Matteo Manassero:
semplicemente
il futuro
Alla sua età, mai nessuno come
lui. Matteo Manassero, 20 anni,
star del Royal Park I Roveri,
è il prototipo di campione in
uno sport che sta cambiando
per sempre. Il suo approccio
atletico alla disciplina, la forza
mentale necessaria per
affermarsi, una vita da nomade
sui campi di tutto il mondo
e il sogno di entrare tra i top
ten del circuito
di GUIDO BAROSIO
foto FRANCO BORRELLI
B
uon Compleanno Matteo! Il più giovane vincitore di una gara dello European
Tour compirà vent’anni il 19 aprile e rappresenta idealmente il futuro di una
disciplina che sta facendo migliaia di proseliti su tutto il territorio nazionale; perché oggi il golf – pur mantenendo evidenti prerogative di stile e distinzione – ha
dimostrato di poter essere uno sport attrattivo anche per il
grande pubblico, un pubblico sempre più composto proprio
da giovani e giovanissimi. E lui – riflessivo e concreto, un volto sorridente che potrebbe piacere anche al cinema – rappresenta il miglior testimonial nazionale del settore. Piemontese (anzi langarolo) di origine e veronese di adozione, Matteo Manassero ha scelto da un anno e mezzo un significativo ‘ritorno a casa’ per ‘diventare grande’, anzi per confermarsi grande, aggiungendo altri nuovi titoli al già significativo palmares. Il suo attachment al Royal Park I Roveri risale
al 9 novembre 2011, quando Andrea Agnelli salutò con queste parole il suo arrivo: «il rapporto tra Matteo e il Royal Park
risale all’inizio del suo percorso da dilettante e siamo onorati di poter sostenere oggi la sua promettente carriera da
professionista. L’ambizione e la ricerca continua dell’eccellenza si allineano con la filosofia del circolo: conosciamo bene l’impegno e la determinazione necessari per conquistare, in età giovanissima, due vittorie (oggi tre, ndr) allo
European Tour. Ci auguriamo che questa nuova collaborazione possa essere di sostegno a Matteo per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Non solo nella carriera sportiva, ma anche nella sfera personale». Abbiamo incontra-
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Sul Green del Royal Park I Roveri
durante l’Open d’Italia 2012
to il nostro nuovo ‘volto cover’ nella club house de I Roveri, il luogo giusto per dialogare di golf, a due passi dal campo dove – giusto tre anni fa – Manassero vinse la sua ultima
gara da dilettante – il Trofeo Umberto Agnelli – per poi partecipare, dopo solamente un mese, al suo primo Open d’Italia.
Matteo, quando hai preso per la prima volta in
mano una mazza da golf?
«Avevo tre anni, e già a quattro andavo al campo un paio
di volte la settimana con mio papà. Posso davvero dire
che è stato uno dei miei primi giochi, anche da bambino.
All’inizio dividevo questa esperienza con il calcio, altra mia
grande passione che ho dovuto lasciare intorno ai dieci
anni, perché le gare si disputavano la domenica e non potevo mantenere i due impegni contemporaneamente».
Da attività simbolo delle élite a pratica sempre più
agonistica e popolare. Come sta cambiando questo
sport negli ultimi anni?
«Il golf sta cambiando tantissimo perché conta sempre di
«Il golf sta
cambiando
tantissimo perché
contano sempre
di più l’agonismo,
il fisico e la
preparazione atletica.
I giocatori giovani
arrivano da altre
attività sportive,
dove il rapporto
con la palestra
è quotidiano»
Durante l’intervista
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torino magazine coverstory più l’agonismo, il fisico e la preparazione atletica. Oggi i
giocatori più giovani hanno un tiro lungo e potente, e molte volte – in particolare negli Stati Uniti – arrivano da altre
attività sportive dove il rapporto con la palestra è quotidiano. Però quello che resta determinante è l’approccio
mentale, la concentrazione, aspetti che ‘pesano’ più che
in ogni altro sport, doti determinanti per gestire competizioni con cinque ore di gara. Certo, oggi ci troviamo di fronte ad una disciplina svecchiata, certamente più moderna
e contemporanea».
C’è un campione che ha fatto la differenza?
«Sicuramente Tiger Woods. Lui ha iniziato con un fisico
asciutto e longilineo, e il suo era un approccio veloce e
reattivo. Ma contemporaneamente ha deciso, fin dal
principio, di migliorare progressivamente il proprio fisico.
Oggi è un atleta a tutto tondo che potrebbe fare anche
gare di atletica. Non è stato il primo in assoluto a privilegiare questo aspetto, ma è stato il primo che lo ha fatto
vedere nel mondo, e i praticanti più giovani si sono schierati dalla sua parte».
Dicevamo dell’approccio mentale. Ci sono dei
‘momenti no’ difficili da superare?
«Sicuramente, nel golf, ancora di più rispetto al calcio, si
devono affrontare tante situazioni diverse, con fortuna e
sfortuna sempre in agguato. Inoltre sei da solo, non puoi
contare su una squadra che ti supporta nei momenti difficili. Occorre essere lucidi e pazienti quando non gira, per
poi diventare pronti e reattivi non appena si presenta l’opportunità di afferrare l’attimo».
Questo modo più agonistico di intendere il golf può
avvicinare i ragazzi alla pratica?
«Certo, ma sono aspetti positivi che innanzitutto coinvolgono le famiglie. Oggi i genitori si rendono conto che il golf
è formativo da un punto di vista mentale, si pratica a contatto con la natura e consente ai ragazzi di avere una forma fisica adeguata. Naturalmente conta anche l’immagine: contro lo stereotipo del golfista di mezza età, magari
dall’aspetto imbolsito, prevale quella di Tiger, atletico e ben
preparato alla gara dopo il lavoro in palestra».
Proviamo a sfatare un altro mito, quello del golf inteso come pratica costosa…
«Il mito è sicuramente da sfatare, però c’è ancora tanto
da fare e ci sono ancora molti margini di miglioramento.
Sicuramente questo non è uno sport che pratichi con pochi
Durante l’Open d’Italia 2012
euro; per il calcio bastano le scarpe e la maglietta, nel golf
non è così. Però la parte più dispendiosa non è l’inizio,
ma il proseguimento dell’attività, quando il ragazzo inizia
a fare le gare a livello nazionale. E mi riferisco non tanto
all’attrezzatura quanto alle trasferte. Devi girare tutta l’Italia e non puoi limitarti alla tua regione. Negli Stati Uniti, ad
esempio, è diverso: nel giro di un’ora di macchina ci sono
altre scuole, con tanti ragazzi, e tutti possono competere con tutti. Da noi no. Per farsi conoscere, il ragazzo deve
iniziare a muoversi seriamente intorno ai tredici e quattordici anni. Ci sono i costi dei viaggi, gli alberghi e un altro
fattore, non economico ma importante: si saltano giorni
di scuola. Questo è un vero scoglio, perché le scuole italiane non collaborano e scattano i pregiudizi: se fai il ritiro con una squadra di serie A per un mese, e poi non giochi neanche una partita, va bene, ma se gareggi ad alto
livello nel golf non ti vengono mai incontro perché pensano tu sia sempre in vacanza».
Quindi le difficoltà non arrivano subito…
«Esatto, arrivano a metà del cammino. Oggi iniziare non
comporta costi esagerati, ci sono campi e club per tutte le tasche. I costi diventano pesanti nella fase intermedia, all’inizio della pratica agonistica. Superato quel periodo, se sei bravo ed entri nel giro della Nazionale, la situazione migliora sensibilmente: ci sono i rimborsi, il ragazzo è seguito molto bene dalla Federazione e si può permettere attrezzature di massimo livello a prezzi fortemente scontati. Poi tutto cambia per chi passa professionista, ma a quel punto l’atleta ha dai vent’anni in su, si cercano gli sponsor e le prospettive mutano radicalmente».
Ti senti un simbolo? Che effetto fa essere l’apripista di un movimento?
«Non so se posso considerarmi un simbolo, ma sono consapevole di essere un apripista per tanti ragazzi. È bello
sentirsi importanti per i giovani che iniziano».
Quanto può durare la carriera di un golfista?
«Resta una carriera lunga, ma da quando la disciplina è
diventata più agonistica sicuramente dura meno rispetto a una volta. La vita sportiva del golfista professionista
non si è accorciata tanto per lo sforzo fisico richiesto, quanto per le motivazioni. Per competere oggi, serve molta energia negli allenamenti e, dopo vent’anni di attività, questa
energia comincia a mancare. Tempo fa potevi gareggiare anche fino a sessant’anni; oggi, a quell’età, il golf torna ad essere sostanzialmente un divertimento, un hobby
assolutamente appagante».
Qual è il campo che ti piace di più al mondo?
«Ce n’è più di uno. In Europa il campo più divertente dove
giocare è il National a Parigi, mentre negli Stati Uniti il mio
preferito è quello di Augusta».
Per te cosa significa un campo divertente?
«Un campo divertente è un campo mai banale in nessun
colpo, un campo che ti fa sempre pensare a più opzioni
e ti fa aver paura di tirare determinati colpi proprio per le
sue difficoltà. Se arrivi ad una buca e ti puoi permettere
di non pensare troppo quello non è un gran bel campo».
Giochi per I Roveri, qual è la cosa che ami di più del
tuo campo?
«È un campo splendido, in un contesto pianeggiante ha
sempre una sua particolarità, tutte le buche sono leggermente diverse e si ricordano molto facilmente. Davvero un
campo con tutti i canoni giusti».
Quanto può essere difficile entrare nei top ten?
«È un’ambizione, ma penso ci vorrà ancora del tempo. Si
tratta di un traguardo difficile perché è alla portata di quaranta tra i primi cinquanta golfisti al mondo. C’è un grande livellamento, Tiger Woods e Mc Ilory sono fuori dal
comune, ma gli altri durante l’anno fanno una stagione grosso modo simile. Puoi ottenere grandi exploit, magari vincendo anche tre o quattro gare, per poi classificarti molte volte fuori dai primi trenta».
Il golf può essere uno sport televisivo?
«Sicuramente, in particolare nell’ultima ora. I meccanismi
della gara sono facilmente intuibili: un giocatore fa un punteggio in una buca e si raffronta con quello che fa l’altro,
se lui fa meno tu guadagni un colpo. Poi ci sono formu-
«Quando sei sotto
pressione,
la concentrazione ti
deve venire spontanea. Avere la concentrazione giusta
vuol dire essere
pronti
nel minor tempo
possibile,
vuol dire capire cosa
devi fare quando lo
devi fare»
Durante l’Open d’Italia 2012
«Le scuole italiane
non collaborano
e scattano
i pregiudizi: se fai
il ritiro con una
squadra
di serie A e poi non
giochi neanche
una partita, va bene,
ma se gareggi
ad alto livello nel
golf pensano tu sia
sempre in vacanza»
le, come quella della Ryder Cup, fatte di scontri diretti, quindi ancora più emozionanti».
Matteo Manassero e la scuola…
«Per me è stata dura. Quando sono diventato professionista ho fatto il quarto anno di liceo da privatista, ma dopo
ho dovuto smettere. Se fai cinquanta o sessanta giorni di
assenza durante l’anno, conciliare gli studi con lo sport
diventa molto difficile».
La tua carriera ti condiziona nel rapporto con gli
affetti e le amicizie?
«Gli amici, quelli storici, restano, anche se inevitabilmente
li frequenti di meno. Stringi molti rapporti nel tuo ambiente, con gli altri golfisti fai la stessa vita, gli stessi spostamenti, ceni insieme e sovente dividi il medesimo albergo».
Con chi hai stretto i rapporti migliori?
«Sicuramente con Lorenzo Gagli, anche per via dell’età; ho
inoltre un ottimo rapporto con Francesco Molinari. Poi, per
evidenti ragioni di carattere, lego meglio coi golfisti latini».
Quali sono i tuoi hobby?
«Mi tengo informato coi giornali, ma leggo pochi libri. Mi
piace ascoltare musica, in particolare Ligabue e gli artisti italiani, anche se nel mio iPad si trova un po’ di tutto.
Ma la mia vera passione resta lo sport, il calcio in particolare. Quando posso faccio qualche partita e anche
durante i viaggi cerco sempre di tenermi aggiornato».
Per quale squadra tifi?
«Sono milanista».
Un’annata difficile all’inizio, poi in forte ripresa.
Come possono cambiare le cose con l’acquisto di
Balotelli?
«Penso che il suo arrivo possa essere la svolta per la stagio-
ne, ma Balotelli sarà ancora più importante nelle prossime
annate. Sono un sostenitore di Allegri, ed un possibile terzo
posto per lui, e tutta la squadra, varrebbe come uno scudetto. Anzi sarebbe un mezzo miracolo sportivo, in assoluto ancora più significativo del titolo conquistato due anni fa».
Torniamo al golf, cosa ti permette di mantenere la
concentrazione durante tutta la gara?
«Quando sei sotto pressione la concentrazione ti deve
venire spontanea. Avere la concentrazione giusta vuol
dire essere pronti nel minor tempo possibile, vuol dire
capire cosa devi fare quando lo devi fare. La concentrazione non la mantengo per tutte le cinque ore di gara:
cerco sempre di pensare ad altre cose tra un colpo e
l’altro».
In alcuni tornei, in particolare negli Stati Uniti, c’è
molto pubblico. La pressione aiuta o distrae?
«A me la pressione piace molto, aiuta, mi dà la carica giusta. Negli Stati Uniti è fantastico, c’è un’atmosfera molto festosa e decontratta; invece nei campi britannici l’impatto è diverso, quello è un pubblico molto più attento
ed esigente».
Da un anno e mezzo sei al Royal Park I Roveri. Come
ti trovi?
«Sto molto bene e penso che sia un club di livello altissimo, per l’ambiente ed il campo, ma anche per le
facilities. Gli atleti del circuito guardano particolarmente a questo aspetto, perché sono fondamentali la
palestra e tutto ciò che serve per allenarsi al meglio.
Qui tutto è perfetto, questo è il circolo italiano che
sta avendo più idee e sta investendo maggiormente nel golf». I
ROYAL PARK I ROVERI OSPITA LA 15ª EDIZIONE DELLA PRO AM DELLA SPERANZA
Solidarietà e golf insieme per la Fondazione Piemontese
per la Ricerca sul Cancro. Il 6 Maggio, nella prestigiosa
cornice del Royal Park I Roveri, ritorna la Pro Am della
Speranza: il torneo golfistico di charity a sostegno della
Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro. Giunta
alla XV edizione, la manifestazione si svolgerà per il
secondo anno consecutivo sul green del golf Club torinese che lo scorso settembre ha ospitato una Pro Am da
record. Nell’occasione vennero raccolti oltre 210 mila
euro, impiegati per finanziare i lavori di realizzazione
della Seconda Torre della Ricerca e della Cura
dell’Istituto di Candiolo.
A supportare la scorsa edizione sono state oltre 55 aziende sponsor, 69 amatori e 23 professionisti che hanno guidato le squadre ed i campioni in gara, tra cui Matteo
Manassero, Edoardo Molinari, Andrea Pavan e Costantino
Rocca. Quest’anno i fondi verranno destinati all’acquisto
di apparecchiature tecnologiche, per un valore di oltre
200 mila euro, necessarie al reparto di Anatomia
Patologica dell’Istituto di Candiolo. Confermata anche
l’importante collaborazione con Sadem e Gruppo Arriva
che, come nella passata edizione, supporteranno l’evento
in qualità di title sponsor. La storica partnership all’insegna del golf tra Royal Park e Sadem si consolida così
anche dal punto di vista charity, con un impegno comune
a sostegno della Fondazione per la Ricerca sul Cancro.
www.royalparkgolf.it
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Pro Am della Speranza 2012: Marco Berry e Allegra Agnelli con l’assegno
devoluto alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro
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Matteo Manassero: semplicemente il futuro