SAN MARCO IN LAMIS
Cenni Storici
La storia della città si intreccia con quella del santuario di San Matteo, il cui edificio a prima vista
può essere scambiato per un'antica fortezza, ma in realtà è un monastero di frati cappuccini
risalente al IX-X secolo. Nel medioevo l'imponente struttura garantiva protezione agli abitanti del
luogo, per la sua posizione inespugnabile, arroccata su un colle.
Il centro storico denominato Padula (palude) (lamis in latino equivale proprio a palude) è di tipo
medievale, con case basse a schiera prevalentemente bianche con strade strette e vicoli ciechi.
A proposito di briganti, è necessario ricordare che il territorio di San Marco in Lamis è stato
fortemente interessato dal fenomeno del brigantaggio post-unitario. Infatti, sono oltre 50 i briganti
sammarchesi fucilati o morti negli scontri dopo il 1861; tra essi, Angelo Maria Del Sambro (Lu
Zambre), Agostino Nardella (Putecàrio), Angelo Villani (Recchio muzzo), Nicandro Polignone
(Nicandrone). Inoltre, si registra che altri 42 briganti - originari di comuni limitrofi - siano deceduti
in combattimento o siano stati fucilati nel territorio di San Marco in Lamis.
Cosa visitare
C ONVENTO
DI
S AN M ATTEO
Sulla Via Sacra Langobardorum, si trovano a ridosso del paese i due conventi francescani di San
Matteo e di Santa Maria di Stignano, la cui storia risulta intimamente legata a quella dei
sammarchesi e della loro città.
Il convento di San Matteo fu edificato dai Benedettini tra il IX e X secolo su un preesistente
hospitium ed è assurto al massimo splendore intorno all'anno 1000. Dopo alterne fortune, nel XVI
secolo vede l'insediamento dei frati Francescani che ne fecero oltre che un centro di culto e di
studio, anche un punto di riferimento per le attività economiche e sociali della zona. Durante il
1800 subì le restrizioni imposte prima dai Francesi e poi dallo Stato Italiano Unitario con le sue
leggi soppressive degli Ordini Religiosi.
Ma la paziente ed instancabile operosità dei frati Francescani ha fatto rifiorire l'antico splendore del
convento sia nella struttura dell'imponente edificio che nel fervore del culto popolare.
Oggi, nel XXI secolo, arroccato su una salda rupe a dominare la sottostante valle in cui sorge San
Marco in Lamis, appare alle persone sensibili come un faro che guida ed ammonisce. Meta di molti
fedeli e pellegrini, rappresenta anche un punto di riferimento per i tanti studiosi che hanno la
possibilità di fruire della sua voluminosa Biblioteca (oltre 70.000 volumi, con un fondo antico, che
comprende libri stampati tra la fine del sec. XV e il sec XVIII, e, fra l'altro, 10 incunaboli, 200
cinquecentine e circa 1000 seicentine).
All'interno del convento sono conservati oltre 600 ex voto
Essi rappresentano la testimonianza più espressiva della fede e della pietà popolare sviluppatasi
nel Santuario di San Matteo. Queste tavolette votive narrano di una serie infinita di disgrazie
fisiche e morali (dal morso dell'asino all'incidente nei campi, dallo scoppio del fucile durante la
caccia all'incidente d'auto, dal tentativo di omicidio all'assalto dei briganti, dai bombardamenti aerei
alla malattia mortale, dalle cadute dalle impalcature a quelle nei pozzi). Uno degli ultimi, un
cartoncino disegnato a mano, esprime uno dei più moderni e reali pericula, quello scampato
dall'anonimo disegnatore negli esami universitari di medicina dinanzi all'apposita commissione.
A quattro Km. circa da San Marco in Lamis, nella amena valle omonima, si trova il Convento di
Santa Maria di Stignano, le cui origini sono legate ai pellegrinaggi che si svolgevano sulla Via Sacra
Langobardorum. Infatti esso era uno dei tanti eremi ed oratori che costellavano i pendii della zona
e che fungevano da posti di riposo e di conforto ai numerosi romei che qui stazionavano prima di
affrontare la restante faticosa via per Monte Sant'Angelo.
S ANTA M ARIA
DI
S TIGNANO
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Una gentile leggenda narra che San Francesco d’Assisi, nel 1216, passando per la valle di Stignano
diretto alla Grotta dell’Arcangelo Michele, sia rimasto estasiato per l’amenità del luogo, per la sua
luce, per la maestosità delle montagne verdi e severe, per la feracità del suolo, il profumo dell’aria,
i colori dei fiori.
Si dice che, commosso, abbia benedetto i frutti di questa terra.
Si tratta certo di una leggenda, ma è necessario ricordare che Stignano è terra di leggende e di
benedizioni, come lo è di fatti terribili e drammatici.
Situato all’ingresso dell’ampia valle che si apre a nord ovest sulla sconfinata pianura del Tavoliere,
dove la strada comincia ad inerpicarsi, il santuario rappresenta la porta settentrionale del Gargano
dei santuari.
La “Via Francesca” entra nel vivo con una tappa densa di altissima spiritualità mariana e
francescana. Stignano è il luogo da cui il pellegrino incomincia il suo vero cammino penitenziale
fatto di sofferenza, ma anche di intensa gioia.
La leggenda dice che Leonardo di Falco, povero e cieco, originario di Castel Pagano, nelle sue
peregrinazioni di mendicante un giorno s’addormentò sotto una quercia.
Gli apparve la Vergine Santissima che gli indicava, poggiata sui rami di un albero, una statua
raffigurante la Madre di Dio col Bambino.
Il cieco, riacquistata la vista, raccontò tutto ai sacerdoti di Castel Pagano, i quali, in processione,
vennero a rilevare la sacra immagine. Sul luogo venne costruita una cappelletta, di cui parla un
documento del 1231, divenuta subito meta di pellegrinaggi. Nei pressi della chiesina i pellegrini
abruzzesi e molisani diretti alla Grotta dell’Arcangelo Michele sostavano per una preghiera e un
modesto ristoro.
Agli inizi del sec. XVI un certo fra Salvatore Scalzo, dopo aver peregrinato a lungo, insieme ad
alcuni compagni, prese dimora presso la cappelletta.
Ma poco dopo la piccola comunità abbandonò il cenobio.
Nel 1515 Ettore Pappacoda, feudatario della zona, costruì la bella chiesa che oggi si ammira in
seguito completata dalla stupenda cupola.
Durante il sec. XVI il santuario fu dato ai Frati Minori Osservanti. Con la loro venuta il Santuario
cominciò ad essere conosciuto anche in tutto il Tavoliere e sul Gargano.
Tra i secoli XVI e XVII il complesso santuariale e conventuale ebbe la sua attuale conformazione.
Fu completata la chiesa con la cupola e il campanile. Fu rifinita la bella facciata della chiesa con la
meravigliosa lunetta del portale maggiore raffigurante la Vergine Madre di Dio.
Nel 1686 una persistente siccità aveva prosciugato ogni riserva d’acqua mettendo la comunità dei
Frati, che non era piccola, in grave difficoltà.
P. Salvatore ricorse alla Vergine di Stignano, e un giorno, dopo aver pregato con confidenza, trovò
la cisterna del secondo chiostro colma di freschissima acqua. La fama di quest’acqua miracolosa si
sparse dovunque sì che il Barone di Rignano, proprietario delle case addossate al convento, ne
portò qualche bottiglia a Napoli dove si ottennero “molte e mirabili guarigioni”, così ricorda il P.
Serafino Montorio nella sua opera Zodiaco di Maria.
I Frati di Stignano giravano tutta la Capitanata per la questua ed erano da tutti conosciuti. La loro
ospitalità qualche volta procurò qualche imbarazzo come quando, nel 1647, al tempo della rivolta
di Masaniello, avendo a Foggia preso il comando della rivolta il “notar” Sabato Pastore, alcuni nobili
del capoluogo dauno cercarono a Stignano sicuro asilo.
Nel 1774 un Monstrum horrendum marinum, forse un capodoglio, si spiaggiò dinanzi a Rodi
Garganico.
I rodiani cominciarono a fantasticare che un feroce drago venuto dal mare avesse tentato di
assalire la città e portarono a Stignano due ossi del mostro per ringraziare la Madonna dello
scampato pericolo. I due reperti, venerati dai pellegrini come reliquie, sono ancora in bella mostra
nella sacrestia del santuario.
Si disse poi che che Satana, travestito da feroce creatura, aveva ingaggiato alle pendici del
Gargano una furibonda battaglia con l’Arcangelo Michele.
Del mostro non erano rimasti che i pochi ma imponenti resti esposti a Stignano a perenne
ammonimento dei cristiani. Alla fine del sec. XVIII fu superiore a Stignano P. Michelangelo
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Manicone da Vico, teologo e scienziato, che con la sua opera maggiore, La fisica Appula, iniziò su
basi scientifiche la scoperta di quel mondo così diversificato e affascinante che è il Gargano e la
Capitanata.
Il declino del Santuario di Stignano iniziò nel 1862 quando venne chiuso dalle autorità a causa del
brigantaggio allora imperversante. La zona di Stignano, piena di anfratti, dirupi e foreste
inestricabili divenne rifugio preferito di fuorilegge e grassatori.
Il 15 aprile 1863, sotto il grande arco che unisce la chiesa all’antica casa del Barone di Rignano un
colpo di fucile mise fine alla drammatica carriera di Nicandro Polignone, uno dei capi briganti.
Lo sparo sacrilego e fratricida lacerò gli echi ancora vivi del salmodiare dei pellegrini. Riaperto nel
1864, fu chiuso di nuovo poco dopo dalle leggi che sopprimevano gli Ordini Religiosi.
Iniziò per il glorioso santuario di Stignano un periodo buio e doloroso, che si concluse nel 1953 con
la donazione del convento ai Frati Minori di Puglia e Molise da parte dell’attuale proprietario
Francesco Centola.
Da allora sono stati fatti molti lavori di restauro e ristrutturazione. La chiesa ha ricominciato a
funzionare. E’ auspicio di tutti che il santuario di Stignano riprenda in pieno il suo ruolo religioso
che la storia gli ha assegnato, quello di essere il primo santuario che i pellegrini provenienti dal
nord incontrano sul Gargano.
C ASTELPAGANO
Da un punto di vista territoriale il sito non rientra nel comune di San Marco in Lamis, ma in quello
di Apricena, da un punto di vista storico con la cittadina di San Marco e in particolare con il
convento di Stignano condivide molti aspetti. Per un senso di appartenenza che si porta avanti da
generazioni e generazioni lo si considera come parte integrante del territorio di San Marco.
Ubicato su di uno sperone del Gargano a 545 metri di altitudine, a Sud-Ovest del promontorio del
Gargano nel comune di Apricena, il castello, di cui rimangono poche rovine, faceva parte di un
borgo la cui origine è incerta. La posizione elevata, ottima all'epoca per controllare il territorio
sottostante, gli permette una vista stupenda verso il Gargano e i monti del Molise da una parte e
su tutto il Tavoliere dall'altra.
M ANIFESTAZIONI
La città è nota soprattutto per la tradizionale Processione delle "fracchie", una manifestazione
religiosa popolare molto suggestiva e unica nel suo genere che si ripete puntualmente da circa tre
secoli ogni Venerdì Santo per la rievocazione della Passione di Cristo. Le fracchie sono delle enormi
fiaccole, realizzate con grossi tronchi di albero aperti longitudinalmente a forma di cono e riempiti
di legna, per essere incendiate all'imbrunire e divenire quindi dei falò ambulanti che illuminano il
cammino della Madonna Addolorata lungo le strade del paese alla ricerca del Figlio morto.
Sembra che le origini di questo rito risalgano ai primi anni del 1700, epoca di edificazione della
chiesa della Addolorata e le sue ragioni, oltre che di ordine religioso e devozionale, vadano
collegate anche ad una motivazione di ordine pratico riconducibile alle precise condizioni fisiche
dell'abitato. Infatti, quando venne costruita (1717), la chiesa dell'Addolorata si trovava fuori il
centro abitato e lì sarebbe rimasta fino all'ultimo ventennio del 1800.
Una collocazione questa che sollecitò la fantasia degli abitanti i quali pensarono di illuminare con le
"fracchie" la strada che la Madonna percorreva dalla sua chiesa fino alla Collegiata, dove era
custodito il corpo del Cristo. Incerta risulta l'etimologia del vocabolo "fracchia". Potrebbe derivare
dal latino "fractus": rotto, spezzato, aperto (in riferimento al tronco dell'albero "aperto" per essere
riempito di legna). Oppure, potrebbe trovare origine dal termine dialettale abruzzese "farchia"
(torcia, fiaccola), trasformatosi per metatesi in "fracchia".
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