la
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sintomatologia caratterizzata da faringodinia, malessere generalizzato, febbre, talvolta cefalea e nausea.
All'esame obiettivo il soggetto presenta linfoadenopatia cervicale, angina eritematosa, eritema follicolare
(con presenza di essudato bianco giallastro), formazione di pseudo-membrane.
Per quanto riguarda l’eziologia, vi è una differenza a seconda che si tratti di bambini o adulti. Nei bambini i
maggiori responsabili di faringo-tonsillite acuta sono per il 50% di virus e per il 50% Streptococcus
pyogenes. Invece negli adulti, vi è un'elevata presenza di faringo-tonsillite acuta dovuta a virus per circa
l'85%, è soltanto un 15% è dovuta all'infezione da Streptococcus pyogenes.
Colpisce soprattutto tra 5-15 anni. La diffusione avviene per contagio diretto, secrezioni salivari o nasali ed è
favorita da sovraffollamento e mesi invernali. I portatori sani faringei sono 15-20%.
La durata è di 2-4 giorni.
Si possono manifestare in 2 forme:
-
angina eritematosa: intenso arrossamento e congestione del faringe e delle tonsille;
-
angina essudativo-follicolare: presenza di essudato giallo-grigiastro cremoso.
Clinica
La sintomatologia è quella tipica delle faringotonsilliti: inizio brusco con febbre elevata, faringodinia intensa
(angina), disfagia orofaringea, tumefazione dei linfonodi regionali (linfadenite consensuale) in particolare
angolo-mandibolari.
All’EO si nota faringe arrossato (rosso vivo), tonsille aumentate di volume con essudato confluente,
giallobiancastro, cremoso non debordante.
La diagnosi viene fatta tramite tampone nasofaringeo e TAOS-Steptozyme. La malattia è in genere
autolimitante ma può complicarsi con diffusione alle cavità paraorali con sinusite, otite media, mastoidite,
otite suppurativa, ascesso tonsillare o con le malattie metastreptococciche.
Si possono avere anche ascessi tonsillari o paratonsillari che richiedono un drenaggio chirurgico in quanto lo
scolo in basso delle secrezioni purulente potrebbe determinare una diffusione al mediastino con conseguente
mediastinite.
Nei primi 3-4 anni di vita sono più frequenti le forme atipiche con rinorrea e sono più facili le complicanze
suppurative.
Diagnosi e terapia
Poiché la migliore prevenzione di queste complicanze è rappresentata dal trattamento radicale dell’infezione
acuta, è importante che questa venga esattamente diagnosticata e differenziata da altre forma di tonsillite
eritematosa o essudativa (mononucleosi, difterite, adenovirosi).
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Criteri di diagnosi differenziale sono:
-
assenza di rinite e bronchite;
-
linfoadenopatia angolomandibolare (al contrario della linfadenite cervicale diffusa che si ha in corso
di infezione virale, più diffusa);
-
leucocitosi neutrofila (assente nelle forme virali);
-
aumento del TAOS (NB: non durante l’angina ma 15 giorni dopo);
-
tampone faringeo positivo.
La terapia viene fatta con penicillina o macrolidi (profilassi primaria di RAA). La terapia viene fatta non con
penicillina G ma con penicillina ritardo che assicura una copertura di 10 giorni (la penicillina benzatina
assicura una copertura anche per 1 mese). Non vanno utilizzati sulfamidici.
Ulteriori considerazioni
Il paziente affetto da faringo-tonsillite tende a rivolgersi al medico di medicina generale, il quale effettua
l'anamnesi ed analizza i segni e sintomi. A questo punto, bisogna discriminare se l’eziologia è di tipo
batterica o virale. Nel caso in cui siano presenti tosse, rinite, starnuti, cefalea e febbre al 25-55% dei casi
l’eziologia è di tipo virale, e di conseguenza verrà effettuata una terapia sintomatica. Tuttavia in alcuni casi
non si è in grado di conoscere effettivamente l'agente eziologico, di conseguenza vengono utilizzati dei
criteri: i criteri di Breeze e i criteri di Moffet. I criteri di Breeze sono criteri diagnostici e a segni e sintomi è
stato assegnato un intervallo di punti, più alto quanto più alta è la sintomatologia. Dalla somma si otterrà alla
fine un punteggio finale, quando questo punteggio è uguale a 30 questo test ha una predittività nel
identificare l’agente eziologico pari al 68%. Tra i segni e i sintomi che vengono valutati vi sono soprattutto la
temperatura superiore ai 38 °C, la faringodinia e la cefalea. Altri criteri meno importanti sono la tosse, la
presenza o meno di essudato faringeo, il mese di comparsa, l'età del paziente.
Ritornando alle faringo-tonsilliti di origine virale, i virus principalmente coinvolti sono:
-
adenovirus;
-
Rhinovirus;
-
Influenza virus;
-
parainfluivirus;
-
herpes virus.
La terapia per la faringo-tonsillite virale prevede soprattutto una terapia di tipo sintomatica, con l'utilizzo di
FANS per ridurre la risposta infiammatoria dell'organismo, antipiretici per abbassare la febbre, riposo.
Se, utilizzando i criteri nominati precedentemente, si ha il sospetto di una eziologia batterica, a questo punto
si ricorre alla diagnosi batteriologica. La diagnosi batteriologica può essere effettuata con l'esame colturale
del tampone faringeo e il test rapido. Il test rapido presenta una sensibilità del 90%. All'esame colturale
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potranno essere isolati in un 15-50% dei casi lo SBEGA, nei casi rimanenti altri tipi di batteri. I batteri
maggiormente coinvolti nella faringo-tonsillite acuta sono:
-
SBEGA, in circa il 95% dei casi;
-
altri streptococchi;
-
mycoplasma pneumoniae;
-
Chlamydia pneumoniae.
È ovvio che l'età risulta essere un fattore molto importante per poter correttamente individuare l’eziologia. Si
è detto che nei bambini circa il 50% è a carico di batteri e il rimanente 50% a carico di virus. Sottolineano
ancora una volta come negli adulti l’eziologia di tale patologia sia soprattutto di tipo virale. Nel caso di un
sospetto di una faringo-tonsillite batterica può essere effettuato direttamente il test rapido per lo
Streptococcus pyogenes. Se l'esito di tale test risultasse positivo, si procederà direttamente all'inizio della
terapia effettuata con una β-lattamico per 10 giorni oppure una cefalosporine di II e III generazione, per
cinque giorni. Nel caso in cui invece il test risulta essere negativo si passa ad effettuare il tampone faringeo.
In caso di negatività al tampone faringeo non dovrà essere data alcuna terapia, se invece risulterà essere
positivo bisognerà iniziare la terapia suddetta.
Affinché venga effettuata una corretta diagnosi, l'isolamento di Stafilococcus aureus, streptococchi viridanti
ed altri batteri residenti non deve essere segnalato nel referto dell'esame batteriologico. L'esame colturale e
positivo nel 15% negli adulti e nel 50% nei bambini. A tutt'oggi, non è mai stato segnalato l'isolamento di
Streptococcus pyogenes resistente alla penicillina.
Ritornando allo schema diagnostico, se la faringo-tonsillite acuta è data da batteri diversi non bisognerà fare
alcuna terapia. Se invece all'esame colturale è stata rilevata la presenza di Streptococcus pyogenes, allora
dovrà essere effettuato anche l'antibiogramma e successivamente iniziata la terapia.
La terapia prevede vie di somministrazione sia iniettiva che orale. Tuttavia, quella per os è la più utilizzata,
in quanto ha una compliance migliore. Gli schemi terapeutici sono due:
-
una terapia di cinque giorni con cefalosporine, Amoxicillina e acido clavulanico, o nuovi macrolidi,
e ha una buona compliance;
-
una terapia di 10 giorni, penicillina V, Amoxicillina o eritromicina.
Con l’attuazione di una terapia si può avere o una risoluzione clinica ma non batteriologica, o una
risoluzione sia clinica che batteriologica oppure nessun risoluzione, e ciò può determinare complicanze. La
terapia si attua al fine di:
-
ottenere una più rapida risoluzione dei sintomi;
-
prevenire le complicanze;
-
ridurre la diffusione dello Streptococcus pyogenes;
-
ottenere una precoce riamissione in comunità.
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Per quanto riguarda la terapia iniettiva, questa prevede l'utilizzo di:
-
penicillina G benzatina, in singola dose;
-
cefalosporine di II e III generazione;
-
penicilline ad ampio spettro.
La terapia orale invece prevede anche l'utilizzo dei macrolidi e si è visto come l'utilizzo indiscriminato di
questi antibiotici ha portato all'insorgenza di resistenze, con un tasso di circa il 43%. Molto importante per il
successo della terapia e la compliance e questa tende a ridursi con l'aumento delle somministrazioni e con
l'aumento della durata della terapia. Di conseguenza compliance maggiori avranno terapie brevi e monodose.
Le complicanze della faringo-tonsillite batterica vengono distinte in suppurativa e non suppurativa. Tra
quelle suppurative ricordiamo soprattutto otiti, ascesso peritonsillare, ascesso retrofaringeo, bronchiti, ecc....
Tra le complicanze non suppurative ricordiamo soprattutto la malattia reumatica e la glomerulonefrite
poststreptococcica.
Circa il 10% della popolazione pediatrica è portatrice sana di Streptococcus pyogenes e resta tale anche dopo
la terapia antibatterica. In questa caso si verifica la risoluzione clinica ma non batteriologica. Ma può anche
verificarsi che una faringite acuta virale si confonda con una di tipo batterica, in quanto il paziente è un
portatore. Molto importante è il concetto che una percentuale abbastanza rilevante di soggetti in età
pediatrica risulta essere portatore di Streptococcus pyogenes.
Dermatosi piogeniche o piodermiti (forme cutanee)
Sono lesioni cutanee causate da ceppi nefritogeni. Sono rappresentate da:
-
forme dermico-epidermiche (impetigine contagiosa) colpisce bambini tra i 2-5 anni. Per quanto
riguarda l'impetigine, ne esistono di due forme:
-
l'impetigine contagiosa che è causata da Streptococcus pyogenes;
-
l’impetigene bollosa, che è dovuta a Stafilococcus aureus.
La diffusione avviene per contagio diretto, contaminazione ambientale o attraverso vettori ed è
favorita dal clima umido. Si può avere inoculazione intradermica tramite abrasioni, traumi minori o
punture di insetti. È una eruzione papulosa circoscritta che evolve in vescicola pustola e squamocrosta gialliccia mielicerica (lo Streptococco è isolabile al di sotto della crosta) che determina prurito
e bruciore ma non dolore. La lesione guarisce in alcuni giorni lasciando spesso una macchia
pigmentaria transitoria. La localizzazione è per lo più nelle zone scoperte ed in particolare al volto ed
alle mani. Se l’infezione si approfonda nel derma si verifica necrosi (echtyma). L’impetigine può
comparire anche su altre affezioni cutanee in particolare lesioni tramutatiche superficiali, dermopatie
eczematose, herpes, ustioni ed in questo caso si parla di impetiginizzazione. Il TAOS è basso, al
contrario che nella faringo-tonsillite. Si può avere come complicanza la glomerulonefrite ma non la
RAA;
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-
forme dermiche (erisipela): è una infezione suppurativa del derma profondo e dell’ipoderma,
caratterizzata da febbre, sintomi sistemici e leucocitosi. Il contagio può essere autogeno (portatori
sani a livello del naso e delle tonsille) o esogeno. Colpisce soprattutto bambini e adulti con età
compresa tra 20-50 anni. L’impianto è favorito da traumatismi come ferite vaccinazioni, innesto di
orecchini e piercing. L’inizio è brusco con febbre con brivido, antro 24 ore si forma una placca
rilevata eritemato-edematosa di colorito rosso vivo, lucente a superficie liscia a buccia d’arancio, a
margini netti e rilevati che tende a diffondersi spesso con un apprezzabile margine sollevato (segno
dello scalino: alla palpazione si avverte come uno scalino tra la zona di cute colpita e quella sana).
La lesione è accompagnata da bruciore e dolore. La zona centrale tende a diventare più chiara mano
man mano che la lesione si estende in periferia. La tumefazione è particolarmente evidente nelle
zone ricche di tessuto connettivo come ad esempio i genitali, viso, padiglione auricolare. È presente
linfangite con linfoadenopatia consensuale. La guarigione avviene tramite desquamazione entro 10
giorni in assenza di terapia ma tende a recidivare. Può complicarsi con glomerulonefrite ma non
RAA. La terapia si basa su penicillina G e in caso di allergia macrolidi. La fascite necrotizzante è
una complicazione dell’erisipela in pazienti immunodepressi o diabetici. Il quadro è drammatico ed
inizia con febbre elevata e setticemia, la cute diventa violacea e le bolle evolvono in escare. L’unico
trattamento è quello chirurgico;
-
forme ipodermiche (ascesso, flemmone): È un processo suppurativo del derma profondo e
dell’ipoderma che si manifesta soprattutto negli arti inferiori ed in particolare in pazienti diabetici. Il
pus che si produce in queste lesioni è molto fluido, per la produzione da parte dello streptococco di
vari enzimi litici, che favoriscono la sua invasività diretta. Compare una placca eritematosa e
infiltrata, calda e dolente, con linfangite e linfadenite satellite. Segue poi l’ascessualizzazione della
placca ed il suo svuotamento (spontaneo o chirurgico). La terapia è antibiotica soprattutto nella fase
iniziale, dopo l’ascessualizzazione è necessaria l’incisione chirurgica.
Streptococcus pyogenes può anche essere responsabile di infezioni necrotizzanti, che sono meno frequenti
delle infezioni superficiali. Le infezioni necrotizzanti interessano la fascia muscolare e, in alcuni casi anche il
tessuto muscolare. La diagnosi è clinica e spesso il decorso è grave. Questo tipo di infezioni necessitano in
genere di soluzioni chirurgiche e la terapia antibiotica viene effettuata per via sistemica. Data la gravità della
situazione, molto frequenti sono le complicanze settiche. Le infezioni necrotizzanti possono essere dovute a
Clostridi oppure ad altri tipi di batteri. Tra le infezioni necrotizzanti si ricorda la fascite necrotizzante, che è
la più grave delle infezioni della cute e sottocute provocata da Streptococcus pyogenes. L'evoluzione della
malattia è molto rapida con veloce estensione e necrosi. L'infezione coinvolge l'epidermide, la fascia, il
grasso sottocutaneo e talvolta anche il muscolo. Da un punto di vista eziologico distinguiamo due forme:
-
il tipo uno, polimicrobica, comprendente soprattutto gli anaerobi;
-
il tipo due, dovuta ad infezioni di Streptococcus pyogenes produttori di tossina pirogenica o SPE.
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La sintomatologia della patologia prevede dapprima un dolore intenso e segue poi anestesia, dovuta alla
necrosi dei tessuti. La cute appare eritematosa, calda, tumefatta, con aree di lesione senza demarcazione con
la cute normale e senza linfangite. Compaiono delle chiazze grigie-bluastre o violacee con bolle a contenuto
marrone. A questo punto si verifica la gangrena con mionecrosi e il quadro clinico del soggetto prevede
febbre elevata, stato tossico e shock. La terapia è prettamente una terapia medico-chirurgica. La fascite
necrotizzante può essere dovuta anche ad altri batteri:
-
la gangrena streptococcica è data da Streptococcus pyogenes;
-
la gangrena di Fournier è dovuta soprattutto a un misto di batteri aerobi ed anaerobi;
-
la gangrena gassosa invece è dovuta soprattutto all'infezione di Clostridium perfringens.
Vi sono delle notevoli differenze tra le infezioni necrotizzanti dovute a Clostridium ed altre non dovute a
Clostridium. In quella dovuta a Clostridium, l'eritema in genere è assente, con una lieve tumefazione ed
edema. I leucociti in genere sono assenti nelle essudato e si rinvengono anche bacilli gram-positivi. I
principali segni sono ipoestesia, bolle, gas, gangrena, crepitio e necrosi muscolare. Le infezioni non da
Clostridium sono caratterizzate da presenza di eritema, con moderata tumefazione ed edema, essudato ricco
di leucociti con una flora mista batterica. I principali segni sono ipoestesia, ecchimosi, bolle, gangrena e
crepitio.
Scarlattina
La scarlattina è una tossinfezione secondaria a localizzazione faringo-tonsillare di Streptococcus pyogenes.
La scarlattina è dovuta all'infezione di Streptococcus pyogenes produttore di tossina pirogena o SPAA. Il
quadro clinico è caratterizzato da tonsillite eritemato-follicolare più esantema. L’Età colpita è compresa tra i
3-10 anni. Il periodo di incubazione oscilla tra 2-5 giorni.
La sintomatologia prevede un inizio brusco, con febbre elevata, malessere generalizzato, cefalea, disfagia
dolorosa, faringodinia. All'esame obiettivo saranno presenti ipertrofia ed iperemia delle tonsille e
linfoadenopatia latero-cervicale. Dopo 12-36 ore si manifesta l'esantema che ha una particolare distribuzione,
con localizzazione dapprima agli arti, successivamente il tronco e il volto. L'esantema non colpisce il naso, il
mento e la regione circumorale. Questa facies caratteristica prende il nome di maschera di Fitatov. Gli
elementi maculo-papulosi sono molto piccoli, leggermente rilevati, molto ravvicinati e rosso scuri. In clinica
è possibile notare alcuni segni caratteristici come:
-
il segno della mano gialla;
-
il segno di Borsieri o dermografismo bianco;
-
il segno di Pastia, ovvero strie emorragiche alle pieghe cutanee;
-
il segno di Leede, con la prova del laccio che tende ad evidenziare la fragilità vasale;
-
il fenomeno dell'estinzione di Charlton-schultz, con somministrazione di antitossina o siero di
paziente convalescente, che determina in poche ore la scomparsa locale dell’esantema;
-
lingua a fragola prima, che successivamente diventa lingua a lampone.
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Per quanto riguarda l'evoluzione, la febbre e l'esantema regrediscono con desquamazione furfuracea. Le
complicanze della scarlattina sono:
-
diffusione di Streptococcus, con otiti, mastoiditi, sepsi;
-
la formazione di tossine che possono provocare miocardite e nefrite;
-
complicanze tardive come la malattia reumatica e la glomerulonefrite acuta.
Gli esami di laboratorio prevedono una leucocitosi con neutrofilia, un aumento sia della VES che della TAS,
e positività del tampone faringeo per Streptococcus pyogenes.
Ovviamente, la diagnosi differenziale della scarlattina deve essere effettuata con le altre malattie
esantematiche, tipiche dell'infanzia, quali il morbillo e la rosolia. Nella scarlattina l'esantema compare a
partire dal secondo giorno, nel morbillo tra il quarto e il quinto, mentre nella rosolia al primo giorno. Le
prime zone ad essere interessate dall'esantema nella scarlattina sono le radici degli arti, nel morbillo e nella
rosolia il volto. Nella scarlattina il colorito dell’esantema è di un rosso acceso, nel morbillo rosso e nella
rosolia roseo. Molto importante è anche la caratteristica conformazione della cute tra i singoli elementi. Nella
scarlattina è eritematosa mentre nel morbillo e nella rosolia integra. Oltre a ciò vi sono delle manifestazioni
associate: nella scarlattina si ha angina, nel morbillo mucosite, nella rosolia adenopatie occipitali. Tra i segni
tipici della scarlattina ricordiamo la maschera di Fitatov e nel morbillo le piccole macule bianco-grigiastre
con margini arrossati, che assomigliano a una spruzzatura di calce, detto anche segno di Köplik. Inoltre,
molto importante, è anche il quadro ematico che prevede nella scarlattina una leucocitosi con neutrofilia, nel
morbillo una leucopenia, nella rosolia una plasmocitosi.
MALATTIE METASTREPTOCOCCICHE
Sono rappresentate da 2 malattie mutuamente esclusive cioè che sono determinate da diversi ceppi di batteri:
-
Malattia reumatica: causata da ceppi reumatogeni positivi per la proteina M che danno
faringotonsillite (ma non piodermite), è rara prima dei 5 anni e ha un massimo di incidenza tra 5-15
anni;
-
Glomerulonefrite post-streptococcica che è causata da ceppi nefritogeni negativi per la proteina M
che determinano piodermiti, colpisce spesso prima dei 5 anni.
Altre streptococcie a patogenesi immunologica sono l’eritema nodoso (aspecifico) e la porpora di S. H che
può anche essere determinata da farmaci.
Malattia reumatica
Viene anche definita febbre reumatica o reumatismo articolare acuto. È una malattia infiammatoria sistemica
ad andamento acuto o subacuto recidivante che coinvolge il cuore, le articolazioni, la cute ed il SNC (gangli
della base) e si manifesta quindi clinicamente con poliartrite, pancardite, corea e manifestazioni cutanee.
Rappresenta una sequela tardiva, che insorge nel 2-3% dei pazienti, di una infezione delle alte vie aeree (in
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genere una faringite) sostenuta dallo Streptococco β−emolitico di gruppo A.
L’infezione insorge dopo un periodo di latenza di 2-3 settimane (necessario per montare la risposta immune)
da angina streptococcica che in 1/3 dei casi decorre asintomatica. La probabilità dell’insorgenza è correlata
alla durata ed alla gravità della faringite.
L’incidenza della malattia reumatica ha subito una progressiva riduzione con il miglioramento delle
condizioni di vita, il miglior controllo terapeutico delle infezioni streptococciche, la riduzione della virulenza
dei ceppi e la diagnosi precoce.
L’infezione è responsabile non solo della malattia reumatica ma anche delle singole recidive cioè le recidive
sono dovute ad una reinfezione da parte dello Streptococco β−emolitico di gruppo A.
La prima infezione in genere ha un picco di incidenza tra i 5-15 anni ed è rara prima dei 20 anni, recidive si
possono avere anche in età più avanzata.
L’incidenza del primo episodio dopo angina streptococcica si ha nello 0.3-3% dei casi mentre l’incidenza di
recidive in seguito a reinfezione è maggiore al 50%.
Eziopatogenesi
La malattia non è invasiva, infatti le lesioni tissutali sono sterili e l’emocoltura è negativa. La patogenesi è di
tipo immunologico determinata dalla cross-reazione tra gli anticorpi contro gli antigeni streptococcici ed Ag
self:
-
gli Ag della proteina M cross-reagiscono con il sarcolemma del muscolo cardiaco e scheletrico;
-
polisaccaride C cross-reagisce con le glicoproteine delle valvole cardiache;
-
proteine della capsula con sinovia articolare;
-
membrana cellulare con neuroni del nucleo caudato e subtalamico.
Il processo infiammatorio colpisce fibroblasti valvolari, neuroni, miofibrille del muscolo liscio e componenti
connettivali. Gioca un ruolo fondamentale la predisposizione genetica.
Le lesioni si verificano a carico del tessuto connettivo di molteplici organi. Le lesioni anatomo-patologiche
fondamentali sono i noduli (o corpi) di Aschoff, che si trovano prevalentemente nel miocardio a livello del
connettivo interstiziale, in sede perivasale. L’evoluzione è nella sclerosi e cicatrice in sede perivasale.
Le lesioni cardiache determinano la cosiddetta cardiopatia reumatica. I noduli di Aschoff possono essere
presenti anche nel pericardio e nell’endocardio determinando un completo coinvolgimento del cuore
(pancardite reumatica):
-
miocardite;
-
pericardite fibrinosa o sierofibrinosa.
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I noduli di Aschoff si trovano nel tessuto sottosieroso. Si possono formare aderenze tra epicardio parietale e
viscerale e si può avere evoluzione in pericardite costrittiva.
Endocardite verrucosa
Si formano a livello dell’endocardio delle verruche costituite macroscopicamente da escrescenze
corpuscolari distribuite soprattutto a livello valvolare in corrispondenza del margine di chiusura della valvola
in un’unica filiera detta a corona di rosario.
Le verruche tendono a formarsi sul margine di chiusura poichè questo è più soggetto a traumatismo sia per i
fenomeni di apertura e di chiusura che per la forte pressione sanguigna e quindi presenta più facilmente
lesioni di disepitelizzazione su cui possono impiantarsi le verruche.
Per questo motivo le valvole sono più colpite dal lato che vede il flusso: la faccia atriale per la valvola
mitralica e quella ventricolare per la valvola aortica. Microscopicamente la verruca è formata da un trombo
di fibrina e piastrine, le lesioni di disepitelizzazione dell’endocardio infatti determinano trombosi.
Le verruche dell’endocardite reumatica sono formate in superficie da trombi e nello spessore dell’endocardio
dai noduli di Aschoff.
In fase acuta si ha dilatazione ed insufficienza valvolare. Dal cercine iniziano a proliferare vasi, la valvola si
vascolarizza e si ha organizzazione del trombo che diventa aderente (dando luogo alla verruca) e non da
emboli.
La vascolarizzazione della valvola facilita l’impianto di una endocardite batterica. La scoperta di un
microvaso sull’endotelio valvolare è indice di una pregressa endocardite reumatica poichè la valvola non è
normalmente vascolarizzata e riceve nutrimento direttamente dal flusso con cui è in contatto.
Le verruche tendono a guarire per fibrosi determinando vizi valvolari semplici, doppi o combinati. Nel 75%
dei casi si verifica interessamento esclusivo della valvola mitrale mentre nel 25% dei casi si ha
interessamento sia della mitrale che dell’aortica.
Le alterazioni valvolari fondamentali sono costituite dall’ispessimento dei lembi, dalla fusione e
dall’accorciamento delle commissure e dall’ispessimento e fusione delle sorde tendinee.
La presenza di tessuto fibroso e di calcificazioni tra le commissure valvolari da origine all’immagine di
stenosi a bocca di pesce.
Si può avere calcificazione della valvola aortica.
L’endocardite reumatica non colpisce sono le valvole ma può colpire anche l’endocardio parietale e cordale
(endocardite valvolare, parietale e cordale).
Clinica
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La malattia esordisce dopo alcune settimane dall’infezione streptococcica con il tipico quadro tossinfettivo:
febbre elevata, malessere, sudorazione, cefalea, dolori addominali, vomito etc.
Sono inoltre presenti manifestazioni specifiche:
-
artrite 75%;
-
Cardite 40-50%;
-
Corea 15%;
-
Noduli sottocutanei <10%;
-
Eritema marginato <10%.
L’artrite è una forma poliarticolare acuta ad andamento migrante, prevalentemente a carico delle grandi
articolazioni che si manifesta con artralgia, tumefazione, arrossamento ed estrema dolorabilità.
Le articolazioni vengono colpite in successione e quindi guariscono spontaneamente senza alterazioni
funzionali residue (restitutio ad integrum).
In genere una articolazione viene colpita una sola volta.
L’endocardite si manifesta come insufficienza mitralica isolata (soffio sistolico di punta) o associata ad
insufficienza aortica.
La miocardite determina ritmo di galoppo, tachicardia sproporzionata alla febbre (dissociazione del polso) e
alterazioni elettrocardiografiche della conduzione e del ritmo (extrasistoli, blocco atrioventricolare, blocco di
branca soprattutto dx) per interessamento del tessuto di conduzione da parte dei noduli. Un’aritmia frequente
è la fibrillazione atriale che predispone all’insorgenza di trombosi atriale con possibilità di embolizzazione
sistemica.
Sono presenti inoltre toni parafonici (segno di sofferenza cardiaca) e soffi da rigurgito causati dalla
dilatazione cardiaca.
La pericardite si manifesta con dolore precordiale, versamenti (incremento dell’aia di ottusità cardiaca) e
sfregamenti pericardici, all’ECG inversione dell’onda T e sopraslivellamento del tratto ST.
L’interessamento del SNC determina la corea minor che è una sindrome neurologica che si manifesta
tardivamente fino a 6 mesi di distanza, la diagnosi infatti è difficile per la correlazione alla precedente
infezione streptococcica.
È caratterizzata da movimenti involontari afinalistici, improvvisi, rapidi, che non diminuiscono con il riposo,
scompaiono con il sonno e si accentuano con gli atti volontari. È presente anche labilità emotiva, debolezza
muscolare e tics.
Le manifestazioni cutanee sono rappresentate dai noduli sottocutanei e dall’eritema marginato. I noduli
sottocutanei sono noduli di 0.1-1 cm, duri, non dolenti, ricoperti da cute mobile non infiammata, localizzati
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in corrispondenza dei tendini o sulla superficie estensoria delle prominenze ossee o su ossa piatte del cranio
(noduli di Meynet). Sono formati da noduli di Aschoff giganti. L’eritema marginato è costituito da macule o
papule eritematose asintomatiche, fugaci e migranti, che presentano un centro chiaro e margini irregolari
(alone giallastro a carta geografica) tendono a confluire in forme di aspetto serpiginoso. L’eritema cioè tende
a scomparire al centro e a fondersi in periferia con aspetto a carta geografica.
Il decorso è regressivo nel corso di settimane o mesi (2-3 mesi nel caso della cardite). Dopo la prima
manifestazione, la vulnerabilità dell’organismo alla riattivazione aumenta e si verificano infezioni
streptococciche ricorrenti con sintomatologia clinica analoga e manifestazioni più gravi e più diffuse. Si può
avere inoltre l’interessamento delle altre sierose: pleura e peritoneo.
Diagnosi
La diagnosi si basa sul riscontro di criteri maggiori e minori oltre che sull’evidenza clinica di una infezione
streptococcica. La diagnosi richiede 2 criteri maggiori o 1maggiore più 2 minori.
Per la diagnosi è inoltre necessaria anche la dimostrazione di recente infezione Streptococcica: positività di
TAOS o Streptozyme, positività alla coltura su tampone o evidenza di scarlattina.
È importante la diagnosi differenziale con artrite reumatoide, porpora di S.H., reumatismo focale e malattia
da siero.
Le indagini di laboratorio evidenziano positività di TAOS e Streptozyme, leucocitosi neutrofila, incremento
dei VES e proteine di fase acuta.
Terapia
Normalmente il decorso della malattia è verso la regressione spontanea in alcune settimane ma c’è una
elevata tendenza alla recidiva.
È importante l’eradicazione dell’infezione e la profilassi delle recidive (profilassi secondaria) tramite
penicillina benzatina 1.200.000 UI/mese i.m. ogni 28 giorni per 10 anni (in presenza di cardite per tutta la
vita). La recidiva è sempre conseguenza di una reinfezione dello streptococco perciò è fondamentale la
prevenzione secondaria.
La terapia della malattia reumatica si basa sull’acido acetilsalicinico (100-120 mg/kg/die in 4-6
somministrazioni, salicilemia 25-35 mg%) e prednisone 1mg/Kg/die in caso di caridite. La durata della
terapia dipende dalla normalizzazione degli indici aspecifici di malattia, in genere per le forme lievi è di 1
mese mentre per le forme gravi di 2 mesi.
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STAFILOCOCCIE
Sono malattie causate da infezione diretta da parte degli Stafilococchi o da ingestione delle loro tossine.
Comprendono:
-
infezioni a carico di cute, annessi cutanei e mucose;
-
infezioni degli organi interni e generalizzate;
-
malattie a patogenesi tossinica.
Gli Stafilococchi sono presenti in 3 specie: Aureus, Epidermidis e Saprofiticus. Gli Stafilococchi sono cocchi
gram + con crescita a grappolo, capsulati, asporigeni, anaerobi facoltativi. Fermentano il glucosio in
anaerobiosi in 5 giorni (a differenza dei micrococchi). Hanno facile crescita sui comuni terreni di coltura
dove formano colonie grandi, rotondeggianti, rilevate ed opache.
La notevole alofilia li rende capaci di svilupparsi anche ad elevate concentrazioni di NaCl tali da inibire lo
sviluppo di altri batteri (terreni selettivi – es terreno di Chapman con NaCl al 7,5%). In passato il marcatore
di patogenicità era la produzione di pigmento giallo (lo S. aureus prende infatti il nome dal pigmento); oggi
invece il marker di patogenicità è la produzione di coagulasi: essa è un isoenzima che si combina con un
fattore plasmatico e forma la stafilotrombina che ha azione analoga alla trombina (trasforma il fibrinogeno in
fibrina):
-
coagulasi positivi: Aureus patogeno;
-
coagulasi negativi: Epidermidis e Saprofiticus considerati non patogeni, ma possono diventarlo in
base alle condizioni dell’ospite.
I principali fattori di virulenza degli Stafilococchi sono:
-
capsula che ha funzione antifagocitaria, opera la chemiotassi dei PMN e facilita l’adesione a
materiali sintetici (cateteri, protesi, giunture e shunt) i ceppi privi di capsula sono meno invasivi;
-
parete cellulare (peptidoglicano + acidi teicolici) determina attivazione del complemento che sta alla
base dello shock tossico, gli acidi teicolici hanno funzione di adesione;
-
gli Stafilococchi producono numerose esotossine ed enzimi:
1
emolisine α, β, γ, δ provocano la lisi di eritrociti e PMN con rilascio di enzimi lisosomiali che
provocano danno ai tessuti (azione dermonecrotica);
2
tossina esfoliativa o epidermolitica che è responsabile della sindrome della cute ustionata o
dermatite esfoliativa (SSS);
3
tossina della sindrome da shock tossico TSS1 (o enterotossina F) che è prodotta dallo S. Aureus
ed è un superantigene in grado di determinare la produzione di citochine;
4
enterotossina termostabile acido-stabile che è presente in 5 diversi tipi A, B, C, D, E, prodotta in
situ (enterocolite Stafilococcica) o assorbita attraverso le mucose (tossinfezione alimentare);
1
5
penicillinasi o β−lattamasi che è un enzima che determina variazione delle PBP e viene acquisito
tramite plasmidi;
6
stafilochinasi o fibrinolisina che converte il plasminogeno in plasmina enzima proteolitico che è
in grado di scindere i coaguli di fibrina.
La patogenesi delle infezioni stafilococciche si basa su diverse tappe: penetrazione nei tessuti, liberazione di
tossine ed enzimi, richiamo di PMN, infiammazione, trombosi dei piccoli vasi, necrosi, colliquazione con
formazione di pus giallo-cremoso, con un pH acido che impedisce la diffusione dei farmaci e li inattiva
perciò è importante l’evacuazione (“ubi pus ibi evacua”).
Il principale meccanismo di difesa immunitaria contro gli Stafilococchi è rappresentato dai PMN e dal C’.
Fattori predisponenti alle infezioni stafilococciche sono: tumori, leucomi, diabete (alterazioni del pH e della
composizione del sudore), infezioni respiratorie (alterazione della barriera mucosa), ustioni e altre dermatosi
(riduzione della barriera cutanea), malattia granulomatosa con deficit di PMN, malattie con aumento delle
IgE, endoplastiti (cateteri, protesi). Fondamentali sono i deficit qualitativi e quantitativi dei PMN e del C’.
Gli Stafilococchi sono ubiquitari in quanto sono tra i più resistenti all’ambiente esterno tra i batteri
asporigeni.
Epidemiologia
Il principale serbatoio è l’uomo, infatti fanno parte della normale flora batterica commensale, nella cute, nel
tratto respiratorio superiore e del tratto GI. I portatori sani (continui o discontinui) arrivano al 40-70% della
popolazione e da tale condizione può derivare una infezione endogena. Negli ospedali il 50-100% del
personale è portatore di ceppi antibiotico-resistenti.
Un problema della terapia delle stafilococcie è l’insorgenza di germi penicillina-resistenti soprattutto negli
ospedali che viene acquisita soprattutto tramite plasmidi.
I ceppi penicillino-resistenti vengono trattati con penicilline antistafilococciche (meticillina) o cefalosporine,
ma ciò ha selezionato ceppi meticillina-resistenti MRSA che non sono sensibili alle cefalosporine
(crossresistenza con le cefalosporine).
Vanno utilizzati quindi vancomicina o teicoplanina anche se ultimamente sono comparsi anche ceppi
vancomicina e teicoplanina-resistenti. La resistenza agli antibiotici ha origine plasmidica e viene acquisita
tramite trasduzione.
INFEZIONI CUTANEE
Sono più frequenti nei bambini e nei giovani adulti in particolare durante la pubertà.
Impetigine stafilococcica
2
Si manifesta soprattutto sulla cute umida e glabra, durante l’estate, tende a recidivare ed è meno contagiosa
dell’impetigine streptococcica. Insorge soprattutto intorno alle narici o alla barba ed è caratterizzata da bolle
che si trasformano in pustole, quindi si rompono danno origine a squamo-croste mieliceriche e guariscono
con restitutio ad integrum.
Pemfigo endemico del neonato
È una infezione neonatale che si manifesta con una eruzione bollosa impetiginoide altamente contagiosa che
diffonde a tutto l’ambito cutaneo (esclusi palmo della mano e pianta del piede) e che si associa a
compromissione generale.
Follicolite
È una infezione superficiale del follicolo pilifero, caratterizzata dalla formazione di una pustola centrata da
un pelo con alone eritematoso, la cui rottura determina fuoriuscita di pus e formazione di una squamo-crosta
mielicerica. Si può associare all’impetigine. L’agente causale è lo S. Epidermidis.
Sicosi della barba
È una follicolite cronica dei peli della barba, caratterizzata da pustole gementi pus dalle quali i peli si
asportano con facilità.
Foruncolo
È una infezione profonda del follicolo pilifero e della ghiandola sebacea ad esso annessa che si manifesta con
una flogosi necrotico-suppurativa che porta alla formazione di un cencio necrotico.
Si presenta come un nodulo caldo, dolente e centrato da un pelo; quindi si forma un cratere a contenuto
purulento da cui escono pus e sangue, infine viene espulsa una concrezione grigio-giallastra che costituisce il
cencio necrotico. L’agente causale è lo S. Aureus.
La foruncolosi recidivante si verifica quando si ha il ripetersi di foruncoli subentranti per periodi di tempo
prolungati. Colpisce soprattutto in condizioni di pH alcalino o neutro, umidità, uso incongruo di antibiotici.
La terapia antibiotica topica infatti può selezionare ceppi resistenti, perciò è meglio un antisettico liquido che
tra l’altro non lascia umidità (al contrario della crema) la quale facilita l’impianto dei batteri.
Condizioni predisponenti sono diabete, alcolismo e obesità.
Il foruncolo maligno della faccia colpisce il naso o il labbro superiore, da qui tramite il plesso venoso della
faccia i cocchi raggiungono l’orbita e quindi tramite i linfatici la cavità cranica determinando una
tromboflebite del seno cavernoso con diffusione alle meningi e quindi meningite ed ascesso cerebrale.
Favo
3
Si realizza quando più foruncoli confluiscono interessando le parti molli fino alla fascia muscolare. Si
presenta come un piastrone rilevato di colorito rosso vivo duro e infiltrato molto doloroso, su cui dopo alcuni
giorni compaiono pustole a sede follicolare che si aprono formando crateri dai quali fuoriescono pus, sangue
e detriti necrotici fino alla espulsione dei cenci. Le sedi più frequenti sono quelle irritanti da contatto come
collo e natiche.
Idrosadenite
È un processo suppurativo a carico delle ghiandole sudoripare apocrine a livello del cavo ascellare,
dell’areola mammaria o delle regioni genitali.
Appaiono come noduli duri, congesti, profondi e spesso molto dolenti che si aprono all’esterno emettendo
pus denso giallastro e sangue. Hanno spesso un decorso cronico e sono favorite dalla depilazione e dall’uso
di deodoranti antitraspiranti.
Patereccio o perionissi piogenica
È una infezione suppurativa delle falangi distali lungo i bordi e sul tetto dell’unghia. Il perinichio diventa
eritematoso, tumido, teso, lucente, molto dolente e pulsante; il pus defluisce attraverso le tasche periungueali
e scolla la lamina ungueale. È presente linfoadenopatia epitrocleare e ascellare e sono facili le recidive.
Complicazioni sono l’osteomielite delle falangette e la diffusione flemmonosa alla mano.
Flemmone o cellulite
È un processo suppurativo del derma profondo e dell’ipoderma che si manifesta soprattutto negli arti
inferiori ed in particolare in pazienti diabetici. Compare una placca eritematosa e infiltrata, calda e dolente,
con linfangite e linfadenite satellite.
Si ha in genere l’ascessualizzazione della placca ed il suo svuotamento spontaneo o chirurgico. La terapia è
antibiotica soprattutto nella fase iniziale, dopo l’ascessualizzazione è necessaria l’incisione chirurgica.
Mastite puerperale
È una infezione suppurativa del capezzolo favorita dal traumatismo della suzione e dal tugore della
ghiandola che determinano la formazione di ragadi che tendono ad infettarsi.
Orzaiolo
Infezione suppurativa delle ghiandole lacrimali.
Ascesso sottocutaneo
Frequente a livello gluteo, è dovuto ad iniezioni di sostanze che fissano i germi senza una adeguata
disinfezione. Infezione di ferite traumatiche, chirurgiche e ustioni
4
INFEZIONI MUCOSE
Tra queste si ricordano:
-
Congiuntivite;
-
Otite media;
-
Sinusite;
-
Tonsillite;
-
Uretrite, prostatite, balanite;
-
Tracheite.
INFEZIONI DEGLI ORGANI INTERNI
Polmonite sfafilococcica
La polmonite da Stafilococco (che è facilmente chemioresistente) tende ad essere necrotica con formazione
di microascessi.
Gli Stafilococchi dal rinofaringe colonizzano l’albero bronchiale e quindi il parenchima polmonare, favoriti
da condizioni come influenza, BPCO e cardiopatie croniche scompensate (polmonite da ipostasi).
La polmonite si può manifestare con focolaio unico (polmonite lobare) o focolai multipli (broncopolmonite).
Il quadro clinico è più variabile rispetto alla forma Pneumococcica e va da forme paucisintomatiche a forme
fulminanti con rapida evoluzione verso l’IRA. Si può verificare anche il cosiddetto foruncolo del polmone
per ascessualizzazione di una polmonite a focolaio unico e la foruncolosi polmonare, secondaria in genere a
diffusione ematogena del microrganismo.
Nel bambino è frequente lo pneumatocele dovuto allo svuotamento di un ascesso in un bronco con
formazione di bolle tipiche causate dal meccanismo a valvola.
Osteomielite
È causata dallo Stafiloccoccus Aureus che raggiunge le ossa per via ematica. Colpisce soprattutto bambini e
giovani, può essere una manifestazione post-traumatica o post-operatoria e si può associare ad artrite
purulenta. Interessa in genere le ossa lunghe in particolare a livello della cartilagine di accrescimento che è
quella più riccamente vascolarizzata dove iniziano i processi di ascessualizzazione (quando cessa
l’accrescimento non c’è più infezione). L’esordio clinico è brusco con febbre elevata, stato generale
compromesso e forti dolori ossei.
L’Rx è negativo nelle prime 2 settimane, poi mostra il caratteristico segno della bara con il cadavere dentro
(dovuto a rimaneggiamento osseo): zona centrale con densità aumentata (dovuta a calcificazione per
fenomeni di ossificazione) e zona periferica con riduzione di ossificazione.
Infezioni renali
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Caratterizzate da pielonefrite che si può complicare con l’ascesso renale con eventuale diffusione ad ascesso
pararenale.
Infezioni cerebrali
Meningite purulenta (letalità del 30-40%) e ascesso peridurale (spesso iatrogeni, nosocomiali), ascesso
cerebrale (misto con anaerobi).
Altre infezioni
Artrite purulenta, empiema della colecisti, piomiosite purulenta.
SEPSI STAFILOCOCCICA
Le sepsi acute sono sostenute dallo Stafilococcus Aureus ed hanno una prognosi grave con frequenti
localizzazioni metastatiche a diversi organi.
Le sepsi Stafilococciche sono particolarmente temute nei reparti chirurgici, di rianimazione o terapia
intensiva dove spesso sono causate da microrganismi selezionati dall’antibiotico-terapia.
La localizzazione a livello endocardico da luogo all’endocardite batterica acuta (causata dallo S.Aureus nel
70% dei casi) che coinvolge in genere la mitrale ed è letale nel 40-80% dei casi. Nei tossicodipendenti si può
avere interessamento della tricuspide con emboli settici polmonari.
Raramente si hanno sepsi acute da S. Aureus privo di capsula che determinano shock settico con CID che
può simulare la sindrome di Waterhause-Friederichsen.
Si possono anche avere sepsi subacute da Stafilococchi coagulasi-negativi, associati a endocarditi subacute e
endoplastiti (infezioni di protesi valvolari, cateteri venosi etc.); in questi casi è necessario sostituire la protesi
dopo terapia che sterilizza la sede di impianto altrimenti si verifica reinfezione.
STAFILOCOCCIE A PATOGENESI TOSSINICA
Sindrome dello shock tossico TSS1
È causata dalla tossina della sindrome dello shock tossico che è prodotta dallo S. Aureus, la quale funziona
da superantigene determinando la produzione di una vasta gamma di citochine. L’assorbimento della tossina
avviene da focolai infettivi a livello della cute o delle mucose, soprattutto nelle mucose vaginali in caso di
uso di tamponi vaginali assorbenti durante le mestruazioni o nella mucosa intestinale in caso di enterite.
La sindrome si manifesta con un quadro tossinfettivo acuto (febbre, cefalea, alterazioni del sensorio)
accompagnato da:
-
Congiuntivite;
-
Diarrea e vomito;
6
-
Rash disseminato con desquamazione cutanea;
-
Shock ed ARDS;
-
Danno miocardico ed aritmie.
La letalità è del 30%, la terapia è sintomatologica e si basa sulla rimozione del focolaio infettivo da cui viene
immessa in circolo la tossina.
L’emocoltura è negativa (si tratta di una tossiemia) ed è presente ipoalbuminemia, incrmento di GOT, GPT e
CPK e piastrinopenia (no CID).
Sindrome della cute ustionata o dermatite esfoliativa SSS
È causata dalla immissione in circolo della tossina esfoliativa o epidermolitica prodotta da alcuni ceppi
presenti a livello di focolai infettivi. Colpisce soprattutto i bambini in genere in seguito a onfalite o
circoncisione infetta.
È presente febbre e lesioni cutanee diffuse: la cute si presenta diffusamente arrossata e dolorabile, si formano
bolle e flittene (come nelle ustioni di 1° e 2° grado) e quindi si ha esfoliazione della cute a grossi lembi
(pianori clivaggio= strato granuloso), analogamente a quanto avviene nel pemfigo (segno di Nikosky +). La
terapia si basa su antibiotici e reidratanti (no steroidi). La prognosi è buona.
Tossinfezione alimentare stafilociccica
Enterocolite stafilococcica: vedi tossinfezioni alimentari
Diagnosi
L’isolamento dei batteri può essere fatto dai diversi campioni biologici: alimenti, tampone faringeo, ascessi,
emocoltura. L’esame microscopico con colorazione di gram evidenzia cocchi gram + a grappolo. La coltura
viene fatta su agar sangue (presente alone di emolisi) o su terreno selettivo MSA (mannite, sali, agar).
Terapia
Le lesioni cutanee benigne come foruncoli guariscono spontaneamente mentre le raccolte purulente di
maggiori dimensioni vengono trattate con evacuazione chirurgica.
Se le lesioni cutanee sono profonde va associata terapia antibiotica generale come anche in caso di sepsi e
infezioni d’organo.
La terapia è in genere prolungata e deve essere mirata in base all’antibiogramma, in base al quale possono
essere usati diversi antibiotici:
-
Penicilline semisintetiche penicillinasi-resistenti (la maggior parte degli Stafilococchi produce
penicillinasi): meticillina;
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-
Cefalosporine da non utilizzare in caso di Stafilococchi meticillina resistenti in quanto questi sono
crossresistenti con le cefalosporine;
-
Vancomicina e teicoplanina attive sui ceppi meticillina-resistenti.
Utili in associazione:
-
Rifampicina;
-
Aminoglicosidi;
-
Cotrimoxazolo;
-
Fluorochinoloni;
-
Acido fusidico;
-
Fosfomicina.
La terapia è di associazione in quanto compare facilmente resistenza (penicillina semisintetica +
aminoglicosidi/rifampicina).
8
INFEZIONI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Per quanto riguarda le infezioni del sistema nervoso centrale, bisogna innanzitutto fare una serie di
considerazioni anatomiche. Il sistema nervoso centrale è contenuto in un ambiente chiuso a pareti rigide, che
nel suo complesso forma la scatola cranica. Inoltre, anche il midollo spinale è contenuto all'interno di una
struttura ossea, rigida, il canale vertebrale. Il sistema nervoso centrale non ha diretto contatto con le strutture
ossee, esso è sospeso nel liquido cefalo-rachidiano ed è circondato da tre meningi:
•
la pia madre e l’aracnoide formano le leptomeningi e sono quelle più vicine al SNC;
•
la dura madre, detta anche pachimeninge, che aderisce strettamente al periostio.
La pia madre riveste in superficie l'encefalo e il midollo spinale, formando uno strato che circonda i vasi che
penetrano nel parenchima. L'aracnoide circonda il sistema nervoso centrale più esternamente. La pia madre e
l'aracnoide delimitano lo spazio subaracnoideo, che contiene il liquido cefalo-rachidiano e comunica con il
quarto ventricolo. La dura madre invece aderisce al periostio delle ossa craniche e vertebrali, ad eccezione
dei punti in cui si inflette a formare quattro setti: la falce cerebrale, la falce cerebellare, il tentorio del
cervelletto ed il diaframma della sella. Proprio per le caratteristiche di questo distretto corporeo, il sistema
nervoso centrale, da un punto di vista anatomico, risulta essere più vulnerabile. Infatti le pareti rigide della
scatola cranica danno rilevanza clinica anche a piccoli aumenti della pressione intracranica, ad eccezione nel
neonato e nel lattante, in cui sono presenti delle aree nelle quali l'osso ancora non si è saldato.
Il sistema nervoso centrale inoltre è un sito privilegiato, ovvero separato dal resto del corpo, tramite varie
barriere: la barriera emato-liquorale e la barriera emato-encefalica.
I processi infettivi o infiammatori delle leptomeningi, le cosiddette meningiti, interessano l'intera superficie
del sistema nervoso centrale e spesso diffondono anche ai ventricoli. I processi infettivi che si localizzano tra
dura madre ed aracnoide tendono ad interessare un solo emisfero cerebrale o una metà della fossa cranica
posteriore (empiema subdurale). I processi infettivi esterni alla dura madre (ascesso epidurale) hanno in
genere estensione limitata per l'aderenza della dura madre al periostio delle ossa craniche.
Classificazione
Passiamo adesso a classificare le infezioni del sistema nervoso centrale. Le infezioni delle leptomeningi e del
liquido cefalo-rachidiano vengono definite meningiti. Le infezioni del parenchima cerebrale e/o del midollo
spinale vengono definite encefaliti, mieliti ed encefalomielite. Considerati i rapporti di contiguità delle
strutture del sistema nervoso centrale, le forme spesso coesistono, tant'è vero che si parla anche di
meningoencefalite, perché:
 durante la meningite batterica, i mediatori dell'infiammazione e le tossine batteriche prodotte nello
spazio subaracnoideo diffondono nel parenchima cerebrale;
 nell'encefalite, la reazione infiammatoria del parenchima raggiunge facilmente la pia madre,
determinando irritazione meningea;
1
 alcuni agenti eziologici possono attaccare sia l'encefalo che le meningi.
Per quanto riguarda le meningiti, queste possono essere classificate in base alle caratteristiche del liquido
cefalo-rachidiano. Si riconoscono due tipi di meningiti:
 quelle a liquor torbido;
 quelle a liquor limpido.
Epidemiologia ed eziologia
Da un punto di vista epidemiologico, la meningite può essere dovuta sia ad infezioni batteriche che virali.
L'incidenza delle meningiti batteriche e di circa tre casi ogni 100.000 abitanti all'anno, mentre le meningiti
virali presentano un'incidenza di 11 casi ogni 100.000 abitanti all'anno. Per quanto riguarda l'eziologia virale,
ricordiamo soprattutto:
 enterovirus, polio, coxsackie ed echovirus;
 virus della parotite;
 virus della coriomeningite linfocitaria;
 herpesvirus;
 adenovirus;
 virus del morbillo;
 virus della rosolia;
 virus influenzale e parainfluenzare.
Ben più eterogenea risulta essere l'eziologia delle meningiti batteriche. I principali batteri responsabili di
meningiti sono:
 Haemophilus influenze;
 Neisseria meningitidis;
 Streptococcus pneumoniae;
 Listeria monocytogenes;
 Streptococcus agalactiae;
 bacilli aerobi gram-negativi, quali Escherichia coli, salmonella;
 stafilococchi;
 Brucella;
 Mycobacterium tubercolosis;
 Spirochete, quali treponema e borrelia;
 altri batteri.
Sempre in merito alle meningiti di origine batterica, l'agente eziologico varia in funzione dell'età del soggetto
colpito. Così, l'età e le caratteristiche del paziente determinano lo sviluppo o meno di meningiti dovute ad un
particolare tipo di batterio. È per questo che suddividiamo le varie forme di meningite batterica in funzione
2
dell'età del soggetto, ognuna caratterizzata da una propria eziologia. Quindi, per ciascun periodo della vita
del soggetto avremo patogeni caratteristici in grado di dare origine a meningite batterica:
 in un'età compresa tra zero e le quattro settimane, i principali agenti eziologici sono Streptococcus
agalactiae, Escherichia coli, Listeria monocytogenes, Klebsiella pneumoniae, Enterococcus,
Salmonella;
 in un periodo compreso tra le quattro e le 12 settimane di vita, i principali patogeni sono
Streptococcus agalactiae, Escherichia coli, Listeria monocytogenes, Haemophilus influenze,
Streptococcus pneumoniae, Neisseria meningitidis;
 se il soggetto ha un età compresa tra i 3 mesi e 18 anni, i principali agenti eziologici sono
Haemophilus influenze, Neisseria meningitidis, Streptococcus pneumoniae. Come si può notare lo
sviluppo di un'immunità propria nel bambino tende a ridurre lo spettro di batteri responsabili di
meningiti;
 in soggetti di età compresa tra i 18 e i 50 anni, la meningite batterica è dovuto soprattutto a
Streptococcus pneumoniae, Neisseria meningitidis;
 in un soggetto con età superiore ai 50 anni, il deterioramento delle difese immunitarie, lo espone ad
una noxa patogena diversa rispetto a quella dell'età adulta. I patogeni maggiormente responsabili di
meningite batterica sono Streptococcus pneumoniae, Neisseria meningitidis, Listeria monocytogenes
e aerobi gram-negativi.
Un discorso a parte va fatto nei soggetti immunocompromessi, sia per cause iatrogene che per cause
infettive. Questi soggetti sono particolarmente a rischio di meningiti a carico di Streptococcus pneumoniae,
Neisseria meningitidis, listeria monocytogenes e aerobi gram-negativi, inclusa Pseudomonas aeruginosa.
Ancora una distinguo va fatto per i soggetti con frattura della base cranica, cui può seguire una meningite
batterica dovuta di infezione di Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenze, e Streptococcus
pyogenes.
In alcuni casi, la meningite può essere data da miceti, quali Cryptococcus neoformans, Candida, Histoplasma
capsulatum ed Aspergillus. C’è da dire che queste forme compaiono in soggetti già debilitato, soprattutto
immunodepressi, e risultano essere molto impegnative.
Patogenesi
Adesso, trattiamo della patogenesi delle forme batteriche. Innanzitutto l'agente patogeno deve raggiungere il
sito di infezione, in questo caso le meningi, e ciò si attua tramite:
 via ematogena, per virus e batteri;
 passaggio dalla mucosa oro-rino-faringea attraverso la lamina cribrosa dell’etmoide, risalendo lungo
il nervo olfattorio, capillari perivenosi e linfatici (batteri);
 per contiguità, da processi infettivi delle strutture craniche, come sinusiti, otiti, mastoiditi, o
attraverso fratture della scatola cranica (batteri);
3
 malformazioni del canale vertebrale, come la spina bifida o meningocele (batteri);
 introduzione diretta, come in caso di interventi neurochirurgici, manovre diagnostiche e terapeutiche.
Vi è una differenza di patogenesi per quanto riguarda le forme virali e batteriche. Nelle forme virali, il virus
raggiunge le meningi per via ematogena, e si localizza a livello dei neuroni, della glia e dei plessi corioidei.
Successivamente vengono reclutati i linfociti Th e si ha la produzione di citochine, quali IL6, TNF-α. A
questo punto, si verifica un aumento della permeabilità capillare, con alterazione della normale funzione
della barriera emato-encefalica. Le alterazioni di permeabilità determinano il passaggio di proteine dal fronte
capillare all’interno dell’interstizio, con aumento della pressione per effetto oncotico, quindi edema. Per
quanto riguarda le forme batteriche, invece, una volta che è giunto nelle meningi inizia a moltiplicarsi negli
spazi subaracnoidei e determina il rilascio di componenti batterici, quali componenti della parete cellulare
batterica e il lipopolisaccaride dei gram-negativi. Queste componenti fungono da fattori chemiotattici per i
polimorfonucleati e macrofagi. L'arrivo di queste cellule nel sito di infezione determina la liberazione di
mediatori dell'infiammazione, cui segue un aumento della permeabilità delle barriere, ovvero
un'infiammazione acuta, che determina edema tessutale ed aumento della pressione del liquor. Nelle
meningiti batteriche, il batterio tende a raggiungere le meningi per via ematogena, un processo che prevede
più tappe:
 la colonizzazione delle mucose;
 la penetrazione e diffusione nel torrente ematico;
 sopravvivenza intravascolare;
 passaggio della barriera emato-encefalica;
 moltiplicazione dei batteri nel liquor.
Per la patogenesi delle meningiti batteriche per contiguità, i batteri possono derivare da:
 contiguità, tramite le vie aeree superiori, attraverso la lamina cribrosa dell’etmoide, seguendo la
guaina del nervo olfattorio e attraversando i vasi;
 sempre per contiguità, dai focolai di infezioni ossee, come le otomastoiditi, infezioni cerebrali come
ascessi o dei seni venosi, a seguito di tromboflebiti.
Un particolare meccanismo patogenetico delle meningiti batteriche comprende l'introduzione diretta. Questa
forma si verifica seguito di:
 rachicentesi;
 interventi neurochirurgici;
 ferite penetranti;
 fratture ossee.
Per quanto riguarda la patogenesi delle meningiti virali, l'agente patogeno raggiunge il sistema nervoso
attraverso due vie principali:
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 via ematogena;
 via retrograda, risalendo lungo i tronchi nervosi oppure lungo la guaina del nervo olfattori.
Clinica
Da un punto di vista clinico, la sindrome meningea è caratterizzata da un insieme di sintomi e segni che sono
indipendenti dall'eziologia e presentano intensità variabile in relazione all'ospite, alla patogenesi e all'entità
del coinvolgimento del sistema nervoso centrale. Quindi le principali manifestazioni cliniche saranno:
 sintomi generali;
 segni d'ipertensione endocranica;
 segni di irritazione delle radici dei nervi cranici;
 segni motori da sofferenza corticale;
 segni sensitivo-sensoriali;
 segni neurovegetativi;
 alterazioni psichiche.
I sintomi generali comprendono la febbre elevata. Tuttavia vi sono una serie di manifestazioni sistemiche
variabili a seconda dell'agente eziologico come: herpes labialis, in caso di meningiti meningococciche;
esantemi, maculo-papule, petecchie e pustole; manifestazioni respiratorie; manifestazioni gastrointestinali;
ecc... I principali segni d'ipertensione endocranica sono cefalea di tipo lancinante o gravativo, con vomito di
tipo cerebrale, indipendente dall'ingestione di cibo, non preceduto da nausea, talvolta a getto. Nei neonati e
nei lattanti si ha agitazione e tensione della fontanella bregmatica. Negli adulti, un segno particolare, è
l’edema della papilla, soprattutto in corso di meningite tubercolare. Tra i segni di irritazione dei nervi cranici
spinali, si ricordano soprattutto:
 rigidità nucale;
 opistotono, ovvero contrazione spastica dei muscoli del dorso, con posizione a cane di fucile;
 paralisi dei nervi cranici;
 segni di Kernig, Brudzinski, Binda e Lasegue;
 nei neonati floppy baby e segno di Lasegue.
I segni di irritazione delle radici spinali sono dovuti alla flogosi delle sierose periradicolari che determina
irritazione delle radici spinali e condiziona tutta una serie di atteggiamenti che assume il soggetto. Questi
segni sono la parte di notevole importanza diagnostica, soprattutto la rigidità nucale e rachidea, dovute alla
tensione dei muscoli nucali e paravertebrali. Questo atteggiamento tende a prevenire il violento dolore
dovuto alle tensioni delle radici spinali. Nelle forme più gravi, il paziente assume una posizione in decubito
laterale con gambe flesse sulle cosce e queste ultime flesse sul bacino. Quest'atteggiamento prende il nome di
atteggiamento a cane di fucile. In questo modo il soggetto tende ad evitare lo stiramento delle meningi
infiammate che premono sui nervi e innescano la sensazione dolorosa. Altri segni semiologici importanti
sono:
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 il segno di kernig: cercando di far passare il paziente dalla posizione supina a quella seduta e
mantenendo estesi con una mano gli arti inferiori, il paziente tende a riflettere questi ultimi;
 segno di Brudzinski: flettendo passivamente il capo si provoca una brusca flessione delle cosce sul
bacino e delle gambe sulle cosce;
 segno di Lasegue: possibilità di flettere la gambe stese sul bacino molto limitate rispetto al soggetto
normale;
 segno di Binda: la rotazione forzata del capo da un lato provoca la proiezione in avanti della spalla
controlaterale;
 manovra di Lasegue: si esegue nel neonato, lo si solleva dal piano del letto tenendolo per le ascelle.
Mentre il neonato normale segue con gli arti inferiori i movimenti di flesso-estensione, il paziente
con meningite rimane con gli arti immobili in flessione.
In corso di meningite possono essere presenti anche segni motori da sofferenza corticale come:
 convulsioni generalizzate parziali;
 spasmi tonici di gruppi muscolari;
 movimenti automatici.
L'interessamento dell'encefalo determina anche una serie di alterazioni psichiche che vanno dallo stato
stuporoso, al delirio fino al coma, che può essere associato o meno a convulsioni. I segni di sofferenza delle
strutture corticali e sottocorticali e/o tronco-encefaliche dipendono focolaio di infezione della meningite:
 nelle meningiti della volta prevalgono i fenomeni irritativi della sfera motoria, come convulsioni;
 nelle meningiti della base per valgono quelle deficitarie come paresi o paralisi dei nervi cranici.
I disturbi della sfera psichica possono succedersi o alternarsi nel corso della malattia e sono dovute all'azione
combinata dei fattori tossi-infettivi e dismetabolici sul parenchima cerebrale compromesso dall'edema,
dall'ipertensione e dall'ipossia. In corso di meningiti si possono avere anche segni sensitivo-sensoriali quali:
 iperestesia superficiale e profonda;
 fotofobia senza congiuntivite;
 iperacusia;
 vertigini.
Vanno tenuti ben presenti anche i segni neurovegetativi come:
 il dermografismo rosso o segno di Trousseau;
 stipsi;
 bradicardia;
 respiro meningitico di Biot, caratterizzato da gruppi di inspirazioni profonde alternate a periodi di
apnea.
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Particolarmente caratteristiche e sintomatiche sono le turbe del respiro. Esistono vari tipi di respiro
patologico:
 respiro di Kusmaull, un respiro aritmico non periodico;
 respiro di Cheyne-stokes, periodico, con aumento progressivo di intensità, seguito da diminuzione
progressiva della stessa e poi da una pausa respiratoria;
 il respiro di Biot, periodico, con gruppi di respiri normali a passaggio brusco a periodi altrettanto
lunghi di pausa respiratoria.
Alcune forme di meningiti presentano caratteristiche cliniche particolari in relazione alle eziologia, all'ospite
e alla patogenesi:
 la meningite meningococcica è caratterizzata da stato settico con rash purpureo e petecchiale;
 la meningite tubercolare presenta un esordio insidioso e determina soprattutto la compromissione dei
nervi cranici;
 la meningite luetica è caratterizzata soprattutto dalla compromissione dei nervi cranici;
 la meningite da Cryptococcus, tipica dei soggetti HIV positivi è caratterizzata da febbre con cefalea
e molto spesso sono assenti gli altri sintomi;
 nelle meningiti post-traumatiche caratteristica è la rinotorrea, ovvero la fuoriuscita di liquor dal naso
e dall'orecchio con passaggio di Streptococcus pneumoniae al livello delle meningi;
 nel neonato, in corso di meningite, mancano le contratture muscolari ed è presente flaccidità;
 nel soggetto anziano si ha letargia, ottundimento del sensorio e possono mancare febbre ed altri
segni meningei.
Indagini di laboratorio e diagnosi
Le principali indagini di laboratorio e strumentali che vengono utilizzate per la diagnosi di meningite sono:
 elettroencefalogramma, che si presenta alterato;
 esame del liquor, delle sue caratteristiche biochimiche, microscopiche, eventuale coltura ed
antibiogramma;
 indagini neuroradiologiche, nelle quali possono essere presenti alterazioni non significative, i reperti
più frequenti sono edema cerebrale, le lesioni di infarto, empiema subdurale e ventricolare.
Per quanto riguarda la diagnosi è molto importante che questa sia precoce, poiché le meningiti sono vere
proprie emergenze mediche. La diagnosi clinica di meningite è relativamente facile, tranne che in alcuni casi
particolari. La diagnosi eziologica spesso è difficile e non immediata, questo perché i tempi dell'esame
colturale e degli esami biologici risultano essere abbastanza lunghi. Quindi, di fronte al sospetto clinico
importante bisogna eseguire la rachicentesi ed instaurare una terapia antibiotica empirica, ragionata sulla
base dei dati anamnestici, dell'età del soggetto e delle caratteristiche del liquor.
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Se sono presenti segni di ipertensione endocranica, come edema della papilla, prima della rachicentesi si
esegue un esame radiologico, come la TAC e la risonanza magnetica nucleare, per escludere un processo
espansivo intracranico. Infatti, in questi casi, la rachicentesi determina una riduzione della pressione del
liquor, con possibile erniazione del bulbo dal forame occipitale e compromissione grave dello stato di salute
del soggetto. Per quanto riguarda la rachicentesi, questa si esegue a livello dello spazio tre L4-L5,
all'intersezione della linea che unisce le creste iliache con il rachide, con il paziente in decubito laterale o
seduto. Innanzitutto si valutano la pressione liquorale con il manometro di Claude o valutando la velocità di
fuoriuscita del liquor, inoltre si valuta l'aspetto. Si prelevano dei campioni per eseguire esami chimico-fisici,
citologici, batterioscopici e colturali. Per alcuni patogeni di difficile isolamento e per le forme virali si
possono eseguire tecniche più sofisticate quali la ricerca di antigeni nel liquor mediante ELISA o
agglutinazione al latex, oppure la ricerca di materiale genomico mediante PCR.
Una classificazione delle meningiti viene effettuata in funzione delle caratteristiche del liquor, quindi avremo
meningiti a liquor limpido e meningiti a liquor torbido. Questa prima differenziazione permette già di
inquadrare l'agente eziologico. Infatti nelle meningiti a liquor limpido l’eziologia può essere dovuta a:
 virus;
 batteri, come la tubercolosi, Brucella, leptospirosi, treponema pallido;
 protozoi, come amebe e tripanosomi;
 miceti, come Cryptococcus neoformans.
Le meningiti a liquor torbido, invece, presentano un’eziologia a carattere prevalentemente batterico. I
principali batteri che danno meningite a liquor torbido sono:
 Neisseria meninigitidis;
 Haemophilus influenze;
 Streptococcus pneumoniae;
 streptococchi del gruppo B;
 Listeria monocytogenes (ma anche liquor limpido);
 Escherichia coli;
 stafilococchi.
Le meningiti al liquor limpido o torbido non si differenziano soltanto per l'aspetto, ma anche per la
composizione. Normalmente, il liquor di un soggetto sano presenta un aspetto di colore limpido, con una
pressione di 10-20 cm d'acqua, una glicorrachia che è il 50-60% della glicemia. La proteinorrachia è di circa
20-40 mg e la concentrazione di cloruri è di circa 120-130 mEq per litro. La cellularità è scarsa, con circa 3-5
elementi. Nelle meningiti a liquor limpido, l'aspetto del liquor e appunto limpido, con pressione aumentata,
glicorrachia normale, la proteinorrachia lievemente aumentata, la concentrazione di cloruri è normale. Si
verifica però un aumento del infomonociti. Nelle meningiti a liquor torbido, invece, l'aspetto del liquor è
smerigliato, purulento, con una pressione nettamente aumentata. La glicorrachia è nettamente diminuita,
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mentre la proteinorrachia è nettamente aumentata. La concentrazione dei cloruri è lievemente diminuita e si
nota una marcata pleiocitosi neutrofila.
Terapia
La terapia delle meningiti prevede innanzitutto quella di monitorare le funzioni vitali. Bisogna evitare
ipnotici, sedativi e antipiretici. Per quanto riguarda l'ipertensione endocranica, bisogna immediatamente dare
il via alla terapia con:
 diuretici osmotici, quali glicerolo 10% e mannitolo 10%;
 cortisonici.
La terapia contro l'agente eziologico prevede l'utilizzo di antibiotici. Anche qui, per la terapia antibiotica da
somministrare, vale lo stesso discorso fatto per l'agente eziologico. Quindi:
 nel soggetto con età compresa tra le zero e quattro settimane verrà somministrata ampicillina più
cefotaxime o ampicillina più aminoglicosidi;
 nell'individuo con quattro 12 settimane di vita viene somministrata ampicillina con una cefalosporina
di terza generazione;
 nel soggetto di tre mesi fino a diciott'anni viene somministrata una cefalosporina di terza
generazione, oppure ampicillina più cloramfenicolo;
 nei soggetti con età compresa tra i 18 e i cinquant'anni viene somministrata una cefalosporina di
terza generazione con o senza ampicillina;
 in individui con età superiore ai cinquant'anni viene somministrata ampicillina più una cefalosporina
di terza generazione;
 nell'ospite immunocompromesso vengono somministrati vancomicina con ampicillina e ceftazidime;
 nei soggetti con la frattura della base cranica viene somministrata una cefalosporine di terza
generazione.
Per quanto riguarda le misure di profilassi, queste vengono distinte in generali ed individuali. Misure di
profilassi generali comprendono:
 l'isolamento dei pazienti;
 individuazione dei focolai epidemici e dei contatti.
Misure di profilassi individuali comprendono:
 correzione dei fattori predisponenti;
 Immunoprofilassi attiva contro meningococco, pneumococco, Haemophilus influenze e in caso di
forme virali;
 Chemioprofilassi nel caso si sospetta infezione da Neisseria meningitidis con rifampicina nell'adulto
600 mg per due volte al giorno per due giorni per os, nel bambino 5-10 mg per chilo per due volte al
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giorno per due giorni per os. Valide alternative sono le ciprofloxacina 500 mg per due volte al
giorno, per cinque giorni, per os e il ceftriaxone, 200 mg in dose unica intramuscolo.
MENINGITE BATTERICA
Malattia infiammatoria su base infettiva della pia madre, dell’aracnoide, e dello spazio subaracnoideo attorno
all’encefalo, al MO e ai nervi ottici. Coesiste quasi sempre una ventriculite.
Epidemiologia
Resta una malattia con un’incidenza e una mortalità non trascurabile, soprattutto nei paesi a basso standard.
La frequenza con cui si isolano le varie specie batteriche responsabili è correlata all’età. N. meningitidis
comunque rappresenta l’unico agente causale importante di meningite batterica epidemica.
L’introduzione del vaccino contro l’Haemophylus influenzae di tipo B ha ridotto l’incidenza delle infezioni
invasive, ivi compresa la meningite, ma sono aumentati i casi dovuti alla Listeria e agli aerobi G-.
Eziologia
Quasi tutti i casi provocati da H. influenzae si manifestano in età compresa tra 1 mese e 6 anni (nei soggetti
più anziani solo in presenza di condizioni predisponesti come sinusiti, otiti, polmoniti, trauma cranico con
liquorrea, diabete mellito e altri deficit immunitari. In genere la meningite è legata all’invasione sistemica del
batterio residente a livello del nasofaringe, analogamente a quanto succede per la N. meningitidis in individui
con deficit della properdina o delle componenti terminali del C’.
La meningite pneumococcica è la forma che si riscontra più frequentemente negli adulti (ma non dopo 60
anni); essa si associa frequentemente a focolai infettivi a distanza (polmonite, otite media, sinusite,
endocardite). Il tasso di mortalità è alto, 19-30%, soprattutto in presenza di deficit dell'immunità umorale
(splenectomia, mieloma multiplo, ipogammaglobulinemia).
La Listeria rende conto solamente di una piccola percentuale dei casi, tutti però con mortalità elevata in
neonati, anziani, alcolisti e immunodepressi; può dare gravi epidemie di origine alimentare.
I bacilli aerobi G- costituiscono un’importante causa nei neonati e negli anziani, ma i casi di infezione,
perlopiù di origine ospedaliera, sono in aumento, soprattutto in soggetti debilitati, alcolisti e diabetici.
La meningite da S. aureus è piuttosto rara, tuttavia può manifestarsi come conseguenza della contaminazione
di shunt liquorali oppure secondariamente a endocardite infettiva.
Patogenesi
I batteri possono raggiungere delle meningi in diversi modi:
-
per contiguità attraverso focolai infettivi viciniori (otiti, sinusiti, mastoiditi) - meningite da
vicinanza;
10
-
direttamente dall'esterno (traumi cranici con deiscenza meninge e liquorrea);
-
manovre invasive;
-
disseminazione ematogena (la più comune).
I momenti patogenetici quindi sono:
-
colonizzazione del naso faringe: fimbrie adesive del meningococco, proteasi attive sulla IgA, danno
a carico delle cellule ciliate;
-
invasione del circolo ematico: il meningococco penetra attraverso un processo di endocitosi, mentre
H.influenzae supera le giunzione serrate;
-
batteriemia: i batteri patogeni esprimono sulla loro superficie un polisaccaride capsulare che
permette loro di sfuggire alla via alternativa del complemento dell'ospite;
-
invasione meningea: la sede e il meccanismo attuato dai batteri non sono ben noti; probabilmente
avviene o a livello dei seni venosi o a livello dei plessi corioidei, grazie all'elevato flusso ematico e
alla presenza di capillari finestrati;
-
sopravvivenza nello spazio subaracnoideo: è facilitata dall'inefficienza dei meccanismi di difesa
umorali dell'ospite.
L'infiammazione dello spazio subaracnoideo, indotta dalla parete cellulare dei batteri in G+ e dall’LPS di
quelli G-, si rendere responsabile di una serie di conseguenze fisiopatologiche che determinano la sindrome
clinica:
-
aumento della permeabilità della BBB (Brain Blood Barrier);
-
edema cerebrale;
-
aumento delle resistenze al deflusso del liquor;
-
vasculite cerebrale/ diminuzione del flusso ematico/ perdita dell'autoregolazione;
-
aumento della PIC.
La pleiocitosi neutrofila rappresenta una caratteristica fondamentale di infiammazione del liquor, ma non è
nota la via attraverso cui i neutrofili lo raggiungono, in quanto la presenza di molti dei fattori di adesione
endoteliali non è ancora stata dimostrata nell'endotelio cerebrale. I leucociti liquorali causano un aumento
della permeabilità della BBB nella fase tardiva della malattia, tramite la produzione di mediatori
infiammatori come IL-1, TNF e/o prostaglandine.
L’aumento della PIC è causato in primo luogo dalla comparsa di edema cerebrale, che può essere:
-
vasogenico: deriva prevalentemente dall’aumento della permeabilità della BBB;
-
citotossico: dovuto a rigonfiamento delle cellule, è legato alla liberazione di fattori citotossici da
parte dei PMN o dei batteri stessi;
-
interstiziale: legato all’ostruzione delle normali vie di deflusso del liquor.
11
L’ipertensione endocranica può derivare anche da accumulo di essudato fibrino-purulento che interferisce
con il riassorbimento a livello delle granulazioni aracnoidee. L’edema diffuso e l’aumento della PIC possono
causare pericolose erniazioni cerebrali.
La perdita dell’autoregolazione del flusso ematico cerebrale comporta un rischio maggiore di lesione
cerebrale legato a un’ipotensione transitoria. La diminuzione del flusso produce localmente ipossia, acidosi
lattica liquorale che, insieme agli intermedi reattivi dell’O 2 possono determinare encefalopatia. La
somministrazione di inibitori della NOS inducibile in animali da esperimento ha ridotto i danni da
eccitotossicità e anche le altre alterazioni fisiopatologiche.
Clinica
Vale quanto detto per la sindrome meningea. In più dell’85% dei pazienti i sintomi d’esordio sono
rappresentati da febbre, cefalea e rigidità nucale, con segni variabili di disfunzione cerebrale. Accessi
epilettici ripetuti si riscontrano più frequentemente nella meningite pneumococcica. La comparsa di deficit
neurologici focali ed encefalopatia può indicare un’ischemia corticale, aumento della PIC o sviluppo di un
empieva subdurale.
Un esantema si può presentare associato alla meningite da meningococco ma anche da rickettsie e da S.
aureus. Alcuni sottogruppi di pazienti presentano quadri più sfumati: nei neonati può mancare la febbre e la
rigidità nucale e gli unici segni sono allora apatia, pianto stridulo, rifiuto del cibo e altri segni piuttosto vaghi.
Negli anziani prevalgono sintomi insidiosi come torpore afebbrile.
Le complicazioni più importanti sono rappresentate da sequele neurologiche permanenti: circa un terzo di
coloro che sopravvivono a una meningite da G- riporta sordità, ritardo mentale, epilessia e anomalie
comportamentali.
Diagnosi
Si articola in 2 capisaldi:
-
diagnosi batteriologica;
-
le caratteristiche del liquor; da sottolineare che il liquor può essere torbido per l’abbondanza di germi
in assenza di una significativa pleiocitosi e ciò costituisce un segno prognostico sfavorevole.
L’esame diretto del centrifugato di liquor colorato con Gram o Blu di metilene dovrebbe essere eseguito
perché ha una buona sensibilità (75%). L’esame colturale è positivo nell’80% dei casi, meno nei casi
parzialmente trattati, per i quali è opportuna la semina in terreni liquidi.
Sono stati elaborati altri test diagnostici di rapida esecuzione, qualora la colorazione risulti negativa, come la
CIE (ControImmunoElettroforesi) e la Latex Agglutination, ancor più rapida, sensibile e specifica. La PCR
può venire adoperata per rendere più facile la rilevazione di H. influenzae, menigococco, e Listeria.
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La diagnosi strumentale (RX, TC, RMN) riveste un importanza minore tranne che nei casi di presenza di
papilledema e altri segni neurologici focali che suggeriscono la presenza di masse occupanti spazio (in
questo caso la rachicentesi deve essere posticipata alla TC/RMN; se però si ritiene la meningite molto
probabile si può iniziare una terapia antibiotica empirica).
Diagnosi differenziale
Numerosi processi sia infettivi che non possono essere responsabili di una sindrome meningea, tra cui:
focolai infettivi parameningei, empiema subdurale, meningoencefalite virale, neoplasie del SNC, sarcoidosi,
sindrome maligna da neurolettici, reazioni a farmaci e mezzi di contrasto radiologici.
Terapia
Una volta identificato il micro organismo infettante in coltura il trattamento antibiotico può essere attuato in
maniera ottimale in base ai risultati dell'antibiogramma.
Per le meningiti dovute a N. meningitidis la penicillina G resta il farmaco di prima scelta (come alternativa
può essere usata la ampicillina). La stessa terapia era praticata per la meningite pneumococcica, ma lo
sviluppo di ceppi con resistenza intermedia o elevata (se la MIC>2 microgrammi/ml) in alcune aree come la
Spagna ha reso necessario l'impiego di vancomicina più una cefalosporina di terza generazione, o in
alternativa imipenem e fosfomicina.
Nella meningite da Haemophylus si dà ampicillina o, in presenza di ceppi produttori di b-lattamasi, una
cefalosporina di terza generazione (o in alternativa un fluorochinolonico come l’ofloxacina). La Listeria è
sensibile all'ampicillina e al cotrimossazolo.
Le meningiti causate da bacilli aerobi G- sono oggi trattate efficacemente con le cefalosporine di 3°
generazione: nei pochi casi che non rispondono si danno fluorochinoloni o, in ultima istanza, aminoglicosidi
per via intratecale.
Il trattamento empirico si basa ovviamente in primo luogo sull'età del paziente che condiziona la probabilità
dei vari microrganismi in causa: nei bambini con meno di un mese di vita è bene evitare di somministrare il
ceftriaxone, poiché esso si lega considerevolmente all'albumina, spiazzando la bilirubina, con pericolo di
kernittero.
La durata della terapia va dai sette giorni per la Neisseria ed Haemophylus ai 14 dello S. pneumoniae, alle 3
settimane dei bacilli G-; tuttavia ci si basa largamente sull'esperienza.
Oltre che dalla sensibilità dell'agente causale, la scelta dell'antibiotico è condizionata da problemi di ordine
farmacocinetico (capacità di attraversare la barriera ematoliquorale); le dosi di antibiotici non devono
diminuire fino alla fine del ciclo, poiché la diminuzione dell'infiammazione ripristina la normale
permeabilità della BBB.
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Un rapido effetto battericida può causare il rilascio nel liquor di componenti batterici ad azione pro
infiammatoria, motivo per cui si ritengono utili i corticosteroidi somministrati insieme all’antibiotico (già
usati con profitto nella meningite da Haemophylus)
Terapia di supporto
Pazienti con segni di PIC possono beneficiare di un sollevamento della testa dal letto, dell’iperventilazione
(fino a una PaCO2 di 27-30 mmHg) e della somministrazione di farmaci iperosmolari (mannitolo).
Eventualmente possono rendersi utili l’ossigenoterapia e il posizionamento di un catetere vescicale e di un
sondino nasogastrico.
MENINGITI VIRALI
I sintomi sono quelli classici della sindrome meningea, tuttavia non si arriva mai nei casi non complicati allo
stupor, al coma, alle convulsioni, alla paralisi dei nervi cranici o ad altri deficit focali. La cefalea associata in
questo caso è tipicamente localizzata in sede frontale o retro-orbitaria ed è spesso accompagnata da fotofobia
e da dolore durante i movimenti oculari. La febbre può essere accompagnata da malessere, mialgie,
anoressia, nausea e vomito.
Eziologia
Può essere determinata con tecniche sierologiche, colturali o, più efficacemente con la PCR. Benché i virus
neurotropi segnalati nella letteratura medica siano centinaia, le cause più comuni di meningite asettica sono:
-
enterovirus;
-
ARBOvirus;
-
HIV;
-
HSV-2.
Cause meno comuni ma pur sempre da tenere presenti sono: HSV-1, LCMV, virus della parotite. Rari invece
sono: Adenovirus, CMV, EBV, virus influenzali e parainfluenzali, virus del morbillo. La netta stagionalità
dei vari agenti eziologici può fornire indizi per la diagnosi.
Patogenesi
I momenti patogenetici nelle infezioni virali sono:
-
Colonizzazione delle superfici mucose (non necessaria per gli arbovirus, introdotti direttamente nel
circolo sanguigno da un vettore);
-
Disseminazione ematogena (o diffusione lungo i nervi olfattori – HSV-1);
-
Superamento della BBB (diretto, mediato da infezione delle cellule endoteliali o da leucociti
infettati);
-
infezioni di neuroni e cellule gliali;
14
-
superamento della barriera emato-liquorale (epitelio dei plessi corioidei) con ingresso nello spazio
subaracnoideo e dispersione del virus nel liquor e flogosi delle cellule meningee ed ependimali.
La risposta immunitaria si manifesta con l'innalzamento dei livelli liquorali di IL-6, IL-1b e IFN-g (ma non
di TNF, come avviene nelle infezioni batteriche. Lo sviluppo della risposta infiammatoria produce il
passaggio nel liquor di proteine e il reclutamento di linfociti B, che si trasformano in plasmacellule
(determinando sintesi intratecale di Ig).
Diagnosi di laboratorio
L’esame del liquor rivela una modesta pleiocitosi linfocitaria (conte cellulari sempre inferiori a 1000/mm3),
leggera protidorrachia, glicorrachia solitamente normale (può essere Reed o da del 10 -30% nella meningite
da virus della parotite); nessuna colorazione evidenzia alcun organismo nel liquor. Gli esami colturali sono
generalmente di scarsa utilità, a causa delle basse concentrazioni di virioni nel liquor e delle diverse
procedure di isolamento necessarie; inoltre è solo i Coxsackie virus, gli Echovirus e il virus della parotite e
della coriomeningite linfocitaria possono essere coltivati con profitto; da ricordare però che i virus possono
essere isolati anche da altre sedi o liquidi corporei: la presenza di enterovirus nelle feci non è però
diagnostica poiché persiste per molte settimane.
Un’altra metodica è l’amplificazione degli acidi nucleici: molto utile soprattutto per infezioni da
Herpesviridae. Gli studi sierologici offrono nella maggior parte dei casi una diagnosi definitiva solo a
posteriori in base al riscontro di una siero conversione.
La sintesi intratecale di Ig, fortemente suggestiva di infezione del liquor, può essere desunta dall'indice
anticorpale liquor/siero: valori maggiori o uguali a 1,5 indicano sintesi intratecale di Ig, mentre valori
inferiori una lesione a specifica della barriera EE. Tramite elettroforesi su agarosio di campioni di liquor si
possono evidenziare bande oligoclonali, moderatamente suggestive di infezione da parte dell’HIV, HTLV,
virus della parotite, PESS, panencefalite post rubeolica.
Gli esami ematochimici completi (emocromo con formula, conta delle piastrine, ematocrito, VES, elettroliti,
test di funzionalità epatica, renale e pancreatica) possono dare qualche indicazione eziologia, visto il diverso
tropismo d’organo degli agenti in causa.
Statisticamente gli enterovirus costituiscono la causa più comune (80% dei casi ad eziologia identificata) e
dovrebbero essere sospettati sempre nei casi che si verificano nei mesi estivi. I casi che insorgono nel tardo
inverno o all'inizio della primavera, soprattutto nei maschi, possono essere dovuti al virus della parotite
epidermica, ipotesi avvalorata in presenza di lieve ipoglicorrachia, orchite, pancreatine, da escludere invece
in presenza di pregressa infezione o vaccinazione in anamnesi. Se è presente una storia di contatto con un
topolino, un animale domestico o un roditore, l'agente in causa può essere l’LCMV (che produce anche
esantema cutaneo e infiltrati polmonari). Le infezioni da ARBOvirus si verificano tipicamente nei mesi
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estivi, hanno una precisa localizzazione geografica e si presentano in forma epidermica, come è per tutte le
malattie trasmesse da insetti vettori.
Altri esempi sono:
-
EBV: presenza di linfociti atipici nel sangue e nel liquor, dimostrazione di IgM specifiche,
amplificazione con PCR;
-
VZV: segni/sintomi di varicella o zoster concomitanti.
Diagnosi differenziale
Vanno escluse innanzitutto le cause non virali:
-
meningite batterica trattata parzialmente;
-
meningite micotica, tubercolare, sifilitica, parassitaria;
-
infezione batterica che simula un'encefalite: Listeria, rickettsie, Coxiella, Brucella;
-
meningite neoplastica;
-
meningite secondaria a malattie infiammatorie e non infettive (es. sarcoidosi).
Terapia
Nei casi comuni il decorso è spontaneamente favorevole nell'arco di 7-15 giorni e non è richiesto il ricovero,
tranne che per i pazienti con deficit dell'immunità umorale (che beneficiano del trattamento con gamma
globuline per via EV), neonati con infezioni massive o casi dubbi.
L’acyclovir per os o E.V. può impiegato nei casi di meningite causata da Herpesviridae, l’AZT in quella da
Hiv. A parte questi casi la terapia si limita al controllo di eventuali disturbi metabolici (soprattutto la
SIADH), al trattamento sintomatico della cefalea (alleviata dalla somministrazione di analgesici e dalla
puntura lombare) e dell'edema cerebrale.
Si impone inoltre la valutazione di un eventuale interessamento encefalitico, poiché molti virus sono in grado
di dare sia meningite che encefalite asettica.
ENTEROVIROSI
Gli enterovirus sono così denominati per la loro capacità di moltiplicarsi nel tratto gastrointestinale, anche se
non sono una causa importante di gastroenteriti. Appartengono alla famiglia delle Picornaviridae e
comprendono 67 sierotipi umani così suddivisi:
-
3 sierotipi di poliovirus;
-
23 di coxsackie virus A;
-
6 di coxsackie virus B;
-
31 di Echovirus;
-
4 di Enterovirus.
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Il genoma è costituito da un singolo filamento di RNA, circondato da un capside icosaedrico formato da
quattro proteine virali (da VP1 a VP4 - VP1 è il principale bersaglio di anticorpi neutralizzanti). Il recettore
cellulare per i poliovirus appartiene alla superfamiglia delle immunoglobuline, quello per gli Echovirus è
l'integrina VLA-2 e quello per l'enterovirus 7 è il DAF (fattore accelerante il degrado).
L'infezione da poliovirus è limitata ai primati (uomo e scimmie antropomorfe), per la capacità delle loro
cellule di esprimere il recettore per il virus. Il poliovirus cresce bene cresce bene su linee cellulari continue
(HeLa, Hep2) dove manifesta una ECP rapido.
Gli enterovirus sono stabili in ambiente acido, compreso quello gastrico, resistono ai comuni disinfettanti e
possono persistere per giorni a temperatura ambiente. Resistenti anche all’etere.
Patogenesi e immunità
I poliovirus sono i meglio studiati e il loro modello di infezione costituisce un prototipo per tutti gli
enterovirus. Essi sono introdotti per via orale, infettano le cellule epiteliali della corsa nel tratto digerente
dopodiché diffondono e si replicano nel tessuto linfoide associato alle mucose (come le tonsille e le placche
del Peyer).
Dopo aver raggiunto i linfonodi regionali, entrano nel sangue (prima viremia minore) e si replicano nelle
strutture del SRE. In alcuni casi i poliovirus raggiungono ancora il sangue (viremia maggiore secondaria)
raggiungendo e replicandosi in vari organi, causando talvolta una malattia sintomatica. Il processo
patogenetico può però arrestarsi a uno qualunque degli stadi innanzi elencati, motivo per cui la maggior parte
delle infezioni sono asintomatiche.
Secondo recenti acquisizioni, i poliovirus raggiungono il SNC a attraverso i nervi periferici, penetrando al
livello della placca motrice. I virioni possono essere isolati nel sangue da 3 a 5 giorni dopo l'infezione, prima
dello sviluppo di anticorpi neutralizzanti: la replicazione virale continua nel tratto gastroenterico (per più di
tre settimane nell'orofaringe e per più di 8 nell'intestino).
L'immunità umorale conferisce protezione a vita contro malattie causate dello stesso sierotipo ma non
previene l'infezione e la diffusione del virus, per le quali è necessaria l'immunità secretoria (IgAs).
Epidemiologia
Gli enterovirus sono ubiquitari e molte delle loro infezioni sono asintomatiche (90% di quelle da poliovirus e
50% di quelle da altri enterovirus). Nella maggior parte dei casi il periodo di incubazione varia da due a
quattordici giorni. Le infezioni sono più comuni nelle aree socioeconomiche più svantaggiate, poiché la
maggior parte degli enterovirus trasmessa per via oro-fecale; altre vie di trasmissione sono quella per via
aerea (importante per i coxsackie A21), per inoculazione diretta negli occhi (come l'enterovirus 70,
responsabile di congiuntivite acuta emorragica) e la trasmissione attraverso la placenta.
Diagnosi
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Il metodo più usato è l'isolamento degli enterovirus su colture cellulari, anche se l'isolamento dalle feci o
dalle secrezioni faringee non prova che essi siano effettivamente associati con la malattia, poiché queste sedi
(soprattutto l'intestino) sono frequentemente colonizzate per settimane in pazienti con infezioni subcliniche.
In alcuni casi il virus può essere isolato solo dal sangue o solo dal liquor. È importante identificare gli
enterovirus responsabili di gravi infezioni durante le epidemie e differenziare i ceppi vaccinali di poliovirus
da altri enterovirus isolabili nel faringe e nelle feci. La PCR su liquor è molto sensibile (> 95%), specifica
(circa 100 %) ed è globalmente il migliore della cultura su linee cellulari (che spesso risultano negative nei
pazienti con immunodeficienza trattati con immunoglobuline), anche per l'elevato grado di omologia tra i
diversi sierotipi di enterovirus in posizione 5'- terminale del genoma, che permette l'individuazione con una
singola coppia di primer.
La diagnosi sierologica è limitata dall'ampio numero di sierotipi e l'utilità della sieroconversione è limitata a
studi epidemiologici (in tal caso il siero del paziente dovrebbe essere raccolto e congelato subito dopo l'inizio
della malattia e dopo quattro settimane).
Terapia
Nella maggior parte dei casi l'infezione da enterovirus non è grave e regredisce spontaneamente; nei pazienti
affetti da malattie cardiache, epatiche o del SNC, possono essere necessari trattamenti intensivi di supporto;
pazienti con ipogammaglobulinemia affetti da meningoencefalite cronica possono beneficiare della
somministrazione endovenosa, intratecale o intraventricolare di immunoglobuline. L'uso di Ig in alcuni casi
di infezione in neonati che non avevano acquisito anticorpi materni ha ridotto la viremia ma senza sostanziali
benefici clinici.
POLIOMIELITE
Esistono 3 sierotipi di poliovirus: il tipo 1 è responsabile di epidemie, il 2 è endemico, il 3 dà raramente
epidemie (questo ovviamente in epoca pre-vaccinale). L’immunità è stabile ma tipo-specifica, cioè non c’è
immunità crociata.
Prima della vaccinazione era endemico in Nordafrica. In Italia prima del 1963 c’erano mediamente 5-6
casi/105 abitanti (tipo 1); dopo l’introduzione del vaccino Sabin appena 0,002 casi /105.
L'infezione da poliovirus è nella maggior parte dei casi asintomatica: dopo un'incubazione variabile da 5 a 40
giorni (media: 17), solo il 5% nei pazienti presenta sintomi prodromici aspecifici (quali febbre, malessere,
anoressia, faringodinia, disturbi dell’alvo, cefalea...) che di solito regrediscono in 3 giorni. L' 1% dei pazienti
presenta una meningite asettica sierosa (polio non paralitica): l'esame del liquor mostra in questi casi
pleiocitosi (polimorfonucleata nelle prime 24 h poi linfocitaria), glicorrachia e protidorrachia normale; la
sindrome meningea è accompagnata da febbre e disturbi neurovegetativi con iperidrosi.
Dopo il periodo prodromico c’è un periodo intervallare di guarigione apparente (o reale nelle forme che non
evolvono).
18
La malattia paralitica costituisce il quadro di presentazione meno comune: essa segue generalmente di 1 o
più giorni la meningite asettica (che costituisce il periodo pre-paralitico). Si distinguono diverse forme:
-
forma spinale: compare inizialmente dolore al dorso, al collo e ai muscoli, seguito da rapido deficit
motorio, con distribuzione capricciosa assai varia a gruppi di muscoli o singole fibre, prossimale
(gambe, braccia, muscoli addominali) e compare durante la fase febbrile, senza progredire oltre
durante la defervescenza. All'E.O. si riscontrano deficit di forza, fascicolazioni, ipotonia e
iporeflessia. Non segni di deficit piramidale. Il sensorio è integro. La maggior parte dei pazienti
recupera alcune funzioni dopo settimane o mesi ma circa i 2/3 dei pazienti hanno esiti neurologici
permanenti dovuti alla rigenerazione delle fibre motrici superstiti che porta alla formazione delle
unità macromotrici (diminuita capacità di compiere movimenti fini e coordinati). Nella fase di
recupero c’è dissociazione albumino-citologica del liquor. Forma particolarmente grave è quella
ascendente tipo Landry (arti inferiori, tronco, arti superiori, bulbo);
-
forma bulbo-pontina: paralisi isolata mono o bilaterale dei nervi cranici VII, IX, X; disfagia e
insufficienza respiratoria per interessamento dei centri bulbari cardiorespiratori;
-
forma cerebellare: atassia e incordinazione motoria;
-
forma mesencefalica: oculoplegia e sonnolenza;
-
forma encefalitica: paralisi spastica, convulsioni, iperpiressia, coma. In presenza di una paralisi
spastica insorta di recente la possibilità di polio non va scartata.
Le forme con insufficienza respiratoria (quella bulbare soprattutto, ma anche le forme spinali o quelle con
disturbi della deglutizione) sono le più gravi perché minacciano la vita del malato.
La malattia paralitica è meno comune nei bambini, motivo per cui è MENO diffusa nei Paesi meno
sviluppati, in cui la prima infezione si verifica in età precoce (talvolta quando sono ancora presenti gli Ab
protettivi materni).
La sindrome post polio si manifesta a distanza anche di 20-30 anni con una nuova comparsa di riduzione
della forza faticabilità, fascicolazioni, dolore e atrofia che interessano i muscoli già interessati dalla polio ma
non solo. La prognosi è comunque buona, con progressione molto lenta e periodi di stazionarietà anche
lunghi. Piuttosto che a un'infezione persistente o a una reinfezione, si ritiene che la sindrome post polio sia
determinata dalla disfunzione dei motoneuroni residui dovuti a senescenza.
Anatomia patologica
A livello del SNC si hanno fenomeni regressivi cellulari (cromatolisi, scomparsa corpi di Nissl, picnosi
nucleare seguiti da citolisi e neurofagocitosi) accompagnati da fenomeni infiammatori reattivi (infiltrati
linfomonocitari perivascolari). Le aree più colpite sono le corna anteriori del MS, soprattutto a livello del
rigonfiamento lombare e cervicale, nuclei dei nervi cranici, talamo/ipotalamo, verme cerebellare. Le lesioni
muscolari da denervazione consistono in atrofia, fibrosi e sostituzione con tessuto fibroadiposo.
19
Prognosi
La letalità oscilla tra il 3 e il 25% ed è particolarmente elevata nelle forme bulbari con insufficienza
respiratoria se non si interviene con ventilazione meccanica. Il recupero funzionale è difficilmente
prevedibile all’inizio ma si giova della fisiocinesiterapia riabilitativi.
Prevenzione
Dopo l'introduzione del vaccino i casi di poliomielite sono vertiginosamente diminuiti a partire dai primi
anni '60 in tutti i Paesi che l'hanno adottato, Italia compresa. Due sono i tipi di vaccino attualmente usati:
-
IPV (Salk): vaccino con poliovirus inattivato in formalina; è raccomandato negli adulti poichè essi
presentano un modesto aumento del rischio di paralisi con l'altro vaccino;
-
OPV (Sabin): oral poliovirus vaccine, ottenuto per tutti e 3 i sierotipi attraverso passaggio in colture
di rene di scimmia; Siccome i ceppi OPV differiscono da quelli selvaggi per un numero limitato di
nucleotidi (circa 60) è possibile che avvenga un processo di retromutazione che porta alla
riacquisizione della patogenicità del ceppo selvaggio (in effetti attualmente gli unici casi di
poliomielite negli USA sono dovuti all'OPV): per questo dal 1996 il CDC raccomanda il seguente
schema vaccinale: 2 dosi di IPV somministrati al 2° e al 4° mese; 2 dosi di OPV a 16-18 mesi e a 4-6
anni di età.
Si prevede di poter eradicare la poliomielite nel mondo entro tempi brevissimi, così da eliminare il rischio di
polio da importazione. La vaccinazione è tanto più importante se si considera che la malattia non ha una
terapia specifica efficace.
INFEZIONI DA MENINGOCOCCO
La Neisseria meningitidis può causare diverse manifestazioni nosologiche, ma le più comuni (e temibili)
sono la setticemia e la meningite. L’andamento clinico è vario ma in alcuni casi può essere acutissimo, e la
morte sopravviene entro poche ore dall’esordio dei sintomi. Poche malattie possono competere con la
meningite meningococcica quanto a rapidità del decorso.
La N. meningitidis è un diplococco G- con aspetto tipico “a chicco di caffè”; cresce meglio in terreni
arricchiti (agar-sangue e agar-cioccolato) o selettivi a 37°C in CO 2 al 10%. È altamente sensibile al
raffreddamento e all’essiccamento (aspetto che condiziona il tipo di contagio e la possibile presenza di falsi
negativi di campioni di tampone faringeo).
Le varie specie di Neisseria vengono differenziate sulla base della capacità di utilizzare zuccheri: ad es. N.
meningitidis utilizza glucosio e maltosio ma non lattosio e saccarosio (DD con altre Neisserie); essa inoltre si
distingue rispetto agli altri meningococchi per la presenza di una capsula polisaccaridica.
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Sulla base degli Ag glicosidici capsulari le neisserie possono essere divise in 13 sierogruppi: di questi i
gruppi A, C, Y, W135 e 29E causano da soli il 99% delle infezioni meningococciche. Il gruppo A era
prevalente negli anni ’60; a partire dalla fine degli anni ’70 ha acquistato importanza il gruppo Y.
Epidemiologia
I meningococchi danno infezioni solo nell’uomo e il loro habitat usuale è il nasofaringe: il contagio è di tipo
interumano diretto, attraverso le gocce di Flugge e il contatto diretto; la neisseria infatti non sopravvive a
lungo in ambiente esterno.
Nei periodi non epidemici la percentuale di portatori nella comunità è limitata a 10, ma può raggiungere 60
nelle popolazioni chiuse in ambienti affollati. Nei periodi epidemici la percentuale sale anche al 90%, poiché
in tutti coloro che hanno contatti con i malati la neisseria alberga nel rinofaringe.
I portatori possiedono Ab specifici contro il ceppo colonizzante: la colonizzazione progredisce solo in una
minoranza di casi e se ciò avviene è solo nei primi giorni dopo la colonizzazione, quando non si sono ancora
sviluppati gli Ab specifici.
Epidemie a larga scala vengono regolarmente riportate dall’Africa, dalla Cina e dal Sud America: essi sono
quasi sempre causati dal serovar A. L’affollamento e il basso standard sociosanitario rappresentano fattori di
rischio determinanti. In Africa l’incidenza diminuisce nettamente con l’avventi della stagione delle piogge: è
stato ipotizzato che la polvere interferisca con la secrezione nasale di IgAs protettive.
Patogenesi
Dopo l’adesione alla mucosa nasofaringea, i meningococchi capsulati vengono trasportati attraverso le
cellule epiteliali non ciliate entro grandi vacuoli fagocitari, a livello della sottomucosa, a diretto contatto con
i vasi e le cellule. L’infezione nasofaringea è quasi sempre subclinica. Dopo una breve fase di adattamento i
germi passano in circolo, dove vanno incontro a due destini:
-
vengono eliminati dall’azione combinata del C’, degli Ab specifici e delle cellule fagocitarie;
-
si moltiplicano a una ritmo nettamente superiore a quello della loro eliminazione.
Nel secondo caso la drammaticità del decorso è unica: un soggetto in buona salute può morire in poche ore
per shock irreversibile accompagnato da diatesi emorragica.
L’LPS svolge un ruolo centrale nella patogenesi della malattia: i suoi livelli plasmatici dosati correlano
abbastanza bene con la gravità della malattia. Nella malattia fulminante i livelli di LPS sono infatti i più alti
riscontrabili nell’uomo e provocano l’attivazione sistemica della dei sistemi connessi con la risposta
infiammatoria, vale a dire il C’, la cascata coagulativa, il sistema delle chinine, la fibrinolisi e la produzione
di citochine e NO.
21
Pur essendo la meningococcemia disseminata una malattia essenzialmente batteriemica, la N. meningitidis
ha un marcato tropismo per le meningi e la cute, in minor misura anche per la sinovia, le sierose e i surreni:
la presentazione più comune complessivamente è costituita dalla meningite e dalla sepsi.
Il meningococco aderisce tenacemente all’endotelio cerebro-vascolare e passa attraverso la parete dei vasi
sanguigni con un meccanismo non noto; una volta penetrata la BBB (Brain-Blood Barrier) la permeabilità di
questa aumenta notevolmente per la produzione locale di citochine indotta dall’elevata concentrazione di
endotossina nel liquor (da 100 a 1000 volte superiore a quella di campioni di plasma prelevati
contemporaneamente negli stessi individui).
La meningococcemia disseminata si verifica esclusivamente in individui che non possiedono Ab protettivi
nei confronti del ceppo in causa: in tal senso i neonati sono relativamente protetti dagli Ab materni poi essi
vengono rapidamente catabolizzati e l’incidenza aumenta, raggiungendo un picco tra 6 e 12 mesi.
Successivamente essa torna di nuovo a diminuire mano mano che vengono acquisiti gli Ab in seguito alla
colonizzazione ad opera di batteri strettamente correlati al meningococco ma non patogeni, come la N.
lactamica e la N. meningitidis non virulenta oppure E. coli K1. Queste specie di Neisseria agiscono quindi da
vaccini naturali, in modo che quando il meningococco patogeno colonizza il rinofaringe i bambini
possiedono già Ab opsonizzanti e citotossici verso un ampio spettro di meningococchi patogeni. Il
meningococco può persistere nel rinofaringe anche in presenza di elevati livelli sierici di Ab protettivi. Gli
Ab protettivi sono di 2 tipi:
-
opsonizzanti (diretti verso Ag capsulari);
-
batteriolitici (diretti verso Ag proteici) via C’: NON garantiscono protezione assoluta (5% dei malati
in corso di epidemie si ammalano).
L’integrità della cascata complementare è essenziale per la protezione, in quanto le Neisserie sono tra i pochi
batteri lisati direttamente dal MAC (Membrane Attach Complex): individui portatori di deficit delle proteine
della cascata terminale del C’ sviluppano attacchi ricorrenti di malattia meningococcica, anche se in forma
non grave, poiché la funzione opsonizzante del C’ è generalmente integra e anche perché la mancata lisi
plasmatici riduce la frazione di LPS liberato. La prevalenza di individui con deficit genetico del C’ è bassa
ma tale anomalia immunitaria può risultare anche da diverse malattie sistemiche come il LES e la GN
membrano-proliferativa.
Più grave invece è il deficit della properdina, una malattia legata al sesso che impedisce l’attivazione del C’
per via alternativa (cioè indipendente dall’anticorpo). Infine anche gli individui ipogammaglobulinemici
(deficit primitivo isolato di IgM o asplenia funzionale) hanno un rischio aumentato ma in essi la principale
suscettibilità è verso lo pneumococco.
È stata ipotizzata l’associazione tra infezione meningococcica e infezioni delle vie respiratorie alte, ma essa
si è rivelata debolmente significativa solo per l’influenza A.
22
Clinica
Tra lo spettro delle infezioni meningococciche la sequenza temporale tipica è la seguente:
-
infezione vie respiratorie superiori: una limitata percentuale di pazienti lamenta sintomi generici
come febbre o prodromi quali rinorrea, tosse, cefalea, odinofagia; non è chiaro se essi siano da
imputare direttamente al meningococco oppure ad altri patogeni che ne facilitano la diffusione;
-
meningococcemia: 30-40% dei pazienti la presenta, pur senza segni clinici di meningite; la gravità
spazia ampiamente da modeste forme batteriemiche alla sepsi fulminante, con esordio improvviso
caratterizzato da vomito, rash cutaneo (maculo-papulare, petecchiale o ecchimotico), artralgie e
mialgie; la febbre è quasi sempre molto alta, tranne alcuni casi fulminanti, dove ci può essere invece
ipotermia accompagnata da un rash molto grossolano con formazione di estese ulcerazioni
sovrapposte a bolle emorragiche. A differenza delle sepsi causate da altri microrganismi, le petecchie
non sono causate solo dalla CID (che consuma i fattori della coagulazione), ma da un tropismo
specifico per i vasi. Segni prognostici sfavorevoli sono costituiti da: petecchie ampie e diffuse,
ipotensione, riduzione della perfusione periferica, assenza di segni di meningismo;
-
Forma acuta fulminante (s. di Waterhouse-Fridericksen): molto aggressiva e ad evoluzione
rapidamente fatale (anche in meno di 10 h dall’esordio); l’incidenza è il 20% di tutte le
meningococcemie. I segni clinici sono quelli comuni dello shock settico, cui si aggiunge la porpora,
che aumenta rapidamente di dimensione estendendosi oltre che alla cute alle mucose e alcuni organi
interni (soprattutto i surreni). La mortalità è elevatissima, intorno al 50-60%, ed è dovuta per lo più a
insufficienza cardiaca o respiratoria: coloro che sopravvivono portano comunque lesioni cutanee
permanenti, talvolta addirittura la mutilazione degli arti a causa della gangrena. Anche la malattia di
Addison di grado variabile è comune;
-
Forma cronica: sindrome rara (1-2% di tutti i casi di malattia meningococcica, quasi sempre in
pazienti con deficit del C’) della durata di settimane o mesi con eruzione maculo-papulare o
petecchiale; è più difficile da diagnosticare perché nei periodi afebbrili i pazienti possono apparire in
ottima salute: tuttavia la mancata diagnosi può portare all’instaurarsi della malattia disseminata;
-
Meningite meningococcica: la maggior parte dei pazienti mostra segni di irritazione meningea
(triade classica: cefalea nucale, fotofobia, vomito centrale, cui si aggiunge talvolta letargia), che non
differiscono significativamente da quelli associate alle meningiti da altri agenti eziologici (unico
elemento presuntivo può essere il rash ad impronta petecchiale). I lattanti spesso non hanno segni
specifici ma solo la fontanella tesa e allargata; i segni specifici sono sovente assenti anche negli
anziani e nelle forme fulminanti. Con la progressione della malattia invece possono comparire
convulsioni, paresi dei nervi cranici ed emiparesi o altri segni neurologici focali. Manifestazioni
meno comuni: comprendono l’artrite, la polmonite, la congiuntivite e l’endoftalmite. In particolare
l’artrite colpisce le grandi articolazioni, ma i meningococchi raramente vengono isolati dal liquido
sinoviale: si tratta infatti di una forma immunologicamente mediata che non dà esiti particolari.
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L’endocardite e la pericardite sono diventati quadri estremamente rari dopo l’introduzione degli
antibiotici.
Tra le complicanze le più temibili sono quelle neurologiche, che possono essere il risultato dell’infezione
diretta del parenchima cerebrale (è il caso della cerebrite o dell’ascesso), del danno dei nervi cranici
risultante dal passaggio di essi attraverso le meningi infiammate, di un infarto venoso o arterioso
(convulsioni, infarto), dell’edema cerebrale (ipertensione endocranica), di ostacolo al deflusso del liquor
(idrocefalo) e al versamento sottodurale (effetto massa). Oltre a queste si può avere la riacutizzazione
dell’herpes labiale, analogamente a quanto avviene in corso di altre gravi infezioni acute.
Laboratorio
Di solito nella malattia disseminata i meningococchi possono essere isolati, oltre che dal sangue, dal liquor,
dalle lesioni petecchiali e dai fluidi posti all’interno delle cavità sierose, ma non dal liquido sinoviale.
Mediante test di immunoelettroforesi o agglutinazione in lattice è poi possibile evidenziare i polisaccaridi
capsulari gruppo-specifici nei liquidi corporei, ma con una sensibilità estremamente bassa (fino al 50% di
falsi negativi): tuttavia sono utili quando le emocolture sono falsamente negative per una precedente terapia
antibiotica; in questo caso risultano utili esami più sofisticati come la PCR su liquor. Per una diagnosi
retrospettiva ci si basa sulla sieroconversione durante la convalescenza.
Altri dati di laboratorio, utili ma non affatto specifici sono la leucocitosi neutrofili (tranne nei pazienti con
forma fulminante che possono essere invece marcatamente neutropenici e/o piastrinopenici); il PTT aumenta
sempre in corso di CID.
Reperti indicativi di meningite sono l’ipertensione endocranica, la proteinorrachia, l’ipoglicorrachia e nella
maggior parte dei casi anche la pleiocitosi (100-20000 leucociti per campo).
Diagnosi
Nella fase acuta la meningococcemia disseminata non differisce apprezzabilmente da altre infezioni acute
sistemiche, come l’influenza o qualsiasi altra forma virale. Per questo in assenza di segni indicativi di
meningismo la malattia può essere misconosciuta all’inizio, mentre è essenziale una diagnosi tempestiva. Per
cui è opportuno ricercare attentamente, anche nelle pieghe cutanee, lesioni maculo-papulari che poi
progrediscono a ecchimotiche e purpuriche (può essere opportuno segnarle con un pennarello per valutarne
l’evoluzione); esse possono ricordare quelle delle infezioni da Mycoplasma, Echovirus 9 o la febbre
bottonosa. Ogni paziente febbrile che presenti eruzione petecchiale deve essere trattato come se fosse affetto
da infezione meningococcica.
In assenza dell’esantema la meningite meningococcica non è distinguibile da quella causata da altri patogeni.
La diagnosi definitiva è fatta in base all’isolamento del germe da vari liquidi corporei e dagli aspirati
petecchiali: l’isolamento dal nasofaringe permette solo di stabilire la condizione di portatore.
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Terapia
Innanzitutto si procede al prelievo di sangue per le emocolture; il trattamento va comunque iniziato subito
senza attendere i risultati. Nei pazienti ospedalizzati è opportuno praticare un accesso venoso diretto per gli
antibiotici; a domicilio, se ciò è difficoltoso, si può usare la via IM utilizzando un grande numero di accessi,
visto l’elevato volume di antibiotici da iniettare.
La penicillina G rimane il farmaco di scelta (20-24 milioni di U ev per 15 gg), ma prima dell’identificazione
certa del meningococco si usano cefalosporine di III generazione, poiché hanno una maggiore attività contro
i comuni patogeni capaci di causare meningite, scarsa tossicità e buona capacità di penetrazione attraverso la
BBB. Inoltre sono efficaci anche contro ceppi di N. meningitidis resistenti alla penicillina G, segnalati
soprattutto nel Sudafrica e in Spagna. Il cloramfenicolo può sostituire efficacemente la penicillina G nei
pazienti allergici.
Terapia di supporto
Essendo il decorso imprevedibile, i pazienti devono essere mantenuti in strettissima osservazione per le
prime 48 h, monitorando la PA, il polso, la diuresi, la PVC e la temperatura centrale e periferica. Segni
prognostici negativi al momento del ricovero sono una bassa conta leucocitaria, un’eruzione purpurica
rapidamente progressiva e l’assenza di segni di meningismo.
In presenza di segni anche iniziali di evoluzione a shock settico devono essere attuate le misure di supporto
alla circolazione e alla ventilazione polmonare. La dialisi permette una pronta correzione dell’acidosi e degli
squilibri elettrolitici, vista la frequente anuria escretoria associata e pertanto andrebbe fatta precocemente.
Praticamente tutti pazienti con malattia disseminata grave sviluppano una CID marcata: il trattamento con
eparina non aumenta la sopravvivenza tuttavia può essere tentato in associazione con plasma fresco in
pazienti gravemente coagulopatici a rischio di sviluppo di gangrena: il plasma fresco serve a ripristinare i
livelli di antitrombina III, proteina C ed S (inibitori della coagulazione), che sono ridotti.
L’ipertensione endocranica viene trattata con la restrizione di liquidi, ma siccome ciò è controproducente per
lo shock, si preferisce usare il mannitolo (0,25-1 g/Kg).
Gli studi per stabilire l’efficacia di agenti anti-endotossine sono ancora in corso.
Prognosi
Una volta era infausta nella quasi totalità dei casi: con l’introduzione degli antibiotici è scesa al 10%, ma
rimane sopra il 50% nello shock settico: la maggior parte delle morti si verifica nelle prime 24-48 h dal
momento del ricovero. Anche i reliquari possono essere notevoli: essi comprendono sordità, paralisi dei
nervi cranici e deficit neurologici.
Principali criteri prognostici sfavorevoli sono: shock in atto, febbre superiore ai 40°C, mancanza di
leucocitosi, trombocitopenia, elevata antigenemia, età estrema.
25
Prevenzione
È indicata nelle seguenti categorie:
-
familiari di casi sporadici;
-
viaggiatori che si recano in aree di epidemia;
-
persone che vivono per lunghi periodi in ambienti affollati (ad es. reclute).
Le misure da attuare prevedono:
-
chemioprofilassi con schemi specifici (rifampicina, ciprofloxacina, minociclina) o una tantum
(ceftriaxone); sulfadiazina se c’è evidenza epidemiologica che oltre il 90% dei ceppi è sensibile; la
penicillina non è efficace perché non eradica la Neisseria dall’orofaringe; la profilassi va fatta anche
nei malati trattati, prima della dimissione;
-
vaccino: disponibile il vaccino polivalente diretto contro 4 serovar (A, C, Y, W135; l’Ag di gruppo
B non è immunogeno): esso ha efficacemente diminuito i casi di meningite tra le reclute; nei
bambini con meno di 2 anni la risposta anti C è però scarsa.
MENINGITE STREPTOCOCCICA
Streptococcus pneumoniae è secondo per frequenza dopo il meningococco, quale causa di meningite
purulenta negli adulti. H. influenzae nei bambini è più comune della forma pneumococcica.
La meningite pneumococcica si può sviluppare come malattia primaria senza segni d’interessamento in altre
sedi, ma più spesso origina per diffusione da focolai di otite, mastoidite o sinusite, oppure consegue a fratture
craniche inapparenti (specie dell’etmoide e del temporale). Soggetti affetti da mieloma multiplo, anemia
falciforme, splenectomizzati ed etilisti, sono particolarmente predisposti a quest’infezione più che alle
polmoniti.
La sintomatologia è quella tipica delle meningiti batteriche acute, con febbre, cefalea, alterazioni psichiche,
rigor nucale e rachideo; spesso più che in altre forme si manifestano fenomeni convulsivi. Il liquor si
presenta opalescente o francamente purulento, giallo-verdastro, con iperprotidorrachia, ipoglicorrachia e
pleiocitosi neutrofila; a volte il numero degli elementi cellulari non appare molto elevato, mentre è sempre
frequente il riscontro degli pneumococchi nel sedimento.
Il decorso si dimostra impegnativo, poiché la forma ha tendenza a complicarsi con blocchi liquorali,
alterazioni vascolari cerebrali (tromboflebite, arterite) e con raccolte subdurali a sintomatologia compressa.
La particolare ricchezza in fibrina nell’essudato crea ostacoli all’azione degli antibiotici, per cui la letalità
risulta elevata (30-50%) anche nei casi trattati precocemente.
La terapia si basa sull’uso di benzilpenicillina o ampicillina qualora sia stata dimostrata la sensibilità in vitro
di S. pneumoniae alla penicillina.
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MENINGITE DA HAEMOPHILUS INFLUENZAE
La meningite da H. influenzae si manifesta prevalentemente in età infantile (6 mesi – 2 anni) dopo
scomparsa degli anticorpi protettivi materni e prima che il bambino abbia acquisito naturalmente l’immunità
verso tale patogeno. L’infezione meningea è abbastanza rara nel nostro paese. Negli USA prima del 1985 la
frequenza era elevata, ma dopo l’impiego estensivo della vaccinazione anti H. influenzae è diminuita
drasticamente (81%).
La sindrome meningea compare bruscamente o in modo graduale, preceduta spesso da interessamento delle
vie aeree superiori. L’aspetto e le caratteristiche biochimico-citologiche del liquor sono quelli comuni a tutte
le forme purulenti batteriche. L’evoluzione della malattia trattata correttamente si dimostra generalmente
favorevole; tuttavia non sono rare le complicanze quali raccolte purulenti subdurali e le recidive. Le
cefalosporine di III generazione sono gli antibiotici di prima scelta.
MENINGITE TUBERCOLARE
È spesso secondaria a diffusione linfoematogena da un focolaio polmonare o linfoghiandolare; meno spesso
la meningite deriva dalla rottura di un tubercoloma cerebrale o spinale. Oggi la malattia non è molto
frequente, in passato prediligeva l’età infantile.
Per l’anatomia patologica, il reperto è caratteristico: si osservano iperemia diffusa delle leptomeningi ed
edema cerebrale con appiattimento delle circonvoluzioni; l’essudato, grigiastro o grigio-verdastro, è raccolto
soprattutto nelle cisterne della base, tra chiasma e ponte, e spesso avvolge a manicotto i nervi cranici e i vasi
che decorrono lungo le formazioni mediane. Piccoli tubercoli traslucidi sono disseminati lungo i vasi
arteriosi meningei, soprattutto nella fossa silviana.
Nel bambino, particolarmente nel lattante, la meningite tubercolare ha inizio brusco e rapida evoluzione,
caratterizzata da crisi convulsive subentranti, torpore psichico, paralisi dei nervi cranici (strabismo,
anisocoria). I segni strettamente meningei sono poco evidenti: fontanella bregmatica tesa e pulsante, ma a
volte è normale o avvallata. Nell’adolescente e nell’adulto la malattia esordisce con prodromi poco
significativi (astenia, sonnolenza oppure insonnia, cefalea); in alcuni giorni o qualche settimana la cefalea e
le condizioni del sensorio si aggravano, compare vomito e si instaura una sindrome meningea conclamata
(rigor, contrattura dei muscoli addominali, segni di Kernig, Brudzinski, Binda). Abbastanza frequente e
precoce la compromissione dei nervi oculomotori (anisocoria, ptosi palpebrale, strabismo), mentre rare sono
le paralisi centrali del facciale e dell’ipoglosso. Il fondo oculare presenta spesso pallore o edema papillare e
tubercoli coroidei patognomonici. Nei casi non trattati compaiono convulsioni, disturbi della deglutizione,
fonazione e respirazione (di origine bulbare) e deficit motori transitori o irreversibili degli arti;
contemporaneamente peggiorano le alterazioni psichiche, fino allo stato di coma profondo.
Il liquor si presenta iperteso (a meno che non si siano stabiliti blocchi), limpido oppure smerigliato,
pulverulento. Lasciato a 37°C per qualche ora, mostra sovente la formazione di un fine reticolo di fibrina a
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ragnatela (reticolo di Mya). La protidorrachia è elevata (da 50 a 400-500mg/dL), spiccata e tipica la
diminuzione della glicorrachia (20-30 mg/dL) e dei cloruri (500-600mg/dL). Gli elementi cellulari sono i
linfociti, ma nelle fasi iniziali a volte prevalgono i neutrofili.
Per quanto riguarda la diagnosi, il micobatterio tubercolare può talora essere identificato al semplice esame
batterioscopico del sedimento del liquor; in caso di negatività comunque vanno sempre effettuate le indagini
colturali in adatti terreni. Una tecnica diagnostica più rapida è la PCR.
La letalità è elevata nella prima infanzia e negli individui defedati e malnutriti. La terapia va condotta per i
primi mesi in ambiente ospedaliero. Il regime più consigliato è la somministrazione di isoniazide, più
rifampicina, più etambutolo.
ENCEFALITE DA HERPES SIMPLEX VIRUS
HSV costituisce la causa più frequente di encefalite virale acuta. La distribuzione dei casi nelle varie classi di
età è di tipo bifasico, con un picco tra i 3 ed i 50 ed un altre dopo i 50 anni. HSV1 causa il 90% delle
infezioni a localizzazione neurologica nei bambini e negli adulti, mentre nei neonati il 75% dei casi è dovuto
ad HSV2, che contamina il canale del parto.
I meccanismi patogenetici sono vari. Nei bambini e negli adulti l’interessamento neurologico consegue più
spesso ad un’infezione primaria o ad un’infezione esogena. Il virus raggiunge il SNC risalendo lungo le fibre
del nervo olfattorio o durante un episodio viremico. A volte l’encefalite è preceduta o accompagnata dalle
tipiche lesioni erpetiche mucocutanee. Dai gangli trigeminali, i virus raggiungerebbero l’encefalo per
diffusione centripeta. Le lesioni consistono in focolai necrotico-emorragici documentabili anche durante
l’iter diagnostico con TAC e RMN. Nelle forme dell’adulto più spesso i focolai sono localizzati alla
corteccia temporale e al ponte.
La patologia esordisce con febbre e alterazioni neurologiche sovente indicative di lesione del lobo temporale:
convulsioni (40% dei casi), paralisi, alterazioni psichiche, rigor nucale e rachideo. Nel 95% dei pazienti si
osservano segni focali (disturbi dell’olfatto e del gusto), disfagia, anomalie EEG localizzate. La malattia
risulta spesso mortale: la letalità, nei casi non trattati, si aggira intorno al 70% per le forme da HSV1 e al
60% per le encefaliti neonatali da HSV2.
La diagnosi viene raggiunta con la dimostrazione del DNA virale nel liquor mediante la PCR. TAC e RMN
forniscono utili informazioni presuntive: la dimostrazione di un focolaio di tipo necrotico-emorragico in sede
temporale depone a favore dell’eziologia erpetica. Per quanto riguarda la terapia, l’aciclovir, più efficace e
meglio tollerato, costituisce il farmaco di prima scelta (10mg/kg ev 3 volte al dì per 14-21gg).
RABBIA
È una malattia infettiva acuta sostenuta dal Rhabdovirus che colpisce gli animali a sangue caldo e
accidentalmente l’uomo causando una encefalite di regola mortale.
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Il Rhabdovirus è un virus ad RNA, con capside elicoidale mantellato che viene distrutto da calore, etere,
formalina ed alcol 70°.
Si riconoscono 2 tipi di rabbia:
-
Rabbia urbana legata ad animali domestici in paricolare i cani (ma anche gatti, bovini, equini);
-
Rabbia silvestre legata ad animali selvatici in particolare la volpe (in Europa) ma anche lupi,
sciacalli, ratti, scoiattoli, cervi e pipistrelli (in USA).
La malattia è diffusa lungo le catene montuose dell’arco alpino e appenninico. Oggi la situazione è sotto
controllo grazie alla vaccinazione delle volpi tramite polpette.
Il virus viene trasmesso dalla saliva degli animali rabici tramite morsicatura o graffiamento o lambimento di
zone cutanee lese.
Nel cane la saliva infetta da 3 giorni prima delle manifestazioni cliniche quindi nel dubbio è importante
tenere l’animale in osservazione.
La malattia si osserva nel 50% dei casi esposti e dipende dalla quantità di virus inoculato, innervazione della
zona di introduzione (massimo contagio in capo, collo e polpastrelli) e dal fatto che la cute sia esposta o
ricoperta da indumenti.
Il virus si replica a livello dei fusi muscolari che si trovano nella giunzione neuromuscolare, quindi diffonde
in via retrograda alle radici dorsali del midollo e quindi va ad interessare i neuroni midollari sensitivi, infine
diffonde per via transinaptica ascendente al SNC.
Nel SNC avviene la seconda replicazione del virus all’interno dei neuroni (non interessa le cellule della glia)
e quindi il virus diffonde in modo centrifugo lungo i nervi autonomici fino a raggiungere altri tessuti tra cui
le ghiandole salivari per cui viene eliminato con la saliva. Il meccanismo di azione del virus è oscuro.
Anatomia patologica
Il cervello appare friabile, edematoso e congesto. La necrosi neuronale è minima, mentre si ha interferenza
con la neurotrasmissione. Sono presenti caratteristiche inclusioni citoplasmatiche nelle cellule piramidali,
ganglionari e nelle cellule cerebellari del Purkinje dette corpi di Negri che appaiono come formazioni
rotonde o ovalare di 1-15 μm acidofile in sede paranucleare. Si può avere interferenza con la
neurotrasmissione. I corpi di negri possono essere presenti anche a livello miocardico dove è presente
miocardite.
Clinica
Nel cane si ha una fase prodromica di 2-3 giorni con febbre, anorresia ed irritabilità. Nella forma furiosa che
dura 3-7 giorni con tremori, agitazione, aggressività, spesso convulsioni, il cane ringhia costantemente e
morde animali ed oggetti, alla fine si ha morte preceduta da un breve periodo paralitico.
29
Nella forma paralitica invece si ha paralisi della mandibola, salivazione eccessiva, crisi di soffocazione e
afonia, paralisi e morte.
Nell’uomo il periodo di incubazione è di 2-3 settimane. Il periodo prodromico è caratterizzato da febbre,
anorresia, cefalea, nausea, faringodinia, parestesie nella regione della morsicatura, cambio di personalità.
Nella forma furiosa si verifica ipereccitazione psichica e motoria per irritazione ed ipereccitabilità del SNC.
Le manifestazioni cliniche sono rappresentate da iperestesia cutanea, fotofobia, idrofobia, intolleranza ai
rumori, insonnia, agitazione, allucinazioni sensoriali olfattive e gustative, senso di paura.
Si ha inoltre aumento del tono muscolare con spasmi muscolari che si differenziano da quelli del tetano
perché mentre questi si inscrivono in uno stato di contrazione generalizzata quelle della rabbia terminano con
uno stato di rilasciamento muscolare. Si ha febbre irregolare, tachicardia, aritmie cardiache, stipsi, ritensione
urinaria, scialorrea con bava alla bocca.
Si verificano anche crisi convulsive generalizzate con opistotono, spasmi dei muscoli respiratori e
aggressività. La morte interviene in 4-5 giorni preceduta o non da manifestazioni paralitiche.
Nella forma paralitica manca la fase eccitatoria e si verifica paralisi ascendente che inizia dalla regione
colpita dalla morsicatura e sale progressivamente fino ai centri bulbari, infine si ha coma e morte.
La prognosi è infausta: solo 4 casi al mondo sopravvissuti.
Diagnosi
Le indagini di laboratorio rivelano leucocitosi neutrofila, EEG alterato e ECG da danno miocardico. È
importante l’osservazione dell’animale morsicatore per 10 giorni. L’isolamento del virus può essere fatto da
saliva, urine, liquor, secrezioni nasali e congiuntivali, viene fatta quindi coltura su cellule diploidi umane in
linea continua.
Si può fare anche l’immunofluorescenza diretta su campioni bioptici per l’identificazione di Ag specifici.
All’autopsia si può fare dimostrazione dei corpi di Negri nell’Ippocampo e nel cervelletto.
Terapia
È importante lavare e disinfettare bene la ferita ciò riduce il rischio del 90%. In caso di zone a basso rischio
si fa l’osservazione dell’animale per 10 giorni, in caso di comparsa di sintomatologia sospetta viene fatta la
profilassi. In zone a basso rischio o se non è stato ritrovato l’animale morsicatore si fa immunoprofilassi
passiva con Ig umane 20 UI/Kg (siero antirabbico) intorno alla ferita e lontano dall’inoculo del vaccino (se
sono disponibili solo Ig eterologhi la dose è doppia).
Viene quindi inoculato il vaccino im nel deltoide costituito da ceppi virali coltivati su cellule diploidi umane
inattivati (HDCV).
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La terapia inoltre comprende ricovero in reparto intensivo, sedativi, respirazione assistita, curarizzazione ed
alimentazione parenterale.
Viene inoltre fatta la profilassi tramite vaccinazione di animali domestici e selvatici e delle popolazioni a
rischio: veterinari, laboratoristi, cacciatori, esposti a morsicature in zone a rischio. Si somministrano 3 dosi di
HDCV con richiami almeno ogni 2 anni. In caso di morsicatura è sufficiente fare il richiamo del vaccino.
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INFEZIONI DELLE VIE RESPIRATORIE
Le infezioni delle vie respiratorie vengono distinte in infezioni delle alte vie ed infezioni delle basse vie. Le
infezioni delle alte vie sono:
•
faringotonsillite;
•
otite;
•
sinusite.
Mentre le infezioni delle basse vie sono:
•
polmonite;
•
bronchite.
Per quanto riguarda l'epidemiologia, circa il 20% delle prescrizioni di antibiotici negli Stati uniti sono
effettuate per le infezioni delle alte vie respiratorie, invece in Europa queste interessano circa il 40% delle
prescrizioni, di cui il 70% in pazienti pediatrici. Per quanto riguarda l'Italia, la quota delle prescrizioni per
infezioni delle alte vie si aggira intorno al 30%, di cui il 70% in pazienti pediatrici.
OTITI
L'otite è un'infiammazione a carico dell'orecchio. Può avere decorso acuto o cronico. In base alla parte di
orecchio colpito si distinguono in:
-
otite dell'orecchio esterno o otite esterna;
-
otite dell'orecchio medio o otite media;
-
otite dell'orecchio interno o otite interna.
A loro volta sono suddivise in:
-
acute, quando la malattia inizia e si conclude definitivamente;
-
croniche, quando la malattia non guarisce completamente, attraversando fasi di minore o maggiore
gravità.
Per quanto riguarda le otiti, vi sono vari tipi di criteri di classificazione. Per quanto riguarda la localizzazione
è possibile distinguere le otiti in otiti esterne ed otiti medie. La distinzione clinica delle otiti prevede una
suddivisione in: acuta, cronica, ricorrente. Un'ulteriore suddivisione delle otiti si basa sulla secrezione, che
può essere: sierosa; mucosa; purulenta. Le otiti, più precisamente, vengono distinte in:
-
otite media acuta, a rapida insorgenza;
-
riacutizzazione della otite media;
-
otite esterna.
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In base a questo schema vi saranno anche diverse agenti eziologici responsabili. La patogenesi dell'otite
acuta è influenzata da una preesistente infezione virale. L'infezione virale determina innanzitutto una
disfunzione delle tube d'Eustachio, che collegano l'orecchio medio alla faringe. A seguito della disfunzione, i
batteri del nasofaringe colonizzano le tube d'Eustachio e da qui possono risalire fino a raggiungere l'orecchio
medio. Una volta che i batteri hanno raggiunto l'orecchio medio, l'infezione determina infiammazione, con
tutti i suoi segni caratteristici, che sfocia in un'otite acuta. L'otite acuta dell'orecchio medio ha particolare
importanza ed un particolare andamento nei pazienti in età pediatrica. È molto probabile in questi soggetti
che un'otite acuta, date le caratteristiche anatomiche del condotto uditivo e l'immaturità del sistema
immunitario, può determinare un'otite essudativa che può cronicizzare, dando anche delle gravi lesioni alla
membrana timpanica. Un'otite esterna può diffondere all'orecchio medio dando un'otite media e se non ben
trattata, può dar luogo ad un'otite essudativa. Se l'agente patogeno non viene eliminato, si andrà incontro a
continui cicli di infiammazione che sfoceranno in un'otite cronica.
Nei pazienti adulti invece, un'otite acuta può evolvere direttamente ad otite cronica. Alcuni studi sottolineano
come vi sia una stretta correlazione tra rinite ed otite. L'aumento del numero dei raffreddori in un anno tende
ad aumentare la probabilità di contrarre un'otite acuta. Esistono dati evidenti sul ruolo cruciale che i virus
respiratori svolgono nella patogenesi dell’otite acuta, sia direttamente quali agenti eziologici di episodi acuti
ad eziologia virale, sia quale situazione predisponente a sovrainfezioni batteriche. Lo studio di Chonmaitree
condotto su una casistica di 688 bambini mette in evidenza la stretta correlazione tra gli episodi di
raffreddore occorsi/anno nella popolazione esaminata e la percentuale di pazienti che andavano incontro ad
un episodio di otite media acuta.
In corso di un'otite acuta dell'orecchio medio molto importante è l'aspetto otoscopico della membrana
timpanica. Della membrana timpanica vengono valutati:
-
la posizione, normale nell'11% dei soggetti e rigonfia nell'89%;
-
il colore, rosa nel soggetto normale, ma può assumere anche colori quali rosso e giallo;
-
ne viene osservata l'opacità;
-
i livelli idroaerei;
-
l'eventuale presenza di bolle.
L'otite acuta dell'orecchio medio, soprattutto in età pediatrica, non deve essere sottovalutata in quanto dà
luogo ad una serie di sequele quali il colestatoma, la sclerosi e la detrazione della membrana timpanica, la
rottura o la fissità della catena ossicolare oppure un danno neurosensoriale. Un colesteatoma è una forma di
epitelio di aspetto squamoso ed espanso. Tutto ciò, determina nel soggetto pediatrico una perdita dell'udito,
che può portare a mutismo, un danneggiamento della capacità di apprendimento e inoltre anche danni
psichici.
L'otite media è la causa più frequente negli Stati Uniti di visita medica pediatrica. Sempre negli Stati Uniti è
la causa più frequente di prescrizione di antibiotici per i pazienti pediatrici ed il costo annuale per il
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trattamento è valutabile in 3,5 miliardi di dollari all'anno. Negli Stati Uniti si verificano circa 24 milioni di
episodi all'anno di otite media, colpendo per un 62% soggetti con età compresa tra zero ed un anno, e se si
prendono in esame i soggetti con età compresa tra zero e tre anni, il tasso di incidenza sale all'83%. Dunque,
l’otite media acuta pediatrica presenta un elevato impatto sociale. È facilmente immaginabile come agli oltre
20 milioni di casi/anno ed agli elevati costi diretti, possano aggiungersi come problema sociale le numerose
giornate lavorative perse soprattutto da parte dei genitori dei piccoli pazienti anche in considerazione del
fatto che tale patologia riguarda soprattutto la prima infanzia.
I patogeni maggiormente responsabili di otite media acuta sono soprattutto i principali patogeni respiratori:
Haemophilus influenzae, Moraxella catarrhalis, Streptococcus pneumoniae. Tutti i patogeni respiratori hanno
sviluppato nel corso degli anni resistenza nei confronti degli antibiotici. Tali resistenze si esplicano
attraverso meccanismi diversi a seconda dei patogeni e degli antibiotici considerati. Moraxella catarrhalis e
Haemophilus influenzae, ad esempio, esprimono la propria resistenza, nei confronti delle penicilline e di
amoxicillina in particolare, attraverso la produzione di β-lattamasi. Lo Streptococcus pneumoniae esprime
invece la propria resistenza alla penicillina, che eventualmente si estende anche ad altre classi (macrolidi,
tetracicline), attraverso una modificazione del proprio bersaglio (PBP). Molto importante è la resistenza
acquisita da parte di Haemophilus influenzae. I ceppi di Haemophilus influenzae produttori di β-lattamasi
hanno e stanno avendo una maggior incidenza da un punto di vista epidemiologico. Le β-lattamasi sono
enzimi prodotti dai batteri che idrolizzano l’anello β-lattamico delle penicilline non protette o comunque
sensibili all’azione di tali enzimi (amoxicillina). Le cefalosporine di II e III generazione sono resistenti
all’azione idrolitica di tali enzimi.
Nel corso degli anni, già a partire dal anni ’80, si è osservato un progressivo aumento del numero dei ceppi
di Haemophilus influenzae produttori di β-lattamasi. In Italia si osserva attualmente una percentuale di ceppi
β-lattamasi produttori pari a circa il 40% degli isolati clinici. Così come Haemophilus influenzae, anche
Moraxella catarrhalis ha mostrato negli anni un progressivo incremento di ceppi produttori di beta-lattamasi.
Attualmente si può considerare che pressochè la totalità dei ceppi di Moraxella catarrhalis siano produttori
di tale enzima.
Il problema delle resistenze non risparmia nemmeno Streptococcus pneumoniae, che ha sviluppato una certa
resistenza anche nei confronti dell’eritromicina, e tale fenomeno è particolarmente diffuso in Italia. La
penicillino-resistenza di Streptococcus pneumoniae è un problema relativamente recente, insorto agli inizi
degli anni ’90 che si è rapidamente diffuso in alcuni paesi europei (Francia, Spagna, Ungheria, …),
raggiungendo dei tassi di resistenza davvero preoccupanti (oltre il 40%) che ha portato ad una ridotta
efficacia degli antibiotici β-lattamici ed ha costretto ad un loro limitato impiego.
In Italia tale fenomeno non ha mai assunto proporzioni preoccupanti (penicillino-resistenza = 10-12%). Al
contrario, nel nostro paese si è verificato un fenomeno diverso ma non meno preoccupante quale la
diffusione della resistenza ai macrolidi che a partire dagli anni ’90 ad oggi ha raggiunto valori considerevoli
interessando una percentuale superiore al 40% dei ceppi di S. pneumoniae isolati.
3
Sempre in merito alle resistenze anche Streptococcus pyogenes ha visto aumentare il tasso di resistenza ai
macrolidi. Il fenomeno della resistenza ai macrolidi di Streptococcus pyogenes insorge in maniera quasi
improvvisa alla metà degli anni novanta nel nostro Paese, diffondendosi rapidamente su tutto il territorio
nazionale e raggiungendo percentuali comprese tra il 30 e 40%. Le osservazioni epidemiologiche furono
dapprima isolate e sporadiche riferendosi ad aree geografiche limitate ma successivamente, grazie ai risultati
ottenuti da studi osservazionali multicentrici di monitoraggio del fenomeno, si ottenne una drammatica
fotografia di una resistenza media ma con scarse oscillazioni territoriali di S. pyogenes pari al 40%.
Nello studio di Granizo, viene dimostrata in Spagna una correlazione statisticamente significativa tra la
resistenza di Streptococcus pneumoniae ai macrolidi ed il loro consumo (P<0.01). Quando i macrolidi sono
stati raggruppati in sottogruppi “posologici” cioè in base al numero di somministrazioni terapeutiche
giornaliere, la resistenza ai macrolidi appare correlata principalmente a quei macrolidi che necessitano di
essere somministrati una sola (azitromicina) o due volte (claritromicina) al giorno (P < 0.01 ), ma non a
quelli somministrati tre volte al giorno (eritromicina).
Una terapia antibiotica empirica viene somministrata per il trattamento di una infezione ad eziologia
batterica accertata al fine di determinare la eradicazione dell’agente patogeno, di ottenere la risoluzione
clinica del processo infettivo, di prevenire eventuali complicanze, recidive, e/o cronicizzazioni.
Nel caso di patologie infettive sostenute da batteri o virus, o nel caso di infezioni batteriche che possano
giungere a risoluzione spontanea senza trattamento, la certezza che un trattamento antibiotico possa essere
complessivamente vantaggioso rispetto alla non terapia dovrebbe essere suffragata da evidenze cliniche.
Quindi, nell'otite media acuta, soprattutto nel paziente pediatrico, si chiede un trattamento con terapia
antibiotica, questo per tutta una serie di motivi:
-
per ottenere una più rapida risoluzione dei segni clinici e dei sintomi soggettivi;
-
per prevenire eventuali complicanze suppurative;
-
per prevenire le recidive oppure la cronicizzazione;
-
per ridurre la diffusione di batteri patogeni.
L’otite media acuta del bambino è appunto, come visto, una patologia ad eziologia abitualmente batterica,
ma che in una elevata percentuale di casi può essere sostenuta esclusivamente da agenti virali.
In tre diverse metanalisi pubblicate sull’argomento, condotte con metodi diversi su popolazioni diverse, si
metteva in evidenza che nell’80% dei casi i bambini affetti da otite media acuta vanno incontro a risoluzione
spontanea del processo infettivo in un periodo variabile tra 2 e 14 giorni. Tali evidenze hanno suggerito
soprattutto presso gli autori americani ed anglosassoni di adottare nei confronti dei bambini affetti da otite
media acuta un atteggiamento definito di “watchful waiting”, e cioè di attenta osservazione senza una
somministrazione di antibiotici al primo insorgere dei sintomi.
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Uno studio sottolinea come la terapia antibiotica determini soltanto un piccolo beneficio nei bambini affetti
da otite acuta media. In questi soggetti la maggior parte dei casi tende a risolversi spontaneamente, e i
benefici dovuti alla terapia antibiotica dovrebbero essere confrontati con il possibile rischio di reazioni
avverse. Tuttavia, il trattamento con antibiotici potrebbe avere un ruolo importante nella riduzione del rischio
di mastoidite in popolazioni a rischio.
E’ probabile che tale atteggiamento sia piuttosto teorico presso la maggior parte dei pediatri se, come
dimostrato nello studio di Froom pubblicato un po’ di anni addietro su British Medical Journal, non solo in
tutti i paesi Europei esaminati, ma anche in Australia e negli Stati Uniti, gli antibiotici venivano prescritti per
tutti gli episodi di otite acuta, con l’eccezione dell’Olanda dove solo il 31% dei pediatri prescrivevano un
terapia antibiotica per la patologia in oggetto.
Nonostante queste contraddizioni, l’Americal Academy of Pediatrics e l’American Academy of Family
Physician, hanno pubblicato (Pediatrics, vol 113, N. 5, 2004) delle linee guida sulla Diagnosi e Management
dell’Otite Media Acuta Pediatrica, ribadendo la necessità di un atteggiamento cauto e che ponga il piccolo
paziente in una condizione di osservazione clinica soprattutto se la malattia si presenta senza segni di gravità,
se la diagnosi non è certa, se l’età è maggiore di 2 anni.
Nonostante questi precisi suggerimenti, che peraltro fondano le proprie basi sull’analisi della EvidenceBased Medicine disponibile in letteratura, sembra che l’atteggiamento più frequente nel nostro paese resti
quella di una prescrizione antibiotica precoce.
E’ probabile che i risultati di decenni di terapia antibiotica sulla epidemiologia delle complicanze e sulla
mortalità per otite e mastoidite a tutt’oggi influenzino l’atteggiamento terapeutico, e facciano disattendere le
linee-guida.
Diverse classi di antibiotici, e diversi antibiotici nell’ambito di ciascuna di esse, possiedono caratteristiche
microbiologiche e farmacologiche idonee all’impiego nel trattamento dell’otite media acuta in pediatria.
Ciascuna di esse offre dei vantaggi e dei limiti. Pur essendo l’amoxicillina indicata tra i farmaci di prima
linea in molte linee guida internazionali, non si può non tener conto del fatto che gli attuali livelli di
antibiotico-resistenza dei principali patogeni respiratori ne possa limitare l’efficacia terapeutica.
L’amoxicillina/acido clavulanico, pur superando il problema delle resistenze legate alla produzione di βlattamasi, presenta un elevato tasso di effetti collaterali (soprattutto gastroenterici) che spesso ne limitano
l’impiego e l’efficacia. I macrolidi presentano un limite intrinseco di attività antibatterica nei confronti di H.
influenzae e più di recente una limitata attività nei confronti di S. pneumoniae e S. pyogenes.
I principali antibiotici che vengono utilizzati per il trattamento dell'otite acuta sono:
-
penicillina;
-
Amoxicillina;
-
associazione Amoxicillina e acido clavulanico
5
-
macrolidi;
-
cefalosporine.
I microrganismi che sono coinvolti nella riacutizzazione dell'otite media cronica risultano essere diversi da
quelli responsabili dell'otite media acuta, e sono:
-
Pseudomonas aeruginosa;
-
stafilococcus aureus;
-
stafilococcus epidermidis;
-
enterobacteriacae;
-
Streptococcus.
Numerosi studi tendono a sottolineare come P.aeruginosa sia il principale microrganismo coinvolto, seguito
da Stafilococcus aureus e dall'enterobacttriacae.
Per quanto riguarda la terapia, si tratta soprattutto di una terapia empirica, e prevede la somministrazione di:
-
cefalosporine soprattutto il ceftazidime;
-
aminoglicosidi, quali gentamicina e tobramicina;
-
carbapenemici quali imipenem e meropenen;
-
fluorochinoloni quali ciprofloxacina, ofloxacina, levofloxacina;
-
penicilline protette (protette per la contemporanea somministrazione di un inibitore delle β-lattamasi)
quali la piperacillina.
Per quanto riguarda le vie e il numero di somministrazioni nella terapia dell'otite media cronica, si segue lo
schema:
-
per via parenterale si somministra ceftazidime 2-3 volte al giorno, carpapenemici 2-3 volte al giorno,
aminoglicosidi una volta al giorno;
-
per via orale si somministra ciprofloxacina due volte al giorno, levofloxacina una volta al giorno,
ofloxacina due volte al giorno.
SINUSITE
La sinusite è un'infiammazione della superficie mucosa dei seni paranasali. Le cause sono rappresentate da
infezioni virali o batteriche e da traumi. Il fattore principale è determinato dall’ostruzione dell'ostio del seno.
La localizzazione è frequentemente multipla. Se i sintomi sono presenti per più di sette giorni, abitualmente
si tratta di una sovrainfezione batterica.
Per quanto riguarda la frequenza, in genere, un soggetto non presenta più di tre episodi all'anno e a seguito
del trattamento la mucosa ritorna normale.
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Da un punto di vista epidemiologico, negli Stati Uniti si registrano circa 30 milioni di casi all'anno, con oltre
70 milioni di giornate lavorative perse e circa 11 milioni di visite ambulatoriali all'anno per sinusite acuta.
Non si conosce la precisa incidenza in quanto vi sono molti casi non riconosciuti o non registrati. La
rinosinusite può essere suddivisa in:
-
acuta;
-
acuta ricorrente;
-
cronica;
-
riacutizzazione in corso di sinusite cronica.
La Rinosinusite acuta è un processo temporalmente abbastanza ristretto, una volta che esordisce si raggiunge
il picco sintomatologico e poi regredisce. La sinusite ricorrente riacutizzata si sviluppa su un substrato di
sinusite è tende a ripresentarsi dopo brevi periodi di assenza della sintomatologia. La sinusite cronica,
invece, è una forma che tende a persistere nel tempo con la propria sintomatologia.
La sinusite acuta è un processo infiammatorio che coinvolge solitamente tutti i seni paranasali. In genere, è
sufficiente per la diagnosi la presenza di scolo nasale o tosse continua o entrambi per almeno 10 giorni,
oppure sintomi di infezioni delle alte vie aeree con febbre elevata e scolo nasale purulento. Per una corretta
diagnosi di Rinosinusite acuta vengono utilizzati una serie di criteri suddivisibili in criteri maggiori e criteri
minori. I criteri maggiori sono:
-
dolore o senso di pressione facciale;
-
ostruzione nasale;
-
secrezione nasale;
-
iposmia o anosmia;
-
febbre.
I criteri minori, invece, sono:
-
cefalea;
-
alitosi;
-
affaticamento;
-
mal di denti;
-
dolore o pressione auricolare;
-
tosse.
La sinusite cronica è un processo infiammatorio solitamente mono-sinusale, conseguente alla
cronicizzazione di una sinusite recidivante. La sinusite cronica è caratterizzata da:
-
tosse produttiva;
-
febbricola, otalgia;
-
scolo nasale;
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-
ostruzione nasale;
-
dolore localizzato al seno;
-
cefalea.
La Rinosinusite impegna soprattutto i medici di famiglia e i medici di medicina generale, seguono poi gli
internisti e gli osteopati.
Per quanto riguarda gli agenti eziologici, la Rinosinusite acuta è dovuta all'infezione da parte di
Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenze, Moraxella catarrhalis. In alcuni casi non è possibile
isolare un ceppo patogeno, mentre in altri, seppur casi molto rari, vi è la presenza di più patogeni. Invece gli
agenti e eziologici della sinusite cronica vanno ricercati negli organismi anaerobi.
Per quanto riguarda il trattamento, alcuni studi hanno sottolineato come, il trattamento con antibiotici è
significativamente più efficace rispetto al placebo nella risoluzione clinica dei sintomi, ma circa i due terzi
dei soggetti che assumevano il placebo mostravano spontaneamente la risoluzione o il miglioramento della
sintomatologia. Questi studi tendono quindi a limitare e a valutare bene l'inizio di un'eventuale terapia
antibiotica. Tuttavia, la sinusite può anche essere dovute a cause virali. La difficoltà di riconoscere una
sinusite virale piuttosto che batterica, in genere, porta ad una scelta di terapia empirica che prescinde dalla
diagnosi eziologica. Per quanto riguarda la terapia iniettiva, questa è da riservare solo ai casi di intolleranza
agli antibiotici orali. La via di somministrazione preferita è quella orale. Secondo molte linee guida
internazionali restano farmaci di prima scelta:
-
ampicillina;
-
Amoxicillina;
-
cotrimossazolo;
-
cefaclor.
Invece, secondo le interpretazioni più moderne delle problematiche delle resistenze, sono da preferire:
-
fluorochinoloni, da utilizzarsi solo nell'adulto;
-
penicilline più inibitori di β-lattamasi;
-
macrolidi di nuova generazione.
INFEZIONI DELLE BASSE VIE RESPIRATORIE
Tra le principali cause di morte per patologie infettive nel mondo, al primo posto figurano le infezioni
respiratorie acute, prevalentemente polmoniti. In Italia, le malattie infettive rappresentano l'1,1% tra le cause
di morte. All'interno di questa piccola fetta, le infezioni delle vie respiratorie risultano essere al primo posto.
Tra le infezioni ambulatoriali, le infezioni delle vie respiratorie inferiori occupano una vasta fetta, circa 11,4
milioni di prescrizioni su un totale di 46,4. All'interno dell'incidenza delle infezioni delle basse vie
respiratorie, una quota rilevante è occupata da forme di bronchite indeterminata (36,7%), segue poi la
bronchite acuta (31,4%), la bronchite cronica (24,1%) e la broncopolmonite (7,5%).
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Per quanto riguarda la gestione di queste patologie, su un totale di oltre 18 milioni di visite, più dell'80%
vengono gestite dal medico generico, e soltanto piccole quote sono gestite dal pediatra e dallo pneumologo.
Su un totale di circa 33 milioni di prescrizioni all'in circa il 37% sono relative a prescrizioni di antibiotici, sia
iniettabili che orali.
Per quanto riguarda l'epidemiologia della polmonite acquisita in comunità, questa rappresenta la sesta causa
di morte negli Stati Uniti e in Europa. È la prima causa di morte ad eziologia invettiva, con un'incidenza di 56 milioni di casi all'anno, con 1 milione di ospedalizzati. La mortalità in ambiente comunitario si aggira
intorno all'1-5%, mentre la mortalità in ambiente nosocomiale si aggira intorno al 12%. Da queste cifre e
possibile intuire come, la polmonite acquisita in comunità incida profondamente per quanto riguarda i costi
del sistema sanitario. Negli ultimi tempi inoltre si è visto come è aumentata la percentuale di
ospedalizzazione per polmonite sia tra soggetti maschili che femminili. Queste affezioni presentano una
mortalità che, malgrado i progressi farmacologici, si è assestata intorno ad un valore costante. L'aumento
dell'incidenza delle infezioni delle vie respiratorie basse è dovuto tutta una serie di fattori che predispongono
all'infezione. Tra queste vi sono:
-
aumento della popolazione anziana;
-
aumento di patologie e/o terapie che inducono immunodepressione;
-
aumento delle ospedalizzazione per interventi chirurgici e/o terapia intensiva.
Da tenere ben presente l'invecchiamento della popolazione a livello mondiale, con circa il 18% di soggetti
che presentano un'età superiore ai 65 anni. Studi infatti hanno confermato che l'incidenza dell'infezione del
tratto respiratorio inferiore contratta in comunità tende ad aumentare con l'aumentare dell'età del soggetto.
Dati Istat, sui ricoveri con diagnosi di polmonite, sottolineano come quasi il 50% dei soggetti ricoverati
presenti un'età superiore ai 65 anni. Oltre a questo picco, è presente un secondo picco con soggetti di età
compresa tra gli 1 e 14 anni, rappresentanti il 16,7% del totale.
Classificazione
Le polmoniti possono essere classificate in:
-
polmonite comunitaria o CAP;
-
polmonite nosocomiale o HAP, che insorge dopo almeno tre giorni dall'ospedalizzazione e che non è
dunque presente o in incubazione al momento del ricovero;
-
polmonite associata a ventilazione meccanica o VAP.
Tuttavia, esistono molti altri criteri di suddivisione delle polmoniti. Basandosi sul criterio eziologico, le
polmoniti vengono suddivise in:
-
virali;
-
batteriche;
-
micotiche;
9
-
protozooarie;
-
elmintiche.
Sulla base del criterio istopatologico, le polmoniti vengono suddivise in:
-
interstiziale;
-
alveolare;
-
alveolo-interstiziale;
-
necrotizzante.
Un ulteriore criterio suddivide le polmoniti sulla base dell'età dei soggetti colpiti. Un criterio molto
importante di divisione delle polmoniti si basa sulla modalità di acquisizione:
-
comunitaria;
-
nosocomiale.
Infine, un ulteriore criterio prende in esame lo stato immunitario del soggetto, con questo sottolineando come
anche condizioni di immunodepressione o eventuale associazione con neoplasie, possono dar luogo a
particolari forme di polmoniti.
La classificazione delle polmoniti consente un approccio diagnostico e terapeutico aderente a quanto si
osserva realmente nella pratica clinica. Suddividiamo quindi le polmoniti in:
-
acquisite in comunità, a loro volta suddivise in tipica ed atipica. La forma tipica è dovuta soprattutto
all'infezione da parte di Streptococcus pneumoniae ed è Haemophilus influenzae. La forma atipica
invece è dovuta all'infezione da parte di Mycoplasma pneumoniae, Chlamydia pneumoniae,
Chlamydia psittaci;
-
nosocomiale, dovute a manovre e a strumentazione chirurgica, personale sanitario, contaminazione
ambientale. In questo caso, i principali responsabili sono Pseudomonas aeruginosa, bacilli gramnegativi, Legionella pneumophila, Stafilococcus aureus;
-
immunocompromesso, dovuto soprattutto a Pneumocystis carini, citomegalovirus, Aspergillus,
Candida, Mycobacterium tubercolosis.
Qualora vi sia il sospetto di una polmonite il semplice esame obiettivo del torace possono porre in essere la
diagnosi di polmonite infettiva. Nel soggetto anziano, di età superiore ai 65 anni, alcuni segni possono essere
assenti o ridotti. La polmonite tipica presenta manifestazioni diverse a seconda se il soggetto sia giovane od
anziano:
-
nel soggetto giovane, si ha esordio improvviso, con febbre e brivido scuotente, con tosse ed
interessamento pleurico, con espettorato purulento e vi può essere o meno un aumento della
frequenza respiratoria;
10
-
nel soggetto anziano, l’esordio non è brusco, con una sintomatologia molto più attenuata rispetto al
soggetto giovane. Molto importante è l’aumento della frequenza respiratoria.
Molto importante è la diagnosi differenziale tra una polmonite tipica ed una atipica. La polmonite tipica è
caratterizzata da:
-
una storia clinica ad esordio rapido, con febbre alta e brivido;
-
referto radiologico intralveolare;
-
all’esame obbiettivo è presente consolidamento;
-
l’escreato è purulento e rugginoso;
-
non ha alcuna preferenza di età;
-
è frequente l’associazione con dolore pleurico;
-
conta leucocitaria aumentata.
La polmonite atipica è caratterizzata invece:
-
da esordio subdolo, oltre 5-7 giorni;
-
il referto radiologico è interstiziale;
-
il consolidamento è spesso assente;
-
l’escreato è di tipo mucoide;
-
colpisce soprattutto gli adolescenti;
-
rara è l’associazione con il dolore pleurico;
-
la conta leucocitaria è normale o raramente aumentata.
La valutazione della gravità dipende se si tratti di paziente ospedalizzato oppure di paziente ambulatoriale.
Nei soggetti con polmonite acquisita comunitaria i principali microrganismi responsabili sono Streptococcus
pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae, Chlamydia pneumoniae, virus. Tuttavia, in questi casi, circa il 25%
rimane ad eziologia ignota. Se si esamina l'eziologia delle polmoniti comunitarie in funzione dell'età del
paziente si nota che:
-
in soggetti con età inferiore ai 10 anni, l'agente patogeno responsabile è di tipo virale per circa il
60% seguono poi i germi atipici e grampositivi;
-
nei soggetti con età compresa tra gli 11-30 anni, i principali responsabili sono grampositivi e germi
atipici;
-
nei soggetti con età compresa fra i 31 e i 65 anni, i principali responsabili sono sempre grampositivi,
tuttavia sale la quota dei gram-negativi;
-
nei soggetti con età superiore a 65 anni, circa il 60% delle polmoniti sono dovute all'infezione da
parte di gram-negativi, quali Legionella pneumophila, Mycoplasma pneumoniae e Chlamydia
pneumoniae, mentre la percentuale dei grampositivi scende al 35%.
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Molto importante, per il trattamento della polmonite acquisita in comunità, è la scelta del luogo di cura. La
scelta del luogo di cura, ambulatoriale od ospedaliero, è la prima e più importante decisione del medico di
medicina generale, che deve assumere nei confronti del paziente. Il costo di un paziente ospedalizzato con
polmonite e oltre 20 volte più elevato rispetto a quello di un paziente trattato a domicilio. La patologia
presenta un forte impatto anche in termini economici, andando ad incidere infatti in maniera rilevante sulla
spesa sanitaria per la frequenza di ospedalizzazione oltre che per il numero delle visite mediche effettuate
annualmente.
L’ospedalizzazione dei pazienti è generalmente consigliata quando il malato presenta fattori di rischio che
possono indicare un possibile decorso complicato della malattia. Così vengono proposti dei criteri
riconosciuti dalle Linee Guida relativi alla ospedalizzazione, basato su fattori prognostici (PORT). Resta
inteso che la decisione ultima relativa all’ospedalizzazione spetta la medico. Molte ospedalizzazione sono
improprie e, inoltre, comportano ricoveri prolungati, con elevato impatto sugli esiti economici. Bisogna,
però, considerare altri fattori oltre alla gravità della patologia, perché i pazienti a basso rischio possono avere
importanti controindicazioni mediche e psico-sociali al trattamento domiciliare. Esistono delle linee guida
relative alla ospedalizzazione, basate su fattori prognostici. Ad ogni caratteristica del paziente viene ad
essere assegnato un determinato punteggio e dalla somma finale si otterrà uno score. Le caratteristiche del
paziente che vengono presi in esame sono molteplici, andando da fattori demografici, all'esistenza di
comorbidità, a risultati dell'esame clinico e degli esami di laboratorio. In base a queste linee guida è possibile
suddividere i soggetti sulla base dei fattori di rischio. I soggetti vengono assegnati a classi di rischio, più
precisamente cinque classi di rischio, scelte in funzione del punteggio calcolato sull'algoritmo. La
stratificazione è la seguente:
-
soggetti a basso rischio, appartenenti alle classi I, II, III, con punteggio che arriva fino a 90;
-
soggetti con rischio moderato, assegnate alla classe IV, con punteggio compreso tra 91 e 130;
-
soggetti a rischio elevato, appartenenti alla V classe di rischio, con punteggio superiore a 130.
A ciascuna classe di rischio corrisponde un indice di mortalità provato da studi clinici, e in funzione della
percentuale di mortalità viene deciso o meno se effettuare il ricovero in ospedale oppure il trattamento a
domicilio:
-
la classe di rischio I, presenta una mortalità dello 0,1%, e il trattamento di questi pazienti può
avvenire nel loro domicilio;
-
i soggetti di appartenenti alla classe di rischio II presenta una mortalità dello 0,6% e anche questi
possono essere trattati a domicilio;
-
i soggetti della classe III hanno una mortalità del 2,8% e richiedono il trattamento in ospedale,
seppur per un breve periodo;
-
i soggetti appartenenti alla IV classe presentano una percentuale di mortalità dell'8,2% e necessitano
di ospedalizzazione;
12
-
i soggetti appartenenti alla V classe hanno un rischio di mortalità del 29,2%, ed in questi casi
l'ospedalizzazione è effettivamente d'obbligo.
Tuttavia, l'algoritmo preso in considerazione risulta essere molto complesso, così è stato proposto un
algoritmo semplificato per la valutazione della severità. In quest'algoritmo vengono presi in considerazione:
-
stato mentale alterato;
-
frequenza respiratoria superiore ai 30 atti per minuto;
-
pressione sistolica inferiore ai 90 mmHg;
-
età superiore 64 anni.
Per la positività di ciascuno di questi punti viene assegnato il valore di un punto, così i soggetti possono
essere suddivisi in tre gruppi di rischio:
-
zero punti, gruppo I con mortalità dell'1,2%, in questi casi è possibile effettuare il trattamento
domiciliare;
-
1-2 punti, gruppo II, con mortalità dell'8% e in questi casi è necessaria la valutazione in ospedale;
-
3-4 punti, gruppo III con mortalità del 31%, in questi casi si richiede ricovero urgente in ospedale.
Le nuove raccomandazioni per la definizione di CAP grave prevede l'utilizzo di criteri minori e criteri
maggiori. Tra i criteri minori figurano:
-
atti respiratori superiori a 30 al minuto;
-
infiltrati multilobari;
-
stato confusionale;
-
uremia, con BUN superiore ai 20 mg/dl;
-
neutropenia;
-
trombocitopenia;
-
ipotermia.
Tra i criteri maggiori invece figurano:
-
necessità di ventilazione meccanica;
-
shock settico;
-
necessità di farmaci vasoppressori.
Il ricovero in unità di terapia intensiva è raccomandato in presenza di un criterio maggiore o di almeno tre
criteri minori.
Eziologia
Il fatto che esistano varie forme di classificazione delle polmoniti, rende ragione anche dei diversi agenti
patogeni coinvolti. Nei soggetti normali, che vanno incontro a polmoniti di tipo comunitario, i principali
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microrganismi coinvolti sono Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae, Chlamydia pneumoniae
ed Haemophilus influenzae. In questi soggetti la mortalità totale risulta essere inferiore al 5%. Nei soggetti
invece che presentano patologie preesistenti al momento dell'infezione, sono predisposti a sviluppare
polmonite comunitaria a seguito dell'infezione da parte di: Streptococcus pneumoniae, inclusi gli
pneumococchi farmaco-resistenti, Mycoplasma pneumoniae, Chlamydia pneumoniae, Haemophilus
influenzae, e bacilli gram-negativi enterici. In questi soggetti la mortalità risulta essere sempre inferiore al
5% e l'ospedalizzazione si aggira intorno al 20%. Nei soggetti invece ospedalizzati, gli agenti patogeni
maggiormente coinvolti sono: Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae, Chlamydia
pneumoniae, Haemophilus influenzae, bacilli gram-negativi enterici, Legionella e anaerobi. In questi soggetti
il tasso di mortalità risulta essere compreso tra il cinque e il 25%. Infine i soggetti ospedalizzati e ricoverati
in unità di terapia intensiva, le polmoniti sono dovute soprattutto a: Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma
pneumoniae, Haemophilus influenzae, bacilli gram-negativi enterici, Legionella, Stafilococcus aureus,
Pseudomonas aeruginosa. In questi soggetti la mortalità si aggira intorno al 50%.
Terapia
I principi da seguire nella terapia empirica delle CAP sono:
-
iniziare tempestivamente il trattamento;
-
mirare il trattamento sui patogeni più probabili quali lo Streptococcus pneumoniae, Haemophilus
influenzae, gli atipici e altri soprattutto patogeni ad epidemiologia locale;
-
considerare le farmaco-resistenze, dovute ad una recente terapia antibiotica, alla recente permanenza
in ambiente sanitario, a comorbilità e all'età avanzata.
Per quanto riguarda gli schemi terapeutici, bisogna fare una distinzione se il soggetto viene curato nel
proprio domicilio, se è stato ricoverato in medicina generale oppure se ricoverato in unità di terapia
intensiva.
In caso di trattamento nel proprio domicilio bisogna fare una distinzione se il soggetto godeva
precedentemente di buona salute o meno. Se il soggetto risulta essere in buona salute la terapia prevede
l'utilizzo di un macrolide avanzato con doxiciclina. Se il soggetto presenta comorbilità oppure abbia
intrapreso una recente terapia empirica potranno utilizzarsi un fluorochinolone respiratorio o un β-lattamico
ad alte dosi con un macrolide o doxiciclina.
Il soggetto ricoverato nel reparto di medicina generale, che precedentemente si trovava in uno stato di buona
salute allora può utilizzare un fluorochinolone respiratorio; in caso invece di comorbilità può essere
utilizzato un β-lattamico, da preferire cefotaxime, ceftriaxone, ampicillina con sulbactam in pazienti
selezionati più macrolide o doxiciclina.
Per quanto riguarda invece il soggetto ricoverato in unità di terapia intensiva, distinguiamo soggetti con
nessun rischio di infezione da Pseudomonas respiratorio, e in questo caso viene trattato con un β-lattamico
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più macrolide o fluorochinoloni, e soggetti a rischio di infezione da Pseudomonas, nei quali si utilizza un βlatamico attivo su pneumococchi e su Pseudomonas, quali ciprofloxacina e levofloxacina, in alternativa può
essere utilizzato un fluorochinolone con attività anti pneumococcica più aztreonam con o senza un
aminoglicoside.
Ulteriori considerazioni
Lo sviluppo di polmoniti ed infezioni delle vie aeree inferiori è dovuta alla presenza di comorbilità, quali
bronchite cronica e BPCO. La bronchite cronica viene definita come la presenza di tosse produttiva per
almeno tre mesi in un anno e per non meno di due anni successivi. Nella riacutizzazione da BPCO si ha un
peggioramento della tosse, accompagnata da escreato purulento o mucopurulento, aumenta la dispnea, la
febbre, con leucocitosi, presenza di ronchi, rantoli, sibili. La storia naturale della bronchite cronica è
caratterizzata dal ripetersi di episodi di riacutizzazioni infettive, che possono manifestarsi già nella fase della
cosiddetta bronchite cronica semplice, ma che prevalgono in quell'ostruttiva, contribuendo al progredire della
malattia verso le sue fasi conclusive. La riacutizzazione della bronchite cronica è dovuta alla presenza di
fattori favorenti quali:
-
fumo;
-
infezioni virali;
-
ridotto umidità ambientale.
I sintomi sono tosse, dispnea, ronchi, rantoli, tachicardia. Una preesistente BPCO può essere riacutizzata a
seguito di infezione batterica. In questo caso i sintomi e segni broncopolmonari sono:
-
aumento della frequenza e della gravità della tosse;
-
aumento dell'espettorazione;
-
presenza di escreato purulento;
-
aumento della dispnea o comparsa se non presente;
-
emoftoe;
-
congestione polmonare.
In Italia, la BPCO e la bronchite cronica possiedono un elevato impatto sociale con quasi, nel totale, 10
milioni di visite all'anno. Infatti da un punto di vista epidemiologico, la BPCO colpisce circa 52 milioni di
persone nel mondo e negli Stati Uniti la BPCO è la quarta causa conosciuta di morte, maggiormente negli
uomini che nelle donne. I principali fattori di rischio sono: il fumo di sigaretta, l'inquinamento ambientale,
l'esposizione professionale, disordini genetici e infezioni dell'infanzia. Negli Stati Uniti ogni anno si
verificano circa 16 milioni di visite e 500.000 ospedalizzazione per BPCO, con notevoli costi sanitari. La
bronchite cronica invece ha un'elevata incidenza soprattutto nei soggetti con età superiore ai 45 anni.
In corso di riacutizzazioni di bronchite cronica, vi è una notevole difficoltà nell'isolamento dell’agente
infettivo, questo è dovuto a diverse cause:
15
-
precedenti trattamenti antibiotici;
-
assenza di espettorazione spontanea;
-
saggio di idoneità del materiale con screening citologico;
-
il rischio di contaminazione data la presenza della flora saprofita delle vie aeree superiori;
-
necessità dell'invio rapido del campione e del pronto esame di laboratorio.
Molto dirimente, in questi casi, è l'esame dell'espettorato. Innanzitutto molto importante è la raccolta del
campione, che avviene con:
-
lavaggio della cavità orale con soluzione fisiologica;
-
chiusura dei dotti delle ghiandole salivari con tampone odontoiatrico;
-
impiego di contenitori sterili di raccolta;
-
invio immediato al laboratorio o conservazione a 4° per non più di tre ore.
L'esame microscopico prevede l'utilizzo della colorazione di gram più Giemsa, la valutazione tramite i criteri
di Bartlett, valutazione della carica e della prevalenza batterica. È anche possibile effettuare l'esame
colturale, tramite fluidificazione dell'espettorato, semina, conta batterica, isolamento, identificazione della
specie prevalente ed antibiogramma.
Per la corretta analisi di dell'espettorato, vengono valutate una serie di criteri a cui vengono assegnati
determinati punteggi. Vengono innanzitutto osservati il numero dei neutrofili per campo e la presenza o
meno di cellule squamose e di muco. A questi criteri viene assegnato un determinato punteggio, e alla fine si
otterrà uno score che tende a dare validità obiettiva del campione. Se punteggio finale è zero o meno, ciò
vuol dire che si è verificato una contaminazione oro-faringea e di conseguenza non si procede alla coltura; se
c'è un punteggio che oscilla da +1 a +3, sarà possibile passare alla coltura, identificazione successiva del
microrganismo e test di sensibilità.
Per quanto riguarda i principali patogeni rilevati nell'espettorato di pazienti con bronchite cronica stabile,
sono soprattutto Streptococcus pneumoniae ed Haemophilus influenzae. Per quanto riguarda la terapia della
riacutizzazione della bronchite cronica ci si chiede se questa debba sempre essere trattata con agenti
antimicrobici. Studi hanno dimostrato che, qualunque antibiotico somministrato per almeno 10 giorni
determina un tasso di risoluzione completa significativamente più alto ed un tasso di fallimenti meno
frequente, oltre che una minore necessità di ricorrere ad altri trattamenti.
Ritornando all’eziologia delle riacutizzazioni di bronchite cronica, i patogeni più frequenti sono:
-
Haemophilus influenzae;
-
Moraxella Catarrhalis;
-
Streptococcus pneumoniae.
I patogeni meno frequenti sono:
16
-
Pseudomonas aeruginosa;
-
stafilococcus aureus;
-
klebsiella pneumoniae;
-
Escherichia coli.
La terapia può essere effettuata sia per os che per via parenterale. La terapia orale prevede la
somministrazione di:
-
Β-latamici, quali cefalosporine ed amminopenicilline protette;
-
macrolidi;
-
fluorochinolone respiratorio.
La terapia parenterale invece prevede la somministrazione di:
-
cefalosporine;
-
penicilline ad ampio spettro protette.
Alcuni studi hanno cercato di correlare l'eziologia con la gravità della riacutizzazione della bronchite cronica.
La gravità della bronchite cronica viene valutata secondo la riduzione dell'FEV1, e suddivisi in tre stadi:
-
stadio I, con FEV1 compresa tra il 100% e 50%;
-
stadio II, con FEV1 compresa tra il 50% e il 35%;
-
stadio III, con FEV1 inferiore al 35%.
Allo stadio I agli agenti patogeni correlati sono lo Streptococcus pneumoniae, Streptococcus species e
Stafilococcus aureus. Allo stadio II, invece, i principali patogeni coinvolti sono Haemophilus influenzae,
Moraxella catarrhalis, Haemophilus parainfluenzae. Allo stadio III invece abbiamo soprattutto
enterobacteriaceae e Pseudomonas aeruginosa. Quindi, la riduzione della FEV1, in certo qual modo, correla
con l'identità dell’agente patogeno responsabile della riacutizzazione. Nelle bronchite acuta l’agente
patogeno è soprattutto di tipo virale, allergeni, inquinamento ambientale, fumo di sigaretta, con infezioni ad
opera di Mycoplasma pneumoniae Chlamydia pneumoniae. Invece nei soggetti bronchitici cronici, lo spettro
di patogeni responsabili di riacutizzazioni è ben più ampio, ciò dovuto alle alterazioni anatomopatologiche
che si verificano a livello dell'albero tracheobronchiale.
INFEZIONI RESPIRATORIE ACUTE (IRA)
Sono malattie infettive in cui l’apparato respiratorio rappresenta la principale o esclusiva localizzazione
dell’agente patogeno. Nonostante la molteplicità degli agenti patogeni le forme cliniche sono uniformi.
Classificazione
Si distinguono:
-
infezioni delle alte vie respiratorie:
17
•
rinite (rhinovirus, parainfluenza, RSV, Adenovirus – batteri – rinite allergica);
•
faringotonsillite (angina): eritemato-essudativa: adenovirus, parainfluenza, RSV, S. βemolitico, Haemophylus, meningococco; pseudomembranosa: EBV, difterite; vescicolare:
Coxsackie A (herpangina); ulcero-necrotica;
•
otite media;
•
laringo-tracheo-bronchite stenosante: croup difterico; pseudocroup: parainfluenza 1-2-3,
influenza A e B, Adenovirus, RSV, morbillivirus, VZV – edema laringeo e subglottideo,
essudato denso e vischioso, tossiemia generale;
•
-
bronchite;
infezioni delle basse vie respiratorie:
•
bronchiolite;
•
polmonite/broncopolmonite nell’80% dei casi l’eziologia è virale, i principali virus implicati
sono: adenovirus, rhinovirus, paramyxovirus (virus parainfluenzale e virus respiratorio
sinciziale), echovirus, coxsackievirus, la diffusione è ubiquitaria.
Vi è una variazione stagionale con massima incidenza in inverno e primavera, dovuta alla riduzione delle
temperatura (che riduce la motilità delle ciglia vibratili e aumenta la vitalità dei virus) e all’umidità (che
aumenta la stabilità delle goccioline di flugge). Il serbatoio è l’uomo.
Le modalità di trasmissione avvengono direttamente tramite contatto con le goccioline di flugge o
indirettamente attraverso mani, fazzoletti, uso di posate o altri oggetti contaminati di recente dalle secrezioni
infette.
Il periodo di incubazione varia da 1-10 giorni e il periodo di contagiosità si estende solitamente per tutta la
durata della malattia in fase acuta. La moltiplicazione dei microorganismi a livello delle vie respiratorie
determina danno diretto o danno indiretto dovuto alla risposta dell’ospite.
Croup
Attraversa tipicamente quattro stadi:
-
Febbre, raucedine, tosse abbaiante con stridore inspiratorio;
-
ostruzione respiratoria: stridore, tirage, cornage;
-
ipossia-ipercapnia: agitazione, sudorazione, tachipnea, pallore;
-
lesioni atossiche irreversibili: cianosi e arresto respiratorio.
La diagnosi differenziale va posta con: croup difterico, pseudocroup virale, epiglottide acuta da H.
influenzae. La Terapia è eziologica-sintomatica (steroidi per ridurre l’edema, fluidificanti per il muco).
ADENOVIROSI
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Sono infezioni delle prime vie respiratorie associate a segni extrapolmonari. Gli adenovirus sono virus a
DNA, con capside icosaedrico, sprovvisti di mantello che fuoriescono dalla cellula per lisi (effetto
citopatico). Essendo virus nudi, privi di mantello sono resistenti all’essicamento, ai detergenti e all’acidità
gastrica.
Sono presenti circa 30 sierotipi, quelli patogeni sono i “tipi bassi”: 1-7, 11, 14, 21. I sierotipi 8 e 9 sono
responsabili di congiuntivite epidemica in Giappone. Il contagio è interumano. Vi è notevole diffusione
dell’infezione (5-10% delle IRA, soprattutto in inverno). L’immunità è sierotipo-specifica e duratura.
L’incidenza è stagionale: inverno-primavera per le infezioni respiratorie e primavera-estate per le infezioni
oculari.
Clinica
Gli adenovirus sono responsabili di diversi quadri clinici:
-
Malattia respiratoria acuta indifferenziata: È causata dall’adenovirus 3-4-7-14-21. È detta anche
“malattia delle reclute” poiché tende a colpire i nuovi arrivati (non immunizzati) in una comunità
affollata. Il periodo di incubazione è di 5-6 giorni. L’esordio è graduale con febbre senza brivido e
segni generali quali malessere, cefalea, artromialgia, faringite, tonsillite, tosse. La febbre cede per
lisi entro 2-4 giorni. La convalescenza è lunga (1-2 settimane) e caratterizzata da sintomi respiratori;
-
Febbre adenofaringocongiuntivale: Causata dagli adenovirus 1-2-3-5-7-14. È una sindrome
contagiosa febbrile con contemporanea presenza di faringotonsillite (simile alla streptococcica con
essudato biancastro), linfoadenopatia laterocervicale (NB: nell’angina streptococcica SOLO angolomandibolare), congiuntivite congestizia-follicolare bilaterale dolorosa scarsamente secretiva che
dura per 3-14 giorni. Tali segni possono essere tutti e tre presenti o 2 soltanto (in genere però la
faringite è sempre presente);
-
Congiuntivite epidemica: causata dagli adenovirus 8-9. Il periodo di incubazione è di 10 giorni. Si
manifesta con una congiuntivite follicolare con adenopatia preauricolare con piccole opacità corneali
che scompaiono in 2 settimane-2 anni. L’immunità è duratura;
-
Esantemi minori: possono essere di tipo morbilliforme, rubeoliforme, scarlattiniforme e sono causati
dagli adenovirus 1-2-3-4-7;
-
Forme rare: sono rappresentate dalle adenomesenteriti dell’infanzia (con quadro simile ad
appendicite e all’addome acuto), cistite acuta emorragica (nel bambino o nel paziente
immunodepresso), gastroenterite acuta (da adenovirus non coltivabili).
Diagnosi
Il virus può essere isolato dal tampone faringeo, tonsillare o congiuntivale. In coltura cellulare determina
effetto citopatico. Possono essere fatte prove di neutralizzazione sfruttando gli Ag di gruppo.
INFEZIONE DA VIRUS RESPIRATORIO SINCIZIALE
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Il virus respiratorio sinciziale appartiene al genere Paramyxovirus che comprende anche il morbillivirus, il
virus parainfluenzale e il virus della parotite. È un virus ad RNA, con capsule elicoidale, mantellato con
glicoproteine di superficie tra cui la proteina F che è responsabile dell’attività fusogena che determina la
penetrazione del virus all’interno della cellula ospite e il passaggio da una cellula all’altra con formazione di
sincizi.
L’infezione è ubiquitaria è la diffusione avviene per contagio interumano diretto, visto che il virus ha una
scarsissima resistenza all’ambiente esterno Si verificano epidemie nei mesi invernali, tutti i bambini che
attraversano 2-3 epidemie si infettano. A 4 anni gli Ab nei confronti del virus sono presenti in tutti i soggetti.
Il virus colonizza le prime vie respiratorie e determina danno cellulare mediato dalla risposta immunitaria
dell’ospite (non c’è effetto citopatico) cioè con meccanismo immuno-allergico. La malattia è grave nella
prima infanzia e nel lattante dove non è presente immunità mentre le successive infezioni sono meno gravi.
Le IgA secretorie determinano immunità locale protettiva, mentre le Ig circolanti non proteggono in casi
gravi.
Clinica
Le manifestazioni cliniche sono molteplici:
-
adulti e adolescenti: rinite, faringo-tonsillite, otite media;
-
anziani: bronchite acuta/bronchite cronica riacutizzata;
-
bambini: bronchiolite (< 2 anni), polmonite (3-5 anni) o pseudocroup.
Come si nota la malattia da RSV è più grave nella prima infanzia, poi con lo sviluppo dell’immunità le
reinfezioni sono sempre meno gravi, tranne che nell’anziano dove vi sono condizioni favorenti (calo delle
difese specifiche e aspecifiche, stasi polmonare).
La diagnosi viene fatta tramite l’isolamento del virus dalle secrezioni respiratorie. La coltura è difficile in
quanto ci sono poche cellule permissive. Non è presente effetto citopatico ma formazione di sincizi.
Bronchiolite
È una sindrome ad eziologia virale che colpisce i bambini di età inferiore 2 anni caratterizzata da
infiammazione con ostruzione delle ultime diramazioni bronchiali. Oltre all’RSV, raramente si possono
avere forme da virus parainfluenzale o adenovirus. La massima incidenza si ha nel 2° trimestre di vita in
quanto prima dei 3 mesi si ha la presenza di Ab materni protettivi. È presente infiammazione con
ispessimento della parete dei bronchioli dovuta ad edema ed infiltrato linfomonocitario fino all’occlusione
del lume da parte dei detriti cellulari e del muco. Quando l’ostruzione è completa l’aria viene intrappolata e
successivamente riassorbita con fenomeni di atelettasia, quando l’ostruzione è parziale invece si crea un
meccanismo a valvola con un quadro di enfisema. Le alterazioni non sono uniformemente distribuite per cui
accanto a zone atelettasiche e enfisematose ci sono zone di parenchima integro.
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Le conseguenze fisiopatologiche sono rappresentate da compromissione degli scambi gassosi che nelle
forme meno gravi interessano soltanto l’ossigeno con ipossia e nelle forme più gravi anche la CO 2 con
ipercapnia.
Clinica
Il periodo di incubazione è di 1-7 giorni. L’inizio è caratterizzato da sintomatologia di interessamento delle
alte vie respiratorie che dura per 1-3 giorni, con assenza di febbre o febbricola rinorrea e tosse secca. Poi
compare in modo acuto spesso drammatico il quadro tipico della bronchiolite:
-
polipnea e dispnea inspiratoria con rientramento del giugulo e degli intercostali e tirage (retrazione
della fossa sopraclaveare con evidenzia dei muscoli accessori in quanto l’incremento delle resistenze
al flusso aereo determina l’impiego dei muscoli respiratori accessori);
-
cianosi, pallore e agitazione;
-
tosse secca continua di tipo parossisitico (pertussoide);
-
tachicardia dissociata dalla temperatura corporea (180/200 al minuto);
-
alterazione delle condizioni generali.
All’EO sono presenti segni di enfisema acuto: riduzione del murmure vescicolare, fini rantoli subcrepitanti
diffusi, sibili, ipofonesi, torace espanso e basi ipomobili. Con l’evoluzione benigna della sintomatologia
rimangono solo segni di bronchite.
Possibili complicanze sono: otite catarrale media (virus) o purulenta (batteri), superinfezioni batteriche,
disidratazione, disordini metabolici, scompenso cardiocircolatorio. L’evoluzione è favorevole nel 90% dei
casi, mentre nell’1-10% è letale squilibri idroelettrolitici ed acidobase determinati dall’ipercapnia o per
scompenso cardiocircolatorio.
Diagnosi
Leucociti e VES sono per lo più stazionari. L’ECG evidenzia tachicardia sinusale, asse elettrico deviato a
destra, T piatto. L’Rx torace evidenzia irregolarità di areazione per atelettasie multiple variabili,
accentuazione della trama broncovascolare, infiltrazioni peribronchiali e ingrandimento degli ili.
È presente inoltre il quadro dell’enfisema con torace espanso, coste orizzontalizzate, diaframma piatto, aree
di iperdiafania.
Terapia
Si basa sull’ossigenoterapia e sulla ribavirina (in aerosol). Va fatta anche terapia di supporto con liquidi e
correzione delle alterazioni metaboliche e acido-base.
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Non vanno usati broncodilatatori per l’immaturità delle strutture bronchiolari per cui mancano i recettori per
questi farmaci. Anche per gli steroidi non è provata una sicura attività. Gli antibiotici vanno usati soltanto in
caso di complicanze batteriche.
POLMONITE
È una infiammazione acuta o subacuta del parenchima polmonare che interessa l’alveolo e/o l’interstizio. La
classificazione epidemiologica è:
-
polmonite acquisita in comunità (CAP);
-
polmonite nosocomiale o ospedaliera acquisita da pazienti entrati in ospedale per altri motivi, con
permanenza di almeno 72 ore (periodo di latenza) provoca in genere da agenti aggressivi e invasivi,
che hanno una forte resistenza agli antibiotici.
La classificazione clinica-eziologica prevede:
-
polmonite atipica sostenuta da germi non comuni (intracellulari) che non rispondono ai comuni
antibiotici come penicillina e derivati (ma rispondono ai macrolidi);
-
polmonite tipica (o lobare franca) causata da germi extracellulari, si manifesta clinicamente con i
reperti classici dell’addensamento polmonare.
La classificazione anatomopatologica è la seguente:
-
polmonite alveolare prevalentemente batteria o micotica, causata da Streptococco Pneumoniae
(Pneumococco), Klebsiella Pneumoniae, Haemophilus Influenzae, Legionella pneumophyla;
-
polmonite interstiziale da Micoplasma, Clamidia, Rickettzia, Coxiella burnetii, Bordetella Pertussis,
virus;
-
polmonite necrotizzante ascessuale che è caratterizzata da necrosi parenchimale e formazione di
ascessi, causata da piogeni o anaerobi soprattutto saprofiti della cavità orale in corso di polmonite ab
ingestis, in genere associata a condizioni favorenti locali o sistemiche.
Possono essere implicati nella genesi della polmonite anche agenti opportunistici come: aerobi gram – (E.C.
proteus, enterobacter, Serratia, Pseudomonas), bramhanella catarralis, stafilococchi coagulasi negativi,
streptococchi anemolitici, Bacterioides ed altri anaerobi, Pneumocystis Carinii.
In base all’estensione le polmoniti si classificano in:
-
polmonite lobare o franca, che coinvolge un ampia porzione di un lobo polmonare o un intero lobo,
soprattutto i lobi inferiori;
-
polmonite lobulare o broncopolmonite, che coinvolge uno o più lobuli, in genere è caratterizzata da
focolai multipli e sparsi che possono confluire interessando un intero lobo (polmonite
pseudolobulare);
22
-
polmonite segmentaria che colpisce un segmento in particolare la lingula (segmento anteriore) in
generale sono più colpiti i lobi inferiori, il lobo medio e la lingula perchè sono poco ventilati e quindi
i germi sono eliminati con maggiore difficoltà.
Epidemiologia
In Italia c’è stata una riduzione di incidenza. L’incidenza attuale 4-12 per 100000.
Eziopatogenesi
Per quanto riguarda le modalità di trasmissione questa si verifica con:
-
aspirazione dei microrganismi che colonizzano normalmente l’orofaringe (soprattutto in caso di
polmonite ab ingestis);
-
inalazione di particelle aerosolizzate infette;
-
disseminazione ematica o linfoematica da una sede extrapolmonare di infezione;
-
inoculazione diretta (ferita o intubazione);
-
diffusione per contiguità da una sede adiacente di infezione; transtoracica (ex. ferita settica) o
trasdiaframmatica (ex. flora batterica intestinale).
Fisiopatologia
Il polmone in condizioni di normalità è sterile. L’infezione polmonare si manifesta quando i meccanismi di
difesa sono deficitari o le resistenze dell’ospite si abbassano. Anche l’entità e l’evoluzione dell’infezione
dipende dal bilancio tra virulenza dell’agente patogeno e difese dell’ospite.
Meccanismi di difesa delle vie aeree e del parenchima polmonare sono rappresentati da:
-
filtro naso-faringeo che assicura la depurazione dell’aria inspirata tramite l’arresto delle particelle di
diametro superiore a 2-4μm e tramite una azione di spazzolamento operata dall’epitelio mucoso
ciliato che spinge il muco verso il faringe dove viene inghiottito;
-
clereance mucociliare tracheobronchiale, l’epitelio cilindrico pseudostratificato è provvisto di ciglia
che si muovono in maniera ritmica e coordinata determinando un movimento del muco verso
l’orofaringe da cui esso viene inghiottito o espettorato;
-
tosse;
-
riflesso epiglottideo;
-
fagocitosi ad opera dei macrofagi alveolari;
-
Ab soprattutto IgA ma anche IgG o IgM;
-
Linfociti T.
Fattori predisponenti alle infezioni polmonari sono dunque:
23
-
Perdita o soppressione del riflesso della tosse: coma, anestesia, alterazioni neuromuscolari, farmaci
(sedativi e oppiacei), dolore toracico (di tipo pleurico accentuato dalla tosse), tutte queste condizioni
possono anche portare ad aspirazione del contenuto gastrico;
-
Alterazione dell’apparato muco-ciliare: fumo di sigaretta, inalazione di gas caldo o corrosivo,
malattie virali e disturbi di origine genetica (sindrome delle ciglia immobili);
-
Riduzione di attività fagocitica e battericida dei macrofagi: alcol, fumo, anossia, intossicazione da
O2;
-
Congestione ed edema polmonare (polmonite epostatica);
-
Accumulo di secrezioni: fibrosi cistica e occlusione bronchiale (BPCO o carcinoma endobronchiale);
-
Infezioni virali che determinano necrosi delle cellule ciliate;
-
Fattori predisponenti sono anche connessi ad una riduzione generale delle resistenze dell’ospite di
tipo immunologico: Immunodeficienze, Ipogammaglobulinemia (soprattutto per le forme da germi
capsulati), Splenectomia funzionale (ex. da drepanocitosi), Deficit del complemento, Coma (assenza
del riflesso epiglottideo e della tosse), Periodo neo-perinatale o senile, Vasculocerebropatie, BPCO,
Malattie croniche debilitanti, Neoplasie (riduzione delle difese immunitarie), Diabete (riduzione
delle difese immunitarie), Farmaci immunosoppressori o citostatici, Trapianto d’organo (terapia
immunosoppressiva), Alcol (colonizzazione facilitata dell’orofaringe, riduzione di difese
meccaniche ed umorali ad opera di gram- e Legionella), Malnutrizione, Fumo (aumento dei fattori
di adesione agli alveoli).
In particolare fattori di rischio per le polmoniti nosocomiali sono:
-
Tecniche diagnostiche invasive con strumenti non sterili (broncoscopia, pleuroscopia);
-
Endoscopia;
-
Trattamento immunodepressivo o citostatico;
-
Antibioticoterapia indiscriminata o cronica che determina chemioresistenza;
-
Terapia cortisonica protratta (asma, sarcoidosi);
-
Spostamento dei malati;
-
Edifici ospedalieri malsani.
Anche l’istituzionalizzazione (ricovero per anziani) determina un fattore di rischio dovuto all’età e alla
comunità chiusa.
Diagnosi
Nel 30-50% dei casi non si riesce a fare una diagnosi eziologica. Si può tenere conto della stagionalità:
-
Inverno: Streptococco;
-
Postinfluenzali: Pneumococco, Stafilococco, Haemophylus influenzae.
24
Se sono colpiti più membri della famiglia in genere si tratta di agenti atipici in particolare Clamidia. Spesso
sono presenti forme miste causate da agenti tipici e atipici. La BPCO si associa frequentemente a infezioni
da Haemophilus, Pneumococco o germi gram- della flora batterica intestinale. I gram- colpiscono soprattutto
anziani, etilisti e ospedalizzati. Nell’anziano sono frequenti infezioni da Enterobatteri, Haemophilus,
Pneumococco e Pseudomonas.
La diagnosi batteriologica viene normalmente effettuata sull’espettorato raccolto con paziente in decubito
opposto rispetto alla lesione e testa in basso. L’espettorato però può essere contaminato da germi
commensali dell’orofaringe come Streptococcus Pneumoniae, Staphylococcus Aureus, Haemophilus
Influenzae, Branhamella Catarralis, alcuni bacilli gram-. Non sono mai commensali Legionella e
Mycobacterium Tuberculosis.
Per evitare la contaminazione viene fatto prima del prelievo uno sciacquo con soluzione fisiologica. Il
campione deve essere portato in laboratorio entro 2 ore altrimenti la flora commensale elimina quella
patogena.
Per definire la validità di un campione di espettorato è necessario far precedere ad un esame colturale un
esame citologico dell’espettorato: la prevalenza di cellule squamose (più di 10 per campo) indica che il
materia le proviene in buona parte dal cavo orale e quindi vi è contaminazione mentre la prevalenza di PMN
(più di 10 per campo) depone per la validità del campione (criteri di Barlet per il giudizio di idoneità di un
espettorato per l’esame batteriologico). Alternativamente si può fare la coltura sul materiale proveniente da
agoaspirazione in corso di broncoscopia o sul BAL.
In caso di polmoniti con intrattabilità terapeutica in cui è necessario fare diagnosi eziologica si può ricorrere
alla puntura transcricoridea, puntura transtoracica o biopsia a torace aperto. Indagini sierologiche si basano
sul confronto tra titolo anticorpale del siero di fase acuta e del siero convalescente o su unico campione di
siero. In questo caso la diagnosi viene formulata solo a posteriori e non è quindi utile nell’immediato per la
scelta terapeutica.
Clinica
La sintomatologia è diversa nell’anziano rispetto all’adulto, più specificamente nell’anziano potrebbero
presentarsi sintomi attenuati e l’esito prognostico potrebbe essere più grave rispetto ad un individuo giovane.
Nell’adulto c’è tosse, con predominanza della sintomatologia respiratoria, invece nell’anziano si verifica una
compromissione dello stato generale con compromissione psichica e insufficienza cardiaca. Fattori
prognostici sfavorevoli sono:
-
Bassa temperatura;
-
Tachipnea (>20 min);
-
Insufficienza Respiratoria (pO 2 = 55 mmHg);
-
Batteriemia;
25
-
Leucopenia < 10000 unità/ml.
Terapia
La scelta terapeutica è spesso empirica e basata sulle condizioni in cui è stata acquisita l’infezione, sulla
presentazione clinica, sulle alterazioni radiografiche, sull’analisi dell’espettorato.
POLMONITE BATTERICA O TIPICA
È una polmonite alveolare e purulenta. Si può manifestare come polmonite lobare o broncopolmonite in base
alla quantità dei microrganismi e alle resistenze dell’organismo: una carica elevata di microrganismi tende a
dare una polmonite lobare, una carica bassa una broncopolmonite. La polmonite lobare difficilmente colpisce
vecchi e bambini ed è rara, mentre la broncopolmonite è più frequente negli anziani.
L’agente eziologico nel 95% dei casi è rappresentato dallo Pneumococco, nel 5% da altri agenti
(Haemophilus Influenzae, Stafilococcus Aureus, Klebsiella Pneumoniae, Pseudomonas). L’ingresso avviene
attraverso le vie aeree e in genere si verifica una iniziale infezione delle vie aeree superiori con conseguente
aspirazione bronchiale delle secrezioni infette che porta alla successiva localizzazione polmonare.
Lo pneumococco è un cocco gram + capsulato con aspetto a fiamma di candela: 2 cocchi con forma
allungata ed alone sfumato dovuto alla capsula. In base agli antigeni capsulari sono distinguibili 86 sierotipi,
i tipi bassi 1-23 sono patogeni, mentre i tipi alti 24-86 sono opportunisti. L’antigene capsulare ha la funzione
di proteggere dalla fagocitosi, l’antigene capsulare solubile ha una azione aggressinica di blocco delle
opsonine. Gli Ag capsulari avocano Ab protettivi che sono in grado di provocare l’opsonizzazione. Gli
pneumococchi possono anche dare sepsi, meningiti ed altre forme extrapolmonari (sinusiti, otiti, mastoiditi,
artriti, endocarditi, sierositi).
Anatomia patologica
La polmonite lobare non trattata evolve attraverso i 4 stadi classici:
-
Congestione: si nelle prime 24-48 ore e corrisponde alla colonizzazione batterica del parenchima
polmonare che coinvolge soprattutto il lobo medio ed i lobi inferiori. È dovuto a iperemia vascolare
e formazione di essudato intralveolare in cui sono presenti PMN e batteri (edema infiammatorio). Vi
è una riduzione della crepitazione (subcrepitazione). La pleura è liscia o appena opacata in quanto
ancora l’interessamento pleurico è modesto. Microscopicamente è presente essudato intra-alveolare
ricco di batteri con materiale proteinaceo e rari eritrociti e PMN (alveolite sierosa). L’iperemia
determina dilatazione dei capillari del setto alveolare;
-
epatizzazione rossa: macroscopicamente si ha accentuazione delle modificazioni della prima fase
cioè ulteriore incremento di volume, peso e consistenza (simile a quella del parenchima epatico). È
presente una pleurite fibrinosa o fibrinopurulenta dovuta alla diffusione del processo infiammatorio
per contiguità alla superficie pleurica. La pleurite purulenta viceversa è una complicanza della
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polmonite lobare dovuta all’impianto dei batteri nel cavo pleurico. La pleurite fibrinosa è
responsabile di dolore puntorio e sfregamenti pleurici. Il crepitio è assente. Il colore diventa più
rosso perchè si ha ulteriore dilatazione dei capillari e passaggio dei globuli rossi all’interno
dell’alveolo. Microscopicamente visto che il processo infiammatorio determina incremento di
permeabilità capillare e diapedesi si ha presenza all’interno dell’alveolo di numerosi PMN, eritrociti
e formazione di fibrina. Spesso si forma un coagulo endoalveolare che offusca la normale
architettura alveolare. Questa fase corrisponde clinicamente all’emissione di espettorato di colore
roseo;
-
epatizzazione grigia: macroscopicamente si ha un ulteriore incremento di volume, peso e consistenza
del polmone. Il colorito è grigio, la crepitazione assente. La superficie di taglio appare grigia,
granulosa e asciutta. L’alveolo è ripieno di macrofagi e PMN che fagocitano i batteri. L’essudato
purulento e fibrina comprimono la parete settale dell’alveolo schiacciando i capillari alveolari. Verso
la fine di questa fase il coagulo endoalveolare si retrae e si stacca, si ha così la cessazione della
compressione sui capillari e il ripristino della vascolarizzazione;
-
risoluzione: macroscopicamente permane l’incremento di volume e peso ma la consistenza diventa
più flaccida. Ricompare il crepitio (subcrepitazione). I neutrofili e i macrofagi vanno incontro a lisi e
liberano enzimi che digeriscono la fibrina (digestione del coagulo endoalveolare). La ricomparsa
della vascolarizzazione fa in modo che arrivino dal sangue enzimi fibrinolitici che digeriscono la
fibrina. L’essudato alveolare da denso diventa sempre più liquido di cui una parte viene riassorbita
tramite i linfatici ed il sangue e una parte viene eliminata tramite l’espettorazione.
Si arriva in genere alla restitutio ad integrum resa possibile dal fatto che l’infiammazione alveolare
(alveolite) non altera in genere le pareti alveolari ma rimane confinata all’interno del lume alveolare.
Attualmente l’osservazione di queste fasi è diventata sempre meno frequente a causa del precoce intervento
della terapia antibiotica.
Complicanze
La carnificazione polmonare consiste nell’organizzazione dell’essudato con esito in fibrosi (si associa a
organizzazione della fibrina a livello pleurico con formazione di aderenze pleuriche). L’ascesso polmonare si
ha a causa della distruzione del parenchima e necrosi tissutale (soprattutto in caso di Pneumococco di tipo 3
o Kleibsiella). L’empiema si verifica per diffusione dei batteri al cavo pleurico. La risoluzione è ritardata se
c’è un preesistente difetto del setto per cui il coagulo non viene rapidamente allontanato (>21 giorni). Inoltre
si può avere disseminazione batterica (batteriemia) che può complicarsi con sepsi (i germi capsulati non
danno CID a meno che non vi siano dei deficit immunitari) e disseminazione metastatica con meningite,
endocardite e artrite (in epoca preantibiotica era frequente la triade del Marchiofava: polmonite, endocardite,
meningite).
La broncopolmonite è preceduta sempre da una bronchite o bronchiolite. Macroscopicamente è caratterizzata
da focolai di consolidamento disseminati o confluenti che interessano soprattutto i lobi inferiori, dove più
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facilmente tendono a ristagnare i secreti. Le aree si consolidamento più spesso sono multilobari e
frequentemente bilaterali.
I focolai hanno in genere un diametro di 3-4 cm, sono lievemente rilevati asciutti, granulosi di colore da
grigio-rossastro a giallastro ed hanno margini scarsamente delimitati. Le lesioni elementari sono analoghe a
quelle della polmonite lobare ma sono asincrone cioè sfalsate nel tempo poichè i germi arrivano in tempi
diversi. La lesione è in genere profonda e raramente subpleurica. Solo nel caso in cui la lesione è subpleurica
si ha la pleurite fibrinosa.
Esistono 2 forme:
-
a focolai disseminati in cui non c’è mai interessamento pleurico;
-
a focolai confluenti (pseudolobare) in cui ci può essere interessamento pleurico.
In genere la broncopolmonite guarisce spontaneamente ma può dare luogo ad ascesso polmonare o
rarissimamente a carnificazione polmonare con fibrosi polmonare circoscritta.
Fisiopatologia
L’essudato infiammatorio determina ispessimento della barriera alveolocapillare con riduzione degli scambi
gassosi che determina ipossia che non si associa a ipercapnia a causa dell’iperventilazione compensatoria
(cianosi e dispnea).
La cianosi è massima nell’epatizzazione rossa quando la presenza dell’essudato riduce l’ossigenazione del
sangue senza impedirne il circolo con aumento del rapporto V/Q, mentre nello stadio di epatizzazione grigia
la cianosi si riduce perchè la compressione dei capillari determina l’esclusione delle zone interessate dalla
circolazione polmonare (rapporto V/Q normale).
In questa fase inoltre la polmonite lobare non trae giovamento dall’ossigenoterapia perchè le zone colpite
sono escluse sia dalla ventilazione che dalla perfusione.
Clinica
L’esordio è in genere brusco con febbre alta (39-41°) e brividi improvvisi. La febbre è continua o
subcontinua nella polmonite da pneumococco mentre è continuo-remittente nella polmonite da altri batteri ed
è intermittente nella polmonite stafilococcica.
Il paziente accusa malessere generale con spiccata adinamia ed è presente cianosi, dispnea e tachicardia.
Spesso è presente un dolore toracico di origine pleurica puntorio localizzato in corrispondenza del focolaio
broncopneumonico, accentuato dalla tosse e dalla respirazione che determinando l’interruzione del respiro
profondo determina tachipnea e polipnea (respiro superficiale).
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La tosse dapprima secca diventa produttiva con espettorato mucopurulento e talvolta croceo (rugginoso),
soprattutto nelle fasi finali.
Nella polmonite da anaerobi l’espettorato è marroncino e maleodorante, nella polmonite da Pseudomonas è
verdastro e nella polmonite da Stafilococco è purulento e denso.
Può essere presente herpes labialis (riacutizzazione dovuta ad abbassamento dell’immunità CM). In alcuni
pazienti si può avere distensione addominale da meteorismo che può essere di entità tale da assumere
l’aspetto di un ileo paralitico.
Nell’evoluzione spontanea si ha sfrebbramento per crisi dopo 7-9 giorni con sudorazione profusa. Quando si
instaura terapia antibiotica si ha un miglioramento del quadro clinico in circa 24 ore ma nel 50% dei pazienti
la temperatura si normalizza dopo 4-6 giorni.
Diagnosi
All’esame obiettivo l’emitorace interessato è ipoespansibile, è presente ottusità dovuta al consolidamento
polmonare, aumento del FVT, rantoli crepitanti soprattutto nel periodo iniziale (crepitatio index) e nella fase
di risoluzione (crepitatio redux) e eventualmente un soffio bronchiale (nella fase di epatizzazione rossa in cui
il consolidamento è tale da non permettere l’ingresso di aria). È presente broncofonia: facendo pronunciare al
paziente il numero 33 sembra che il suono parta dalla zona addensata.
La pleurite parapneumonica o reattiva determina sfregamenti pleurici e il soffio pleurico. L’Rx torace mostra
un area di opacità omogenea e densa a contorni netti con estensione lobare o sublobare.
È spesso presente un broncogramma aereo cioè la proiezione dell’immagine iperchiara del bronco pervio
sullo sfondo di del parenchima opaco. È in genere presente una spiccata leucocitosi neutrofila fino a 1525000 con presenza anche di forme immature come forme a banda (non segmentate) o metamielociti.
L’esame colturale dell’espettorato permette di giungere alla diagnosi eziologica tramite esame a fresco e poi
esame colturale. In forme particolarmente gravi possono essere utilizzate anche tecniche invasive quali
biopsia, puntura retrosternale e broncoscopia con biopsia o BAL (iniezione di sostanza fisiologica tramite
l’endoscopio e poi aspirazione).
Va fatta anche l’emocoltura che è positiva nel 30% dei casi e la ricerca dell’antigeni solubili nel sangue e
nelle urine tramite latex test, che è una metodica che non viene inficiata dall’antibioticoterapia perché la
distruzione batterica determina un incremento dell’eliminazione dell’Ag.
È importante la diagnosi differenziale con la lobite tubercolare (in cui si vede il complesso primario),
atelettasia polmonare (non ci sono rantoli perché non passa aria e si ha assenza del MV, l’area collassata è
meglio delimitata) e infarto polmonare (il dolore precede la febbre e si ha emottisi).
Terapia
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Di solito la polmonite lobare si risolve spontaneamente dopo 7-10 giorni, ma se va in contro a complicazioni
può anche portare a morte. Gli schemi terapeutici sono:
-
Nella Polmonite da Pneumococco si utilizza: penicillina G (ampicillina, cefalosporine, rifampicina,
teicoplanina);
-
Polmonite da Stafilococco: cloxacillina, rifampicina, teicoplanina, vancomicina;
-
Batteri gram negativi anaerobi: aminoglicosidi, piperacillina;
-
Anaerobi: cefoxitina, metronidazolo, clindamicina.
L’antibiotico di prima scelta delle CAP è la claritromicina, mentre nei pazienti ospedalizzati,
immunodepressi o comunque con più di 60 anni è consigliabile l’associazione tra una cefalosporina di III
generazione e un aminoglicosidi o un carbapenemico.
È disponibile anche la vaccinazione antipneumococcica costituita da numerosi Ag capsulari di diversi
sierotipi.
Polmonite stafilococcica
La polmonite da Stafilococco (che è facilmente chemioresistente) tende ad essere necrotica con formazione
di microascessi. Gli Stafilococchi dal rinofaringe colonizzano l’albero bronchiale e quindi il parenchima
polmonare. Condizioni favorenti sono influenza, BPCO e cardiopatie croniche scompensate (polmonite da
epostasi). La polmonite si può manifestare con focolaio unico (polmonite lobare) o focolai multipli
(broncopolmonite). Il quadro clinico è più variabile rispetto alla forma Pneumococcica e va da forme
paucisintomatiche a forme fulminanti con rapida evoluzione verso l’IRA.
Si può verificare anche il cosiddetto foruncolo del polmone per ascessualizzazione di una polmonite a
focolaio unico secondaria in genere a diffusione ematogena del microrganismo. Nel bambino è frequente lo
pneumatocele dovuto allo svuotamento di un ascesso in un bronco con formazione di bolle tipiche causate
dal meccanismo a valvola (pneumocele).
Ascesso polmonare
È un processo necrotico-suppurativo del parenchima polmonare (polmonite purulenta necrotizzante). In era
preantibiotica l’agente eziologico più frequente era lo Pneumococco, oggi è più frequente una eziologia
polimicrobica. Sono frequentemente interessati Stafilococcus Aureus e Streptococchi e germi anaerobi
normalmente localizzati nel cavo orale.
Il meccanismo patogenetico più importante è rappresentato dall’evoluzione di una polmonite da aspirazione
per cui fattori predisponenti sono:
-
infezioni del cavo orale;
-
alterazione della deglutizione (coma, anestesia);
-
ostruzione delle vie aeree di tipo meccanico da corpi estranei o neoplasie;
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-
ostruzione delle vie aeree di tipo funzionale da BPCO.
Particolarmente seria è l’aspirazione di contenuto gastrico poichè contribuiscono all’infiammazione anche
l’azione irritante del cibo e l’azione lesiva del succo gastrico.
Altre cause di ascesso polmonare sono:
-
complicazione di infezioni batteriche soprattutto in pazienti immunodepressi;
-
embolie settiche soprattutto da tromboflebiti e endocarditi batteriche vegetanti che determinano
infarto settico;
-
carcinoma endobronchiale che determina ostruzione con atelettasia o subocclusione con ristagno di
secrezioni che favoriscono episodi broncopneumonici ricorrenti;
-
diffusione da focolai di infezione in organi contigui: esofago, cavo pleurico, spazio subfrenico,
colonna vertebrale;
-
ferita penetrante;
-
disseminazione ematogena ( a differenza dell’ impianto di un embolo settico si ha la presenza solo
dei germi senza materiale trombotico e sono presenti tanti piccoli ascessi multipli, foruncolosi,
anziché solo alcuni più grandi).
Anatomia patologica
I focolai ascessuali hanno dimensioni variabili da pochi millimetri ad ampie cavità di 5-6 cm, possono
interessare qualsiasi parte del polmone ed essere singoli o multipli. Gli ascessi da aspirazione sono molto più
frequenti nel polmone di destra poichè il bronco principale di destra forma un angolo rispetto alla trachea che
è meno marcato rispetto a quello del bronco di sinistra e sono in genere singoli.
La localizzazione inoltre è in rapporto alla posizione del paziente:
-
paziente in piedi: segmenti basali del lobo inferiore di destra;
-
paziente in decubito laterale destro: segmento apicale del lobo inferiore, segmento basale del lobo
superiore;
-
paziente in decubito laterale sinistro: segmento superiore del lobo inferiore.
Gli ascessi che si hanno come complicanza di polmoniti o bronchiectasie sono invece multipli diffusi e a
localizzazione basale.
Gli ascessi conseguenti a batteriemia o emboli settici sono multipli e possono colpire qualsiasi regione del
polmone (più frequenti in lobi superiori che sono più colpiti da infarto polmonare). Se l’ascesso è di piccole
dimensioni tende alla guarigione che è accelerata dalla terapia antibiotica, se invece diventa di grandi
dimensioni difficilmente tende a guarire ed è necessaria la terapia chirurgica che evita l’insorgenza di
complicazioni.
Complicazioni
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Quando l’ascesso è subpleurico tende a determinare, analogamente alla polmonite, una pleurite fibrinosa
circoscritta, se però l’ascesso si apre nel cavo pleurico si ha la diffusione dei microrganismi nel cavo pleurico
con formazione di una pleurite purulenta fino all’empiema. Se si forma una fistola tra ascesso e cavo
pleurico e c’è comunicazione tra l’ascesso ed un bronco si realizza una fistola broncopleurica che provoca
uno pneumotorace detto piopneumotorace. L’apertura dell’ascesso nel mediastino da origine a mediastinite.
Dall’ascesso possono partire emboli settici che determinano ascessi a distanza in particolare l’ascesso
cerebrale. Quando un ascesso (primario) si apre in un bronco durante la espulsione parte del suo contenuto
(pus o materiale necrotico contenente batteri) viene diffuso nelle parti declivi rispetto al bronco drenante con
formazione di ascessi secondari che a differenza degli ascessi multipli sono asincroni. Il materiale necrotico
della cavità ascessuale non drenata diventa facilmente sede di infezioni sovrapposte da parte di saprofiti e lo
stato di infezione continua porta alla gangrena polmonare con formazione di ampie cavità.
Clinica
L’esordio può essere acuto con sintomatologia simile a quella di una polmonite: febbre, brividi, dolore
toracico, tosse con escreato purulento di odore fetido in caso di infezione da anaerobi.
A volte invece se l’ascesso è la complicanza di un episodio infettivo la sintomatologia è più sfumata.
Può anche essere presente tosse senza espettorato. Quando un ascesso di dimensioni grandi si svuota in un
bronco si può avere la vomica rappresentata da emissione di abbondante quantità di espettorato purulento e
emorragico.
Se alla vomica segue il totale svuotamento dell’ascesso si può assistere al miglioramento del quadro clinico.
All’esame obiettivo è presente ottusità, riduzione del murmure e crepitii circoscritti.
Diagnosi
All’Rx torace è presente un addensamento omogeneo nel cui contesto appare precocemente un’area più
chiara segno dell’escavazione. La presenza di un’immagine escavata con all’interno livelli idroaerei è indice
di svuotamento dell’ascesso in un bronco.
La broncoscopia permette il prelievo del materiale purulento dal bronco di drenaggio su cui può essere fatto
l’esame microbiologico. I dati di laboratorio evidenziano leucocitosi neutrofila ed incremento della VES.
POLMONITE ATIPICA
È così chiamata per differenziarla da quella tipica cioè quella lobare. Viene infatti definita come in
infiammazione acuta con caratteristiche cliniche e radiologiche diverse dalla polmonite Pneumococcica. Al
contrario della polmonite tipica infatti si ha mancanza di essudato alveolare e alterazioni infiammatorie a
focolai limitate al setto alveolare e all’interstizio (polmonite interstiziale).
È causata da vari microrganismi:
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-
Mycoplasma Pneumoniae;
-
Clamidia Pneumoniae;
-
Rickettzie;
-
Virus influenzali tipo A e B;
-
Virus respiratorio sinciziale;
-
Adenovirus;
-
Rhinovirus;
-
Virus parainfluenzale;
-
Virus della varicella;
-
Virus della rosolia.
Ciascuno di questi agenti può causare una semplice infezione delle vie aeree superiori o una infezione più
grave delle basse vie respiratorie che è associata a elementi favorenti (i classici, età avanzata, malnutrizione,
ecc…).
La gravità della polmonite può dipendere anche da una superinfezione batterica: il coinvolgimento
bronchiale infatti può determinare necrosi dell’epitelio ciliato con riduzione della clereance muco-ciliare e
quindi aumentata suscettibilità alle infezioni batteriche. La polmonite atipica a volte inizia come polmonite
interstiziale e poi evolve in broncopolmonite.
Anatomia patologica
La morfologia è indipendente dall’agente eziologico. Macroscopicamente sono presenti aree congeste di
colorito rossastro o rosso-bruno, subcrepitanti. Il peso del polmone è moderatamente aumentato. La pleura è
liscia, raramente si instaura pleurite (altra differenza con la polmonite tipica). A differenza della polmonite
tipica non si ha consolidamento polmonare.
Microscopicamente si ha dilatazione dei capillari e essudato ed infiltrato che determinano l’ispessimento del
setto alveolare. Al contrario della polmonite tipica la cavità alveolare non è estesamente interessata, soltanto
parzialmente: l’elemento fondamentale infatti è la natura interstiziale del processo infiammatorio
virtualmente limitato alle pareti alveolari.
La risposta è prevalentemente di tipo linfocitario a livello interstiziale perivascolare, perilinfatico e
peribronchiale (al contrario della polmonite lobare in cui sono prevalentemente interessati i PMN).
Talvolta la necrosi degli pneumociti e la trasudazione di fibrina determina la formazione di membrane ialine
che riflettono quindi l’esistenza di un danno alveolare. Quando si ha danno alveolare grave e diffuso si
determina l’ARDS che porta ad insufficienza respiratoria (polmonite fulminante).
Clinica
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Una caratteristica della polmonite atipica è la cosiddetta dissociazione clinico-patologica cioè il fatto che alla
sintomatologia clinica non corrispondano reperti all’esame obiettivo o questi sono molto scarsi (l’RX invece
da una immagine ben visibile).
L’esordio è in genere graduale con febbre remittente irregolare senza brividi. In genere si ha tosse secca
insistente anche se questa può essere anche assente. L’escreato è scarso e mucoso, raramente striato di
sangue se il processo infiammatorio porta alla rottura di vasi.
È presente bruciore retrosternale tipo trachite che si accentua con i colpi di tosse. Si ha cefalea, astenia e
mialgia. Difficilmente si hanno sintomi pleurici. All’esame obiettivo non sono presenti particolari reperti. In
genere non si verifica ispessimento della barriera alveolo-capillare e quindi non si ha dispnea e cianosi.
Diagnosi
Nel 20% dei casi infatti l’esame obiettivo è completamente negativo. All’Rx sono presenti opacità
disomogenee a limiti non netti (a vetro smerigliato). Alla spirometria nelle forme lobari o interstiziali si
possono avere dei quadri di tipo restrittivo con riduzione dei volumi statici e dinamici.
Gli esami di laboratorio evidenziano una linfocitosi con incremento relativo di monociti e linfociti ( non è
presente leucocitosi neutrofila). La VES e gli altri indici aspecifici sono di poco alterati.
Terapia
Per quanto riguarda la terapia, questa dipende dall’agente eziologico:
-
Mycoplasma Pneumoniae: tetracicline, macrolidi.;
-
Clamydia Psittaci: tetracicline;
-
Coxiella Burnetii: tetraciline, macrolidi;
-
Pneumocistis Carinii: cotrimoxazolo.
Polmonite da Mycoplasma Pneumoniae
È detta anche polmonite atipica primaria ed è la più frequente forma di polmonite interstiziale. Mycoplasma
Pneumoniae non possiede parete cellulare e pertanto non risponde alla penicillina. La diffusione è ubiquitario
a carattere endemico. Colpisce tutte le età ma più frequentemente bambini e giovani adulti.
La modalità di trasmissione è interumana legata all’inalazione di goccioline provenienti dal nasofaringe o per
contatto diretto con una persona infetta o con oggetti contaminati di recente con secrezioni del naso o della
gola di un paziente con infezione acuta.
Sono colpite soprattutto comunità studentesche, militari, famiglie. Si associa a epidemie di infezioni delle vie
respiratorie superiori che poi possono progredire a polmonite. L’incubazione è di 14 giorni.
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La diagnosi viene fatta tramite indagini sierologiche (FC, EAI, IFA) che ricercano gli Ab verso il
microrganismo e tramite la ricerca del movimento sierologico aspecifico rappresentato dalle agglutinine a
frigore.
Polmonite da Clamydia Psittaci
È una antropozoonosi in cui il serbatotio animale è rappresentato da pappagalli (psittacosi) o uccelli in
particolari piccioni e colombe (ornitosi). La Clamydia è uno schistomicete difettivo, parassita cellulare
obbligato. Il periodo di incubazione è di 12 giorni, i sintomi sono simili a quelli delle gravi forme batteriche,
ci può essere cefalea e alterazioni del sensorio. In alcuni casi è presente eruzione cutanea. Nel 30% dei casi è
presente epatosplenomegalia. Vi sono alterazioni degli indici aspecifici di malattia. L’Rx torace spesso mima
quello delle alveolite.
Polmonite da Clamydia Pneumoniae
Il contagio è esclusivamente interumano, l’incidenza dell’infezione è uguale a tutte le età con maggiore
predilezione per il giovane adulto.
Polmonite da Coxiella Burnetii
La Coxiella Burnetii è uno schistomicete difettivo parassita endocellulare obbligato che resiste
all’essiccamento.
È l’agente infettivo della cosiddetta febbre Q che è una antropozoonosi in cui il serbatoio è rappresentato da
ovini, bovini, caprini, cani e zecche. Il periodo di incubazione è di 3 settimane. La forma polmonare benigna
dura 2-3 settimane. La diagnosi è sierologica e tramite agglutinazione.
Complicanze sono rappresentate da endocariditi (visto che il microrganismo infetta gli endoteli). Altre forme
cliniche sono la febbre pura e l’interessamento neurologico (meningite).
Malattia dei legionari
È così chiamata una forma di polmonite atipica causata da Legionella Pneumophila un batterio gram – che
viene coltivato con difficoltà a causa delle sue notevoli esigenze nutrizionali. Il serbatoio è a livello di
acquitrini e terreni umidi, ma anche sistemi di refrigerazione e di riscaldamento e sistemi di aria
condizionata.
Generalmente è responsabile di CAP ma può dare anche epidemie ospedaliere (secondo la legge basta la
segnalazione di 2 casi in 6 mesi perché l’ospedale venga chiuso).
Colpisce soprattutto bambini, anziani e pazienti immunodepressi o debilitati. Si trasmette tramite l’inalazione
di aerosol contaminato.
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La prima epidemia fu documentata nel 1976 e si verificò nei partecipanti ad un raduno dei reduci della II
guerra mondiale facenti parte dell’America Legion svoltosi a Philadelphia.
Anatomia patologica
È una broncopolmonite (alveolite) a focolai diffusi confluenti o non confluenti che frequentemente tende a
complicarsi con microascessi. Negli immunodepressi in particolare sono presenti ascessi con ampie aree di
colliquazione. Spesso i focolai sono subpleurici e danno luogo ad una pleurite sierofibrinosa o
fibrinoemorragica.
Sono presenti Legionelle libere all’interno dei granuli dei macrofagi, la legionella infatti è un germe
intracellulare che parassita i macrofagi, inibisce la fusione del fagosoma con il lisosoma e si moltiplica
all’interno del macrofago per poi lisarlo alla fine. Le lesioni hanno carattere distruttivo con tendenza
all’organizzazione ed alla formazione di cicatrici.
Clinica
Il periodo di incubazione è di circa 6 giorni. È presente febbre elevata con brividi, tosse, dispnea, dolore
pleurico e sputo striato di sangue (per rottura di piccoli vasi durante l’ascessualizzazione).
Sono presenti anche sintomi generali come malessere, cefalea, mialgie, anorresia, diarrea, nausea, vomito. È
presente anche bradicardia relativa e si può avere perdita del sensorio. Si ha modesta leucocitosi ( non è
presente leucocitosi neutrofila) e incremento della VES. Sono presenti anche manifestazioni extrapolmonari
quali anomalie neurologiche, pericardite, endocardite e insufficienza renale. Queste sembrano essere dovute
alla produzione di numerose esotossine e di una endotossina. La letalità è del 7-15%.
Diagnosi
All’Rx è presente addensamento polmonare e versamento pleurico. L’interessamento sistemico determina
incremento delle transaminasi, alterazione degli indici di funzionalità renale e iponatremia. La diagnosi
eziologica viene fatta tramite indagini sierologiche o immunofluorescenza indiretta su espettorato o aspirato
transtracheale o biopsia polmonare.
La coltura non pone problemi di contaminazione perché il terreno è talmente selettivo che impedisce la
crescita di eventuali specie contaminanti. È possibile anche la ricerca dell’Ag urinario della Legionella.
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TUBERCOLOSI
È una malattia infettiva cronica granulomatosa a prevalente localizzazione polmonare causata dal
Mycobacterium Tuberculosis (può anche non essere granulomatosa perché questo dipende dalle capacità di
risposta dell’ospite).
L’infezione da parte del germe costituisce la condizione necessaria ma non sufficiente perchè si instauri la
malattia, che si verifica infatti solo nel caso in cui si creino particolari rapporti tra il germe e l’ospite.
Epidemiologia
Per quanto riguarda l’epidemiologia, circa 1/3 della popolazione mondiale presenta l’infezione (90-98% nei
paesi invia di sviluppo, 60% di individui in età lavorativa). L’incidenza della malattia è di 8 milioni l’anno
con una mortalità di 2.8 milioni. In Italia fino al 1989-90 c’è stato un declino dell’incidenza poi c’è stata un
inversione di tendenza dovuta all’incremento di condizioni predisponenti quali HIV e immunodepressione.
Altri fattori predisponenti sono:
•
malnutrizione (anche in corso di malattia peptica o malassorbimento);
•
alcolismo;
•
cirrosi;
•
malattie croniche debilitanti;
•
diabete;
•
linfoma di Hodking;
•
trattamento con corticosteriodi o immunosoppressori;
•
malattie croniche polmonari;
•
età avanzata (il soggetto con età > 65 è più suscettibile in particolare alla riattivazione).
In generale tutte queste condizioni determinano una incapacità di sviluppare e mantenere una immunità di
tipo cellulo-mediato. La coninfezione con l’HIV in particolare determina una deplezione di linfociti T CD4+
molto grave.
Sono molto importanti anche fattori genetici che determinano l’intensità della risposta immune (controllo
genetico della risposta immune), soprattutto la correlazione con aplotipi HLA. I geni di classe II determinano
la differenziazione dei linfociti nei 2 sottotipi Th1 e Th2 : una prevalenza della differenziazione in senso Th1
si associa ad una buona resistenza alla TBC, mentre quella di tipo Th2 si associa ad una maggiore tendenza
alle allergie.
I fattori che determinano una maggiore incidenza nei paesi in via di sviluppo sono:
•
affollamento;
•
cattive condizioni igieniche;
•
povertà;
1
•
guerre civili;
•
scarso impegno governativo;
•
condizioni economiche scadenti.
In passato venivano colpiti soprattutto bambini e giovani adulti, ultimamente si è avuto uno spostamento
dell’età in avanti.
La TBC diventa una malattia importante nel 1700 a causa del cambiamento delle condizioni
epidemiologiche: l’industrializzazione porta al sovraffollamento e quindi alla diffusione della malattia.
Inizialmente viene fatto un approccio chirurgico (chiusura delle caverne) e l’isolamento nei sanatori, dopo la
2° guerra mondiale vengono scoperti i farmaci antitubercolari che consentono un controllo dell’infezione,
con l’ampliamento degli schemi terapeutici inoltre si riducono i tempi di trattamento e non è necessario più
l’isolamento. Negli anni ’80 si è avuto un nuovo incremento a causa dell’immigrazione, dell’infezione da
HIV , dell’incremento dell’età media ed in generale di tutte quelle condizioni che portano ad un deficit della
ICM. Ora si registrano anche epidemie nosocomiali da ceppi multiresistenti. La diffusione della malattia
dipende dalle capacità di resistenza della popolazione. Degli infettati il 90% è infetto ma non contagioso, il
10% è malato e di questi il 50% è contagioso, quindi di tutti gli infettati il 5% è diffusore della malattia. Per
mantenere un trend di infezione stabile quindi, un diffusore deve infettare almeno 20 persone. Per il
miglioramento delle condizioni socioeconomiche il trend era in diminuzione anche in era prechemioterapica,
la chemioterapia ha ridotto la contagiosità (per riduzione del periodo contagioso) e quindi ridotto
ulteriormente il trend. Se la resistenza nativa di una popolazione si riduce vi è un incremento della
contagiosità e quindi del trend.
Eziologia
La TBC viene contratta per infezione da parte di:
-
Mycobacterium Tuberculosis;
-
Mycobacterium Bovis, che viene ingerito tramite il latte non pastorizzato e determina TBC
intestinale.
Il Mycobacterium Tuberculosis o bacillo di Koch ha particolari caratteristiche:
-
Gram positivo, asporigeno, acido alcol resistente ciò ne permette l’identificazione con particolari
tecniche di colorazione (metodo di Ziehl-Nielsen);
-
aerobio stretto, per questo motivo infetta soprattutto le zone apicali del polmone ben ventilate e si
accresce più rapidamente nelle caverne, mentre non sopravvive in condizioni di necrosi caseosa,
l’accrescimento è ritardato da PH acido (< 6.5), anaerobiosi, acidi grassi a lunga catena, condizioni
che si hanno in corso di necrosi caseosa;
-
lenta moltiplicazione (circa 20 ore) e metabolismo, ciò è legato al lento esordio e progressione della
malattia;
2
-
presenza di mutanti primitivamente chemioresistenti, che rende necessaria una polichemioterapia;
-
presenza di lipidi di superficie che conferiscono resistenza alla disidratazione e agli agenti chimici,
per questo motivo i bacilli possono sopravvivere a lungo nell’ambiente esterno senza tuttavia
moltiplicarsi;
-
sensibilità ai raggi ultravioletti (l’inattivazione del batterio alla luce solare);
-
i micobatteri inoltre sono in grado di sopravvivere all’interno dei macrofagi tramite l’inibizione della
fusione tra fagosoma e lisosoma (grazie alle cere che formano il fattore cordale);
-
Sono inoltre capaci di inibire in diversi modi la risposta immune.
Il M.T. possiede 2 principali tipi di polisaccaridi della parete cellulare:
-
arabinogalactano che induce la formazione di Anticorpi;
-
lipoarabinomannano che inibisce la distruzione intracellulare e la produzione di INFγ e quindi
induce la produzione della DTH.
Vi sono 2 sorgenti di infezione:
-
Uomo: tramite espettorato emesso con la fonazione, lo starnuto o la tosse, ma anche tramite le altre
secrezioni biologiche, le urine e le feci (in corso di TBC miliare);
-
Bovini: tramite il latte infetto.
Le vie di infezione principale sono:
-
Respiratoria;
-
Intestinale;
-
Cutanea tramite l’infezione di ferite (TBC cutanea).
Si può anche avere infezione durante il passaggio nel canale del parto (cheratocongiuntivite).
Il rischio di contagio è in funzione di diversi fattori:
-
carica batterica emessa: dipende dal tasso di produzione e eliminazione da parte del soggetto
contagioso, un paziente infetto può anche non essere infettante, la capacità di produzione dipende da
gravità e stadio di TBC, il maggiore pericolo è costituito dai pazienti portatori di caverne, in quanto
essendo queste lesioni comunicanti con l’albero bronchiale sono caratterizzate da un’alta pO 2 che
favorisce la proliferazione batterica;
-
frequenza e durata di esposizione al contagio: il rischio è maggiore per soggetti conviventi in
ambienti ristretti con pazienti che eliminano i bacilli con l’espettorato (ex. familiari); l’introduzione
della chemioterapia ha ridotto la durata del periodo contagiante a solo 4 giorni;
-
Condizioni dell’ambiente: gli ambienti chiusi, poco illuminati e scarsamente areati aumentano la
concentrazione dei bacilli nell’aria;
3
-
Condizioni di recettività dell’ospite: condizioni generali e immunitarie in una popolazione con
resistenza nativa bassa: degli individui infettati circa il 10% sviluppano la malattia, mentre tra i
malati circa il 50% diventano diffusori.
Patogenesi
Per mantenere il trend di infezione stazionario 1 diffusore deve infettare almeno 20 persone. I micobatteri si
trovano nell’ambiente all’interno dei cosiddetti nuclei bacilliferi (droplet) che vengono trasportati dai flussi
d’aria anche a notevoli distanze, la trasmissione quindi non è necessariamente diretta ma può essere anche
indiretta per contaminazione ambientale. Essi hanno dimensioni di 1-3μm e contengono 1-3 bacilli vivi e
vitali.
Una volta inalati i nuclei bacilliferi di maggiori dimensioni vengono intrappolati nello strato mucoso delle
vie aeree e drenati all’esterno tramite la clearance mucociliare, le particelle più piccole (circa 50%) invece
penetrano fino a livello alveolare dove determinano una flogosi (alveolite siero-fibrino-emorragica) del tutto
aspecifica con essudato e numerosi PMN.
Successivamente subentrano i macrofagi alveolari che fagocitano attivamente i microrganismi. Nei
macrofagi non attivati i micobatteri sono in grado di sopravvivere e moltiplicarsi grazie al cosiddetto fattore
cordale che inibisce la fusione tra fagosoma e lisosoma. Essi vengono quindi trasportati dai fagociti ai
linfonodi satelliti dove si sviluppa una reazione infiammatoria simile a quella parenchimale che determina la
tumefazione ghiandolare (linfoadenopatia satellite). L’insieme del focolaio di flogosi parenchimale e della
linfoadenopatia collegati da fenomeni linfoangitici prende il nome di complesso primario (di Ghon). Alla
diffusione a livello dei linfonodi locoregionali fa seguito infatti la disseminazione ematica (diffusione
linfoematogena occulta pre-allergica a rene, epifisi, corpi vertebrali, aree meningee juxta ependimali, aree
apicali polmonari). I macrofagi funzionano anche da APC presentando gli antigeni batterici processati
tramite l’MHC II ai linfociti T CD4+ che si differenziano nei 2 sottotipi:
-
Th2 che determinano l’attivazione dei linfociti B con produzione di anticorpi che svolgono la
funzione di opsonizzazione;
-
Th1 che rilasciano IL2, CSF-GM e INFγ stimolano la risposta di tipo cellulo-mediata dando luogo
ad una risposta di ipersensibilità di tipo ritardato (DTH). L’ipersensibilità di tipo ritardato si
manifesta in genere dopo 4 settimane dall’infezione e determina una reazione di tipo specifico nei
confronti del batterio rappresentata dalla formazione del granuloma tubercolare o tubercolo.
Un ruolo chiave nella formazione del granuloma è svolto dal TNF e dal CSF-GM che determina il richiamo
di monociti dal circolo, i quali si trasformano in macrofagi che a loro volta danno origine alle cosiddette
cellule epitelioidi, che sono elementi altamente attivati a funzione secretoria (enzimi, citochine, radicali
ossidanti) e microbicida.
4
All’interno del focolai può anche crearsi una zona di necrosi tessutale (necrosi caseosa) che costituisce un
ambiente ostile alla sopravvivenza dei micobatteri. Ciò avviene in condizioni in cui la carica microbica è
elevata e si ha una maggiore produzione di TNF da parte dei macrofagi che vengono attivati dal
lipoarabinomannano. La necrosi caseosa determina delle condizioni di riduzione del metabolismo dei bacilli
(pH acido, acidi grassi a lunga catena, anaerobiosi) ed ha perciò lo scopo di distruggere il bacillo, ma
determina anche delle lesioni parenchimali. In queste condizioni i micobatteri possono soccombere dando
origine ad una lesione sterile o possono crearsi delle condizioni di equilibrio per cui i batteri sopravvivono in
condizioni di metabolismo molto torpido (murati vivi) anche per tutta la durata della vita del paziente e
possono riattivarsi in particolari condizioni favorevoli. La riattivazione delle lesioni quiescenti sta alla base
della TBC postprimaria endogena. In una minoranza dei casi la capacità aggressiva dei batteri supera le
capacità di difesa immunologiche e le lesioni non vengono circoscritte ma il materiale caseoso va incontro a
colliquazione formando un materiale fluido che costituisce un ottimo materiale di coltura per M.T. che vi si
moltiplica attivamente cosicchè quando questo viene espulso attraverso le vie aeree si ha facilmente la
diffusione dell’infezione nelle vie aeree e il contagio tramite l’espettorato.
Mentre la caseosi è un meccanismo di difesa che ha effetti positivi la colliquazione rappresenta un evento
sfavorevole per il paziente, in quanto con la formazione della caverna si modificano le condizioni di
ossigenazione a livello del focolaio e si creano le condizioni favorevoli per la proliferazione dei batteri,
inoltre tramite il drenaggio nel bronco si può avere la disseminazione ematogena. Il materiale colliquato è
più altamente infettivo e viene anche più facilmente eliminato all’esterno tramite i bronchi. In sostanza
quindi il tipo di risposta dipende dal bilancio tra la produzione di TNF e INFγ:
-
IFN-γ è fondamentale perchè determina l’attivazione macrofagica e stimola l’immunità cellulo
mediata (aspetto produttivo);
-
TNF sta invece alla base della formazione della necrosi caseosa e quindi delle lesioni parenchimali
(aspetto distruttivo).
La produzione di TNF dipende dalla carica bacillare e da fattori inerenti all’ospite:
-
bassa carica bacillare: scarsa produzione di TNF e quindi assenza di lesioni polmonari;
-
elevata carica bacillare: alta produzione di TNF e quindi danno polmonare.
Evoluzione
Il 90% dei soggetti che va in contro a infezione non presenta malattia, si instaura l’ipersensibilità
tubercolinica e le lesioni decorrono in maniera asintomatica e si risolvono con un esito fibroso o
fibrocalcifico che spesso costituisce un reperto radiografico accidentale. Nel 5% dei casi si sviluppa la
malattia nel periodo immediatamente successivo al contagio cioè nel periodo primario (TBC primaria) che
generalmente si risolve spontaneamente. Raramente la TBC primaria va incontro a complicazioni o a
disseminazione per via broncogena o ematogena dando luogo alla TBC miliare. Nel restante 5% dei casi la
malattia si manifesta nel periodo postprimario (TBC postprimaria) cioè a distanza di tempo anche molto
5
lunga dal contagio. La TBC postprimaria può derivare da una riattivazione delle lesioni in cui i bacilli sono
rimasti in condizioni di latenza biologica (riattivazione endogena 95%) o molto più raramente per una
seconda infezione da parte di batteri provenienti dall’esterno (reinfezione esogena 5%).
Le lesioni del periodo postprimario sono di tipo specifico, cioè non si ha la ripetizione del complesso
primario, poichè i linfociti T sono già stati sensibilizzati al M.T. ma si forma subito il tubercoloma
espressione della DTH. In base al potere di resistenza acquisito l’organismo risponde con 2 forme diverse:
-
forma produttiva o miliarica in caso di forte resistenza: si verifica quando prevale la reazione
granulomatosa è caratterizzata dalla formazione di un tubercoloma compatto che può presentare un
centro caseoso ma che non ha alcuna tendenza ad espandersi ed è circoscritto da un vallo linfocitario
e da una reazione fibroblastica che da luogo ad una evoluzione fibrosa o fibrocalcifica senza
comportare danni al parenchima polmonare;
-
forma essudativa in caso di scarsa resistenza: si verifica quando prevale la necrosi caseosa, è
caratterizzata da tubercolomi ampi con tendenza all’estensione ed alla confluenza che presentano
un’estesa area centrale di necrosi caseosa che non è circondata da una reazione fibrotica.
L’evoluzione non è verso la fibrosi ma verso la colliquazione con esteso danno al parenchima
polmonare.
La formazione della caverna o tisiogenesi dipende da:
-
colliquazione della necrosi caseosa (evento biologico perché dipende dalla presenza del bacillo di
Koch);
-
distruzione del parenchima polmonare che determina riduzione delle fibre elastiche e quindi della
compliance e formazione di aderenze pleuriche che determinano trazione (evento meccanico).
A partire da tutte le forme che portano a necrosi caseosa, si può sviluppare una lesione caratteristica detta
tubercoloma. Essa è una lesione simil-neoplastica (da cui il nome) caratterizzata dalla presenza di un centro
caseoso, stratificato o omogeneo, circondato da una capsula fibrosa, così denso da avere l’aspetto
macroscopico di una massa occupante spazio, radiologicamente visibile.
Anatomia patologica
Passiamo adesso ad emaninarne l’anatomia patologica. La tubercolosi polmonare primaria (complesso
primario e sua evoluzione), può svilupparsi oltre che nel polmone anche nell’intestino e nella cute. Nel
polmone predilige la parte superiore del lobo inferiore, la parte inferiore del lobo superiore soprattutto a
livello subpleurico dove c’è una elevata pO 2 . L’infezione polmonare si manifesta inizialmente con una triade
sintomatologica chiamata complesso primario di Ghon. Esso è caratterizzato da:
-
focolaio parenchimale subpleurico (di solito nel polmone di destra, nella scissura interlobare fra
superiore e medio);
6
-
linfangite consensuale (cioè dalla stessa parte del focolaio parenchimale) caratterizzata da strie
grigio-rossastre;
-
Adenopatia satellite: linfonodi aumentati di volume e ridotti di consistenza, al taglio colorito
rossastro con punteggiatura giallastra (espressione di necrosi caseosa).
Poiché nella prima fase della infezione i micobatteri si disseminano per via ematogena, questo complesso
primario non si trova necessariamente solo nel polmone, e anche se la sua genesi in altri organi è un evento
raro, è comunque possibile. Questa evenienza rientra nel contesto dei complessi primari atipici. In ogni caso,
per i complessi extrapolmonari valgono le stesse cose riportate per quelli polmonari. Il complesso primario si
forma immediatamente, prima ancora che si verifichi l’ipersensibilità. Successivamente, l’evoluzione della
lesione parenchimale comprende:
-
Regressione o scomparsa: condizioni non favorevoli per il micobatterio. In questi soggetti il focolaio
non si organizza come cicatrice, e non si ha nessuna conseguenza dell’infezione, non è un evento
favorevole perché si sviluppa ipersensibilità ma non immunità e resistenza perciò una eventuale
reinfezione esogena può determinare una TBC pericolosa;
-
Fibrosi o calcificazione: se il soggetto non presenta particolari complicazioni immunologiche e
l’ambiente è sano, la regola delle infezioni primarie attecchite è la guarigione per fibrosi o
calcificazione (90%). La piccola cicatrice che rimane non contiene micobatteri vitali;
-
Lesioni latenti: una piccola quantità di focolai rimane con una certa carica di micobatteri all’interno
di una reazione granulomatosa e fibrosa di contenimento. Questi (che possono essere localizzati in
tutti gli organi parenchimatosi dove si è diffuso il micobatterio) hanno una probabilità di riattivarsi in
media del 5-10%. Le condizioni che promuovono la riattivazione sono gli stati di stress e di deficit
immunitario;
-
Progressione e disseminazione: l’evento più raro, possibili praticamente solo nei lattanti e negli
immunodeficienti, è la progressione a lesioni cavitarie (polmonite caseosa) e la disseminazione
ematogena immediata. Questa condizione, molto grave, si può avere anche per una carica batterica
alta (tubercolosi primaria progressiva) ed è inoltre più frequente nei bambini inferiore ai 3 anni e
nella pubertà.
Passiamo adesso a discutere dei complessi primari atipici. Ci sono alcune condizioni, dipendenti da
molteplici fattori individuali e di carica batterica, in cui il complesso primario non ha la morfologia descritta
prima oppure differisce per altre caratteristiche. Questi complessi primari sono detti atipici pur non essendo
così rari, e hanno una notevole importanza diagnostica:
-
Impianto contemporaneo di BK con creazione di focolai multipli: come già ricordato, ciascuno di
questi focolai è identico al complesso di Ghon cioè ha la sua adenite satellite e lesione linfonodale
caseosa;
-
Focolaio caseoso gigante: questa complesso primario, che si manifesta con un granuloma di grandi
dimensioni che è difficilmente guaribile, può avere due evoluzioni insolite: Formazione di una
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caverna primaria (detta così perché di solito le caverne sono legate alla tubercolosi secondaria);
Propagazione endobronchiale con gravi conseguenze nel parenchima a valle;
-
Polmonite e/o bronchite caseosa che si differenzia da quella della forma postprimaria perché vi è
necessariamente l’adenite satellite;
-
Adenite ilare gigante: sviluppo preponderante delle lesioni linfonodali rispetto al focolaio
parenchimale.
La tubercolosi sub-primaria è quell’insieme di eventi che si accompagnano in alcuni casi alla tubercolosi
primaria e che si svolgono indipendentemente dal destino del complesso primario. Sono infatti conseguenti
alla iniziale disseminazione ematogena del bacillo di Koch, che è responsabile anche del complesso
primario.
Tubercoli primaria tardiva
Tubercolosi primaria tardiva è una denominazione data ad un particolare caso di TBC primaria che colpisce
soprattutto anziani che hanno un sistema immunitario meno reattivo. La causa risiede probabilmente in una
precedente esposizione al BK con bassa carica bacillare in cui si è avuta ipersensibilità senza acquisizione di
resistenza. Il focolaio parenchimale è caratterizzato da maggiore tendenza alla caseosi e minore fibrosi con
tendenza alla formazione di tisi e diffusione linfoematogena precoce e polmonite caseosa. E’ molto simile
alla tubercolosi nodulare tisiogena, ma non è una forma subprimaria perché la lesione tisiogena parte da un
complesso primario, solo poco sviluppato. Anche l’interessamento linfonodale è scarso. Non si può
nemmeno definire una forma di TBC secondaria perché al momento della reinfezione non sono presenti
focolai con bacillo latente.
Tubercolosi miliare
La tubercolosi miliare fa seguito alla disseminazione linfoematogena a partire dai linfonodi ilari, ma anche
da focolai parenchimali del polmone e addirittura da focolai extraparenchimali. Di solito la diffusione è
limitata al polmone dal fatto che il circolo linfatico drena nel cuore destro, e da qui il sangue torna
nuovamente la polmone. Il circolo capillare polmonare è solitamente abbastanza a maglie strette da bloccare
ulteriori diffusioni sistemiche della malattia. Tuttavia non è infrequente la disseminazione ematogena
proveniente dal polmone per shunt arterovenosi o altro e quindi il coinvolgimento di molti parenchimi (rene,
milza, fegato, retina e midollo osseo sono i bersagli principali). Il coinvolgimento isolato di altri organi senza
interessamento polmonare è un evento molto raro. Sono piccoli e numerosi e ricordano i grani di miglio (da
cui miliare).
Tubercolosi cronica
La tubercolosi cronica degli apici polmonari è una forma di TBC post-primaria molto frequente, 70-90%,
caratterizzata dalla riattivazione di un focolaio apicale che decorre in maniera lenta e ha una evoluzione in
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genere benigna verso la regressione spontanea o la calcificazione. La localizzazione all’apice polmonare è
dovuta all’elevata tensione di O 2 e alla diffusione agevolata dalla posizione eretta.
Clinica
I quadri di presentazione clinica della malattia sono notevoli ed eterogenei in quanto condizionati dalla
reattività del soggetto e dall’entità della carica infettante. Sono presenti sintomi sistemici rappresentati da:
febbricola pomeridiana, senso di freddo, sudorazioni notturne, anoressia, perdita di peso, mialgia, astenia.
Sintomi locali sono invece:
-
tosse secca e stizzosa in caso di lesioni chiuse o produttiva in caso di lesioni aperte (caverne in fase
di attività) con espettorato che può essere più o meno infettante;
-
emoftoe o emottisi, in condizioni di malattia avanzata in cui si ha erosione dei vasi bronchiali;
-
dolore toracico di tipo pleurico accentuato dal respiro profondo e dalla tosse (dovuto a pleurite
tubercolare);
-
dispnea anche in rapporto al dolore toracico che limita i movimenti respiratori.
Le indagini di laboratorio possono evidenziare:
-
incremento della VES;
-
ipergammaglobulinemia;
-
ipoalbuminemia;
-
anemia da disordine cronico.
La TBC miliare può essere:
-
acuta: se si ha la disseminazione del bacillo prima dello sviluppo della reattività tubercolinica;
-
moderata: in presenza di un focolaio polmonare cronico;
-
cronica: disseminazione progressiva in presenza di difese immunitarie compromesse.
Può avvenire a distanza anche di molti anni dalla formazione del focolaio primario nella TBC miliare sono
presenti segni di insufficienza respiratoria acuta e di coinvolgimento extrapolmonare:
-
irritazione meningea (cefalea e rigidità nucale);
-
epatosplenomegalia;
-
ascite;
-
alterazioni renali ( iponatremia);
-
alterazioni ossee;
-
pericardite tubercolare.
Nella tubercolosi primaria possiamo distinguere 3 quadri sintomatici:
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-
Regredibile: non da sintomi e guarisce subito, lasciando eventualmente segni di calcificazioni
linfonodali o parechimali;
-
Sintomatica semplice: pochi disturbi respiratori aspecifici, simili a bronchite o broncopolmonite.
Regrediscono con l’acquisizione della resistenza;
-
Sintomatica progressiva: in paziente defedato o anziano o lattante. In genere si ha una evoluzione
molto varia, da sintomi di TBC miliare diffusa, spesso accompagnata dalla meningite, a pleurite
essudativa, che può anche essere la manifestazione principale. L’interessamento dei linfonodi porta
alla aspirazione di materiale che deriva delle fistole con sviluppo di broncopolmonite, oppure alla
compressione e atelettasia bronchiale.
Diagnosi
Nella tubercolosi primaria inoltre si possono avere reazioni di sensibilizzazione rappresentate da:
-
Eritema nodoso: nodulo dermo-ipodermico prima rosso-violaceo che in seguito diventa gialloverdastro e quindi scompare senza lasciare sequele;
-
Congiuntivite flittenulare: piccole flittene a livello della congiutiva.
L’esame obiettivo nella forma primaria è negativo se il focolaio primario è piccolo e situato in periferia, se
invece è superficiale e associato a notevole adenopatia si ha:
-
segno di Kramer: ipofonesi interscapolovertebrale a livello C2-C4;
-
segno di De La Camp: ipofonesi sulle prime vertebre dorsali nella tubercolosi postprimaria si ha
nella fase iniziale una modesta ipofonesi sottoclaveare e rantoli crepitanti mentre nella fase avanzata
si ha ottusità, soffio bronchiale e rantoli bollosi o cavitari.
All’anamnesi va indagata la sede di provenienza del soggetto, le fonte eventuale di contatto e la frequenza di
contatto, la presenza di eventuali malattie che possono aver portato ad un deficit di ICM, la eventuale terapia
con immunosoppressori. È molto importante indagare la presenza di infezione da HIV e la
tossicodipendenza. Di fronte ad un sospetto clinico vengono fatte indagini di I livello:
-
test con tubercolina;
-
esame di espettorato (almeno 3 campioni al mattino a digiuno);
-
Rx torace.
La diagnosi di infezione viene fatta in base al test alla tubercolina che valuta la presenza di ipersensibilità
verso derivati proteici purificati del batterio (PPD) attraverso iniezione intradermica (test di Mantoux). La
reazione è standard: introduzione sottocute di 5 unità, non va praticata più profondamente per evitare il wash
out da parte del circolo. La risposta viene valutata misurando il diametro maggiore dell’area di indurimento
della cute che si sviluppa entro 48-72 ore:
-
test positivo se diametro maggiore di 10 mm;
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-
test negativo se diametro minore di 5 mm;
-
test dubbio se diametro compreso tra 5 e 10 mm.
In genere l’area di indurimento è di 16-17 mm, nelle aree in cui le infezioni da MOTT sono ubiquitario le
reazioni di 5-12mm sono considerate negative, mentre nelle aree senza endemia da MOTT le reazioni da 512 mm sono sospette. La riconversione a cutinegativo è dell’8% all’anno: per questo in persone con
infezione di vecchia data si può avere negatività e va ripetuto il test dopo 12-24 mesi il quale risulta invece
positivo (effetto booster). Vanno fatte indagini ripetute nel tempo per differenziare la cuticonversione
dall’effetto booster.
Si può avere la presenza di falsi negativi in condizioni di depressione dell’ICM o in alcune forme di TBC
attiva in cui c’è un esaurimento di cellule infiammatorie. Falsi negativi si possono avere anche in condizioni
di anergia (perdita della memoria immunologica) in particolare nell’anziano, in questo caso il test va ripetuto
dopo 1 settimana in cui si può avere positivizzazione (conversione per effetto Pasteur di richiamo
immunologico).
La positività al test tubercolinico indica l’infezione (pregressa o in atto) e non lo stato di malattia. La
diagnosi di malattia tubercolare viene fatta tramite la dimostrazione di M.T. nei fluidi biologici, in primo
luogo l’espettorato, alternativamente il broncoaspirato, l’aspirato gastrico e il liquido pleurico. Il liquido
pleurico inoltre presenta linfocitosi e vi si può dosare l’adenosildeaminasi. In caso di TBC miliare possono
essere analizzati altri materiali come le urine in caso di interessamento renale.
È importante che non sia stata fatta una chemioterapia per escludere cause infettive diverse dalla TBC con
antibiotici che hanno effetto anche sul M.T. perchè questo può condizionare la diagnosi. Inizialmente viene
fatto un esame microscopico diretto a fresco del materiale dopo colorazione con Ziehl-Neelsen che può dare
origine a falsi negativi pertanto fatta la coltura. La coltura viene fatta su terreni solidi (Lowenstein Jensen,
Middlebrook) in particolare il terreno di Petragnani o liquidi con acido palmitico radiomercato, la crescita
normalmente richiede 3-6 settimane ma con metodi radioattivi si può ottenere in 2 settimane. La
dimostrazione del M.T. in coltura è importante perchè ne dimostra la vitalità e permette la diagnosi
differenziale con micobatteri apici che possono dare un quadro simile.
La diagnosi con i micobatteri atipici viene fatta tramite l’inibizione della crescita in presenza di NAP
(nitroacetilaminoidrossipropiofenone) e con sonde di DNA. I micobatteri atipici o MOTT (Mycobacteria
other than Tuberculosis) sono batteri saprofiti ubiquitari che determinano numerosi quadri clinici e non sono
sensibili alla terapia tradizionale per il MT, comprendono il M. avium intracellulare che causa infezione
sistemica soprattutto nei pazienti con deficit della ICM in particolare con AIDS.
In attesa della risposta dell’esame colturale viene intrapresa comunque la terapia. All’Rx torace la TBC
primaria è caratterizzata dal corrispettivo radiologico del complesso primario:
-
opacità polmonare dovuta al focolaio essudativo;
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-
ingrandimento dell’ombra ilare omolaterale dovuta alla linfoadenopatia satellite;
-
strie a partenza ilare che si dirigono verso il focolaio corrispondenti alla linfoangite consensuale;
-
nella TBC secondaria non sono presenti i segni del complesso primario e il quadro radiologico delle
fasi iniziali può essere poco significativo.
Nelle forme circoscritte sono presenti ombre micronodulari soprattutto in regione apicale con gradi diversi di
radiopacità in base alla componente necrotica e al grado di fibrosi. Nelle forma miliari disseminate le ombre
micronodulari sono diffuse a tutti i campi polmonari.
Indagini di II livello sono rappresentate da:
-
metodiche colturali rapide PCR su RNA (non DNA che è presente anche nei bacilli morti);
-
TAC che completa l’Rx torace.
In alcune categorie a rischio in caso di negatività alla tubercolina viene fatta la vaccinazione tramite
inoculazione di ceppi attenuati di M.bovis (bacillo di Calmette e Guerin BCG) che induce lo stato di
ipersensibilità.
Terapia
Nei soggetti tubercolinopositivi a rischio può essere fatta un chemioprofilassi con isoniazide 300 mg/die per
6 mesi (12 mesi nei pazienti immunodepressi):
-
familiari di pazienti con TBC;
-
soggetti immunodepressi per varie cause;
-
soggetti HIV positivi.
L’isoniazide possiede però epatotossicità, nei pazienti che non la tollerano può essere utilizzata rifampicina
600 mg/die per os per 6 mesi. Il trattamento della TBC viene fatto con una combinazione di farmaci. La
polichemioterapia serve a evitare la chemioresitenza cioè la selezione di ceppi resistenti ad un determinato
farmaco data la frequenza di insorgenza di ceppi mutageni. Una popolazione di bacilli tubercolari mai
esposta a farmaci contiene mutanti resistenti al chemioterapico in un rapporto di 1 su 106-8, data la grande
quantità di microrganismi presenti nelle lesioni cavitarie è inevitabile una terapia di combinazione fin
dall’inizio. La terapia viene protratta per 6-9 mesi a causa della crescita lenta del batterio in modo da essere
sicuri di avere sterilizzato tutte le lesioni.
Attualmente la terapia di scelta è:
-
isoniazide 300 mg;
-
rifampicina 600 mg;
-
pirazinamide 25-35 mg/Kg;
-
etambutolo 15-25 mg/Kg.
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Quest farmaci vanno somministrati per 2 mesi, seguiti poi per i successivi 4-7 mesi da:
-
isoniazide;
-
rifampicina.
Recentemente è stata vista la sensibilità alle ansamicine (rifabutina e rifapentina) che vengono utilizzate
soltanto in caso di resistenza al trattamento convenzionale o in presenza di effetti collaterali gravi.
Nei pazienti con AIDS la terapia è più aggressiva. In aree con ceppi miltiresistenti possono essere utilizzati
anche 5-6 farmaci. È necessaria la valutazione della funzionalità epatica, visto che alcuni farmaci sono
epatotossico e la somministrazione di piridossina 25-50 mg/die nei pazienti predisposti alla neuropatia
(diabetici, alcolisti o pazienti con deficit nutrizionali).
È fondamentale monitorare la risposta alla terapia, tramite esame dell’espettorato (sia microscopico che
colturale) ogni settimana nelle prime 6 settimane di trattamento e 1 volta al mese dopo la negativizzazione
della coltura.
La persistenza dei sintomi dopo 3 mesi dall’inizio della terapia fa nascere il sospetto della presenza di
resistenza ai farmaci o di non aderenza alla terapia.
Per molti anni il presidio chirurgico principale è stato la collassoterapia, introdotta da Forlanini agli inizi del
XX sec. che prevedeva l’istituzione di uno pneumotorace al fine di favorire il collasso delle caverne e la loro
cicatrizzazione. Altre metodiche furono usate per ovviare agli inconvenienti (presenza di aderenze fibrose).
Tra queste:
-
Collassoterapia endoscopica di Jacobaeus: anestesia locale, istituzione di uno pneumotorace parziale
e introduzione di strumenti ottici e termocauterio per recidere le briglie aderenziali. Metodica
storicamente importante in quanto punto di partenza della chirurgia videotoracoscopica;
-
Pneuomotorace extrapleurico: scollamento della pleura parietale dalla fascia endotoracica;
-
Piombaggio: introduzione nel cavo pleurico creato con uno pneuomotorace di paraffina. Metodica
non scevra di gravi complicanze;
-
Frenico-exeresi: paralisi di un emidiaframma per far collabire le caverne. Complicanze funzionali
gravi, invalidanti e durature ne sconsigliarono presto l’uso;
-
Toracoplastica: Asportazione delle prime 3-5 coste. Intervento mutilante e spesso deformante.
Attualmente le indicazioni per la chirurgia recettiva della TBC tendono al massimo risparmio del parenchima
sano, contrariamente ai criteri ad es. di radicalità oncologica. Si preferiscono quindi segmentotomie (di
Nelson), enucleazioni (nel caso dei tubercolomi). Lobectomie si rendono necessarie per lesioni di vecchia
data cicatrizzate, soprainfettate, fistole bronco-pleuriche. Talvolta è necessaria la decorticazione in caso di
esiti fibroadesivi di pleurite.
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L’empiema si tratta con drenaggio, antibiotico terapia sistemica e locale, oppure con l’empiemectomia, che
consiste nel rimuovere in toto il guscio che circoscrive la raccolta, cercando di trovare i piani di clivaggio
con la pleura viscerale e la fascia endotoracica. Le stenosi si trattano con resezione più anastomosi terminoterminale. Può essere necessaria l’asportazione del parenchima a valle perché irrimediabilmente alterato. Il
laser non va utilizzato perché possono causarsi perforazioni.
PLEURITE TUBERCOLARE
Nel periodo primario la pleurite costituisce una manifestazione di elevata reattività, mentre nella fase
postprimaria essa può manifestarsi secondariamente a:
-
diffusione a partenza da un focolaio nel parenchima sottostante;
-
propagazione da un linfonodo;
-
disseminazione ematogena.
Molto frequentemente si manifesta una pleurite siero-fibrinosa a carattere quindi essudativo. Altre forme
meno comuni sono le pleuriti fibrinosa secca, purulenta, emorragica, eosinofila. Possono derivare da un
processo primario o post-primario, essere estese a tutto il polmone o localizzarsi in posizioni circoscritte.
L’evoluzione della pleurite di solito è la formazione di briglie aderenziali con retrazione cicatriziale che può
anche essere importante e portare a grave deficit funzionale.
La pleura risulta ispessita con depositi di calcio, e nel cavo pleurico si repertano spesso blocchi di fibrina
oppure calcio. Un forma oggi poco frequente ma molto grave è la pleurite purulenta, con formazione di
essudato empiemico diffuso, che deriva essenzialmente dalla rottura di sacche granulomatose sotto la pleura
stessa, o più frequentemente da una fistola bronco-pleurica.
La diagnosi si basa sull’esame colturale del liquido pleurico ma può essere difficoltosa a causa dello scarso
numero di microrganismi presenti nel campione.
Altre caratteristiche del versamento tubercolare sono il carattere essudativo (proteine > 50 g/l) il pH acido la
linfocitosi e la concentrazione di glucosio inferiore ai 30 mg/dl. È importante anche la ricerca
dell’adenosindeaminasi (ADA) un enzima che si occupa della trasformazione dell’inositolo.
La diagnosi definitiva di pleurite tubercolare può in alcuni casi derivare dalla dimostrazione dei tipici
granulomi su campioni di biopsia pleurica.
FORME DI TUBERCOLOSI MILIARE
Meningite renale
È dovuta all’impianto del bacillo di Koch livello del parenchima renale per via ematogena. L’infezione inizia
a livello della corticale (visto che ha una elevata tensione di O 2 ) dove si formano tubercoli microscopici che
nella maggior parte dei casi regrediscono spontaneamente.
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In alcuni casi i tubercoli si ingrossano e si fondono con quelli contigui formando delle cavità che distruggono
il parenchima e si aprono a livello dei calici e della pelvi disseminando così i bacilli lungo la via escretrice
per via discendente. A livello renale la fibrosi accentua il danno parenchimale e può determinare una stenosi
serrata dei calici e del giunto pielo-ureterale. A livello ureterale si formano stenosi cicatriziali. A livello
vescicale la fibrosi determina una riduzione della compliance.
Dalla vescica i bacilli inoltre possono raggiungere anche prostata dotti deferenti e vescichette seminali
determinando alterazioni che possono portare fino all’infertilità. Le forme renali chiuse evolvono in genere
in maniera subclinica ma talvolta è presente dolore sordo a livello delle logge renali.
Nelle forme aperte alla pelvi il dolore può essere intenso talvolta con i caratteri di colica renale dovuta al
passaggio di coaguli o materiale caseoso a livello dell’uretere. Con il progredire dell’infezione lungo le vie
urinarie diventano prevalenti i sintomi derivanti dal coinvolgimento della vescica: disuria, urgenza
minzionale, pollachiuria, nicturia e dolore soprapubico.
L’escrezione urinaria del bacillo di Koch è in genere intermittente per cui devono essere analizzati campioni
ripetuti di urina. L’esame dell’urina rivela anche la presenza di piuria ed un pH acido (quando normalmente
la piuria dovuta ad altri tipi di infezione si associa a pH alcalino).
L’Rx diretta addome mette in evidenza calcificazioni multiple del parenchima renale. L’ecografia e la TC
mettono in evidenza i processi ulcero-caseosi. L’urografia discendente può evidenziare caverne
parenchimatose in comunicazione con calici deformati e distorti e stenosi uretrali alternate a tratti più o meno
dilatati.
Le complicazioni a livello renale e delle vie urinarie vanno trattate chirurgicamente.
Tubercolosi ossea
Si manifesta come osteomielite o artrite delle grandi articolazioni. La massima incidenza è a 3 anni, ma si
possono avere anche manifestazioni tardive. La localizzazione alle vertebre da luogo alla spondilite
tubercolare.
Peritonite tubercolare
La localizzazione a livello del peritoneo può fare seguito alla diffusione ematogena o per contiguità. La
peritonite tubercolare si verifica con maggiore frequenza negli alcolisti con cirrosi dove può essere confusa
con la semplice ascite.
Possiamo distinguere una forma ascitica e una anascitica, fibrocaseosa o fibrosclerosante. La sintomatologia
è caratterizzata da un dolore addominale ad esordio graduale, diffuso, profondo, continuo o subcontinuo, con
nausea e vomito saltuari.
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In caso di una forma fibroaderenziale si possono verificare episodi occlusivi o subocclusivi. Sono presenti i
sintomi generali: astenia, anorresia, anemizzazione, calo ponderale, febbricola.
L’obbiettività addominale è in genere negativa se non per la presenza di ascite. La diagnosi deriva
dall’esame colturale e chimico-fisico del liquido ascitico che non sempre consente di evidenziare la presenza
di bacilli tubercolari ma comunque assume delle caratteristiche peculiari: aumentata concentrazione proteica,
peso specifico > 1016, eccesso di linfociti, concentrazione di glucosio inferiore ai 30 mg/dl.
A volte è necessaria la biopsia peritoneale per via laparotomia o laparoscopica. La terapia è quella medica
della TBC, le complicanze occlusive richiedono l’intervento chirurgico.
Tubercolosi intestinale
Può rappresentare la manifestazione primaria di infezione da M. bovis o essere la conseguenza della
deglutizione di micobatteri in corso di TBC cronica. Sono presenti dolori addominali indeterminati.
Pericardite caseosa
È presente in corso di tubercolosi miliare. Sono presenti i tipici noduli miliari e nel liquido pericardico c’è
anche la componente caseosa. Si ha precipitazione di calcio in corrispondenza dei 2 foglietti pericardici con
evoluzione in pericardite cronica fibrocalcifica costrittiva.
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INFLUENZA
È una malattia infettiva acuta caratterizzata dall’interessamento delle alte vie respiratorie da parte dei virus
influenzali A-B-C. Il nome influenza deriva dalla credenza che fosse dovuta all’influsso malefico degli astri.
I virus influenzali appartengono al genere orthomixovirus, virus a RNA con nucleocapside a simmetria
elicoidale mantellato. All’interno della matrice tra il capside e il mantello è presente la proteina M, mentre
nel mantello si trovano 2 glicoproteine:
-
Emoagglutinina HA che rappresenta l’antirecettore virale che si lega all’acido sialico presente sulle
cellule dell’epitelio delle vie respiratorie (ma anche sulle emazie tanto che è in grado di produrre
emolisi) e promuove la penetrazione del virus al loro interno, va frequentemente in contro a
mutazioni e si hanno 4 varianti H0, H1, H2, H3;
-
Neuroaminidasi NA che scinde il legame con l’acido sialico e facilita il passaggio del virus da una
cellula all’altra, va incontro a mutazione anche se con minore frequenza dell’emoagglutinina e si
hanno 2 varianti N1 e N2. Gli anticorpi verso questi antigeni di superficie sono protettivi.
I 3 sierotipi si distinguono per l’Ag RNP (ribonucleoproteico) ma possono variare per gli Ag di superficie
attraverso 2 meccanismi:
-
Antigenic drift (“deriva” antigenica) che avviene ogni 2-3 anni e comporta una variazione minima
del virus tanto che gli Ab protettivi nei confronti della variante precedente cross-reagiscono
assicurando una protezione parziale che limita la diffusione del virus, ciò determina l’insorgenza di
epidemie limitate;
-
Antigenic shift (mutazione antigenica) che avviene ogni 10-20 anni e comporta la completa
sostituzione dei caratteri antigenici tanto che i vecchi Ab sono inefficaci e il virus può diffondersi
ampliamente determinando una pandemia.
La specie A presenta sia antigenic drift che shift e quindi è associato a epidemie diffuse e pandemie, mentre
la specie B che presenta solo antigenic drift è associata ad epidemie sia locali che diffuse e la specie C che ha
una relativa stabilità antigenica è associata a casi sporadici ed episodi epidemici minori.
La nomenclatura attuale dei ceppi si basa su: tipo, sottotipo, luogo di isolamento, n° di ordine, anno di
isolamento, formula antigenica. Le ultime pandemie sono state quella del 1957-58 (asiatica) H2N2 e quella
del 1968-69 H3N2, nel 1977 è ricomparso il ceppo H1N1 ma ha continuato a circolare la variante H3N2.
Il serbatoio è costituito dall’uomo e la modalità di trasmissione è inalatoria tramite le goccioline di pflugge.
Il periodo di incubazione è di 1-3 giorni. L’inizio è brusco con febbre elevata (39-40°), subcontinua per 1-2
giorni con polso concordante, malessere generale, artromialgia, rachialgia, epistassi, cefalea retrorbitaria.
Successivamente compaiono i sintomi respiratori: rinite, starnuti, farngodinia, raucedine, tosse secca, dolore
urente retrosternale (tracheite). Possono anche essere presenti sintomi:
1
-
oculari: lacrimazione, bruciore, fotofobia, dolore nel movimento degli occhi;
-
digestivi: nausea, anoressia, vomito, dolore addominale e diarrea.
La durata della sintomatologia è di circa 3-5 giorni, poi la febbre cala per lisi con sudorazione e rimane un
senso di prostrazione, la tosse stizzosa può permanere a lungo (convalescenza prolungata).
L’EO mostra segni di bronchiolite. Si possono avere complicanze dovute all’azione diretta del virus o a
superinfezioni batteriche. La polmonite virale è rara e compare dopo 2-3 giorni. Il decorso è rapido e può
determinare gravi fenomeni asfittici. È presente dolore toracico, tosse insistente, espettorato rosa-salmone o
emorragico, tachicardia dispnea e cianosi. L’EO obiettivo mostra rantoli a piccole bolle e in fasi terminali
ipofonesi diffusa. L’RX torace mostra infiltrati nodulari diffusi bilaterali.
Le indagini di laboratorio evidenziano leucocitosi neutrofila e incremento della VES (minore che nelle forme
batteriche). Vi possono essere anche complicanze probabilmente su base immunoallergica rappresentate
dalla miocardite e dalla nevrassite demielinizzante o encefalite emorragica.
La superinfezione batterica può essere precoce o tardiva ed è favorita dall’alterazione dell’epitelio
respiratorio ed in particolare dalla riduzione della clearance muco-ciliare. Si manifesta come otite, sinusite
(che possono anche complicarsi con meningite purulenta), bronchite, broncopolmonite. Le broncopolmonite
da superinfezione batterica possono essere dovute a Pneumococco, Haemophilus Influenzae e soprattutto allo
Stafilococcus Aureus. Sono particolarmente a rischio di forme gravi cardiopatici, broncopneumopatici,
anziani, donne in gravidanza, pazienti con patologie croniche epatiche o renali. Si ha una ripresa della febbre
e compare tosse produttiva, si ha leucocitosi neutrofila e spiccato incremento della VES.
Per quanto riguarda la diagnosi, può essere fatto l’isolamento del virus dalle secrezioni nasofaringee con
colture cellulari (uovo embrionato o cavità amniotica). L’infezione può essere dimostrata dalla sierologia
(fissazione del complemento).
La terapia con amantadina dovrebbe essere iniziata entro 48 ore dall’insorgenza dei sintomi: 100 mg os per 2
volte al giorno per 3-5 giorni negli adulti, 150 mg /die in 2 somministrazioni per i bambini. L’amantadina
può essere utilizzata anche a scopo profilattico (chemioprofilassi). Per il controllo della febbre va utilizzato il
paracetamolo; l’acido acetilsalicilico non va utilizzato in particolare nei bambini per il rischio di sindrome di
Reye. Gli antibiotici non dovrebbero essere utilizzati nell’influenza non complicata (tranne che nei pazienti a
rischio) in quanto non sono di alcun beneficio ed alterano la flora delle prime vie respiratorie, permettendo la
superinfezione da parte di un ceppo resistente. Se il paziente invece sviluppa una polmonite batterica va
iniziata la terapia antibiotica prima di ottenere i risultati colturali, poiché lo Stafilococcus Aureus è in genere
implicato va usato un macrolide o una penicillina semisintetica. Prima di iniziare la terapia comunque va
fatto un esame colturale e batteriologico dell’espettorato in modo da poter successivamente fare una terapia
mirata. Sono stati realizzati programmi vaccinali ogni anno prima del verificarsi dell’epidemia influenzale
nella comunità. Il vaccino non previene necessariamente l’infezione ma comunque ne riduce la gravità e le
complicanze, determina immunità per 6 mesi. È utile soprattutto nei soggetti a rischio di complicazioni.
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SEPSI E SHOCK SETTICO
La confusione sulla terminologia da adoperare è ancora molta: in Europa, fin dagli inizi del ‘900, sepsi e
setticemia venivano usati come sinonimi di una medesima condizione caratterizzata da infezione batterica o
micotica generalizzata con batteriemia persistente. Nel 1992 una conferenza di specialisti di medicina
toracica e intensiva ha suggerito l’uso del termine SIRS (Sistemic Inflammation Response Sindrome) per
indicare una condizione caratterizzata da precisi parametri:
•
temperatura > 38 °C o < 36 °C;
•
frequenza cardiaca: > 90/min;
•
frequenza respiratoria: > 20 L/min o PaCO 2 < 32 mmHg;
•
leucociti ematici > 12000/mm3 o < 4000/mm3 o ancora più del 10% di polimorfonucleati immaturi.
Quando il paziente ha una SIRS clinicamente diagnosticata con causa infettiva accertata allora si parla di
sepsi. A proposito del paziente settico però ci sono una serie di altre condizioni diverse, chiamate
comunemente con i seguenti nomi:
•
batteriemia (o fungemia): presenza di batteri o funghi vitali nel torrente circolatorio, con positività
alle emocolture;
•
setticemia: denominazione generica per evidenziare una malattia sistemica causata dalla diffusione
di microbi o loro tossine nel circolo ematico;
•
SIRS: sindrome sistemica da risposta infiammatoria; è una definizione fatta su parametri puramente
clinici, pertanto non fa distinzione tra eziologia infettiva e non;
•
Sepsi: SIRS con eziologia microbica sospetta o comprovata;
•
Sepsi severa (sindrome settica): sepsi accompagnata da uno o più segni di disfunzione organica,
ipoperfusione, ipotensione, acidosi metabolica, obnubilamento acuto mentale, oliguria e ARDS; per
parlare di ipotensione la pressione sistolica deve essere < 90 mmHg o comunque 40 mmHg al di
sotto dei valori abituali, senza altra causa apparente;
•
Shock settico: sepsi con le alterazioni precedentemente descritte più con insufficienza acuta e
duratura del flusso arterioso refrattaria alla reidratazione con liquidi, con conseguente deficit di
perfusione tissutale;
•
Shock settico refrattario: forma non responsiva alla terapia reidratativi e vasopressoria, che dura più
di 1 h;
•
MOF: Multiple Organ Failure, fase terminale dello shock con disfunzione grave di 1 o più organi che
richiede l’intervento terapeutico per il mantenimento dell’omeostasi interna.
Epidemiologia, eziologia e meccanismi patogenetici
Virtualmente qualunque classe di microrganismi, sia batteri che miceti, può causare sepsi. La batteriemia è
un fattore spesso presente nella sepsi ma non è affatto sufficiente. Come pure non è necessario, in quanto
1
anche la diffusione locale o sistemica di tossine o molecole di segnale possono sollecitare la risposta. Il 2040% dei pazienti con sepsi severa presenta emocolture positive (2 prelievi fatti ad almeno 45’ di distanza
l’uno dall’altro), percentuale che sale a 40-70% in caso di shock settico conclamato. La maggior parte delle
infezioni è da singole specie di batteri, solo il 15-20% dipende da miceti o associazioni di batteri. Nei
pazienti con emocolture negative si procede all’isolamento di materiale infetto prelevato localmente.
Negli USA 100000 persone ogni anno muoiono per setticemia: 2/3 dei casi interessano pazienti
ospedalizzati. L’incidenza della setticemia non è affatto diminuita negli ultimi anni per una serie di malattie
concomitanti predisponesti alle infezioni, e cioè:
-
Diabete mellito;
-
Malattie linfoproliferative;
-
Cirrosi epatica;
-
Ustioni;
-
Procedure mediche invasive;
-
Farmaci immunosoppressori;
-
Sostanze stupefacenti;
-
Cateteri vascolari;
-
Dispositivi meccanici permanenti;
-
Neutropenia;
-
Chemioterapia ad ampio spettro.
Alla fine, le condizioni predisponesti maggiori rimangono l’invecchiamento della popolazione, con aumento
della prevalenza delle malattie cronico-degenerative o comunque debilitanti sul sistema immune. Con la
presenza di fattori predisponesti dell’ospite l’infezione può partire da un serbatoio endogeno (es. il naso e la
cute per lo S. aureus, l’intestino per i Gram negativi saprofiti coliformi).
La risposta settica viene avviata quando i microrganismi commensali superano le barriere mucocutanee.
Questo è il primum movens per l’instaurazione di un focolaio sepsigeno, posto “a cavallo” del sistema
circolatorio; il focolaio può essere:
-
Tromboflebitico;
-
Endocarditico;
-
linfangitico (febbre tifoide);
-
empiemico.
In una minoranza di casi i microbi sono introdotti direttamente in circolo e non vi è evidenza di nessun
focolaio infettivo. Altrimenti l’ingresso nel torrente circolatorio si verifica solo quando sono state superate le
difese innate o acquisite, che sono perciò critiche in tal senso.
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I microrganismi, contengono nella loro struttura, una serie di composti in grado di determinare shock. L’LPS
è la componente dei batteri Gram negativi più studiata: la risposta ad esso è mediata da una plasmaproteina
chiamata LBP, che trasferisce l’intero complesso al CD14 espresso sulla superficie di monociti, macrofagi e
neutrofili. Questa interazione sollecita prontamente la produzione di mediatori come il TNFα, che ne
amplifica il segnale. Inoltre il lipopolisaccaride può attivare il fattore XII di Hageman e tramite questo la via
delle chinine; infine può attivare il Complemento per via alternativa portando alla produzione di fattori
chemiotattici per i neutrofili (C5a) e fattori liberanti istamina (C3a).
Oltre all’LPS, vi è una classe particolare di Ag, capaci di interagire non già con le regioni ipervariabili delle
Ig e del TCR ma con il loro idiotipo, cioè con una regione esterna a variabilità assai più limitata. Queste
sostanze sono perciò dette superantigeni e sono gli acidi teicoici dei gram positivi, la TSST-1 o tossina dello
shock tossico, e la tossina A di S. pyogenes.
Nella sepsi vi sono complesse interazioni tra componenti microbici, leucociti e mediatori umorali ed
endotelio vasale. Tali relazioni si estrinsecano attraverso un complicato network citochinico dal quale
dipendono molti aspetti clinici della malattia.
Il TNF è una citochina che alle normali concentrazioni con cui è prodotta esercita per lo più effetti paracrini
(come attivazione endoteliale, aumento del metabolismo dell’acido arachidonico e potenziamento del burst
ossidativo del macrofago). Invece introdotta ad alte dosi in animali da laboratorio è capace di riprodurre
molti aspetti della sepsi, tra cui febbre, tachicardia, tachipnea, mialgia, leucocitosi e sonnolenza; a dosi
ancora maggiori si ha shock ipotensivo (dovuto a vasodilatazione e aumento della permeabilità vasale), CID
e morte.
Il TNF è certamente per queste proprietà la tossina centrale dello shock settico ma ve ne sono altre
importanti dotate di proprietà simili come l’IL-1β, l’IFN-γ, e l’IL-8; con l’aggravarsi della sepsi si amplia
anche il pattern di citochine prodotto, tant’ è che si elevano sopra la norma circa 30 mediatori infiammatori:
a questo punto risulta estremamente difficile bloccare il processo e sia gli animali che l’uomo muoiono
inevitabilmente.
Oltre alle citochine rivestono sicura importanza i mediatori di derivazione fosfolipidica come la PGE 2 e la
prostaciclina, che determinano vasodiltazione periferica generalizzata, il trombossano, potente aggregante
piastrinico e mediatore di ischemia da vasocostrizione; il ruolo dei leucotrieni è più incerto anche perché la
risposta endotossica è normale nei topi con knock-out del gene per la lipossigenasi.
La deposizione di fibrina intravasale, la trombosi e la CID, sono tutti aspetti caratteristici della sepsi. Il
processo mediato dal TNFα, che promuove l’espressione sui monociti del fattore tissutale, che si lega al
fattore VIIa della coagulazione per formare un complesso in grado di attivare i fattori X e IX (quindi sia la
via intrinseca che estrinseca). La coagulazione è inoltre promossa dall’LPS, capace di attivare direttamente il
fattore XII di Hageman (cascata coagulativa e liberazione di chinine). Il risultato è che si verifica
coagulazione diffusa ed emorragia per depauperamento dei fattori plasmatici della coagulazione.
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Il C5a, introdotto sperimentalmente in cavie induce ipotensione, vasocostrizione polmonare, neutropenia (per
extravasazione leucocitaria) e aumentata permeabilità vascolare dovuta al danno endoteliale. Quest’ultimo è
probabilmente il meccanismo di danno comune verso i tessuti: lo stravaso di liquidi, l’edema e la
microtrombosi riducono l’apporto e l’utilizzazione di O 2 da parte dei tessuti stessi. Mediatore principale del
danno endoteliale è ancora una volta il TNFα, ma sono importanti anche gli enzimi rilasciati dai neutrofili, e
dai radicali dell’O 2 che fanno parte dell’arsenale antimicrobico dei macrofagi.
Numerose evidenze indicano che l’attivazione della NOS inducibile sarebbe in grado di produrre grandi
quantità di NO, e che esso ad elevate concentrazioni sarebbe il mediatore principale dello shock settico, o
meglio principalmente del suo aspetto principale e più grave, l’ipotensione e l’ipoperfusione. Tuttavia
partecipano anche altre molecole, come le β-endorfine, la bradichinina e il PAF, visto che topi knock-out per
il gene dell’iNOS sono comunque suscettibili a sviluppare lo shock endotossico.
A questo punto, l’organismo mette in atto complessi e poco definiti meccanismi per autolimitare il processo
infiammatorio controproducente, anche se la maggior parte delle volte essi si rivelano insufficienti. I
glucocorticoidi inibiscono la produzione di citochine e di metabolici dell’acido arachidonico e sono protettivi
nei confronti dello shock settico quando somministrati precocemente: quasi sempre si riscontra infatti in vivo
un picco di cortisolo, dovuto anche alla condizione di stress metabolico.
Anche gli inibitori endogeni delle citochine (come l’antagonista del recettore per l’IL-1) o le citochine ad
azione anti-infiammatoria, come l’IL-10 e il TGF-β. La presenza di questi mediatori rende i linfociti
prelevati dal paziente settico meno responsivi all’azione dell’LPS.
Clinica
Il quadro clinico della sepsi si compone di 3 aspetti:
-
stato tossinfettivo acuto: febbre, cefalea, astenia, mialgia, lingua secca/fuligginosa;
-
segni sistemici: brividi, splenomegalia;
-
segni di metastasi infetta: ecthima gangrenosum, osteomielite, lesioni cutanee.
A queste si accompagnano alterazioni di parametri ematici come gli indici infiammatori aspecifici e nelle
fasi avanzate alterazioni dei profili biochimici d’organo, segno di compromissione mono- o multiorganica.
L’andamento clinico della sepsi può essere:
-
acutissimo: es. sindrome di Waterhouse-Fridericksen (sindrome settica del bambino con necrosi
emorragica bilaterale dei surreni e morte in 24-48 h);
-
acuto: germi virulenti, quadro condizionato dalla risposta dell’ospite;
-
subacuto: germi poco virulenti che approfittano di condizioni predisponenti dell’ospite (es.
endocarditi batteriche da streptococchi viridanti).
Classicamente lo shock settico attraversa tre fasi:
4
-
fase pre-ipotensiva, è dominata generalmente dalla febbre, che può essere molto alta ma non in tutti i
pazienti, anzi alcuni sono addirittura ipotermici; l’assenza di febbre è più comune nei neonati, negli
anziani, nei soggetti alcolizzati o con sindrome uremica; si può avere anche obnubilamento del
sensorio, tachicardia, ipossiemia con tachipnea compensatoria (che produce ipocapnia da
iperventilazione se gli scambi gassosi polmonari non sono ostacolati), e ipoperfusione renale;
-
fase ipotensiva 1 (VASODILATATORIA), in questa fase le resistenze vascolari periferiche
cominciano a cadere e i liquidi extravasano negli spazi perivascolari: tutto ciò si traduce in un
diminuito precarico e in ipotensione (prima diminuisce la diastolica, poi anche la sistolica),
nonostante sia presente tachicardia ed elevata portata cardiaca; la cute si presenta calda e arrossata, al
contrario di come appare negli altri tipi di shock (cardiogeno, ipovolemico, ostruttivo, extracardiaco)
tutti caratterizzati da bassa portata cardiaca fin dall’inizio; il flusso urinario scende fino alla soglia
dell’anuria (20 mL/h) e fanno la loro comparsa le prime possibili gravi complicanze dello shock
settico: la CID e la ARDS;
-
fase ipotensiva 2 (della DEPRESSIONE MIOCARDICA), entro 24 h dall’esordio conclamato dello
shock settico nella maggior parte dei pazienti si verifica una considerevole depressione della
funzionalità miocardia, evidenziata dalla diminuzione della FE e dall’aumento dei volumi
telediastolici e del precarico, che permettono almeno inizialmente di mantenere invariata la portata
cardiaca nonostante la bassa FE; la depressione miocardica è molto probabilmente dovuta all’acidosi
e all’ipossiemia prolungata; la cute diventa fredda e algida per l’attivazione adrenergica, è presente
tachicardia associata a ritmo di galoppo per la presenza di un III tono.
L’ipotensione e la CID predispongono all’acrocianosi e alla necrosi ischemica dei tessuti periferici, come le
dita, ma anche il tratto GE, soprattutto lo stomaco, che è sede di ulcere acute (di Curling) che possono
causare emorragie digestive alte che aggravano la condizione di shock. Più rara è la necrosi ischemica
dell’intestino. La cute può presentare anche cellulite, pustole, bolle e lesioni emorragiche dovute alla
disseminazione metastatica ematogena dei microbi nei tessuti molli. Talvolta tali lesioni sono fortemente
indicative del germe in causa:
-
petecchie cutanee o porpora, N. meningitidis o febbre delle montagne rocciose (se il soggetto è stato
punto da una zecca in un’area di endemia);
-
ecthima gangrenosum, si osserva quasi esclusivamente in soggetti neutropenici con infezione da P.
aeruginosa: si tratta di una lesione bollosa con edema circostante e necrosi emorragica centrale;
-
eritroderma generalizzato, S. aureus o S. pyogenes.
L’ittero colestatico spesso precede gli altri segni di sepsi ed è dovuto a disfunzione epatocellulare o
Canalicolare.
Complicanze
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Tra le complicanze maggiori, l’ARDS o “polmone da shock” è una conseguenza a livello distrettuale di una
condizione generalizzata di aumento della permeabilità capillare, con accumulo di liquidi negli alveoli che
interferisce negativamente con gli scambi gassosi (ipossiemia refrattaria all’O 2 , PaO 2 < 60 mmHg) e con la
meccanica respiratoria (diminuzione della compliance o elastanza). Questo quadro si verifica nel 25-50% dei
pazienti settici e la sepsi peraltro ne è la causa più frequente. Clinicamente (e radiologicamente) è
indistinguibile da una polmonite da P. carinii (detta polmonite “a fiocchi” per la presenza di infiltrati opachi
diffusi sia interstiziali che alveolari). La situazione può rapidamente peggiorare.
L’insufficienza renale nella maggior parte dei casi è da causa pre-renale (ipoperfusione e danno capillare) ma
poi tende a diventare renale perché si ha la NTA (necrosi tubulare acuta) o nei casi più gravi addirittura
necrosi corticale acuta: i pazienti mostrano oliguria, iperazotemia, proteinuria e cilindri ialino-epiteliali nelle
urine; altri pazienti invece si presentano con segni di GN acuta o nefrite tubulo-interstiziale. Il danno renale,
assai frequente, impone di non usare tra gli antibiotici gli aminoglicosidi, data la loro nefrotossicità accertata.
Nei pazienti con sepsi subacuta della durata di settimane-mesi, può instaurarsi una polineuropatia “da
malattia critica” che produce debolezza dei muscoli distali e può rendere obbligatoria la ventilazione
assistita.
Nelle fasi iniziali si ha leucocitosi, ma in pazienti defedati può aversi neutropenia fin dall’inizio. I neutrofili
possono contenere granulazioni tossiche e vacuoli citoplasmatici. Quando si instaura la CID diminuisce
fortemente il numero di piastrine, aumenta il tempo di protrombina, si riduce il fibrinogeno e aumenta il
dimero D plasmatico (proteina derivata dalla scissione endogena della fibrina da parte del plasminogeno).
Quando la sepsi diventa più grave si alterano gli indici di funzionalità renale e/o epatica: se il germe
responsabile è un Clostridio può esservi emolisi attiva.
Durante le fasi iniziali della sepsi l’iperventilazione provoca alcalosi, poi con l’affaticamento dei muscoli
respiratori, l’ARDS e l’accumulo di acido lattico subentra di solito acidosi metabolica, con aumento del gap
anionico, accompagnata da ipossiemia, prima correggibile con l’ossigenoterapia, poi refrattaria ad essa. I
pazienti diabetici sviluppano più frequentemente di altri sepsi iperglicemia, anzi la sepsi stessa può scatenare
la chetoacidosi, che aggrava ulteriormente l’ipotensione.
Diagnosi
Per quanto riguarda la diagnosi, test specifici al 100% non ce ne sono ma dati suggestivi includono febbre o
ipotermia, tachicardia, leucocitosi o leucopenia in un paziente con provata infezione; sono di aiuto anche
reperti come la trombocitopenia, alterazioni acute dello stato mentale, ARDS e IRA. Tuttavia la risposta del
paziente settico è assai varia: per es. il 36% può avere normotermia, il 40% eupnea e il 33% leucociti nella
norma.
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Occorre anche vagliare tutte le eventuali cause di SIRS non infettiva, come pancreatite, ustioni, traumi,
insufficienza surrenalica, embolia polmonare, aneurisma dissecante aortico, IMA, emorragie occulte,
tamponamento cardiaco ecc…
Per la diagnosi eziologica è necessario l’isolamento del germe dal sangue o da una sede localizzata di
infezione: le sepsi da Gram negativi danno di solito una batteriemia estremamente modesta e sono necessari
molti prelievi ed incubazione prolungata delle emocolture. Lo S. aureus invece cresce più facilmente in un
tempo inferiore alle 48 h. Emocolture persistentemente negative contro l’evidenza possono dipendere da una
precedente terapia antibiotica, dalla mancata disseminazione ematica oppure da esigenze particolare del
microrganismo in coltura. Altre volte invece i microbi possono essere osservati e riconosciuti direttamente su
strisci di sangue periferico, tanto sono concentrati: è il caso delle sepsi pneumococciche in individui
splenectomizzati o nella meningococcemia fulminante.
La determinazione dell’endotossiemia con il test al limulus o il dosaggio di citochine specifiche possono
avere un valore prognostico ma hanno ancora un valore clinico assai limitato.
Terapia
La sepsi costituisce un’urgenza medica, oltre che chirurgica (in limitati casi in cui occorra eliminare il
focolaio settico, ad es. un ascesso addominale). Le misure terapeutiche devono essere volte a:
-
assicurare un supporto alle principali funzioni d’organo (cardiaca, respiratoria e renale);
-
eliminare il microbo responsabile e il focolaio settico;
-
trattare eventuali malattie di base dei pazienti, che influenzano pesantemente il decorso.
Il supporto emodinamico, respiratorio e metabolico consiste nel ripristino della volemia, che deve essere
attuato in fase ipotensiva 1 per garantire la per fusione tissutale e prevenire l’acidosi e la cardiodepressione.
Ciò si fa con soluzione salina allo 0,9% - 1-2 litri in 1-2 h – monitorando continuamente la PVC (e la
pressione di incuneamento capillare polmonare, per evitare un sovraccarico del piccolo circolo). La diuresi
va mantenuta almeno sopra 30 ml/h: dovrebbero bastare semplicemente i liquidi, altrimenti si dà un diuretico
dell’ansa. La maggior parte dei pazienti risponde bene e la PAM si mantiene al di sopra di 60 mmHg, con
portata cardiaca superiore a 4 L/min. Se queste linee guida non sono sufficienti occorre instaurare:
-
terapia inotropica: dopamina (preferibile per il suo effetto dilatatorio sul circolo renale ottenibile a
basse dosi), dobutamina (agente agonista β1 selettivo);
-
terapia vasopressoria.
Nei pazienti con ipotensione refrattaria e sepsi da N. meningitidis, oppure con anamnesi di terapia
glucocorticoidea prolungata, oppure TBC disseminata, si può avere insufficienza surrenalica acuta, da
trattare con idrocortisone acetato.
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L’intubazione endotracheale è indicata nelle seguenti condizioni: ipossiemia progressiva refrattaria ad O 2
terapia, ipercapnia, segni di fatica dei muscoli respiratori. Il bicarbonato è talvolta somministrato in presenza
di acidosi grave, con pH intorno a 7.
La CID, se complicata da sanguinamenti cospicui, va trattata con trasfusione di plasma fresco congelato e
piastrine. Nelle sepsi subacute di lunga durata un apporto parenterale ipercalorico può diminuire l’impatto
negativo per le condizioni generali dell’ipercatabolismo proteico.
In attesa del risultato dell’emocoltura e dell’antibiogramma va intrapresa subito una terapia empirica ad
ampio spettro sulla base del sospetto clinico (nei pazienti immunocompetenti e adulti un β-lattamico ad
ampio spettro come la piperacillina e il tazobactam o l’imipenem). È preferibile la somministrazione
endovena, per tanti motivi (vomito, possibilità di controllare la c.p. e adeguarla rapidamente in caso di
insufficienza renale). La terapia specifica, che il più delle volte è fatta con un solo agente chemioterapico, va
protratta per 2-3 settimane, ma ciò dipende da diversi fattori come la sensibilità del microbo, la sede
dell’infezione tissutale e l’efficienza del drenaggio chirurgico posizionato. Per l’endocardite subacuta va
invece continuata per 1 mese o più.
Le linee guida indicano un uso aggressivo dei chemioterapici: vanno preferiti quelli ad azione battericida
(quindi i macrolidi, le tetracicline, il cloramfenicolo, la clindamicina e i sulfamidici non vanno bene),
somministrati a dosi elevate (picchi > MBC e livelli battericidi persistenti per tutte le 24h). Ovviamente il
focolaio settico va individuato e quando possibile rimosso immediatamente: i cateteri venosi a permanenza
vanno tolti e la loro punta strisciata su agar-sangue per l’esame colturale; lo stesso i sondini nasali (sinusiti
da Gram negativi nosocomiali). Per l’individuazione di eventuali ascessi profondi ci si avvale delle comuni
tecniche di imaging.
Nonostante tutte queste misure il 25-35% dei pazienti con sepsi severa e il 50% di quelli con shock settico
muoiono nei successivi 30 giorni: i decessi tardivi sono imputabili a infezione mal controllata, complicanze
della terapia intensiva e insufficienza d’organo. Per questo sono allo studio ulteriori misure in grado di
bloccare la cascata infiammatoria:
-
agenti antiendotossine: sfortunatamente non sono stati più efficaci del placebo in 2 studi clinici; si è
scoperto retrospettivamente che l’Ab monoclonale contro il lipide A utilizzato non legava il proprio
bersaglio con la necessaria affinità; sono allo studio Ab modificati e coniugati polimixina-destrano
per adsorbire l’LPS;
-
anticitochine (metilprednisolone): neanche questi hanno abbassato il numero dei decessi rispetto al
placebo, poiché l’inibizione della sintesi dei mediatori centrali dello shock settico compromette
anche le capacità di difesa antimicrobica, e quindi l’efficacia della chemioterapia.
La misura migliore rimane quindi la prevenzione: essa va fatta soprattutto in ospedale, dove c’è il maggior
numero di casi di sepsi, limitando l’uso e la durata di cateteri a permanenza, la durata di neutropenia grave
(<500 unità/mm3), le procedure invasive e l’impiego indiscriminato di antibiotici e glucocorticoidi. È
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importante anche la prevenzione terziaria, che si basa sul pronto riconoscimento dello shock in fase iniziale e
sul tempestivo trattamento con le misure suddette.
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TETANO
È una malattia infettiva con interessamento neurologico caratterizzata ipertono dei muscoli striati e da crisi
spastiche parossistiche provocati dalla tetanospasmina, una potente neurotossica prodotta dal Clostridium
Tetani.
I clostridi sono bacilli gram positivi, anaerobi, mobili, sporigeni, comprendono 4 specie patogene per
l’uomo: tetani, perfrigenes, botulinum e difficile.
Sono normalmente saprofiti che vivono nel suolo o commensali del tratto digerente dell’uomo o di alcuni
animali sotto forma di spore o forme vegetative. Il C. tetani è ubiquitario e si trova nel suolo o nelle feci
animali o talvolta umane. L’uomo è un ospite occasionale del Clostridium Tetani che produce spore
nell’ambiente le quali sono altamente resistenti e riescono a sopravvivere per anni.
Le zone tetaningene dipendono da: insediamento di animali erbivori, terreni coltivati o concimati,
caratteristiche del suolo e del clima. La malattia è più comune nelle zone rurali. Nei pesi in cui non vi è un
programma di vaccinazione predominano il tetano neonatale e quello dei bambini mentre nei paesi in cui è
obbligatoria la vaccinazione l’infezione si verifica in persone non raggiunte dal programma di vaccinazione
(immigrati) o in persone che non riescono a mantenere l’immunità acquistita tramite il vaccino (anziani).
La maggior parte dei casi di tetano si verifica per contaminazione di una ferita penetrante o con lacerazione,
ma anche in caso di ustioni, congelamenti, manovre chirurgiche o uso droghe per inoculazione sottocutanea.
Patogenesi
Il Clostridium Tetani è un microrganismo opportunista non invasivo. L’infezione avviene in caso di lesioni
di continuo della cute o delle mucose che consentono la penetrazione delle spore. È necessario che si crei un
ambiente di anaerobiosi necessario perché si abbia la germinazione della spora in forma vegetativa che è
quella in grado di produrre la tossina tetanica. Sono particolarmente a rischio infatti le ferite lacero-contuse
in cui è presente tessuto necrotico, ritenzione di corpi estranei, ustioni, aborti clandestini e anche le ferite
nell’anziano che spesso soffre di insufficienza arteriosa (bassa pO 2 ).
La tossina tetanica o tetanospasmina codificata da un plasmide, è un veleno potentissimo caratterizzato da
uno spiccato neurotropismo ed è quella che causa la sintomatologia clinica visto che il Clostridium non è
invasivo. La tossina si lega ai gangliosidi ricchi di acido sialico presenti sui motoneuroni α nella placca
neuromuscolare dei muscoli striati, quindi tramite trasporto assonale retrogrado raggiunge il midollo spinale,
dove per migrazione trans-sinaptica si localizza in altri neuroni in particolare i neuroni inibitori presinaptici
glicinergici e GABAergici che operano il riflesso inibitorio che porta al rilasciamento dei muscoli antagonisti
nel momento in cui si contraggono gli agonisti. Ciò comporta la tipica rigidità o ipertono muscolare dovuto
alla contrazione contemporanea sia dei muscoli agonisti che degli antagonisti (paralisi spastica). Nei casi
gravi si verifica anche interessamento autonomico per azione soppressiva sulla inibizione dei neuroni
1
autonomici delle corna intermedio-laterali del midollo che determina incremento dei livelli di catecolamine
con aumento di attività ortosimpatica.
Clinica
Il decorso clinico è influenzato dalla quantità di tossina prodotta e dalla lunghezza del tragitto necessario per
raggiungere il nevrasse. Se la quantità di tossina prodotta è scarsa vi è diffusione retrograda solo dalle
giunzioni neuromuscolari distrettuali con interessamento dei muscoli locali (tetano localizzato) e il periodo
di incubazione dipende dalla lunghezza del tragitto da percorrere (e anche dalla velocità di sviluppo delle
forme vegetative). Se la quantità di tossina è elevata si ha oltre alla retrodiffusione che interessa numerose
giunzioni neuromuscolari anche diffusione per via ematica o linfatica e interessamento di numerosi gruppi
muscolari, di cui i primi coinvolti sono quelli più vicini al nevrasse.
Il periodo di incubazione è quello che va dal contatto con la spora alle prime manifestazioni cliniche (trisma)
varia da 2 giorni (in caso di tetano cefalico) a 3 mesi ed è in media di 2-3 settimane. Il periodo di invasione
(onset) va dalle prime contrazioni muscolari alle prime crisi spastiche parossistiche (ascessi tetanici).
Le manifestazioni cliniche sono progressive:
•
Contrazione dei muscoli masseteri e pterigoidei (trisma) che determina iniziale incapacità ad aprire
bene la bocca e poi la tipica smorfia o ghigno (riso sardonico);
•
Interessamento dei muscoli faringei con disfagia;
•
Rigidità nucale;
•
Contrazione dei muscoli dorsali (paravertebrali) con inarcamento del tronco e iperestensione degli
arti (opistotono);
•
Contrazione dei muscoli addominali con addome a barca (addome acuto).
Il periodo di stato è caratterizzato da crisi spastiche parossisitiche (ascessi tetanici) dolorose, generalizzate o
localizzate che durano secondi-minuti con cianosi e sensorio conservato. È pericoloso l’interessamento dei
muscoli respiratori che determina riduzione della ventilazione ed il laringospasmo. Nelle forme molto gravi
si ha la sindrome simpatica maligna caratterizzata da incrementata liberazione di catecolamine che
determina: ipertensione, tachicardia, aritmie, vasocostrizione periferica, ipeersudorazione e iperpiressia.
È importante la valutazione prognostica che ci permette di distinguere:
•
Tetano di 1° grado, ha un periodo di incubazione maggiore di 14 giorni, periodo di invasione
superiore ai 6 giorni, sono presenti ascessi tetanici circoscritti e brevi che evolvono in guarigione,
manca disfagia;
•
Tetano di 2° grado, il periodo di incubazione è di 7-14 giorni, periodo di invasione 3-6 giorni, si
hanno contrazioni generalizzate fin dall’inizio compresa la disfagia, la dispnea e la cianosi non sono
gravi ma è necessario il ricovero in rianimazione per la ventilazione assistita;
2
•
Tetano di 3° grado, il periodo di incubazione è inferiore ai 7 giorni, periodo di invasione inferiore ai
3 giorni, gli attacchi sono generalizzati, intensi e prolungati, è presente disfagia intensa fino alla
polmonite ab ingestis, talvolta laringospasmo, è presente la sindrome simpatica maligna, la letalità è
superiore al 50%.
La valutazione prognostica viene fatta sui dati anamnesici, in particolare al periodo di incubazione e di
invasione, è fondamentale valutare se il tetano tende a progredire oltre il 1° grado perché in caso di disfagia e
dispnea grave è indicato il trasferimento in unità di terapia intensiva.
In base alla porta di ingresso possiamo distinguere un tetano post-traumatico, neonatale, puerperale,
postabortivo, chirurgico e criptogenetica, in base al quadro clinico un tetano cefalico, disfagico,
addominotoracico, e degli arti.
Il tetano neonatale si presenta come tetano generalizzato ed è spesso fatale, si sviluppa in bambini nati da
madri non adeguatamente immunizzate in genere dopo trattamento non sterile del cordone ombelicale.
Il tetano cefalico è una rara forma di tetano locale secondario a ferite alla testa o a otiti, si manifesta con
trisma o disfunzione di uno o più nervi cranici, il periodo di incubazione è di pochi giorni e la letalità è alta.
In generale il decorso del tetano è verso la guarigione in 2-8 settimane o la morte che può essere dovuta a
anossia acuta, collasso cardiocircolatorio, arresto cardiaco, infezioni.
Diagnosi
La diagnosi di tetano è posta completamente su base clinica. È importante la diagnosi differenziale con:
•
Processi infiammatori che possono dare rigidità riflessa locale con trisma;
•
Avvelenamento da stricnina che determina contrazione a partire dal tronco (assenza di trisma);
•
Rabbia in cui gli spasmi muscolari sono seguiti da rilasciamento della muscolatura mentre nel tetano
sono inscritti in uno stato di contrazione muscolare generalizzata.
L’EMG può mostrare una scarica continua delle unità motorie e una riduzione o assenza dell’intervallo
silente che si osserva normalmente dopo un p.d.a.
Terapia
Gli obiettivi della terapia sono:
•
Eliminare il focolaio infettivo che fornisce la tossina, viene effettuata toilette chirurgica ( in caso di
ferita lacero-contusa, con corpi estranei o ritensione di materiale necrotico), disinfezione con agenti
ossidanti (acqua ossigenata o ipoclorito), infiltrazione con Ig antitetaniche della zona circostante e
penicillina G ev o tetracicline nei pazienti allergici per eradicare le forme vegetative fonte di
produzione della tossina;
3
•
Bloccare la tossina non fissata al SNC (la tossina infatti si fissa irreversibilmente perciò la sua
attività può essere bloccata soltanto prima del legame al recettore), viene fatta immunoprofilassi
passiva con Ig umane antitetaniche im (siero antitetanico) in 2 somministrazioni di 3000 UI che
servono a neutralizzare la tossina;
•
prevenzione degli spasmi muscolari e terapia delle complicanze effettuata con diazepam 5-10 mg ev
ogni 6-8 ore (azione sedativa, antivonvulsivante, rilassante) o curarici (pancuronio bromuro).
In caso di blocco della muscolatura respiratoria è fondamentale la respirazione assistita. Inoltre è importante
il monitoraggio arterioso di pH, pO 2 , pCO 2 e PA e catetere urinario. In caso di sindrome simpatica maligna è
necessario l’utilizzo di β-blocanti e α−β bloccanti. È necessaria anche una profilassi delle complicanze
infettive e non infettive. La vaccinazione antitetanica è obbligatoria e si basa sull’anatossina inattivata in
formaldeide in 4 somministrazioni (3° mese, 4-5° mese, 10-12° mese, 6° anno) insieme al vaccino
antidifterico e antipertossico. Può essere fatto un richiamo ogni 10 anni volontario. Può essere fatta una
profilassi post-esposizionale in caso di sospetto contagio: nei soggetti vaccinati da meno di un anno non si fa
nulla, in quelli vaccinati da più di un anno si fa il richiamo, in quelli vaccinati da più di 10 anni il richiamo
più l’immunoprofilassi passiva con Ig. Nei soggetti che hanno ricevuto solo una dose di vaccino si fa una
dose di vaccino più le Ig, nei soggetti non vaccinati si fanno 3 somministrazioni di vaccino più le Ig. Le Ig in
250 UI assicurano una copertura per 1 mese. Il vaccino post-esposizionale deve essere effettuato entro 24 ore
dalla contaminazione.
4
LE EPATITI VIRALI
Le epatiti virali sono malattie infettive caratterizzate da sintomatologia e lesioni anatomo-funzionali
preminentemente epatiche, con decorso di durata variabile, causate da diverse agenti eziologici. Numerosi
virus sono in grado di causare un processo infiammatorio al fegato. Comunemente, si parla di epatite virale
solo quando le alterazioni istologiche del fegato (cui non costantemente si accompagnano sintomi clinici)
sono causate da virus primitivamente epatotropi. Un quadro simile alle epatiti può tuttavia comparire nel
corso di varie infezioni virali, i cui agenti vengono considerati virus epatitici “minori”, proprio perché
l'interessamento epatico è secondario nell'ambito delle malattie da essi provocate. Tali quadri clinici possono
porre problemi di diagnosi differenziale con l'epatite virale classica.
I virus propriamente epatitici fino ad oggi noti sono:
•
virus dell'epatite A;
•
virus dell'epatite B;
•
virus dell'epatite C;
•
virus dell'epatite D o delta;
•
virus dell'epatite E;
•
virus dell'epatite G.
Tuttavia numerosi altri virus possono causare epatiti come EBV, il citomegalovirus, herpesvirus. Per quanto
riguarda l'epatite virale, un tempo venivano classificate in:
•
epatite dovuta a virus di tipo A;
•
epatite dovuta a virus di tipo B, a cui successivamente si è aggiunta anche l'identificazione del virus
dell'epatite D;
•
epatiti non A e non B o NANB, di cui l'epatite di tipo E, la cui modalità di trasmissione è per via
enterica, e l'epatite di tipo C, trasmessa per via parenterale, ma in questo gruppo potrebbero rientrare
tutta una serie di possibili virus, ancora da identificare.
I virus epatitici “maggiori” sono molto eterogenei tra di loro, sia per quanto riguarda la struttura, meccanismi
patogenetici ma anche la clinica. Da un punto di vista strutturale, si ha che:
•
il virus dell'epatite A appartiene alla famiglia dei picornaviridae ed è un virus a RNA;
•
il virus dell'epatite B è invece un Hepadnavirus, con genoma rappresentato da DNA;
•
il virus dell'epatite C appartiene alla famiglia dei Flavivirus, virus RNA;
•
il virus dell'epatite D possiede un genoma incompleto a RNA;
•
il virus dell'epatite E è un Calicivirus a RNA;
•
il virus dell'epatite G è un Flavivirus a RNA.
Epidemiologia
1
A parte l'eterogeneità dei virus epatitici da un punto di vista strutturale, anche la loro distribuzione geografica
risulta essere varia. L'infezione da virus dell'epatite A presenta un'elevata incidenza nelle aree sub-equatoriali
del globo, quali America Latina, Messico, Africa, Asia. Invece le regioni economicamente più ricche
presentano una bassa prevalenza di epatite dovuta ad HAV. Negli Stati Uniti, l'incidenza di epatite da HAV è
andata mano a mano decrescendo a partire dagli anni 50 del 20º secolo.
Per quanto riguarda il HBV, questi è in grado di determinare l'infezione cronica nella quale i soggetti
presentano nel siero l'antigene s o HBsAg. Le aree di maggior prevalenza sono soprattutto l'Africa, la Cina e
l'Indonesia, nonché alcune regioni dell'America Latina. Nei paesi occidentali, invece, l'infezione cronica
presenta una bassa incidenza data la presenza di programmi di vaccinazione obbligatoria contro l'infezione
da HBV. Infatti, negli Stati Uniti l'incidenza di epatite acuta dovuta ad infezione del virus dell'epatite B è
andata mano a mano decrescendo in seguito all'introduzione del vaccino a metà degli anni ’80. Nell’analisi
della distribuzione del HBV, bisogna prendere in esame anche la distribuzione del virus dell'epatite D,
poiché quest'ultimo è un virus difettivo, che non è in grado di dare infezione se non in presenza di una
esistente infezione sostenuta da HBV.
Per quanto riguarda invece l'incidenza dell'infezione acuta da virus dell'epatite C, negli Stati Uniti questa è
andata mano mano aumentando fin nei primi anni 90, poi ha subito un brusco declino, molto probabilmente a
seguito dell’introduzione degli screening ematologici su donatori di sangue. Riguardo l'età dei soggetti
colpiti dall’infezione, sempre negli Stati Uniti, questi hanno un’età compresa tra i 30-60 anni, con prevalenza
nel sesso maschile. Invece i soggetti giovani, al di sotto dei trent'anni, hanno una bassa incidenza di questo
tipo di infezione, dovuto anche all'introduzione dei test di screening su donatori di sangue, poiché in passato
le trasfusioni di sangue rappresentavano uno strumento subdolo per la diffusione del virus.
Il virus dell’epatite E è responsabile di epatiti soprattutto in Asia, India Africa e Messico, inoltre studi
sottolineano come in più del 25% di infezioni sporadiche non ABC sia dovuto al HEV.
Vie di trasmissione
Tutti questi virus, definiti anche come virus epatotropi, nonostante infettino il fegato, tuttavia presentano
differenti modalità di contagio, con una diversa tendenza alla cronicizzazione. Il HAV viene eliminato
soprattutto attraverso le feci e la via principale di trasmissione e quella fecale-orale. Non cronicizza mai e a
seguito dell'infezione, il soggetto una volta guarito risulta essere immunizzato e da quest'osservazione deriva
l'utilizzo, a fini profilattici, di vaccini.
Il HBV, invece, utilizza come mezzo il sangue o fluidi corporei. La via di trasmissione è percutanea o
attraverso le mucose e in alcuni casi può determinare un'infezione cronica. Anche qui la prevenzione viene
attuato con il vaccino.
2
Il HCV si ritrova nel sangue e nei fluidi corporei, e viene trasmesso per via percutanea e attraverso le
mucose. Presenta un elevato tasso di cronicizzazione e le principali misure preventive sono lo screening di
sangue donato e profilassi comportamentale.
Il HDV si ritrova nel sangue e nei fluidi corporei e anche quest'ultimo viene trasmesso per via percutanea e
tramite le mucose. Può dar luogo ad infezione cronica su una preesistente infezione da virus dell'epatite B.
La prevenzione viene attuata tramite vaccinazione per il virus dell'epatite B nonché profilassi
comportamentale.
Infine il HEV viene eliminato con le feci e la modalità di trasmissione e per via fecale-orale. Non cronicizza
e la prevenzione viene attuata mantenendo adeguate condizioni igienico sanitari, e soprattutto monitorando la
salubrità dell’acqua potabile.
I singoli virus epatotropi differiscono, quindi, per modalità di trasmissione. Il HAV si trasmette soprattutto
tramite:
-
contatto personale, inclusi rapporti sessuali;
-
ingestione di acqua e cibi contaminati;
-
molto rara, tramite contatto con il sangue, tipica delle trasfusioni e dei tossicodipendenti.
Il HAV si presenta con diverse concentrazioni nei vari fluidi corporei. La concentrazione massima si ha a
livello delle feci, segue il siero e la saliva. Nelle urine, invece, il virus risulta essere assente.
Ben diverse, invece, sono le modalità di trasmissione del HBV:
-
sessuale;
-
parenterale;
-
perinatale.
La carica virale risulta essere elevata nel sangue, nel siero e nell’essudato delle ferite, moderata nello sperma,
fluidi vaginali e nella saliva, bassa o non rintracciabile nelle urine, nelle feci, nel sudore, nelle lacrime e nel
latte. I principali fattori di rischio per l'infezione acuta da HBV sono:
-
rapporti eterosessuali, inclusi contatto sessuale con soggetti infetti e promiscuità di partners;
-
utilizzo di droghe iniettabili;
-
pratiche omosessuali;
-
infine non bisogna sottovalutare il rischio professionale, soprattutto dei soggetti occupati in strutture
sanitarie.
Le modalità di trasmissione del HDV sono per via percutanea, con l'utilizzo di droghe iniettabili, e tramite
esposizione transmucosale, come avviene nei rapporti sessuali.
Molto diversa è la modalità di trasmissione del HCV. Il HCV si trasmette soprattutto per:
3
-
via percutanea, tramite l'uso di droghe iniettabili, trasfusioni di sangue e trapianti;
-
per via mucosale, perinatale e sessuale.
La modalità più frequente per contrarre l’infezione da HCV è utilizzo di droghe iniettabili per circa il 60%,
un 15% circa dei soggetti risulta essere infettato per via sessuale, mentre un 10% tramite le trasfusioni
(questo prima dello screening). Nel caso dell'epatite C non bisogna poi sottovalutare la trasmissione
perinatale.
Per quanto riguarda il epidemiologia del HEV, l'infezione è associata con la contaminazione di feci infette di
acqua potabile. La trasmissione avviene quindi per via oro-fecale e negli Stati Uniti i casi registrati si sono
riscontrati in soggetti che avevano effettuato viaggi in aree endemiche per HEV.
LE EPATITI VIRALI ACUTE
Le caratteristiche cliniche dell'epatite virale acuta da virus A, B, C, D, E sono sostanzialmente simili, anche
se di norma, la fase acuta dell'epatite C è più frequentemente asintomatica.
Passiamo adesso a trattare gli aspetti clinici dell'epatite A:
-
il periodo di incubazione si aggira intorno a una media di 30 giorni, in un range compreso tra 15-50
giorni;
-
per quanto riguarda l'incidenza in funzione dell'età, meno del 10% dei soggetti ha un'età inferiore ai
sei anni, il 40-50% un'età compresa tra i sei e i 14, il 70-80% un'età maggiore a 14;
-
tra le complicazioni vi sono: l'epatite fulminante, l'epatite colestatica e l'epatite recidivante;
-
non vi è cronicizzazione.
Per quanto riguarda gli aspetti clinici dell'epatite B:
-
il periodo di incubazione ha una media di 60-90 giorni, con un range compreso tra 45 e 180;
-
meno del 10% dei soggetti colpiti ha un’età inferiore ai cinque anni, un 30-50% ha un'età superiore
ai cinque anni;
-
la mortalità delle forme acute oscilla tra lo 0,5% e l'1%;
-
l'infezione da virus dell'epatite B può cronicizzare, e ciò dipende dall'età del soggetto, nei soggetti
con età inferiore ai cinque anni il rischio di cronicizzazione è compreso tra il 30 e il 90%, in quelli
con età superiore tra il 2 e il 10%;
-
la mortalità per malattia cronica del fegato oscilla tra il 15 e il 25%.
Per quanto riguarda gli aspetti clinici dell'epatite di tipo D, questi dipendono se l’infezione si verifica in
concomitanza oppure su un’infezione cronica da HBV:
-
la coinfezione (acquisizione simultanea di HBV e HDV) è responsabile di una grave patologia acuta,
con un basso rischio di infezione cronica;
4
-
superinfezione (infezione da HDV su pre-esistente infezione da HBV), che generalmente determina
un'infezione cronica da virus dell'epatite D, con un rischio molto elevato di una malattia grave
cronica del fegato.
Nel caso delle manifestazioni cliniche dell'infezione da virus dell'epatite C:
-
il periodo di incubazione ha una media di 6-7 settimane, con un range compreso tra 2-26 settimane;
-
la sintomatologia della forma acuta è lieve;
-
l'incidenza di casi fatali è bassa;
-
circa il 70% delle forme acute sfocia in epatiti croniche;
-
in un 10-20% dei soggetti si ha l'evoluzione verso la cirrosi;
-
la mortalità per epatite cronica si aggira intorno all'1-5%.
Infine, le manifestazioni cliniche dell'epatite E:
-
il periodo di incubazione ha una media di 40 giorni con un range compreso tra i 15 e 60 giorni;
-
l'incidenza di casi fatali nella popolazione in genere oscilla tra l'uno e il 3%, mentre nelle gestanti è
più elevata, compresa tra il 15-25%;
-
la gravità della malattia aumenta con l'età;
-
non sono state identificate forme croniche.
Clinica
Un episodio epatitico può essere suddiviso in quattro fasi diverse:
-
periodo di incubazione;
-
periodo prodromico o pre-itterico;
-
periodo itterico;
-
periodo della convalescenza.
L'epatite virale può presentarsi con quadri clinici particolari:
-
forme antitteriche;
-
forme fulminanti;
-
forme ad impronta colestatica.
Il periodo di incubazione variabile a seconda del virus. Per quanto riguarda invece il periodo itterico, questi
presenta una durata variabile da tre a quattro giorni fino a 3-4 settimane. In questa fase il soggetto presenta:
-
malessere generale, astenia;
-
febbre, talora cefalea intensa;
-
disturbi dispeptici: inappetenza, nausea, vomito e alterazioni dell'alvo;
5
-
dolore in ipocondrio destro o in epigastrio, solitamente di intensità modesta ma talora tale da
simulare una colica biliare;
-
alterazioni olfattive e gustative.
Nell'epatite acuta di tipo B, anche se assai raramente, taluni pazienti possono presentare disturbi da
deposizione di immunocomplessi in diversi organi:
-
a livello del rene si ha glomerulonefrite;
-
a livello della cute, esantemi maculopapulosi ed eruzioni orticarioidi;
-
alle articolazioni si ha artralgia;
-
alle arterie con poliarterite nodosa.
Il periodo itterico dura dalle due alle sei settimane, ma esistono casi a decorso più prolungato. In questa fase
saranno presenti:
-
ittero, di intensità variabile da subittero ad ittero franco, e raggiunge l'acme in 6-7 giorni e si può
associare prurito;
-
feci ipocoliche ed urine ipercromiche;
-
all'esame obiettivo sarà presente epatomegalia, talora una modesta splenomegalia.
Il periodo della convalescenza inizia con la scomparsa dell'ittero e in questa fase la maggior parte dei
pazienti va incontro a guarigione. Ma, in alcuni soggetti la convalescenza può essere contraddistinta dal
persistere dell'astenia, del malessere e della sensazione di peso in ipocondrio destro. I dati di laboratorio
presenteranno:
-
iperbilirubinemia di tipo misto, con prevalenza della bilirubina diretta, di intensità variabile da 2 a 3
mg/dL (subittero) ad oltre 30 mg/dL (ittero franco);
-
aumento degli indici di necrosi epatocitaria, soprattutto GOT e GPT, nelle forme classiche γ-GT e
fosfatasi alcalina, che sono indici di colestasi, sono normali;
-
riduzione del TP;
-
aumento modesto delle gammaglobuline;
-
ipoglicemia.
Diagnosi sierologica
Per quanto riguarda il decorso sierologico, questi varia a seconda del tipo di virus infettante. Nel caso
dell'infezione da HAV, già a partire dopo un mese dall'esposizione, se non prima, si hanno i sintomi, con
l'elevazione della concentrazione sierica delle ALT. Nello stesso periodo comincia ad aumentare il titolo
delle in IgM anti-HAV, che mantengono un titolo elevato fino al quinto, sesto mese dall'esposizione. Con la
comparsa degli IgM, compaiono anche le IgG contro il virus e aumentano gradualmente, mantenendo titoli
elevati anche dopo parecchio tempo dall'infezione e conferendo, quindi, immunità al soggetto. La diagnosi
sierologica di epatite acuta di tipo A prevede la positività degli anticorpi anti-HAV, della classe delle IgM,
6
che sono già presenti all'esordio clinico della malattia, e persistono per settimane o mesi. Gli anticorpi della
classe IgG, quelli protettivi, rimangono determinabili nel siero per tutta la vita.
L'andamento dell'infezione acuta da virus dell'epatite B presenta un decorso sierologico differente. In un
periodo compreso tra le quattro e le 1-2 settimane sarà presente in circolo HbeAg, ciò indica che il virus è in
attiva replicazione. Già a partire dalle quattro settimane dopo l'esposizione, l'HBsAg nel siero tende ad
aumentare, raggiungendo il picco intorno alle 12 settimane, per poi decrescere. In questa fase, inizia
l'aumento del titolo anticorpale, dapprima delle IgM anti-HBc, e successivamente delle IgG. Con la
comparsa delle immunoglobuline, il titolo dell'HBe non è più rinvenibile, implicando chiaramente che
l'infezione è stata radicata. Tardivamente compaiono anticorpi contro l'HBs. Nel periodo di picco del titolo
dell'HBsAg si hanno i sintomi della malattia. La diagnosi sierologica dell'epatite acuta di tipo B prevede:
-
la positività dell'antigene HBs;
-
positività degli anticorpi anti-HBcAg di tipo in IgM.
La positività all'HBsAg è una condizione non necessaria ne sufficiente per la diagnosi di epatite acuta di tipo
B, in quanto vi possono essere soggetti portatori cronici dell'antigene infettati da altro virus oppure il
soggetto può presentarsi una fase dell'epatite in cui l'antigene non è più determinabili nel siero (vi sono ceppi
di HBV che difettano nella sintesi dell’HBs).
Per quanto riguarda la diagnosi sierologica dell'epatite acuta delta, bisogna ricordare che il HDV è un virus
difettivo, la cui capacità infettante dipende dalla funzione helper del virus dell'epatite B. HDV può essere
trasmesso simultaneamente con HBV (coinfezione) o può infettare un portatore cronico di HBV
(superinfezione). Bisogna quindi dimostrare l'infezione acuta da virus dell'epatite B o dello Stato di portatore
cronico dell'HBsAg e inoltre rintracciare la positività degli anticorpi anti-HD di classe IgM e/o IgG.
Per quanto riguarda il pattern sierologico dell'infezione acuta da virus l'epatite C, il titolo sierico dell'RNA
virale sarà molto alto, con aumento delle ALT. In questa fase possono essere presenti o meno i sintomi. Nel
frattempo aumenta anche il titolo anticorpale anti-HCV, con una riduzione a partire dal quarto mese del titolo
delle ALT e scomparsa dell’RNA virale in circolo. La diagnosi sierologica per epatite acuta di tipo C
prevede la positività degli anticorpi anti-HCV. Questi anticorpi sono determinabili dopo circa 12 settimane
dall'esposizione. In caso di negatività ma di sospetto diagnostico si può:
•
procedere alla nuova determinazione degli anticorpi anti-HCV dopo qualche settimana;
•
procedere direttamente alla ricerca del RNA del virus dell'epatite C nel siero.
Per quanto riguarda il tipico decorso sierologico dell'infezione da virus dell'epatite E, a partire dalla quarta
settimana aumenta il titolo delle ALT e delle IgM anti-HEV In questa fase è anche possibile isolare il virus
nelle feci. Quando le IgM raggiungono il picco, il titolo delle ALT comincia a decrescere e nel frattempo
aumenta il titolo delle IgG anti-HEV. La diagnosi sierologica dell'epatite acuta tipo E prevede la positività
degli anticorpi anti-HEV di classe IgM, che sono presenti già nella fase acuta e persistono per alcuni mesi.
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Gli anticorpi di classe IgG compaiono nelle prime settimane di malattia, dopo le IgM, e persistono più a
lungo, ma probabilmente non per tutta la vita, e da qui deriva il dubbio riguardo al loro ruolo protettivo.
Prognosi
Per quanto riguarda la prognosi questa è generalmente buona, va tenuta presente però la possibile, seppur
rara, evoluzione in forma fulminante che è:
•
eccezionale nell'epatite A;
•
si verifica nell'1% dei pazienti adulti ospedalizzati per epatite B;
•
la frequenza è cinque volte superiore nella coinfezione da virus dell'epatite B e D rispetto
all'infezione da HBV;
•
eccezionale nell'epatite C;
•
nel 10-20% delle donne in gravidanza affette da epatite E.
La prognosi a lungo termine dell'epatite acuta dipende dall’eziologia. Non è mai stata segnalata l'evoluzione
in cronicità dell'epatite A. Il 2-3% dei soggetti con epatite acuta B diviene portatore cronico dell'HBsAg e il
2-10% sviluppa epatite cronica. Il 70-80% dei pazienti con epatite C sviluppa un'epatite cronica.
Per determinare se l'epatite tenderà a cronicizzare o meno, possono essere presi in considerazione una serie
di indici prognostici. Per quanto riguarda l'epatite B, un indice di cronicizzazione è la persistenza dell'HBsAg
per oltre sei mesi. La mancata clearance dell'antigene dopo circa otto settimane è segno di attiva replicazione
del virus ed anche quest'ultimo può essere inteso come indice di cronicizzazione. Infine, un ulteriore indice è
la persistenza del DNA di HBV nel siero per più di 3-4 settimane dall'esordio della malattia. Per quanto
riguarda invece l'epatite C, gli anticorpi specifici nei confronti dei vari determinanti antigienici del HCV
possono essere determinabili nel siero per alcuni anni e hanno quindi valore prognostico. L'indice di
evoluzione in cronicità è rappresentato dal persistere della viremia. Vi sono una serie di fattori che
predispongono alla cronicizzazione dell'epatite di tipo C e ad una progressione della gravità della malattia:
•
aumento dell'assunzione di alcol;
•
un'età superiore ai 40 anni al momento dell'infezione;
•
coinfezione da HIV;
•
altri fattori, quali il sesso maschile e coinfezioni.
Infine l’HCV presenta un’elevata percentuale di cronicizzazione data l’alta variabilità genetica dei singoli
ceppi infettanti lo stesso organismo, tanto è vero che si parla di quasi-specie.
Terapia
Per quanto riguarda la terapia dell'epatite acuta, questa prevede:
•
riposo;
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•
regime dietetico;
•
infusione endovenosa di glucosio per migliorare l'apporto glucidico e calorico;
•
somministrazione di composti polivitaminici del gruppo B;
•
somministrazione di vitamina K, nei casi di diminuzione del tempo di attivazione della protrombina;
•
lassativi;
•
cortisonici, solo nei casi di epatite A ad impronta colestatica;
•
evitare farmaci epatotossici;
•
abolizione dell'alcol.
La terapia acuta dell'epatite C prevede anche l'utilizzo di interferone pegilato, al dosaggio di circa 100 µg a
settimana per via sottocute con ribavirina, al dosaggio di circa 1000-1200 mg al giorno per via orale.
Bisogna inoltre prendere in considerazione eventuali misure di profilassi. La prevenzione per l’infezione dai
virus epatitici prevede tutta una serie di misure di profilassi. Per quanto riguarda la profilassi per l’HAV,
questa comprende:
•
il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, il mezzo più importante di prevenzione;
•
immunoprofilassi attiva, con vaccino anti-HAV preparato con virus inattivato;
•
profilassi
post-esposizione,
con
somministrazione,
il
più
precocemente
possibile,
di
immunoglobuline umane normali e, contemporaneamente, iniziare la prima dose di vaccino.
La vaccinazione anti-HAV è consigliata :
•
per tutti i bambini nella zone ad elevata endemia;
•
soggetti a rischio, quali viaggiatori, militari, operatori nel campo dell’alimentazione, soggetti che
hanno contatti con soggetti infetti;
•
nelle aree ad endemia intermedia, tra le quali l’Italia.
Per quanto riguarda la profilassi del HBV, questa consiste in:
•
prevenzione primaria, ovvero evitare comportamenti a rischio;
•
immunoprofilassi attiva, con i vaccino attualmente in commercio, che sono ottenuti con tecniche di
ingegneria genetica e contengono unicamente l'HBsAg;
•
profilassi post-esposizione, con somministrazione di immunoglobuline specifiche e vaccinazione.
La vaccinazione anti-epatite B è consigliata per:
•
soggetti che svolgono attività nel settore sanitario;
•
emofilici, talassemici, emodializzati, politrasfusi, candidati al trapianto d'organo;
•
conviventi o partner sessuali di soggetti positivi all'HBsAg.
9
In Italia la vaccinazione obbligatoria dal 1991 per tutti i neonati e, per quelli nati negli anni precedenti
all'entrata in vigore della legge, i bambini al compimento del dodicesimo anno di età.
Per quanto riguarda la profilassi dell'epatite C, questa è strettamente legata alla prevenzione di
comportamenti a rischio. Non è attualmente disponibile alcun tipo di uno profilassi specifica.
Per quanto riguarda la profilassi per l'epatite D, questa prevede:
•
prevenzione primaria;
•
vaccinazione contro l'epatite B, che è efficace nella prevenzione dell'infezione da HDV.
Infine la profilassi per l'epatite E comprende il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, ma non è
disponibile alcun tipo di immunoprofilassi specifica.
EPATITI VIRALI CRONICHE
L'epatite cronica può essere definita come una malattia necrotico-infiammatoria del fegato, caratterizzata
dalla persistenza nel tempo di necrosi epatocitaria, infiammazione ed eventualmente fibrosi, dimostrabili
istologicamente e presenti in vario grado. Le epatiti croniche vengono drasticamente inquadrate dal punto di
vista nosografico in base al quadro istologico. La classificazione attuale in base al quadro istologico risulta
essere diversa rispetto a quello utilizzata in passato. La classificazione attuale valuta il grado di attività,
ovvero il grado di infiammazione e di necrosi epatocitaria, e il grado di fibrosi.
L'infezione da virus dell'epatite B può sfociare in una patologia cronica. L'epatite cronica è dovuta all'attiva
replicazione del HBV associata a segni clinici, biochimici ed istologici di malattia necrotico-infiammatoria
cronica del fegato. Il portatore cronico asintomatico dell'HBsAg ha il DNA virale integrato nel genoma degli
epatociti, senza segni istologici di epatite cronica, quindi il DNA virale non è determinabile nel siero. Il
marker sierologico, indice di epatite cronica B, è la presenza dell'HBeAg nel siero, indicante attiva
replicazione del virus, e in questi casi il DNA virale è rintracciabile nel siero. Se il soggetto presenta
sieroconversione da HBeAg ad anti-HBeAg, con aumento della clearence del DNA virale, è questo un indice
prognostico favorevole. Tuttavia l'epatite cronica B può presentarsi anche in forma atipica, con persistente
positività di HBV-DNA nel siero, nonostante la presenza di anticorpi anti-HBe. Questo molto probabilmente
è dovuto al fatto che il virus dell'epatite B è mutato.
Le principali caratteristiche dell'infezione da virus dell'epatite B in soggetti con epatite cronica sono
differenti rispetto ai portatori sintomatici dell'HBsAg. Nei soggetti con epatite cronica di tipo B:
•
i sintomi sono talora presenti;
•
l'esame obiettivo talvolta risulta essere alterato;
•
gli enzimi di danno epatico risultano essere elevati o normali;
•
spesso è presente HBeAg;
•
è presente in circolo il DNA virale;
10
•
all'esame istologico sono presenti alterazioni, talora modeste.
Il soggetto portatore asintomatico invece presenta:
•
sintomi assenti;
•
obiettività normale;
•
una normale concentrazione sierica degli indici di danno epatico;
•
HBeAg è assente;
•
il DNA virale è assente;
•
il quadro istologico è normale.
L'epatite da virus di tipo C tende a cronicizzare con maggiore frequenza. Il marker sierologico per la
diagnosi di epatite cronica C è la ricerca del genoma del virus nel siero, che costituisce attualmente l'unico
metodo per accertare o escludere l'infezione attiva da HCV in soggetti positivi per la ricerca di anticorpi antiHCV. I livelli di viremia sono assai variabili ed in genere sono più elevati in soggetti con forme gravi di
epatite cronica. A seconda del quadro istologico l’infezione cronica presenterà diverse manifestazioni
cliniche. Se all’esame istologico sarà presente attività da minima a moderata con fibrosi lieve e assente, il
paziente può essere asintomatico, con esame obiettivo nella norma o presentare una modesta epatomegalia.
Gli indici di funzionalità epatica possono essere normali, raramente alterati o fluttuanti. Quando il quadro
istologico presenta attività da moderata a grave e con fibrosi da moderata a grave i sintomi principali sono:
-
una modesta e saltuaria astenia;
-
anoressia;
-
senso di peso in ipocondrio destro.
All'esame obiettivo sarà presente epatomegalia con fegato di consistenza aumentata. Per quanto riguarda gli
indici di funzionalità epatica, GOT e GPT saranno aumentati, presentando fluttuazioni, alterazioni modeste
della fosfatasi alcalina e delle γ-GT e aumento delle gammaglobuline. Si ha inoltre una diminuzione
dell’attività dei processi coagulativi, con aumento dei tempi di attivazione della protrombina.
L'epatite cronica può evolvere in cirrosi, con peggioramento delle condizioni generali. Si avrà ittero e segni
d'ipertensione portale, come edemi, ascite e varici esofagee.
Inoltre i soggetti affetti da epatite cronica di tipo B possono sviluppare cirrosi ed avere una maggior
incidenza di sviluppo di epatocarcinoma.
EPATITE A
L’HAV appartiene alla famiglia delle picornaviridae (piccoli virus a RNA). Esistono 4 genotipi ma 1 solo
sierotipo. Può essere coltivato in linee cellulari. Si trasmette per via orofecale: dopo aver oltrepassato lo
stomaco (il virione è pH stabile), entra nella vena porta e colonizza il fegato, dove replica attivamente negli
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epatociti e viene liberato per lisi; attraverso la bile viene eliminato poi con le feci a partire anche da 10 giorni
prima della comparsa dei sintomi.
Il periodo di incubazione è di 15-60 giorni: compaiono quindi astenia, dispepsia, disgusto per il fumo di
sigaretta (tipico nei fumatori), accompagnati da aumento delle transaminasi e del tempo di protrombina (che
torna normale con infusione di Vitamina K endovena se non c’è danno epatico massivo). Tuttavia in una
considerevole percentuale dei casi l’infezione decorre asintomatica e l’80-90% degli individui possiede
anticorpi protettivi per esservi venuto a contatto. Non tende a cronicizzare, con guarigione completa in 1
mese. Rarissimamente dà origine ad epatite fulminante (per lo più negli anziani con epatopatia cronica da
HCV – NON cirrosi; essi andrebbero preventivamente vaccinati).
La diagnosi si basa sull’isolamento del virus dal sangue o dalle feci e su test sierologici:
-
IgM compaiono con i sintomi ed indicano infezione in atto;
-
IgG compaiono 2-3 gg dopo le IgM e durano per tutta la vita, sono protettive ed indicano infezione
pregressa.
Per quanti riguarda la profilassi, generale (maggiore igiene), specifica passiva (disponibili Ig da
somministrare a viaggiatori occasionali esposti, pazienti conviventi di malati), specifica attiva (con vaccino
contenete virus ucciso, utile per reclute e viaggiatori).
EPATITE B
L’HBV è un virus a DNA mantellato di 42 nm con un genoma di 3200 pdb. Fa parte della famiglia delle
HepaDNAviridae; può infettare oltre all’uomo lo scoiattolo, la marmotta e l’anitra pechinese. Produce 4
proteine principali codificate da 4 geni sovrapposti (S, C, P, X). La replicazione avviene solo nel fegato, ma
il virus si trova anche in altri parenchimi. Ha una DNA polimerasi endogena, in grado di agire anche da RNA
polimerasi, e da transcriptasi inversa. Quindi a partire da un intermedio RNA-, la DNA-pol del virus
sintetizza una copia di DNA+, con un meccanismo identico a quello dei retrovirus. Le proteine virali invece
vengono codificate sull’intermedio RNA-. Dopo vari cicli di replicazione (infezione cronica) il DNA
presente nel nucleo può integrarsi nel genoma epatocitario determinando l’espressione dei geni virali. Ciò
sembrerebbe essere alla base della correlazione tra epatite B e epatocarcinoma.
Nel periodo iniziale dell’infezione si ha presenza in circolo di virioni insieme ad un eccesso di particelle di
HbsAg, HbeAg, DNA e DNA polimerasi.
I principali marcatori di infezione da HBV sono:
-
HBsAg, prodotto del gene S, corrispondente alle proteine di superficie del virione, compare durante
l’insorgenza dei sintomi e scompare prima della produzione degli anticorpi specifici (periodo
finestra) dando origine al cosiddetto periodo di latenza. Nei portatori sani e nell’epatite cronica non
si ha scomparsa di HbsAg ne comparsa di HbsAb;
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-
HBcAg, prodotto del gene C, corrisponde invece al core nucleo capsidico del virione, non si isola
mai nel siero, ma solo in coltura su biopsia epatica, in quanto rimane contenuto dentro l’epatocita o
si trova associato alle proteine di superficie;
-
HBeAg, proteina solubile prodotta dal gene C, ma con un sito trascrizionale diverso. E’ in pratica la
forma solubile del gene C, ed è il marker più attendibile di infezione da virus HBV. Gli HbeAg
hanno elevati livelli durante il periodo di incubazione che dura 1-3 mesi, sono indice di attiva
replicazione virale e di trasmissività;
-
HBV DNA e HBV DNA-polimerasi sono gli indici più sensibili di replicazione virale e quindi di
alta contagiosità, la loro comparsa coincide con quella dell’HBeAg.
Gli anticorpi contro il virus sono rappresentati da:
-
HBsAb hanno funzione protettiva e la loro comparsa indica guarigione completa ed immunità che
dura per tutta la vita;
-
HBeAb compaiono più precocemente rispetto agli HBsAb (non c’è periodo di latenza), la loro
presenza indica scarsa o nulla trasmissività, non hanno funzione protettiva ma predittiva in quanto
indicano prognosi positiva. Nell’epatite cronica non si ha scomparsa di HBeAb ne scomparsa di
HBeAg;
-
HBcAg sono i primi a comparire sotto forma di IgM che indicano infezione recente e permangono
per tutta a vita sotto forma di IgG che indicano guarigione ed immunità. La loro comparsa ha un
importanza dal punto di vista diagnostico in quanto tra la scopmparsa dell’HBsAg e la comparsa
dell’HBsAb trascorre un periodo definito finestra immunologica in cui l’unica prova dell’infezione è
la presenza dell’HBcAb. Anche l’HBcAb non è un anticorpo protettivo.
Il virus non è citolitico perciò il danno epatico è mediato dalla risposta immunitaria e dall’infiammazione. A
livello epatico sono presenti i cosiddetti corpuscoli di Mallory intracitoplasmatici dovuti all’aggregazione
delle particelle virali.
Epidemiologia
Attualmente l’HBV è la seconda causa di epatite virale, anche per via della prevenzione e della vaccinazione.
Tuttavia la prevalenza rimane alta nel mondo (300 milioni circa, la maggior parte dei quali concentrati in
Africa, dove il 10% della popolazione è siero positiva ed è elevata anche l’incidenza dell’HCC primitivo).
L’HBV essendo dotato di mantello ha una buona resistenza nell’ambiente, rimane infatti vivo ed infettante
per 24 ore. Esso viene eliminato nel soggetto infetto tramite saliva, secreti vaginali, sperma, latte, lacrime,
sangue ed emoderivati. La concentrazione di virioni nei liquidi infettanti è molto alta.
La principale vie di trasmissione dell’epatite B è mediante inoculazione di sangue infetto o emoderivati, per
questo motivo è anche chiamata epatite da siero. La trasmissione parenterale può essere anche inapparente,
quando si verifichi ad esempio la penetrazione attraverso soluzioni di continuo di cute e mucose (ad es. con
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lo spazzolino da denti o il pettine usati dal malato). Il virus viene trasmesso anche per via sessuale e da
madre a feto per via transplacentare o durante il passaggio nel canale del parto.
Clinica
L’epatite B può manifestarsi in forme:
-
85-90% tipica o autolimitante;
-
5-10 cronica: cronica attiva che evolve verso la guarigione anche se tardiva; cronica persistente che
evolve verso la cirrosi epatica; portatore sano;
-
1-3% fulminante.
La condizione di infezione è data dalla presenza dell’HBsAg, possono poi essere presenti diversi quadri
sierologici:
-
HBeAg+, DNA polimerasi +, indica la presenza di virus replicante ed attivo e si associa a prognosi
peggiore;
-
HbeAb+, DNA polimerasi –, DNA – , indica che non c’è attività virale ma solo presenza di memoria
immunologica.
L’epatite acuta classica, anche detta itterica, inizia con febbre, artriti ed esantema maculo-papulare su base
immunitaria; fa seguito poi il periodo itterico, che non è MAI accompagnato da febbre (se è presente,
sospettare altre condizioni concomitanti come colangiti e anemia emolitica).
Fattori prognostici negativi sono:
-
clinici: torpore e inversione del rapporto sonno-veglia, segni di encefalopatia epatica, fegato
diminuito di dimensioni ( necrosi massiva e non per reale risoluzione del processo infiammatorio);
-
laboratoristici: aumento del tempo di protrombina, aumento delle transaminasi GOT (isoforma
mitocondriale).
L’Epatite B cronica si ha dopo una fase iniziale ad alti livelli di replicazione il virus in cui si osservano in
circolo i marcatori di replicazione virale (HBeAg, DNA e DNA polimerasi) si integra nel genoma
dell’epatocita, l’ HBcAg scompare negli epatociti ed il danno necrotico infiammatorio diminuisce fino a
scomparire del tutto. Non sono più dimostrabili in circolo i marcatori di replicazione virale quali HBeAg,
DNA e DNA polimerasi mentre l’HBsAg continua ad essere presente.
Il Portatore cronico è asintomatico e presenta nel siero la presenza di HBsAg senza altri marcatori di
infezione. Non vi è presenza di HBsAb perciò il soggetto ha la capacità di trasmettere la malattia. Inoltre
questi soggetti hanno una aumentata probabilità di andare incontro al CEC.
La probabilità di sviluppare una cronicizzazione dipende dall’età in cui è stata contratta l’infezione:
generalmente questa nei bambini produce un’infezione acuta clinicamente silente che sfocia al 90% in una
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infezione cronica. Al contrario negli adulti la percentuale di cronicizzazione è del 20% e la maggior parte di
questi casi si associa a infezioni acute di scarsa/nulla evidenza clinica. In un follow-up di 13 anni si è visto
che più di ¼ dei pz con epatite persistente progredisce verso la cirrosi. Più importante forse, ai fini del
calcolo del rischio di insufficienza epatica, è il grado di replicazione dell’HBV: l’epatite cronica in fase
replicativa (presenza di HBeAg e HBV-DNA nel siero, Ag nucleocapsidici come HBcAg intraepatocitari,
alta infettività e danno epatico) tende essere significativamente più grave.
La malattia cronica si presenta come asintomatica (solo modesto movimento delle transaminasi) a una
malattia debilitante con sintomi classici, fino all’insufficienza epatica terminale, preceduta da esacerbazioni
passeggere. Spesso la diagnosi viene fatta quando compaiono i sintomi classici della cirrosi.
Dati laboratoristici e terapia
I dati di laboratorio consistono in un’ipertransaminasemia (che può fluttuare tra 100 e 1000), con l’ALT
aumentate maggiormente rispetto alle AST – il rapporto si inverte nella cirrosi. L’ALP non è indicativa e gli
altri valori (bilirubina, PT, protidemia) si alterano solo nelle fasi terminali. Si osserva riduzione delle
globuline.
I candidati migliori per l’avvio di una terapia antivirale sono pazienti Immunocompetenti, con epatite B ben
compensata in fase replicativa, meglio se acquisita in età adulta e la cui durata sia più bassa possibile. La
terapia si fa con IFN e consiste in un ciclo di 4 mesi di iniezioni giornaliere sottocutanee di ca. 5 milioni di
unità; essa produce una sieroconversione verso la fase non replicativa nel 40% dei casi. Un buon risultato si
accompagna anche a un’elevazione delle transaminasi, per l’effetto potenziante dell’IFN sull’attività
citotossica diretta contro gli epatociti infettati. Le recidive dopo la sieroconversione sono molto rare (1-2%).
Un’alternativa all’IFN sono i corticosteroidi, che usati a lungo sono sicuramente deleteri ma se sono
somministrati brevemente inducono un aumento dell’espressione degli Ag virali sulla membrana degli
epatociti di modo che i Linfociti T, una volta riacquistate le capacità pretrattamento potrebbero aggredire con
più efficacia le cellule infette. Nei portatori asintomatici la terapia peggiora la malattia e aumenta l’entità del
danno epatico mentre nelle forme croniche terminali l’unica opzione valida è il trapianto di fegato.
In caso di presunto contagio viene fatta una immunizzazione passiva tramite IgG anti-HBsAg prese da
soggetti immunizzati che durano per circa 15 giorni (utili nelle infezioni connatali). Il vaccino attualmente in
uso è stato approntato tramite la tecnica del DNA ricombinante (transfezione del gene per l’HBsAg nel
batterio innocuo Saccaromyces cerevisiae): la protezione dura 5-6 anni dopo di che viene fatto un richiamo
(la vaccinazione naturale è più efficace in quanto dura per tutta la vita). Il vaccino si basa su 3
somministrazioni a distanza di 1 mese e 6 mesi; in Italia è obbligatorio dal 1991. La risposta è eccellente nei
bambini (100%), un po’ meno negli adulti.
EPATITE D
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L’HDV è una particella virale difettiva a RNA- (1,7 Kbp) di 35 nm, che necessita della contemporanea
infezione epatica da parte del virus B (o di un altro HepaDNAvirus), per comporsi correttamente ed entrare
nella cellula. Infatti un virione D completo comprende un core D, diverso da quello di HBV, e un mantello
identico all’HBsAg. Le modalità di trasmissione sono le stesse dell’epatite B.
Si può avere una coinfezione ad opera di HBV e HDV o una superinfezione di HDV in soggetti già infetti da
HBV. L’infezione da HDV aumenta la gravità dell’epatite B: mentre la confezione con l’HBV non peggiora
significativamente la prognosi, la superinfezione è un’evenienza più rara ma anche molto più grave, poiché
può causare una necrosi epatica acuta fatale o accelerare enormemente la progressione a cirrosi.
La diagnosi viene fatta tramite la ricerca dell’HDV nel sangue o in biopsia epatica o tramite la ricerca di IgM
anti-HDV. Il vaccino anti-epatite B protegge anche dall’epatite D.
Un aspetto sierologico particolare è la presenza di auto-Ab anti-LKM (Liver-Kidney Microsomes),
denominati anti-LKM3 per distinguerli da quelli dell’epatite autoimmune.
L’IFN può produrre remissioni durature e prolungata riduzione della replicazione virale ma sono necessarie
dosi molto alte e a lungo. Pazienti in fase terminale rispondono positivamente al trapianto e solitamente solo
HDV recidiva nel fegato nuovo con minori conseguenze.
EPATITE C
Il virus C è un virus simile ai flavivirus, a RNA- a singola elica. (9,5 Kbp). È abbastanza resistente
all’ambiente esterno. Il genoma è composto da:
-
gene C (core);
-
geni E1-E2: envelope (altamente variabili);
-
geni per proteine non strutturali (ad attività enzimatica).
Il virus ha una alta capacità di mutare: in effetti l’infezione produce anticorpi in parte neutralizzanti (e questo
ne limita la diffusione ai familiari), ma questi sono di breve durata, e non sono protettivi né nei confronti di
una seconda infezione da parte dello stesso sierotipo, e né da parte di altri virus. Si conoscono 6 sierotipi di
virus C: 1a, 1b,1c, 2a, 2b, 2c (1a/b e 2a/b sono quelli presenti in Italia poichè presentano una maggiore
resistenza agli antivirali). Il tipo 1 appare essere più resistente all’interferone. Ancora oggi è difficile
identificare il virus C. I metodi di elezione, la PCR e l’ibridazione con sonde di DNA rimangono costosi e
complessi.
L’epatite C si trasmette tramite sangue ed emoderivati, incerta è la trasmissione sessuale e da madre a feto. Il
contagio non comporta necessariamente infezione poichè insieme al virus possono essere trasmessi anche gli
anticorpi.
Clinica
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Il periodo di incubazione è di 1-3 mesi più breve se la trasmissione è da emoderivati. Il virus non è citolitico
pertanto le lesioni epatiche sono il risultato della risposta immune e dell’infiammazione. L’epatite C si
presenta:
-
95% asintomatica;
-
5% sintomi simil-influenzali.
Nel 50% dei casi si ha l’evoluzione da epatite acuta in epatite cronica che spesso degenera in cirrosi che
predispone all’insorgenza del carcinoma epatocellulare. La cronicizzazione sembra essere dovuta
all’integrazione del genoma virale all’interno dell’epatocita. L’HCV è considerato un virus cancerogeno a
tutti gli effetti ed è la prima causa di epatocercinoma.
L’infezione acuta è scarsamente rilevante: nella maggior parte dei casi decorre asintomatica; purtroppo la
percentuale di cronicizzazione è oltre il 50%. L’epatite cronica si caratterizza per l’astenia (il sintomo più
frequente ancorchè generico), l’ittero è raro come pure le manifestazioni extra-epatiche, ad eccezione della
crioglobulinemia mista (o essenziale). Comunque sono possibili anche qui danni da IMC come la Sindrome
di Sjogren e la porfiria cutanea tarda. I valori delle transaminasi tendono a oscillare ma comunque sono bassi
nella malattia di vecchia data. Un aspetto interessante è la presenza di Ab anti-LKM1 analoghi a quelli
dell’epatite autoimmune. Inoltre in alcuni pazienti questo reperto suggerisce una possibile componente
autoimmunitaria nella patogenesi.
Diagnosi
La diagnosi viene fatta tramite ricerca del virus e dell’RNA virale a livello sierico tramite PCR. La presenza
in circolo di HCV può essere indice di risposta immune ma non necessariamente di attività della malattia,
mentre la presenza di RNA è indice dell’attività della malattia. Un altro marcatore è l’HCV Ab anticorpo non
protettivo che indica quasi sempre infezione. L’intervallo di sieroconversione (cioè il tempo che intercorre
tra l’infezione e la positivizzazione del test) è di 20 settimane e ciò spiega l’impossibilità di uno screening
sicuro dei donatori di sangue.
Prognosi e terapia
La prognosi a lungo termine di pazienti HCV+ politrasfusi non è tanto diversa da una popolazione di
controllo sana, poiché l’epatite cronica C-relata tende a progredire molto lentamente anche se con esito quasi
sempre grave. La progressione può essere più rapida in individui geneticamente predisposti, con alti livelli di
HCV-RNA nel sangue o con epatopatie concomitanti o deficit di α1– antitripsina.
La Terapia prevede IFN, 3 milioni di unità per via sottocutanea 3 volte alla settimana per 6 mesi. Questo
regime produce una normalizzazione dell’ALT o una riduzione fino a rientrare entro 1 volta e mezzo il limite
massimo nel 65% dei pazienti (ma nel 50% se la terapia viene sospesa la malattia regredisce) e la guarigione
nel 15%. Al contrario dell’epatite B, nella C una risposta favorevole non si accompagna a un movimento
delle transaminasi. Tuttavia la risposta prolungata si riduce al 25% dei soggetti o anche meno. I pazienti che
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recidivano rispondono comunque a un secondo ciclo di terapia, tranne quelli che hanno un aumento delle
transaminasi, forse per la comparsa di Ab anti-IFN. La negativizzazione dei livelli di HCV-RNA non esclude
la possibilità di recidiva. Paradossalmente i pazienti che hanno una malattia lieve con scarso rischio di
progressione nel tempo sono quelli che rispondono meglio. Alcuni studi clinici su piccolo campione indicano
una maggiore efficacia dell’IFN se somministrato insieme un analogo nucleosidico come la ribavirina. La
terapia non è applicata ai pazienti con malattia lieve o asintomatica e nemmeno a quelli con cirrosi
scompensata, con qualche rara eccezione se è presente crioglobulinemia sintomatica.
EPATITE E
Simile all’HAV, è un virus a RNA+ a singola elica, di 32 nm, a trasmissione orofecale, presente in Asia,
Africa e America centrale. Per molte caratteristiche appartiene agli alfavirus, ma è sierologicamente diverso
da ogni altro. L’epatite E è clinicamente simile all’epatite A e si associa a gastrenterite. Non è ancora
disponibile un test di routine per lo screening. La malattia ha una letalità trascurabile tranne nelle donne
incinte dove inspiegabilmente raggiunge il 20%.
EPATITE G
Flavivirus a RNA da 9,4 Kbp con trasmissione parenterale scoperto nel 1960. Piuttosto raro, sebbene
identificabile solo con la PCR, sembra che non sia in grado di dare una infezione clinicamente evidente se
non in associazione con l’HCV.
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AIDS
La sindrome da immunodeficienza acquisita è una malattia caratterizzata dalla comparsa di infezioni
opportunistiche o particolari neoplasie in pazienti con deficit dell’ICM causato dall’infezione da HIV.
Eziologia
L’HIV o virus dell’immunodeficienza acquisita è un retrovirus (possiede cioè la transcriptasi inversa) che
appartiene ai lentivirus. I retrovirus comprendono anche gli spumavirus e gli oncovirus. Esistono 2 sierotipi
di HIV: HIV-1 più comune in America, Europa ed Asia e HIV-2 più comune in Africa. Ha una forma
rotondeggiante e un diametro di 100 nm. Il genoma è costituito da 2 molecole di RNA a polarità + unite da 2
proteine a formare un complesso ribonucleoproteico che è contenuto in un core (capside) allungato di forma
cilindrica formato da un’unica proteina detta p24. Nel capside si trovano i componenti necessari per la
replicazione del virus cioè due copie del genoma RNA+, molecole di t-RNA e alcuni prodotti del gene POL
che codificano per transcriptasi inversa, proteasi e integrasi. Il capside è avvolto da un mantello al quale è
dovuta la bassa resistenza del virus alle alte temperature e all’acidità gastrica. Il mantello contiene 2
glicoproteine che derivano per scissione proteolitica dalla gp 160 codificata dal gene env e sono:
•
Gp 120 extracitoplasmatica che rappresenta l’antirecettore capace di legarsi al CD4;
•
Gp 41 transmembranaria che ha attività fusogena.
Il mantello deriva dalla gemmazione del virus dalla cellula ospite e pertanto contiene anche proteine
appartenenti alla membrana citoplasmatica di questa. La fuoriuscita del virus dalla cellula infatti avviene
tramite gemmazione o tramite la formazione di sincizi tra la cellula infettata e quelle contigue, grazie
all’azione fusogena della gp41.
Il genoma virale è costituito da diversi geni strutturali:
•
GAG che codifica per le proteine del capside;
•
POL che codifica per la transcriptasi inversa, proteasi (che scinde le proteine prodotte),
endonucleasi-integrasi;
•
ENV che codifica per la gp 160.
Vi sono inoltre geni regolatori importanti per l’avvio della trascrizione. Le sequenze geniche sono
caratterizzate da schemi di lettura aperti sovrapposti (ORF opening reading frame) per cui un gene risulta
essere parte di un altro con il risultato che da un singolo frammento genico può essere ottenuta attraverso
diversi schemi di lettura l’informazione per più di una proteina. Pertanto l’HIV riesce a codificare con ORF
più proteine dallo stesso tratto di genoma.
Patogenesi
La penetrazione del virus all’interno della cellula avviene per endocitosi mediata da recettore. L’antirecettore
gp 120 si lega alla molecola CD4 presente su linfociti T, macrofagi e cellule dendridiche. Sono possibili
1
bersagli (cellule permissive) anche linfociti B, linfociti T CD8 e cellule della glia. Il legame della gp 120 con
il CD4 comporta la modificazione conformazionale della glicoproteina virale che determina l’esposizione e
l’attivazione della gp 41 che a sua volta interagisce con la membrana cellulare inducendo la fusione di questa
con il mantello del virus. Perché si abbiano le modificazioni dell’envelope necessarie per la penetrazione del
virus è necessaria l’azione di 2 corecettori: il corecettore CXCR4 (che è responsabile dell’ingresso dei ceppi
T-tropici cioè quelli che infettano prevalentemente linfociti T) e il corecettore CCR5 (che è responsabile
dell’ingresso dei ceppi M-tropici cioè quelli che hanno tropismo per le cellule di origine macrofagica).
Inoltre l’interazione della regione ipervariabile V3 di gp 120 con CD 26 dei linfociti T attivati influenza il
tropismo, l’infettività e la formazione di sincizi.
Dopo la penetrazione il virus viene denudato dell’envelope ed inizia la fase di replicazione del genoma virale
all’interno del capside. La transcriptasi inversa tramite la sua funzione DNA-polimerasica-RNA-dipendente
sintetizza una prima copia di DNA complementare ad una delle 2 catene di RNA del genoma utilizzando
come primer il t-RNA e tramite la sua attività ribonucleasica degrada l’ibrido DNA-RNA che si forma,
quindi tramite la sua attività DNA-polimerasica-DNA-dipendente sintetizza una seconda catena di DNA
utilizzando come stampo quella appena sintetizzata. Al termine della trascrizione il genoma virale è
costituito da una duplice catena di DNA che viene trasportato nel nucleo e la endonucleasi integrasi scinde il
DNA della cellula ospite ed il DNA virale in un punto preciso ed inserisce il provirus. Il provirus si integra
quindi nel DNA cellulare e dopo alcuni cicli replicativi rimane silente provocando una infezione latente.
Occasionalmente il provirus può riattivarsi obbligando la cellula a produrre numerose particelle virali, in tal
caso il linfocita va incontro a morte.
L’HIV mostra una notevole variabilità genetica e fenotipica dovuta al fatto che l’informazione genetica
subisce ad ogni ciclo replicativo una serie di passaggi che comportano un elevato numero di errori di
trascrizione. La trascriptasi inversa infatti rispetto alle normali polimerasi è meno fedele cioè compie un
maggior numero di errori di trascrizione. Questa notevole variabilità genetica determina l’isolamento di
diversi tipi di virus non solo da paziente a paziente ma anche nello stesso paziente nel corso della malattia.
Per questo motivo sono consigliabili rapporti protetti anche tra pazienti entrambi infetti da HIV perché si può
avere trasmissione di sierotipi più virulenti o resistenti a farmaci.
È stato dimostrato che in alcuni soggetti resistenti all’infezione producono una notevole quantità di
particolari chemochine proinfiammatorie (RANTES, MIP-1α, MIP-2β) che attivano la chemiotassi e si
legano ai recettori CCR5 e CXCR4 che infatti rappresentano i corecettori per HIV. È stato provato anche che
forme alterate del corecettore CCR5 determinano resistenza all’HIV.
L’infezione viene trasmessa per:
•
Via sessuale (è più a rischio la donna rispetto all’uomo per la più lunga permanenza dello sperma in
vagina);
2
•
Via parenterale: tramite uso di aghi e siringhe infette (oggi non più trasfusione di sangue ed
emoderivati grazie allo screening dei donatori di sangue a partire dal 1985);
•
Trasmissione verticale: transplacentare e durante il parto o l’allattamento.
Anche se il virus viene emesso con diversi liquidi biologici (lacrime, saliva, urine, secrezioni bronchiali) non
si ha notizia di trasmissione in seguito al contatto con tali liquidi. Non sono a rischio infatti i contatti
interpersonali che si possono avere in luoghi pubblici come baci, abbracci, etc. mentre manicure, pedicure,
forbici e spazzolini da denti non costituiscono modalità di propagazione ma di esposizione. Non è stata
documentata la trasmissione familiare.
L’HIV possiede minore infettività rispetto all’HBV:
•
HIV non resiste all’ambiente esterno;
•
HBV resiste all’ambiente esterno.
Sono molto rari i contagi del personale sanitario esposto a malati con AIDS (0.1-0.3% contro il 15-20% per
HBV).
I Primi casi si hanno nella seconda metà degli anni 70’ (documentazione postuma):
•
1981 San Francisco: omosessuali maschi;
•
1982 tossicodipendenti, omosessuali, politrasfusi;
•
1983 primi casi in Italia. Trasmissione eterosessuale;
•
1984 primi casi in Umbria;
•
1985 possibilità di diagnosi sierologica;
•
1995 avvento della triplice terapia.
Vi sono 3 modelli epidemiologici:
•
Omosessuali maschi: USA e Europa del Nord;
•
Tossicodipendenti, donne, eterosessuali, infezioni connatali: Italia e Spagna;
•
Trasmissione eterosessuale: Africa.
Recentemente si è osservato un incremento della trasmissione eterosessuale e il rapporto M:F=1:1. Poiché è
soggetta a denuncia solo l’AIDS e non l’infezione non si conosce l’incidenza di questa ma solo quella della
malattia conclamata. L’incidenza dell’AIDS è diminuita grazie ai progressi della terapia ma non è diminuita
l’infezione che anzi si stima essere aumentata.
La malattia è legata alla progressiva e continua deplezione delle cellule TH1, organizzatori centrali delle
risposte immuni, e di tutte le cellule in generale CD4+, a seguito dell’effetto citopatico del virus, e alle
manifestazioni secondarie di tipo neurologico legate all’infezione diretta delle cellule nervose.
3
Una volta entrato, l’HIV viene trasportato dalle cellule follicolari dendridiche nelle zone paracorticali dei
linfonodi, dove si replica incessantemente fino a raggiungere un valore critico dopo il quale da una intensa
fase di viremia primaria, che si osserva nelle prime settimane dell’infezione. La viremia produce una
disseminazione ematica del virus in diversi tessuto compreso il SNC prima che l’organismo monti una
risposta immune efficace. Questa fase corrisponde dal punto di vista clinico alla fase di infezione primaria
acuta che si manifesta con una sintomatologia simil-mononucleosica. Nelle settimane successive la risposta
immunitaria sia umorale che citossica determina un rapido declino della quantità di virus sia circolante che
intracellulare con un ripristino del numero di linfociti CD4+ circolanti con conseguente limitazione della
diffusione sistemica.
Nei linfonodi infatti a livello dei centri germinativi, i linfociti CD4 infetti vengono distrutti dai linfociti
citotossici CD8+ ed inoltre si verifica una risposta anticorpale neutralizzante con intrappolamento degli IC a
livello delle maglie del reticolo. La risposta immune però non è in grado di eliminare completamente il virus
che rimane stabile all’interno dell’organismo sotto forma di infezione latente. Il virus rimane infatti a livello
linfonodale e probabilmente anche a livello di possibili “santuari inaccessibili” in particolare il SNC. Inizia
così la fase di latenza clinica (cioè il periodo di asintomaticità) che non è però accompagnata da latenza
biologica in quanto è comunque presente replicazione virale (infezione cronica persistente). Si stima infatti
che circa 108-9 particelle virali vengano prodotte e rimosse ogni giorno nell’organismo in una situazione di
equilibrio dinamico. Si verifica la distruzione dei linfociti con infezione attiva ma anche il ricircolo di quelli
con infezione latente che mantengono stabile l’infezione. Inoltre si manifestano alterazioni funzionali dei
linfociti CD4, CD8, dei linfociti B e delle cellule monocitomacrofagiche. La replica virale è bassa nel sangue
ed alta a livello linfonodale.
Contrariamente a quanto si pensa, non c’è nel virus una strategia mutazionale che gli porti qualche
vantaggio: in effetti, il virus che crea la risposta immune primaria e quello che riesce a sfuggire e a creare
uno stato cronico sono la stessa copia genomica, e quindi non è la variabilità che nelle fasi iniziali impedisce
all’organismo di evitare la cronicizzazione dell’infezione. I meccanismi che invece appaiono importanti
sono:
•
Saturazione delle APC follicolari con gli Ag del virus, che si estende anche ai CTL. Queste cellule,
che sono quelle in grado di controllare l’infezione, si espandono nella prima fase della
disseminazione, ma in seguito il loro clone viene deleto dalla iperstimolazione da parte delle APC
follicolari;
•
Localizzazione dei processi replicativi ed infettivi del virus nella zona paracorticale del linfonodo,
dove le cellule CTL sono presenti in concentrazione molto bassa e con poche eccezioni non ricevono
uno stimolo adeguato;
•
Cronicizzazione dell’infezione: dopo un certo tempo, le cellule infettate che non sono state lisate dai
CTL entrano nello stadio di portatrici del provirus integrato, senza esprimere gli Ag virali. A questo
punto, esse non sono più riconosciute dai CTL e non si può più eradicare l’infezione.
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Inoltre a livello linfonodale i CD4+ infetti vengono eliminati dai CD8 ma infettano anche altri CD4. I CD4
distrutti quotidianamente vengono rimpiazzati grazie alla capacità rigenerativa del midollo ma questo
equilibrio è nella maggior parte dei pazienti temporaneo e successivamente il livello di CD4 scende
costantemente e inesorabilmente. Infatti le cellule infettate vengono continuamente sostituite da altre che
vengono contaminate e questo processo subisce un massiccio incremento soprattutto in quelle condizioni in
cui le cellule infette vengono ad essere attivate come in caso di infezioni, allergie e stress che provocano la
produzione di specifiche citochine che attivano la proliferazione T determinando la cosiddetta
slatentizzazione dell’infezione. Ag, virus, citochine attivano infatti l’espressione del fattore di trascrizione
cellulare NF-Kb che normalmente determina la trascrizione dei geni che codificano per il recettore dell’IL-2,
nelle cellule infette inoltre questo fattore determina anche la trascrizione delle sequenze virali LTR che
funzionano da promotori ed enhancer per la trascrizione del provirus. Questo spiega perché con il ridursi del
numero dei CD4+ il quadro si aggrava rapidamente: ogni nuova infezione aumenta la progressione della
malattia, diminuisce il numero di TH1 attivi e aumenta la suscettibilità a nuove infezioni, in un circolo
vizioso che diventa rapidamente un quadro terminale.
Fondamentale inoltre è il ruolo degli organi linfoidi. Tutti i pazienti con HIV hanno una iperplasia follicolare
notevole, che rappresenta la reazione del sistema immune alle cellule infette. In alcuni pazienti tale attività si
traduce in una linfoadenopatia generalizzata che corrisponde clinicamente alla cosiddetta sindrome
linfoadenopatica, LAS, caratterizzata da linfonodi tumefatti, non dolenti, mobili e di consistenza
parenchimatosa. Inoltre la presenza di HIV è uno stimolo continuo alla proliferazione delle cellule che si
sono già infettate che replicandosi producono altre copie del virus. E’ quindi un ciclo continuo che finisce
per produrre da un lato un progressivo aumento della viremia e diminuzione di CD4 funzionali, dall’altro una
degenerazione del linfonodo (involuzione follicolare) con diminuzione dell’efficienza del sequestro del virus
dal circolo, cosa che ovviamente contribuisce ad incrementare la viremia stessa.
Nelle fasi terminali della latenza clinica e nella malattia conclamata, il centro germinativo è completamente
distrutto e viene del tutto perduta la capacità di sequestro, cosi che il virus si riversa interamente nel sangue
(fase di riequilibrio: copie di RNA virale simili nel sangue periferico e nei linfonodi). La rottura
dell’equilibrio è denunciata dall’aumento dei valori di viremia plasmatica e quindi dalla caduta del numero
dei CD4+. I valori di viremia plasmatica sono infatti responsabili della velocità di progressione della malattia
verso l’AIDS e quindi la morte. La distruzione del sistema linfatico è responsabile assieme alla carenza di
CD4 dell’incapacità di controllare le infezioni.
Inoltre, nelle fasi terminali il virus diventa libero di riprodursi senza che il SI si opponga in alcun modo. Gli
effetti celebrali sono dovuti sia all’infezione del virus direttamente che all’immunosoppressione e
all’insorgenza di neoplasie. Nel primo caso, ci sono diversi meccanismi di danno. Le cellule infettate sono
quelle della linea monocitica/macrofagica, che entrano nel cervello grazie all’espressione di molecole di
adesione come ICAM1 e VCAM1, che sono aumentate dalla presenza di gp120 solubile nella cellula. In
effetti il virus che in genere si ritrova nel cervello è M-tropico. Non sembra che il virus infetti direttamente i
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neuroni in vivo, anche se lo fa in vitro, ma comunque pare che il galattosil ceramide delle cellule nervose sia
un adatto recettore per la gp120. Invece il danno provocato dal virus sui neuroni è indiretto, e mediato da:
•
effetti tossici della gp120;
•
neurotossine secrete da macrofagi, astroglia e neuoroglia infettate che uccidono il neurone legandosi
all’NMDA;
•
citochine prodotte dalle cellule infette (IL1, IL6, TNF, TGFbeta, INF);
•
eicosanoidi di cellule di derivazione monocitica attivate.
Le manifestazioni neurologiche migliorano molto con la terapia antiretrovirale, soprattutto nei bambini.
Diagnosi
La Diagnosi si basa su metodi diretti e indiretti. Il test dell’AIDS è anonimo e l’infezione non è soggetta a
denuncia mentre lo è l’AIDS. I Metodi indiretti valutano la risposta anticorpale (Ab specifici contro le
proteine virali) che si sviluppa normalmente entro 3 mesi. Il lasso di tempo che intercorre tra il contagio e la
comparsa di Ab specifici è detta finestra immunitaria. Il test di screening è l’ELISA, che si basa
sull’assorbimento in una piastra con fissati antigeni dell’HIV 1 e 2 che vengono legati agli eventuali Ab del
siero del paziente, che poi sono evidenziati con Ab anti Ig marcati con un enzima. Il test è economico,
altamente sensibile (99,5%) ma poco specifico, per cui di fronte alla positività ELISA si devono eseguire test
di conferma. Se la risposta del test è negativa va fatta l’anamnesi circa l’epoca del presunto contagio, in
quanto se il test è stato effettuato prima di 6 mesi dal contagio va ripetuto perché potrebbe non essere
avvenuta la sieroconversione. Se è positivo va di nuovo ripetuto perchè si possono avere FP, se è di nuovo
positivo va fatto un test di conferma. Il test di conferma è il western blotting che è una preparazione che
contiene un lisato di HIV-1 o HIV-2 ottenuto da colture cellulari, parzialmente purificato dopo lisi cellulare
che viene frazionato nelle sue proteine componenti tramite immunoelettroforesi. La corsa elettroforetica
consente infatti di separare le proteine in base al loro peso molecolare in diverse bande di migrazione.
Successivamente le proteine vengono trasferite elettricamente su strisce di nitrocellulosa che diventano
quindi repliche del gel iniziale. Aggiungendo alle strisce di nitrocellulosa il siero del paziente in caso di
positività si verifica il legame degli anticorpi in corrispondenza delle bande degli specifici Ag che viene
evidenziata tramite metodo ELISA. In corrispondenza delle bande si forma quindi un prodotto colorato
facilmente apprezzabile. Un altro test di conferma è il test RIBA che consente di differenziare HIV-1 da
HIV-2. Consiste nell’incubare il siero del paziente con strisce di nitrocellulosa dove sono stati blottati Ag
ricombinanti e peptidi sintetici di HIV-1 e HIV-2.
Per poter meglio interpretare i risultati dei saggi di conferma, esistono dei Criteri di interpretazione:
•
positivo: presenza di reattività per almeno 2 bande tra p24, gp 41 e gp 120;
•
negativo assenza di ogni banda reattiva;
•
indeterminato: test con una o più bande reattive ma che non rientra nei criteri di positività. Pazienti
con ELISA negativo e test di conferma indeterminato necessitano di un monitoraggio longitudinale.
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I Falsi positivi possono essere dovuti a iperbilirubinemia, connettiviti, gammopatie monoclonali. Falsi
negativi si hanno nelle fasi iniziali della sieroconversione, infezione con HIV-1 sottotipo endemico in Africa
centrale e occidentale, infezione da HIV-2 se il test è selettivo per HIV-1.
La positività al western è definita come la presenza di bande in corrispondenza di tutti e tre i prodotti di Env,
Gag e Pol, (almeno due fra gp160/120, gp41 e p24) ed è una prova conclusiva della positività da HIV.
Alcuni western sono dubbi per via del fatto che alcuni antigeni dell’HIV possono interagire con alcuni Ab
normalmente presenti (sono la p24 e la p55). In questo caso deve essere eseguito un altro test dopo un mese.
I test diretti, invece, ricercano direttamente la presenza del virus nell’organismo. In alcuni casi è necessario
(ad esempio con ELISA negativo e western positivo) ricorrere alla PCR che è in grado di evidenziare la
presenza dell’RNA gnomico o del DNA del provirus in una fase molto precoce ed antecedente alla
sieroconversione. La PCR è un metodo estremamente sensibile e precoce ma molto costoso. I limiti di
sensibilità sono 400 copie/ml (metodo standard) e 50 copie/ml (metodo ultrasensibile). È essenziale in
determinate circostanze:
•
diagnosi di trasmissione verticale dell’infezione: il neonato è sempre sieropositivo per la presenza
degli Ab materni che durano fino ad un anno ma può non essere infetto;
•
fase precoce dell’infezione;
•
determinazione quantitativa dell’HIV-RNA.
È importante la valutazione sia qualitativa che quantitativa della viremia che è utile per il follow-up e per la
predittività dell’evoluzione della malattia. Il virus viene evidenziato sia nelle cellule infette in particolare i
linfociti T (viremia cellulare) che nel plasma (viremia plasmatica). La viremia plasmatica indica la quantità
di virus libero ed in grado di infettare altre cellule, mentre la viremia cellulare indica la presenza di linfociti
infetti ed in grado di trasmettere l’infezione. La presenza di RNA nel citoplasma della cellula infetta è un
segno di replica virale in atto mentre la presenza di DNA integrato nel nucleo indica infezione latente (nel
periodo di latenza 1 linfocita su 100 è infetto e 1 su 1000 ha virus in replica).
Un parametro utile per eseguire un controllo della progressione della malattia è il dosaggio dell’antigene p24
nel siero. Esso presenta dapprima un brusco aumento, poi si instaura la risposta specifica e i suoi livelli
scendono gradualmente (tendono a scomparire con la terapia), rimanendo comunque dimostrabili nel 30-50%
dei soggetti. Infine, con la ripresa dell’attività virale, la [p24] aumenta gradualmente fino alla morte. C’è
correlazione diretta fra [p24] e aggressività della malattia, anche a parità di numero di CD4. Esso può essere
usato come test di screening precoce perché la p24 si trova in circolo prima degli Ab a cui è sensibile
l’ELISA.
I test di controllo dell’evoluzione della malattia sono rappresentati da:
•
Conta dei CD4;
•
Analisi quantitativa dell’HIV-RNA.
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La conta, che si fa ogni 6 mesi, viene correlata a differenti rischi infettivi in base alla classificazione CDC.
Quindi avremo differenti categorie cliniche, A, B, C. La gravità dell’infezione dipende più dal numero di
CD4 cioè dallo stadio che dalla categoria clinica. Lo stadio, sulla base della conta dei CD4, è importante per
la terapia: nello stadio 1 viene fatta solo terapia antivirale mentre nello stadio 3 viene fatta terapia profilattica
contro le infezioni opportunistiche. La categoria clinica C (AIDS) è soggetta a denuncia obbligatoria (non
l’infezione).
La predittività dell’HIV-RNA è indipendente da quella dei CD4+: l’HIV-RNA indica la velocità di
progressione verso l’AIDS mentre la conta dei CD4 indica lo stato del sistema immunitario e quindi il tempo
necessario perché si raggiunga l’AIDS. Quando l’HIV-RNA è maggiore di 104 indica una progressione verso
l’AIDS entro 5 anni, una riduzione di 0.5 log ritarda la progressione verso l’AIDS di 1.5 volte. Il
monitoraggio dell’HIV-RNA va effettuato immediatamente prima dell’inizio della terapia, 4-8 settimane
dopo e quindi ogni 3-4 mesi per monitorare la risposta alla terapia antiretrovirale.
Clinica
Le manifestazioni cliniche dell’infezione variano a seconda dello stadio di progressione di questa. Possiamo
distinguere 3 fasi dell’infezione:
•
L’infezione primaria può decorrere in modo asintomatico. Circa il 50 – 70% dei pazienti tende ad
avere una serie di manifestazioni acute nel primo mese dopo l’infezione (3-6 settimane) che si
manifestano con una sindrome simil-mononucleosica. I sintomi più comuni sono: febbre, faringite,
linfangite, cefalea con dolori retroculari, anoressia, disturbi digestivi, letargia. Nell’infezione
primaria è difficile porre la diagnosi tramite la ricerca di Ab specifici, mentre la ricerca di DNA ed
RNA virale tramite PCR può essere di maggior aiuto. È caratteristico invece il riscontro di una
linfocitosi con aumento dei linfociti T CD8 e riduzione dei linfociti CD4 e conseguente inversione
del rapporto CD4/CD8. In alcuni pazienti può essere presente una linfoadenopatia generalizzata
(sindrome linfoadenopatica LAS) caratterizzata da linfonodi ingranditi, non dolenti, mobili, di
consistenza parenchimatosa. La linfoadenomegalia è bilaterale e può interessare quasi tutte le
stazioni ma in modo particolare quelle retronucali, laterocervicali ed ascellari. In una minoranza dei
casi si osserva una meningite a liquor limpido;
•
La latenza clinica ha durata variabile di 8-12 anni ed è asintomatica. In questo periodo di
asintomaticità la malattia progredisce con una velocità che è proporzionale alla quantità di HIVRNA presente nel siero. Con pochissime eccezioni, il numero dei CD4 diminuisce costantemente ad
un ritmo di 50 u/µl all’anno;
•
fase sintomatica, di cui prima della classificazione CDC si distinguevano 2 stadi clinici. Il primo è
l’ARC (AIDS related complex). Questo stadio è il periodo di transizione fra la fase di latenza clinica
e la fase di AIDS conclamato. È caratterizzata da almeno 2 sintomi clinici (sudorazioni notturne,
febbre persistente, astenia ingravescente, diarrea intermittente, calo ponderale superiore al 10%,
linfoadenopatia generalizzata e dermatite seborroica) associate a 2 o più alterazioni del sistema
8
immunitario correlabili all’infezione da HIV. Sono frequenti le infezioni da Candida in particolare la
candidosi orofaringea ed esofagea, riattivazione dell’Herpes simplex con vescicole ed ulcere
sanguinanti in regione anale, genitale ed orale, infezioni disseminate che coinvolgono più
dermatomeri da varicella zoster, verruche da papilloma virus. Frequente è anche la dermatite
seborroica. Possono essere presenti anche complicanze muscolo-scheletriche come polimiositi, artriti
settiche o artriti da IC. Si può manifestare anche la leucoplachia villosa orale caratterizzata da
placche biancastre leucopatiche localizzate al dorso della lingua dovute alla replicazione dell’EBV
nelle cellule cheratinizzate del dorso della lingua. La seconda è l’AIDS (sindrome da
immunodeficienza acquisita). È una condizione clinica associata all’infezione da HIV in cui sono
presenti infezioni opportunistiche o particolari neoplasie associate ad una grave deplezione
linfocitaria (CD4 < 200/mm3). In questo stadio è necessaria una terapia di profilassi verso le
infezioni
opportunistiche.
Le
uniche
manifestazioni
cliniche
che
non
presuppongono
necessariamente la deplezione linfocitaria e quindi possono manifestarsi anche prima dell’AIDS
sono il sarcoma di Kaposi, la linfoadenopatia generalizzata e la TBC.
Manifestazioni cutanee
In corso di AIDS possono presentarsi una serie di manifestazioni cutanee. La Dermatite seborroica è forse la
principale manifestazione cutanea dell’AIDS conclamato, e si riscontra in oltre l’85% dei pazienti. Rispetto
alla forma comune, ha caratteristiche di aggressività decisamente maggiori, è estesa e resistente alla comuni
terapia. La Tossidermia morbilliforme si riscontra molto frequentemente, specie se è stato somministrato
cotrimossazolo a scopo terapeutico. L’eritema polimorfo grave è un’altra manifestazione. Le Infezioni
concomitanti sono: candidiosi orale, esofagea e genitale, herpes simplex e zoster, HPV, leucoplachia villosa
orale (un quadro particolare associato al virus di Epstein-Barr caratterizzato da chiazzette biancastre ai lati
della lingua simil-leucoplasiche). Qualsiasi malattia dermatologica può cambiare aspetto in corso di AIDS
conclamato.
Manifestazioni neurologiche
Le manifestazioni neurologiche sono responsabili della maggior parte della mortalità. Oltre all’HIV, un
nutrito numero di virus e di batteri e alcuni tumori ne sono responsabili (toxoplasma, CMV, micobacterium,
sifilide, HTLV1). Complessivamente colpiscono 1/3 dei pazienti, e quelle specifiche per l’AIDS conclamato
sono solo la demenza AIDS. Il danno è legato alla infezione di macrofagi e glia o anche dalla produzione di
citochine da parte di essi. Praticamente tutti i malati hanno una infezione del SNC che però non sempre è
sintomatica. Eventi molto comuni sono pleiocitosi, isolamento del virus, proteinorrachia e sintesi intratecale
di Ab. La Meningite asettica può apparire in tutte le fasi dell’infezione eccetto che in quelle avanzate, e si
manifesta con proteinorrachia, pleiocitosi e normoglicorrachia. In certi casi si ha meningite franca con
nausea, vomito e fotofobia. La malattia classicamente compare nella fase acuta e tende a sparire durante la
fase successiva, risultando difficile il suo manifestarsi nella fase avanzata. Questo suggerisce che si tratti di
una malattia immunomediata.
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L’Encefalopatia da HIV o AIDS dementia complex è un insieme di segni e sintomi che sono associati alla
fase terminale della malattia. Il principale segno è il declino delle capacità cognitive, di apprendimento e di
concentrazione, all’inizio indistinguibili dalla depressione o dall’affaticamento. In seguito possono
comparire alterazioni della deambulazione, andatura incerta, mancanza di equilibrio e difficoltà ad eseguire
movimenti rapidi alternati. L’eziologia non è del tutto chiarita, ma comunque riguarda la microglia della
sostanza bianca sottocorticale, cosa che cataloga la malattia come una demenza subcorticale al pari del
Parkinson e della Corea, ma distinta dall’Alzheimer. E’ difficile porre una diagnosi di demenza AIDS,
perché non è specifica la condizione di HIV nel liquor e si devono prima escludere altre malattie. La terapia
è incentrata sull’uso di farmaci antiretrovirali dai quali la malattia trae vantaggio. Le Convulsioni sono
associate a parecchie delle infezioni che accompagnano l’AIDS, ma anche all’HIV stesso. In molti pazienti
la soglia convulsiva è bassa perché sono presentano squilibri elettrici. Il 20% dei pazienti AIDS ha una
mielopatia, nel 90% dei quali essa è il frutto di una demenza. Al contrario di quel che avviene per la
demenza, queste malattie non migliorano con la terapia antivirale e si trattano in maniera sintomatica.
Neuropatie periferiche possono decorrere in varie forme e sono comuni. Tipica è una demielinizzazione
periferica infiammatoria che compare precocemente e comporta alterazioni della sensibilità, del movimento e
dei riflessi. L’eziologia è autoimmune come documentato dalla presenza di infiltrati perivascolari. Altra cosa
comune è la polineuropatia distale sensitiva, simmetrica e dolorosa, dovuta invece ad una degenerazione
assonale mediata dall’HIV che invece compare tardivamente. Si manifesta con dolore alle mani e piedi di
tipo bruciante. Accanto a queste due, esistono varie possibilità di effetti collaterali della terapia. Di solito la
terapia è sintomatica per il dolore. Le Miopatie possono essere causate sia dall’HIV che dalla terapia, e
hanno varia intensità clinica, dalla sindrome asintomatica con aumento della creatina, alla mialgia con
debolezza grave.
Infezioni opportunistiche
Le infezioni opportunistiche in corso di infezione da HIV sono di solito complicazioni tardive dell’infezione
quando i CD4 scendono sotto a 200, e sono sostenute sia da batteri e virus opportunisti che da franchi
patogeni, i quali fanno registrare infezioni di eccezionale gravità e frequenza inusuale. Circa l’80% dei
malati di AIDS muore per una di queste infezioni, più spesso di tipo batterico.
L’Infezione da Pneumocystis carinii è la più comune infezione opportunistica in corso di AIDS. È dovuta ad
un protozoo ubiquitario e diffuso nell’ambiente che normalmente non determina pneumopatia nel paziente
immunocompetente. Polmonite interstiziale con esordio subacuto con febbricola, sudorazione, tosse non
produttiva e dispnea da sforzo ingravescente. Nei casi più gravi l’abbondante essudazione a livello alveolare
determina compromissione degli scambi respiratori ed il paziente diventa cianotico e dispnoico e muore per
insufficienza respiratoria acuta. L’Rx torace rivela il caratteristico aspetto “a vetro smerigliato”. La diagnosi
richiede la dimostrazione delle cisti o del trofozoita nell’espettorato o nel lavaggio bronchioalveolare. Oltre
alla polmonite, possono essere presenti altre manifestazioni extrapolmonari che sono favorite dalla profilassi
contro la polmonite stessa. Una importante è una infezione auricolare che può avere conseguenze anche serie
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sull’udito. Inoltre ci sono: retinite, vasculite necrotizzante, ostruzione intestinale, linfoadenopatia,
coinvolgimento del midollo osseo, ascite, tiroidite.
La terapia è basata sul cotrimossazolo, al dosaggio di: 20 mg/Kg/die trimetoprim + 100 mg/Kg/die
sulfametossazolo in 3 dosi per 21 giorni. In alternativa: clindamicina (600 mg x 4 die) + primachina (15
mg/die) per 15 giorni. È importante anche la profilassi primaria che viene fatta con cotrimossazolo 1 cp/die.
La Toxoplasmosi è responsabile del 60% delle lesioni al SNC e del 38% di tutte le infezioni secondarie. È
dovuta a riattivazione del Toxoplasma Gondii che dopo l’infezione primaria rimane in fase latente. Si deve
cercare di evitare il contagio, non mangiando carne cruda che potrebbe contenere i bradizoiti ed evitando il
contatto con i felini e con il terreno da loro contaminato, che possono portare le cisti. L’infezione primaria di
solito avviene nell’infanzia in forma asintomatica, ed è raro che la forma acuta si verifichi nel malato di
AIDS (anche se quando avviene si dissemina in modo spesso fatale a cuore, fegato, polmoni e cervello). La
toxoplasmosi cerebrale si può manifestare con meningite, meningoencefalite, encefalomielite o encefalite.
Alla TC cranio sono presenti lesioni ipodense, con effetto massa, edema perilesionale e che prendono il
mezzo di contrasto in periferia. Altre manifestazioni comuni sono corioretinite, orchite, polmonite, ascite.
La terapia prevede la somministrazione di pirimetamina 200 mg poi 50 mg die + acido folinico 10-20 mg die
+ sulfadiazina 4-6 g die (4 dosi) / clindamicina 600 mg x 4 die. In alternativa, trimetoprim/ sulfametossazolo
120-160 mg x 4 die (o claritromicina, dapsone, pirimetamina). Vengono somministrati Glucocorticoidi per
l’edema celebrale. La profilassi viene fatta con dapsone 1 cp x 3 alla settimana o bactrim forte 1 cp die o
pirimetamina 50 mg/die x os indefinitivamente.
Criptosporidium, microsporidium e Isospora belli sono i patogeni più comuni del tratto intestinale dei malati
di AIDS. Criptosporidium è responsabile di una diarrea intermittente che evolve in alcuni mesi verso una
forma cronica, composta da scariche di diversi litri al giorno di feci acquose, con crampi addominali e nausea
(CD4<100), intolleranza al lattosio e sindrome da malassorbimento. A questo si può aggiungere una
manifestazione di colangite con colecistite. La diagnosi si fa su campioni di feci mettendo in evidenza le cisti
(coproparassitologia). L’infezione avviene in seguito all’ingestione di cisti presenti in modo ubiquitario
soprattutto nelle verdure crude. La terapia si basa su paramomicina (500 mg x 4 die per 20 giorni) o
azitromicina (500 m/die per 15 giorni). Microsporidium è un endocellulare obbligato, che da una
sintomatologia identica al precedente, e può essere difficile da evidenziare nelle feci per via delle piccole
dimensioni. Isospora Belli determina sindrome diarroica, la diagnosi viene fatta tramite coproparassitologia
ma può esser necessaria la colonscopia perché è un parassita intracellulare degli enterociti. La terapia si basa
su trimetoprim-sulfametoxazolo ad alto dosaggio che ne impedisce le ricadute, altrimenti frequenti. La
diagnosi di infezione da Giardia Lamblia si basa sulla coproparassitologia e la terapia sul metronidazolo 750
mg x 3/die per os per 7 giorni. Entamoeba Histolytica (amebiasi) è relativamente poco frequente nel paziente
con AIDS ma determina una forma particolarmente grave di diarrea con l’insorgenza di estese ulcerazioni
intestinali con profuse enterorragie e passaggio dei protozoi nel circolo portale con conseguente
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localizzazione epatica (ascesso epatico). La diagnosi si basa sulla coproparassitologia e la terapia su
paromomicina (500 mg x 3 /die per os per 10 giorni) + metronidazolo (750 mg x 3/die per os per 15 giorni).
I soggetti con AIDS sono predisposti ad infezioni da micobatteri atipici. Il Micobacterium Avium Complex
(MAC) è un gruppo di batteri normalmente non patogeni per l’uomo, che sono ubiquitari nei terreni e
nell’acqua. Nei pazienti con AIDS determinano una infezione disseminata con interessamento polmonare,
splenico, epatico, linfoghiandolare, gastrointestinale e midollare. I Sintomi sono:
•
febbre;
•
sudorazione notturna;
•
calo ponderale;
•
micobatteriemia nell’85% dei casi;
•
aumento della ALP;
•
pancitopenia;
•
diarrea e dolori addominali.
L’Rx polmone mostre un infiltrato nodulare di tipo miliare prevalentemente interstiziale ma anche diffuso
agli alveoli con adenopatia ilare e mediastinica. La diagnosi si basa sulla dimostrazione di bacilli acido-alcolresistenti nel midollo, nelle feci, nei linfonodi o nel tessuto epatico. La terapia di attacco si basa su rifabutina
300 mg/die + etambutolo 25 mg/Kg/die + amikacina 500 mg x2/die. Successivamente si sospende
l’amikacina e si prosegue con uno schema soppressivo cronico che comprende etambutolo 1g/die +
azitromicina 500 mg/die + rifabutina 300 mg/die somministrate a giorni alterni. Ci sono molti altri
micobatteri atipici oltre al MAC che possono dare infezioni importanti nei malati di AIDS:
•
M. Kansasii: da infezioni polmonari con febbre e calo ponderale, che si associano a lesioni cavitarie
o ad una disseminazione di tipo miliare. E’ importante riconoscerlo perché ha una terapia specifica
che è molto efficace;
•
Foruitum, Chelonee, Marinum, Scrofulaceum ecc possono dare lesioni cutanee;
•
M. Gordonae, M. Xenopi non sono di solito patogeni per l’uomo, ma infettano l’acqua e in questi
casi curare le infezioni risulta difficile.
Il malato di AIDS ha un rischio di contrarre la TBC attiva di 30 volte maggiore, e il 5% dei malati la contrae.
Nei pazienti con alta conta si ha la riattivazione dell’infezione polmonare con lesioni cavitarie, mentre nei
malati a bassa conta si tende alla forma miliare. L’infezione può colpire osso, muscoli, fegato, encefalo,
meningi, tratto gastro-intestinale, e dare anche ascessi epatici e prostatici. Il paziente nel 50% dei casi
presenta anergia all’intradermoreazione. La TBC è una delle poche manifestazioni secondarie dell’infezione
da HIV che sia completamente curabile, ma data la tendenza a sviluppare la resistenza ai farmaci, la terapia
deve essere combinata, aggressiva e protrarsi a lungo. Se si definisce la sensibilità dei ceppi multiresistenti ai
farmaci in modo esatto, la mortalità si abbassa. Un’altra buona pratica è la protezione dei pazienti a rischio, o
che siano positivi alla tubercolina, con un trattamento profilattico con isoniazide.
12
Per quanto riguarda le altre infezioni batteriche, sono infezioni delle vie aeree o gastroenteriche, ma si
osservano anche manifestazioni atipiche della sifilide e di altre malattie. I malati sono particolarmente
sensibili alle infezioni da germi capsulati, specie S. pneumonie e H. influenzae, che sono responsabili delle
frequenti polmoniti e delle otiti, che aumentano nei pazienti con AIDS. Anche lo S. aureus fa registrare casi
di infezioni con elevata frequenza, in particolare come infezioni di catetere e piomiosite in associazione con
lesioni muscolari. Salmonella, shigella, ed altri batteri intestinali sono responsabili di infezioni nel 20% degli
omosessuali maschi. Nei malati di AIDS la shigellosi provoca una malattia grave. Anche Campylobacter si
associa a diarrea con crampi addominali ed eventualmente proctite, e tutte queste infezioni hanno una
tendenza alla recidiva e sono resistenti alle terapie.
L’infezione da Treponema pallidum, la sifilide, si manifesta negli HIV+ in maniera del tutto tipica, ma si
possono anche frequentemente osservare delle forme particolarmente aggressive e che decorrono in maniera
atipica, con lue maligna (vasculite necrotizzante con lesioni cutanee), febbri sconosciute, sindrome nefrosica
e neurosifilide. L’incidenza della neurosifilide, che si manifesta con meningite, retinite, sordità e lesioni
ischemiche, è particolarmente alta fra i consumatori di crack. La diagnosi, di solito affidata alla ricerca di
Ab, può risultare difficile per le anomalie immunitarie del paziente AIDS, e quindi si ricorre alla ricerca del
batterio in campo oscuro (reazione treponemica diretta).
Le Candidiosi sono le più frequenti, e praticamente tutti i malati di AIDS ne hanno una, che spesso
rappresenta l’esordio di una immunodeficienza rilevante dal punto di vista clinico. Di solito il malato di
AIDS non è associato alla candidiosi disseminata e il fungo interessa solo le mucose, a causa del fatto che la
malattia è controllata dai neutrofili che non sono particolarmente messi male nell’HIV. Le manifestazioni
della candidiosi sono:
•
Mughetto, infezione del cavo orale caratterizzata dalla comparsa di pseudomembrane biancastre
costituite da fibrina ed essudato su una base eritematosa che compaiono a livello del palato e della
lingua, si ha bruciore e secchezza del cavo orale, nel caso in cui compaia disfagia con dolore
retrosternale deve essere sospettata l’estensione all’esofago;
•
Vaginite.
Estensione dell’infezione all’esofago, ai bronchi, agli alveoli sono segni della malattia conclamata e
decorrono quando la conta dei CD4 scende al di sotto di 100. In caso di sospetta esofagite è necessario fare
una esofagoscopia per differenziare l’esofagite da Candida da altre infezioni opportunistiche che possono
colpire il cavo orale (infezione da HSV o leucoplacia villosa orale da CMV). Nel caso di esclusivo
interessamento orale (mughetto) la terapia si basa su fluconazolo 300 mg/die mentre in caso di
interessamento esofageo fluconazolo ev 400 mg/die.
La Criptococcosi è una infezione causata dal Criptococcus Neoformans, un fungo ubiquitario che si trova
nell’ambiente. Nei soggetti immunocompetenti determina infezioni polmonari asintomatiche contratte per
inalazione del fungo. Nei pazienti con AIDS determina una pneumopatia sintomatica caratterizzata da
13
infiltrati polmonari diffusi con disseminazione ematogena e localizzazione a livello del SNC dove determina
una meningoencefalite subacuta. In circa metà dei casi c’è interessamento polmonare (la porta di ingresso è il
respiratorio per le spore) con tosse, dispnea e infiltrati alveolari. La TC cerebrale è negativa nel 70% dei casi,
nel 30% invece sono presenti piccole lesioni ipodense multiple circondate da un anello in cui si fissa il
mezzo di contrasto. La diagnosi si basa sulla ricerca diretta del criptococco nel liquor dopo colorazione con
inchiostro di china (che colora la capsula che è un elemento peculiare di questo fungo) e la ricerca dell’Ag
polisaccaridico su sangue e liquor. La terapia si basa sull’amfotericina B ev 0.5-0.6 mg/Kg/die fino a 1.5-2
mg/Kg/die alla fine del ciclo terapeutico.
Istoplasma capsulatum è particolarmente frequente in specifiche aree di endemia, dove però infetta
raramente i soggetti normali mentre sono a rischio gli immunodepressi. Il fungo è associato agli escrementi
di pipistrello, e libera le spore nell’aria nelle vicinanze. Nonostante sia tipicamente una infezione polmonare,
nel malato di AIDS si presenta come una riattivazione con diffusione disseminata. Essa può dare:
•
coinvolgimento del SNC;
•
epatosplenomegalia;
•
ulcere cutanee;
•
infiltrazione midollare con pancitopenia;
•
rari sintomi polmonari, di solito blandi.
La Diagnosi si basa sulla ricerca antigeni nel sangue e isolamento colturale dal sangue e dal midollo. La
terapia si basa su amfotericina B.
L’Infezioni da Herpes Virus è il problema principale delle infezioni secondarie perché oltre a causare
malattie agiscono tutti come cofattori della replicazione dell’HIV.
Il Citomegalovirus è associato ad una conta di CD4 bassissima, sotto a 50. Si tratta nel 95% dei casi di una
riattivazione, che da segni soltanto in fase terminale, ma la replica del CMV è dimostrabile già in
precedenza. Le manifestazioni più comuni sono:
•
Retinite: infiammazione necrotizzante con perdita irreversibile del campo visivo, ha un aspetto
oftalmoscopico caratteristico (essudati retinici giallastri circondati da lesioni emorragiche), è un
marker di AIDS in quanto insorge quando CD4+ >100 ed evolve verso il distacco di retina
(importante la d.d. con la corioretinite da Toxoplasma);
•
Colite, che non è emorragica e si associa ad anoressia e dimagrimento;
•
Esofagite dolori retrosternali ed odinofagia;
•
Polmonite interstiziale che è la manifestazione più tipica, ha un andamento lento e progressivo, è
caratterizzata dalla presenza delle tipiche cellule con inclusioni nucleari dovute all’effetto citopatico
del virus;
•
Encefalite.
14
Altri segni poco tipici sono:
•
epatite anitterica (solo nei bambini);
•
colangite sclerosante;
•
malattia polmonare clinicamente evidente (rara, ma è frequente l’infezione asintomatica del
polmone).
La terapia si basa su:
•
Ganciclovir, 5 mg/Kg per 2 volte al giorno iv per 21 giorni, quindi 5 mg/Kg/die iv di mantenimento;
•
Foscarnet 60 mg/Kg per 3 volte al giorno per 21 giorni, poi 60 mg/Kg/die iv di mantenimento.
La immunoprofilassi passiva con Ig anti-CMV è utile nel ridurre il rischio di infezione primaria.
Herpes Simplex determina lesioni ricorrenti nella mucosa orale, genitale e anale, che diventano sempre più
ricorrenti e dolorose al progredire dell’AIDS. In concomitanza con le lesioni orali spesso compare una
esofagite, che si distingue dal CMV perché anziché un’ulcera sola di grande dimensione, c’è una
disseminazione di piccole lesioni. Sia il simplex che lo zooster possono accompagnarsi ad una forma di
retinite acuta dolorosa, diversa da quella del CMV. La Terapia prevede:
•
Acyclovir 200 mg/Kg 5 volte al giorno per os per 10 gg;
•
Acyclovir 5-10 mg/Kg 3 volte al giorno iv per 10 giorni.
Sono stati segnalati ceppi resistenti all’acyclovir in questo caso si usa il foscarnet (40 mg/Kg ogni 8 ore).
La riattivazione dello zoster può essere una indicazione all’indagine per immunodeficienza, specie da HIV,
essendo una delle più frequenti manifestazioni precoci della malattia. La malattia di solito decorre bene e non
si ha quasi mai interessamento viscerale. Invece se si verifica una infezione primaria (varicella) può essere
letale. In caso di varicella va fatta l’ospedalizzazione e la somministrazione di acyclovir 10 mg/Kg ev per 3
volte al giorno per 15 giorni. In caso di herpes zoster è necessario il ricovero ospedaliero e la
somministrazione di acyclovir 10 mg/Kg 3 volte al giorno iv per 5-15 giorni.
L’infezione da EBV molto frequente, si associa con il linfoma di Burkitt e con la leucoplachia villosa orale,
con lesioni che possono essere confuse con la candida ma che comunque vanno incontro a remissione
spontanea; indicano un grave stato di immunodeficienza.
HHV 6 induce la replicazione dell’HIV in modo molto potente, essendo linfotropo. Si associa probabilmente
alla retinite da CMV come fattore predisponente. HHV 8 induce il sarcoma di Kaposi.
La Leucoencefalopatia multifocale progressiva (LMP) è causata dal virus JC o SV 40 che appartiene alla
famiglia Papovaviridae, genere Poliomavirus. È una importante causa di morte nei malati di AIDS. È una
malattia virale lenta da riattivazione. È presente demielinizzazione del SNC a focolai multipli in diverso
stadio evolutivo. L’infezione interessa l’oligodendroglia a livello della sostanza bianca. Mancano segni di
15
infiammazione (assenza di sindrome meningea). Il decorso clinico è lento e si associa a deficit neurologici
focali rapidamente progressivi senza segni di ipertensione endocranica (perdita di attenzione, riduzione della
capacità intellettiva). Vi sono 2 modalità di decorso: morte entro 6 mesi o spontanee fluttuazioni per un
periodo di 2-3 anni. Nei pazienti con AIDS la terapia antiretrovirale incide sulla patogenesi dell’infezione.
Patologia neoplastica ed AIDS
L’AIDS si associa anche allo sviluppo di malattie neoplastiche. Il Sarcoma di Kaposi è una Neoplasia
multifocale di origine vascolare che si manifesta con macchie, papule, placche e noduli di colorito violaceo,
a componente emorragica. Si localizza alla cute, alle mucose e ai visceri. È associato all’AIDS per via della
sua eziologia virale (HSV di tipo 8) simile a quella del linfoma di Burkitt. All’infezione, infatti, segue un
processo di risposta immunitaria per cui si liberano dei mediatori in grado di promuovere la proliferazione
delle cellule endoteliali indifferenziate, le cellule di base della neoplasia. Queste poi proliferano e producono
citochine in grado di sviluppare altri vasi e fibroblasti. Si possono distinguere 2 forme:
•
Forma classica o mediterranea che segue l’epidemiologia di AIDS, specie omosessuali maschi
(pochi casi fra tossicodipendenti o emofilici), in quanto il virus HSV 8 si trasmette per via sessuale;
•
Forma endemica o africana, 10% delle neoplasie dell’Africa, più frequente nei maschi (10:1), ma più
grave nelle femmine.
La Forma classica o mediterranea insorge con macule rosso violacee, rotonde od ovali ma a margini
frastagliati, asintomatiche, che si localizzano nel piede o nella mano. Queste macchie possono evolvere in
papule o anche in noduli, di forma emisferica e liscia, consistenza duro-elastica e colore violaceo. I noduli
più grandi si possono ulcerare. All’inizio le lesioni sono unilaterali, poi aumentano e compaiono anche
nell’altro lato, estendendosi verso il centro fino a coinvolgere un arto intero. Allora possono confluire in
grandi chiazze, anche di diversi centimetri di diametro, con aree erosive e ipercheratosi, che si infiltrano in
profondità fino ad interessare il sottocute e anche i muscoli. Spesso le lesioni cutanee sono accompagnate da
edemi distali, dovuti all’interessamento dei linfatici, fino all’elefantiasi. Le localizzazioni viscerali sono a
carico di linfonodi, GE, milza, polmoni, rene e fegato. Queste in genere sono lesioni asintomatiche. Una
complicanza molto seria e piuttosto comune è rappresentata dall’emorragia gastroitestinale. Le nuove lesioni
non sono metastatiche, ma originano ex-novo dando alla malattia un carattere decisamente multifocale.
Possibile l’insorgenza di altre neoplasie (specie linfomi).
Nella forma epidemica si hanno le stesse lesioni, ma compaiono principalmente nel volto, nei genitali, nella
punta del naso e nel palato, e assumono un aspetto lenticolare. La comparsa di noduli al cavo orale o nella
congiuntiva è tipica dell’HIV. Frequenti sono i sintomi di infezione virale (malessere, febbricola, astenia,
mialgie), perdita di peso, linfoadenopatie e splenomegalia. È caratterizzata da manifestazioni edematose fin
dall’inizio ed inseguito adenopatiche e viscerali. Ha un decorso aggressivo e fatale. Le macule sono
aggregati di capillari, che si dispongono attorno a quelli cutanei, dilatati e irregolari, con un infiltrato di
linfociti e plasmacellule. I noduli sono costituiti da una proliferazione di cellule fibrose con associati
16
numerosi eritrociti intrappolati fra i fasci di connettivo. Essi, degenerando, possono formare dei globuli ialini
eosinofili e dei depositi di emosiderina. Le lesioni solitarie vengono asportate o trattate con laser terapia o
infiltrazione intralesionale di chemioterapici. Le macule e le papule sono sensibili alla crioterapia, mentre la
radioterapia è indicata per le forme disseminate muco-cutanee. Nelle forme ad andamento aggressivo un
protocollo polichemioterapico può indurre remissione o guarigione.
L’incidenza dei Linfomi aumenta in tutte le immunodeficienze, e l’AIDS non fa eccezione. In essa
l’incidenza è al 6%, circa 120 volte maggiore che nei soggetti sani. Al contrario del sarcoma di Kaposi, il
rischio di linfoma cresce esponenzialmente al peggiorare della conta dei CD4, ed è quindi di solito una
manifestazione tardiva dell’infezione. I linfomi associati all’AIDS sono 3:
•
linfoma immunoblastico a cellule B di stadio III e IV;
•
linfoma di Burkitt;
•
linfoma primitivo del SNC.
Questi fenotipi sono probabilmente associati ad un elevato livello di attivazione policlonale B che si verifica
nell’infezione da HIV. La malattia può interessare tutti i siti del corpo, si presenta con sintomi vari che sono
di solito di natura “B linfoide”, come febbre, sudorazione e dimagrimento. Il sito extranodale di insorgenza
più comune è il SNC, con il 60% delle origini, ed è associato a segni neurologici focali, come cefalea,
ottundimento, interessamento di singoli nervi cranici e convulsioni. Si osservano delle lesioni di 3-5 cm con
inclusione ad anello del mezzo di contrasto, similmente a quanto si osserva nella toxoplasmosi. Un altro 25%
dei casi di insorgenza extranodale è il tratto digestivo, in qualsiasi forma e sito, e il midollo osseo.
La Displasia intraepiteliae della cervice e dell’ano è associata al papillomavirus, è una condizione che
predispone all’insorgenza di una neoplasia in loco e in seguito alla formazione di una malattia invasiva. Fino
ad ora, si è osservata solo una modesta quota di incidenza in più nei pazienti AIDS, dovuta anche alle
abitudini sessuali di molti di loro. Tuttavia, con l’estensione dell’epidemia a gruppi più eterogenei, e con
l’aumento della sopravvivenza all’infezione, ci si aspetta una ridefinizione del rapporto fra le due malattie.
Manifestazioni primitive dell’infezione da HIV
Quasi tutti gli organi sono bersaglio di una qualche manifestazione specifica della malattia da AIDS, ma non
tutte le manifestazioni hanno un agente eziologico secondario definito e vengono quindi considerate
manifestazioni primitive dell’HIV.
Per quanto riguarda le Manifestazioni respiratorie, ci sono due forme di polmonite idiopatica di non certa
classificazione:
•
Polmonite interstiziale linfoide: pediatrica, caratterizzata da un infiltrato leucocitario benigno,
provocato dalla attivazione policlonale dei linfociti B. E’ rara;
•
Polmonite interstiziale non specifica: comune, fino ad 1/3 dei pazienti, con infiltrati di leucociti e
plasmacellule che si addensano attorno ai vasi sanguigni.
17
Oltre a ciò, nell’apparato respiratorio si osserva una alta incidenza di sinusiti a causa della frequenza delle
infezioni di streptococco ed Haemophilus.
Le Manifestazioni ematologiche comprendono soppressione midollare dovuta all’infezione da HIV che
infetta i precursori delle cellule ematiche, ma anche a micobatterio, funghi e linfomi. Anemia, presente nel
18% dei pazienti asintomatici, e nel 75% dei malati di AIDS. E’ di solito contenuta, ma a volte raggiunge
livelli tali da richiedere la trasfusione. Il caso più grave è l’associazione con linfomi e con l’infezione da
parvovirus B19. Altre condizioni predisponenti sono la tossicità dei farmaci, e il malassorbimento derivato
dalla patologia gastroenterica, con deficit di folati e di B12. Leucopenia, di solito modesta, dovuta soprattutto
alla terapia antiproliferativa contro i linfomi e le Leucoplachie. Piastrinopenia anche precoce con le
caratteristiche della porpora trombotica trombocitopenica. Linfoadenopatia comune, sia per la iperplasia
follicolare reattiva dell’infezione primaria che per la conseguenza delle secondarie, anche il linfoma di
Kaposi può determinare linfadenite.
La Nefropatia è molte volte condizionata dai farmaci, esiste anche la possibilità di una nefropatia diretta da
HIV, simile a quella che si osserva nei tossicomani. Colpisce anche i bambini ed è associata alla razza nera
più di frequente. Tipicamente è una glomerulosclerosi segmentale focale, con intensa proteinuria senza
ipertensione. Evolve entro l’anno nell’insufficienza renale.
All’HIV nelle fasi tardive è associata una miocardiopatia dilatativa con insufficienza cardiaca congestizia.
Sebbene si trovi spesso l’HIV nel miocardio, non si sa se la malattia dipende da questo o dalla associazione
con la terapia. Può essere presente una endocardite batterica acuta da S. Aureus nei tossicodipendenti attivi.
Altre manifestazioni
Sebbene siamo davanti ad una grave immunodeficienza, spesso si trovano manifestazioni che variano dalle
reazioni di ipersensibilità immediata ad un aumento di incidenza delle artriti reattive, fino alla linfocitosi
infiltrativa diffusa.
Le reazioni ai farmaci sono molto comuni, sia per la atipicità dei farmaci impiegati, che per la preponderanza
della risposta TH1 su quella TH2, come detto all’inizio. Comunque, i pazienti AIDS non vanno mai incontro
a reazioni anafilattiche, motivo per cui è possibile in ogni caso continuare la terapia.
L’infezione da HIV presenta molti aspetti sovrapponibili ai quadri delle tipiche malattie autoimmuni, fra cui
importante è la attivazione policlonale B che trova riscontro nella produzione di Ab antifosfolipidi e
antinucleo. Invece, alcune malattie autoimmuni risultano diminuite nella loro gravità in presenza delle
infezioni da HIV, come il lupus, l’artrite reumatoide, e anche l’immunodeficienza comune variabile, cosa
che spinge a pensare che per queste malattie sia necessaria la competenza del comparto TH1. Unica malattia
davvero aumentata è una variante atipica della S. di Sjogren, che normalmente è sostenuta dai CD4 e qui
invece dai CD8, e si accompagna ad infiltrato leucocitario nelle ghiandole salivari e nel polmone, secchezza
della congiuntiva e del cavo orale. Aumentano spesso anche le artriti reattive che sono spesso scatenate da
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infezioni, ma anche forme primitive che vengono classificate come artropatie da HIV, e sono forme
subacute, non erosive e scarsamente infiammatorie, delle anche e delle ginocchia, durano qualche settimana.
Invece la sindrome dolorosa articolare si manifesta con un dolore acuto al gomito o alle ginocchia che dura
2-24 ore e necessita a volte anche degli oppiacei, che può essere l’effetto diretto del virus sull’articolazione.
Le Alterazioni oculari sono diffuse in oltre il 50% dei casi. Si tratta spesso di macchie di ischemia retinica da
microangiopatia, con aspetto cotonoso e bordi irregolari. Difficile distinguerle dalla retinite da CMV, ma
sono al contrario benigne. Nel resto dei casi, sono numerosi i virus e i batteri che danno alterazioni oculari.
Tra le alterazioni endocrine e metaboliche si ricorda:
•
Iponatriemia, associata alla sindrome da inappropriata secrezione di ADH, che produce ritenzione di
liquidi e diluizione del plasma. Se associata a iperkalemia, indica una insufficienza surrenalica;
•
Alta frequenza di disfunzioni genitali, maschili e femminili, di attribuzione varia fra terapia ed
infezioni secondarie.
La cachessia generalizzata¸ definita come perdita di peso superiore al 10%, febbre, diarrea cronica, astenia
per più i 30 giorni, è contenuta fra le condizioni che indicano uno stadio di AIDS conclamato, ed è
attualmente la causa più frequente di diagnosi di AIDS (95% di esordi). Una sua caratteristica è la diffusa
degenerazione fibrillare del muscolo con occasionale miosite. Sembra essere un effetto diretto della presenza
dell’HIV.
Terapia
La terapia antivirale ha ridotto l’incidenza dell’AIDS cioè l’evoluzione dell’infezione verso l’AIDS ed ha
aumentato la sopravvivenza dei pazienti con AIDS. La speranza della terapia era quella di riuscire ad
eradicare completamente l’infezione tramite una soppressione completa della replicazione virale ma si è
visto che a causa della presenza di cellule infette a lunga vita (macrofagi) e della persistenza del virus nei
santuari come il SNC questo non è possibile. La terapia viene attualmente raccomandata ai pazienti con:
•
Infezione acuta da HIV (entro 6 mesi dalla sieroconversione);
•
Infezione sintomatica;
•
Pazienti asintomatici con linfociti T CD4 < 500/mmc o HIV-RNA > 5.000-10.000 copie/ml;
Gli obiettivi della terapia sono:
•
Soppressione massima e duratura della replica virale;
•
Mantenimento della funzione immunitaria;
•
Miglioramento della qualità di vita del paziente;
•
Riduzione di morbosità e mortalità HIV-correlata.
19
Attualmente la terapia si basa su una triplice associazione (polichemioterapia). Il razionale delle associazioni
è:
•
tasso di moltiplicazione virale giornaliero è di circa 109-1010 copie/die;
•
tasso di mutazione giornaliero di circa 10-4-10 –5, ogni 10.000-100.000 particelle si evidenzia un
mutante resistente alla terapia perciò ogni giorno abbiamo 105 particelle resistenti;
•
Virioni che siano contemporaneamente resistenti a 2 farmaci si hanno con una probabilità di 10-8;
•
Virioni resistenti a 3 farmaci, 10-12;
•
Virioni resistenti a 4 farmaci, 10-16.
La sospensione del farmaco comporta in 24 ore il rimbalzo di HIV-RNA. Il regime iniziale può essere
rappresentato da diverse combinazioni:
•
2 NRTI + 1 IP;
•
2 NRTI + efavirenz;
•
2 NRTI + nevirapina;
•
1 NRTI + 2 IP.
La terapia comunque va adattata in base all’insorgenza di resistenza, potenziali interazioni farmacologiche
(anche con i farmaci utilizzati nelle infezioni opportunistiche), anorresia e dimagrimento, effetti collaterali
dei farmaci (in particolare mielodepressione e neuropatia). La scelta dell’inibitore delle proteasi si basa sulla
potenza antiretroviale e la biodisponibilità del farmaco. Indinavir e ritonavir hanno una buona
biodisponibilità al contrario del saquinavir, ma possiedono resistenza crociata che non è presente nei
confronti del saquinavir che può quindi essere impiegato successivamente. Il ritonavir ha il problema di
dover essere conservato a 4-8°. Tra gli inibitori nucleosidici della trascripatasi inversa il farmaco di prima
scelta è l’AZT anche per la sua capacità di passare la BEE, ma possiede mielotossicità. La lamividina (3TC)
ha azione sinergica con l’AZT. L’associazione da preferire per la terapia di inizio è dunque costituita da AZT
+ 3TC + indinavir. In caso di intolleranza all’AZT si può utilizzare la stavudina (d4T) che non possiede
mielotossicità ed è sinergica con la 3TC (d4T + 3TC + indinavir). Una possibilità di terapia è anche la
stimolazione del sistema immunitario tramite immunostimolatori. Gli immunostimolatori però se utilizzati da
soli peggiorano la situazione visto che sono i linfociti T ad essere infettati, ma se vengono associati con gli
inibitori della trascriptasi inversa (IL-2 + AZT) si hanno buoni risultati (l’IL-2 da sola determinerebbe la
proliferazione dei linfociti T e quindi anche dei virus). Il GM-CSF non è utile poiché stimolando i PMN
determina l’attivazione di linfociti e monociti al cui interno sono presenti i virus. In pazienti con sarcoma di
Kaposi si utilizza l’INF-α. Sono in studio vaccini con virus inattivato da utilizzare a scopo curativo e non
profilattico ma i problemi di un eventuale vaccino sono:
•
instabilità genomica del virus;
•
progressione dell’infezione indipendentemente dalla risposta immune (anzi la risposta immune può
aumentare la progressione dell’infezione);
20
•
il vaccino può determinare un incremento della replicazione virale.
La risposta alla terapia va monitorata tramite il dosaggio quantitativo dell’HIV-RNA che va eseguito prima
dell’inizio della terapia, dopo 4-8 settimane e quindi dopo 3-4 mesi. Il fallimento della terapia è evidenziato
dalla presenza di HIV-RNA sopra-soglia (> 400 copie/ml) a 4-6 mesi dall’inizio della terapia.
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GLI ESANTEMI INFETTIVI
Gli esantemi infettivi comprendono un vasto gruppo di malattie infettive caratterizzate da reazione cutanea
acuta generalizzata. In alcune malattie infettive, l’esantema rappresenta l'elemento clinico predominante ed è
presente nella quasi totalità dei casi. Questo è il caso delle cosiddette malattie esantematiche in senso stretto.
Eruzioni cutanee si possono verificare in numerose altre malattie batteriche, virali e protozoarie, ma non
costituiscono l'elemento clinico predominante.
Prima di passare alla trattazione delle singole patologie, bisogna fare una distinzione tra papula e macula.
Una papula è un piccolo rilievo della pelle, solido e generalmente di forma conica. Le papule non
contengono pus, il che le distingue dalle pustole. Spesso le papule sono presenti in grappoli e sono
accompagnate da rash cutaneo. Il termine macula, invece, indica l’eritema puntiforme e circoscritto, una
modificazione cioè del colore cutaneo dovuta a semplice vasodilatazione e che scompare alla pressione. Il
termine maculo-papula sta ad indicare una manifestazione cutanea che presenta le caratteristiche di
entrambe.
Gli esantemi infettivi si distinguono per:
•
tipo di esantema;
•
distribuzione dell’esantema;
•
sintomi associati;
•
evoluzione;
•
età del soggetto colpito;
•
fattori di rischio;
•
presenza o meno di vaccini.
ROSOLIA
È una malattia infettiva acuta contagiosa (ma meno del morbillo), caratterizzata da esantema, febbre e
linfoadenopatia. È causata dal virus della rosolia o rubivirus che appartiene alla famiglia delle Togeviridae.
Ha forma sferica, 55-60 nm di diametro, RNA monocatenario, capside icosaedrico, costituito dalle proteine
C, mantello con glicoproteine transmembranarie E1 ed E2. Presenta un effetto citopatico tardivo. Il virus
viene rapidamente inattivato dai comuni disinfettanti, calore e UV.
Per quanto riguarda la patogenesi, l'eliminazione del virus avviene per via orofaringea da cinque giorni prima
a sette giorni dopo la comparsa dell’esantema. Il virus penetra le vie respiratorie superiori e la congiuntiva e
si replica nel rinofaringe e nei linfonodi regionali. È presente viremia 5-7 giorni dopo l'esposizione con
diffusioni ai tessuti. In questa fase, nelle donne incinte, il feto e la placenta possono essere infettati.
L'infezione conferisce immunità duratura. Il periodo di incubazione oscilla tra 12-23 giorni. Si ha una febbre
modesta, con linfoadenopatia intorno alla seconda settimana ed esantema.
L’esantema della rosolia ha le seguenti caratteristiche:
1
•
maculoso o maculo-papuloso, non confluente, roseo;
•
è diretto dal volto al tronco e agli arti, ed è generalizzato;
•
ha una durata di 2-5 giorni.
La diagnosi di rosolia viene effettuata con:
•
isolamento del virus;
•
analisi del titolo delle IgG anti-rosolia, effettuato con metodo ELISA su due prelievi eseguiti a
distanza di almeno due settimane;
•
presenza di IgM anti-rosolia con metodo ELISA.
Le principali complicanze della rosolia sono:
•
artralgia e artrite rara nei bambini, ma negli adulti presenta un'incidenza di circa il 70%;
•
porpora trombocitopenica, un caso ogni 3000;
•
encefalite, un caso ogni 6000;
•
rare neuriti e orchite.
Molto importante è la trasmissione dell'infezione al feto. In questo caso si sviluppa la sindrome da rosolia
congenita. L'infezione può colpire tutti gli organi del feto e la gravità delle manifestazioni cliniche dipende
dall'età gestazionale. La rosolia in una gestante può determinare:
•
morte fetale;
•
parto prematuro;
•
malformazioni congenite, con sordità, cataratta, difetti cardiaci, ritardo mentale e microencefalia,
alterazioni ossee, alterazioni epatospleniche.
A partire dalla 12ª settimana, la placenta fa da barriera al virus ed è più raro che si verifichi un'infezione
fetale. Quindi bisogna fare attenzione che l'infezione non colpisca donne incinte prima del terzo mese.
Per quanto riguarda la vaccinazione, si utilizza il vaccino vivo attenuato somministrato insieme a quello del
morbillo e della parotite (MPR). La vaccinazione è obbligatoria per le reclute all'atto dell'arruolamento ed è
raccomandato per le ragazze non immunizzate dopo la pubertà. Il vaccino è fornito gratuitamente. Si
consiglia una prima dose verso l'età di 12-15 mesi, e un richiamo verso i 5-6 anni o 12-13 anni. Per quanto
riguarda invece il neonato, questi può essere protetto dagli anticorpi che gli vengono dalla madre se questa è
immunizzata. Nonostante la vaccinazione, le infezioni in gravidanza e i casi di rosolia congenita si verificano
ancora in Italia.
VARICELLA
Il virus responsabile della varicella appartiene alla famiglia degli Herpesviridae, specie virus varicella Zoster.
Il virus viene eliminato tramite il rinofaringe o tramite il liquido contenuto nelle vescicole. Penetra all'interno
2
dell'organismo tramite le vie respiratorie superiori. Si ha contagiosità dal giorno precedente l'esantema fino
alla comparsa delle croste. Si può avere un'infezione latente dopo la fase acuta e successiva riattivazione
sotto forma di Zoster.
Per quanto riguarda la patogenesi, il virus viene eliminato dal rinofaringe o nel liquido delle vescicole.
Penetra attraverso le vie respiratorie superiori e la congiuntiva e si replica a livello oro-faringeo e a livello
dei linfonodi loco regionali, con successivi episodi viremici. La prima fase di viremia si ha dopo 4-6 giorni
dall'infezione, interessando molti organi, quali fegato e milza, e tessuti. La seconda viremia si verifica dopo
10-14 giorni ed è responsabile della disseminazione cutanea del virus con la comparsa del caratteristico
esantema generalizzato.
Per quanto riguarda la clinica, si ha contagiosità a partire dal giorno precedente l'esantema fino alla comparsa
delle croste. Il periodo di incubazione è compreso tra i 10 e i 23 giorni. L'esordio è brusco, con febbricola,
sintomi generali lievi. L'esantema della varicella risulta essere caratteristico:
•
si ha innanzitutto la formazione di una macula, che evolve in papula, vescicola, pustola, con
formazione della crosta;
•
compare al tronco e poi diffonde al volto e agli arti;
•
l'esantema si verifica a gettate successive, con evoluzione asincrona;
•
la durata è di 7-14 giorni.
L'infezione può divenire latente dopo la fase acuta, con successiva riattivazione sotto forma di Zoster. Il
decorso clinico della malattia, generalmente, nei bambini sani ha andamento benigno. Una maggiore gravità
del quadro clinico e l'incidenza di complicanze si verificano in:
•
bambini affetti da linfoma o leucemia, che possono sviluppare una forma grave con i iperpiressia,
esantema esteso e complicanze;
•
bambini con infezione da HIV, che possono ugualmente presentare forme gravi e prolungate;
•
adulti sani suscettibili.
Generalmente l'andamento della varicella è benigno, a meno di alcuni casi, in cui può essere associata
complicazioni gravi (3-5% dei bambini) talvolta mortali. Le complicazioni principali sono:
•
superinfezione batterica adopera di S. aureus e SBEGA delle lesioni cutanee con esito in cicatrici;
•
manifestazioni emorragiche;
•
polmonite virale, responsabile del 30% delle morti da VZV;
•
artriti e fasciti batteriche secondarie;
•
aumento del rischio di malattie invasiva da SBEGA;
•
complicanze al sistema nervoso centrale, come encefalite, atassia cerebellare, sindrome di GuillainBarrè.
3
Gli adolescenti, gli adulti, i soggetti immunocompromessi e i bambini con età inferiore un anno presentano
maggior rischio di rash esteso e complicazioni.
Particolare è il quadro clinico delle donne in gravidanza che contraggono la varicella. Il 10-20% delle donne
suscettibili che contraggono una varicella in gravidanza sviluppano polmonite, con un tasso di mortalità
superiore al 40%. L'infezione nel terzo trimestre causa una malattia più grave nella madre. L'infezione
materna nei giorni precedenti il parto (2-5 giorni) si associa a grave infezione del neonato, con una mortalità
superiore al 30%. Se la madre è infettata nel primo trimestre di gravidanza il nascituro sarà affetto da
varicella congenita, con malformazioni al sistema nervoso centrale, cute, occhi e arti.
La diagnosi di varicella si effettua con:
•
isolamento del virus;
•
aumento del titolo delle IgG anti-VZV, identificate con metodica ELISA su due prelievi eseguiti a 23 settimane di distanza;
•
IgM anti-VZV in ELISA.
Per quanto riguarda l'epidemiologia, la varicella è una malattia assai contagiosa, ubiquitaria ed endemica, e
colpisce per il 90% bambini con età inferiore ai nove anni. L'incidenza della malattia è maggiore in inverno e
primavera, con picchi epidemici ciclici ogni 2-3 anni. Negli Stati Uniti, nel periodo compreso tra il 1988 e il
1995, si sono avute circa 10.000 ospedalizzazione all’anno, con un numero medio di decessi per anno di
circa 43 soggetti. Il 90% dei soggetti deceduti non presentava fattori di rischio per forme complicate e le
cause principali di decesso sono encefalite, emorragie e polmonite. Così, dal 1995 la vaccinazione contro la
varicella è raccomandata. Nel 2001, la copertura vaccinale si aggira intorno al 57-73%. La vaccinazione
viene effettuata con vaccino vivo attenuato. Il vaccino è attivo nei soggetti immunocompetenti, per una quota
superiore al 96%. In Italia, invece, è raccomandato nei soggetti a rischio quali persone immunodepresse,
pazienti in chemioterapia e adulti suscettibili, ovvero a contatto con bambini piccoli. È disponibile una forma
combinata con il morbillo, rosolia, parotite e varicella. Recentemente è stato raccomandato anche nei
bambini sani con età superiore ai 12 mesi. A seguito dell'introduzione della vaccinazione, l'incidenza di
varicella negli Stati Uniti è diminuita. Dopo il superamento dell'infezione primaria, il virus rimane latente nei
gangli dei nervi sensoriali. La sua riattivazione determina il quadro clinico dell'herpes Zoster. L'attivazione
del virus è dovuta alla presenza di una serie di fattori scatenanti, come l'età, immunodeficienza, terapia
steroidea, ecc..., tutti i fattori che prevedono un'alterazione dell'immunità specifica. Così il virus si riattiva e
migra nei gangli dorsali dei nervi dando Herpes Zoster.
HERPES ZOSTER
L'infezione dell'Herpes Zoster ha un andamento sporadico, ed è tipica dell'età adulta. I soggetti più colpiti
sono gli anziani e gli immunocompromessi. In questi individui si verifica la riattivazione endogena del virus
a distanza di anni dall'infezione primaria. Il virus viene mantenuto in forma latente nei gangli spinali e
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cranici. A seguito della riattivazione, il virus inizia a moltiplicarsi e a migrare per via nervosa a livello
cutaneo.
Clinicamente, l'esordio è caratterizzato da malessere, astenia, tolora febbre. Si ha prurito e dolore nella zona
corrispondente al territorio di innervazione del o dei gangli interessati. Inoltre è possibile notare adenopatia
della stazione tributaria del territorio interessato. Sì ha la comparsa, dopo quattro o cinque giorni, di un
gruppetto di maculo-papule rosse. Il dolore è di tipo urente. Le macula tendono a distribuirsi
metamericamente ed evolvono in vescicole. Nello stesso tempo si ha la comparsa di nuovi elementi.
L'evoluzione crostosa si ha in 5-10 giorni. Alle volte residua una piccola cicatrice acromica ed anestetica
dopo la caduta delle croste.
Nel complesso, la manifestazione patologica presenta una durata variabile compresa tra i 10-35 giorni. La
localizzazione più frequente delle croste è il torace. Le principali complicanze dell'infezione da Herpes
Zoster sono:
•
nevralgie post-Zosteiane;
•
turbe trofiche post-Zosteriane;
•
diffusione ematogena del virus in immunocompromessi, dando luogo a Zoster disseminato;
•
meningiti e meningoencefaliti.
La diagnosi è essenzialmente clinica e raramente si ricorre ad indagini sierologiche o virologiche. La terapia
prevede:
•
trattamento sintomatico con analgesici;
•
somministrazione di Aciclovir o Valaciclovir nei soggetti immunocompromessi, nelle forme gravi e
nelle complicanze.
L’infezione da Herpes Zoster presenta un particolare andamento nei soggetti HIV positivi. L'espressione
clinica è variabile a seconda dello stadio evolutivo dell'infezione e del numero di CD4. Se la conta dei CD4 è
superiore alle 400 unità, si avrà:
•
manifestazione clinica simile a quello osservata nel soggetto immunocompetente;
•
durata protratta;
•
frequente recidiva.
Se invece la conta risulta essere inferiore alle 200 unità, la manifestazione clinica sarà:
•
interessamento multimetamerico;
•
bilaterale;
•
emorragico;
•
decorso clinico grave;
•
resistente alla terapia.
5
MORBILLO
È una malattia infettiva febbrile, acuta e contagiosa, caratterizzata da un esantema maculo-papuloso che
insorge dopo una fase di invasione dominata da un interessamento di tipo mucositico. Il virus del morbillo è
un paramixovirus che è un virus ad RNA, di forma sferica, 100-250 nm, con nucleocapside di struttura
elicoidale e mantellato che lo rende non resistente al trattamento con tensioattivi e all’esposizione per
qualche ora a temperatura ambiente. Nel mantello si trovano le glicoproteine M (proteina della matrice), H
(responsabile dell’ingresso nelle cellule che esprimono CD 46) ed F (responsabile della fusione del mantello
con la membrana cellulare). La proteina F è responsabile anche di un particolare effetto citopatico: la fusione
delle cellule infette che esprimono la proteina F, determina la formazione dei sincizi che favoriscono il
passaggio del virus da una cellula all’altra senza esporlo all’azione di Ab neutralizzanti. In coltura su cellule
di rene di scimmia infatti si osserva la formazione di cellule a stella cioè cellule giganti multinucleate con
inclusi intranucleari.
Il morbillo è una malattia molto contagiosa poiché il virus resiste all’ambiente esterno; vi sono cicli
epidemici ogni 3-5 anni con epidemia che dura 3-4 mesi. La vaccinazione ha determinato la scomparsa della
malattia ma non della circolazione del virus, cosicchè si possono avere casi di malattia tra cluster di persone
non raggiunte dal programma vaccinale (immigrati ecc…). Il contagio avviene per contatto interumano
diretto o indiretto per via inalatoria ed il periodo contagioso va dall’inizio del periodo di invasione all’inizio
del periodo esantematico.
Il virus si localizza a livello delle cellule epiteliali delle alte vie respiratorie, infetta quindi i linfociti ed i
monociti determinando una viremia primaria cui fa seguito la localizzazione nel SRE con una viremia
secondaria da cui il virus si localizza in tutti gli organi ed in particolare a livello di cute e mucose. Il periodo
di incubazione è di 10-14 giorni. Il periodo di invasione è di 3-5 giorni ed è caratterizzato da febbre,
malessere generale, rinite, bronchite, congiuntivite con edema palpebrale, lacrimazione e fotofobia. Alla fine
compaiono le macchie di Koplik patognomoniche, costituite da piccole macchie biancastre “a spruzzo di
calce” con alone eritematoso periferico, localizzate sulle mucose delle guance a livello del 2° molare. Si
passa quindi al periodo esantematico in cui compare il rash macolo-papuloso che compare inizialmente a
livello retroauricolare e lungo al linea di impianto dei capelli, diffonde al volto non risparmiando la regione
circumorale (a differenza della scarlattina) e quindi al tronco ed agli arti non risparmiando il palmo delle
mani e la pianta del piede (diffusione cranio-caudale). La macula è di dimensioni maggiori 5 mm, tende a
confluire, ha durata di 5-7 giorni e termina con desquamazionefurfuracea. La febbre cede per lisi il giorno
dopo la diffusione dell’esantema agli arti. Possibili complicanze a livello dell’apparato respiratorio sono:
laringite stenosante o croup (afonia, dispena con crisi di soffocazione, rientramenti inspiratori toracici e
IRA), pneumopatie interstiziali, complicanze batteriche (otiti medie, sinusiti, mastoiditi, polmoniti) e
nell’immunodepresso polmonite a cellule giganti. Si verificano in occasione della seconda viremia: il virus
lede la scala mobile mucociliare e facilita anche la superinfezione batterica.
Complicanze a carico del SNC sono:
6
•
encefalmielite che si verifica in fase di convalescenza nello 0.1-0.2% dei casi, è una forma di tipo
demielinizzante, analoga alle altre encefaliti postinfettiva e postvaccinali a patogenesi
immunoallergica, è mortale nel 15% dei casi e nel 30% dei casi lascia sequele;
•
panencefalite sclerosante subacuta (SSPE) è una encefalopatia molto grave, progressiva, di tipo
degenerativo, che insorge in 1 caso su 1.000.000, insorge a distanza dall’infezione (tutti i casi finora
documentati sono di età compresa tra 5 e 20 anni) ed è causata da un virus mutato per i geni che
codificano per le proteine M, H e F con difetto di assemblaggio e alterata risposta immune al virus
modificato; l’esordio è insidioso con deterioramento delle funzioni intellettive, mioclonie diffuse
simmetriche, assenza di febbre; l’EEG evidenzia ritmo di base lento ed irregolare, parossismi di alti
voltaggi di singola onda lenta o breve bouffee di attività lenta che corrispondono sul piano clinico
alle mioclonie; l’evoluzione è verso lo stupore, cecità, demenza, decerebrazione e morte nell’arco di
soli 6 mesi – 2 anni.
La diagnosi si basa sulla presenza di IgM specifiche (non sieroconversione perché il periodo di incubazione è
troppo lungo: solo per le malattie infettive in cui l’incubazione è maggiore di 2-3 settimane la
sieroconversione può avere valore diagnostico).
La terapia può essere fatta con l’immunoprofilassi passiva in persone a rischio di una forma severa
(chemioterapia, radioterapia, HIV) con Ig 0.25-0.5 ml/Kg im. È disponibile un vaccino vivo attenuato
facoltativo che non va effettuato nelle donne in gravidanza e negli individui con deficit di ICM. Il vaccino è
generalmente somministrato in forma trivalente (MMR: measles, mumps, ribella) all’età di 15 mesi e poi più
tardi nell’infanzia. Il vaccino determina rash dopo 1 settimana nel 5-15% dei casi.
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INFEZIONI DA HERPESVIRUS
Gli herpes virus sono virus a DNA suddivisi in 3 sottofamiglie:
-
α-herpes virus: crescita rapida, scarsa selettività cellulare, effetto citopatico: herpes simplex di tipo 1
(HSV 1), herpes simplex di tipo 2 (HSV 2), varicella zoster (HSV 3 o VZV);
-
β-herpes virus: crescita lenta, selettività cellulare, effetto citopatico: citomegalovirus (HSV 5 o
CMV), herpes virus linfotropico (HSV 6 e HSV 7);
-
γ-herpes virus: crescita lenta in cellule linfoidi, integrazione nel genoma virale con
immortalizzazione (oncogenicità): virus di Eipstein Barr (HSV 4 o EBV), HSV 8.
Gli herpesvirus sono virioni rotondeggianti di 120 nm di diametro, il genoma è formato da una molecola di
DNA lineare bicatenaria rivestita da un capside icosaedrico avvolto in un mantello (costituito dalla
membrana citoplasmatica e nucleare della cellula ospite e da glicoproteine di origine virale) che rende il
virus sensibile al pH acido, ai solventi ai detergenti ed all’essicamento. Il virus comunque è relativamente
stabile a temperatura ambiente ma ha scarsa sopravvivenza nell’ambiente. Lo spazio tra il capside ed il
mantello è chiamato tegumento e contiene proteine ed enzimi virali. Il ciclo di replicazione inizia con
l’endocitosi mediata da recettore, si ha quindi il rilascio del nucleocapside nel citoplasma e la migrazione del
genoma nel nucleo.
La trascrizione del genoma avviene in 3 fasi:
-
attivazione da parte delle proteine del tegumento dei geni immediati che trascrivono le proteine
immediate che regolano la trascrizione del genoma;
-
proteine precoci che sono enzimi tra cui la DNA-polimerasi che determina la replica del genoma;
-
proteine tardive che sono proteine strutturali che regolano l’assemblaggio del virione.
L’assemblaggio del virione avviene all’interno del nucleo ed il virus gemma dalla membrana nucleare (in
coltura infatti si hanno inclusioni nucleari).
Nel caso dell’EBV si ha integrazione dei geni virali nel genoma della cellula ospite, il provirus non rimane
totalmente quiescente ma si ha l’espressione di geni virali selettivi (geni regolatori). La trasformazione
cellulare è documentata soltanto per i virus linfotropici:
-
EBV: linfomi B e T, carcinoma nasofaringeo, leiomiosarcoma;
-
HSV 8: linfomi, sarcoma di Kaposi, malattia di Castelman multicentrica.
Il tropismo dipende dal tipo di virus:
-
HSV e HZV : cellule epiteliali e fibroblasti;
-
CMV: fibroblasti;
-
EBV: linfociti B;
-
HSV 6 e 7: linfociti T CD 4.
1
La trasmissione dell’infezione avviene da individui con virus in attiva replicazione, ad eccezione di
trasfusioni e trapianti in cui il virus può essere in fase di latenza.
La trasmissione può avvenire per contatto diretto:
-
Lesioni infette: HSV 1 e 2 e VZV;
-
Rapporti sessuali: HSV 2 e CMV;
-
Saliva: EBV, HSV 6 e 7;
-
Sangue e trapianti: CMV e EBV.
O per contatto indiretto:
-
Inalazione di aerosol: VZV;
-
Trasfusioni trapianti: CMV, EBV.
Per quanto riguarda la patogenesi ci sono 3 meccanismi di danno:
-
azione diretta: lesioni cutanee o mucose HSV, HZV; lesioni viscerali HSV, VZV, CMV;
-
azione immunomediata: eritema polimorfo, complicanze ematologiche (anemia emolitica,
trombocitopenia), complicanze neurologiche (postinfettiva);
-
trasformazione neoplastica: linfomi B, carcinoma nasofarigneo EBV, sarcoma di Kaposi HSV 8.
HERPES SIMPLEX
La malattia erpetica comprende manifestazioni cliniche diverse per sintomatologia e gravità. È causata dai
due tipi di virus herpes simplex, tipo 1 e 2. Rappresenta un modello di infezione latente cui è correlato
l'aspetto peculiare di molte manifestazioni cliniche. Herpes virus appartiene alla famiglia degli herpesviride.
Il tipo 1 e isolato soprattutto da orofaringe, da lesioni cutanee localizzate nella parte superiore del corpo e
dall'encefalo di adulti con encefalite. Il tipo 2 è isolato dai genitali, da lesioni cutanee della parte inferiore del
corpo, dall'encefalo e da altri organi in casi di infezione neonatale.
Per quanto riguarda l'epidemiologia, l’infezione è estremamente diffusa, endemica. Spesso si verificano
episodi epidemici intrafamiliari, in ospedali e comunità. La trasmissione avviene per contatto diretto con:
-
saliva;
-
contatto stretto tra due superfici corporee come il caso dell'HSV-1;
-
via sessuale;
-
passaggio attraverso il canale del parto.
Nell'ambito della malattia erpetica occorre distinguere:
-
infezione primaria;
-
infezione ricorrente;
-
reinfezioni.
2
L'infezione primaria tende a localizzarsi soprattutto al livello della bocca, dando gengivo-stomatite, e all'area
genitale. Il virus dal nervo periferico migra nei neuroni del ganglio dorsale e quivi rimane in forma latente.
Fattori scatenanti come il sole, la febbre, le mestruazioni e lo stress, determinano la riattivazione del virus
con l'innesco di una risposta immunitaria cellulare specifica. La particella virale allora migra nel nervo
periferico, dando herpes labialis ed herpes genitalis, che sono infezioni ricorrenti.
Da un punto di vista clinico distinguiamo le infezioni primarie e le infezioni ricorrenti o reinfezioni. Le
infezioni primarie sono:
-
gengivostomatite e faringite;
-
herpes cutaneo, oculare e genitale;
-
herpes generalizzato;
-
encefalite.
L’infezione ricorrente o le reinfezioni sono:
-
herpes labiale;
-
herpes genitale;
-
herpes oculare;
-
encefalite.
Per quanto riguarda la gengivostomatite e la faringite, queste hanno una maggiore prevalenza nel bambino di
1-2 anni. Si verifica la comparsa di piccole vescicole sulla mucosa di guance, lingua, gengive, labbra, palato
e talora anche parete posteriore del faringe e pilastri tonsillari. Le vescicole poi si rompono con formazione
di ulcere ed afte ricoperte da essudato. I principali sintomi sono febbre, dolore intenso, disfagia e scialorrea.
L'herpes labiale è una tipica espressione di recidiva da HSV-1. Si verifica un'eruzione eritemapapulosa,
preceduta da prurito e senso di bruciore, che evolve in piccoli elementi vescicolosi, a grappolo, e
successivamente in croste.
L'herpes cutaneo è più frequente nella seconda infanzia o nell'adulto. Le vescicole sono dolorose sulla cute
della parte superiore (HSV-1) o inferiore (HSV-2) del corpo. Talora si ha febbre, adenopatie ed edema.
L'herpes oculare può essere un'infezione sia primaria o ricorrente. È una forma di congiuntivite follicolare
acuta monolaterale o cheratite. Nelle recidive è costante un interessamento corneale, rara è la congiuntivite.
L'herpes genitale è un'infezione primaria o secondaria, più spesso da HSV-2, raramente da HSV-1. È più
frequente nella donna. Nella donna esordisce con:
-
cervicite (asintomatica), vulvovaginite (leucorrea, dispareunia e disuria);
-
nella forma recidivante vi sono lesioni vescicolo-ulcerose limitate a piccole grandi labbra e alla cute
perineale.
3
Nell'uomo invece si ha la forma sia primaria che recidivante dando lesioni sul glande, prepuzio e solco
balanoprepuziale.
L'herpes generalizzato colpisce i soggetti con immunodeficienza o gli ustionati, i neonati per contagio
attraverso la via del parto. Si verifica la diffusione per via ematogena a tutto l'organismo con manifestazioni
cliniche gravissime:
-
lesioni cutanee;
-
compromissione epatica con ittero e splenomegalia;
-
possibile compromissione di polmone, esofago, stomaco, intestino, milza, pancreas e cuore.
La diagnosi dell’infezione da HSV risulta essere essenzialmente clinica. La diagnosi eziologica si effettua
con l'isolamento del virus in coltura, PCR del liquido cefalo-rachidiano in corso di infezioni del sistema
nervoso centrale. La diagnosi sierologica si ha con sieroconversione in infezione primaria, poi il titolo
anticorpale si mantiene in genere stabile anche durante le recidive.
La terapia da infezione da HSV comprende l'utilizzo di Aciclovir of Valaciclovir, che riducono la durata dei
sintomi se somministrati precocemente sia per via orale che topica. È indicata la somministrazione endovena
nei casi di encefalite e nelle forme disseminate.
MALATTIA DA CYTOMEGALOVIRUS
La malattia da cytomegalovirus rappresenta un ampio spettro di quadri clinici, variabili a seconda dell'età del
soggetto e dell'efficienza del suo sistema immunitario. Spesso si tratta di un'infezione asintomatica. Il virus
appartiene alla subfamiglia dei betaherpesvirine.
Per quanto riguarda l'epidemiologia, bisogna distinguere tra soggetto immunocompetente e non. Si ritrovano
titoli anticorpali significativi nel 12% dei bambini al 12º mese di vita. Dopo il 35º anno d'età più del 50%
della popolazione presenta segni di avvenuta infezione, perlopiù decorsa in maniera asintomatica. Invece nel
soggetto immunodepresso vi è un deficit dell'immunità cellulo-mediata. Il deficit può essere dovuto o ad una
terapia immunosoppressiva oppure a infezione da HIV che determina AIDS. In corso di terapia
immunosoppressiva, l'infezione da citomegalovirus rappresenta la complicanza più frequente e temibile nel
trapianto. Nei soggetti HIV positivi, l'infezione da citomegalovirus interessa l'80-100% dei pazienti in fase
tardiva o terminale.
Per quanto riguarda le modalità di trasmissione, distinguiamo in:
-
congenita, trasmissione transplacentare, durante la viremia materna dell'infezione primaria;
-
acquisita del neonato, durante il passaggio nel canale del parto (donne con cervicite da
citomegalovirus), tramite trasfusione o allattamento;
-
acquisita del bambino e dell'adulto, tramite contatto diretto o semidiretto con saliva, urine,
goccioline di Flugge;
4
-
acquisita dell'adulto per la trasmissione per via sessuale, trasfusioni e trapianti.
La malattia conclamata può aversi in caso di infezione primaria e in caso di reinfezione. L'infezione latente, a
seguito di deficit immunitari o di terapie immunosoppressive, si manifesta con la riattivazione del virus.
Da un punto di vista clinico, distinguiamo diverse forme di infezione:
-
congenita, che può dare epatosplenomegalia, ittero, sindrome emorragica, anemia, microencefalica e
calcificazioni cerebrali, alterazioni oculari, sordità, polmonite interstiziale e anomalie genetiche;
-
immunocompetenti, con sindrome mononucleosica, manifestazioni epatiche, respiratorie, cardiache,
neurologiche ed ematologiche;
-
immunodepressi con esofagite, corioretinite ed encefalite.
Clinicamente, l'infezione è di regola asintomatica nel bambino (dopo il periodo neonatale) e nell'adulto
immunocompetente. Frequentemente dà luogo ad una sintomatologia simil-mononucleosica e raramente
determina compromissione epatica, miocardite, pericardite, cardiomiopatia, meningiti, meningoencefalite,
anemia emolitica, porpora trombocitopenica. Nell'ospite immunocompromesso si ha soprattutto la
riattivazione di un'infezione latente, raramente un'infezione primaria. La riattivazione è un importante
complicanza dei trapianti d'organo. Nei soggetti HIV positivi è frequente se la conta dei CD4 scende sotto le
50-100 unità per millimetro cubo. In questi soggetti l'infezione da un ampio spettro di quadri clinici.
L'interessamento multisistemico dell'infezione da citomegalovirus disseminata rappresentava una frequente
causa di morte nei soggetti con AIDS.
L'infezione congenita si ha quando il contagio fetale avviene in corso di infezione primaria materna. Le
forme cliniche più gravi sono quelle causate dall'infezione materna avvenuta nei primi mesi di gestazione.
Infatti l'infezione da citomegalovirus si verifica dell'1% delle gravide sieronegative; la trasmissione al feto si
verifica nel 45% circa dei casi. Raramente si verifica l'aborto spontaneo o la nascita di un feto morto. Tra i
neonati infetti il 5-10% presenta l'infezione sintomatica, il rimanente 90% è asintomatico ma con possibilità
di sequele tardive. Nell’infezione congenita si può avere:
-
ittero con splenomegalia marcata;
-
porpora piastrinopenica;
-
ritardo psicomotorio;
-
calcificazioni cerebrali;
-
sordità;
-
alterazioni oculari come corioretinite, strabismo, atrofia ottica, microftalmia e cataratta;
-
anomalie congenite coinvolgenti l'apparato cardiovascolare, genito-urinario, gastrointestinale,
eccetera.
La prognosi è severa nelle infezioni gravi con una letalità del 20-30%, invece nelle forme meno impegnative
si ha la guarigione con reliquati come ritardi mentali e di crescita e difetti uditivi o visivi.
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L'infezione connatale si ha col contagio al passaggio attraverso il canale del parto e in genere non provoca la
malattia acuta. Si ha l'eliminazione del virus per mesi o anni, soprattutto con le urine e con le secrezioni
faringee. La diagnosi viene effettuata con:
-
sieroconversione o aumento del titolo anticorpale di almeno quattro volte in due prelievi successivi,
questo negli immunocompetenti;
-
isolamento del virus dal sangue, saliva, urine, secrezioni cervicali, frammenti bioptici e prelievi
endoscopici.
Tuttavia l'isolamento del virus non testimonia di per sé infezione acuta. L'escrezione virale nei liquidi
biologici può persistere per mesi, quindi la dimostrazione della viremia è più indicativa. L'identificazione di
antigeni immediati-precoci nel sangue è le diagnosi più veloce, molto utile negli immunocompromessi. Nelle
infezioni del sistema nervoso centrale può essere effettuata la PCR dal liquor.
Per quanto riguarda la terapia, questa non è necessaria negli immunocompetenti. Nei soggetti
immunocompromessi si utilizzano il ganciclovir o il Foscarnet, mentre il cidofovir è indicato per il
trattamento della retinite.
MONONUCLEOSI INFETTIVA
La mononucleosi infettiva è una malattia contagiosa a decorso generalmente acuto. L'agente eziologico è il
virus di Epstein-Barr, o EBV, appartenente alla subfamiglia di gammaherpesvirinae. EBV è associato inoltre
a diverse neoplasie come i linfomi cerebrali primitivi in HIV, linfoma di Burkitt, carcinoma rinofaringeo
anaplastico.
L'infezione da EBV è una malattia ubiquitaria, senza andamento stagionale particolare. Può colpire i soggetti
di tutte le età, più frequentemente i giovani adulti. Il 90% degli adulti presenta anticorpi anti-EBV.
L'infezione ha una scarsa contagiosità e si trasmette soprattutto con la saliva. La trasmissione può avvenire
per contatto diretto o indiretto. L'escrezione del virus persiste per circa un anno dopo l'infezione acuta. Il
periodo di incubazione è variabile dai 30 ai 60 giorni. L'esordio è brusco con febbre, cefalea e malessere. Il
70-90% dei soggetti infetti manifesta faringotonsillite, mentre la tumefazione delle linfoghiandole e la
linfadenite sistemica è presente in quasi tutti i soggetti. In un 50-60% si ha splenomegalia e in un 5-10%
epatomegalia, talora con ittero. Clinicamente l'infezione si manifesta con un esantema rubeoliforme, meno
frequentemente morbilliforme o scarlattiniforme. Dopo l'assunzione di ampicillina in numerosi soggetti si
manifesta un rash cutaneo. Si può avere anche enantema, con piccole petecchie sul palato molle o duro. Tale
quadro clinico persiste per circa 10 giorni mentre la linfoadenopatia persiste per più tempo, circa due-tre
settimane.
Le principali complicanze riguardano:
-
manifestazioni neurologiche come meningite, encefalite, sindrome di Guillan-Barrè nell'1% dei casi;
-
rottura splenica;
6
-
porpora piastrinopenica e piastrinopatica;
-
pericardite, miocardite e ortiche molto rare.
Le indagini di laboratorio presentano una spiccata leucocitosi, con conta compresa tra 12.000 e 25.000 unità,
con linfocitosi e monocitosi. In circolo vi è la presenza di mononucleati atipici molto spesso si ha anche
neutropenia e piastrinopenia. La persistenza delle alterazioni ematologiche si ha per circa quattro-otto
settimane. Si può avere ipertransaminasemia e raramente iperbilirubinemia.
La diagnosi può essere sierologica o con indagini di biologia molecolare. L'indagine sierologica comprende:
-
anticorpi anti-VCA, ovvero anti-capside, di tipo IgM, tipici della fase acuta;
-
anti-VCA di tipo IgG, con picco in terza-quarta settimana di malattia e persistono per tutta la vita;
-
anti-EBNA, antinucleo-9, con comparsa dopo sei mesi dall'infezione e persistenza per tutta la vita;
-
reazione di Paul-Bunnell, test di agglutinazione con siero del paziente ed eritrociti di montone che
esprimono 3 tipi di Ag: F, S, M; quest’ultimo è quello condiviso con l’EBV.
Le indagini di biologia molecolare comprendono soprattutto l'utilizzo della PCR, molto utile in casi
selezionati.
La diagnosi differenziale deve essere posta con:
-
malattia da citomegalovirus;
-
toxoplasmosi linfoghiandolare;
-
leucemie acute;
-
angine batteriche.
La terapia è perlopiù sintomatica e nei casi con essudato faringotonsillare spiccato e tumefazioni ghiandolari
voluminose si può ricorrere alla terapia corticosteroidea.
7
MALATTIE DA RICKETTSIAE
Le rickettsiosi umane sono malattie infettive provocate da microrganismi assimilabili ai batteri. Si
riproducono per scissione binaria ma non hanno parete. Questi microrganismi determinano manifestazioni
cliniche esantematiche, spesso con carattere emorragico.
I batteri sono di piccole dimensioni, 0,3 per 1µm, parassiti endocellulari obbligati. Sono coltivabili in colture
cellulari, ma possiedono una breve sopravvivenza nell’ambiente. Contengono l’endotossina LPS.
Classificazione
Alla famiglia delle Rickettsiaceae appartengono più generi:
-
Rickettsia;
-
Orientia;
-
Coxiella;
-
Erlichia.
Il genere Rochalimaea, precedentemente classificato tra le Rickettsiaceae, è stato successivamente incluso in
quello delle Bartonellaceae. Comprende gli agenti della angiomatosi bacillare, peliosi epatica bacillare e la
febbre da graffio di gatto.
Il genere Rickettsia è costituito da coccobacilli gram -, immobili, pleiomorfi con diametro compreso tra 0.30,6 µm. presentano uno stretto parassitismo intracellulare, con spiccato tropismo per le cellule endoteliali,
ove si moltiplicano. Richiedono un artropode vettore per la trasmissione. Nell’ambiente esterno perdono
l’infettività. Nell’uomo danno forme esantematiche e possono essere isolate su terreni cellulari quali:
-
Sacco vitellino dell’embrione di pollo;
-
Colture tessutali;
-
Inoculazione endo-peritoneale in cavia di topo.
Il reservoir infettivo è rappresentato da roditori, piccoli mammiferi e l’uomo. I principali organismi vettori
sono gli artropodi, quali zecche e pidocchi.
Modalità di infezione
Esistono varie modalità di contagio:
-
Morso della zecca ed inoculo diretto, come nella febbra bottonosa del Mediterraneo;
-
Deposizione di feci del vettore sulla cute, che determinano il grattamento e l’inoculo, come nel tifo
esantematico;
-
Inalazione di polvere contenente materiale fecale di artropodi disseccato, come nella febbre Q.
Struttura antigenica
1
Le rickettsie possiedono:
-
Un antigene solubile gruppo specifico;
-
Un antigene insolubile tipo specifico;
-
Comunanza di frazioni antigeniche con alcuni ceppi di Proteus Vulgaris, dimostrabili con la reazione
di Weil-Felix.
Inducono la formazione di anticorpi agglutinanti e fissanti il complemento.
Patogenesi
Le rickettsie hanno uno spiccato tropismo per le cellule endoteliali dei piccoli vasi. La moltiplicazione di
verifica per fissione binaria nel citoplasma delle cellule endoteliali che si rigonfiano fino alla rottura. Si
verifica così la liberazione di endotossine che provocano vasculiti a livello cutaneo, renale e del SNC.
Caratteristiche cliniche
Da un punto di vista clinico, l’infezione determina esantemi spesso emorragici (petecchie, porpora), tranne
C. Burneti. Determinano piastrinopenia, con riduzione della concentrazione del fibrinogeno plasmatico ed
aumento del tempo di protrombina.
FEBBRE BOTTONOSA
È una malattia infettiva acuta esantematica febbrile causata dalla Rickettsia conorii che appartiene alla
famiglia delle Rickettsiales; sono coccobacilli gram-, immobili, pleiomorfe, che hanno componenti
antigeniche in comune con il Proteus Vulgaris. Sono parassiti endocellulari che riescono a sopravvivere
all’interno dei fagolisosomi al cui interno si moltiplicano.
La febbre bottonosa è un’antropozoonosi trasmessa dalle zecche in particolare la zecca del cane
(Riphycephalus sanguineus); è di difficile distinzione rispetto alla febbre maculosa delle Montagne Rocciose,
benchè sia la specie di Rickettsia che del vettore siano diversi.
Serbatoi sono rappresentati da cani, conigli, lepri ed anche gli stessi artropodi vettori che trasmettono
l’infezione alla propria progenie (trasmissione verticale). La zecca si infetta pungendo un animale infetto e
resta infestante per tutta la vita e trasmette l’infezione alla sua progenie, l’uomo contrae l’infezione in
seguito alla puntura della zecca.
Epidemiologia
Aree a maggiore incidenza sono il bacino del Mediterraneo, Medio-Oriente ed Africa, in Siberia e Mongolia
e Australia. I serbatoi di infezione sono cone, roditori come conigli e lepri, bovini ed ovini. L’agente vettore
è la zecca Riphicephalus sanguineus. Le zecche, infettatesi pungendo il cane o gli altri animali parassitati,
rimangono infette per tutta la vita. Anche altri generi di zecche possono fungere da vettori.
2
Soggetti a rischio di contagio sono:
-
Persone che vivono in comunità rurali;
-
Persone a contatto con cani o altri animali infetti.
La malattia è più frequente in estate, luglio e agosto, quando le zecche depongono molte uova.
Patogenesi
L’ingresso avviene quindi a livello cutaneo nel punto in cui avviene la puntura, si ha quindi la diffusione a
livello linfatico ed ai piccoli vasi.
La Rickettsia ha un particolare tropismo per le cellule endoteliali sia a livello sistemico che polmonare che
vengono infettate determinando endotelite a livello di arteriole, vene e capillari. L’infiammazione determina
anche rilascio di TNF che causa incremento della permeabilità capillare a livello polmonare che può
determinare ARDS. Il periodo di incubazione è di 7-14 giorni.
Clinica
Il periodo di invasione dura 3-4 giorni è caratterizzato da febbre elevata, cefalea, mialgie, può essere presente
compromissione del sensorio, nausea, vomito e dolori addominali. L’aumento della pressione liquorale può
far destare il sospetto di una meningite (magari da ARBOvirus). Nella sede di puntura della zecca è però in
genere presente la “macchia nera” (tache noire) che è un’escara che poi cade lasciando un’ulcera
accompagnata a linfoadenopatia satellite. Essa è fortemente indicativa.
L’escara o tache noire rappresenta la prota di ingresso della Rickettsia ed è dovuta alla puntura della zecca.
Ha sede variabile, spesso in zone coperte, infatti la zecca risale sotto i vestiti. L’escara è una piccola
ulcerazione con centro nero necrotico, alone periferico rossastro ed adenopatia satellite. Dura all’incirca 1
settimana.
La febbre oscilla intorno ai 39-40°, è continua con lievi remissioni mattutine, recede per lisi in 10-20 giorni.
Dopo 3-4giorni si ha il periodo esantematico con esantema maculo-papulare ad impronta emorragica di tipo
lenticolare che si propaga dagli arti inferiori a tutto il soma e non risparmia la regione palmo-plantare.
L’esantema di impronta emorragica impone la diagnosi differenziale con la sepsi meningococcica, dove non
c’è periodo d’invasione. La risoluzione si ha in 10-15 giorni.
Altri sintomi sono congiuntivite e fotofobia se la rickettsia penetra per via oculare oppure epatosplenomegalia di lieve entità.
La letalità è del 3-5% ed è dovuta a complicanze emorragiche, miocardite, insufficienza renale ed ARDS.
Diagnosi
3
La diagnosi differenziale con il morbillo si basa sull’assenza di mucositi e chiazze di Koplik e con la sepsi
meningococcica sul fatto che in questa non c’è periodo di incubazione.
La reazione di Weil-Felix è positiva a causa della presenza di Ag simili a quelli del Proteus (OX-19 e OX2).
La reazione di immunofluorescenza indiretta è positiva quando il titolo anticorpale è superiore 1:64.
Le analisi di laboratorio mostrano:
-
VES elevata;
-
Emocromo normale;
-
Urine con albuminuria e microematuria;
-
AST e ALT poco aumentate;
-
IgM aumentate per anticorpi esterofili;
-
Weil-Felix positiva.
La diagnosi di laboratorio prevede prove sierologiche con antigeni rickettsiosici:
-
Fissazione del complemento;
-
Inibizione del’emoagglutinazione;
-
Immunofluorescenza indiretta;
-
ELISA.
La reazione di sieroagglutinazione di Weil-Felix evidenzia nel siero dei pazienti la presenza di anticorpi che
agglutinano ceppi di Proteus vulgaris (OX 19, OX 2, OX K) per la presenza nelle rickettsie di antigeni
comuni ai suddetti ceppi di Proteus. Si positivizza verso la 10a giornata e raggiunge titoli elevati in 3a-4a
settimana.
Prognosi e profilassi
La prognosi è generalmente favorevole, tranne che in soggetti anziani, defedati ed alcolisti, che possono
presentare forme gravi, anche letali.
La profilassi si ottiene con:
-
Eliminazione dei parassiti del cane con energici insetticidi;
-
Uso di sostanze ad azione repulsiva verso le zecche nelle persone esposte al contagio per motivi
professionali;
-
Controllo del randagismo.
Terapia
La terapia si effettua con:
-
Tetracicline (doxiciclina) 100mg 2 volte al giorno per 7-10 giorni;
4
-
Ciprofloxacina 500 mg 3 volte al giorno per 5-7 giorni;
-
Cloramfenicolo 500 mg 4 volte al giorno o 30-50 mg/Kg in bambini con età inferiore 8 anni
(farmaco di scelta in età pediatrica).
5
LEISHMANIOSI UMANA
Il genere Leishmania comprende numerose specie in grado di dare differenti forme cliniche; il tipo di
malattia che si sviluppa dipende infatti da:
-
fattori inerenti il parassita;
-
invasività;
-
tropismo;
-
virulenza;
-
fattori inerenti l’ospite;
-
tipo di risposta immune.
Tre sono le forme cliniche principali:
-
L. viscerale (in cui c’è un coinvolgimento generalizzato degli organi che fanno parte del SRE –
milza, midollo e fegato): causata dalle specie L. donovani, L. infantum e L. cagasi;
-
L. cutanea del vecchio mondo: L. tropica, L. major, L. aethiopica;
-
L. cutanea del nuovo mondo: L. braziliensis, L. panamensis, L. mexicana ecc…
Patogenesi
L’infezione viene contratta attraverso la puntura da parte del vettore: nella sede di inoculo sottocutaneo si
produce una piccola papula, quasi in apparente (evidenza clinica del granuloma). Dopodiché l’evoluzione
dipende dalla complessa interazione tra virulenza parassitaria e risposta dell’ospite. La Leishmania è un
parassita endocellulare dei macrofagi e come tale si replica al loro interno resistendo ai sistemi di killing
aspecifici. L’uccisione del parassita è possibile solo con l’attivazione del macrofago ad opera di una risposta
immune specifica che si sviluppa nelle seguenti fasi: infezione del macrofago, produzione di Il-1 e TNF, con
attivazione dei L.Th e differenziazione verso il subset Th1 ed infine produzione da parte di questi di un vasto
spettro di citochine, tra cui l’IFN-γ e potenziamento del burst ossidativo macrofagico (aumento NOS,
mieloperossidasi ecc…).
Una risposta di tipo Th1 è protettiva, mentre una di tipo Th2 è dannosa, poiché i L. Th2 producono 2
importanti citochine che bilanciano gli effetti innanzi visti:
-
IL-4: inibisce l’attivazione e il killing macrofagico;
-
IL-10: inibisce l’espressione delle molecole di MHC-II sulle APC e inibisce la sintesi di citochine ad
azione differenziativi verso il subset Th1.
L’importanza del tipo di risposta dell’ospite è stata compresa grazie ad evidenza sperimentali:
-
nel siero di pazienti con L. cutanea cronica distruttiva c’erano elevati livelli di IL-4, mentre in quelli
affetti dalla forma localizzata erano preponderanti IL-2 e IFN-γ;
-
evidenza dell’efficacia di Ab anti IL-4 in studi su L. sperimentale delle cavie.
1
Come si noterà le caratteristiche del microbo, localizzazione a parte assomigliano a quelle dei micobatteri e
non a caso la lesione anatomo-clinica fondamentale della leishmaniosi e il granuloma.
Microbiologia
Le Leishmanie (appartenenti alla famiglia delle Trypanosomatidae) sono protozoi asessuati (si moltiplicano
esclusivamente per scissione binaria longitudinale), e sono dixeni (cioè che compiono una parte del loro
ciclo vitale nell’insetto).
Le forme in cui si possono trovare sono:
-
promastigote: allungato, flagellato, presente nell’intestino dell’insetto;
-
amastigote: rotondeggiante, senza flagello, citoplasma blu e nucleo rosso.
Il serbatoio è dato dai cani e dai roditori. L’insetto vettore è un flebotomo. La maggiore attività di tale insetto
è tra giugno-agosto, nelle ore serali. Nell’insetto vettore è presente nella forma promastigote, più
precisamente nell’intestino, è presenta una grandezza di circa 20 µm. L’uomo è ospite occasionale in seguito
a puntura. Nei fagociti è presente la forma di amastigote con dimensioni di circa 2-5 µm.
La coltivazione avviene su embrione di pollo, o in colture tissutali o liquidi o bifasici. In queste colture si
ritrova la forma promastigote.
Per quanto riguarda il flebotomo, ne esistono circa 30 specie, soprattutto in ambiente rurale o suburbano. La
massima attività è alle ore serali tra maggio e agosto. Il flebotomo è presente fino ad una altitudine di 800
metri.
Epidemiologia
Il vettore è rappresentato dai ditteri (moscerini) del genere Phlebotomus; serbatoio d’infezione sono invece i
cani, i piccoli roditori e, in India, l’uomo stesso, poiché il vettore è antropofilico. La malattia, pur nelle sue
varianti cliniche, è endemica nella penisola arabica, in America Latina, nell’Africa equatoriale,
nell’altopiano del Tibet e nelle regioni mediterranee. In Italia in particolare sono interessate le isole, il
Gargano e la costa tirrenica.
Le categorie maggiormente a rischio sono i bambini di età inferiore ai 10 anni, i giovani e gli adulti solo se
sovraesposti al vettore per ragioni professionali o di altro motivo e, naturalmente, pazienti con deficit
dell’immunità, soprattutto quella cell-mediated.
Distinguiamo due tipi di ceppi:
-
ceppi dermatotropi, responsabili della Leishmaniosi cutanea;
-
ceppi viscerotropi, responsabili della Leishmaniosi viscerale.
L. VISCERALE
2
L’incubazione è di durata assai variabile: può andare da 10 gg fino anche a 3-4 mesi, con una media di 3-8
mesi; spesso è difficile da calcolare perché la lesione iniziale può passare inosservata, essendo poco
appariscente. Dalla sede di inoculo però gli amastigoti diffondono per via ematogena e infettano gran parte
delle cellule del SRE, con interessamento multiorgano.
Anche l’esordio è graduale e subdolo, con malessere e altri sintomi aspecifici. Compaiono poi via via i
seguenti sintomi (non necessariamente tutti):
-
febbre (intermittente o remittente, con picchi bi-quotidiani, a volte con andamento più bizzarro) in
genere ben tollerata;
-
tosse;
-
diarrea;
-
epifenomeni emorragici (come epistassi, gengivorragie ecc…).
Importanti segni clinici di accompagnamento sono invece:
-
splenomegalia ingravescente, accompagnata da epatomegalia e linfadenopatia generalizzata
(espressione di un’iperplasia diffusa del sistema reticolo-endoteliale);
-
leucopenia (con neutropenia relativa);
-
piastrinopenia;
-
anemia (normocromica-normocitica, di natura multifattoriale: emolisi, infiltrazione midollare,
ipersplenismo, emodiluizione);
-
ipergammaglobulinemia (a base larga, di tipo policlonale, dovuta ad attivazione di molteplici stipiti
di L. B);
-
VES aumentata (spesso < 100 dopo 1 h).
La cute si presenta sottile e secca, con una sfumatura grigiastra. Per queste stigmate cliniche occorre porre
diagnosi differenziale con: leucemie/linfomi, sepsi, brucellosi (altro parassita dei macrofagi con
interessamento multiorgano), tifo bacillare.
Diagnosi
La diagnosi viene effettuata con:
-
Esame diretto dell’aspirato midollare per evidenziare i promastigoti (ben visibili perché lunghi e
flagellati) nelle cellule del SRE, oppure, se non si notano, sternomielocoltura su NNN (tipo di
terreno);
-
Test sierologici (IF, ELISA).
La ricerca di anticorpi anti-Leishmania avviene con:
-
Immunofluorescenza indiretta;
-
Emoagglutinazione indiretta (poco sensibile).
3
L’esame microscopico aspirato midollare/splenico permette di identificare le forme amastigote intra-extracellulari. La coltura dell’aspirato midollare/splenico si effettua con inoculo in terreni bifasici o semisolidi a
crescita lenta. Ulteriore metodica è l’amplificazione genica, effettuando la PCR su aspirato midollare o
splenico.
Leishmaniosi in HIV
Frequente in fasi avanzate quanto la conta CD4 < 400. In questi soggetti anche i ceppi dermotropi danno
forme viscerali. I sintomi sono:
-
Febbre irregolare;
-
Epatosplenomegalia;
-
Linfoadenomegalia.
Per la diagnosi non è utile la ricerca degli anticorpi, poiché spesso sono assenti. Inoltre vi sono anche sedi
atipiche di isolamento, come sangue periferico, ulcere nell’apparato digerente, cute e lingua.
Presenta una letalità precoce e notevole difficoltà di trattamento. Inoltre presenta un decorso recidivante.
L. CUTANEA DEL VECCHIO MONDO
Nota con diversi altri nomi, tra cui “bottone d’oriente” e “piaga di Baghdad”, rappresenta l’evoluzione della
papula che compare in sede d’inoculo. Si distinguono 3 forme:
-
forma “secca” : L. tropica – Lesione papulosa, rosso caminio, unica, estesa in profondità e in
superficie (per 2-3 cm, con confini mal delimitabili), ad evoluzione necrotico-ulcerativa nel giro di
qualche settimana;
-
forma “umida”: L .major – Lesione di maggiori dimensioni, più scavata, ad evoluzione più rapida e
di prognosi peggiore; il nome le è stato conferito per la superficie ulcero-caseosa a carattere più
umido rispetto alla forma secca;
-
forma cutanea diffusa: in questo caso la lesione non si ulcera ma rimane papula o nodulo, intorno al
quale si formano invece lesioni satelliti e metastatiche (più a distanza); predilige le aree cutanee più
fredde.
L. CUTANEA DEL NUOVO MONDO
Vi sono 3 forme:
-
cutanea localizzata: lesioni ulcerative (simili alla forma secca);
-
cutanea diffusa: lesioni papulo-nodulari (simile alla forma diffusa del vecchio mondo) mucocutanea:
-
espundia: lesioni granulomatose necrotizzanti mestastatiche a carico di orofaringe, naso e trachea
ecc… altamente destruenti (portano a mutilazioni gravi come quella del setto nasale); possono
comparire anche a distanza di tempo dalla lesione iniziale.
4
Le pian bois sono lesioni mucocutanee di aspetto verrucoso, prodotte dalla disseminazione per via linfatica
dei parassiti.
Terapia
La terapia classica prevede l’utilizzo di antimoniali pentavalenti come il PENTOSTAM (stibogluconato di
sodio) e il GLUCANTIM (meglumine antimoniato).
Hanno molti effetti collaterali nient’affatto trascurabili come anoressia, nausea/vomito/dolori addominali,
malessere, artromialgie ma soprattutto morte cardiaca improvvisa su base aritmica, dovuta ad allungamento
della ripolarizzazione (monitorare l’intervallo QT e l’onda T).
Se non tollerati si può usare l’Amfotericina B (in soluzione glucosata al 5%, in intralipid o in forma
liposomale).
Le recidive comunque sono frequenti e, nei pazienti HIV+ sfiorano il 70-80%.
Nella L. viscerale vengono utilizzati:
-
Glucantim 20 mg/kg/die i.m. per 20 gg iniziando a scalare uno o più cicli;
-
Amfotericina B in complessi lipidici 2 mg/kg/die e.v. per 5 gg, una dose 14°-21° giorno;
-
Glucantim + IFN-γ, ai non responders o recidivati a Glucantim.
Ulteriori informazioni sugli esami diagnostici
L’esame microscopico si effettua su 3-4 gocce di aspirato midollare strisciate su due vetrini, essiccati
all’aria. Viene poi utilizzata una soluzione di metanolo per 5-10 minuti. La colorazione si effettua con una
soluzione Giemsa all’8% in acqua distillata per 40 minuti. L’osservazione prevede l’utilizzo di obiettivo ad
immersione 500-1000 X. Saranno visibili i macrofagi parassitati con gli amastigoti liberi.
L’esame colturale è di particolare importanza se l’esame microscopico è negativo o dubbio. Amplia il
numero dei parassiti presenti originariamente presenti nel prelievo effettuato. Il terreno per la coltura
utilizzato è l’Evans’ Modified Tobie’s Medium o EMTM. L’incubazione viene effettuata a 22 °C. Il
patogeno presenta una crescita lenta, quindi i risultati saranno ottenuti in 6-10 giorni. Si osserveranno i
promastigoti.
La PCR amplifica una specifica sequenza nucleotidica di Leishmania presente in un campione eterogeneo di
acido nucleico, proveniente da:
-
Sangue intero;
-
Aspirato midollare;
-
Biopsie.
5
Il metodo è molto rapido, con risultati in 24 ore. Tuttavia il costo risulta essere elevato, soprattutto per i
reagenti e le apparecchiature.
Criteri di guarigione della Leishmaniosi
Clinicamente si ha la scomparsa della febbre, con riduzione della splenomegalia e aumento di peso. Dalle
indagini di laboratorio, la guarigione è sottolineata dalla rapida riduzione dell’anemia, leucopenia e
piastrinopenia, aumento dell’albuminemia, lenta riduzione delle gamma-globuline. Il titolo anticorpale
discende lentamente. L’esame parassitologico darà assenza di parassiti nell’aspirato midollare. Un soggetto è
guarito in assenza di recidive nell’arco di 6 mesi.
6
LA MALARIA
La malaria è una malattia infettiva il cui agente eziologico è il plasmodio. I plasmodi sono protozoi e quelli
responsabili di malaria sono:
•
Plasmodium falciparum responsabile della terzana maligna;
•
Plasmodium vivax responsabile della terzana benigna;
•
Plasmodium ovale responsabile della terzana mild;
•
Plasmodium malariae responsabile della forma quartana.
Questi protozoi hanno una differente distribuzione geografica:
•
Plasmodium vivax si ritrova soprattutto in America centrale, India e sud America;
•
Plasmodium malariae si ritrova soprattutto in Africa occidentale e centrale;
•
Plasmodium ovale in Africa;
•
Plasmodium falciparum in Africa subsahariana, nuova Guinea, Sudamerica.
La malaria è prettamente una patologia dei paesi in via di sviluppo, questo anche perché in tali aree
geografiche vi sono tutta una serie di fattori favorenti come il clima, la densità di zanzare e la mobilità delle
popolazioni.
Ciclo vitale del parassita
La trasmissione del protozoo all'uomo avviene tramite un insetto vettore, appartenente alla specie Anopheles.
La principale modalità di trasmissione della malaria è attraverso la puntura di insetto, più precisamente della
zanzara femmina appartenente alla specie anopheles. Queste zanzare sono emotofaghe e pungono dal
tramonto all'alba. Il massimo rischio di contrarre la malaria si ha durante la stagione delle piogge. La zanzara
non dimora al di sopra dei 1500 m d'altitudine ed è molto rara nelle zone urbane.
I plasmodi sono parassiti endocellulari il cui ciclo biologico si divide in diversi stadi:
•
fase schizogonica esoeritrocitaria o epatocitaria: la femmina dell’Anopheles tramite puntura inietta
gli sporozoiti presenti sulle sue ghiandole salivari i quali dal sangue raggiungono il fegato e
penetrano negli epatociti all’interno dei quali si trasformano in schizonti da cui originano un certo
numero di merozoiti che passano in circolo (1 schizonte epatocitario da 103-4 merozoiti). Una parte
degli sporozoiti di P.Vivax ed Ovale entrano in una fase latente all’interno degli epatociti sotto
forma di ipnozoiti i quali sono responsabili di recidive a distanza (anche dopo 6-11 mesi);
•
fase schizogonica intraeritrocitaria: i merozoiti penetrano nei globuli rossi e si trasformano al loro
interno in trofozoiti ad anello con castone così chiamati per la presenza al loro interno di un vacuolo
all’interno del quale viene degradata l’Hb. I parassiti infatti ricavano energia a spese della cellula
ospite. L’Hb viene degradata e l’eme viene trasformato in emozina, un pigmento bruno che viene
immesso nel sangue e viene fagocitato dai PMN. Il trofozoita quindi si trasforma in schizonte da cui
1
originano numerosi merozoiti che lisano l’eritrocita e si riversano all’esterno andando a parassitare
altri eritrociti (1 schizonte eritrocitario da 24-32 merozoiti). Il ciclo schizogonico si ripete ogni 48
ore nella terzana e ogni 72 nella quartana e termina con la lisi degli eritrociti che libera i parassiti ed
il pigmento malarico che funziona da pirogeno endogeno causando i caratteristico ascesso febbrile;
•
fase gametogonica: dopo alcuni cicli schizogonici i merozoiti all’interno degli eritrociti si
differenziano nelle forme sessuate rappresentate dal macrogametocita e dal microgametocita (questo
rappresenta l’unico stadio infettante per l’Anopheles femmina);
•
fase sporogonica: l’Anopheles femmina durante il suo pasto ematico acquisisce i gemetociti che si
trovano all’interno dei globuli rossi i quali a livello dello stomaco fuoriescono e diventano
sessualmente maturi producendo macrogameti (femminile) e microgameti (maschile). Avviene
quindi la fecondazione del macrogamete da parte del microgamete a formare uno zigote che si
trasforma in oocinete e quindi in ovocisti che da luogo a numerosi sporozoiti che migrano nelle
ghiandole salivari della zanzara.
La risposta immunitaria è di tipo umorale indotta dalla presenza in circolo di merozoiti e schizonti eritrocitari
(non le forme epatiche latenti) si instaura lentamente e limita l’incremento della parassitemia ma non
conferisce protezione nei confronti dell’infezione, l’immunità permane soltanto se la stimolazione antigenica
è sempre rinnovata tramite reinfezioni come accade nei soggetti che si trovano in aree endemiche in cui si
hanno spesso infezioni asintomatiche. Tale situazione è detta premonizione e può essere persa quando i
soggetti si allontanano dalla zona di endemia per lunghi periodi di tempo.
Il P.Falciparum è l’unico parassita malarico che produce malattia microvascolare. Nelle emazie parassitate
infatti compaiono delle estroflessioni di membrana sotto forma di protuberanze che determinano
citoaderenza all’endotelio (l’espressione di recettori endoteliali è TNF dipendente) con danno del
microcircolo e sequestro in periferia delle emazie dovuto anche alla minore deformabilità delle emazie
parassitate.
Il sequestro periferico protegge il parassita dalla rimozione dal circolo ad opera del filtro splenico e dal
danno ossidativo per passaggi ripetuti attraverso il letto capillare polmonare a pO 2 elevata. In caso di anemia
falciforme il sequestro delle emazie facilita la loro falcemizzazione (dovuta alla riduzione della pO 2 ) che
determina la rottura dell’eritrocita con liberazione del parassita. In questo modo l’anemia Falciforme
protegge dall’infezione severa complicata da P. Falciparum ma non da altri plasmodi in cui non si ha il
sequestro in periferia. La malaria da P.falciparum è caratterizzata inoltre da una elevata parassitemia che
determina una maggiore estensione e gravità della malattia microvascolare e una maggiore severità degli
effetti metabolici che sono rappresentati da:
-
ipoglicemia: per deplezione del glicogeno epatico, consumo di glucosio da parte dei parassiti,
liberazione di TNF (anche liberazione di insulina in caso di terapia con chinino o chinidina);
-
perossidazione dei lipidi causata dal ferro libero che determina formazione di radicali dell’O 2 ;
2
-
acidosi lattica dovuta alla glicolisi anaerobia nei tessuti in cui gli eritrociti parassitari interferiscono
con il microcircolo e dalla produzione da parte del parassita.
Nella malaria da P.Malariae il parassita può persistere nel sangue fino a 30 anni e le manifestazioni sono
dovute alla formazione di IC.
Epidemiologia e sintomatologia
Da un punto di vista epidemiologico vi sono 200 milioni di casi all'anno nel mondo di malaria, con 1-3
milioni di decessi all'anno. Circa 10.000 casi di malaria si verificano tra viaggiatori che provengono da
regioni tropicali. L'1% di questi muore per malaria da falciparum. Anche se l'Italia è un'area a basso rischio
non bisogna dimenticare che circa 16 milioni di italiani all'anno si recano all'estero, di cui il 10% in aree
tropicali.
Il periodo di incubazione risulta essere diverso a seconda del plasmodio infettante:
-
terzana benigna con 12-20 giorni di incubazione;
-
terzana maligna con 7-14 giorni di incubazione;
-
quartana con due-cinque settimane di periodo di incubazione.
Biologicamente invece distinguiamo due fasi:
-
una fase esoeritrocitaria, durante la quale il protozoo dimora all'esterno dei globuli rossi con periodo
variabile da quattro a sei giorni per Plasmodium falciparum e da quattro a otto giorni per
Plasmodium vivax;
-
una fase eritrocitaria dalla durata di due-tre giorni.
Da un punto di vista sintomatologico distinguiamo:
-
sintomi prodromici, lievi rialzi termici, cefalea, astenia, malessere, disturbi addominali;
-
esordio con febbre elevata fino a 40-41 °C, accompagnata da brividi intensi della durata di 2-3 ore e,
nella fase di defervescenza, da intense sudorazioni.
Il periodo di incubazione oscilla tra i 10-20 giorni al quale segue l'attacco malarico. L'attacco malarico dura
alcune ore con brivido scuotente, febbre elevata, sudorazione e defervescenza. All'inizio la febbre non ha il
ritmo tipico, ovvero presenta un ritmo non sincronizzato. Col passare del tempo si raggiunge il periodo di
Stato caratterizzata dalla sincronizzazione della febbre, con relativo benessere nei periodi di defervescenza.
La ciclicità della febbre è variabile a seconda dell'infezione da parte del protozoo:
-
nella terzana benigna, da Plasmodium vivax e ovale, la febbre insorge ogni 48 ore;
-
nella terzana maligna data da Plasmodium falciparum la febbre insorge ogni 48 ore;
-
nella quartana, data da Plasmodium malariae, la febbre insorge ogni 72 ore.
3
Altri sintomi che si accompagnano alla febbre sono tachicardia, ipotensione, cefalea, tosse, mal di schiena,
nausea e vomito, dolori addominali e alterazioni dello stato di coscienza.
Complicanze
Tra le principali complicanze della malaria si ricordano soprattutto:
-
la malaria cerebrale con disorientamento, torpore, convulsioni, coma e morte;
-
anemia dovuta alla emolisi;
-
insufficienza renale per necrosi tubulare;
-
insufficienza ventricolare;
-
edema polmonare.
Il danno di flusso all'intero organismo tende a danneggiare il microcircolo. I principali indicatori prognostici
per la malaria da Plasmodium falciparum sono:
-
parassitemia, se questa è elevata, superiore al 5% delle emazie parassitare, l’andamento sarà
peggiore;
-
ematocrito, se questi è inferiore al 20% la prognosi risulta essere peggiore;
-
l'età, con particolare rischio nei bambini negli anziani;
-
donne gravide sono particolarmente sensibili;
-
soggetti non immuni, tra i quali si ricordano i turisti, sono particolarmente esposti.
Clinica e laboratorio
All'esame obiettivo si potrà osservare una epatomegalia, che compare già nella fase di invasione. La
splenomegalia compare dopo 2-3 accessi malarici, si ha pallore talvolta intenso, correlata all'anemia
emolitica e non manca l'ittero. Gli esami di laboratorio evidenzieranno:
-
anemia normocromica e normocitica;
-
aumento della bilirubina indiretta;
-
aumento della VES;
-
emoglobinuria;
-
piastrinopenia.
La diagnostica di laboratorio per la malaria prevede la dimostrazione del parassita nel sangue periferico. Il
prelievo di sangue avviene durante un accesso febbrile, preferibilmente all'inizio. Il prelievo di sangue viene
esaminato con due metodiche diverse, lo striscio periferico e la goccia spessa. Lo striscio periferico è uno
stroscio sottile, che prevede la fissazione al metanolo al 10%, colorato con Giemsa. Questo è un test poco
sensibile, utile soprattutto per differenziare i caratteri morfologici. Nel metodo della goccia spessa il prelievo
viene colorato direttamente con Giemsa, senza fissaggio e permette una concentrazione 40 volte superiore,
ma è di difficile interpretazione.
4
All'esame microscopico, all'interno dei globuli rossi saranno presenti i trofozoiti o gli schizonti. L'infezione
da Plasmodium vivax darà emazie ingrandite, sferiche, pallide, presenza di fini granulazioni, trofozoiti con
un anello con castone, schizointi con 16-24 nuclei. L'infezione da Plasmodium falciparum darà emazie di
normali dimensioni, a superficie dentellata, con granuli grossolani, trofozoita piccolo a volte con doppio
castone, rara l'osservazione degli schizonti.
La malaria perniciosa o cerebrale è sostenuta solo dal Plasmodium falciparum ed ha un'elevata mortalità,
superiore al 20% a causa dell'encefalopatia diffusa dovuta al sequestro intravascolare massivo dei parassiti.
La parassitemia è molto alta. La malaria cerebrale è caratterizzata da febbre molto elevata e continua, con
ittero e anemia marcati, oligoanuria, ipoglicemia, anomalie del comportamento, obnubilamento del sensorio,
segni di interessamento meningeo, alterazioni del tono muscolare e dei riflessi e coma.
Profilassi e terapia
Onde evitare di contrarre l'infezione molto importante è la profilassi comportamentale, che consiste in:
-
evitare, se possibile, di uscire tra l'alba ed il tramonto, quando la zanzara è solita pungere;
-
indossare abiti con maniche lunghe e pantaloni lunghi;
-
applicare sulla cute esposta sostanze repellenti per le zanzare;
-
alloggiare in stanze munite di zanzariere alle finestre e sopra il tetto;
-
spruzzare insetticidi nelle stanze da letto.
Per quanto riguarda l'utilizzo dei farmaci, questo varia a seconda del ciclo del protozoo:
-
i principali schizonticidi ematici sono il chinino, la clorochina, la meflochina, doxiciclina e
alofantrina;
-
Gli schizonticidi tissutali sono la primachina, proguanil e pirimetamina;
-
ipnozoiticidi, primachina;
-
gametocidi, primachina.
Nelle forme non complicate sostenute da Plasmodium vivax, ovale, malariae e da ceppi di Plasmodium
falciparum clorochina sensibili si può utilizzare la clorochina alla dose di 10 mg/kg per os seguiti da 5 mg/kg
dopo sei ore e da 5 mg/kg al giorno per altri due giorni. Nelle forme da Plasmodium vivax e orale aggiungere
inoltre primachina 15 mg al giorno per 14 giorni.
Nelle forme sostenute da ceppi di Plasmodium falciparum e vivax clorochino-resistenti utilizzare la
meflochina alla dose di 750 mg per os, seguita da 500 mg dopo sei-otto ore e da 250 mg dopo altre sei-otto
ore. I possibili effetti collaterali sono nausea, vomito, vertigini, cefalea e reazioni neuropsichiatriche. Nei
ceppi di Plasmodium falciparum multi-resistenti sono possibili associazioni farmacologiche molto efficaci
come:
-
chinino più pirimetamina;
5
-
chinino più Doxiciclina;
-
alofantrina.
Nella malaria perniciosa si utilizza il chinino alla dose di 600 mg endovena per tre volte al giorno finché non
è attuabile il trattamento per os, da continuare fino ad un totale di sette giorni. I possibili effetti collaterali di
questa terapia sono tintinnio, sordità per i toni alti, nausea, vomito e cardiotossicità. Eventuali misure
profilattiche comprendono la somministrazione di farmaci:
-
nei paesi clorochino-sensibili può essere effettuata profilassi con 300 mg di clorochina, una
compressa alla settimana cominciando una settimana prima della partenza, tutte le settimane durante
il soggiorno all'estero continuando per quattro settimane dopo il rientro;
-
paesi clorochino-resistenti con 250 mg di meflochina, una compressa la settimana cominciando una
settimana prima della partenza, tutte le settimane durante il soggiorno all'estero continuando per
quattro settimane dopo il rientro.
Per le donne in gravidanza invece è controindicato l'utilizzo di meflochina nelle prime 12 settimane della
gestazione. In questi soggetti si consiglia l'utilizzo di clorochina da sola o in associazione al proguanil. Per le
donne in età fertile è sconsigliata la gravidanza per circa tre mesi dopo l'assunzione di meflochina. Nei
bambini può essere utilizzata la clorochina, la meflochina non va mai utilizzate nei bambini con un peso
inferiore ai 15 chili.
Molto importante è il problema dell'insorgenza di resistenza del plasmodio nei confronti di questi composti.
Il Plasmodium falciparum mostra particolare resistenza per la clorochina. Tutti i composti fino ad ora
elencati uccidono le forme ematiche ovvero gli schizontii. Nelle forme da Plasmodium vivax ed ovale
occorre far seguire una terapia contro le forme latenti negli epatociti ovvero gli ipnozoiti. Per queste forme
latenti la primachina si è rilevata essere molto efficace. Infine non bisogna sottovalutare la prevenzione.
Bisogna ricordare che la zanzara punge sotto gli 800-900 m di altitudine, dopo i periodi di pioggia e dopo il
tramonto. La protezione individuale comprende l'utilizzo di repellenti, maniche lunghe e pantaloni lunghi,
zanzariere e aria condizionata. Infine un particolare ruolo gioca la chemioprofilassi per tutti quei soggetti che
si recano in paesi dove la malaria è endemica.
6
TOXOPLASMOSI
È un infezione causata da Toxoplasma Gondii ubiquitaria in tutto il mondo ed estremamente diffusa. Decorre
nella maggior parte dei casi asintomatica ma la sua rilevanza clinica riguarda le forme congenita e
dell’immunodepresso.
Il Toxoplasma Gondii appartiene al genere Amicoplexa, classe Sporozoi, sottoclasse Coccidi ed è un
parassita endocellulare dixene che compie il suo ciclo biologico tra:
•
ospite definitivo: gatto in cui si svolge la fase sessuata (sporogonia);
•
ospite intermedio: animali tra cui l’uomo in cui si svolge la fase asessuata (schizogonia).
Il ciclo biologico del toxoplasma avviene in 3 fasi:
-
fase intestinale nel gatto: il gatto ingerisce una oocisti infettante che si divide in numerosi trofozoiti i
quali a livello dell’intestino del gatto si trasformano in schizonti, merozoiti e quindi micro e
macrogametociti che danno luogo ai gameti. Il microgamete quindi feconda il macrogamete dando
luogo ad uno zigote che quindi va a costituire l’oocisti che viene eliminata con le feci;
-
fase esogena nell’ambiente: le oocisti sono una forma di resistenza in grado di sopravvivere per mesi
nelle feci o nel suolo. L’ingestione dell’oocisti da parte del gatti fa ricominciare il ciclo;
-
fase endogena extraintestinale nell’uomo: l’uomo ingerisce la cisti infettante il cui involucro
protettivo viene digerito dai succhi gastrici e si ha la liberazione degli sporozoiti che penetrano e si
moltiplicano nelle cellule epiteliali dell’intestino dando luogo ai merozoiti che per via linfatica ed
ematica (parassitemia) raggiungono il sistema RE ed in particolare i linfonodi dove si verifica
iperplasia follicolare con gruppi di istiociti epitelioidi ai margini dei centri germinativi e cellule
monocitarie.
I merozoiti quindi parassitano i macrofagi all’interno dei quali si trasformano in tachizoiti che rappresentano
la forma proliferativa responsabile della distruzione tessutale. La risposta immune dell’organismo blocca la
replicazione dei parassiti trasformandoli in bradizoiti che permangono nel muscolo striato, nell’occhio e nel
SNC in fase di latenza sotto forma di cisti.
Esistono varie forme cliniche con cui si esplica l’infezione di T. Gondii:
-
toxoplasmosi
acquisita,
da
distinguere
nell’ospite
immunocompetente
ed
in
quello
immunocompromesso;
-
toxoplasmosi congenita o connatale;
-
riattivazione di toxoplasmosi cronica in immunocompromesso. Nei pazienti immunodepressi questa
forma latente si può riattivare.
1
Per il controllo dell’infezione sono fondamentali sia l’immunità cellulo-mediata che l’immunità umorale. Il
toxoplasma è un parassita intracellulare che riesce a sopravvivere all’interno della cellula parassita tramite la
formazione di un vacuolo parassitoforo e l’inibizione della fusione con il lisosoma.
I parassiti opsonizzati penetrano nei macrofagi tramite il recettore FcR, l’invasione attiva dei macrofagi
attiva il killing intracellulare. I linfociti CD4+ svolgono un ruolo centrale nella risposta immune in quanto
secernono IL2 che attiva le cellule NK (abili nel killing diretto del parassita) e stimola la produzione di INFγ
che aumenta il killing macrofagico.
Svolgono un ruolo importante anche i linfociti CD8+ e le cellule LAK in grado di distruggere le cellule
parassitate. L’IL-4 e IL-10 invece riducono il killing macrofagico.
La trasmissione dell’infezione può avvenire attraverso:
-
ingestione di carne cruda o poco cotta contente cisti;
-
ingestione di oocisti presenti nelle feci di gatto;
-
trasmissione transplacentare;
-
trasfusione di sangue (donatore in fase acuta con parassitemia);
-
trapianto di organo.
Morfologia
Le forme vegetative del toxoplasma vengono dette trofozoiti o tachizoiti. Hanno la forma di una piccola
falce, da qui anche l’origine del nome, infatti toxon vuol dire “arco”. Hanno dimensioni comprese tra 6-7 µm
per 2-4 µm, sono immobili. La colorazione che ne permette la visualizzazione è quella di May-GrunwaldGiemsa. L’estremità posteriore è arrotondata con il nucleo, mentre l’estremità anteriore è appuntita, per poter
penetrare nelle cellule. L’infezione tende a localizzarsi a livello delle cellule epiteliali, nervose, muscolari e
nei leucociti. Negli organi bersaglio si verifica la trasformazione in forme di latenza: i bradizoiti. È possibile
ottenere delle colture in porzioni tissutali come il peritoneo di topo e in colture cellulari di uova embrionarie
di pollo.
La cisti toxoplasmica o pseudocisti ha dimensioni comprese tra 60-100 µm. la cisti è provvista di una parete
propria e contiene centinaia di bradizoiti. Le cisti si rinvengono soprattutto nei muscoli striati, miocardio e
SNC. Nella carne a 4 °C sopravvive diversi giorni, e questa rappresenta il serbatoio animale.
Le oocisti si formano nell’epitelio intestinale del gatto, hanno forma sferica con diametro di 10-15 µm. ogni
giorno il felino elimina circa 106 oocisti. Le oocisti sono resistenti in ambiente caldo-umido, infatti
sopravvivono per circa un anno a temperatura ambiente ed è per questo che si parla di serbatoio tellurico.
Ingerite dall’ospite intermedio liberano gli sporozoiti.
Vie di trasmissione
Le principali vie di trasmissione sono:
2
-
via alimentare: alimenti (verdure) contaminati da feci di gatti, trasmissione diretta (mani), dal gatto
all’uomo più rara, carni poco cotte con cisti tessutali;
-
Transplacentare, caratteristica delle forme congenite o connatali;
-
Meno frequenti: Emotrasfusioni di donatore in fase acuta asintomatica, Incidenti di laboratorio,
Trapianto di cuore in ricevente sieronegativo per toxoplasma.
Clinica
Bisogna fare una differenza tra l’infezione contratta nel soggetto immunocompetente e il soggetto
immunocompetente. La toxoplasmosi acquisita del soggetto immunocompetente nel 90% dei casi evolve in
modo asintomatico mentre nel 10% dei casi si ha un quadro clinico simil mononucleosi con linfoadenopatia,
febbre ed astenia. La linfoadenomegalia è generalizzata o più spesso localizzata a livello cervicale.
La linfoadenite toxoplasmica si manifesta con:
-
Linfadenomegalia
di almeno 2 stazioni: Cervicale, sopraclaveare, ascellare, inguinale; di
consistenza variabile ma non dura; non dolenti, non confuenti;
-
Febbre spesso modesta e irregolare
-
Astenia, talvolta marcata;
-
Esantema maculo-papuloso, raro;
-
Linfomonocitosi con linfociti atipici;
-
Modesta eosinofilia.
La neurotoxoplasmosi è dovuta alla riattivazione in paziente immunocompromesso. Clinicamente si
manifesta con Encefalite, Meningite e Meningo-encefalite. Nei soggetti immunodepressi di verifica la
riattivazione delle cisti cerebrali.
La sintomatologia si estrinseca con manifestazioni “a focolaio”:
-
Emiplegia ed emiparesi;
-
Epilessia secondaria;
-
Afasia.
La diagnosi viene fatta con RMN, TC con m.d.c. o con PCR sul liquor. Inoltre è possibile effettuare anche
biopsie stereotassiche.
La toxoplasmosi acuta generalizzata è un’infezione primaria in immunodepressi e si manifesta con una
forma esantematica pseudorickettsiosica ed interessamento pluriviscerale come polmone, cuore, SNC, etc…
La toxoplasmosi del soggetto immunodepresso, in particolare con AIDS si può avere la riattivazione
dell’infezione latente con diversi quadri clinici:
3
-
toxoplasmosi cerebrale: si può manifestare con meningite, meningoencefalite, encefalomielite o
encefalite. Le lesioni sono multiple e focali e la localizzazione è alla giunzione corticomidollare.
Alla TC cranio sono presenti lesioni ipodense, con effetto massa, edema perilesionale e che
prendono il mezzo di contrasto in periferia;
-
toxoplasmosi polmonare: indistinguibile dalla polmonite da Pneumocystis Carinii;
-
toxoplasmosi oculare: relativamente infrequente nei pazienti con AIDS.
Toxoplasmosi congenita
L’infezione acuta in gravidanza è importante per il rischio di trasmissione al feto. La trasmissione al feto per
via transplacentare si verifica solo se l’infezione primaria avviene dopo il concepimento e cioè durante la
gestazione. La gravità del danno all’embrione è direttamente proporzionale alla precocità dell’insorgenza
dell’infezione. Il rischio di trasmissione è:
-
25% nel 1° trimestre: aborto, malformazioni congenite;
-
40% nel 2° trimestre: morte intrauterina e forme connatali;
-
60% nel 3° trimestre: neonato infetto apparentemente sano.
Clinicamente le manifestazioni della toxoplasmosi congenita si distinguono in:
-
forme maggiori ad esordio clinico neonatale (fetopatia): encefalomielite con tetrade di Sabin:
idrocefalo, corioretinite, calcificazioni cerebrali, ritardo mentale;
-
toxoplasmosi generalizzata: ittero, epatosplenomegalia, manifestazioni cutanee e disordini
ematologici;
-
forme minori ad esordio clinico precoce; forme oculari isolate, forme neurologiche localizzate,
forme itteriche isolate;
-
forme ad esordio clinico tardivo: forme neurologiche (ritardo psicomotorio, sindromi convulsive),
corioretiniti.
La forma oculare può essere sia congenita (nella maggior parte dei casi) che acquisita. È caratterizzata da
corioretinite o panuveite monolaterale o bilaterale presente alla nascita o a distanza di tempo (il secondo
occhio può essere interessato anche a distanza di 20 anni). Sono frequenti le recidive.
La diagnosi differenziale prevede l’esclusione di:
-
Forma linfoghiandolare: Sindromi mononucleosiche da EBV, CMV, leucemie e linfomi,connettiviti,
esantemi virali;
-
Corioretinite: Localizzazioni oculari da CMV, BK, sifilide.
-
Toxoplasmosi congenita: Malformazioni fetali da rosolia, HSV, CMV, sifilide;
-
Neurotoxoplasmosi ospite immunocompromesso: Linfoma primitivo cerebrale, Leucoencefalite
multifocale progressiva.
4
Diagnosi
È essenzialmente sierologica tramite toxo-test. Il Dye-test (incubazione del siero del paziente con
toxoplasma
per
vedere
l’eventuale
neutralizzazione
da
parte
di
Ab)
è
stato
soppiantato
dall’immunofluorescenza diretta. È importante la ricerca di IgM e IgG prima e subito dopo il concepimento.
In caso di sieronegatività la donna è a rischio di contrarre l’infezione durante la gravidanza (controllo
sierologico ogni mese). In caso di sieropositività è importante valutare il titolo di IgM e IgG:
-
infezione pregressa: assenza di IgM e presenza stabile di IgG;
-
infezione in atto: presenza di IgM e IgG (le IgM rimangono fino ad 1 anno dall’infezione).
In caso di sospetta infezione congenita si fa la ricerca di IgM nel sangue cordale tramite funicolocentesi e poi
nel siero del neonato.
La presenza di IgM indica infezione del feto in quanto le IgM al contrario delle IgG non attraversano la
barriera placentare e quindi sono prodotte dal feto.
Si possono inoltre ricercare le sequenze di DNA specifiche per toxoplasma tramite PCR nel fluido
amniotico.
Per quanto riguarda la diagnosi di infezione durante la gravidanza, questa può essere:
-
Certa: documentata sieroconversione in gravidanza (aumento IgM entro 2-4 settimane), presenza del
parassita nel sangue mediante PCR o prova biologica. Tuttavia questa situazione è molto difficile
perché la parassitemia presente solo per pochi giorni;
-
Probabile: quando non si conosce la situazione sierologica pre-gravidanza.
Terapia
Per quanto riguarda le forme asintomatiche o paucisintomatiche, queste no richiedono terapia. La forma
linfoghiandolare sintomatica o la corioretinite vengono trattate con Pirimetamina
100
mg
primo
giorno seguiti da 25 mg/die per i giorni successivi, oppure 2 mg/Kg primo giorno poi, successivamente, 1
mg/Kg/die. Alla pirimetamina si aggiunge la Sulfadiazina
a 4-6 g/die in 4 dosi oppure 70-100
mg/Kg/die in 4 dosi con Acido folinico 10 mg/die. La Durata della terapia è di 1-2
settimane
dopo
risoluzione sintomi. Nelle forme gravi possono essere associati anche i corticosteroidi. In caso di allergia ai
sulfamidici si può somministrare la clindamicina alle dosi di 450 mg/die per 3 giorni per os, oppure 4 mg/kg
per 4 giorni.
In caso di diagnosi di toxoplasmosi in gravidanza va fatta terapia con spiramicina 2g (9-12 mU) al giorno
fino al parto. Se è presente infezione fetale si utilizza per 3 settimane la spiramicina alle dosi di 9-12 mU al
giorno. In più vengono effettuati cicli di terapia tre settimane prima del parto con: Pirimetamina 25 mg/die
più Sulfadiazina 3 g/die più Acido folinico 7,5 mg/die.
5
In caso di intolleranza si può ricorrere all’azitromicina, alla claritromicina e all’atovaquone.
La terapia del paziente immunodepresso consiste in:
-
regime standard: dose doppia di pirimetamina 200 mg poi 50 mg die + acido folinico 10-20 mg die +
sulfadiazina 4-6 g die (4 dosi) / clindamicina 600 mg x 4 die;
-
Alternativa: cotrimoxazolo 120-160 mg x 4 die (o claritromicina, dapsone, pirimetamina).
La Durata della terapia è più lunga, circa 3-6 settimane. La terapia di soppressione long-life si effettua con
Pirimetamina 25-75 mg/die più Sulfadiazina 1g x 4/die.
È importante la prevenzione dell’infezione nella donna in gravidanza che si basa sull’evitare il contatto con i
gatti, astenersi dal contatto con carne cruda o poco cotta, lavaggio accurato di frutta e verdura che potrebbero
contenere oociti e monitoraggio sierologico.
6
Amebiasi
L’Amebiasi è una patologia determinata dall’ameba Entamoeba Histolytica. Per infezione s’intende la
presenza asintomatica del parassita nel lume del colon, con espulsione delle feci, mentre per malattia si
intende la manifestazione clinica legata all’invasione dei tessuti, con un quadro clinico riconducibile alla
colite.
Entameba histolytica è un protozoo. Si presenta in forma trofozoica/cistica:
-
Il trofozoite presenta dimensioni di 10-60 µm, nucleo unico, mobile per pseudopodi, citoplasma
(forme invasive). Nel citoplasma si distingue una parte ialina, esterna (ectoplasma) ed una parte
granulare (endoplasma) fornita da vacuoli digestivi;
-
Cisti presenta dimensioni di 9-16 µm, fino a 4 nuclei, con corpi cromatoidi nel citoplasma.
Da un punto di vista clinico l’infezione da Entameba può determinare:
-
Amebiasi non invasiva;
-
Amebiasi invasiva: con forma Intestinale ed Extraintestinale.
E. histolytica è un patogeno “facoltativo”. La maggior parte dei soggetti infetti (90%) si libera del parassita
dopo 6-12 mesi senza o con lievi sintomi invece in alcuni soggetti causa una malattia grave.
Negli anni ’70 si notarono differenze biochimiche tra amebe isolate da pazienti con forme invasive e da
soggetti con forme non invasive. Intorno agli anni ’80-90 vennero identificate numerose differenze
antigeniche e differenze di DNA tra forme invasive e non invasive. Nel 1993 Diamond e Clark propongono
una nuova specie (Entameba dispar) per descrivere i ceppi non invasivi.
La WHO (OMS) conferma l’esistenza di 2 specie differenti:
-
E. histolytica dotata di potenziale patogenicità ed istolesività;
-
E. dispar stabilmente commensale.
Epidemiologia
La via di trasmissione è oro-fecale e mediata dall’ingestione delle cisti che sopravvivono vitali per alcune ore
sulla cute o sotto le unghie, per qualche giorno sull’insalata e fino a due settimane nell’acqua e, infine, 48 ore
nelle mosche coprofile. Ne è colpito il 10% della popolazione mondiale, con prevalenza nelle zone tropicali,
tra gli esquimesi e tra gli omosessuali maschi. In Italia ha subito un decremento dopo la II Guerra Mondiale
e colpisce, attualmente solo l’1% della popolazione, prevalentemente in forma asintomatica.
La trasmissione si verifica per via fecale-orale con:
-
Ingestione di alimenti o acque contaminate da cisti (verdure crude, cibi manipolati, ghiaccio);
-
Rapporti oro-genitali e oro-rettali (soprattutto negli omosessuali).
1
I trofozoiti non sono capaci di infettare perché sono poco resistenti in ambiente esterno e sono sensibili
all’acidità gastrica.
Eziologia
Entamoeba Histolytica è un protozoo contraddistinto da un ciclo biologico con tre fasi principali:
-
Trofozoiti: rappresentano la normale fase vegetativa e vivono nel lume dell’intestino crasso. Hanno
diametro di circa 12µm, con una forma continuamente variabile ed un’alta mobilità. Nel citoplasma
si distingue una parte ialina esterna, ectoplasma, ed una parte granulare interna, endoplasma, ricca di
vacuoli digestivi. I trofozoiti possono riprodursi senza nessun danno;
-
Cisti: i trofozoiti si incistano nelle parti distali del crasso; questa è la forma di sopravvivenza espulsa
con le feci. È assente l’ectoplasma e le dimensioni sono ridotte. Tipiche sono delle inclusioni
lamellari ribosomiali, definiti corpi cromatoidi;
-
Trofozoiti ematofagi: le cisti ingerite possono raggiungere l’intestino e, a seguito di cause scatenanti,
come variazione dell’alimentazione, purganti, antibiotici, stress, possono andare incontro alla
trasformazione in stipite ematofago, simile in tutto e per tutto al trofozoite normale, ma ricco di GR
nell’endoplasma. Hanno, inoltre, diametro maggiore di 20 µm e sono incapaci, però, di evolvere in
cisti. Questa forma è quella che arreca danno tissutale. Sono definiti, perciò, trofozoiti ematofagi
istolitici.
Patogenesi
Il meccanismo di lesione prevede la capacità di aderire sulle cellule bersaglio e di propiziare la lisi mediante
una fosfolipasi Ca2+-dipendente che altera la citomembrana ospite. Le amebe stimolano la chemiotassi, con
successiva liberazione di mediatori flogistici. Si pensa, infine, che le amebe abbiano una resistenza alla
fagocitosi per la capacità di intrappolare od inattivare gli Ag legati all’ectoplasma. Le stesse lesioni possono
avvenire nel fegato e, molto raramente, nel polmone.
Anatomia patologica
Le lesioni interessano soprattutto il colon, in corrispondenza del cieco, delle flessure, del sigma e del retto.
Queste lesioni sono definite a bottone di camicia perché sono limitate in superficie ed estese nella
sottomucosa. La perforazione è relativamente rara e la guarigione lascia esiti fibrosi.
La lesione epatica è legata alla formazione di microfocolai di necrosi colliquativa confluenti. Si forma, così,
un unico focolaio acapsulato, delimitato dal parenchima epatico da uno strato di amebe.
Le lesioni tissutali sono caratterizzate da microfocolai di necrosi confluenti, detti ascesso amebico.
All’interno dell’ascesso vi è liquame denso, inodore e color cioccolato.
Clinica
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AMEBIASI INTESTINALE ACUTA
Solo i trofozoiti ematofagi istolitici sono capaci di produrre danno. Il periodo d’incubazione è molto vario.
L’esordio è insidioso o brusco e la patologia è caratterizzata dalla triade dissenteria, dolori addominali,
tenesmo.
Le evacuazioni possono essere anche 15-30 in una giornata a carattere muco-sanguinolento. Il dolore
addominale può essere lieve, ma anche molto forte, soprattutto in zona cecale e sigmoidea. Può essere
presente febbre. La rettoscopia mostra tante ulcere.
La localizzazione epatica della malattia determina febbre, lieve epatomegalia, ma lo stato generale non è
compromesso. Le complicazioni sono: enterorragia, megacolon tossico e perforazione. La fase acuta può
essere accompagnata da uno stato tossinfettivo-febbrile.
La diagnosi di amebiasi intestinale si fa con esame parassitologico delle feci:
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A fresco, entro 30 minuti dall’emissione delle feci, su vetrino riscaldato, in questo caso si potranno
vedere i movimenti ameboidi del trofozoite;
-
Analizzando almeno sei campioni di feci in giorni consecutivi.
Per poter differenziare E. dispar da E.Histolytica basta ricordare che E. dispar non fagocita le emazie.
Per la diagnosi di amebiasi intestinale talora può essere necessaria una retto-sigmoscopia, che rivelerà:
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Piccole ulcerazioni, inferiori ai 5 mm, intervallate da mucosa normale;
-
Eventualmente procedere ad un agoaspirato o biopsia.
AMEBIASI INTESTINALE CRONICA
Talora ha inizio acuto, altre volte lento ed insidioso. È una sindrome che riconduce al colon irritabile,
difficilmente diagnosticabile. Sono presenti segni e sintomi di malessere generale, come astenia, febbricola,
epatomegalia etc. Vanno ricordati i casi eccezionali di ameboma, un granuloma che in alcuni casi può
simulare una massa neoplastica.
AMEBIASI EPATICA ED ALTRE FORME
La forma classica è l’ascesso epatico, eclatante nella sintomatologia e difficile da interpretare
eziologicamente se non vi siano trascorsi dissenterici.
È presente febbre, epatomegalia, spesso lieve, dolore all’ipocondrio destro e dolore riferito agli apici
polmonari. L’epatocentesi permette di svuotare l’ascesso.
La diagnosi di ascesso epatico è supportata da:
-
Anamnesi di dissenteria (non sempre);
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Febbre, epatomegalia, dolore all’ipocondrio dx;
-
Sierologia positiva;
-
Diagnostica per immagini (Ecografia, TC, RMN);
-
Aspirazione dell’ascesso (solo in casi selezionati).
Può essere presente anche un amebiasi pericardica e pleuro-polmonare. Per quanto riguarda la forma pleuropolmonare questa può aversi in caso di rottura di ascesso epatico attraverso il diaframma, con febbre, tosse,
dispnea e vomica.
Altre forme sono l’amebiasi cutanea, da fistola intestinale o epatica, e l’amebiasi cerebrale o di altri organi,
molto rara.
Diagnosi
La diagnosi di fa con la ricerca di cisti nelle feci, con ricerca a caldo. La diagnosi sierologica si basa invece
su:
-
Ricerca degli anticorpi con IHA (inibizione dell’moagglutinazione), prendendo come titolo
significativo superiore a 1:256, oppure con ELISA;
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Ricerca degli antigeni nelle feci con anticorpi monoclonali, permettendo anche la distinzione tra E.
histolytica e dispar;
-
PCR per l’amplificazione del genoma amebico.
Terapia
Sono presenti 2 classi principali di antibiotici:
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Amebicidi diffusibili: tissutali e sistemici, indispensabili nelle forme di amebiasi invasiva; il più
importante è il metronidazolo;
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Amebicidi da contatto: non assorbibili, somministrati per os, nelle forme paucisintomatiche. Il più
importante è la paromomicina.
Nelle forme non invasive si possono utilizzare i farmaci attivi nel lume intestinale, ovvero antibiotici non
assorbibili come la paromomicina (Humatin). Nell’infezione invasiva intestinale ed extra-intestinale,
soprattutto nell’ascesso epatico, si utilizzano:
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Farmaci sistemici come il metronidazolo (Flagyl);
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Drenaggio (aspirazione) dell’ascesso epatico solo se c’è alto pericolo di rottura.
Profilassi
Per quanto riguarda la profilassi, questa è di tipo comportamentale, soprattutto rivolta a soggetti che
intraprendono viaggi in aree a rischio:
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Bere solo acqua e bibite imbottigliate (oppure bollire l’acqua per 1 minuto; oppure filtrarla con filtri
“absolute 1 µm);
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Non aggiungere acqua alle bibite;
-
Mangiare solo frutta o verdure che abbiamo lavato e pulito con le nostre mani;
-
Non mangiare o bere latte, formaggi, creme etc…;
-
Non mangiare o bere niente da ambulanti.
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Malattie da vermi intestinali o Elminti
Le elmintiasi umane sono patologie da organismi pluricellulari. Ogni parassita ha il suo ciclo biologico che si
compie in uno o più ospiti. L’animale che alberga il verme adulto è detto ospite definitivo. L’animale che
alberga il parassita negli stadi embrionali o larvali è detto ospite intermedio.
Gli Elminti o vermi patogeni sono organismi pluricellulari (metazoi), divisi in due grandi famiglie:
-
Platelminti o vermi piatti, comprendente:
•
Trematodi: piatti e segmentati, ermafroditi e non – Schistosoma Haemotobius;
•
Cestodi: nastriformi, segmentati a lunghezza variabile; il corpo è una successione di
proglottidi – uteri – ermafroditi – Tenia Saginata e Solium; Echinococcus Granulosus.
-
Nematelminti, o vermi rotondi, comprendenti i Nematodi - cilindrici, non segmentati e a lunghezza
variabile, a sessi separati – Ancylostoma duodenale, Necator Americanus, Ascaris Lmbricoides,
Enteroboius Vermiculari (Ossiuro).
Hanno una grandezza variabile da 2 a 10.000 mm. Ogni parassita compie un ciclo biologico in uno o più
ospiti. L’animale che alberga il parassita adulto, è definito ospite definitivo; l’ospite che alberga lo stadio
embrionale o larvale è detto ospite intermedio.
Le principali modalità di trasmissione sono:
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Via digerente;
-
Trasmissione diretta;
-
Via transcutanea mediata da artropodi.
L’azione patogena è svolta dal verme adulto o dalla larva e comprende:
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un’azione spoliatrice;
-
un’azione meccanica;
-
un’azione granulomatosa;
-
un’azione tossica-allergica.
Sono tutti, in genere, induttori di eosinofilia.
Classificazione
Distinguiamo i platelminti e i nematelminti. i platelminti o vermi piatti a loro volta si dividono in trematodi e
cestodi. I trematodi sono:
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vermi piatti non segmentati;
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hanno un apparato digerente incompleto;
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sono ermafroditi (distomi);
-
a sessi separati (schistosomi).
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I cestodi sono:
-
vermi piatti, nastriformi, a corpo segmentato;
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patogeni per l’uomo;
-
sono presenti forme adulte, come le Tenie;
-
sono presenti forme larvali, come l’Idatidosi e cisticercosi.
Tra i nematelminti o vermi cilindrici vi sono solo i nematodi, che hanno le seguenti caratteristiche:
-
vermi cilindrici non segmentati;
-
lunghezza variabile;
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quasi sempre a sessi separati;
-
quelli patogeni per l’uomo sono Ascaria lumbricoides, Ancylostoma duodenale, Nectar americanus,
Enterobius vermicularis.
Teniasi
È un’infestazione dell’uomo da parte di forme adulte dei cestoidi Tenia Solium e Tenia Saginata. Il verme
adulto o formato da una testa o scolice e da un corpo o strobila, segmentato in proglottidi. Ogni proglottide è
ermafrodita, con apparato genitale maschile e femminile. Le uova, accumulate nella proglottide, si liberano
nell’ambiente esterno per rottura della parete della proglottide.
Tenia saginata ha dimensioni variabili da 3-10 metri per 1,5 cm. Lo scolice presenta 4 ventose e gli strobila
liberano 1400-2000 proglottidi. Le uova sono rotonde, trasparenti, di 40-50 per 20-30 µm. l’ospite
intermedio è rappresentato dal bue.
Tenia solium ha invece una lunghezza di 2-3 metri per 1 cm. Lo scolice presenta 4 ventose, con un rostro e
doppia corona di uncini. Gli strobila liberano fino a 1000 proglotidi. Le uova sono rotonde, trasparenti con
dimensioni di 40-50 per 20-30 µm. L’ospite intermedio è dato dal maiale.
Epidemiologia
Tenia saginata è presente in Europa ed in Italia, mentre Tenia solium è endemica in America, Africa, India,
Sud Est Asiatico, ed occasionale in Europa (solo Germania). L’uomo si infetta ingerendo carne di bue o di
maiale cruda o poco cotta. Ogni individuo ospita in genere un solo parassita (verme solitario).
Eziologia e Ciclo vitale
Sono grandi cestoidi, ermafroditi, lunghi vari metri e divisi in diversi segmenti che allo stato adulto
parassitano l’intestino umano. Si distinguono per le differenze tra scolice (testa) e proglottidi (uteri –
vengono eliminate già fecondate).
Le proglottidi sono espulse con le feci e si diffondono nel terreno ove sopravvivono a lungo. Se ingerite
dall’ospite intermedio (suini per T. Solium e bovini per T. Saginata), le uova si schiudono e fuoriesce
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l’embrione. Questo si localizza nei muscoli e si sviluppa in forma larvale (cisticerco). Se la carne viene
consumata, dal cisticerco si estromette il protoscolice che si fissa all’interno dell’intestino dell’uomo, che è
l’ospite definitivo, dove si nutre del contenuto intestinale e si sviluppa allo stadio di tenia adulta in 2-3 mesi,
cui segue la produzione delle uova, che sono sferiche, brune, contenente una larva a sei uncini (esacanta).
L’infestazione può durare per 2-3 anni.
Clinica
La clinica è molto simile a quella da Ascaridiasi. La sintomatologia prevalente è data da:
-
dispepsia;
-
disturbi neuropsichici;
-
manifestazioni cutanee;
-
alle volte l’infestazione è asintomatica.
Se l’uomo s’infetta con le uova di T.Solium (carne di maiale), può andare incontro alla cisticercosi, che è una
condizione legata allo sviluppo dello stadio larvale del parassita nei tessuti. Succede spesso nei muscoli,
senza danni. Può succedere nel SNC (crisi epilettiche o lesioni tumoro-simili), nell’orecchio e nell’occhio
con grosse sequele. Queste piccole cisti presentano sempre una reazione tessutale con leucociti neutrofili,
eosinofili e cellule giganti. Dopo 3-6 anni si ha la calcificazione. L’eosinofilia è moderata.
Diagnosi
Si procede alla ricerca delle uova nelle feci e nella biancheria. L’esame macroscopico delle feci prevede la
ricerca delle proglottidi. Con l’esame microscopico invece si ricercano le uova e lo scolice (dopo terapia). La
ricerca diretta si effettua con la biopsia o la sierologia (Ig specifiche).
Terapia
La terapia prevede la somministrazione di:
-
niclosamide: 2 grammi oppure 1 grammo in un’unica somministrazione. Dopo 2 ore bisogna dare un
purgante salino. La niclosamide blocca la motilità cellulare;
-
Praziquantel, non in commercio in Italia;
-
Farmaci alternativi sono Albendazolo o Zenden, e Mobendazolo o Vermex.
La terapia per la cisticercosi è prevalentemente chirurgica.
Cisticercosi
La cisticercosi è una parassitosi determinata dalla forma larvale, cisticerco, di T. solium. L’uomo è l’ospite
intermedio. La trasmissione avviene per:
-
Ingestione di alimenti contaminati dalle uova di T. solium;
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-
Autoinfestazione: Endoinfestazione dovuta a rigurgito di proglottidi nello stomaco, liberazione delle
uova, penetrazione embrione; Esoinfestazione con trasporto passivo delle uova con le mani dall’ano
alla bocca.
Ciclo biologico
Il soggetto ingerisce le uova e si ha la liberazione dell’embrione esacanto nell’intestino, con diffusione in
circolo e localizzazione ai muscoli, cuore, occhio, cervello. In questi organi il parassita è presente sotto
forma di cisticerco.
Anatomia patologica
I cisticerchi sono presenti in numero variabile da 1-2 a diverse centinaia. Si presentano come piccole
vescicole, 6-20 per 5-10 mm, contenente la larva e liquido. Il cisticerco è circondato da una reazione
flogistico-fibrotica con presenza di eosinofili e neutrofili e tendenza alla connettivizzazione. Vive in media
4-5 anni e dopo la morte va incontro a calcificazione.
Clinica
La sintomatologia è variabile in funzione del numero e della localizzazione dei cisticerchi:
-
Localizzazione muscolare: dolori muscolari, astenia;
-
Localizzazione oculare: Iridociclite, distacco della retina, strabismo, dolore, scotomi;
-
Localizzazioni cerebrali: Processo occupante spazio, con cefalea, afasia, episodi confusionali,
convulsioni, ecc…
Diagnosi
La diagnosi diretta è difficile, in quanto la biopsia non può essere sempre praticabile. La diagnostica per
immagini prevede Rx con l’identificazione delle forme calcifiche oppure TC ed RMN che risultano essere
molto più utili. La diagnosi di laboratorio prevede la fissazione del complemento, emoagglutinazione
indiretta, immunofluorescenza indiretta ed EIA.
Terapia
La terapia prevede la somministrazione di:
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Albendazolo (Zentel®): 15 mg/kg/die in 2-3 dosi per 1-4 settimane. Ripetere il ciclo per 2-3 volte;
-
Praziquantel: Non disponibile in Italia.
Associare steroidi nei primi giorni di terapia per evitare fenomeni infiammatori da degenerazione della cisti.
In casi particolari può essere praticata l’asportazione chirurgica (forma spinale e dei ventricoli cerebrali).
Idatidosi
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L’idatidosi è una parassitosi provocata dall’impianto nei tessuti della forma larvale della tenia Echinococcus
Granulosis. Colpisce ovini, bovini, suini, equini, ed occasionalmente l’uomo (ospiti intermedi). La malattia è
trasmessa dal cane (ospite definitivo). È caratterizzata dalla formazione di una o più cisti a carico di vari
organi (fegato, polmoni, ecc…).
E. granulosus è una piccola tenia di 3-6 mm di lunghezza. Lo scolice ha una grandezza di 300 µm, con
rostro, 4 ventose e 2 corone di uncini. Gli strobila liberano 3-4 proglottidi.
Epidemiologia
L’uomo è l’ospite intermedio e si infesta ingerendo le uova o per diretto contatto con il cane, che è l’ospite
definitivo. L’idatidosi è una malattia particolarmente diffusa tra le popolazioni dedite alla pastorizia e
all’allevamento del bestiame. È una malattia rurale, professionale e regionale, diffusa tra le popolazioni
dedite all’allevamento del bestiame. In Italia è diffusa al Centro-Sud ed Isole (Sardegna).
Costituisce un rilevante problema di sanità pubblica in molte aree: America Centrale e Meridionale, Europa
Occidendale e Sud-Orientale, Africa Settentrionale, Orientale e sub-Sahariana, Russia e repubbliche
contigue, Cina. L’incidenza annuale è estremamente variabile, da meno di 1/ 100.000 a più di 200/100.000.
Eziologia
L’Echinococcus Granulosis è un cestode ed in forma di piccola tenia infesta l’intestino dei canidi ed in forma
larvale l’uomo. Il verme adulto è una tenia di circa 6 mm di lunghezza con uno scolice di forma globosa,
dotato di 4 ventose ed una doppia corona di uncini. Allo scolice è attaccato lo strobila, che è il corpo,
formato da 3-4 proglottidi, ermafrodita, ognuna delle quali contiene centinaia d’uova, con un diametro di 30
µm. Ogni uova contiene una larva esacanta (embrione).
Ciclo vitale
Le uova di E. Granulosis, ingerite per via orale, superato lo stomaco, fuoriuscire l’embrione esacanto in esse
contenuto, che attraversa la mucosa del tenue raggiungendo il circolo portale. L’embrione può insediarsi nel
fegato o nel polmone, principalmente.
Una volta installatosi nei tessuti, l’embrione inizia lo sviluppo, raggiungendo in breve l’aspetto cistico,
definito idatide, che può diventare molto grande, quasi come un’arancia.
Struttura della cisti
La cisti è delimitata esternamente da una membrana reattiva che tende alla fibrosi, detta pericistio. Più
all’interno si ritrova la membrana cuticolare (1 mm), di natura chitinosa. Il rivestimento di questa membrana
è detto membrana pioligera, costituita da cellule germinative dalle quali gemmano gli accumuli cellulari che,
vacuolizzando, danno luogo alle capsule pioligere, visibili ad occhio nudo, immerse nel liquido idatideo, che
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è limpido ed incolore, costituito da sali, creatina, lecitina e glicogeno. Le capsule pioligere contengono i
protoscolici che, se diffusi per rottura della cisti, possono dar vita alla idatidosi secondaria, sebbene rara.
Il Pericistio è il tessuto fibrosclerotico formato dall’ospite. La Membrana cuticolare o ectocisti è formata da
numerose lamelle chitinose concentriche. La Membrana proligera è lo strato larvale interno sede di attiva
moltiplicazione. Capsule proligere sono formazioni rotondeggianti di 200-600 µm che si formano all’interno
della cisti per proliferazione della membrana proligera con cui sono connesse tramite peduncolo. Sulla
superficie interna si formano scolici con uncini, ognuno dei quali dà origine ad una tenia adulta. Il Liquido
idatideo ha un aspetto limpido, p.s. 1007-1009, pH 7-7,9, ricco di sali e cloruri. Contiene la sabbia idatidea
(scolici e capsule proligere vivi o morti, uncini). Le Cisti figlie esogene ed endogene si formano per
gemmazione all’interno o all’esterno della cisti principale di cui ripetono la struttura.
Patogenesi
Il danno è dovuto a:
-
Azione meccanica sulle strutture contigue;
-
Fenomeni tossico-allergici per sensibilizzazione.
Le cisti possono andare incontro a:
-
Morte e calcificazione;
-
Infezioni da batteri con la formazione di un ascesso;
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Rottura della cisti, con anafilassi, idatidosi secondaria.
Clinica
La sintomatologia dipende dal numero e dalla localizzazione delle cisti. Queste possono essere totalmente
asintomatiche o dare solo segni da compressione. Possono, inoltre, infettarsi, formando ascessi idatidei; altri
destini solo la rottura, con conseguente shock anafilattico o idatidosi secondaria, o regressione spontanea e
calcificazione.
La localizzazione epatica si verifica solo dopo anni e determina lieve insufficienza ed episodi colangitici o da
rallentamento del flusso portale, oltre che dolore e senso di pesantezza all’ipocondrio destro.
La localizzazione polmonare determina tosse secca e stizzosa, piccole emoftoe, dolore all’emitorace colpito e
ruolo favorente le infezioni bronchiali batteriche. A livello del polmone le cisti possono andare incontro
anche a rottura nell’albero bronchiale, dando vomiva idatidea (liquido e sabbia idatidea) con anafilassi.
Localizzazione ossea, cerebrale e renale (idatiduria) sono gravi per gli effetti sistemici.
Si distinguono 3 fasi nell’evoluzione della cisti:
-
Aumento di volume con fenomeni compressivi;
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-
Fissurazione della cisti con fenomeni tossico-allergici (febbre, prurito, orticaria), eosinofilia,
ascessualizzazione;
-
Rottura della cisti con anafilassi, idatidosi secondaria (rottura in sierosa), cachessia idatidea.
Diagnosi
In seguito alla rottura si può dimostrare la presenza di protoscolici e vescicole pioligere. Preziosi aiuti sono
forniti da TAC, ECO, RX e RM. Infatti la dimostrazione della presenza delle cisti avviene utilizzando queste
metodiche.
Tra le tecniche sierologiche si ricordano le tecniche di immunoelettroforesi ed ELISA con Ig idatidei
specifici standardizzati, con una sensibilità del 60-90%. Questi test sono molto utili per la diagnosi ed il
monitoraggio dell’efficacia della terapia.
Terapia.
La terapia prevede la rimozione chirurgica. La metodica pair prevede la Puntura, Aspirazione, Iniezione, Reaspirazione. Per quanto riguarda la terapia farmacologica si utilizzano l’albendazolo e il mebendazolo.
L’Albendazolo o Zentel blocca la produzione dell’ATP. Le dosi sono di 400 mg per 2 giorni per 4 settimane.
La terapia va effettuate a 3 cicli intervallati da 2 settimane di sospensione. Inoltre bisogna associare steroidi
più anticonvulsionanti, per limitare gli effetti deleteri della risposta infiammatoria nel SNC. L’albendazolo è
epatotossico. Il medendazolo o Vermox blocca l’uptake del glucosio alle dosi di 50 mg/Kg/die per 3 mesi.
Anchilostomiasi
È un’elmintiasi intestinale sostenuta dai nematodi Anchylostoma duodenale e Necator Americanus. Il verme
adulto è cilindrico, con una lunghezza di 1-2 cm. L’estremità anteriore è ricurva. La capsula orale presenta 2
paia di denti (anchylostoma) o 2 lamine chitinose (Necator). Le uova sono ellittiche, trasparenti, con 2-8
blastomeri.
Epidemiologia
Questa patologia colpisce circa 900 milioni di persone ed è presente in area compresa fra il 36° parallelo
Nord ed il 30° parallelo Sud. L’unica fonte di diffusione sono le feci umane. Un soggetto massivamente
infestato può depositare milioni di uova nei terreni agricoli ed in ambienti peridomiciliari. Un altro fattore
importante è l’abitudine a camminare a piedi scalzi ed il contatto delle mani con il terreno.
Anchilostoma è maggiormente diffuso in Africa, mediterraneo, Cina e Giappone. Necator invece è
maggiormente diffuso in America, Asia meridionale ed Australia. In Italia focolai si hanno in Sicilia,
Calabria, Emilia e Liguria. Risulta essere una malattia professionale per ortolani, contadini, minatori e
fornaciai.
Eziologia
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A. Duodenalis è cilindrico, lungo dagli 8 ai 14 mm e largo 0,5 mm, a sessi separati, dotato di una robusta
capsula buccale chitinosa con quattro denti aguzzi ad uncino; le femmine depongono circa 20.000 uova al
giorno; il pasto ematico è di circa 0,15 ml/die.
N. Americanus è più piccolo ed è provvisto di due lamine nell’apparato buccale; le femmine depongono
circa 9.000 uova al giorno; il pasto ematico è di circa 0,09 ml/die.
Ciclo vitale
Ogni femmina fecondata depone le uova da cui, dopo 24 ore, qualora le feci che le contengano vengano
eliminate in ambiente umido e temperature ottimali, fuoriesce una larva rabtidoide che si nutre di detriti
organici e che si trasforma, in seguito a due mute, in larva strongiloide infestante. Queste muoiono entro 15
giorni nell’ambiente esterno, se non riescono a penetrare nell’ospite. Nell’uomo raggiungono il circolo
venoso refluo, dove, effrangendo i capillari, cadono negli alveoli e risalgono le vie respiratori e raggiungono
il retrobocca ove sono deglutite. Questi arrivano nel duodeno-digiuno dove compiono le due ultime mute
divenendo vermi adulti. Dopo circa 40 giorni dalla penetrazione attraverso la cute inizia l’eliminazione
fecale delle uova e l’infestione, se non si verificano altri contagi, si estingue in 7-10 anni.
Patogenesi
Entrambi aderiscono alla mucosa di digiuno e ileo per assumere il pasto ematico che viene ingerito con circa
100-200 movimenti ritimici al minuto. L’esaurimento delle riserve marziali e l’anemizzazione sono evidenti
quando la carica infestante è di circa 500-1000 vermi.
Clinica
Esiste una forma paucisintomatica. In tutti i casi, comunque, esistono due fasi precise:
-
Invasione: fugaci eritemi papulosi nella sede di penetrazione cutanea e sindrome di Loeffler
(mucosite, tosse, disfonia e disfagia) durante il transito nelle vie aeree;
-
Stato: disturbi digestivi e sindrome anemica. A volte sono associati disturbi nervosi e puntate
febbrili. Sono frequenti onicomalacia e coilonichia.
Diagnosi e prognosi
La diagnosi si fonda sulla dimostrazione delle uova nelle feci con esame microscopico. Le uova sono
ellissoidali, delimitate da una sottile membrana, contenenti da 4 a 8 blastomeri. La prognosi è in diretto
rapporto con la carica parassitaria, diventando grave quando i nematodi sono più di 1000.
Terapia
La terapia farmacologica prevede la somministrazione di:
-
Mebendazolo o Vermox: 200 mg/die per 2-3 giorni per os;
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-
Albendazolo o Zentel: 400 mg in dose unica, oppure 200 mg/die per 3 giorni.
In caso di anemia sideropenica effettuare la somministrazione di ferro.
Ascaridiasi
È una infezione intestinale sostenuta dal nematode Ascaris Lumbricoides. Il verme adulto ha una forma
cilindrica ad estremità assottigliate. Il maschio ha dimensioni di 15-18 cm per 3-4 mm, mentre la femmina ha
dimensioni di 20-30 cm per 5 mm. Le uova sono ellissoidali, con dimensioni di 50-70 µm per 40-60 µm,
mammellonate.
Epidemiologia
L’ascaridiasi colpisce circa un miliardo di persone in tutti i paesi del mondo, specialmente tra 3 e 9 anni
d’età. È più frequente nei paesi caldi e nella popolazione infantile.
Eziologia
Ascaris Lumbricoides è rotondo, lungo 15-35 cm ed il maschio è di grandezza inferiore alla femmina.
Nell’uomo infesta il digiuno e l’ileo con una vita media di 12-24 mesi. Produce circa 200.000 uova al giorno
(40 x 60 µm), con superficie mammellonata e sono emesse nelle feci e non sono subito infestanti, maturando
in 5-10 giorni, hanno spiccata resistenza:
-
6 anni al caldo-umido;
-
2 anni a 5-10°C;
-
3 settimane se essiccate.
Ciclo vitale e patogenesi
Se l’uovo maturo è ingerito, arrivato nel tenue la larva strongiloide in esso racchiusa perfora il guscio e
migra. Attraverso la parete intestinale ed il peritoneo giunge al fegato, da cui, per via ematica, raggiunge il
cuore destro ed i polmoni. Così come avviene per A. Duodenalis e N. Americanus, dopo la terza muta
effrange i capillari e risale l’albero bronchiale e viene deglutito, fino a stabilirsi nel tenue dopo subisce
l’ultima muta. Dopo 2-3 mesi compaiono le prime uova nelle feci. Le uova contengono inizialmente una
larva rabtidoide che dopo due mute diventa larva strongiloide con potere infestante nell’arco di 5-10 giorni.
Queste uova hanno alta adesività a frutta e ortaggi.
Clinica
Anche qui si distinguono due periodi:
-
Periodo di invasione: Sindrome di Loeffler e spiccata eosinofilia durante la fase iniziale, che culmina
nella 3° settimana e tende a regredire con calma;
-
Periodo di stato: disturbi addominali, dispepsia, disturbi neuro-vegetativi e manifestazioni cutanee.
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Alla fase intestinale corrisponde la cosiddetta sindrome verminosa: febbricola, irrequietezza, tic,
digrignamento dei denti, enuresi, tosse, orticaria, anoressia e perversione del gusto. Può essere causa di ileo
meccanico infantile. È possibile la colonizzazione del coledoco con ittero ostruttivo.
L’infezione può essere leggera, con 10-200 individui e nelle feci si avranno circa 20 uova al giorno. Nella
fase pesante, si possono avere 200-1000 individui e più di 200 uova al giorno nelle feci.
Le forme massive possono esitare in addome acuto.
Diagnosi
Reperti di laboratorio sono l’Eosinofilia. L’Rx con doppio contrasto risulta radiopaco. La diagnosi di effettua
con dimostrazione delle uova nelle feci tramite esame parassitologico delle feci.
Terapia
La terapia farmacologica prevede:
-
Mebendazolo o Vermex: 200 mg/die per 2-3 giorni;
-
Albendazolo o Zentel: 400 mg dose unica o 200 mg/die per 3 giorni.
Ossiuriasi
È sostenuta dal nematode Enterobius Vermicularis. Il verme adulto ha una forma cilindrica con estremità
affilate. I maschi hanno dimensioni di 2-5 mm per 150 µm, mentre la femmina 9-12 mm per 400 µm. le uova
hanno dimensioni di 50-60 µm per 30 µm oblunghe, asimmetriche, con faccia ventrale piatta.
Epidemiologia
Il contagio avviene attraverso ingestione di uova situate sulle mani (autoinfestazione) o su oggetti
contaminati. La parassitosi è ubiquitaria ed è più frequente nell’infanzia. Sono possibili epidemie familiari.
Eziologia
Enterobius Vermicularis, conosciuto anche come Ossiuro, è un nematode lungo 2-5 mm (maschio) e 9-12
mm (femmina), snello, biancastro, con due creste longitudinali laterali.
Ciclo vitale e Patogenesi
Il verme, allo stadio adulto, vive nella parte più distale del tenue, nell’appendice e nel cieco, ove ha luogo
l’accoppiamento. Le femmine gravide, dopo un mese dalla infestazione, migrano di notte all’esterno e
depongono le uova nelle pliche muco-cutanee perianali. Le uova contengono una larva che ha già compiuto
due mute ed è infestante. Le uova possono resistere circa due settimane nell’ambiente esterno. Quando
ingerite, la larva esce nel duodeno subendo le ultime due mute, raggiungendo lo stadio adulto e si localizza a
livello della mucosa cecale. Il ciclo biologico si compie in 20-40 giorni.
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Clinica
Tipico e costante è il prurito anale e perianale, motivo di insonnia, irritabilità e lesioni traumatiche. Nelle
donne si possono avere complicazioni ginecologiche, come vaginiti. Frequenti sono i disturbi intestinali del
tutto aspecifici, come anoressia, dolenzia alla palpazione della fossa iliaca destra ed irregolarità dell’alvo.
L’eosinofilia è in genere modesta.
Oltre al prurito anale può esservi presente anche prurito vulvare, con disturbi intestinali, manifestazioni
neuro-psichiche. Nelle forme massive le feci assumono un aspetto a formaggio grattugiato.
Diagnosi e prognosi
La diagnosi viene effettuata con il solo esame macroscopico delle feci per la ricerca delle uova. Il test prende
il nome di Scotch test. Le feci, in genere, sono ricoperte dalle uova e dai vermi, conferendo un tipico aspetto
a formaggio grattugiato; questo vale per le forti infestazioni.
Per le infestazioni lievi, si ricorre alla ricerca delle uova depositate nella regione peri-anale mediante lo
Scotch-Test. La prognosi è, in genere, benigna.
Terapia e profilassi
La terapia prevede la somministrazione di:
-
Pirantel pamotato o Combantrin: 11 mg/kg, massimo 1 grammo, in dose unica;
-
Mebendazolo o Vermox: 100 mg per os in dose unica;
-
Albendazolo o Zentel: 400 mg in dose unica.
Il trattamento va ripetuto dopo 2 settimane e bisogna trattare tutti i conviventi.
La profilassi prevede la somministrazione di Vermex a tutti i componenti del nucleo familiare e la
sterilizzazione della biancheria personale e degli effetti letterecci a 90°C ogni giorno; è necessario lavarsi le
dita con lo spazzolino (soprattutto sotto le unghie).
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APPENDICE
Sifilide
La sifilide, o lue, è una malattia infettiva contagiosa sostenuta da Treponema pallidum, generalmente
trasmessa con i rapporti sessuali (forma acquisita) ma può essere anche trasmessa durante il parto (forma
congenita).
Epidemiologia e patogenesi
Presente in tutto il mondo, la sifilide è ancora oggi una delle più comuni malattie contagiose; predilige l’età
giovanile, epoca di maggiore attività e promiscuità sessuale. La trasmissione avviene comunemente per
contatto sessuale diretto. La fonte d’infezione è costituita dalle lesioni luetiche (sifiloma iniziale; papule
cutanee e mucose del periodo secondario, specie se umide, localizzate all’ano, alle labbra e al cavo orale) e
dalle secrezioni patologiche. La malattia può essere anche trasmessa dalla madre al prodotto del
concepimento, oppure accidentalmente con trasfusioni di sangue contenenti treponemi.
Penetrati attraverso piccole abrasioni della cute o le mucose integre, i treponemi giungono al sistema
linfatico e quindi si disseminano per via ematogena. Dopo l’infezione si realizza una risposta immune
(umorale e cellulo-mediata).
Anatomia patologica
Le lesioni tipiche constano di fenomeni vasculitici (endoarteriti, infiltrati infiammatori periarterosi) e in
proliferazione fibroblastica che conduce a sclerosi e cicatrizzazione.
Sintomatologia
Sifilide acquisitita
Nella lue acquisita si distinguono i seguenti periodi: sifilide iniziale, sifilide secondaria, sifilide latente,
sifilide tarda o terziaria che a sua volta comprende la forma tarda benigna o gommosa, la lue
cardiovascolare e la neurolue.
-
Sifilide primaria: La lesione principale (sifiloma) compare nel punto di penetrazione dei treponemi
dopo un periodo d’incubazione di 10-90 giorni (media 20). E’ all’inizio costituita da una papula, che
si trasforma presto in un’erosione non dolente, di colore rosso scuro. Il sifiloma, unico o multiplo, ha
sede per lo più ai genitali (prepuzio, solco balano prepuziale, meato urinario, piccole labbra, collo
uterino). Coesiste abitualmente un’adenopatia satellite, con linfonodi induriti, mobili, non dolenti. La
lesione, anche se non trattata, evolve spontaneamente verso la cicatrizzazione in 30-40 giorni.
-
Sifilide secondaria: Da 6 a 8 settimane dopo il sifiloma, si presentano i segni della lue secondaria,
localizzati alla cute e alle mucose. Le lesioni cutanee sono spesso di tipo eritematoso. Anche alle
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mucose (labbra, orofaringe, mucose genitali e anali) possono svilupparsi, da sole o in associazione
con lesioni cutanee, placche eritematose non dolenti o erosioni bianco-grigiastre. Talora sono
interessati l’apparato pilifero e le unghie. Nel periodo secondario sono presenti segni di
compromissione sistemica, quali febbricola, anoressia, cefalea, artralgie, perdita di peso. Aumento
della VES, anemia, leucocitosi con linfocitosi assoluta.
-
Sifilide latente: Inizia dopo il termine del periodo precedente e dura fino alla comparsa delle
manifestazioni terziarie: viene abitualmente divisa in due periodi, latenza iniziale e tardiva, a
seconda che l’infezione risalga a meno o più di 4 anni. Nella fase di latenza iniziale il 20-30% dei
pazienti mostra una o più recidive consistenti nella ricomparsa delle lesioni mucocutanee tipiche
dello stadio secondario. La lue latente tardiva non è invece contagiosa.
-
Sifilide terziaria: Oggi assai rara, si verifica nel 15-20% dei pazienti infettati dal treponema anche
fino a 20 anni prima. Le lesioni sono profonde, destruenti, non contagiose e possono interessare tutti
gli organi. In particolare le lesioni più tipiche sono localizzate alla cute (lue benigna tardiva) e
consistono in tubercoli e sifilodermi gommosi. All’apparato cardiovascolare la sifilide determina la
comparsa di aortite e complicanze di questa quali insufficienza aortica e aneurismi. La neurolue può
essere asintomatica dimostrabile solo in base alle modificazioni del liquor, oppure manifestarsi come
miningovascolare o parenchimale.
Sifilide congenita
Lo sviluppo placentare permette il passaggio di T. pallidum al prodotto del concepimento in genere solo
dopo la 16° settimana di gestazione. Il 25% dei feti muore in utero, 25-30% decede dopo la nascita, gli altri
sopravvivono e mostreranno i segni d’infezione.
I nati vivi saranno affetti da sifilide congenita precoce (entro 2 anni di vita) oppure sifilide congenita tarda
(in questo caso mostreranno solo positività sierologica). Tra le cosiddette stigmate luetiche, esito di lesioni
precoci, ricordiamo le più note: anomalie dentarie (denti di Hutchinson), oculari (cheratite interstiziale) e
dell’orecchio (ipoacusia da otolabirintite).
Diagnosi
E’ fondata sull’identificazione dei treponemi su materiali patologici e su metodi sierologici. La
dimostrazione dei microrganismi in strisci di essudato ottenuto su lesioni cutanee e mucose o in sezioni di
linfonodo può essere effettuata con osservazione microscopica in campo oscuro. Estremamente utili sono le
prove sierologiche per la ricerca di anticorpi:
-
anti-lipoidei (anticorpo di Wassermann), evidenziabile con la reazione di fissazione del
complemento, utilizzando come antigene la cardiolipina, con aggiunta di lecitina e colesterina.
L’anticorpo di Wassermann può essere anche rilevato anche con la reazione di microflocculazione
VDRL (venereal diseases research laboratory test) utilizzando antigeni fosfolipidici;
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-
Anti-proteici, evidenziabili con la reazione di fissazione del complemento utilizzando come antigene
il ceppo di Reiter;;
-
Anti-polisaccaridici, rilevabili con il test di immunofluorescenza indiretta, FTA-ABS (absorbed
fluorescent treponemal antibody test) e con quello di emoagglutinazione, TPHA (treponema
pallidum haemo-agglutination).
Ricordiamo che nella sifilide primaria compaiono precocemente IgM anti-Treponema, nella sifilide
secondaria si rilevano sia IgM che IgG, nella fase di latenza IgG, mentre le IgM compaiono esclusivamente
in caso di persistenza dello stimolo antigene esercitato dai treponemi.
Risulta chiaro quanto possa essere utile individuare IgM specifiche anti-Treponema per una diagnosi precoce
di infezione primaria, e per discriminare tra lue attiva (presenza di IgM) e lue latente (assenza di IgM).
Terapia
Somministrazione di penicillina secondo vari schemi di trattamento.
MALATTIA DI LYME
È una malattia infettiva a decorso in più fasi causata dalla Borrelia burgdorferi, trasmessa dalla
puntura di una zecca del genere Ixodes.
La Borrelia Burgdorferi è stata responsabile di una epidemia del 1975 nella città di Lyme e fu
isolata nel 1981, appartiene al genere Spirocheta (che comprende Treponema, Borrelia e
Leptospira).
Le Spirochete sono microorganismi di forma allungata avvolta a spirale con caratteristiche
intermedie tra batteri e protozoi. Sono gram -, asporigeni, acapsulati, mobili. Non sono coltivabili in
vitro e sono visibili al microscopio ottico (tranne il Treponema che richiede il microscopio a
contrasto di fase) dopo colorazione con impregnazione argentica o MGG nel caso della Borrelia.
La Borrelia burgdorferi è microaerofilo flagellato, possiede una membrana citoplasmatica interna ed
esterna, è la più lunga, la più sottile e quella con meno flagelli di tutte le Borrelie.
La trasmissione all’uomo dell’infezione avviene tramite la puntura della zecca Ixodes che in Europa
predilige il clima caldo umido temperato, non oltre i 1200 m di altezza, specie vicino alle zone
boschive.
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Le zecche adulte che fanno un pasto breve parassitano i mammiferi mentre le zecche giovani (ninfe)
che fanno un pasto più lungo parassitano i roditori. Poiché la trasmissione della Borrelia richiede il
contatto prolungato i veri serbatoi dell’infezione sono i roditori.
La Borrelia si moltiplica nel punto di inoculo e quindi diffonde nel sottocutaneo e nei vasi. Tramite
la diffusione ematogena la Borrelia raggiunge diversi organi tra cui meningi, miocardio, retina,
muscoli, osso, fegato, milza e SNC.
L’invasività del batterio è causata all’adesione sulla sua superficie del plasminogeno e del suo
attivatore che ne determina la trasformazione in plasmina che rappresenta una potente proteasi.
La risposta immunitaria è tardiva (IgM dopo 6 settimane quindi IgG) e si hanno manifestazioni
generali indotte dal TNF e dall’IL-β e formazione di IC e crioglobuline.
La Borrelia negli individui non trattati è in grado di persistere per anni nelle articolazioni, nella cute
e nel SNC.
Clinica
Il periodo di incubazione assai variabile: da 3 a 30 giorni. Nei pazienti non trattati la malattia evolve
caratteristicamente in 3 stadi (l’antibioticoterapia instaurata a qualsiasi livello può modificare o
sopprimere l’evoluzione):
-
Primo stadio: dura alcune settimane con autorisoluzione, è caratterizzato dal tipico eritema
cronico migrante che è una papula rossa che si espande formando una lesione anulare con
bordi rilevati eritematosi e centro di colorito accesso ad evoluzione vescicolare o necrotica.
La lesione è calda e dolorabile ed è presente linfoadenopatia regionale. Alcuni giorni dopo
l’insorgenza della lesione primitiva nel 50% dei casi si osservano lesioni secondarie simili.
La regressione è spontanea e si attua nell’arco di qualche settimana. È presente inoltre
febbre, malessere generale, cefalea e artromialgia;
-
Secondo stadio: Si presenta nei mesi successivi con alterazioni neurologiche:
poliradiculonevrite, meningoradiculonevrite, quindi meningite a liquor limpido, lieve
encefalite, nevrite dei nervi cranici e mielite. Nel 5% dei casi si verifica interessamento
cardiaco con blocco A-V di grado variabile, miocardite e pericardite. Si ha inoltre astenia
intensa, sintomatologia muscolo-scheletrica migrante soprattutto delle grandi articolazioni
(tipo monoartrite di breve durata). La risoluzione clinica avviene in alcune settimane ma si
possono avere recidive;
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-
Terzo stadio (60% dei pazienti non trattati): Dopo mesi o anni dall’esordio dell’infezione
compaiono poliartriti a decorso intermittente o cronico di durata maggiore (anche 1 anno)
con artrite erosiva (presenza nel liquido sinoviale di neutrofili e IMC) a carico delle
grandi/piccole articolazioni. È presente inoltre encefalomielite cronica demielinizzante
progressiva con deficit del VII e VIII nervo cranico (DD con sclerosi multipla) che interessa
la memoria, l’umore, il sonno ed il linguaggio. Può essere presente anche acrodermite
cronica atrofizzante: lesione violacea che diventa quindi sclerotica ed atrofica.
Diagnosi
La ricerca di IgM e IgG ha problemi di sensibilità e specificità: a causa della risposta tardiva
dell’ospite si ha positività nella fase acuta del 40%, dopo 4 settimane del 70%, dopo 6 settimane del
90%. Le IgM e le IgG vengono ricercate o con tecniche immunoenzimatiche o con il Western Blot.
Nella neuroborreliosi è importante la ricerca degli Ab specifici nel liquor ed il rapporto tra Ig
specifiche liquor/Ig specifiche sangue e Ig totali liquor/Ig totali sangue: se è 1 significa che si ha
passaggio di Ig attraverso la BEE mentre se è superiore a 1 significa che si ha produzione di Ig in
loco. Questo è importante per la DD con il tetano in cui non ci sono Ig specifiche nel liquor e non
c’è loro produzione locale. Nell’artrite si può fare la ricerca del genoma batterico con PCR.
Terapia
Va fatta per 3-4 settimane (anche per 2 mesi nelle artriti), e prevede l’utilizzo di:
-
doxiciclina 100 mg x 2 os 21-28 giorni;
-
amoxicillina 500 mg x 4 os 20-30 giorni;
-
cefuroxime 500 mg x 2 im 20-30 giorni;
-
ceftriaxone 2 g im 14-28 giorni;
-
penicillina 5.000.000 x 4 ev 30 giorni nelle fasi avanzate della malattia.
LEPTOSPIROSI
È una antropozoonosi sostenuta dalla Leptospira. La Leptospira appartiene al genere delle
Spirochete (poco colorabili con il metodo di Gram), è visibile in campo oscuro (tendono a ruotare
su loro stesse) o con impregnazione argentica, ha crescita lenta in terreni contenenti alcoli o acidi
grassi a lunga catena. Le forme patogene appartengono alla specie Leptspira interrogans che è
divisa in sierogruppi che hanno l’antigene somatico in comune e differiscono per gli antigeni di
superficie.
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I diversi sierogruppi sono correlati ad un diverso serbatoio animale:
-
L. batavia: Micromys minutus porcinus;
-
L. icterohaemorragiae: ratto;
-
L. pomora: maiale;
-
L. canicola: cane.
Gli animali sono portatori occasionali, transitori o permanenti. Nell’animale l’infezione si localizza
a livello dei tubuli contorti di II ordine e del bacinetto renale e si ha quindi eliminazione delle
Leptospire con le urine.
Le Leptospire sono in grado di sopravvivere a lungo anche per mesi nelle acque stagnanti, nelle
risaie e nel fango che vengono contaminati dalle urine infette.
L’infezione dell’uomo avviene accidentalmente per contatto con la cute bagnata soprattutto in
soggetti che permangono a lungo in acqua come pescatori, in cui si verifica macerazione della cute
da parte dell’acqua.
La penetrazione può avvenire anche attraverso le mucose come le congiuntive. Dalla cute le
Leptospire invadono il torrente circolatorio dando luogo ad una prima fase setticemica quindi
compaiono gli Ab specifici e scompaiono le Leptospire dal sangue circolante, si verifica infatti
opsonizzazione con presenza di IC e clearance RE (che può determinare sequele da IC).
La diffusione sistemica produce endotelite e vasculite sistemica; dopodiché si passa alla fase di
localizzazione d’organo. Le Leptospire hanno un particolare tropismo d’organo per meningi,
corticale renale (tubuli contorti distali) e fegato.
La gravità della malattia dipende dal sierotipo interessato e varia da forme asintomatiche a forme
letali.
Clinica
Il periodo di incubazione è di 1-2 settimane.
-
Morbo di Weil (L. icterohaemorrhagiae): Ha inizio brusco con brividi, febbre a 39-40°,
mialgie intense e diffuse, artralgie, cefalea, anorresia, nausea, vomito, congiuntivite,
bradicardia relativa ed epatosplenomegalia (DD con normale quadro settico). Questa
sintomatologia dura per 5-7 giorni poi la febbre scende per lisi e si ha un intervallo apiretico
di 1-2 giorni dopo di che compare la fase itterica con ittero color arancio (perché all’ittero si
6
associa a vasodilatazione periferica) ed epatomegalia con modico incremento delle
transaminasi (d.d. epatite virale), incremento della fosfatasi alcalina e iperbilirubinemia
indiretta (per emolisi e deficit di captazione). L’altro aspetto importante è il danno renale
con albuminuria, cilindruria (d.d. sindrome epatorenale), microematuria, iperazotemia;
spesso è necessario ricorrere alla diagnosi. Si possono avere anche manifestazioni
emorragiche dovute a capillarite e piastrinopenia come epistassi, petecchie, emorragie
congiuntivite o polmonite o ARDS o miocardite. Si verifica quindi caduta della febbre per
lisi dopo 14-20 giorni con regressione dell’ittero e dell’insufficienza renale. Quadri gravi
sono caratterizzati da stato stuporoso e IRC.
-
Sindrome meningea a liquor limpido (L. pomona, L. canicola, L. batavia): Il decorso è
spesso bifasico con prima fase febbrile, poi miglioramento e quindi seconda fase con febbre
e sintomi meningei. Essendo una meningite a liquor limpido va distinta da quelle ad
eziologia virale: in questo caso la patogenesi è da IMC e non da azione diretta della
Leptospira, che non è presente. È presente cefalea intensissima, mialgie intense ed
eventualmente esantema, e congiuntivite concomitante. La durata è di circa 10 giorni.
-
Forme afebbrili pure: Il decorso è aspecifico, prevalgono le mialgie e vi è una lieve
sofferenza epatica. La diagnosi è per lo più retrospettiva anche perché sono a risoluzione
spontanea.
Diagnosi
È presente leucocitosi neutrofila e incremento della VES, aumento di CPK e FA. L’emocoltura è
positiva nella fase acuta mentre dopo 2-3 settimane l’isolamento delle Leptospire va fatto nelle
urine. Le indagini sierologiche si basano su prove di agglutinazione: la sieroconversione è però
tardiva, in quanto richiede fino a 30 giorni. Tecniche ELISA sono in grado di evidenziare IgM
specifiche anche in 3-4° giornata.
Terapia
La terapia è tanto più efficace quanto più precoce. Si basa su penicilline (in alternativa
cloramefenicolo o tetracicline), ma l’efficacia non è comprovata nella fase tardiva della malattia.
DIFTERITE
È una infezione acuta contagiosa causata dal Corynebacterium Diphteriae, con formazione di
pseudomembrane grigiastre a carico delle prime vie respiratorie.
Eziologia
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Cocco gram +, aerobio, asporigeno, immobile. Nelle colture i batteri sono presenti in diverse fasi di
separazione e simulano gli ideogrammi dell’alfabeto cinese perciò si dice che hanno disposizione “a
lettere cinesi”. Crescono in concentrazioni di tellurito di potassio tossiche per altri batteri e ciò
viene sfruttato per allestire terreni selettivi. Presentano granulazioni metacromatiche polari e interne
(reperto incostante negli stadi di quiescenza o su crescita in presenza di sali di tellurio). Si possono
distinguere 3 differenti tipi: Gravis, Intermedius, Mitis.
I ceppi in grado di dare la difterite sono solo i ceppi tossinogenici infettati dal fago B che è in grado
di integrare il suo genoma sotto forma di profago e contiene il gene tox + responsabile della
produzione della tossina difterica.
Epidemiologia
Il Corynebacterium Difteriae è un parassita obbligato dell’uomo. La trasmissione avviene in modo
sia diretto che indiretto per via inalatoria, la contagiosità non è elevata (10-20%).
Individui a rischio sono soggetti non vaccinati o immunodepressi che dopo la vaccinazione non
esprimo Ab (individui non responsivi al vaccino). La vaccinazione non protegge contro lo stato di
portatore e non protegge oltre i 10 anni, ma ha diminuito la probabilità di portatori di ceppi
tossinogenici. Il microrganismo possiede una modesta invasività e pertanto resta localizzato nella
primitiva sede di impianto mentre la tossina difterica oltre ad esplicare la sua azione locale diffonde
nel sangue e determina le manifestazioni sistemiche.
Patogenesi
La tossina difterica è una esotossina che blocca la sintesi proteica inibendo la incorporazione degli
aminoacidi attivati sui ribosomi. È responsabile di:
-
lesioni necrotiche locali che determinano la formazione delle pseudomembrane
rappresentate da un coagulo denso formato da fibrina, leucociti e cellule necrotiche;
-
fenomeni tossici sistemici: miocardite, demielinizzazione, NTA.
Clinica
Il periodo di incubazione è di 2-4 giorni. Le manifestazioni cliniche iniziali sono dovute alla
localizzazione del batterio ed alla produzione locale della tossina:
-
angina difterica (faringite): è presente febbre moderata, malessere generale e astenia. Il
faringe si presenta arrossato, edematoso, coperto da essudato che tende a formare le
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pseudomembrane di colorito grigiastro, maleodoranti, che non si sciolgono in soluzione,
debordano dalle logge tonsillari ed invadono palato molle, ugola, retrofaringe. Sono molto
tenaci ed aderenti ai piani sottostanti e si asportano con difficoltà lasciando la base di
impianto
abrasa
e
sanguinante.
È
presente
linfoadenopatia
laterocervicale
e
angolomandibolare (adenopatia satellite). È importante la d.d con la mononucleosi in cui le
pseudomembrane sono costituite da cellule e fibrina, non debordano e si dissolvono in
soluzione. Gli indici aspecifici di malattia sono alterati, è presente leucocitosi neutrofila e la
risoluzione si ha in 8-10 giorni;
-
forma laringea: si formano le pseudomembrane che sono meno aderenti visto che è presente
un epitelio cilindrico ciliato e non pavimentoso pluristratificato. Può assumere un carattere
di gravità nella fase acuta in quanto le pseudomembrane insieme all’edema possono
ostacolare il transito aereo soprattutto nei bambini piccoli, dove si può avere il tipico quadro
definito CROUP caratterizzato da dispnea inspiratoria, disfonia e stridore laringeo, che
evolve verso l’ostruzione laringea completa con soffocamento. Importante la DD con
pseudocroup del bambino;
-
forma tracheobronchiale;
-
rinite difterica: è prevalente nel bambino piccolo ed è afebbrile. È presente una secrezione
sieroematica dalle narici e piccole ulcere rotondeggianti con pseudomembrane grigiastre
(coriza difterica);
-
difterite cutanea: si manifesta con ulcere cutanee croniche non dolenti, non progressive,
raramente segni tossici sistemici;
-
altre localizzazioni: onfalite, vulvovaginite, otite, congiuntivite.
Le manifestazioni sistemiche dovute all’azione della tossina si hanno soprattutto in caso di angina
difterica visto che il faringe è riccamente vascolarizzato. Le complicanze sono rappresentate
principalmente da:
-
miocardite: compare in genere alla fine dell’angina. Può comparire in forma subdola nel
66% dei casi o con disfunzione cardiaca nel 10-25% dei casi. Dopo 1-2 settimane
compaiono inizialmente segni di alterata conducibilità elettrica (alterazioni ST e onda T,
blocco AV di 1° grado o più severo, dissociazione AV etc…) e quindi di insufficiente
contrattilità (riduzione della PA, tachicardia sproporzionata alla febbre, aia cardiaca
ingrandita, toni parafonici, ritmo di galoppo, alterazione della frazione di eiezione visibile
all’ecocardiogramma, dispnea fino all’insufficienza cardiaca congestizia), si hanno inoltre
alterazioni enzimatiche simili all’infarto (incremento di GOT e CPK) e la letalità è del 5060%;
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-
Neuropatie: sono complicanze tardive (dopo 2-3 settimane) dovute a fenomeni di
demielinizzazione, proporzionali alla severità dell’infezione primaria (non compaiono nelle
forme lievi, mentre nel 75% delle forme gravi). Nei primi giorni si ha paralisi del palato
molle e del retrofarige con rigurgito e rinolalia, successivamente compare paralisi dei nervi
cranici II, IV e VII, dopo 2-10 settimane compaiono polinevriti degli arti inferiori
simmetriche con debolezza, iperreflessia fino alla paralisi totale (andamento discendente al
contrario della sindrome di Guillain-Barrè che è ascendente). La prognosi è buona con
restitutio ad integrum. DD con botulismo: non è presente interessamento autonomico perciò
non c’è midriasi, secchezza della fauci etc… ma solo disturbi motori.
Diagnosi
Viene fatto l’isolamento dal tampone faringeo tramite esame diretto con colorazione di Neisser che
evidenzia i granuli metacromatici (indice di attiva replicazione) e le figure cinesi e coltura su terreni
selettivi (terreno di Loeffler o terreno al tellurio).
Terapia
Importante la terapia tempestiva con antisiero a base di antitossina difterica che neutralizza la
tossina in circolo prima del suo ingresso nelle cellule.
L’efficacia è inversa alla durata della malattia, la dose è diversa a seconda della localizzazione
primaria:
-
20-40.000 unità per la faringite;
-
40-60.000 unità per le forme nasofaringee;
-
80-100.000 unità per le forme di durata maggiore ai 3 giorni.
La desensibilizzazione alla Besredka, consiste nella somministrazione frazionata di dosi progressive
ogni 15 minuti. È importante tenere a disposizione l’adrenalina e l’idrocortisone in caso di shock
anafilattico.
Va fatta anche antibioticoterapia con penicillina e eritromicina per 14 giorni ed è necessario avere
almeno 3 colture negative dopo gli antibiotici. Nel sospetto diagnostico si deve iniziare la terapia in
attesa dei risultati delle indagini di laboratorio.
Il vaccino è obbligatorio e viene fatto con anatossina associata a quelle tetanica e pertossica
(vaccino trivalente DPT), può essere fatto il richiamo nell’adulto. Per vedere se l’individuo è
immune verso la difterite viene fatto il test di Schock che consiste nell’inoculazione intradermica di
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una piccola quantità di tossina: se gli Ab sono presenti si ha neutralizzazione della tossina e nessuna
reazione cutanea, se non sono presenti si ha edema localizzato con necrosi nel punto di
inoculazione.
PERTOSSE
Malattia acuta delle vie aeree ad andamento clinico tendenzialmente cronico causata da un batterio,
la Bordetella pertussis; i Cinesi la chiamano “tosse dei 100 giorni” per sottolinearne la notevole
durata; l’altra denominazione popolare “tosse canina” è in realtà poco appropriata perché il tipico
“urlo” inspiratorio abbaiante non è presente in tutti i pazienti. Il termine pertosse (lett.: tosse
insistente) fu invece coniato da Sidenham nel 1679 ed è ancora valido.
Agente eziologico
La B. pertussis fu isolata per la prima volta nel 1900 da Bordet e Gengou nel terreno di coltura che
porta il loro nome: altre specie correlate sono la B. parapertussis e la B. bronchiseptica: tuttavia
poiché non producono la tossina della pertosse causano affezioni respiratorie assai più lievi,
oltretutto opportunistiche. B. pertussis è un coccobacillo G- molto esigente in termine di coltura e a
lenta crescita: cresce bene sul terreno di Bordet e Gengou, arricchito di NADH, formando in 3-6 gg
colonie puntiformi circondate da un alone di emolisi.
Il solo ospite conosciuto è l’uomo. La bordetella condivide con altri patogeni un meccanismo
preciso per la regolazione dell’espressione dei suoi fattori di virulenza in risposta ai diversi stimoli
ambientali: questi meccanismi comprendono la modulazione antigenica e la variazione di fase:
secondo alcuni entrambe potrebbero facilitare l’eliminazione del microrganismo dal tratto
respiratorio, diminuendo l’espressione dei fattori di adesione alla mucosa e consentendo la
sopravvivenza in condizioni ambientali ostili; oppure potrebbero permettere la sopravvivenza in
sede intracellulare, inducendo uno stato di quiescenza ed eliminando i bersagli antigenici della
risposta immune contro di essa.
Patogenesi
Il germe ha diversi fattori di virulenza:
-
fattori di adesione alla mucosa bronchiale: fimbrie e pili; le fimbrie inducono la produzione
di agenti agglutinanti e sono pertanto detti agglutinogeni (2 esempi possono essere
l’emagglutinina filamentosa e la pertactina: esse consentono l’adesione alle cellule ciliate
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ma anche di altro tipo); queste adesine presentano sequenze ripetute di Arg e Asp e rientrano
pertanto nella superfamiglia delle integrine eucariotiche;
-
tossine: risultano essere varie. La citotossina tracheale ciliostatica blocca la scala mobile
mucociliare e predispone alla superinfezione anche da parte di altri patogeni tipicamente
polmonari e non. Questa tossina agisce andando a modulare l’attività dell’adenilato ciclasi e
blocca la fagocitosi. Il LPS differisce in parte dall’endotossina degli altri G- ma svolge lo
stesso un ruolo in quanto Ab anti-LPS sono protettivi e l’LPS è una componente del vaccino
antipertosse a subunità. La PT (tossina pertossica) è conforme al modello generale delle
esotossine enzimatiche batteriche, in quanto possiede una subunità A in cui risiede la
componente enzimatica e la subunità B, con funzione di adesività; la subunità catalizza
l’ADP-ribosilazione di certe proteine endocellulari regolatrici come la proteina G; ciò
produce una varietà disparata di effetti che comprendono l’inibizione della migrazione
linfocitaria, la sensibilizzazione all’istamina (in parte dovuta all’aumentata produzione di
IgE) e l’incremento della secrezione insulinica in risposta alla stimolazione β-adrenergica.
Ciò che in ultima istanza provoca la tipica tosse parossistica non è però ben chiaro: la PT riveste
sicuramente un ruolo poiché bambini immunizzati col solo tossoide sviluppano una malattia grave
con frequenza inferiore dell’80-90% rispetto ai controlli.
La sequenza patogenetica è la seguente:
-
colonizzazione del tratto respiratorio superiore e adesione alle cellule ciliate;
-
moltiplicazione attiva;
-
danno mucosale e induzione della tosse parossistica.
Epidemiologia
La pertosse è estremamente contagiosa: la probabilità di infettarsi da parte di familiari non
immunizzati del malato è virtualmente del 100%. La trasmissione è per via aerea attraverso le
goccioline di Flugge.
Prima dell’introduzione del vaccino in USA venivano riportati circa 150 casi per 100000 abitanti,
con epidemie ogni 3-4 anni. Lo zenith fu raggiunto negli anni ’40, in cui la pertosse fece più vittime
della difterite, della poliomielite, del morbillo, della meningite e della scarlattina messe assieme.
Dopo l’introduzione del vaccino DPT, l’incidenza è calata di 100-150 volte. Al giorno d’oggi quasi
la metà dei casi riguarda bambini di età inferiore a 1 anno: si è visto che circa la metà di quelli che
si ammalano non hanno ricevuto l’appropriato numero di dosi del vaccino.
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Studi di sieroprevalenza effettuati sulla popolazione indicano però che la reale incidenza della
malattia è quasi 1000 volte superiore a quella stimata in base ai casi notificati CDC (Centro per la
prevenzione e il controllo della malattie).
L’elevata trasmissibilità facilita le epidemie nelle scuole, negli ospedali e persino nelle zone
residenziali: la pertosse sintomatica non diagnosticata degli adulti rappresenta una sicura fonte di
contagio per i bambini di prima e seconda infanzia e un fattore di perpetuazione della malattia, che
invece potrebbe essere eradicata totalmente, essendo la bordetella un patogeno esclusivamente
umano senza particolari caratteristiche come la mutazione antigenica.
In passato si riteneva che l’immunità naturale che lasciava la malattia fosse vita natural durante ma
studi recenti hanno dimostrato che essa viene persa dopo circa 20 anni, ma forse anche prima.
Clinica
La pertosse è una malattia a carattere prolungato, della durata complessiva di 6-8 settimane, ma
passibile di strascichi qualora insorgano complicazioni come le polmoniti da superinfezione.
L’incubazione è per lo più di 7-10 giorni; i sintomi attraversano caratteristicamente 3 fasi:
-
catarrale (1-2 settimane): sintomi aspecifici come starnuti, rinorrea, tosse moderata,
lacrimazione, astenia e febbricola;
-
parossistica (2-4 settimane): episodi parossistici di tosse intensa e stizzosa, costituiti da 1030 colpi di tosse per volta, che avvengono tutti entro un singolo ciclo respiratorio, elemento
di aiuto nella diagnosi differenziale; nei casi gravi l’accesso è così intenso e prolungato da
procurare ingorgo della vene del collo, protrusione dei bulbi oculari (per lo sforzo
espiratorio), cianosi e il patognomonico “urlo abbaiante” inspiratorio, dovuto a inspirazione
forzata a glottide chiusa; la crisi è scatenata da stimoli esterni come il contatto fisico o anche
forti rumori. Spesso porta all’eliminazione di abbondante espettorato viscoso e si
accompagna a vomito alla fine dell’accesso (elemento anche questo indicativo di pertosse).
La febbre è generalmente assente in questa fase, ma si possono presentare le complicazioni.
Tipicamente nella fase parossistica si possono avere anche 25 attacchi nello stesso giorno,
anche durante il sonno;
-
convalescenza: graduale attenuazione dell’intensità della tosse; questo stadio può durare
diversi mesi e può essere prolungato da soprainfezioni virali e batteriche che producono
gravi riesacerbazioni con ripresa della tosse parossistica daccapo.
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Negli adolescenti e adulti mancano 2 elementi chiave per la diagnosi clinica: l’urlo e la linfocitosi;
per questo ci si avvale sul piano clinico di altri elementi clinici come la dispnea durante l’attacco, la
tosse notturna e una sensazione di prurito nel retro della gola.
Laboratorio
Reperto assai caratteristico ma non universale e la linfocitosi assoluta, con conte dei bianchi che
vanno da 10000 a 30000 cellule e una linfocitosi del 75%: essa è probabilmente una conseguenza
diretta dell’azione della tossina visto che negli adolescenti e negli adulti, che hanno immunità
antitossina, non si verifica.
Complicanze
Quelle più comuni sono di lieve entità: dipendono principalmente dall’aumento della pressione
intratoracica e sono l’emorragia subcongiuntivale e le petecchie nella parte superiore del tronco.
Cianosi e apnea prolungata sono comuni nei bambini (prevalenza del 20-50%), come anche la
malnutrizione e la perdita di peso per il vomito scatenato dall’attacco e per l’inadeguata assunzione
calorica. Le principali complicanze sono però:
-
polmoniti: generalmente da patogeni capsulati come S. pneumonite ed H. influenzae; la loro
incidenza è molto più alta nei bambini (21%) che negli adulti (solo 3%); i lattanti non
immunizzati possono sviluppare anche una forma di polmonite primaria da B. pertussi;
-
complicanze neurologiche: per fortuna assai rare (encefalopatia: 0,7%, convulsioni: 2%);
esse sono attribuite al verificarsi di ipossia e ipoglicemia causata dalla tossina per tossica ed
emorragie secondarie all’ipertensione venosa, oppure all’azione di ipotetiche neurotossine o
virus neurotossici.
Diagnosi
Quella su base clinica è assai agevole (la fanno agevolmente anche i genitori); per la conferma dei
casi sospetti il gold standard è rappresentato dall’isolamento di B. pertussis dal tampone
nasofaringeo. Il tampone deve essere immediatamente seminato su un apposito terreno di trasporto
o direttamente sul terreno di Bordet-Gengou. Le colture sono positive entro 3-5 giorni in una
percentuale che raggiunge l’80% nei bambini se l’esame è eseguito entro 2 settimane dall’esordio
clinico. L’accuratezza diagnostica tuttavia diminuisce rapidamente e dopo 4 settimane l’isolamento
non è quasi mai possibile. La PCR su secrezioni nasofaringee può migliorare l’accuratezza
diagnostica in caso di pregressa somministrazione di antibiotici.
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Passate 3-4 settimane la sierologia diventa l’unico mezzo a disposizione: per individui
precedentemente immunizzati non è necessario che ci sia la sieroconversione, basta un semplice
aumento del titolo oltre 2DS.
La Diagnosi differenziale deve essere posta con: B. parapertussis causa una forma respiratoria più
frusta, senza complicanze e linofocitosi. Essa è associata epidemiologicamente alla B. pertussis.
Non esistono virus in grado di riprodurre il quadro clinico tipico con urlo e linfocitosi, ma si deve
ricordare che negli adulti questi sono assenti e allora occorre considerare anche altri patogeni come
l’influenza, l’RSV, l’Adenovirus, il M. pneumoniae, la C. pneumoniae e lo pneumococco.
Terapia
La terapia della pertosse diminuisce la durata della malattia e il periodo di contagio in quanto si
propone di eradicare il germe dal nasofaringe. Il trattamento d’elezione è l’eritromicina estolato al
dosaggio di 50 mg/kg, da protrarsi per almeno 14 giorni per evitare ricadute. Anche gli altri
macrolidi vanno bene: è stato riportato un solo caso di resistenza all’eritromicina.
La terapia di supporto per crisi gravi prevede l’aspirazione delle secrezioni, la ventilazione con O 2 e
il controllo degli episodi di cianosi-apnea prolungati (eventuale intubazione). La somministrazione
di glucocorticoidi e salbutamolo è più empirica che altro. I sedativi della tosse sono acqua fresca.
Prevenzione
La profilassi dei contatti si fa con i chemioterapici, non con il vaccino: si usa sempre l’eritromicina;
nei bambini lo schema vaccinale va comunque intrapreso o continuato lo stesso. Per
l’immunizzazione è disponibile il vaccino DPT, costituito da bordetelle intere uccise combinati con
il tossoide del tetano e della difterite adsorbiti su un adiuvante (alluminio fosfato). Lo schema
prevede 3 dosi iniziali a intervalli di 2 mesi più alcune dosi di richiamo somministrate fino al 6°
anno di età. Oltre i 6 anni la vaccinazione non è raccomandata, tranne che per controllare epidemie
nosocomiali. L’efficacia protettiva è del 90% nei primi 2 anni, poi declina gradualmente: dopo 1220 anni il rischio di ammalarsi è quasi pari a quello della popolazione non vaccinata.
Il vaccino a cellula intera è associato a reazioni locali e febbre nel 30-50% dei casi: si può arrivare
ad effetti avversi molto gravi come ipertermia, pianto persistente a tonalità elevata, convulsioni,
episodi ipotonici e adinamici, anafilassi ed encefalopatia (non è chiaro se direttamente scatenata dal
DTP o risultato di concomitanti anomalie cerebrali).
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In studi recenti vaccini cellulari a subunità hanno mostrato un’efficacia paragonabile a quella dei
vaccini interi senza i relativi effetti collaterali e negli Usa sono già approvati come dosi di richiamo
tra il 15° e il 18° mese e poi tra il 4° e il 6° anno.
Essendo la bordetelle un patogeno esclusivamente umano e pertanto è candidato all’eradicazione
attraverso l’immunizzazione di tutta la popolazione.
PAROTITE EPIDEMICA
Infezione virale acuta, sistemica e contagiosa, il cui carattere distintivo principale è l’edema di una
o entrambe le ghiandole parotidi (carattere che però può eccezionalmente mancare).
Eziologia
Il virus della parotite (Mumps Virus) è un Paramyxovirus pleomorfo, con diametro variabile da 100
a 600 nm, con un involucro provvisto di 2 tipi di glicoproteine:
-
HN: emagglutinina-neuraminidasi;
-
F: Ag di emolisi e fusione cellulare.
Esiste soltanto un tipo antigenico.
Epidemiologia
L’incidenza della parotite epidemica è drasticamente diminuita (99%) dopo l’introduzione del
vaccino, avvenuta nel 1967 negli USA. La malattia è comunque endemica con sporadiche
riaccensioni epidemiche.
Il periodo d’incubazione è di 14 giorni circa (con estremi documentati di 7 e 23 giorni): talvolta
risulta difficile da stabilire perché il soggetto può diffondere i virus prima dello sviluppo della
malattia oppure questa può essere subclinica.
L’infezione acquisita conferisce un’immunità a vita, l’immunizzazione ne garantisce comunque una
di lunga durata.
Patogenesi
La trasmissione avviene attraverso le goccioline di Flugge, la saliva, oggetti e indumenti
contaminati. Il virus replica nelle cellule epiteliali delle alte vie respiratorie e dà luogo a una
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viremia, cui fa seguito l’infezione degli organi per i quali il virus manifesta tropismo (ghiandole
salivari e SNC prima di tutto, ma anche gonadi e pancreas).
Clinica
I prodromi consistono in sintomi sistemici classici (febbre, artromialgia, anoressia). Solitamente
entro 1-3 giorni si sviluppa la parotite, che è bilaterale ma all’inizio può essere asincrona; possono
essere coinvolte anche le ghiandole salivari minori, ma non da sole. L'edema della ghiandola è
accompagnato da ipersensibilità e può determinare disfagia, otalgia e disfagia, tuttavia regredisce
del tutto entro una settimana.
L'orchite è la manifestazione più comune dopo la parotite nei maschi in età post puberale,
sviluppandosi nel 20% dei casi circa, mentre l’ooforite nelle donne è molto meno comune. I
testicoli diventano edematosi e poi vanno incontro ad atrofia. Tuttavia essendo l'interessamento
raramente bilaterale, la sterilità dopo la parotite è rara.
La meningite asettica è un'altra comune manifestazione sia nei bambini che negli adulti: può
svilupparsi prima, durante, dopo o anche in assenza di parotite. È accompagnata da pleiocitosi
linfocitaria e modesta ipoglicorrachia (che può destare il sospetto di una meningite batterica). È
generalmente a risoluzione spontanea: soltanto occasionalmente possono aversi sequele
neurologiche permanenti dovute a paralisi dei nervi cranici (soprattutto l’VIII paio con sordità
neurogena). Assai più rare sono le encefaliti e sindromi neurologiche correlate come l'atassia
cerebellare e la sindrome di Guillain-Barrè. L’encefalite in particolare interessa frequentemente il
sistema libico, con sintomatologia psichiatrica.
La pancreatite si presenta con dolore addominale: un valore elevato delle amilasi sieriche può essere
associato però sia alla parotite che alla pancreatite. Può essere colpito anche il pancreas endocrino
(dando variazioni della glicemia).
Altre complicanze insolite come la miocardite, tiroidite, nefrite, artrite e porpora trombocitopenica
sono importanti; la parotite contratta nel corso del primo trimestre di gravidanza si associa a un
elevato numero di aborti spontanei, ma non a parto prematuro né ha malformazioni fetali.
Diagnosi
Viene posta facilmente in presenza di parotite acuta bilaterale con un'anamnesi di recente
esposizione: vanno però considerate le numerose cause possibili di edema bilaterale della parotite,
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come infezioni da altri virus (Influenza A, Coxsackie), malattie metaboliche (diabete, uremia) e
farmaci (tiouracile).
Quando la parotite è unilaterale o assente, o quando sono coinvolti altri organi è richiesta la
diagnosi di laboratorio.
Il virus può essere isolato nella saliva, nel faringe, nel liquor (in presenza di meningite) e nelle
urine, dove persiste per due settimane; cresce bene in un a varietà di colture cellulari (rene di
scimmia e fibroblasti di polmone fetale), dopo di che può essere rapidamente identificato con la
metodica degli shell-vials.
Terapia
È solo sintomatica e si basa sull'uso di analgesici e impacchi con acqua fredda per lenire il dolore
parotideo o testicolare. Le Ig non hanno alcun valore, né per la profilassi né per la terapia.
La Prevenzione si attua con vaccino vivo attenuato (ceppo Jeryl Lynn), solitamente somministrato
come parte del vaccino morbillo - parotite – rosolia (MMR) all'età di 15 mesi e poi più tardi
nell'infanzia. Il vaccino MMR, o quello monovalente, è raccomandato a anche per maschi
adolescenti non immunizzati, mentre va evitato in gravidanza e in soggetti immunocompromessi.
CARBONCHIO (ANTRACE)
È una antropozoonosi provocata dal Bacillus Antracis. Il B. antracis è un bacillo G+ , capsulato,
immobile, sporigeno che infetta gli animali in particolare ovini e bovini. La malattia interessa
prevalenetemente l’ambiente agricolo ed industriale.
È stato usato nella guerra batteriologica nel 1967 in Russia per diffusione delle spore da un
laboratorio. Non si ha contagio internumano ma soltanto dall’animale all’uomo. Gli animali infetti
quando muoiono vengono sotterrati e dalle carcasse si liberano i microorganismi che al contatto con
il suolo si trasformano in spore (nell’animale vivo sono presenti soltanto le forme vegetative) le
quali vengo riportate in superficie dai lombrichi o tramite l’aratura.
Le spore resistono nell’ambiente anche per 60 anni. Gli animali erbivori ingeriscono le spore e
costituiscono la fonte di contagio per l’uomo.
La trasmissione dell’infezione avviene tramite 3 modalità:
-
per via inalatoria: inalazione di particele veicolanti il Bacillus Antracis;
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-
per ingestione di carni non ben cotte di animali infetti;
-
per penetrazione attraverso soluzioni di continuo della cute.
Fattori di virulenza del B. Antracis sono rappresentati da:
-
Ag protettivo che permette l’ingresso all’interno delle cellule previa scissione da parte di
proteasi cellulari ed evoca Ab protettivi;
-
Capsula;
-
Fattore edemigeno (Adenil ciclasi) che determina incremento della permeabilità capillare
con conseguente edema;
-
Fattore letale che determina necrosi cellulare con conseguenti lesioni necrotico-emorragiche.
Antrace polmonare
Le particelle inalate raggiungono gli alveoli polmonari dove vengono fagocitate dai macrofagi che
le trasportano ai linfonodi mediastinici e peribronchiali dove la produzione delle tossine determina
una linfadenite necrotico-emorragica.
Dopo un periodo di incubazione di 2-3 giorni (ma che può arrivare anche a 40 giorni) si ha un
esordio subdolo con sintomi simil-influenzali quindi si ha una brusca progressione verso l’ARDS
con tosse produttiva ed escreato emorragico.
Il quadro è quello di una polmonite con interessamento mediastinico (mediastinite emorragica)
visibile all’RX come ingrandimento del mediastino. Frequentemente si ha setticemia con meningite
(nel 70% dei casi) ad esito letale. È importante la diagnosi differenziale con tularemia, forma
polmonare della peste, psittacosi, coccidiomicosi, istoplasmosi, polmonite da Mycoplasma o da
Legionella.
Carbonchio cutaneo
Nella sede di inoculazione compare una piccola papula rotonda che evolve in vescicola con edema
perilesionale o un anello di vescicole satelliti. La vescicola quindi si rompe lasciando un ulcera che
si trasforma in escara che cade lasciando una cicatrice. Può essere presente linfadenite distrettuale.
Raramente si ha setticemia con interessamento cutaneo generalizzato e la prognosi è relativamente
buona (letalità del 10%).
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La d.d. è con fasciti necrotizzanti da cocchi, tularemia, peste (in cui c’è linfoadenopatia massiva, i
classici bubboni), ecthyma gangrenoso (infezione da Pseudomonas in pazienti neutropenici),
punture da zecca.
Carbonchio gastrointestinale
Dopo 2-3 giorni dall’ingestione di alimenti contaminati si manifestano febbre, nausea, vomito e
diarrea, ematemesi e melena e intensi dolori addominali fino ad un quadro di addome acuto. Si può
avere febbre con brivido e compromissione del sensorio. Raramente si hanno ulcere faringee con
linfoadenopatia cervicale.
Diagnosi
L’isolamento del batterio può essere fatto da diversi campioni biologici a seconda della forma:
liquido delle vescicole, escreato, vomito o feci, liquor.
Può essere inoltre fatta l’emocoltura. B. anthracis cresce bene in agar-sangue; la manipolazione dei
campioni va fatta esclusivamente sotto cappa sterile. Inoltre possono essere effettuate anche
indagini di IF.
Terapia
In passato il farmaco di elezione era la penicillina G oggi invece ci sono stipiti penicillino-resistenti;
pertanto la terapia si basa su ciprofloxacina 400 mg/die ev per 7-14 giorni. Nella forma polmonare
viene affiancata da amoxicillina o altri chinolonici che superano la BEE (la ciprofloxacina non ha
questa caratteristica, pur essendo molto efficace in vivo).
La profilassi post-esposizionale si basa su:
-
ciprofloxacina 500 mg 2 volte al giorno o doxicillina 100 mg per 2 volte al giorno per 60 gg;
-
Oppure: Ciprofloxacina/doxicillina per 30 gg più 1 ciclo di vaccinazione.
È possibile effettuare la vaccinazione tramite vaccino vivo attenuato produttore di Ab protettivi: 0.5
ml sottocute al giorno 0, 14, 28 poi a 6, 12, 18 mesi e successivamente ogni anno. L’efficacia è del
92.5%.
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