Università degli studi di Pavia
Dipartimento di Psicologia
Corso di Perfezionamento
Psicologia Forense: La pratica dell’intervento psicologico in ambito giudiziario
Elementi di Vittimologia
Carmelo Dambone
psicologo clinico forense – criminologo
Responsabile Scientifico - Istituto di Psicologia Clinica Milano
Dipartimento di Psicologia Giuridica e di Criminologia
[email protected]
Definizione di vittima
Individuo o gruppo che, senza aver violato
regole convenute, viene sottoposto ad
angherie, maltrattamenti e sofferenze di ogni
genere, spesso per effetto di quel
meccanismo proiettivo che istituisce un capro
espiatorio. La condizione di vittima può
essere anche un vissuto ingiustificato sul
piano di realtà, o una forma di simulazione
per ottenere affetto o vantaggi di qualche
genere. In questi casi si parla di condotte
vittimistiche
Altra definizione di vittima
Nel rito sacrificale, animale o uomo,
offerto, per uccisione, alla divinità; chi
perde la vita o subisce gravi danni
personali o patrimoniali in seguito a
calamità, sventure, disastri, incidenti e
simili; chi soggiace ad azioni ingiuste, a
prepotenze, violenze, sopraffazioni e
simili; chi subisce, anche senza averne
piena coscienza, le conseguenze negative
di errori, vizi, difetti propri o altrui
La Vittimologia…
Branca della criminologia che ha per oggetto
lo studio della vittima del reato, della sua
personalità, delle sue caratteristiche biologiche,
psicologiche, morali, sociali e culturali, delle sue
relazioni con l’autore del reato, e del ruolo che
essa ha assunto nella criminogenesi (cerca di
spiegare come è nata, dove è nata e perché è
nata l'idea criminale) e nella criminodinamica
(indica come si è sviluppata la sequenza
cronologica delle azioni costituenti l’idea
criminale e con quale modalità si è sviluppata)
(G. Gulotta)
La vittima in criminologia…
Qualsiasi soggetto danneggiato o che ha
subito un torto da altri, che percepisce se
stesso come vittima, che condivide
l’esperienza con altri cercando aiuto,
assistenza
e
riparazione,
che
è
riconosciuto
come
vittima
e
che
presumibilmente è assistito da agenziestrutture pubbliche, private o collettive” (E.
Viano)
Definizione di
vittimologia e di vittima
La vittimologia si occupa a livello
multidisciplinare degli aspetti biologici,
psicologici, psichiatrici, sociologici, giuridici e
politici della vittima. La vittima è un soggetto
in sofferenza fisica e psichica, che ha subito
un danno in seguito a eventi interpersonali,
spesso devianti o antigiuridici, o catastrofi
causate dall’uomo o dalla natura
Altra definizione di vittimologia
La vittimologia studia la sfera bio-psico-sociale della
vittima, ma non solamente: essa studia il rapporto
che la vittima ha avuto con il proprio aggressore
(quindi anche il suo ruolo agito all’interno di quella
particolare circostanza), studia il contesto ambientale
(fisico e psicologico) di quello che è la realtà, la
fenomenologia della vittima entro il quale è stata
compiuta un’azione criminale e, nel caso di vittima
sopravvissuta, studia le conseguenze fisiche (danni
biologici), psicologiche (traumi a breve-medio-lungo
termine), e sociali (reazioni del gruppo primario,
come la famiglia, del gruppo secondario, come ad
esempio gli amici, e delle agenzie di controllo, come
le forze di polizia o i tribunali)
La definizione più
attuale di vittimologia
La vittimologia è la scienza che studia la
personalità della vittima, le sue caratteristiche
fisiche, psicologiche, morali, sociali e culturali in
funzione di una maggiore conoscenza della
relazione vittima-reo per poter esercitare
soprattutto un’attività preventiva ma anche,
eventualmente, un’attività d’intervento in seguito
alla commissione di reati
Non confondere
Vittimologia con Vittimalistica
Branca della criminalistica
applicata alla vittima del reato
La Vittimalistica
Approccio della criminalistica applicato alla vittima del
reato. Si propone un ampliamento dell’oggetto di studio della
criminalistica tradizionale (attraverso un ampliamento del
concetto di “traccia del reato”) ricomprendendo in esso non
solo la vittima non sopravvissuta al reato ma anche e
soprattutto la vittima sopravvissuta attraverso l’esame della sua
testimonianza, utile per un’esatta ricostruzione dei fatti oggetto
di reato.
Modello
operativo
di
indagine
della
psicologia
investigativa la quale ha, tra le sue finalità, oltre alla
ricostruzione dei fatti oggetto di reato (attraverso la raccolta di
tracce mnestiche dei fatti stessi nei testimoni e nella vittimatestimone) anche la comprensione delle motivazioni e delle
dinamiche relazionali tra autore e vittima che hanno fatto sì che
i due soggetti (o almeno uno di loro) abbiano deciso di risolvere
un conflitto attraverso la commissione di un reato
La vittimologia è tuttora considerata
una scienza giovane anche se
oramai è passato oltre mezzo
secolo
dai
primi
approcci
“vittimologici” da parte di coloro che
ne sono considerati i pionieri
Comunque la vittimologia ha ottenuto un rapido
successo, tanto da entrare anche a livello di
linguaggio comune. Si riferisce alla vittima del
reato o comunque della violazione di diritti
La vittimologia, essendo
interdisciplinare e
multidisciplinare, nella suo
sviluppo teorico e metodologico,
ha subito gli influssi degli
indirizzi sociologici e psichiatrici
Gli scopi della Vittimologia
Gli
scopi
della
vittimologia.
La
vittimologia
nasce
come
scienza
autonoma all’interno di quello che può
essere l’ambito della criminologia in
generale: fino agli anni ’50 la criminologia
aveva considerato la vittima, ma in modo
marginale ovvero in funzione dello studio
del criminale; solo dagli anni ’50 la
vittimologia ha raggiunto una sua
autonomia
Gli scopi della vittimologia sono quelli diagnostici (lo
studio della vittima può essere importante per la
diagnosi della situazione e delle problematiche che
emergono), preventivi rispetto al reato e riparativi
perché si prende in considerazione la parte lesa in
modo riparativo
Questo cambiamento negli anni ’50 è avvenuto
perché con la nascita della criminologia, quindi il
centrare lo studio del fenomeno sull’autore di reato
e sulle sue motivazioni, si era un po’ trascurata
quella che in passato era vissuta come riparazione
oppure come vendetta (nel codice arabo la pena di
morte può essere sospesa dalla grazia dei familiari
della persona o delle persone uccise; negli Stati
Uniti possono partecipare all’esecuzione i familiari)
Per quanto riguarda la storia attuale,
solamente nel 1985 a livello internazionale
si è affrontato il problema della vittima con
la dichiarazione dell’ONU sui diritti della
vittima. Prima tali diritti potevano essere
sottointesi perché la vittima era comunque
tutelata dalla giustizia, che difendeva la
vittima andando a colpire il reato, però di
fatto la vittima non veniva considerata e il
tutto era imperniato su un discorso
repressivo e sempre incentrato sul reo
Fino agli anni 50, quindi, la criminologia era
criminal-centrica e, tra l’altro, c’erano e
probabilmente ci sono tuttora dei malintesi e dei
modi scorretti di interpretare l’analisi della vittima:
la vittimologia è una disciplina creata allo scopo
essenziale di raffinare, perfezionare e aggravare le
pene del reo. Molte critiche che sono state
contrapposte alla vittimologia sostenevano la
volontà di questa disciplina di enfatizzare il ruolo
della vittima per tornare a un discorso di vendetta
nei confronti del reo allontanandosi dal fine
riparativo. Secondo alcuni, studiare la vittima o
pensare dal punto di vista anche della vittima
potrebbe essere pericoloso perché potrebbe indurci
a non considerare le motivazioni del reo
la vittimologia è una disciplina che si
concreta nel trasferire la responsabilità del
fatto dal reo alla vittima. Sostenere che la
vittima ha giocato un ruolo attivo potrebbe
significare che il reo non poteva fare altro
la vittimologia è una disciplina per dare
dignità scientifica alle lagnanze e alle
querulomanie di persone che tendono ad
associarsi sotto il vessillo dei crimini reali o
presunti di cui avrebbero sofferto
la vittimologia è l’equivalente scientifico
del vittimismo
Le tappe della vittimologia
La vittimologia come scienza nacque nel 1948 in
seguito a un articolo di Hans Von Hentig, che fu il
primo a condurre uno studio organico sul tema
della vittima, ma fu solo nel 1956 che Mendelsohn
coniò il termine vittimologia intesa come
autonoma scienza della vittimalità. Questi sono
stati i primi passi fondamentali, seguiti negli anni
’60 da numerosi studi condotti da ricercatori ebrei
che analizzavano le violenze e i traumi provocati
dal dramma dell’olocausto e grazie a studiosi
dell’Irlanda del nord
Fino all’inizio degli anni ’60, di fatto, la
vittimologia non esisteva come scienza ovvero
era una parte della criminologia, c’era solo un
interesse per l’autore del crimine e, solo
successivamente, per l’analisi dell’ambiente e
dei rapporti autore-vittima-ambiente
Il primo Simposio Internazionale ha avuto luogo
a Gerusalemme nel 1973, seguito del Convegno
Internazionale di Bellagio del 1975 e dal
secondo Simposio Internazionale di Boston nel
1976. Da allora si sono susseguiti vari congressi
internazionali durante i quali si è andata
definendo (utilizzando conoscenze di psicologia,
di medicina e di giurisprudenza) questa nuova
scienza della vittimologia
Da un punto di vista storico, le tradizionali
scuole di pensiero giuridico-criminologico,
trascurarono sostanzialmente la vittima, infatti:
Scuola Classica
Non aveva alcun ruolo
attivo in campo penale in
quanto il reato era
considerato come un
evento diretto contro la
società
Il Positivismo
Rivolge le attenzioni alle
caratteristiche biologiche,
psicologiche e sociali dei
delinquenti
ed
alle
possibilità di recupero
tramite l’applicazione di
misure riabilitative, con
scarsa
considerazione
degli interessi e dei
bisogni della vittima
Il termine vittimologia venne creato per
rappresentare un nuovo complesso di idee, una
nuova prospettiva. La sia nascita si colloca
nella prima metà del secolo scorso grazie al
contributo di tre autori principali:
Wertham (The show of violence, 1949)
Hans Von Hentig
Mendelsohn
Wertham
Il senso attribuito da quest’autore alla nuova
scienza, era spiccatamente sociologico.
Egli auspicava ad una “sociologia della vittima”.
Si deve l’aver coniato per primo il termine
vittimologia (1949) con l’intento di focalizzare
l’attenzione sulla vittima del reato soprattutto nella
genesi ed esecuzione di crimini violenti.
Ripercorrendo alcuni famosi casi giudiziari
individuò il legame indissolubile che lega il
criminale alla sua vittima secondo il principio che
ad ogni criminale la sua vittima
Inoltre, mette in evidenza un
altro concetto, quello della
deumanizzazione della vittima
deumanizzare e degradare la vittima facilita la
commissione del reato, poiché consente all’autore
di razionalizzare il suo operato e di neutralizzare il
senso di colpa rendendo possibile l’esecuzione del
reato
Hans Von Hentig
Quest’autore è considerato come il “padre” della
disciplina.
Egli diede avvio al nuovo settore d’indagine e di
ricerche finalizzate al approfondire quali fattori,
individuali e sociali, esponessero la vittima alla
vittimizzazione e la possibile prevenzione
(Bandini, 1993).
Ha studiato per primo la vittima del reato in modo
sistematico,
cercando
di
tipizzarne
le
caratteristiche ed il contributo alla causa del
crimine
Hans von Hentig
Nel suo libro “The Criminal and His Victim” elabora il
concetto di coppia criminale, un paradigma che ribalta la
centralizzazione sul reo e il ruolo passivo della vittima
per la formulazione dell’ipotesi di coppia criminale:
autore e vittima sono legati da una relazione
indissolubile e significativa che li rende complementari.
Tra vittima e autore di reato si strutturano segni,
messaggi, gesti significativi che contribuiscono
attivamente alla commissione del reato.
Pur nella sua portata innovativa, l’intuizione dell’autore
può creare un effetto perverso di colpevolizzazione della
vittima e il rischio di confondere messaggi e segni
impliciti con quello che è il concetto di provocazione
come indicato nella prospettiva penalistica
In sintesi, ha presentato i concetti di:
criminale vittima: casi di persona prima vittima
e poi delinquente; prima delinquente e poi
vittima (il criminale assalta un negozio, il
commerciante reagisce sparando e uccide il
delinquente che diventa così vittima); a seconda
delle circostanze oppure contemporaneamente,
vittima e delinquente
vittima latente: predisposizione a diventare
vittima e ad attrarre il proprio aggressore (un
portavalori, l’anziano che tiene i soldi in casa
perché non si reca mai in banca...)
rapporto vittima-delinquente
Mendelsohn
È stato il primo ad attribuire alla disciplina una sua autonomia
(inversa rispetto alla criminologia).
Avvocato, comincia a manifestare il suo interesse per la
vittima del reato negli anni ’40.
Focalizzò la sua attenzione ai crimini violenti (teorie sulla
violenza carnale). Egli in una sua prima definizione considera
impossibile nella sua esecuzione senza il consenso della
donna.
Successivamente rielaborò tale concetto, considerando che
spesso tale consenso era del tutto fittizio e condizionato da
relazioni di potere e situazioni sociali e familiari della vittima.
Maggiormente a lui si deve l’aver sostenuto l’esigenza di uno
studio della vittima dal punto di vista della sua tutela, nonché
della prevenzione, evidenziando come tale interesse fosse,
allo stato attuale, soprattutto destinato all’autore
Mendelsohn
Si pose domande che riguardavano il ruolo e lo
status della vittima in rapporto al sistema
sociale in generale e alla repressione penale.
Sottolineò l’assenza di considerazione della
vittima, il suo ruolo marginale nel processo
penale e la mancanza di attenzione politica e
sociale ai suoi bisogni (differenza con Hans von
Hentig che aveva posto l’accento solo sulla
necessità della prevenzione alla vittimizzazione,
che poteva essere consentita dalla miglior
conoscenza della vittima del crimine)
In sintesi, Mendelsohn (1965) ha introdotto il concetto di “colpa” da
verificare nella vittima, cioè quanta responsabilità attribuire alla
vittima per l’accadimento dell’evento deviante (attenzione a non
cadere nel malinteso di giustificare il criminale a favore della
vittima, ovvero la colpa è anche della vittima)
vittima “del tutto innocente”: la vittima che passa per
strada e alla quale sparano dalla finestra
vittima “con colpa lieve” e vittima “per ignoranza”: il
passeggero che a bordo di un’auto distrae il guidatore e,
causando una sbandata del veicolo, rimane ferito o ucciso
vittima “colpevole quanto il delinquente” e vittima
“volontaria”: il suicidio nella roulette russa, il suicidio per
adesione o in coppia
vittima “maggiormente colpevole del delinquente”: come
nel caso della vittima provocatrice e della vittima imprudente
vittima “con altissimo grado di colpa” e vittima “come
unica colpevole”: ad esempio, il criminale che aggredisce
una persona e viene da questa ucciso per legittima difesa
Sparks (1982) ha esposto come un soggetto
può contribuire alla propria vittimizzazione
precipitazione: il comportamento della vittima può far
precipitare l’evento (ad esempio, la provocazione fisica o
verbale)
facilitazione: la vittima, in maniera conscia o inconscia, si trova
in contesti a rischio (ad esempio, una persona che attraversa di
notte un quartiere particolarmente malfamato della città)
vulnerabilità: la vittima è in pericolo per una sua particolare
condotta o posizione sociale (ad esempio, una persona che
viene mobbizzata sul posto di lavoro in quanto dipendente non
gradito)
opportunità: la vittima è in possesso di qualcosa che potrebbe
richiamare
l’interesse del criminale (ad esempio, una persona anziana
che si reca da sola a ritirare la pensione)
attrattività: la vittima è in possesso di qualcosa che potrebbe
richiamare l’interesse del criminale (ad esempio, un
rappresentante di gioielli)
Elias
(vittimologia radicale degli anni 80)
La vittimologia e la criminologia seguono uno sviluppo
parallelo, sono entrambe influenzate dal positivismo e
dalla scuola di Chicago, soprattutto per quanto
riguarda la prospettiva interazionista.
Anche per quanto riguarda la vittimologia si supera la
dimensione giuridica e penale, per una definizione più
ampia di vittima, nella misura in cui, dallo studio del
crimine in una prospettiva sociologica, si elabora il
concetto di devianza
Risoluzione Nazioni Unite
n. 40/34 del 29.11.1985
(include due tipi di vittime)
Vittime del crimine
Vittime dell’abuso di potere
Vittime del crimine
“vittime significa persone che, individualmente o
collettivamente, hanno sofferto una lesione, incluso
un danno fisico o mentale, sofferenza emotiva,
perdita
economica
od
una
sostanziale
compressione o lesione dei loro diritti fondamentali
attraverso atti od omissioni che siano in violazione
delle leggi penali operanti all’interno degli Stati
membri, incluse le leggi che proibiscono l’abuso di
potere criminale”
Vittime dell’abuso di potere
“vittime significa persone che, individualmente o
collettivamente, hanno sofferto una lesione, incluso
un danno fisico o mentale, sofferenza emotiva,
perdita
economica
od
una
sostanziale
compressione o lesione dei loro diritti fondamentali
attraverso atti od omissioni che non ancora
costituiscono violazione delle leggi penali nazionali,
ma delle norme internazionalmente riconosciute
relative ai diritti umani”
I Principi base della Giustizia per le
Vittime di crimini e di abusi di potere
Il diritto di essere trattati con rispetto e
considerazione
Il diritto di essere affidati a servizio di sostegno
adeguati
Il diritto di ricevere informazioni in merito ai
progressi compiuti sul caso
Il diritto a essere presenti ed esprimere il proprio
parere nell'assunzione di decisioni
Il diritto di avvalersi di consulenza legale
Il diritto a ricevere un risarcimento, sia da parte di
chi ha commesso il reato che da parte dello Stato
Un effettivo strumento di tutela è stato
approntato a livello dell’ordinamento
giuridico internazionale:
Corte Penale Internazionale
Nella sua giurisdizione sono stati inclusi, oltre al
crimine di genocidio, anche i crimini contro
l’umanità, fra i quali è facile identificare i diversi
casi denunciati, approfonditi e studiati dalla
vittimologia.
Lo Statuto è entrato in vigore il 1° luglio del
2002
La relazione vittima-criminale
Gli studi interpersonali delle relazioni che si
instaurano fra la vittima e il criminale possono
dare notevoli apporti ai fini diagnostici al processo
per esaminare la relazione vittima-criminale. Gli
autori che hanno dato inizio allo studio della
vittimologia considerano importante capire la
relazione vittima-criminale, oltre che conoscere
quelle che possono essere le motivazioni, le
caratteristiche e la fenomenologia del criminale
Le vittime privilegiate
Ci sono vittime privilegiate, che sono quelle selezionate tra
i più deboli e gli emarginati, le donne, i bambini e gli
anziani (Gulotta 1981)
Però le vittime possono essere molte: per esempio, la
vittima può essere una persona che ha qualcosa che il reo
intende rubare quindi può essere la persona che ha del
denaro oppure la persona da truffare. Spesso diversi
fattori di debolezza si sommano come nei confronti
dell’anziano vittima delle truffe, fenomeno attualmente
molto praticato nelle nostre città. Alcune debolezze in
questi casi si sommano: il fatto di avere soldi in casa, la
condizione di anziano, che si può riuscire ad influenzare o,
comunque, non è aggiornato e non è pronto nelle sue
reazioni rispetto magari a una richiesta di controllo sulle
fughe di gas. In questo campo la criminalità ha
organizzato vere e proprie associazioni a delinquere
specializzate
Dai dati di uno studio condotto a Milano nel
2003, su più di duemila anziani che
frequentavano un centro ricreativo per anziani
(quindi una popolazione socializzata, non chiusa
in casa) emerge che l’anziano truffato è
soprattutto la persona sopra gli 85 anni, che
risulta più debole, a livello mentale, nelle
capacità di reazione. Il numero delle truffe nelle
quali
cadono
vittime
gli
anziani
è
impressionante: si parla di quattrocento truffe
all’anno a Milano, ma probabilmente il numero
reale è molto superiore (Codini 2004)
Non si parla delle vittime
Non si parla delle vittime se non al momento della
conoscenza del fatto, ma l’orrore scompare
presto: subito ci si concentra sull’autore del delitto
piuttosto che su chi l’ha subito anche perché il reo
è colui che deve essere fermato e sul quale deve
intervenire la giustizia. In questa maniera si
soddisfa la nostra privata e inespressa ferocia
(Gulotta 1981), questa vendetta che forse non è
mai stata annullata del tutto, “la legge del
taglione”
La visione tradizionale
della vittima
“L’offeso non pone alcun problema: basta
seppellirlo”.
Questa
era
la
visione
tradizionale fino agli anni ’50 per quanto
riguarda
un
certo
tipo
di
cultura
(anglosassone e americana), mentre in Italia
questa prospettiva si è mantenuta più a
lungo (il primo libro sulla vittima fu scritto da
Gulotta alla fine degli anni ’70)
La classificazione delle vittime
La classificazione classica delle vittime comprende:
vittime passive, ovvero le vittime accidentali,
professionali (per esempio, i tassisti che lavorano di
notte), simboliche (per esempio, la suora uccisa a
Chiavenna) e trasversali (per esempio, il familiare di un
boss della mafia)
vittime attive, ovvero le vittime aggressive (per
esempio, il bandito ferito o ucciso dal commerciante che
si difende), provocatrici, favorenti, disonoranti (per
esempio, la moglie che tradisce il marito oppure la
ragazza lapidata in Afghanistan dalla sua famiglia che si
riteneva disonorata dal rifiuto della donna di tornare dal
marito che le era stato scelto) e consenziente (per
esempio, l’eutanasia attiva)
Le modalità di vittimizzazione
i sistemi attraverso cui un aggressore può sottomettere
un’altra persona, ovvero i reati che riguardano la vittima, sono:
abuso fisico
abuso sessuale
abuso verbale
abuso emotivo o psicologico, come la
denigrazione
abuso spirituale, come costringere una persona
a tradire la propria religione
abuso economico, come la truffa e il furto
abuso sociale, come gli scherzi esagerati
(nonnismo militare), le critiche eccessive e
continuate (mobbing), le accuse false e il
controllo dei movimenti
Da un punto di vista criminologicovittimologico, abbiamo più tipologie di violenza
Violenza fisica (qualsiasi azione e comportamento che può
provocare segni più o meno evidenti, dai lividi alle lesioni gravi fino
alla morte)
Violenza sessuale (qualsiasi forma di attività sessuale imposta
contro la propria volontà)
Violenza psicologica (qualsiasi atteggiamento verbale e non
verbale, volto a ledere la libertà e l’identità personale)
Violenza economica (tutto ciò che direttamente o indirettamente
concorre a rendere la donna dipendente, fino al punto di non avere
mezzi economici sufficienti a soddisfare i bisogni di sussistenza
propri e/o dei figli)
Comportamento persecutorio (Stalking) (tutti quei comportamenti
persecutori messi spesso in atto quando la donna cerca di
allontanarsi o ha interrotto una relazione)
… e dunque più tipologie vittime
(minori più a rischio – vittimologia minorile)
Minori
come
vittime
(a
rischio
di
maltrattamento,
maltrattato
“anche
la
trascuratezza”, d’incesto, di pedofilia). Fattori:
madre, coppia genitoriale, handicap, l’ambiente
sociale
Anziani come vittime (fattori legati all’anziano
e/o all’entourage). Fattori: perdita della funzione
sociale, isolamento, dipendenza
Malati di mente come vittime
Donne vittime di aggressioni sessuali (nei
gruppi, pianificazione di violenze sessuali da
parte dell’Autorità in un contesto di guerra,
prostituzione)
Vittime di maltrattamenti in famiglia (violenze
coniugali, maltrattamenti dei minori in famiglia,
maltrattamenti degli anziani in famiglia).
Vittimologia indiretta: assistere a scene di
violenza
Vittime di violenza in età scolare e bullismo
(tipologia del bullo, tipologia delle vittime)
Vittime del molestatore sul luogo di lavoro
(mobbing)
Vittime del molestatore segugio assillante
(possibili effetti sulla vittima di stalking)
Vittime di sequestro di persona
Vittime delle Sette (metodi fisici di
condizionamento: isolamento, privazione
del
sonno,
metodi
psichici
di
condizionamento: cambiamento di nome,
formule sacre, sette sataniche, danno
sulle vittime)
Vittime d’incidenti stradali (cause legate
all’uomo, cause indipendenti dall’uomo)
Vittime di reati penali (vittime della
delinquenza organizzata)
Vittime di catastrofi naturali (tipo di
avvenimento responsabile, psicopatologia
individuale, psicopatologia collettiva)
Vittime di guerra
Vittime della tortura (lesioni fisiche
conseguenti,
lesioni
psicopatologiche
conseguenti)
Vittime di crimini contro l’umanità
(vittime di genocidio)
Vittime delle reazioni da lutto (lutto
patologico)
L’incontro della vittima e
dell’autore del fatto criminoso
Molti casi di violenze sui bambini e sulle
donne avvengono in famiglia, quindi
l’incontro avviene all’interno di una
relazione affettiva che si è instaurata negli
anni. È da sottolineare, però, come negli
ultimi anni Internet è all’origine di incontri
pericolosi, incontri che possono sfociare in
crimini
Porsi dalla parte della vittima
Porsi dalla parte della vittima significa fare
breccia attraverso secoli di accettazione e di
rassegnazione. Le matrici di queste sono molto
lontane: nella nostra cultura, per esempio,
notevole peso ha avuto il Cristianesimo che ha
beatificato la sofferenza (Gulotta). In passato
vigeva la legge del taglione e la vittima esigeva
la sua vendetta; nei secoli la vittima è stata
messa da parte, non è stata più considerata e,
quindi, è stata due volte vittimizzata
I tre modelli per limitare l’incidenza del crimine
Nel corso degli anni la criminologia ha individuato dei
modelli che possono ridurre il numero di atti criminosi.
Tali modelli sono stati sintetizzati da Gulotta in:
repressione o punizione, che presenta dei limiti in quanto per
essere efficace la pena: 1. non deve essere troppo severa, ma
sufficiente contro il significato gratificante dell’azione, 2. deve
essere certa, 3. deve essere contigua all’azione
terapia, ovvero la cura del reo, che è limitata dal fatto che: 1. si
può curare una nevrosi ma non si può fare nulla davanti a scelte
esistenziali determinate dall’appartenenza a una sottocultura o
dall’anomia ovvero dalla carenza di norme sociali, 2. vi è
un’impreparazione del sistema terapeutico, 3. alcuni criminali
simulano “la fuga nella virtù”, una buona condotta per poter uscire
prevenzione: certamente rendendo più giusta la società (per
esempio, evitando sacche di povertà come le “favelas”) le vittime
diminuiranno, ma non dobbiamo attenderci da interventi parziali
dei risultati utili completi. La prevenzione deve avvenire, oltre che
nei confronti del delinquente, attraverso un intervento
sull’ambiente, sulla personalità della vittima e sulle situazioni
perché solo tali misure possono efficacemente influenzare il tasso
di criminalità e di vittimizzazione
È opportuno rammentare che…
Prima vittimologia: ruolo della vittima
nell’evento criminoso per capire dinamica
e motivazioni del criminale
Seconda vittimologia: aiuto e assistenza
alla vittima, non solo di agiti criminali ma
anche di catastrofi
La ricerca in vittimologia
Ricerche direttamente vittimologiche e
ricerche indirettamente vittimologiche a
seconda delle loro finalità (studio di vittime o
di reati)
Ricerche qualitative e ricerche quantitative
Ricerche a scopo diagnostico
Ricerche a scopo preventivo
Ricerche a scopo riparativo
Definizione e ambiti di ricerca
Analisi Quantitativa
Statistiche
Analisi Qualitativa
Caratteristiche
biologiche-psicologiche
-sociali
Relazione vittimaautore di reato
Fattori che predispongo
no la vittimizzazione
Le caratteristiche della vittima. La
probabilità di divenire vittima di un
crimine non è ugualmente distribuita fra
tutti gli individui in quanto esistono delle
circostanze (l’età, il sesso...), proprie di
alcuni soggetti, che favoriscono certi tipi
di condotta criminale; tali circostanze
costituiscono una sorta di predisposizione
specifica nei confronti di determinati reati
Predisposizioni vittimogene specifiche
(caratteristiche)
BIO-FISIOLOGICHE
condizione fisica)
(età,
sesso,
SOCIALI
(professione,
status
condizione sociale, stile di vita)
razza,
sociale,
PSICOLOGICHE E PSICHIARTICHE (carattere
e personalità, stati psicopatologici, deviazioni
sessuali, tossicodipendenza)
Interventi sulle vittime
In ambito giudiziario
Diritto da parte di chi ha subito un danno
al risarcimento e alla costituzione di parte
civile durante il processo penale
Nel caso di soggetto incapace o
minorenne, risponde chi esercita la tutela
(genitori, tutore, insegnante, etc..)
Interventi sulle vittime
In ambito psicosociale
Programmi di mediazione sociale e
interculturale in ambito comunitario e
istituzionale
Interventi psicologici e psicoterapeutici da
parte di agenzie specialistiche
Programmi di riparazione e riconciliazione
vittima/autore di reato attivati all’interno del
processo e dell’esecuzione penale
Interventi sulle vittime
In ambito istituzionale
Informazione
Accoglienza
Assistenza giudiziaria
Assistenza psicologica
Accoglienza dei minori in caso di violenza
domestica
Percezione della vittima sul piano
psichiatrico forense, giuridico e
psicosociale
Evoluzione da vittima ignota a valorizzata
Vittima sacralizzata (in un rituale sacrificale, viene
offerta alla divinità)
Vittima ignorata (per lungo la scissione tra ruolo di
criminale e quello di vittima)
Vittima criminalizzata (l’importanza della vittima nelle
dinamiche delittuose. Non solo l’autore ma partecipa
anche la vittima)
Vittima tutelata (sotto il profilo fisico, emotivo e sociale,
la parte più fragile. Vittima come soggetto debole)
Vittima valorizzata (la vittima partecipa ai vari gradi del
processo penale con possibilità di partecipare ed essere
risarcita)
La vittima nata
come ci sono criminali che presentano
la tendenza a a delinquere, ci sono anche
individui che presentano una propensione
ad assumere il ruolo di vittima
Caratteristiche personologiche
Il masochismo manifesto (es. insegnante che sminuisce il
proprio lavoro agli occhi degli allievi)
Il sadomasochismo (es. mi comporto in modo da farmi
aggredire)
L’autopunitività da successo sociale (sono convinte che il
loro successo abbia attirato invidie, gelosie. Alcune volte
provano sensi di colpa)
L’incapacità a tutelarsi “Sindrome di Abele” (persona
incapaci di tutelarsi, ad es. persone buone, ingenue)
L’equivalente suicidario esistenziale (persone che in
assenza di impedimenti, rinunziano a valorizzarsi come
vorrebbero, finiscono per rinnegare la propria autenticità))
L’equivalente
suicidario
fisico
(mettono
in
atto
comportamenti suicidari a seguito es. di separazione,
abbandono)
Caratteristiche personologiche
Il culto dell’eroe in negativo (persone che cercano di essere
eroi in positivo ma senza risultati.. “da più bello a più brutto”
La reattività controfobica (reagiscono a ciò che fa loro paura
affrontando l’oggetto)
La ricerca di superstimolazioni (ci sono individui che hanno
bisogno di stimolazioni intellettuali, emotive e fisiche sopra
la norma per raggiungere un loro apparente e soddisfacente
equilibrio psichico)
La
provocatorietà
ipomaniacale
(atteggiamenti
di
contestazione, soprattutto all’Autorità, facilitano dinamiche
vittimogene)
La suggestionabilità patologica (soggetti utilizzati e che
vengono manipolati, es. la madre che fa uccidere il padre dal
figlio schizofrenico)
Ruolo della vittima nell’evento criminale
Vittima innocente (es. infanticidio)
Sacrificale (individuo che va incontro alla sua
sorte con atteggiamento psicologico di
rassegnazione commisto ad uno spirito di
sacrificio)
Plurigenerazionale (il ruolo di vittima è
tramandato da generazione in generazione)
Precipitante (l’individuo che con il suo
comportamento può, anche involontariamente,
precipitare l’evento delittuoso)
Ruolo della vittima nell’evento criminale
Recidiva (individuo malato di tumore che dà il
soldi ad una maga per toglierle il malocchio)
Intermittente (Il caso dei pazienti affetti da
disturbo bipolare)
Bloccata (scomparsa di una persona cara e
vivono situazione depressiva)
Imprudente (individuo incapace di valutare il
rischio)
Consenziente (es. il suicidio-omicidio del
consenziente)
Ruolo della vittima nell’evento criminale
Negligente (diviene vittima per negligenza)
Volontaria (bisogno di assaporare le emozioni
legate al rischio, es. guida dei giovani in
contromano)
Alternante (alcune volte sono vittime e altre
volte aggressore)
Futuro criminale (es. biografia di grandi
criminali - da giovani maltrattati -)
Selezionata (scegliere la vittima con
determinate caratteristiche al fine di compiere il
crimine con minor rischio)
Ruolo della vittima nell’evento criminale
Per sentimento di colpa (pensano di aver ricevuto
dalla vita più di quanto sia stato offerto agli altri)
Permanente
(sebbene
senza
specifiche
psicopatologiche, presentano tratti personologici che li
predispongono verso situazioni vittimologiche)
Occasionale (es. l’occasione fa l’uomo ladro)
Eroica (es. Kamikaze)
Da ansietà da vittimizzazione (dopo un evento
negativo sviluppano ansietà e insicurezza)
Immaginaria (si dichiarano in apparente buona fede,
oggetto
di
soprusi,
violenze,
senza
alcuna
corrispondenza con la realtà)
Interscambiabilità dei ruoli
Da criminale a vittima (un soggetto che
agisce e si comporta come un criminale può
altresì divenire, in un tempo successivo, una
vittima, es. criminali emarginati dalla società)
Da vittima a criminale (esperienze frustranti
e destabilizzanti nell’infanzia, es. abusato da
piccolo)
Criminale e vittima contemporaneamente
Vittima o criminale per caso (es. dopo una
lite ambedue cercano di uccidersi con
un’arma
Schemi comportamentali
tra criminale e vittima
Complementari
Non complementari
Schemi comportamentali
non complementari
tra criminale e vittima conosciuta (es. marito che
uccide la moglie)
tra criminale e vittima sconosciuta (persone
sconosciute, incontratesi in modo del tutto
occasionale, es. schizofrenico che uccide
perché pensa che chi lo aveva aggredito aveva
la barba rossa)
Schemi comportamentali
complementari
Coppia reciprocamente maltrattante
Coppia estorsore-estorto
Coppia avvelenatore-avvelenato
Coppia con l’alcolista violento
Coppia prosseneta-prostituta
Coppia con il tiranno familiare
Coppia madre-figlio tossicodipendente
Coppia genitore-figlio psicotico
Coppia criminale dominante-succube (criminali:
serial killer il dominante, succube il compagno che
aiuta a sbarazzarsi dei cadavere)
Reazioni emotive della vittima nei
confronti dei criminale
Meccanismi psicologici di difesa della vittima
Minimizzazione (sottovalutare il pericolo)
Negazione (pur riconoscendo e comprendendo la realtà
nella sua reale dimensione, ci comporta come se non
esistesse. Negare la realtà)
Seduzione dell’aggressore
Identificazione con l’eroe
Scissione (consiste in una netta separazione: ottime
qualità o crudele persona)
Regressione (in situazioni frustranti tenta di tornare a
precedenti fasi di sviluppo che offrivano maggior
sicurezza
Etc…
Reazioni emotive dell’aggressore
nei confronti della vittima
Meccanismi psicologici dell’aggressore
Disumanizzazione (priva la vittima dei suoi attributi di
umanità)
Svalorizzazione (sminuire le qualità della vittima)
Intimidazione (costringere ad uno stato costante di
paura)
Identificazione proiettiva (trasferire su altri le reazioni
aggressive e crudeli che sono sue proprie)
Minimizzazione (permette di ridurre l’importanza che può
avere un certo comportamento o atteggiamento)
Negazione delle prove di colpevolezza (certezza
dell’impunità)
Negazione di responsabilità (“non sono stato io”, fino ad
un vero e proprio delirio di innocenza)
Etc…
Conseguenze del trauma sull’equilibrio
psichico della vittima (aspetti clinici)
Disturbo acuto da stress (sintomi marcati
d’ansia, etc.. . Dalle poche ore successive al
trauma fino a 4/5 settimane)
Disturbo post traumatico da stress (sintomi che
persistono oltre i 30 giorni)
Depressione
(difficoltà
di
comprensione,
diminuzione della iniziativa, perdita di appetito,
etc..)
Disturbo bipolare (questa condizione tende a
presentare fasi depressive seguite da fasi
maniacali)
Conseguenze del trauma sull’equilibrio
psichico della vittima (aspetti clinici)
Distimia (è una forma di depressione minore nel senso
che comporta una minore compromissione delle
relazioni sociali e dell'attività lavorativa)
Autolesionismo
Suicidio
Abuso di sostanze
Disturbo del comportamento alimentare
Disturbo d’ansia
Sindrome del sopravvissuto (caratterizzata da tensione
con ipervigilanza, iperattività, irritabilità, incubi notturni)
Sindrome da privazione della libertà in istituzioni chiuse
(es. carceri, ospedali psichiatrici, etc.. . Si presenta con
turbe della memoria, difficoltà d’attenzione e
concentrazione, irritabilità umore depresso, isolamento,
etc..
Tappe del trattamento
di psicoterapia
Fasi fondamentali
dell’intervento
psicoterapico
Valutazione
dei sintomi
post-traumatici
Terapia specifica
mirata sui sintomi
Valutazione dei
sintomi iniziali
confrontati con i
risultati terapeutici
Valutazione clinica della sintomatologia e dei fattori associati
Psicoeducazione sul disturbo post-traumatico da stress
Trattamento dei sintomi affettivi e delle emozioni
Trattamento dei sintomi cognitivi e del pensiero
Conclusioni del processo terapeutico
Facciamo qualche esempio
La sindrome di
Stoccolma
La relazione
autore – vittima
Soltanto attraverso lo studio della relazione
autore-vittima è possibile comprendere non solo il
perché si è consumato un reato, ma anche e
soprattutto perché un reato si è verificato proprio
tra quei due soggetti e non tra altri, perché si è
verificato proprio quel tipo di reato e non un altro,
perché il reato si è verificato proprio in quel
momento e non in un altro, perché si è verificato
proprio con quelle particolari modalità e non con
altre…
La relazione
autore – vittima
Da quando la criminologia ha iniziato ad
occuparsi della relazione autore-vittima lo ha fatto
studiando detta relazione prima del reato in
modo da comprendere perché quel determinato
reato ha coinvolto proprio quelle due persone e
con quelle particolari modalità e non con altre.
Successivamente la criminologia ha iniziato a
studiare detta relazione dopo il reato, ad
esempio nei programmi di mediazione penale.
Mai, prima d’ora, la criminologia aveva studiato
detta relazione durante il reato
L’evento
Periodo: giovedì 22 agosto 1973, ore
10,15
Località: Stoccolma, Sveriges Kreditbank
Durata dell’evento: 131 ore
Numero ostaggi: 4 impiegati (tre donne e
un uomo)
Età: tra i 21 e i 31 anni
Sequestratore: evaso di 32 anni con
complice
I fatti
Le vittime temevano la polizia più di quanto non
temessero i rapinatori
“I ladri ci stanno proteggendo dalla polizia”
Dopo il rilascio, alcuni degli ostaggi si chiesero:
“Perché non odiavamo i sequestratori?”
Per molte settimane dopo il rilascio: incubi di una
possibile fuga dai sequestratori, pur non provando
alcun odio per essi
Sensazione che i criminali avessero ridato loro la vita,
e quindi si sentivano emotivamente in debito verso i
loro sequestratori per questa loro generosità
Il fenomeno
La Sindrome di Stoccolma sembra essere una
risposta emotiva automatica, spesso inconscia,
al trauma del divenire un ostaggio. Tale
risposta non è una scelta razionale della
vittima.
Essa comprende un alto grado di stress
Tale fenomeno coinvolge sia gli ostaggi che il
sequestratore, i quali sviluppano la filosofia del
“siamo noi contro di loro” (intendendo quel
“loro” come le forze di polizia)
Le fasi
Sentimenti positivi degli ostaggi
verso i loro sequestratori
Sentimenti negativi degli ostaggi nei
confronti della polizia
Reciprocità dei sentimenti positivi
da parte dei sequestratori
Il tempo
Il trascorrere del tempo può produrre un
legame positivo o negativo, che dipende
dalle interazioni degli ostaggi e dei
sequestratori. Se costoro non abusano delle
loro vittime le ore trascorse insieme
produrranno, molto probabilmente, risultati
positivi.
“La Sindrome di Stoccolma non è un
“fenomeno
magico”
ma
una
logica
conseguenza di un’interazione umana
positiva” (Strentz, 1976)
Una testimonianza
“Dopo che tutto era finito e che eravamo salvi ho
realizzato che i sequestratori mi avevano fatto passare
l’inferno, e avevano causato ai miei genitori ed alla mia
fidanzata un forte trauma.
Eppure io ero vivo.
Ed ero vivo perché essi mi avevano lasciato vivere. Voi
conoscete soltanto poche persone, o forse nessuna,
che possa tenere la vostra vita nelle sue mani, e
ridarvela quando vuole. Quando tutto fu finito, ed
eravamo salvi e loro avevano le manette, io andai
verso di loro e li baciai ad uno ad uno dicendo: “Grazie
di avermi ridato la vita”. So bene che sembra ridicolo,
ma è così che mi sentivo”
La relazione
autore-vittima
è una terza creatura,
unica e irripetibile,
non confrontabile con
nessuna altra relazione
Si sono formate sostanzialmente 3
opinioni sull’eziologia della sindrome:
Si deve ricondurre allo stato di
dipendenza delle vittime dal carnefice
Si deve ricondurre al meccanismo di
difesa freudiano dell’”identificazione con
l’aggressore”
Si deve ricondurre ad un forte sentimento
di gratitudine delle vittime per non essere
state uccise
È importante sapere che…
Le ricerche svolte fino ad oggi in materia non
hanno identificato un tipo di personalità che
sembri più incline alla Sindrome di Stoccolma
cosa significa ciò?
Ciò
significa
che
questo
fenomeno
è
essenzialmente di tipo relazionale, che dipende
dalla relazione instaurata tra sequestrato e
sequestratore, e dalle condizioni esterne ed
ambientali particolari
Interazione
sequestratore - sequestrato
Nella vittima la necessità di sopravvivere è più
forte del suo impulso ad odiare la persona che
gli ha creato il trauma.
Ad un livello inconscio l’Io ha messo in moto i
propri meccanismi difensivi nella corretta
sequenza
di
diniego,
regressione,
identificazione o introiezione, al fine di
sopravvivere.
“La Sindrome di Stoccolma è in fondo un altro
esempio dell’abilità dell’Io sano a lottare e ad
adattarsi di fronte alla tensione prodotta da un
trauma”
Conclusione
Le vittime del caso originario di Stoccolma
continuarono a visitare i loro sequestratori
in carcere, ed una delle impiegate della
banca si è fidanzata con uno di essi.
In altri casi le vittime hanno stanziato fondi
per la difesa legale dei loro sequestratori
Esempio di intervento su una
vittima di abuso sessuale
Classificazione delle
forme di abuso
1.
2.
Maltrattamento:
Fisico
Psicologico
1.
2.
3.
Patologia delle cure:
Incuria
Discuria
Ipercura
1.
2.
Abuso sessuale:
Intrafamiliare
Extrafamiliare
Innanzitutto bisogna…
1. Sospendere le aspettative e il giudizio
2. Osservare quanto accade
3. Astenersi da forme immediate di intervento
4. Ascoltare le emozioni attivate da quanto
osservato
E’ necessario conoscere:
1. Gli stadi e le crisi evolutive
2. Ciò che differenzia la normalità dal
disagio/patologia
3. Le caratteristiche del disagio correlato
all’abuso
1° Stadio: Età 0 – 1 anno
(Allattamento e suo termine)
Segnali di disagio
normali/transitori
Inappetenza con riduzione dell’apporto alimentare e perdita di peso;
Pianti prolungati, monotoni;
Paura degli estranei;
Temporanei disturbi del
sonno.
Segnali di disagio
patologici/rigidi
Ritiro marcato delle relazioni;
Persistenza di pianti inconsolabili;
Blocco oppure grave inibizione dell’attività motoria;
Perdita di peso persistente per rifiuto del cibo;
Gravi disturbi del sonno.
2° Stadio: Età 1 – 3 anni
(La scoperta del mondo)
Segnali di disagio
normali/transitori
Segnali di disagio
patologici/rigidi
Fino allora era buono e
docile, diventa testardo e
aggressivo;
Oppure da prevalentemente attivo ora si
chiude in se stesso,
abbandona i giochi, evita
le relazioni.
Persistenza di comportamenti rigidamente oppositivi;
Oppure chiusura e rifiuto
sociale;
Regressione delle recenti
acquisizioni (es. linguaggio).
3° Stadio: Età 3 – 6 anni
(La conoscenza del mondo)
Segnali di disagio
normali/transitori
Ansia di separazione;
Ritardo del controllo sfinterico;
Imperfezioni del linguaggio;
Sporadiche balbuzie;
Regressione del linguaggio;
Fobie verso gli animali
divoratori;
Ansia di danneggiamento
fisico (ansia di castrazione);
Masturbazione;
Onicofagia (si mangia le
unghie).
Segnali di disagio
patologici/rigidi
Enuresi;
Encopresi;
Tic, balbuzie, fobia diurna e
notturna;
Rifiuto dell’inserimento nella
scuola dell’infanzia;
Si ammala frequentemente.
4° Stadio: Età 6 – 10 anni
(La scolarizzazione)
Segnali di disagio
normali/transitori
Temporaneo rifiuto scolastico;
Difficoltà di apprendimento;
Difficoltà di relazioni con
adulti e coetanei;
Tendenza all’isolamento;
Scrupolosità per l’ordine o
disordine;
Tendenza all’iperattività;
Crisi di opposizione a genitori e insegnanti.
Segnali di disagio
patologici/rigidi
Marcata chiusura e isolamento dalle relazioni sociali;
Comportamento oppositivoprovocatorio verso genitori
e insegnanti;
Rilevante iperattività;
Comportamenti aggressivi;
Caduta del rendimento scolastico;
Depressione, ansia, fobie,
ossessività.
5° Stadio: Età 11 – 17 anni
(Prepuberale-puberale)
Segnali di disagio
normali/transitori
Opposizioni differenziate rispetto
ai genitori;
Presenza di “critica”;
Insoddisfazione dell’immagine corporea;
Aumenta il “senso estetico”;
Labilità emotive e dell’umore;
Facilità di cortocircuito e agiti.
Segnali di disagio
patologici/rigidi
Forte variabilità dell’umore;
Eccessiva timidezza o rancore nei
confronti del mondo;
Persistente oppositività;
Tendenza al comportamento deviante;
Alternanza di ricerca e rifiuto della
vicinanza corporea con l’adulto;
Disturbi alimentari;
Dismorfofobie;
Uso di “sostanze”;
Problematicità della sfera sessuale;
Gravi depressioni;
Tentativi di suicidi;
Iperazionalismo freddo;
Comportamenti ossessivi-compulsivi;
Episodi allucinatori e deliranti.
Cosa differenzia la
“normalità” dalla “patologia”
Ciò che le differenzia non è la presenza
dei segnali di disagio (rintracciabili anche
nelle crisi evolutive dello sviluppo
“normale”), quanto piuttosto il loro
persistere senza possibilità spontanea di
remissione
In ogni vittima sono rintracciabili
degli indicatori (non specifici)
Esempio: vittima di abuso sessuale
I segni fisici
I segnali comportamentali
I segnali emotivi
I segni fisici
Non sempre sono presenti dei segni fisici, per lo più
ai genitali ma non solo, e in assenza di essi non è
possibile affermare che “sicuramente” l’abuso
sessuale non si è realizzato.
Nel caso di segni fisici, è necessaria la valutazione
del danno da parte di un medico specialista (medico
legale, ginecologo), che abbia una specifica
competenza al fine di una diagnosi differenziale tra
segni fisici di origine organica oppure accidentale o
intenzionale.
I segnali comportamentali
Conoscenza precoce del comportamento sessuale e relative
allusioni con parole, gesti, disegni;
Masturbazione coatta;
Introduzione di oggetti in vagina;
Comportamento marcatamente seduttivo;
Inibizione alla sfera sessuale;
Distorsione della percezione corporea;
Costante rifiuto a spogliarsi per visite mediche e a cambiarsi
per l’attività sportiva;
Disturbi psicosomatici della sfera alimentare e sfinterica;
Atteggiamento remissivo;
Aggressività verso adulti e coetanei o verso se stesso;
Scarsa socializzazione;
Tendenza all’adultomorfismo;
Caduta del rendimento scolastico;
Frequenti e/o prolungate assenze da scuola.
I segnali emotivi
Vissuto traumatico della sessualità;
Senso di impotenza;
Sensazione di essere tradito;
Perdita di parametri affidabili di giudizio;
Ostilità verso l’adulto non protettivo;
Paura di essere rifiutati dall’adulto potenzialmente
protettivo e della stigmatizzazione familiare;
Incubi notturni;
Crisi d’ansia;
Sintomi fobico-ossessivi soprattutto connessi con
l’intrusione e lo sporco;
Depressione con tristezza, perdita di autostima.
Non ho parlato di indicatori
specifici, perché?
SINTOMI DI ABUSO
SINTOMI DA SEPARAZIONE
DEI GENITORI
Ansia, stress
Ansia, stress
Pianti, irascibilità, paura,
disturbi
del
sonno
e
dell’alimentazione
Pianti,
irascibilità,
paura,
disturbi del sonno, incubi, crisi
di
pianto,
comportamenti
aggressivi
Sensi di colpa per non
essere riuscito ad evitare
l’abuso
Sensi di colpa per l’infelicità
dei genitori
Eccesso di masturbazione,
spiccata erotizzazione nei
giochi e nei comportamenti
Eccesso di masturbazione,
spiccata erotizzazione nei
giochi e nei comportamenti
Errori comuni da parte degli esperti
i ragionamenti auto-immunizzanti
1.
La
bambina
dunque è vero
racconta:
1.
La bambina non racconta o
ritratta: ha paura, dunque è
vero
2.
La bambina non vuole
rivedere il padre: teme che
si ripeta l’abuso
2.
La bambina vuole rivedere il
padre: è erotizzata
3.
La madre non dubita
dell’abuso: le madri queste
cose le sentono
3.
La madre dubita dell’abuso:
è una madre collusiva
4.
La
bambina
racconta
dell’abuso senza dettagli:
sta cercando di rimuoverlo
4.
La
bambina
racconta
dell’abuso con dettagli: ne è
rimasta impressionata
5.
La bambina è attaccata al
padre: si è creato un
legame erotizzato
5.
La bambina odia il padre: è
rimasta traumatizzata
Stralcio di relazioni
•
•
•
•
•
•
•
•
Al colloquio, la sig.ra Maria, madre della minore Matilde, è apparsa alquanto
dubbiosa circa la violenza subita dalla figlia. Le scriventi ritengono, pertanto, che la
sig.ra Maria sia poco trasparente e protettiva, evidenziando una buona dose di
segretezza
La sig.ra Renata racconta dell’ottimo rapporto che ha con la figlia Roberta; infatti la
stessa non dubita circa le dichiarazioni fornite dalla bambina. Gli operatori ritengono,
vista la relazione tra madre e figlia, molto attendibile quando dichiarato dalla madre
Non vi è dubbio circa il racconto della minore Federica, avendo la stessa narrato
tranquillamente i fatti. Gli operatori ritengono attendibile e veritiera la narrazione
La minore è apparsa alquanto frastornata….ritrattando quanto precedentemente
verbalizzato. Non si esclude che possa aver paura
Il racconto del minore è stato molto sommario e veloce, privo di indicazioni temporali,
luoghi e modalità. Appare plausibile che lo stesso stia mettendo in atto un
meccanismo di rimozione
Il papà metteva….faceva….e poi un’altra volta mi ha detto che…. Nel colloquio la
bambina ha raccontato l’abuso con straordinari dettagli, rimanendo nel contempo
impressionata
Gli operatori hanno constatato, nel tempo, un forte rapporto tra zio e nipote. Ampia
letteratura al riguardo, ne cita tale relazione quale legame erotizzato
La minore non vuole assolutamente vedere il genitore….si ritiene che sia rimasta,
dal ripetersi degli atti di violenza, traumatizzata
L’operatore di fronte al “racconto
spontaneo” sull’abuso:
Può fare
Condividere lo stato emotivo e comunicare al bambino
la comprensione per la
situazione difficile;
Eventuali domande aperte
che permettano al bambino
il racconto in modo libero;
Comunicargli l’interesse ad
aiutarlo;
Confrontarsi con i colleghi e
gli altri professionisti per
attivare l’intervento;
Valutare l’opportunità di
colloquio con i genitori.
Deve evitare
Domande inquisitorie;
Manifestare spavento, disgu
sto, ansia eccessiva per
quanto ascoltato;
Commenti o giudizi negativi
su chi ha compiuto il
maltrattamento/abuso
e/o
su chi lo ha permesso;
Prendere iniziative affrettate
senza avere esaminato la
situazione
ed
essersi
consultati con i colleghi e gli
altri professionisti.
Rischio di vittimizzazione
Vittimizzazione primaria (relazione con l’autore
del fatto)
Vittimizzazione secondaria (l’iter giudiziario e
processuale)
Vittimizzazione terziaria (l’autore rimane ignoto
oppure viene assolto)
La vittima in
rapporto al Diritto
Il percorso della vittima
Indagini preliminari (acquisizione degli elementi
di prova)
G.I.P.
Dibattimentale (formazione della prova)
Post-dibattimentale
(percorso
sostegno psicologico, etc…)
terapeutico,
Il percorso della vittima nel contesto penale
Fase delle Indagini
Preliminari
P.M. Richiesta di
Rinvio a giudizio
P.M. Richiesta di
Archiviazione
G.I.P.
Udienza Preliminare
Dibattimento
Rito abbreviato,
patteggiamento
La gestione del conflitto
Tipi di Mediazione
La mediazione scolastica
Basa i suoi principi sui conflitti tra studenti
(es. bullismo, forme prevaricazione e
violenza dei ragazzi nei confronti di altri
sia fisica che psicologica);
Disagi gravi possono causare anche il
ritiro dalla scuola stessa;
Il
peggioramento
scolastico.
del
rendimento
La mediazione familiare
È una procedura in cui un terzo, neutrale e
qualificato, viene sollecitato dalle parti per
fronteggiare la riorganizzazione resa
necessaria dalla separazione
Il ruolo del mediatore è quello di portare i
membri della coppia a trovare da sé le
basi di un accordo durevole e
reciprocamente accettabile, tenendo conto
dei bisogni di ciascun componente
familiare e soprattutto dei figli
La mediazione penale
E’ una procedura informale in cui la vittima e l’autore del
reato aderiscono liberamente ad un incontro e tramite l’ausilio
del mediatore esprimono opinioni, bisogni, emozioni
Permette di trovare una soluzione comune al loro conflitto
che preveda anche accordi per una riparazione materiale e/o
simbolica del danno
Riconciliazione tra autore del reato, vittima, società
Attenzione particolare viene riservata alla vittima
L’obiettivo è quello di trasformare la relazione tra antagonisti
in relazione tra persone che si assumono una responsabilità
La mediazione culturale e linguistica
Interviene in presenza di conflitti tra
persone di etnie o culture diverse, spesso
originati dalla scarsa conoscenza dei
reciproci usi e costumi assai diversi tra
loro
La mediazione ambientale
Volta alla soluzione dei conflitti sorti nel
rapporto fra i cittadini e le pubbliche
amministrazioni
L’obiettivo è quello di riaprire fra le parti il
canale comunicativo e di porre ciascuna di
esse in una situazione di comprensione
delle esigenze dell’altro
La mediazione nei luoghi di lavoro
Gestire i conflitti che possono sorgere
all’interno dei luoghi di lavoro
Gestire i conflitti interpersonali dovuti ad
episodi di mobbing
Le difficoltà di convivenza dovute a
diversità etniche, linguistiche o religiose
Evitando di arrivare a costituire materia di
competenza sindacale o giudiziaria
La mediazione penitenziaria
Mira a ridurre la conflittualità fra la
popolazione carceraria
La mediazione interculturale
Interviene in quell’area dove è avvertita
l’esigenza e la necessità di interventi in un
territorio che si va sempre più connotando
come
multietnico,
multiculturale,
multirazziale (es. nella regione Puglia)
Il concetto di mediazione si configura,
quindi, come un vero e proprio spazio di
educazione civica e sociale
INTRODUZIONE ALLA
MEDIAZIONE PENALE
Linee guida per la
Mediazione Penale
1.
La necessità di sostenere una cultura positiva della
mediazione e dei conflitti (oggi manca una cultura
mediatoria “positiva”; c’è chi supporta un’ideologia di
guerra, di prevaricazione e di rivalsa);
2.
La coerenza dell’approccio sistemico nella prassi sia
operativa che formativa della mediazione (l’ottica sistemica
si propone come metodo di osservazione che ne amplia il
campo pur riconoscendo l’esigenza di circoscrivere gli
obiettivi dell’intervento di mediazione. La mediazione è un
processo interattivo legato alla relazione ed al contesto);
3.
L’applicabilità della mediazione in diversi contesti (la
mediazione può applicarsi a diversi contesti).
Obiettivi della
Mediazione Penale
1. Stimolare l’autore del reato a confrontarsi
con le conseguenze delle proprie azioni
2. Rivalutare la vittima anche attraverso
l’atteggiamento
di
disponibilità
e
attenzione da parte dell’autore del reato
3. Promuovere
nuovi valori sociali che
superino la contrapposizione ideologica
e morale fra reo e vittima
La Mediazione Penale si colloca in
un ambito per la quale reo e
vittima, adeguatamente supportati,
realizzano l’opportunità di prendere
parte alla gestione del conflitto
causato dal reo del fatto, anziché
limitarsi a sottostare ad un giudizio
pronunciato da altri
Paradigmi di giustizia
Retributiva
Crimine definito come
violazione dello Stato;
Offesa definita in termini
puramenti legali;
Debito verso la società e lo
Stato in modo astratto;
No incoraggiamento per
perdono e pentimento;
Dipendenza da legali.
Riparativa
Crimine
definito
come
violazione interpersonale;
Offesa
compresa
nel
contesto morale, sociale e
politico;
Debito verso la vittima;
Possibilità di perdono e
pentimento;
Diretto coinvolgimento dei
partecipanti.
Retributiva
Riparativa
Sottolinea i valori individualistici e competitivi,
mette lo Stato in linea
diretta e simmetrica nei
confronti dell’aggressore,
mentre
la
vittima
è
ignorata e deve ritenersi
soddisfatta dalla condanna
che lo Stato infligge al
colpevole.
Offre maggiori possibilità
di recupero del colpevole e
riparazione della vittima,
collocando l’offesa non in
un contesto astratto, ma
all’interno di luoghi reali,
intesa nelle sue determinanti sociali, morali e
politiche. Riconoscendo il
debito verso la vittima e
contemplando l’azione riparativa, permette di rendere mobile lo stigma,
attraverso il perdono e il
pentimento.
Studio di Roberts (1995) sugli
effetti della Mediazione Penale
La vittima
Si è sentita ascoltata;
L’aggressore non esercita controllo su di loro;
Vede nell’aggressore una persona e non più un mostro;
Si affida maggiormente agli
altri;
Ha meno paura;
Non è più preoccupato per l’ag
gressore;
Si sente in pace;
Non ha più idee suicidarie;
Non ha rabbia.
L’aggressore
Scopre le emozioni, i sentimenti d’empatia;
Aumenta la consapevolezza
dell’impatto delle sue azioni;
Aumenta l’autocoscienza;
Apre gli occhi sul mondo reale
anziché su quello istituzionale;
Ha buoni sentimenti sul proces
so mediatorio;
Acquisisce pace mentale nel
riconoscere di aver aiutato
una vittima del suo comportamento.
G. Bateson, punto di riferimento di ogni pensatore sistemico, ci suggerisce alcune riflessioni.
Nel suo saggio “Mente e Natura” egli afferma:
“E’ interessante considerare la natura di un concetto quale
“delinquenza”. Ci comportiamo come se la delinquenza si potesse
eliminare con la punizione di alcune parti di quelle che consideriamo
azioni criminose, come se “delinquenza” fosse il nome di una sorta di
azione o di parte di una sorta di azione. Più corretto è dire che
“delinquenza”, come “esplorazione”, è il nome di un modo di
organizzare le azioni. E’ pertanto improbabile che punendo l’atto si
elimini la delinquenza. In tutti questi millenni, la cosiddetta scienza
della criminologia non è ancora riuscita a sfuggire a una grossolana
confusione dei tipi logici. Comunque sia, vi è una differenza molto
profonda tra un serio sforzo di modificare lo stato del carattere di un
organismo e un tentativo di modificare le sue azioni particolari. Questo è
relativamente facile, quello è profondamente difficile. Un cambiamento
di paradigma è difficile quanto un cambiamento nell’epistemologia anzi
è della stessa natura…. Sembra che un requisito quasi prioritario di
questo addestramento in profondità sia che esso non si concentri
principalmente sull’atto specifico per cui il reo si trova ad essere punito
con la reclusione”.
Questo ci porta a delle riflessioni:
1.
Il rapporto esistente tra macro-contesto ed in contesto di vita del
reo. Si omette di considerare che le regole che fanno parte del
contesto del reo, e che sono state introiettate da lui, spesso si
trovano in relazione simmetrica con quelle del macro-contesto e
addirittura in relazionale paradossale con esso. Citiamo ad
esempio il caso di una delinquenza che venga a radicarsi in zone
di emarginazione: reati di mafia. Tale logica non può che portare
ad una escalation della circolarità esistente tra colpa e punizione
con l’effetto di un aumento progressivo e incontrollato del numero
dei carcerati
2.
Vi sono ambiti nei quali la mera logica della punizione è ulteriore
inadeguata. Ad esempio i reati compiuti dai minori o sui minori,
dove è più chiaro che può esservi la necessità di inquadrare
quanto accaduto in un problema di rapporto o in un problema di
crescita. In tali casi è maggiore il rischio di inserire il minore in un
circuito penale che può ulteriormente indirizzare la sua vita verso
una relazione simmetrica con la società piuttosto che redimerlo
Per tal motivo:
Bateson vuole chiarire come ogni cosa ha un
senso nel suo sistema/contesto e a volte una
cosa che può sembrare utile in un piccolo
sistema (es. famiglia o comunità) se applicato a
sistemi più ampi può dare luogo a dinamiche
che cambiano le relazioni tra le parti.
E’ proprio a ciò che vuole rispondere la
Mediazione Penale, quale via alternativa nella
soluzione dei conflitti
La Mediazione nel sistema
giuridico penale italiano
Nel nostro ordinamento giuridico manca:
Una compiuta definizione dell’intervento di
mediazione penale
Una precisa individuazione delle ipotesi in
cui tale intervento risulti ammissibile
Procedimento penale ordinario (1)
Pochi spazi nel procedimento penale ordinario;
Qualche apertura in fase di esecuzione della pena;
Nella fase diretta all’accertamento della responsabilità, all’art. 555
comma 3 c.p.p., che disciplina l’udienza di comparazione a seguito di
citazione diretta a giudizio (art. 550 c.p.p.), è previsto che: “Il Giudice,
quando il reato e perseguibile a querela, verifica se il querelante è
disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione”.;
Analoga verifica è ritenuta possibile da parte del G.I.P., investito dei
giudizi pre-dibattimentali, nonché da parte del G.U.P.;
Sotto il profilo letterale, va osservato che la norma sembra prevedere un
vero e proprio obbligo del Giudice dibattimentale di verificare la
disponibilità del querelante alla remissione della querela. E’ ovvio che la
sua veste di organo giudicante – terzo ed imparziale – esclude a priori la
possibilità di trattazione diretta della vicenda in termini di mediazione. In
questa sede potrebbe trovare spazio una sollecitazione alle parti, in ogni
caso assolutamente informale, dal parte del Giudice all’avvio di un
percorso di mediazione da parte di esperti esterni al procedimento
penale;
Procedimento penale ordinario (2)
Rimane il fatto che in una fase del processo in cui la querela ha già
ottenuto il risultato della citazione diretta da parte del P.M., appare
assai improbabile che una eventuale sollecitazione di questo tipo
possa trovare risposta positiva;
L’art. 564 c.p.p., abrogato dall’art. 44 della Legge 16.12.1999 n.479,
che prevedeva, per tutti i reati perseguibili a querela di parte, “facoltà
per P.M. di citare querelante e querelato, che potevano essere
assistiti dai propri difensori, per esperite il tentativo di conciliazione,
mediante la verifica della possibilità di remissione della querela”.Tale
iniziativa, che poteva di fatto definire il procedimento in una fase
anteriore al processo vero e proprio, era facoltativa e non
obbligatoria;
Sulla scorta di ciò appare ancora molto difficile inserire nel
procedimento penale ordinario una mediazione penale;
Pare più verosimile che in sede di verifica di volontà di remissione di
querela, il Giudice possa prendere atto dell’eventuale esito positivo di
un percorso di mediazione avvenuto altrove;
Procedimento penale ordinario (3)
Appare più praticabile, al fine di un avvio di mediazione penale,
l’affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dall’art. 47
della
Legge
26.07.1975
n.354,
recante
“Norme
sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà, e successive modifiche”. Tale
misura alternativa alla detenzione, il cui esito positivo della
prova estingue la pena, può essere concessa dal Tribunale di
Sorveglianza a condizione che: la pena inflitta o residua non
supera i tre anni e dall’osservazione collegiale in istituto;
In particolare l’art. 47 comma 7, dispone che nel verbale
contenente le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire, deve
anche stabilirsi che l’affidato si adoperi in quanto possibile in
favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli
obblighi di assistenza familiare. Di fatto tale non è stato oggetto
di applicazione. L’iniziativa rimane incentrata sul reo mentre
alla vittima rimane un risarcimento meramente economico.
Procedimento penale a carico di minori (1)
Il procedimento minorile mira alla tutela,
recupero e sviluppo del minore (art.1 del d.p.r.
n. 448 del 1988);
È maggiore la sperimentazione di interventi di
mediazione, aventi la finalità di garantire il
recupero del minore imputato o condannato;
Il processo è strutturato in un modo tale da
garantire una veloce “uscita” del minore dal
circuito penale in una prospettiva rieducativa;
Procedimento penale a carico di minori (2)

Il Giudice può:
1.
emettere, già in sede di indagini preliminari, sentenza di non
luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27 del d.p.r. n. 448
del 1988), sul presupposto della tenuità del fatto e
dell’occasionalità del comportamento, nonché del pregiudizio per
le esigenze educative del minore. Il Giudice, infatti, procede dopo
aver sentito, oltre al minore ed all’esercente la potestà dei
genitori, anche la persone offesa dal reato;
disporre, sentite le parti, la sospensione del processo con la
relativa messa alla prova (art. 28 del d.p.r. n. 448 del 1988)
quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne
all’esito della prova con conseguente rinuncia dell’esercizio
dell’azione penale. Con ordinanze di sospensione, il Giudice
affida il minore ai servizi minorili dell’Amministrazione della
Giustizia, in collaborazione anche con i servizi locali, per le attività
di osservazione, trattamento e sostegno nonché impartire
prescrizioni per riparare le conseguenze del reato e promuovere
la conciliazione del minore con la persona offesa dal reato (art. 27
del D.lgs. 28.07.1989 n. 272). (In ambito adulto, l’affidamento in
prova al servizio sociale è disposto solo nella fase di esecuzione
della pena).
2.
Procedimento penale a carico di minori (3)
Sul comportamento del minore e sull’evoluzione
della sua personalità, i servizi devono
presentare una relazione al Presidente del
collegio che ha disposto la sospensione del
processo, nonché al Pubblico Ministero.
Procedimento penale davanti al Giudice di Pace (1)
Riforma del procedimento penale davanti al
Giudice di Pace è stata motivata dalla necessità
di provvedere ad una concreta riduzione del
carico processuale davanti al Tribunale
Ordinario (D. lgs. 28.08.2000 n. 274)
Rispetto al procedimento penale ordinario, la
persona offesa ha un ruolo più significativo
Procedimento penale davanti al Giudice di Pace (2)
In particolare:
1. Per i reati perseguibili a querela, alla persona offesa
è data la facoltà di esercitare direttamente la
citazione in giudizio, col ministero del difensore (art.
21 del D. lgs. n. 274 del 2000);
2. Solo in caso di mancata opposizione della persona
offesa, o del querelante, il Giudice di Pace può
stabilire, in ordine alla irrilevanza di un
comportamento, l’archiviazione per la particolare
tenuità del fatto (art. 34 del D. lgs. n. 274 del 2000);
3. Sentita la persona offesa, può essere dichiarata
l’estinzione del reato conseguente a condotte
riparatorie (art. 35 del D. lgs. n. 274 del 2000);
Procedimento penale davanti al Giudice di Pace (3)
Per la prima volta, in un testo legislativo penale,
viene fatto riferimento alla “mediazione”. (l’art. 2
comma 2 del D. lgs. n. 274 del 2000 stabilisce che
“nel corso del procedimento il Giudice di Pace deve
favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le
parti”);
Ai sensi dell’art. 29 (Udienza di comparizione), è
disposto che “Il Giudice, quando il reato è
perseguibile a querela, promuove la conciliazione tra
le parti”. Il Giudice può “rinviare l’udienza per un
periodo non superiore a due mesi….”.
Per finire, per lavorare nel campo
vittimologico è necessario che …
 potenziare il livello di preparazione di tutti gli
operatori (preparazione che può essere offerta da
corsi di formazione e un certo livello di
specializzazione)
 raggiungere un elevato livello di collaborazione
multidisciplinare che coinvolga esperti in campo
giuridico, medico, psichiatrico, psicologico e
pedagogico
 sviluppare protocolli d’intesa tra le autorità coinvolte
che stabiliscano metodi d’indagine comuni e
soprattutto tecniche di ascolto e criteri di valutazione
delle dichiarazioni rese dalle vittime
Grazie per l’attenzione
La violenza non è
forza ma debolezza
Benedetto Croce
[email protected]
Bibliografia
Codini G. (2010), La vittimologia e le vittime fragili,
Franco Angeli
Dambone C. (2010), Il minore vittima violenza sessuale:
il lavoro dell’équipe psico-socio-pedagogica e giudiziaria
tra incompetenze, conflitti e lavoro sistematico, in Piero
Crispiani (a cura di), Pedagogia Giuridica, Edizioni
Junior
Dambone C., Final Report “Stalking e rischio di
violenza”, Università degli Studi di Modena e Reggio
Emilia ed Università degli Studi di Milano, solo in lingua
inglese
Frison R. (2003), Mediazione Penale Sistemica,
Edizioni Sapere
Nivoli G.C., Lorettu L., Milia P., (2010), Vittimologia e
psichiatria, Centro Scientifico Editore
[email protected]
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quando il linguaggio psicologico/pedagogico incontra quello giuridico