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50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC
Diabete mellito: il gatto è diverso dal cane?
Jacques Debraekeleer
DVM, Dipl ECVCN, Ghent, Belgio
Il diabete mellito (DM) è un gruppo di disordini che hanno come comune denominatore l’iperglicemia. La malattia è
associata ad una carenza (totale, parziale o relativa) di insulina.
La prevalenza del diabete aumenta con l’invecchiamento
e può colpire 1 gatto su 100 di età compresa fra 7 e 12 anni,
che coincide con la fascia anagrafica in cui si osserva anche la
massima prevalenza dell’obesità. Nella specie canina le femmine sono 2 volte più colpite dei maschi, mentre nei gatti questi ultimi sono più a rischio delle femmine. Nel cane è stato
descritto un diabete mellito famigliare (Kramer et al. 1980,
Nelson 2000b, Hess et al. 2000). Nei felini è stata segnalata
una predilezione per la razza Burmese (Rand 2004).
I termini diabete di Tipo I (DM-1) e Tipo II (DM-2)
indicano l’eziologia e la patogenesi della condizione, mentre con la definizione diabete mellito insulino-dipendente
(IDDM) e non-insulino-dipendente (NIDDM) si fa riferimento al trattamento necessario. Non si devono utilizzare i
termini NIDDM e IDDM per indicare il DM-1 o il DM-2. La
maggior parte dei cani diabetici viene classificata come
affetta da DM-1, mentre nel gatto la forma più comune è il
DM-2 (Lutz & Rand 1995).
Nel DM-1 le cellule β vengono distrutte da un attacco
autoimmune che porta ad un’insufficiente secrezione di
insulina. Prima che il diabete mellito si renda clinicamente
evidente, si deve già essere verificata la distruzione del 75%
circa di questi elementi. La loro perdita può essere brusca o
progressiva, nel qual caso i primi segni della malattia possono essere molto tenui (Nelson 2000b).
Il DM-2 è causato da un’insulinoresistenza, inizialmente
compensata dall’aumento della secrezione dell’ormone.
Parallelamente all’insulina, le cellule β secernono il polipeptide amiloide degli isolotti (islet amyloid polypeptide - IAPP),
anche detto amilina; al crescere della secrezione dell’insulina,
aumenta anche quella dell’IAPP. Quest’ultimo è responsabile
della deposizione di sostanza amiloide negli isolotti pancreatici di Langerhans, che in ultima analisi conduce alla distruzione degli isolotti stessi (Höppener et al. 2004).
Tutte le cause di insulinoresistenza possono contribuire
alla malattia, ma l’obesità è chiaramente il fattore più importante nel DM-2 dei felini. Nei gatti sani che aumentano del
44% il proprio peso corporeo la sensibilità all’insulina subisce
una riduzione del 50% (Rand 2004). Il rischio di sviluppo
del diabete mellito aumenta di quattro volte nei gatti obesi
(Scarlet & Donoghue 1998). Nel cane e nel gatto il grado di
intolleranza al glucosio è correlato all’aumento del livello di
obesità (Nelson 1995). L’iperglicemia di per sé sopprime la
secrezione insulinica, causa un’insulinoresistenza periferica
e può portare alla distruzione delle cellule β, un fenomeno
noto come tossicità del glucosio (Rand & Martin 2001).
L’infiammazione o la malattia sistemica possono sopprimere temporaneamente la secrezione di insulina portando ad
insulinoresistenza ed iperglicemia (Nelson 1995).
In medicina veterinaria, il diabete mellito viene spesso
diagnosticato in uno stadio avanzato; ciò vale particolarmente nel caso dei gatti con DM-2, che può essere molto insidioso nelle fasi iniziali. La diagnosi del diabete mellito si basa
sul riconoscimento dei segni clinici, dell’iperglicemia persistente (dimostrata dalla presenza di elevati livelli di fruttosamina) e della glicosuria. La determinazione della fruttosamina è anche un buon metodo per monitorare i risultati del trattamento. Nel gatto, la misurazione della glicosuria va preferibilmente effettuata dal proprietario, in un ambiente famigliare e non stressante. Le prime manifestazioni cliniche sono
rappresentate da poliuria/polidipsia, perdita di peso e letargia.
I gatti possono semplicemente mostrare una minore interazione con i membri della famiglia ed una riduzione del comportamento di toelettatura.
L’obiettivo complessivo del trattamento del paziente
diabetico è quello di evitare le complicazioni a lungo termine come la polineuropatia, l’ipoglicemia, la cataratta, la chetoacidosi e la neuropatia diabetica ottimizzando l’impiego
del glucosio ed aumentando la sensibilità all’insulina. Il successo della terapia poggia su tre fondamenti: il trattamento
farmacologico, la dieta e la correzione o prevenzione dell’insulinoresistenza. Tutte le cause di quest’ultima, come la
periodontopatia e l’obesità, devono essere costantemente
monitorate, le cagne devono essere ovariectomizzate e bisogna evitare l’impiego di farmaci come il megestrolo acetato
ed i glucocorticosteroidi.
A differenza di quanto avviene nell’uomo, il 50-70% dei
felini con DM-2 è insulinodipendente (Nelson 2000b); gli
altri possono venire trattati con un appropriato controllo del
peso o con ipoglicemizzanti orali come il glipizide (alla dose
iniziale di 2,5 mg BID per os in associazione con un pasto).
Tuttavia, dati più recenti suggeriscono che la secrezione di
insulina stimolata dal glipizide acceleri anche la perdita delle cellule β funzionalmente attive (Nelson 2004). Invece, il
trattamento precoce di questi gatti con una piccola dose di
insulina sembra avere un effetto protettivo, e può aumentare le probabilità che riescano a liberarsi completamente della dipendenza dall’insulina una volta raggiunto il peso corporeo ottimale. I gatti devono sempre essere trattati con due
iniezioni giornaliere.
Nel cane, il caposaldo della terapia del diabete mellito è
la somministrazione di insulina, alla dose ed alla frequenza
appropriate. Nella maggior parte degli animali di questa specie, la durata d’azione dell’insulina lenta può essere suffi-
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cientemente prolungata da consentire 1 sola iniezione giornaliera. Tuttavia, attualmente si ha la tendenza a suggerire
l’impiego di due dosi quotidiane di 0,5 UI/kg di un’insulina
ad azione intermedia (NPH o lenta) piuttosto che di 1 mg/kg
una volta al giorno, in particolare nei cani che risultano più
difficili da regolare (Nelson 2000).
Lo scopo principale della dieta è quello di raggiungere o
mantenere il peso corporeo ottimale; modeste riduzioni del
peso possono portare ad un rapido calo dei livelli ematici del
glucosio.
La fibra della dieta è una delle componenti principali
del trattamento del diabete mellito. Il suo effetto sulla riduzione dell’iperglicemia postprandiale è maggiore se la formulazione è anche ricca di carboidrati complessi; ciò vale
anche per il cane (Nelson et al. 1991). Nel gatto diabetico,
anche una dieta ad elevato contenuto di cellulosa migliora
significativamente il controllo glicemico (Nelson et al.
2000a). Nell’uomo e nel cane, l’elevata assunzione di carboidrati complessi (amido) può migliorare la sensibilità tissutale all’insulina, aumenta il numero dei recettori insulinici e diminuisce i livelli sierici dei lipidi.
Nel gatto diabetico, tuttavia, le diete ricche di proteine e
povere di carboidrati possono migliorare il controllo glicemico e ridurre il fabbisogno di insulina (Mazzaferro et al.
2003, Frank et al. 2001). Gli alimenti semiumidi sono da
evitare a causa dei loro livelli elevati di zuccheri semplici.
Nei pazienti con regolazione insufficiente si ha un aumento
della gluconeogenesi, che converte le proteine in glucosio;
ciò può esitare in una perdita della massa corporea magra.
Questo fenomeno è importante nel gatto. I felini diabetici
necessitano come minimo di una percentuale di proteine di
elevata qualità pari al 35% sulla sostanza secca. Nel cane,
bisogna assicurare l’apporto di una quota di proteine sufficiente a garantire le normali funzioni dell’organismo (circa
il 20% sulla sostanza secca).
Il diabete mellito è causa di anomalie che non interessano solo il metabolismo dei carboidrati, ma anche quello dei
lipidi. Mantenere i livelli sierici di questi ultimi entro limiti
desiderabili è uno degli scopi principali della terapia. Le diete ricche di grassi causano insulinoresistenza. Si raccomanda di mantenere l’assunzione totale di grassi al di sotto del
30% dell’energia. La L-Carnitina riduce l’accumulo dei lipidi ed il rischio di chetosi nei gatti sottoposti ad una rapida
perdita di peso (Blanchard et al. 2002).
La carenza di zinco può ostacolare il rilascio dell’insulina dalle cellule β ed aumentare l’insulinoresistenza attraverso varie modificazioni del legame e dell’attività dell’ormone.
La compromissione della tolleranza al glucosio è stata osservata nella carenza di cromo, ma, nel corso di studi controllati condotti su pazienti diabetici nell’uomo e nel cane non è
stato dimostrato alcun reale effetto dell’integrazione con questo elemento (Stoecker ’96, Schachter 2000). Le complicazioni associate al diabete possono essere correlate all’aumento della produzione di radicali liberi ed all’avanzata glicazione dei prodotti terminali. L’aumento dell’assunzione di vitamina E ha ridotto lo stress ossidativo nei pazienti umani diabetici (Sharma et al. 2000).
Nel cane l’alimentazione va coordinata con la somministrazione di insulina, in modo che il picco di attività dell’ormone coincida con quello della glicemia postprandiale. Nei
soggetti trattati con una sola somministrazione di insulina al
giorno si possono far consumare due pasti, uno al momento
dell’iniezione ed uno a distanza di 7,5 ore. È bene offrire
all’animale uno snack prima che vada a dormire, per evitare
l’ipoglicemia durante la notte. Negli animali trattati con due
iniezioni di insulina al giorno la razione va suddivisa in quattro pasti uguali, due da assumere al momento delle iniezioni
e due a distanza di 6 ore.
Nel gatto, il coordinamento dell’assunzione del cibo con
l’insulina è meno importante, soprattutto quando si impiega
una dieta ricca di proteine e povera di carboidrati, perché la
glicemia viene mantenuta dalla gluconeogenesi. Per i gatti
che mangiucchiano continuamente risulta perfetta l’alimentazione ad libitum; l’assunzione di pasti piccoli e frequenti
riduce l’iperglicemia postprandiale. Se è necessario alimentare l’animale con dei pasti completi e si devono praticare
due iniezioni, si può adottare lo stesso protocollo descritto
per il cane. Il gatto va tenuto sotto osservazione per rilevare
ogni eventuale causa di insulinoresistenza (ad es., una periodontopatia), correggendola se necessario.
La Bibliografia completa è disponibile a richiesta.
Indirizzo per la corrispondenza:
Jacques Debraekeleer
Hill's Pet Nutrition Ltd.Europe - Sherbourne House, Hatters Lane
Croxley Business Park, Watford, Herts WD 18 8WX
This manuscript is reproduced in the IVIS website with the permission of the Congress Organizing Committee
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Diabete mellito: il gatto è diverso dal cane? by J. Debraekeleer