Seminario Veronelli
Associazione per la cultura del Vino e degli Alimenti
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L’eccezione Boca
Scrivendo di vino si è spesso tentati di iniziare un racconto con la locuzione “a volte”. È uno dei tanti indizi del fatto
che con il vino non si può mai dar nulla per scontato, perché c’è sempre un particolare, un elemento di originalità e
di distinzione che non è costante, varia nel tempo o nei luoghi e rende quel tal vino diverso da come ci era apparso
in un’altra annata o da come ci si aspettava che si esprimesse in un determinato contesto ambientale.
Se, tuttavia, siamo probabilmente piuttosto propensi ed entusiasti ad accettare questa imprevedibilità quando è
dovuta a variabili pedoclimatiche, in qualche misura poco controllabili, non altrettanto siamo disposti a fare nel
campo squisitamente enologico. Nella nostra epoca, diretta erede – che lo si voglia o meno – del positivismo
ottocentesco, il nesso di causalità tra due eventi, il rapporto che lega ad una data causa un ben prevedibile effetto,
è quasi un dogma, difficile da scalfire nella sua monolitica e scientifica veridicità, ancor più di fronte a materie che,
come l’enologia, di scienza fanno professione.
Eppure, a volte, anche le leggi della scienza hanno le loro eccezioni. Comincio, anzi, a credere che ne abbiano ben
più numerose di quante comunemente si pensi. E comincio a crederlo con maggior convinzione quando a
raccontarmi queste eccezioni è un uomo che non ha proprio nulla dei guru o dei profeti della nouvelle vague
enoica, del tipo di quelli – per intenderci – che negli ultimi anni ci hanno entusiasmato e sovente stupito con le loro
pratiche enologiche poco ortodosse, alternative e ricche di “creatività”.
Christoph Künzli, “grande anima” dell’azienda Le Piane di Boca (Novara), non solo è svizzero dei Grigioni – e,
quindi, uomo preciso per definizione – ma vanta anche una laurea in ingegneria civile e, pertanto, della metodicità
e del rigore dovrebbe aver fatto la sua religione. In effetti Christoph è aperto a tutto, ma da tutto tende a prendere
solo quel che serve ai suoi progetti, viticoli o enologici, compiendo scelte e valutazioni solo sulla base dei fatti e dei
risultati verificabili, mai per ispirazione “medianica” o “religiosa”. Così, quando nel 2007 si trova di fronte ad una
vasca del suo Boca letteralmente impazzita in fermentazione, all’inizio trae la conclusione più logica, sicuro di
avere inevitabilmente perso una quindicina di ettolitri di prezioso vino; poi, però, man mano che gli eventi in quella
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vasca imboccano percorsi inusitati, le sue certezze cominciano a vacillare.
Cos’è, dunque, successo in quella vasca? Semplicemente la fermentazione ha deciso di fare a modo suo ed un
bel giorno la temperatura del mosto è salita fino a 38°C. Christoph è interdetto. Dove ha sbagliato? A poco a poco,
osservando e confrontando, comincia a capire: la vasca è in acciaio, come le altre; è aperta, come le altre; però è
coibentata, mentre le altre non lo sono. Sia come sia, in ogni caso ormai il mosto è fermo, le vinacce precipitate al
fondo, i lieviti evidentemente morti e il temuto blocco della fermentazione una realtà. Christoph saprebbe anche
come intervenire, tentando di far ripartire la vinificazione con l’inoculo della giusta selezione di lieviti. Eppure non
fa nulla, rimane semplicemente paralizzato di fronte alla vasca.
Il tempo passa, si assaggia il vino, se ne constata l’irrimediabile condizione: è ancora dolce e sa di cotto. Pare non
ci sia più nulla da fare. E invece, dopo qualche giorno, lenta e improvvisa la fermentazione riprende; lenta;
lentissima e silenziosa fino a gennaio. Poi Christoph svina e passa il vino in una botte grande di rovere di Slavonia.
Non ha certezze, non sa come finirà la storia, ma stavolta decide di seguire l’istinto.
Ed il Boca lo ripaga. Piano piano. Coi suoi tempi. Assaggio dopo assaggio migliora, si pulisce, ritrova persino
fragranza. Dopo tre anni, tuttavia, quando di solito si imbottiglia, non è ancora come dovrebbe, non ha terminato le
sue meditazioni, ogni tanto riprende a muoversi nella botte, gorgoglia, borbotta, sembra quasi cercare una
posizione più comoda per ragionare meglio. Christoph lo asseconda, un altro anno ed un altro ancora. Siamo a
cinque; cinque anni di affinamento in legno. Il nuovo assaggio, finalmente, è un’epifania, svela in pieno lo
straordinario vino che fino ad allora si era solo intuito. Si va in bottiglia per altri due anni di riposo e, infine, nel 2015
una nuova pagina della storia del Boca è scritta, pronta a stupire il mondo.
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Boca Plinius I 2007, si decide di chiamarlo, così come si decide di regalargli un’etichetta tutta sua, dal colore che
ricorda il mosto. Non si vuole confonderlo con il Boca “classico” di Le Piane, quello ormai ovunque conosciuto
nella sua livrea blu. Plinius è un altro vino, è un altro Boca e con lui Christoph intende dimostrare come le uve che
nascono e maturano in questo peculiarissimo terroir siano capaci di gesta memorabili, di imprese strepitose per
raggiungere risultati strabilianti. Sono, del resto, le uve stesse, nebbiolo e vespolina, le vigne stesse, alte fino ad
oltre 500 metri, il terreno stesso, acidissimo porfido sgretolato, ad averglielo in qualche modo chiesto, ad avergli
imposto di svelarne la magia.
Solo 1998 bottiglie, tutte rigorosamente numerate, di un Boca dal frutto di generosità prorompente su raffinate note
di erbe aromatiche; nitido e pulitissimo, con cenni di anguria, di melone, di pesca, di vegetale maturo e liquerizia;
ha riflettuto a lungo, ora sa cosa dire e lo dice senza remore, trabocca di comunicativa; prova persino ad
approfondire il discorso con complesse allusioni di resina. Sul palato scalpita, è sapido, minerale, intensamente
salino; dona freschezza, vigore al tocco fruttato maturo e si distende in una superba persistenza. Vino di
eccezionale completezza, ricco di sfumature, colpisce per la varietà, l’ampiezza aromatica, la dovizia dei dettagli.
Nel suo nome Plinius I racchiude, inoltre, due messaggi importanti: è Plinius, omaggio a Plinio il Vecchio che già
nel I secolo d.C. raccontò i vini di queste terre (che peraltro giudicava torva, troppo aspri per gli ormai molli palati
romani), ed è I, il primo di una serie che si spera si allunghi ogni qualvolta il terroir di Boca vorrà regalarci
l’ennesima eccezione, l’ennesima prova di carattere contro tutto e contro tutti.
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Può darsi, d’altra parte, che Plinius II già riposi tranquillo in una botte della cantina di Christoph e che la sua data
di nascita sia il recente 2014, annata maledettamente bagnata di pioggia come pochi ricordano, tanto che Le Piane
ha già deciso di non produrre il suo consueto Boca “etichetta blu”, scelta difficile, coraggiosa e rispettosa della
propria clientela. L’eccezione, si diceva però, è forse lì che cova, in una botte frutto di una vendemmia ritardata,
arrischiata per consentire alle ultime uve di godersi quella decina di insperati giorni di sole d’ottobre che anche il
2014 alla fine ha concesso. Chistoph non è un giocatore d’azzardo; è un vignaiolo che sa capire le sue uve e i
suoi vigneti; li ascolta se gli chiedono di aspettare ed è disposto a rischiare per lasciare loro tutto il tempo che
serve. Dopo aver assaggiato il Boca Plinius I 2007 sembra altrettanto certo che, oltre a uve e vigneti, Chistoph
riesca ad ascoltare con la necessaria pazienza anche i suoi vini attraverso le botti; persino quando gli parlano solo
con un flebile sussurro, destinato ad esprimersi un giorno con voce stentorea.
Marco Magnoli
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