SENTENZE IN SANITÀ – CORTE DI CASSAZIONE
CASSAZIONE PENALE - Sezione VI - sentenza n. 16092 del 27 aprile 2012
AL MATRIMONIO IN AMBULANZA DEL “118”: È REATO
Con sentenza del maggio 2004, il G.U.P. del Tribunale di Chieti ha dichiarato due operatori sanitari del
servizio “118” colpevoli dei reati di concorso in peculato e truffa aggravata in danno dell'ASL condannandoli alla pena di mesi due giorni venti di reclusione e Euro 800,00 di multa ciascuno, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile.
Si era addebitato ai due operatori sanitari di essersi appropriati momentaneamente dell'ambulanza di cui
avevano la disponibilità per ragioni di servizio, per recarsi in una località diversa da quella istituzionale,
e partecipare al matrimonio di un collega, nonché di aver riscosso l'intera retribuzione giornaliera, anche per l'attività lavorativa non prestata.
A seguito di impugnazione degli imputati, la Corte di Appello dell'Aquila, in parziale riforma della pronuncia, li ha assolti entrambi dal reato di truffa; ha rideterminato la pena per il residuo reato di peculato, in concorso anche delle attenuanti, in mesi uno giorni venticinque di reclusione, convertiti in Euro
13.750,00 di multa ciascuno; ha ridotto a Euro 1.000,00 per ciascuno di essi l'importo liquidato a titolo
di risarcimento del danno alla parte civile.
In motivazione, la Corte d’appello, ha condiviso i rilievi e le argomentazioni del giudice di primo grado a
conferma del giudizio di colpevolezza, non dubitando della sussistenza del peculato d'uso sotto il duplice
profilo dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato, ritenendo irrilevante che l'utilizzo indebito dell'ambulanza si fosse protratto per poco più di mezzora.
Gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione.
In tema di uso di auto di servizio la giurisprudenza è ormai orientata al principio che non è configurabile il
reato di peculato d'uso nell'utilizzo episodico e occasionale dell'auto di servizio solo quando la condotta
abusiva non abbia leso la funzionalità della pubblica amministrazione e non abbia causato un danno patrimoniale in relazione all'utilizzo del carburante e dell'energia lavorativa degli autisti addetti alla guida.
La Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente all'entità della pena pecuniaria determinandola nella misura di Euro 2.090,00. Ha rigettato i ricorsi nel resto.
omissis
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con sentenza in data 17/5/2004 il G.U.P. del Tribunale di Chieti dichiarava D.E. e M.D. colpevoli dei reati di concorso in peculato e truffa aggravata in danno dell'ASL di X. e li condannava
alla pena di mesi due giorni venti di reclusione e Euro 800,00 di multa ciascuno, oltre al risarcimento del danno alla costituita parte civile.
Si addebitava ai predetti di essersi, in concorso tra loro e quali operatori sanitari del servizio
"118" presso la predetta ASL, appropriati momentaneamente dell'ambulanza, di cui avevano la
disponibilità per ragioni di servizio, per recarsi in una località diversa da quella istituzionale, e
partecipare al matrimonio di un collega, nonché di avere riscosso l'intera retribuzione giornaliera, anche per l'attività lavorativa non prestata.
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CASSAZIONE PENALE – SEZ. VI – SENTENZA N. 16902/2012
A seguito di gravame degli imputati la Corte di Appello dell'Aquila con sentenza in data
24/9/2009 in parziale riforma della sentenza impugnata assolveva entrambi gli imputati, perché
il fatto non sussiste, dal reato di truffa; rideterminava la pena per il residuo reato di peculato, in
concorso anche dell'attenuante di cui all'art. 323 bis c.p., in mesi uno giorni venticinque di reclusione, convertiti in Euro 13.750,00 di multa ciascuno (giorni 55 x 250 ex art. 135 c.p.); riduceva a Euro 1.000,00 per ciascuno di essi l'importo liquidato a titolo di risarcimento del danno
alla parte civile, liquidando le ulteriori spese del grado; e confermava nel resto.
In motivazione la corte di merito condivideva i rilievi e le argomentazioni del giudice di primo
grado a conferma del giudizio di colpevolezza, non dubitando della sussistenza del peculato d'uso sotto il duplice profilo dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato, ritenendo irrilevante che l'utilizzo indebito dell'ambulanza si fosse protratto per poco più di mezzora.
Contro tale decisione ricorrono entrambi gli imputati a mezzo dei propri difensori, i quali a sostegno della richiesta di annullamento denunciano con il primo motivo l'inosservanza e erronea
applicazione della norma incriminatrice ex art. 314 c.p., comma 2, e censurano l'error in iudicando, in cui erano incorsi i giudici del merito nel ritenere in maniera illogica e inconferente che
la mezzora impiegata durante il servizio non potesse essere qualificata "uso istantaneo" dell'ambulanza, malamente interpretando la giurisprudenza di legittimità, ormai consolidata. che aveva
chiarito che "uso momentaneo" non significa "uso istantaneo", ma "temporaneo", ossia protratto
per un tempo limitato, così da comportare una sottrazione della cosa alla sua destinazione istituzionale tale da non compromettere seriamente la funzionalità della Pubblica Amministrazione.
Con il secondo motivo deducono la violazione dell'art. 2 c.p., in riferimento alla L. n. 689 del
1981, art. 53, e sostengono che il criterio di conversione, già modificato dalla L. n. 94 del 2009,
art. 3, si poneva in contrasto con il principio generale di cui all'art. 2 c.p., onde dovendosi applicare la legge più favorevole al reo, la conversione doveva operarsi a Euro 38,00 per ogni giorno
di pena detentiva e non ad Euro 250,00, come aveva fatto il giudice a quo.
Con il terzo motivo lamentano la violazione dell'art. 541 c.p.p., in riferimento alla quantificazione del danno alla parte civile, originariamente riferita al danno relativo alla truffa, che doveva essere riveduto a seguito dell'assoluzione da tale reato, e in riferimento alla liquidazione delle
spese processuali in favore della parte civile, che ben potevano essere compensate in tutto o in
parte, ricorrendo giusti motivi, rappresentati dall'assoluzione in primo grado dal reato ex art.
340 e dall'assoluzione dalla truffa in secondo grado.
Il primo e il terzo motivo dei ricorsi sono infondati e devono pertanto essere rigettati, con la
condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile,
che si liquidano come da dispositivo.
Ed invero in tema di uso di auto di servizio la giurisprudenza di questa Sezione è ormai orientata al principio che non è configurabile il reato di peculato d'uso nell'utilizzo episodico e occasionale dell'auto di servizio solo quando la condotta abusiva non abbia leso la funzionalità della
P.A. e non abbia causato un danno patrimoniale in relazione all'utilizzo del carburante e dell'energia lavorativa degli autisti addetti alla guida (Cass. Sez. 6^ 9/6/2011 Freddi; 24/5/2011 Rossettini).
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CASSAZIONE PENALE – SEZ. VI – SENTENZA N. 16902/2012
A tale principio la corte di merito si è adeguata nel caso in esame, dando conto con puntuale e
adeguato apparato argomentativo, di cui prima si è fatto cenno, della sussistenza dell'ipotesi
criminosa contestata, enunciando analiticamente gli elementi e le circostanze di fatto convergenti e rilevanti a tal fine, sicché la motivazione non appare sindacabile in sede di controllo di
legittimità, soprattutto quando i ricorrenti si limitano sostanzialmente a sollecitare un non consentito riesame del merito attraverso la rilettura del materiale probatorio.
Lo stesso dicasi della censura concernente le statuizioni civili, non riconducibili a quelle consentite dall'art. 606 c.p.p., comma 1, volte, come esse appaiono, a sollecitare una diversa valutazione di merito, preclusa in questa sede.
Fondata è invece la censura di cui al secondo motivo.
Ed invero il fatto si è verificato in data 29/6/2003, in epoca cioè anteriore all'entrata in vigore
della L. n. 94 del 2009, che all'art. 3 ha modificato i criteri di conversione della pena detentiva
in quella pecuniaria, stabilendo l'importo di Euro 250,00 per ogni giorno di pena detentiva in
luogo di quello precedente di Euro 38,00.
Soccorre pertanto il principio dell'applicabilità della legge più favorevole stabilito dall'art. 2
c.p., di guisa che, avvalendosi del potere conferito dall'art. 619 c.p.p., comma 2, può questa Corte rimediare all'errore del giudice di merito, determinando nella misura di Euro 2.090,00 per
ciascuno degli imputati, l'entità della pena pecuniaria, derivante dalla conversione, in tali sensi
annullando senza rinvio la sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'entità della pena pecuniaria derivante dalla conversione, e determina la stessa nella misura di Euro 2.090,00. Rigetta i ricorsi nel
resto.
Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese, che liquida nella somma di Euro
2.000,00 oltre accessori, in favore della parte civile ASL X. di Lanciano - Vasto - Chieti.
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