SPAZIO LIBERO Numero 27 – agosto 2006 Anno III RUBRICHE: Editoriale Mondo filiali Attualità C’era una volta Cinema e cultura Flash EDITORIALE LA SFIDA DELLE DIMENSIONI E L’ITALIANITA’ DELLE BANCHE Sia l’obiettivo massimo, per le aziende, di creazione di valore per gli azionisti, sia quello minimo della sopravvivenza sul mercato e del riparo dai tentativi ostili di scalata, si possono meglio perseguire se le banche amplieranno le proprie dimensioni. Il processo di aumento delle dimensioni potrà non interessare le piccole banche di comunità e le cooperative, ma appare obbligato soprattutto per la fascia alta del nostro sistema. Ancora più che sul fronte della redditività, qui sta l’handicap per le banche italiane: ancora troppo piccole nel confronto internazionale, esse rischiano di giocare il ruolo di prede (già sta accadendo), anziché di cacciatori nel processo di consolidamento europeo. Solo l’aggregazione sul mercato domestico (non più nazionale, ma regionale in contesto europeo) può garantire per processi lineari e non per sotterranee manovre di “grandi vecchi” e “furbi parvenue” - non tanto e non solo l’italianità delle banche, quanto piuttosto che i centri decisionali dell’allocazione del credito verso le nostre imprese siano nazionali: il settore creditizio è certamente più strategico, con tutto il rispetto, di quello della navigazione aerea. Come organizzazioni sindacali non possiamo eludere il problema che ciò comporterà: l’ulteriore, drammatico innalzamento dei livelli di concorrenzialità del mercato, di cui proprio il processo di concentrazione è il più evidente risultato. Sindacato e lavoratori debbono essere pronti, incalzando e contrastando se necessario le banche, se queste avranno ancora la tentazione di ricercare – come già hanno fatto - le necessarie maggiori perfomance economiche scaricando l’innalzamento dei ricavi sulla clientela o l’abbassamento dei costi sul personale. Ed allora non potrà esserci che il perseguimento di una gestione sana ed equilibrata, dove la creazione di valore per gli azionisti – sentita dal management oggi molto più urgente di ieri anche per cospicui interessi personali – non è più ormai sufficiente. La gestione sana ed equilibrata, sostenibile nel tempo, non può essere disgiunta da una adeguata attenzione alle esigenze dei lavoratori, della clientela, della comunità locale. MONDO FILIALI Ancora sullo small business Nel commentare la chiusura del Contratto integrativo, avevamo scritto dello small business come della vera incompiuta della partita, mancando l’approdo a quadro per il gestore delle piccole imprese, così come proposto dalle Organizzazioni Sindacali; incompiuta per responsabilità assolutamente aziendale, che non crede nel contenuto professionale del ruolo, derubricato a lettura di uno scoring. Avevamo anche affermato che vi era rabbia e amarezza in chi gestisce ogni giorno le sole file ormai rimaste nelle agenzie, di molto ridotte in cassa, salvo alcuni giorni e per determinate scadenze, così come ai titoli (dove, però, lo stato di burning out dei colleghi è conclamato). Il gestore small buisness è chiamato a svolgere un lavoro di eccellenza nel proporre credito, un lavoro quantitativo nello “smanettamento” dei dati, un lavoro di promozione commerciale nel vendere prodotti “associati” al fido (come gli ultimi prodotti “vita”per gli amministratori di società) in un legame organico tra linea di credito e, appunto, prodotto che sa quasi (leva quasi) di via obbligata attraverso l’uno per ottenere l’altro. Avevamo infine affermato che si raccoglie quel che si semina: ed infatti defezioni dal ruolo, ma soprattutto dimissioni e contestuali assunzioni da parte della concorrenza cominciano a fare sentire un qualche effetto. Ci chiediamo se il Responsabile del Retail e Private, tra una regata e l’altra, abbia trovato il tempo di riflettere: speriamo non vengano mortificati gli equipaggi dei colleghi “ velisti”, come sono stati mortificati i colleghi lavoratori. Nel frattempo: buon vento (di vacanze) a tutti e attenti a non “scuffiare”. GIORNALI E PUBBLICHE PROVVIDENZE (CON QUALCHE AIUTO PRIVATO) Qualche giorno fa vi è stato un singolare appello, davvero super partes, di cinque giornali “ufficiali” di partito affinché non vi siano tagli alle provvidenze destinate a questa tipologia di testate, nell’ambito più complessivo dei finanziamenti all’editoria. I giornali interessati erano: l’Unità (Ds), Europa (Margherita), Il Secolo d’Italia (An), Liberazione (Rifondazione Comunista), la Padania (Lega Nord). Il motivo delle preoccupazioni è semplice: da sempre i giornali di partito in Italia sono sovvenzionati e, in varie forme, tutti i quotidiani (anche non politici) sono finanziati con soldi pubblici attraverso diversi escamotage del tipo “contributo carta” ; ma ora la situazione è divenuta seria, perché se è vero che i costi dei cinque quotidiani politici ammontano a € 20.800.000 l’anno, i finanziamenti costano in realtà € 677.000.000. Cos’è accaduto? Fino al 2001 per ottenere un finanziamento un periodico doveva essere “patrocinato” da almeno due parlamentari: ed ecco spuntare decine e decine di giornaletti, molti assolutamente fasulli, e tutti pagati dallo Stato perché organi di improbabili movimenti politici (il quotidiano “Libero” del mitico Vittorio Feltri per beccare i soldi era l’organo del “movimento monarchico”). Dal 2001 la normativa è stata cambiata comprendendo anche i giornali che avevano la struttura proprietaria in forma cooperativa (e l’immarciscibile Feltri – forse divenuto repubblicano per l’impresentabilità della famiglia Savoia - organizza Libero in cooperativa). Ovviamente maglie così larghe hanno consentito operazioni disinvolte se non speculative, se è vero, come è vero, che tra i giornali finanziati vi è anche “Cavalli e Corse”. Senza, tuttavia, andare tanto lontano chi si è avvalso della clausola di organo di un movimento politico è un “giornale” che vediamo ogni giorno, come bancari dell’Area Campania, sulle nostre scrivanie, dietro presentazione di voucher in edicola: IL DENARO. Tale giornale è voce di “Europa Mediterranea”, movimento politico e culturale, sostenuto da due parlamentari dell’attuale opposizione, e si avvale dunque, legittimamente, di tutte le provvidenze che la legge consente. E’ ormai qualche anno che il periodico accompagna, inutilmente, le nostre giornate al posto de “ Il Sole 24 Ore” (sovvenzionato anch’esso nonostante Confindustria) che - se si vuol avere un reale ausilio tecnico e informativo al lavoro quotidiano - si è costretti a comprare di tasca propria (anche se saremmo curiosi di sapere se i capi mercato lo comprano di tasca propria o meno). Ma del resto si sa, la Banca, come ogni organizzazione, deve muoversi con attenzione e cautela e anche le lobby attorno al Denaro fanno opinione, se non consenso, a livello locale e poi qualcuno dice che si è troppo scopertamente a “sinistra” , quindi, ogni tanto, buttiamoci “a destra”. La flessibilità nella tradizione partenopea: dalla pizza al cocomero (II parte) Proseguiamo con un brano di A. Dumas, iniziato il mese scorso, che tratteggia senza pari una Napoli e le sue tradizioni per gran parte perse e che dimostra però, senza dubbio, che la flessibilità è nata a Napoli. IL COCOMERO …. Nel giorno indicato il pizzaiolo si fa mellonaro. Il mutamento non si estende alla bottega che resta la medesima. Si porta un paniere di cocomeri, anziché una cesta di pizze; si passa una spugna sui diversi strati d’olio, di lardo, di strutto, di formaggio, di pomodoro e di pesce lasciati dal commestibile invernale, e senz’altro si passa al commestibile estivo. I bei cocomeri vengono da Castellammare; hanno un aspetto giocondo e appetitoso nello stesso tempo: sotto la loro verde corteccia offrono una carne in cui i semi fanno risaltare il rosso vivo….Ogni apertura di un nuovo cocomero è una nuova rappresentazione; i concorrenti sono l’uno di fronte all’altro: bisogna vedere chi darà il colpo di coltello con la maggiore destrezza e imparzialità. Gli spettatori stanno a giudicare. Il mellonaro prende il cocomero da una cesta piatta in cui è deposto piramidalmente con una ventina di altri, come sono disposte le palle di cannone in un arsenale. Lo fiuta, lo solleva, al disopra della testa, come un imperatore romano il globo del mondo, e grida: “è fuoco”, a preavvisare che la polpa sarà del più bel rosso. Lo spacca con un colpo solo, e presenta i due emisferi al pubblico, uno in ogni mano. Se, invece di essere rossa la polpa del cocomero è gialla o verdastra, il che annunzia una qualità inferiore, la rappresentazione ha fatto fiasco: il mellonaro è fischiato, urlato, bandito. Dopo tre insuccessi un mellonaro è disonorato per sempre…… Vi sottoponiamo “copia” di una recensione per un libro che colpisce, per il suo realismo, per i punti di contatto con un mondo che molti colleghi, per il lavoro che svolgono, conoscono. “GOMORRA” di Roberto Saviano Pasquale e' un sarto raffinato, maestro di stoffe, tagli e cuciture di quelli di un tempo, che capiscono tutto con un tocco, ma e' nato nel posto sbagliato, tra fabbriche fantasma e lavoranti in nero per le gare fuorilegge che terzi promuovono per le grandi griffe: stessi materiali pregiati e stessi modelli a più di un imprenditore concorrente. A posteriori vince chi realizza la commissione in meno tempo, meglio e a costo minore. Agli altri restano i manufatti, senza etichetta vera, ma veri in tutto, che finiscono nelle catene di negozi della camorra. E Pasquale una sera vede in tv Angelina Jolie che sale sul palcoscenico a Los Angeles, la notte degli Oscar, con un tailleur di raso bianco, di quelli che i grandi stilisti offrono alle star per tali occasioni, cucito da lui in una fabbrica in nero di Arzano per 600 euro al mese, assieme a altri due eguali di cui ricordava perfettamente tutte le misure. Nessuno gli aveva detto niente, la soddisfazione doveva essere bandita dalla sua vita di artigiano, la rabbia grande che aveva era impotente, non potendo andare a dire a nessuno, in maniera credibile, ''quella e' opera mia''. Da allora Pasquale non tagliò e cucì più un vestito. Cominciò a fare il camionista. Per i tanti appassionati di romanzi noir, spesso ambientati in America o nei paesi ex comunisti, ecco un libro avvincente, davvero nero e terribile, che ti tiene sino alla fine prendendo alla gola, perché è tutto vero e si svolge dietro l'angolo, con orrori che, come sempre, superano ogni fantasia: le pagine su come vengono torturati i traditori fermano il respiro. C'e' una guerra, con cui conviviamo, che e' all'interno del nostro paese e della nostra societa' e che ha provocato circa 3.600 morti in 25 anni: ''la camorra ha ucciso piu' della mafia siciliana, piu' della 'ndrangheta, piu' della mafia russa, piu' delle famiglie albanesi, piu' della somma di morti provocati dall'Eta in Spagna e dall'Ira in Irlanda, piu' di Br e Nar''. FLASH Per questo mese, nessuna vignetta: il nostro artista ha avuto un colpo di sole. Buone vacanze (fatte o da fare) a tutti! La Redazione Giorgio Campo Alfredo Conte Antonio Coppola Antonio D’Antonio Mario De Marinis Antonio Forzin Amedeo Frezza Rosalia Lopez Raffaele Meo Italo Nobile Maria Teresa Rimedio Anna Maria Russo puoi leggerci anche su: cgil.it/fisac.sanpaolo/bancodinapoli