La Missione
SUSSIDIO PER LA FORMAZIONE
PERMANENTE
A cura del Consiglio Centrale
Dell’Istituto secolare delle Missionarie
della Regalità di Cristo
Pro manuscripto
Roma, aprile 2010
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SOMMARIO
Presentazione
pag. 5
Prima parte
A partire dalle nostre esperienze di vita …
pag. 7
Testimonianze
pag. 9
Seconda parte
Per riflettere …
pag. 47
Riflessioni e Approfondimenti
Gesù, l’inviato del Padre: la nostra missione
partecipe della sua missione (fr. Ernesto D.)
pag. 49
Quale missione per noi oggi? (Laura L.)
pag. 56
La nostra missione: laicità e profetismo
s’incontrano (Marie Thérèse B.)
pag. 62
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PRESENTAZIONE
Carissime,
continuando un’antica tradizione dell’Istituto, vi
offriamo come tema di “studio” questo sussidio sulla Missione.
Se approfondire e riflettere su alcune tematiche è
essenziale per noi, il tema della Missione (come quello
proposto in precedenza, sulla Consacrazione) tocca il cuore
stesso della nostra vita.
Se, infatti, la prima parola di Gesù ai discepoli è:
“Seguitemi”, la sua ultima parola è: “Andate”. E il seguire è
già pensato, dal Signore, nella prospettiva dell’andare!
Il gruppo di Gesù è vario, chiamato da tutto il popolo,
tra i peccatori e i “giusti”, per certi versi, da tutti i popoli.
Anzi un samaritano diventa modello della missione e
modello di Gesù stesso, Buon Samaritano.
Al sussidio cartaceo è unito un CD con alcuni volti di
donne, che lasciano intravedere storie personali dentro la storia
e le vicende del mondo.
Il “genio femminile” è chiamato a dare un suo
contributo speciale alla missione di tutta la Chiesa .
Le testimonianze delle Missionarie del mondo, che
aprono il nostro sussidio, lo dicono a parole; le foto ci aiutano a
riflettere, ad aprire orizzonti, a guardare con simpatia e amore
al mondo.
Il Consiglio spera che dal lavoro di tutte possano
arrivare nuovi stimoli e impulsi alla missione di ciascuna e del
nostro Istituto.
Pasqua 2010
Con affetto
Il Consiglio Centrale
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PRIMA PARTE
A partire dalle nostre
esperienze di vita …
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TESTIMONIANZE
Missione per me è una parte vitale della mia vocazione.
Nella mia vita la Missione è cambiata secondo l'età e le
varie circostanze. Oggi a 77 anni la mia Missione, si esprime
come SERVIZIO nell'ospitalità, non un servizio forzato ma
amorevole e fraterno.
Da molti anni accudisco una proprietà di famiglia e
assieme a tutti i suoi componenti [fratello, cognate, nipoti]
abbiamo deciso di offrire gratuitamente parte della casa a
qualsiasi persona ammalata di cancro voglia soggiornarci per
una vacanza, indipendentemente della religione o razza. La
casa viene usata anche da Sacerdoti per le loro giornate di
Ritiro e da molte persone bisognose di aiuto morale. Essendo la
casa in mezzo alla foresta, la natura offre tanta pace, gioia e
serenità. Il mio lavoro è mantenere la proprietà, pulire e delle
volte cucinare ed ascoltare.
Può questo semplice servizio, trasformato in preghiera,
essere Missione? Un sacerdote una volta ha detto “Offrire il
cibo così è come offrire l’Eucaristia”. Per me è un’opportunità
poter offrire un servizio gratuito a fratelli che soffrono.
Franca T. - Australia
Sin dagli anni della mia infanzia la parola “missione”
ha avuto un profondo significato. Come giovane “kajotster”
(Gioventù Operaia Cattolica) mi è stato dato ben presto un
compito come guida del mio gruppo. Nella nostra formazione
veniva spesso sottolineato che nei confronti degli altri giovani
avevamo un compito, una missione. Quando sentivamo il
cardinale Kardijn, egli ci parlava sempre della nostra
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“missione” nel mondo operaio. Tutto questo mi è rimasto
impresso per il resto della mia vita.
Da adulta ho avuto diversi compiti nel Movimento
Femminile e nella Legione di Maria nella parrocchia della mia
città. All'età di 37 anni ho conosciuto l'Istituto e lì ho cercato
un sostegno per rimanere fedele al mio apostolato.
Il fatto che come laiche consacrate potevamo continuare
a vivere semplicemente nel mondo mi attirava molto. La
formazione come aspirante fu molto solida a livello spirituale
ed era orientata verso gli altri.
Perciò quando feci la mia professione nel 1970 ad
Assisi, ho detto con piena convinzione il mio “Sì”.
Le forme di missione e di apostolato sono cambiate nel
tempo. Dall’impegno con i giovani a quello con gli adulti e,
negli ultimi anni a quello con gli anziani e nell’ordine secolare
francescano. La mia vocazione è stata sempre il punto di
partenza del mio apostolato e mi ha resa sempre consapevole di
essere mandata a servizio del Signore.
Mi aiuta molto la formazione che ricevo nell’Istituto
attraverso gli incontri e i contatti con le mie sorelle, e di questo
sono molto grata.
Sia prima come giovane impiegata d'ufficio, sia ora
come anziana pensionata, cerco sempre di ascoltare ciò che Dio
- di solito attraverso la mediazione di altre persone - mi chiede
e nella misura del possibile offro una risposta positiva. Non
mancano i successi ma anche gli insuccessi. Trovo per questo
un sostegno grande ed indispensabile nella mia vita di
preghiera e nella vita sacramentale.
Marie-Louise G. - Belgio
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Il Signore mi manda nel mondo dove vivo. Nella mia
vita professionale ho lavorato come educatrice di bambini
abbandonati. Ora che sono in pensione la mia missione è
piuttosto tra la gente che incontro ogni giorno. Nella segreteria
della forania le persone mi interpellano e mi raccontano
determinate cose. Il più delle volte le loro preoccupazioni, cose
che gli pesano sul cuore.
Sono missione anche le visite ai malati e agli anziani
con l’associazione parrocchiale dei volontari e aiutare ogni
mattina una vicina a vestirsi. In questo modo si presentano
delle opportunità per parlare. È missione il riservare del tempo
per visitare la mia zietta di 96 anni nella casa per anziani, i miei
vicini e la mia famiglia. Mi sento mandata un po' dappertutto,
soprattutto per ascoltare. Mi sembra molto importante.
In realtà la nostra vita in mezzo agli altri è molto
normale. Eppure qualche volta può sorprendere e sembrare così
inusuale. L'ho potuto sperimentare insieme a Lieve durante il
nostro viaggio in Turchia quest'anno con un gruppo di 42
Fiamminghi. Noi, le sole due donne in mezzo a venti coppie,
davamo nell'occhio e siamo state interpellate: se andavamo
sempre in viaggio insieme, se eravamo delle monache, cosa
avevamo fatto nella vita professionale ... Dopo le nostre
risposte sincere a tutte le domande, molte persone si sono
confidate con noi, ci hanno raccontato la loro vita, il loro modo
di credere, le loro preoccupazioni. Sì, sono diventati dei
colloqui durante i quali abbiamo davvero potuto testimoniare la
nostra fede, a persone che ci hanno dato fiducia e rispetto.
Abbiamo avuto veramente la sensazione di essere state
mandate anche lì per testimoniare la nostra vocazione. Essere
mandate avviene dunque anche nei momenti quando meno te lo
aspetti o quando non ci stai pensando consapevolmente. Siamo
mandate in ogni momento. Sia nei momenti di svago che nei
compiti specifici.
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Constato che in quelle situazioni non mi sono richieste
per forza delle cose straordinarie. Eppure mi si chiede
attenzione e concentrazione che forse non si trova da
qualcun'altro o che non si osa far vedere ad altri.
Cercare di realizzare queste cose per niente
straordinarie in un modo straordinario richiede però parecchio
impegno. Richiede un amore autentico verso Dio. Mi sprona a
fare la sua volontà nelle cose ordinarie di ogni giorno.
Riflettendo, mi rendo conto che chiamata e missione
sono due elementi inseparabili l'uno dall'altro. La mia
vocazione nell’ISM mi manda.
E dopo tutti questi anni mi rendo conto che ci sono altri
due fattori che sono inseparabili: Amore e Fedeltà. Attraverso
la mia Chiamata, arriva un Amore per la Missione. La
Missione richiede Fedeltà per perseverare lungo tutto la vita e
per tramandarlo a qualcun'altro.
Non è sempre una vocazione semplice. Ma durante i
nostri incontri troviamo un sostegno da sorelle. Coloro che la
pensano allo stesso modo possono essere di grande aiuto.
Anche la fedeltà alla preghiera quotidiana è necessaria!
Comunque sia, questo modo di vivere richiede una fede solida
ed una fiducia profonda in Dio. Gesù ha consegnato ognuna di
noi a sua Madre, e ispirata dalla parola e dall'esempio di vita di
Francesco e Chiara, non sono mai sola.
Lauranda W. - Belgio
Quante volte la missione ricorre nella Bibbia. Già nel
racconto della creazione Dio ha mandato degli uomini, ha dato
loro un compito: “Andate e moltiplicatevi”. Pensiamo ad
Abramo, Mosè, Giona e a Giobbe. Gesù mandato da suo Padre,
manda i suoi discepoli. Nel tempo di Pasqua riviviamo i loro
lunghi viaggi.
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Per i primi frati Francesco non voleva un convento.
Dovevano andare per il mondo per annunciare la Buona
Novella. Non era permesso a Chiara che non lo voleva
nemmeno, ma attraverso la sua vita ha predicato come solo
donne sante riescono a fare.
Durante il tempo di Avvento, mi colpì che Maria, dopo
l'annuncio dell'angelo Gabriele, non si è messa a pensare, ma
ha preso il suo mantello e forse qualcos'altro ed è andata subito
da sua cugina Elisabetta, attraversando a piedi la montagna.
Molti anni fa, accompagnata da cinque sorelle e dal parroco, ho
avuto la fortuna di visitare questo luogo dove una donna
anziana ed una donna giovane hanno gridato la loro grande
gioia. Il nostro cammino a piedi era difficile, eppure la strada
era buona. Ma ero irritata, scontenta. Sotto nella città c'erano
tante bei negozietti, c'era ancora abbastanza tempo, ma gli
appuntamenti sono appuntamenti e invece quel giorno nel
santuario, la guida promessa, un francescano, non si trovava.
La mia irritazione cresceva ogni minuto... Arrivò finalmente un
francescano piccolo e grigio, che ci dette delle spiegazioni
molto chiare. Ci rimandò con un pensiero profondo: Maria
portò Gesù sotto il suo cuore, voi dovete portare Gesù NEL
vostro cuore verso le persone che incontrate...
Una missione chiara!
Ricevetti il perdono per il mio comportamento irritante
e in un colloquio tra sorelle ho imparato molto e ho cominciato
a guardare le mie sorelle in modo diverso.
Ho raccontato questo episodio al mio datore di lavoro
che me l'ha ricordato molte volte: porta Gesù nel tuo cuore e
portalo ai tuoi compagni operai, a tutti coloro che incontri: LA
MIA VOCAZIONE!
Lavorare, essere creativi, prendersi cura delle cose
quotidiane, come fanno tutti. Silenziosamente fare il vuoto
dentro di sé, in preghiera e adorazione. Fare in modo che Gesù
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riempia questo vuoto per seguire il suo esempio ed
incoraggiare, amare, servire gli altri, in modo che questo
mondo diventi un po' più leggero, caldo e umano.
Pace e ogni bene!
Annie H. – Belgio
La Missione nell’Antico Testamento: è risposta ad una
vocazione personale, unica e singolare.
Cfr. Ger. «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho
conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato, ti ho
stabilito profeta delle nazioni».
La missione diventa rivelazione e invio.
Cfr. Ez. 2,1-2 «Figlio dell’uomo, alzati, ti voglio
parlare». A queste parole, uno spirito entrò in me, mi fece
alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse:
«Figlio dell’uomo, io ti mando a una razza di ribelli, essi
sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro. Tu
riferirai loro le mie parole».
Nel Nuovo Testamento
Dio rivela e realizza la sua missione che è quella di
salvare gli uomini per mezzo di Gesù Cristo.
Cfr. Mt 28, 18-19 «A me è stato dato ogni potere in
cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli,
battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo, io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Il cristiano oggi realizza la sua missione con Gesù
Cristo nella sua Chiesa, in questo modo egli risponde alla sua
vocazione.
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Nell’ISM
Secondo il carisma delle origini, vivere la missione è
testimoniare Cristo Re dell’Universo, centro del Cosmo e
Signore della Storia.
Cfr. Costituzioni art. 11: “La missionaria partecipa alla
comunione della Chiesa e coopera alla sua missione vivendo la
fede, la speranza e la carità ricevute nel battesimo”.
Noi missionarie dell’ISM viviamo concretamente tutto
questo nella nostra Chiesa del Burundi attraverso i sinodi
guidati dai nostri vescovi, cercando di rafforzare la Pace e la
Riconciliazione tra i cristiani nelle nostre comunità di base.
Come ogni altro cristiano partecipiamo alle riunioni
organizzate e pagando la decima; rispondiamo attivamente
all’organizzazione delle nostre chiese locali.
1) Testimonianza del 6 giugno 2009
Nel mese di maggio 1992, ebbi una malattia,
aggravatasi anche a causa delle precarie condizioni economiche.
Pensai di chiedere un prestito ad una amica che era di
condizione agiata. Mi promise che mi avrebbe aiutata. Per ben
tre volte andai da lei nella speranza che la promessa fatta si
concretizzasse. Ma ciò non avvenne e fui costretta a chiedere
un prestito di cinquemila franchi burundesi ad un’altra persona.
Dopo questo episodio, la nostra relazione si ruppe.
Nel mese di giugno 2009, dopo diciassette anni, questa
amica si è dovuta ricoverare in ospedale dove è rimasta per tre
settimane. Quando ho appreso la notizia, ho cominciato a
pregare Gesù Cristo per chiedergli la grazia a me necessaria per
poterla aiutare, tanto più che, attualmente, la sua situazione
finanziaria è piuttosto mediocre. Ho fatto circa 197 kilometri
per visitarla nell’ospedale Roi Kaled di Bujumbura, rispettando
le abitudini burundesi, che richiedono di portare del cibo o del
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denaro alla persona che si va a visitare, una buona abitudine
che si traduce in un gesto di carità.
Tornando a casa mi sono sentita liberata dal mio
egoismo, dai miei rancori perché ho agito come Gesù e con
Gesù. Ho agito come una «missionaria della Riconciliazione».
Armida Barelli ci diceva: «VA’ MISSIONARIA, TUTTO IL
MONDO TI APPARTIENE».
Gruppo Burundi
Quando avevo 16 anni, ho cominciato a lavorare in una
fabbrica. Ero giovane in un periodo duro per la Corea, fra gli
anni ‘60 e ‘70. Con il processo di industrializzazione, il nostro
Paese aveva bisogno anche delle forze femminili. Ero una delle
tante operaie che lavoravano lontano dalla famiglia e dal paese
dove erano nate e cresciute. Lavoravo più di 12 ore al giorno e
spesso mi toccava di lavorare anche le domeniche.
Allora non ero ancora una cristiana e perciò non mi
pesava lavorare anche le domeniche (tranne che per la fatica
fisica). Ma un giorno ho conosciuto una donna dell’ISM, ho
ricevuto il battesimo e ho fatto anche la cresima. E poi ho preso
un diploma mediante il quale ho potuto poi trovare un lavoro
nell’ospedale “St. Vincent”, gestito da suore. Era un periodo
molto felice per me, lavoravo gomito a gomito con le suore e i
colleghi, e insieme dicevamo di volerlo rendere il luogo della
nostra missione.
Quando avevo assunto l’incarico di Presidente (troppo
alto per me!) dell’Associazione delle lavoratrici cattoliche in
ospedale, è cominciata la mia vita di missione propriamente
detta, poiché lavoravo più a contatto con i pazienti che
soffrivano sia fisicamente, sia psicologicamente.
Per aiutare almeno un po’ i malati, che non avevano né
dove andare, né i soldi per pagare le proprie cure, e anche le
loro famiglie, raccoglievo i fondi organizzando vari eventi,
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mercatini e persino lucidando delle scarpe sporche in qualche
occasione.
Quando siamo riusciti a raccogliere fondi abbastanza
consistenti, li abbiamo potuti donare ai malati proprio nella
Giornata mondiale del malato (grazie anche al cappellano
dell’ospedale e ai membri dell’associazione, che hanno
dedicato tre giorni interi sacrificando periodi di ferie) e, allora,
più che mai, ho capito che il Signore ci dona una grande forza e
gioia quando lavoriamo nel Suo nome.
Ho sempre vissuto una vita abbastanza impegnata, ma
nel febbraio del 2008, sono andata in pensione. Lasciando il
lavoro al quale ormai mi dedicavo da 26 anni (su un totale di
40 anni di vita lavorativa), ho dovuto fare i conti con dei
problemi psicologici, dovuti al senso di solitudine, alienazione,
irrequietudine, tutto ciò senza apparenti motivi. Facevo una
vita molto regolare, ma dopo che sono andata in pensione, ho
perso un po’ il senso di equilibrio con la quotidianità.
Ma ho potuto superare il mio “smarrimento”
mantenendo un rapporto saldo con il Signore tramite la
preghiera. Infatti, scandivo la mia vita con le preghiere. La mia
vita lavorativa, che mi aveva riempito è ormai passata come un
sogno ed è rimasta solo come un ricordo.
Mi risuona sempre alle orecchie la parola del Signore:
“Ai tuoi occhi, mille anni sono come un giorno (...) perfino i
capelli del vostro capo sono tutti contati ...” perciò so che non
ho niente da temere se mi dedicherò a fortificare di più il mio
rapporto spirituale con il Signore, camminando sulla via della
mia vocazione.
Ora frequento un corso due volte alla settimana e
partecipo agli incontri del quartiere e a quelli della Legio
Mariae presso la parrocchia; sono contenta e, anzi, sono
sempre più convinta che si possono fare grandi cose anche
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nelle piccole. Prego con e per le persone che soffrono sia
spiritualmente che materialmente e ci incoraggiamo a vicenda.
In questo contesto, mi sono resa conto dell’importanza
del ruolo di ogni persona, nel senso che ogni individuo da solo
può rendere una situazione migliore o peggiore ... Spero (e a
questo proposito prego) di diventare una di quelle persone che
riescono a migliorare piuttosto che peggiorare le situazioni,
rivelando così la gloria del Signore, facendo tesoro del
“talento” che Egli ci ha donato (anche per la mia maturità
personale, negli anni di vita che Lui vorrà donarmi).
Sto per fare la mia incorporazione definitiva. Devo
confessare che dentro di me si risvegliano ogni tanto i fantasmi
del passato all’interno del mio gruppo. Anche se io le ho
perdonate e immagino di essere stata perdonata grazie alla
generosità delle sorelle, in ogni modo, a volte, mi sembra che
dentro di me siano ancora molto vivi i torti subiti e provocati, i
difetti miei e delle altre.
Comunque prometto a me stessa di riarmarmi con la
forza della prima professione, portando nel più profondo del
mio cuore l’esistenza del Signore che mi riempie di grazia e
amore, anche con le mie riflessioni personali e partecipando ai
ritiri mensili e annuali con gli occhi attenti e le orecchi ben
aperte.
Per ora non ho grandi progetti. Prometto tuttavia di
impegnarmi per la gloria del Signore, dovunque io sia e
qualunque cosa farò.
La missione di cui io intendo occuparmi è l’annunciare
Gesù, luce della nostra vita, in tutte le cose che faccio. Per me è
rimasta ancora qualche sfida: avvicinarmi ai miei fratelli che si
sono molto induriti con il confucianesimo; inoltre, le mie
debolezze e i miei limiti all’interno del nostro gruppo mi
preoccupano un po’, ma ora mi sento più forte e generosa e
prima di tutto più decisa, grazie alla esperienza delle difficoltà
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che finora ho superato con l’aiuto del Signore. Per me la
missione è mettere in atto le mie parole e i miei pensieri,
rievocando sempre la vita di amore che il Signore ci ha
mostrato.
Elisabeth G. J. - Corea
“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date!” (Mt 10, 8)
Missione – Cosa significa per me
La missione, in poche parole, significa annunciare la
salvezza del nostro Salvatore Gesù Cristo e metterla in opera
nella mia intera vita, come testimonianza di quello stesso
annuncio. Inoltre, siamo Missionarie consacrate nel mondo, e
perciò tutta la mia vita deve essere ancor di più una missione, e
collegata alla missione. Ma ogni tanto sorge la domanda: “che
cosa è la missione?”. Io la intendo come l’annunciare
all’umanità l’obiettivo della verità e della bontà del Signore, e
l’ereditare l’opera del Figlio di Dio che, come nostro Creatore,
si rivelò nella sua vita terrena.
Insomma, significa mostrare da parte nostra, nella
nostra vita, l’intera vita di Gesù. La vita di Gesù, come la
vediamo nel Vangelo, è una vita di sofferenze, ma nelle sue
sofferenze, il suo interesse era solo l’espansione del Regno di
Dio. La nostra chiamata e la professione della nostra
consacrazione significano per noi prendere l’impegno di
continuare questa missione di Gesù. Ma se questi impegni sono
così sublimi e questa chiamata è così santa, per quale ragione
noi spesso camminiamo su questa via della missione
claudicando faticosamente? Dov’è il problema?
Ho riflettuto molto su questo. E ho capito che prima io
non affrontavo onestamente i miei dubbi e li negavo come
fossero una colpa. Non cercavo una risposta diretta. Perciò, la
mia vita e il mio cuore non si trovavano in armonia, e
camminavano ognuno per conto proprio. È ovvio che quando
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non si è contenti, si fanno le cose con grande sforzo! In altre
parole, io mi aspettavo una conferma per ogni cosa che facevo.
Il secondo motivo deriva dal fatto che io non avevo
compreso veramente e concretamente il senso della
consacrazione e della missione. Forse non riconoscevo
abbastanza né approfondivo a sufficienza il significato della
professione, perciò la consacrazione non riusciva a radicarsi
fortemente nel mio cuore. E naturalmente il timore e la scarsa
formazione hanno contribuito a questo.
La terza è la mancanza della passione. Lasciavo spazio
per i vari desideri, e perciò non riuscivo a concentrarmi su una
cosa con passione. La forza della concentrazione nel mio cuore
si disperdeva e non riuscivo a convergere in una direzione
precisa. Rendendomi conto di tutto ciò, ora desidero
concentrarmi su un’unica cosa: come devo fare per servire
interamente il Signore? Solo questo! Questa aspirazione, con
grande forza, mi trascinerà e mi indicherà la destinazione.
Può darsi che io desideri cose grandi e eroiche, ma nella
vita di ogni giorno, nella routine, nelle cose insignificanti della
vita quotidiana, spesso rimango delusa, stanca e annoiata.
Allora, a volte finisco per domandarmi se si può avere la
passione nelle piccole cose. Secondo me, ciò non è possibile se
noi non portiamo nel nostro cuore lo Spirito santo del Signore.
Se non innalziamo il nostro cuore verso Dio tramite la
preghiera e la comunione quotidiana, come possiamo aspettarci
che il suo Spirito agisca in noi? Se non prego, a causa della
stanchezza provocata dalle faccende quotidiane, vuol dire che
sto portando da sola la mia vita verso la via della morte.
La missione è, per me, la dedizione attiva per l’amore
alla vita e il lottare contro la forza che la danneggia. La vita è
un dono del Signore, e amare la vita rende possibile espandere
il Regno di Dio con Lui e in Lui.
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Il lavoro – il frutto della mia preghiera
Attualmente mi occupo del lavoro di amministrazione e
faccio l’economa nella Commissione per la missione dell’OFM
provinciale coreano. Per quanto riguarda il lavoro di
amministrazione, si tratta di curare i rapporti con circa 2.000
membri che fanno le loro offerte mensili, e principalmente di
stilare e occuparsi dei vari documenti. La cura dei rapporti con
i membri è un lavoro che richiede molta concentrazione. Ogni
mese bisogna spedire più di 2.000 lettere, registrare con
precisione la situazione esatta dei pagamenti e compilare il
bilancio. Inoltre, per i seminari e gli incontri dei membri che
hanno luogo una o due volte al mese, bisogna preparare le
merende e le bevande, i documenti occorrenti e infine la Messa
che viene celebrata insieme.
In particolar modo, mi sto occupando da sola della
gestione e della registrazione meticolosa di tutti i documenti e
dei bilanci della Commissione per la missione, una delle
sezioni della suddetta Congregazione. Non ho mai fatto prima
d’ora una vita in mezzo ad una simile montagna di carta, e
neanche aspiro a farlo, ma riesco a andare avanti pensando
soltanto all’espansione del Regno di Dio.
Il mio più grande interesse, tra le cose di cui si occupa
la Commissione per la missione, è il “Centro dei servizi per la
pace” che ha celebrato il suo inizio nella Corea del Nord nel
novembre 2008. Si tratta di un Centro che è stato aperto con
non poca difficoltà a Pyongyang, la capitale della Corea del
Nord, per l’opera di evangelizzazione a partire da una iniziativa
dell’OFM coreano: ci occupiamo di distribuire i cibi e di offrire
i servizi sanitari per i lavoratori nord-coreani. Per ora, per
motivi politici, non è facile né entrare né uscire dal Paese, ma
siamo riusciti a mandare una certa quantità di riso e altri
alimenti. Un sacerdote ci è stato varie volte e ora sta
programmando, in futuro, di risiedere a lungo in quel Centro. É
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ovvio che io continuerò a rimanere e lavorare a Seul. Poiché,
per la prima volta, l’autorità nord-coreana ha concesso ad un
ente cattolico di risiedere a Pyongyang, anche la Santa Sede ha
mostrato molto interesse a questo riguardo, in particolar modo
dopo che un Vescovo coreano aveva benedetto questo Centro
di accoglienza andando direttamente a Pyongyang.
Io personalmente sto pregando da più di 10 anni per la
riunificazione pacifica tra le due parti della Corea e per
l’evangelizzazione della Corea del Nord. Mi è semplicemente
capitato di lavorare presso l’amministrazione di questo
Centro ... oppure questa è la risposta alla mia preghiera? Io
non penso che sia stata una semplice coincidenza! In questi
anni si ricorderà il 90° anniversario della nascita dell’ISM, ma
anche il 50° anniversario dell’ISM coreano! Di fronte a una
importante ricorrenza come questa, anche noi coreane non
possiamo non fare un grande proposito, cioè favorire la nascita
dell’ISM in Corea del Nord, avere sorelle nord-coreane nella
nostra comunità.
Quando ho cominciato a pregare per la riunificazione
pacifica tra le due parti della Corea, quasi non esistevano
comunicazioni tra le due regioni, ma vedendo che persino un
prete sud-coreano andrà a vivere nel nord per il servizio di
evangelizzazione, credo fermamente che sarà possibile
realizzare questo nostro proposito, e prego ancor di più
profondamente per questo. E poi il mio desiderio, in occasione
del 90° anniversario dell’ISM, è ovviamente la beatificazione
della nostra Sorella Maggiore, Armida Barelli! Penso che il
Signore ci concederà di realizzare questi propositi, in occasione
dell’Anno giubilare dell’ISM, mostrando così che Egli sta
sempre con noi e ci donerà anche questa immensa gioia!
H. Columba P. - Corea
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La missione è assumere il Vangelo nella vita, è amare la
vita con una certa particolarità … voler donare Dio al mondo.
La missione è voler allargare una esperienza personale
d’incontro con Dio ad una esperienza di relazione con gli altri.
La missione è uscire da se stessi per donare Dio in tutti gli
ambiti in cui l’uomo opera.
Francesco diceva che “l’Amore non è amato” ed è
proprio in questo che consiste la missione: scoprire l’Amore e
fare qualcosa di fronte all’indifferenza dell’umanità verso di
Dio che si dona, che si consegna, che spera e continua a
chiamarci.
Missione vuol dire essere attenta a tutti i momenti e
spazi in cui possiamo testimoniare che un Amore è capace di
cambiare la nostra vita, di santificarci. Una testimonianza che
cerca la santificazione di tutti: in famiglia, nel lavoro, nel
quartiere, nel paese. La missione è impegnarci con l’uomo e la
sua lotta quotidiana, aiutandolo a scoprire la sua dignità di
figlio di Dio.
Come esempio posso citare l’impegno assunto con il
condominio dove abito. Sono incaricata di raccogliere le quote
mensili di mantenimento; è un compito che nessuno vuole
assumere perché richiede tempo ed espone a farsi dei nemici;
ma c’è anche chi vorrebbe questo lavoro per ottenere vantaggi
economici dalla situazione. Durante questo tempo Dio mi ha
aiutato a capire che è possibile creare un buon ambiente con i
vicini, ascoltando le loro inquietudini e necessità e dimostrando
con l’esempio che è possibile lavorare con onestà e senza
bisogno di diventare nemico di nessuno. La missione è vedere
in questo lavoro apparentemente semplice o normale,
un’opportunità unica per donare Dio, sperare che questo
compito vada oltre e cerchi qualcosa di più grande, come
l’unità di un vicinato individualista e non disinteressato, che è
presente in molti ambienti in cui viviamo.
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L’ISM è per me come arrivare a casa dopo ogni
missione, è sapere che ho un luogo al quale appartengo, dove
arrivo per riposare e riprendere le forze.
La via è Cristo, quella via l’ho trovata o è venuta a me,
ma era già presente in me, prima di conoscere l’ISM. L’ISM è
stata la risposta al mio voler procedere in questa via: consacrata,
in libertà e con Francesco.
L’ISM mi permette di camminare più sicura, rafforza la
mia identità. Faccio mie le parole di Francesco, il quale aveva
capito cosa voleva Dio dalla sua vita e da quella dei suoi
fratelli: «Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare
con tutto il cuore» 1Cel. 22.
Lo stile di vita che l’ISM propone come cammino di
santità è una risposta ad una ricerca che io non conoscevo,
cercavo qualcosa ma non sapevo cosa.
Quando ho incontrato l’ISM mi sono aperta, ho
scaricato lo zaino così pieno di domande che portavo per la via
e mi sono rallegrata… perché ho visto più chiaro l’orizzonte.
L’identità dà gioia ... «Francesco colmo di gioia, si
affretta a mettere in pratica fedelmente quanto ascoltato … Si
scioglie dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si
accontenta di una sola tunica, sostituisce la sua cintura con una
corda …» 1Cel, 22.
Clara M. - Ecuador
La bellezza sta negli occhi di chi guarda, dice un
proverbio…
Vedo la mia umile origine e il luogo della mia nascita
come bellezze donate da Dio, in un paese di nome Buguey,
accoccolato a fianco del mare blu nel nord delle Filippine, nella
provincia di Cagayan. Case per circa 30.000 persone di vari
gruppi etnici, piene di sogni e di aspirazioni che si fanno valere
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come professionisti, rozzi pescatori e agricoltori e piccoli
imprenditori.
La mia città potrebbe non essere progredita come quelle
vicine, però promette ogni possibilità. Per me è cara e il mio
cuore non si stacca da lei perché è la casa dei miei ricordi … di
solidi e permanenti rapporti, di storie di vita e di amore, di
perdite e di successi, ecc. Inoltre, è città di promesse per la
generazione che verrà. Perché? E’ ricca per il 70% di sabbia
nera composta di magnetite e attrae molti turisti.
Piena di gratitudine per il passato, è un piacere poter
dire che gli echi delle Missionarie e dei Frati italiani che hanno
predicato la Parola di Dio in questa terra (1952-85) si sentono
ancora oggi come si può vedere dalle testimonianze di vita e di
fede degli adulti in parrocchia. Io personalmente, sono grata ai
Missionari francescani italiani perché hanno presentato l’ISM
alle donne di Buguey, che hanno risposto, compresa io (ho
appena festeggiato il mio 20° anno nell’Istituto). Da allora, è
diventata una sfida, per noi dell’ISM, tener sempre accesa la
fiamma dei valori. Sfortunatamente, i giovani di oggi non
riconoscono la bontà perché è trasparente come l’aria e l’acqua
e di essa ci si rende conto solo quando manca.
Con la grazia di Dio e a motivo della mia professione di
insegnante, ho avuto l’affascinante impegno di avvicinare ai
valori educativi riguardanti il regno di Dio, alla liturgia e alla
preghiera di base, gli alunni della scuola elementare per 42
anni, fino al mio pensionamento avvenuto nel 2005.
Con mia soddisfazione, Dio non si stanca mai di creare
situazioni per verificare il mio valore di Missionaria. Per ogni
cosa che termina, subito un’altra porta si apre altrove. Mi ha
inviato come catechista, non stipendiata, agli alunni delle
elementari e della scuola secondaria, per prepararli per i
sacramenti. Veramente, nutrire di fede il cuore degli uomini
non è un ‘lavoro’ fatto e finito in un certo periodo della vita,
25
anzi è una testimonianza continua che va oltre la capacità di
soffrire. Ho percepito e constatato che, secondo me, il pericolo
maggiore in questa vita viene dalla gente che vuole cambiare
tutto o niente.
È capitato un po’ di mesi fa, quando turisti stranieri e
locali hanno cambiato il nostro ambiente naturale per guadagni
materiali, distruggendo la bellezza della natura, e ciò, di
conseguenza, è un male per la nostra salute e sicurezza. Sei
paesi lungi la costa (compreso Buguey) hanno miglia e miglia
di spiaggia che attraggono ai turisti. La sabbia nera è un
minerale usato per cambiare il ferro in acciaio.
In particolare i Coreani del sud hanno cominciato a
creare “miniere” sulla spiaggia, compresa quella di Buguey,
portando via la sabbia nera; erodendo così la costa, è stato
permesso all’acqua salata di invadere le nostre tenute agricole
rendendole infertili e improduttive.
All’inizio di questo operato, il sindaco con il suo
consiglio e l’intero popolo di Buguey, ha sollevato una forte
obiezione, però nemmeno un cordone umano può bloccare
un’iniziativa alla quale il governatore provinciale ha concesso
il permesso. Noi residenti, abbiamo provato a resistere con
forza e convinzione, sollevando una battaglia di proporzioni
cosmiche: dalle manifestazioni nelle strade e davanti al
municipio esprimendo le nostre obiezioni riguardo al permesso
concesso ai coreani, esponendo le varie leggi e i trattati che
hanno infranto. Nonostante ciò, il Governatore è rimasto sordo
e le miniere continuano.
In tutto questo sono stata attiva e visibile, sia che
piovesse o che scottasse il sole, distribuendo bibite e cibo,
scrivendo lettere alle autorità ecclesiastiche, pregando con gli
altri, invocando l’aiuto di Dio in questo momento critico.
Il sindaco ha presentato il caso al Ministro
dell’Ambiente, che ha ordinato con decreto del 22 aprile 2009,
26
un fermo alla devastazione della spiaggia che è stata inoltre
dichiarata illecita dal Sottosegretario dell’Ufficio Miniere e
Scienze Geologiche. L’ordine di smettere è andato in vigore…
ma solo dopo aver già distrutto l’equilibrio ecologico e la
spiaggia.
La battaglia tra il Governatore e il sindaco è andata
avanti fino alla sospensione del sindaco per 60 giorni per
motivi amministrativi. E’ stato sostituito dal vice sindaco che è
pro-miniere, comunque sono andata personalmente dal sindaco
a esprimergli la mia sincera gratitudine per il suo nobile cuore.
È troppo facile onorare Dio quando le cose vanno bene
nella vita … quando Lui ci dona amici simpatici, buona salute
ed eventi soddisfacenti. Ma gli avvenimenti non sempre sono
piacevoli. Comunque, la sua guida è come una torcia nella
galleria, che non subito illumina. Noi dobbiamo solo avere
fiducia nella sua bontà.
Io, Missionaria della Regalità di Cristo, continuerò a
partecipare alla lotta per salvaguardare e conservare il nostro
ambiente.
Editha O. - Filippine
“La Missionaria assume le possibili difficoltà come una
nuova opportunità per servire gratuitamente i fratelli,
specialmente i più poveri.” (dall’Art. 10 delle Costituzioni)
Essendo in pensione da 6 anni, vivo la missione in
modo diverso, poiché i contatti non sono più gli stessi. Prendo
tempo per osservare ciò che avviene intorno a me, sono più
attenta alle vicende che avvengono vicino a me, nel nostro
paese e nel mondo.
Ho anche più tempo personale per leggere e pregare.
Vorrei condividere come ho vissuto la missione in
modo molto concreto con il mio fratello minore, divorziato con
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una figlia che viveva con i sussidi per la disoccupazione.
Abitava nel sud della Francia dal suo divorzio.
Data la sua situazione precaria, gli ho proposto di
ritornare a casa mia, poiché al telefono percepivo che era molto
giù di morale. Di conseguenza, più vicino a me, avrei potuto
aiutarlo meglio.
Il giorno in cui sono andata a cercarlo alla stazione di
Nancy, sono rimasta scioccata nel vederlo. Era talmente
cambiato che ho fatto fatica a riconoscerlo. Mi sono detta: no,
non è possibile, non è mio fratello, è un “ senza dimora”. Non
pensavo che fosse arrivato a quel punto.
Per prima cosa è stato necessario rifare i documenti,
poiché non aveva più niente: tessera sanitaria, carta d’identità,
iscrizione alla disoccupazione ecc., ma nello stesso tempo
bisognava esaminare rapidamente il problema salute. Egli
toccava il reddito minimo d’inserimento. Abbiamo avuto la
fortuna di avere una nipote che lavorava alla cassa degli
assegni familiari. Lei ha potuto recuperare i suoi documenti
nella città del Sud dove abitava.
Sul piano della salute c’era molto da fare perché il suo
stato generale era miserevole. Ho dovuto agire con astuzia per
farlo visitare dal mio medico curante e per convincerlo a
curarsi. Ha dovuto essere ricoverato in ospedale per un checkup completo perché il divorzio, la disoccupazione, l’alcool, il
fumo gli avevano distrutto la salute.
C’è voluto molto tempo e molte pratiche per risolvere
tutti i suoi problemi, ma per me era una priorità. È stato
necessario trovare una soluzione al suo problema con l’alcool.
D’accordo con lui, ha incontrato uno specialista ed è stato in
un’associazione. Ma ciò non è servito a molto, poiché mi
diceva che era un altro mondo e che non si sentiva a suo agio.
In seguito ha trovato un lavoro part-time in città,
raccoglieva i giornali nelle strade. Era contento perché si
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sentiva utile. Aveva ritrovato la sua dignità di uomo e mi
diceva che ora avrebbe potuto partecipare finanziariamente alle
spese. Dopo questo lavoro, che è durato due anni, ha fatto un
corso di tre mesi per diventare agente di sicurezza. Ciò gli ha
richiesto un grande sforzo perché aveva lasciato la scuola a 14
anni e ne aveva 46. È così che ha potuto trovare un lavoro
come custode di un immobile nel quale ha potuto essere
alloggiato.
Dopo più di tre anni mio fratello aveva ritrovato la vita
normale che ogni uomo ha diritto di avere per vivere una vita
dignitosa malgrado le difficoltà. Lui era una persona che non si
confidava facilmente, ma so che interiormente era segnato dal
divorzio e soffriva di non vedere la figlia. A questo riguardo
non ho potuto fare nulla, poiché dal momento in cui lei ha
saputo che suo padre viveva a casa mia, non ho più avuto sue
notizie. Anche per me ciò è stato molto difficile dal punto di
vista morale.
Questa missione che ho vissuto intensamente ha
sconvolto la mia vita, sia sul piano personale che con le mie
amiche, la mia famiglia, anche i miei momenti di libertà. Ma,
se ce l’ho fatta, moralmente e fisicamente, è grazie alla
preghiera personale e al gruppo ISM che mi ha sostenuto molto
in questi anni.
Spesso ho pensato all’atteggiamento di Francesco
quando ha incontrato il lebbroso. Ha avuto un sentimento di
rifiuto, di disgusto di fronte alla malattia. Anch’io ho avuto la
stessa reazione di fronte a mio fratello quando mi si è
presentato.
Da allora mi faccio spesso la stessa domanda: «Nella
mia vita ho sentimenti di rifiuto, di disgusto, di antipatia di
fronte a certe situazioni o certe persone che mi si presentano?»
Come rimediarvi?
Nicole A. - Francia
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Ormai anziana nel 1997 ho ricevuto la prima richiesta
per collaborare col gruppo che assicura l’addobbo dei fiori
della chiesa parrocchiale.
In seguito a grandi cambiamenti, ho lasciato questo
gruppo per assicurare da sola lo stesso servizio nella cappella
dell’ospedale locale. La Messa viene celebrata il martedì, il
venerdì e la domenica mattina dall’anziano cappellano, titolare
in pensione, che ora ha 85 anni.
La domenica, alcuni laici che fanno parte della
cappellania vanno a cercare i pazienti dell’ospedale che si
spostano solo con la sedia a rotelle.
Poiché abito in una piccola casa con un grande giardino,
vi ho piantato molti fiori con l’intenzione di poterli tagliare e
portare in questa cappella. Con gli anni, diverse persone mi
offrono di andare a prendere i fiori da loro a domicilio. Nel
periodo invernale sono autorizzata ad andare da un fioraio a
pagamento, ma il cappellano rimborsa la spesa.
La maggioranza dei malati che vengono alla Messa
sono donne. Anche loro hanno avuto giardini e conoscono i
fiori, i loro profumi. A loro piace avvicinarsi ricordandosi la
gioia di aver avuto queste cose che sembrano semplici e banali
finché siamo in salute.
Questo lavoro è l’attività di ogni sabato mattina: sapere
dove devo ricevere i fiori delle altre persone alle quali chiedo
di coglierli con i gambi lunghi. Non è facile far capire loro che
gli addobbi che preparo non si mettono sul tavolo di un
appartamento, ma in un’ampia cappella.
Mi prendo cura anche di alcune piante verdi:
annaffiatura, cambiamento di vaso o di terra, in base alle
necessità. Per tutto il mese di maggio e di ottobre mantengo la
cura dei fiori alla statua della Vergine Maria. Diverse persone e
il nostro cappellano hanno una devozione molto spiccata per la
Madonna e apprezzano questo gesto.
30
Durante la settimana passo dalla cappella per cambiare
l’acqua nei vasi, soprattutto a causa del calore del luogo,
poiché i fiori non resisterebbero più di 24-48 ore al massimo.
Nel comporre gli addobbi, è un grazie, una lode che
elevo al Signore: grazie per i tanti fiori donati dalle diverse
persone o che prendo nel mio giardino, fiori che vanno ad
illuminare questo luogo visitato dove si viene a pregare, ad
affidare le proprie intenzioni, spesso dolorose. Vi si celebrano
un certo numero di funerali con il gruppo della cappellania.
Posso lodare il Signore per la bellezza del regno
vegetale, per ogni persona, ogni famiglia rappresentata in
questi fiori. Rendo grazie per la sua presenza al mio fianco in
questo atto creativo. Lo lodo per la mia vita, la mia relazione
con Lui, con gli altri e con il cosmo.
Suzanne H. – Francia
Per me la missione è rispondere a ciò che Dio si aspetta
da me là dove sono nel mio contesto familiare, religioso,
sociale e politico, e questo ogni giorno della mia vita. Il mio
impegno nell’ISM mi aiuta nel discernimento per scoprire e
fare ciò che a lui piace.
Da quando sono entrata nell’ISM ho sentito che avevo
una famiglia che mi proponeva il cammino che rispondeva alle
mie aspettative. Vivere, lavorare, restare nel mondo,
sforzandomi di restare fedele alla fede che avevo ricevuto e
volevo condividere. Questo non è stato facile, ma a mano a
mano che andavo avanti ero sempre più convinta che il Signore
era con me e mi sosteneva attraverso le sorelle che mi aveva
dato. Gli incontri ad Assisi, nel Burundi, a La Verna, nel Kenia,
a Roma e più spesso con Roselyne e p. Renée a Maurice sono
stati trampolini che mi hanno ridato lo slancio per andare
sempre avanti.
31
Quando lavoravo, mi sforzavo di vivere la mia missione
soprattutto con l’esempio del lavoro ben fatto e con una
presenza amichevole tra i miei colleghi che erano in
maggioranza non cristiani. Si trattava di un mondo freddo e
duro ove ciascuno pensava soprattutto ai propri interessi,
pronto a tutto per riuscire anche a scapito di coloro che
lavorano con lui.
Al momento di andare in pensione, quando ripensavo a
ciò che avevo vissuto, avevo l’impressione di aver mancato al
mio impegno di testimoniare l’amore di Cristo in ufficio, dove
l’ambiente era sempre più difficile. Quando ho salutato i
colleghi, molti mi hanno detto che essi avevano molto
apprezzato il mio lavoro, la mia disponibilità, la mia amicizia.
Ringrazio il Signore perché il contributo che l’ISM mi aveva
dato per vivere il mio lavoro mi ha sempre sostenuta e fatta
crescere malgrado lo scoraggiamento e i miei limiti.
Ora che sono in pensione, resto maggiormente con mia
mamma che è vecchia e non può camminare molto e che ha
bisogno di chi si occupi di lei. Non ho voluto impegnarmi
molto e per il momento faccio solo la catechista in un collegio
a Port Louis, due volte a settimana.
Il mio impegno ad essere solidale con tutti coloro che
mi circondano è sempre stato la mia forza e la mia gioia. Vivo
in pace con loro, prego con loro e per loro, nel bene come nei
momenti brutti, sia che siamo in conflitto o in perfetta armonia,
nel dialogo e nella compartecipazione.
Monique R. - I Mauritius
“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho
costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto
rimanga…” (Gv 15,16)
32
Sono queste le parole del Vangelo che si riaffacciano
nel mio cuore se mi domando quale sia per me il senso della
missione.
Accanto a queste le parole delle Costituzioni: “(La
missionaria) si riconosce creatura che riceve vita e amore da
Dio ed è sollecitata a restituire questi doni a Lui.” (Cost. art.
5)
È dentro il mistero e la carezza del ricevere che il
movimento dell’andare e del portare assume per me un
significato nuovo e profondo.
Portare frutto… Mi chiedo: come può un albero portare
frutto? Cosa determina il colore del frutto? Da cosa dipendono
il suo sapore e la sua dolcezza?
Dalla terra, dal sole, dall’acqua, dall’aria… dal loro
dono di bontà, di vita, di amore…
Ricevere il dono della terra con le mani aperte, con
occhi colmi di stupore, con cuore pieno di gratitudine, con la
delicatezza di un amante: questo desidero vivere quando penso
alla missione. Mi spiego…
Le mie giornate sono quasi del tutto occupate dal lavoro.
Il mio tempo trascorre, giorno dopo giorno, a contatto con
bambini che portano nel proprio corpo un limite particolare: a
volte sono le loro orecchie che non si aprono al mondo dei
suoni, altre volte sono le gambe che non possono camminare
oppure è la capacità di capire che rimane bloccata o l’abilità nel
parlare che non si sviluppa secondo i modelli ai quali siamo
abituati…
Dentro queste realtà mi viene consegnato un dono: sono
mani di bimbi, sono voci che non trovano suono, sono sguardi
che non conoscono parole, è movimento che non trova la sua
danza …
È il dolore di tante mamme, un dolore così profondo da
non riuscire talvolta a diventare lacrima… È la carezza piena di
33
speranza che danno ai loro bimbi… è la profondità del loro
amore… a volte è la rabbia che esprime tutta la forza della
vita… Questa terra mi chiama, mi cattura, mi apre all’incontro
povero con il mistero dell’essere creatura.
Nell’incontro posso solo tacere ed accogliere.
Accogliere per valorizzare ogni piccola conquista, per
riconoscere la dignità di ogni desiderio, per interrogarmi sul
significato del limite e sul suo valore… per ascoltare con
attenzione la Buona Notizia del Vangelo che mi viene offerta
proprio dentro le realtà più difficili.
…e il vostro frutto rimanga…
Nel sorriso che si apre sul volto di un bambino che si
sente accolto e capito credo che il Buon Dio sorrida al mondo e
riveli la Sua tenerezza. E questa tenerezza, rivelandosi,
rimane…
Nel pianto di una mamma che abbraccia il proprio
bambino e ne coglie ogni piccolo richiamo credo che il Buon
Dio comunichi con il mondo e racconti la Sua bontà. E questa
bontà rimane…
Nella parola che finalmente riesce ad esprimere un
pensiero credo che il Buon Dio narri al mondo il Suo desiderio
mai stanco di comunicare. E questo desiderio rimane…
Nella forza di un adolescente che “gioca” con le sue
difficoltà e ne fa gioia di vita credo che il Buon Dio manifesti
al mondo la Sua energia creatrice. E questa energia rimane…
Negli occhi caldi e densi di silenzio di chi non riesce a
parlare credo che il Buon Dio riveli la Sua presenza silenziosa
accanto ad ogni uomo. E questa presenza, rivelata, rimane…
Nella rabbia di chi non riesce ad accogliere il limite
credo che il Buon Dio dica al mondo che la Sua creatura è
destinata alla gioia. E questo anelito alla gioia, anche se
dolorosamente gridato, rimane…
34
Ricevere le offerte di vita che mi vengono incontro
attraverso le realtà che vivo: questo è per me il dono della
missione.
E poi andare e portare: non qualcosa di mio ma il frutto
che la vita stessa mi consegna e che io ho solo il compito di
accogliere con le mani aperte, come creatura che riceve vita e
amore dal Padre e restituisce ogni cosa a Lui…
Mi sembra che questo mi venga chiesto: ricevere perché
il frutto rimanga…
L. D. P. - Italia
“Non scapperò mai più…”
Quando ero bambina, a otto anni, ho letto una fiaba che
raccontava di un piccolo abitante del bosco chiamato folletto. Il
folletto abitava nel bosco, aveva un cuore generoso e aiutava
tutti perché dotato di varie capacità. Quando un capriolo si
feriva la zampa, correva dal folletto e lui lo guariva, quando un
usignolo perdeva la voce volava dal folletto e lui gli restituiva
la voce; quando la civetta non era più tanto saggia, si recava
dal folletto per avere un consiglio, ecc. Tutti gli abitanti del
bosco andavano dal piccolo folletto con le loro miserie, dolori,
debolezze, paure, con la propria vita. Alla fine il folletto si era
stancato di ascoltare i lamenti del bosco; ne aveva avuto
abbastanza. Sentì il desiderio di fare qualcos’altro, di fare
qualcosa per se stesso, di fuggire gli schiamazzi della foresta.
Si procurò quindi le provviste, scavò una tana profonda, la
ricoprì di foglie e vi si nascose. Si sentì libero, al sicuro. Ma gli
abitanti del bosco iniziarono a cercare il folletto. Perché la
rondine si è era spezzata un’ala, perché il piccione aveva perso
la sua compagna di vita, perché… Tutti avevano bisogno dal
folletto, ma il folletto non c’era più. Lo cercavano, gridavano,
piansero… Tutto ciò giunse alle orecchie del folletto, lui però
non volle sentire. Si rintanò ancora più profondamente nel suo
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nascondiglio, si turò le orecchie… Aveva pur il diritto di
riposarsi, aveva pur il diritto di pensare a se stesso, aveva pur il
diritto… Ma, di fronte a queste grida non riuscì a resistere. Sì,
uscì dalla sua tana, si mise a sedere accanto al salice piangente
e disse: non scapperò mai più!
Questo racconto mi ha profondamente toccata. Mi
ricordo che allora dissi che anch’io volevo far lo stesso, che
anche io volevo essere come questo folletto del bosco.
È stata un’idea infantile, ma il messaggio di questa
fiaba - non scapperò mai più! - mi ha accompagnata
incessantemente nella vita. Avevo desiderio di aiutare.
A nove anni ho iniziato ad andare a Messa tutti i giorni.
Ciò non faceva parte delle abitudini della mia famiglia. I miei
si meravigliarono, ma non protestarono. Oggi riconosco in
questo una speciale preparazione, un “retroterra” delle future
risposte e scelte.
Questo messaggio mi ha accompagnato nella scelta
dell’indirizzo degli studi: facoltà di medicina o di psicologia?
In questo campo è possibile portare aiuto. La psicologia
sembrava contenere, oltre alla componente somatica, anche
quella psico-spirituale, e quindi l’uomo integralmente. Io
volevo mettermi a servizio delle persone.
Mentre ero all’Università sognavo le grandi missioni, i
Paesi di missione, l’evangelizzazione, volevo dedicare la vita a
qualche causa, ecc. Grandi ideali! Immaturi.
Dopo essermi laureata, sono entrata all’ISM. L’Istituto
secolare in un certo senso rispondeva al mio desiderio iniziale
(al di là della questione fondamentale della scelta di vita
consacrata) di trovarmi fra i bisognosi per le strade del mondo,
mentre la spiritualità francescana corrispondeva al mio
concetto di stare con gli ultimi: minorità. E’ la mia missione.
Da qui la scelta della specializzazione clinica ed il lavoro con i
malati psichici. Il lavoro nella clinica psichiatrica è la scelta di
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stare fra gli “ultimi”. I malati psichiatrici sono “marchiati”,
stigmatizzati. Chi di noi vorrebbe fare amicizia con un malato
psichico, invitarlo a cena, uscirci insieme per andare ad un
concerto, offrirgli un lavoro…? Lo stesso succede nella Chiesa.
Questi malati girano intorno alla Chiesa, arrivano nelle varie
comunità. Ma, a dire la verità, “non si integrano con gli altri”
Sono diversi, strani. Vengono tollerati, trattati con indulgenza.
Oppure si parla con loro in maniera civile, gentile, ma non li si
prende sul serio. Non sono per noi dei partners, non sono
uguali a noi. Vengono respinti. Perché?
Se guardiamo le cause per la dichiarazione di nullità del
matrimonio è più facile ottenere dalla Chiesa la sentenza di
nullità nel caso in cui uno dei coniugi abbia problemi psichici
rispetto ad altri casi. “Marchiati”.
Sembra che sia più facile dare denaro al bisognoso, o
suggerire la risoluzione di un problema, il cosiddetto buon
consiglio. Più difficile è dare il proprio tempo. Il mondo è
motivato dal successo, dal progresso, dalla posizione da
conquistare. I miei malati hanno bisogno di essere
accompagnati in modo speciale. Cerco di dare loro il mio
tempo, stando loro vicino tenendo la loro mano, senza dire
niente. Il figlio della signora Anna si è suicidato a novembre.
La signora Anna è caduta in depressione. Che cosa si può dire?
Alessandra a otto anni veniva sottoposta ad abusi sessuali.
Oggi ha dei problemi con il suo matrimonio e in famiglia. Il
Signor Piotr, al ritorno dal lavoro ha trovato la casa vuota: la
moglie se ne era andata con un altro uomo, portando con sé i
figli. Divorzio? Non esistono soluzioni semplici.
Sto con loro. Talvolta riflettiamo insieme, valutiamo le
cose. Talvolta condividono qualcosa di ciò che sentono,
esprimono le loro emozioni. Qualche volta telefonano alle due
di notte, in preda alle paure. Ho dato loro il permesso di farlo.
E loro non se approfittano. Sono con loro, con le loro angosce,
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con il loro senso di rifiuto, con la loro solitudine. L’orario di
lavoro nella clinica si estende alla mia casa. Possono venire
sempre (vivo da sola). Cerco di condividere con loro il mio
tempo senza guardare l’orologio. Qualche volta andiamo a fare
una passeggiata insieme, andiamo al mare e sulla spiaggia
raccogliamo i pezzi d’ambra. Qualche volta li porto con me in
montagna a sciare, cosa che talvolta risulta imbarazzante per
me e per la mia compagnia, perché loro sono diversi, si
comportano in modo diverso, non rispettano le nostre regole.
Ma che problema c’è nel vivere con quelli così detti ”regolari”?
I miei colleghi (ma anche le mie sorelle dell’Istituto) mi dicono
che dovrei imparare a “dire di no”, che è stato Gesù a salvare il
mondo, che è importante l’igiene della vita quotidiana, che
dovrei avere cura di me e della mia salute, che non riesco a
adempiere ad altri miei doveri. È vero. Probabilmente hanno
ragione. Ma da qualche parte risuonano come un’eco le parole
del folletto del bosco: - non scapperò mai più! -, non fuggirò
dall’uomo e dal suo mondo.
Non faccio niente di straordinario. Ho potuto
comprendere quanto è sensibile l’altro, anche colui che ha
problemi psichici, quant’è ricco il suo mondo, quanto grandi
sono i drammi che vive, quanto mi dona l’amicizia con lui.
Giovanni Paolo II nell’enciclica Dives in misericordia
sottolinea la reciprocità del dono: colui che dona riceve anche
lui in dono (cfr,14) Voglio bene ai miei malati. Sono per me un
dono. Cerco di essere non tanto per loro quanto in mezzo a loro.
Tante volte perdo questa idea.
Ha senso questa missione? È questa la chiamata
dell’Istituto? Ẻ questa la vocazione mia?
Talvolta mi vengono molti dubbi. Provengo da un bella
famiglia e ho sempre avuto un gran rispetto della vita
matrimoniale e familiare. Talvolta penso che la vita in famiglia
abbia più senso rispetto alla vita che ho scelto io. Perché ho
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fatto questa scelta così radicale? Non trovo una risposta
razionale. Gesù! Verso la fine degli studi ho conosciuto un
ragazzo. Ci univa una profonda amicizia. Tutti e due ci siamo
laureati, abbiamo trovato lavoro, casa. Eravamo pieni di salute,
di gioia, e facevamo timidamente progetti per il futuro. Eppure
sono stata io a prendere la decisione, in risposta ad un desiderio
portato nel cuore da anni, di scegliere una vita consacrata a Dio
e una vita completamente dedicata ad altri, dedicata agli
“ultimi”, nel mio caso, agli uomini con i problemi psichici. La
missione era unico senso della mia vocazione. L’Istituto mi ha
dato un forte slancio, lo stimolo della missione. La comunità è
diventata veramente la mia famiglia che, nella condivisione dei
pensieri, delle esperienze, della santità, della dedizione, come
pure delle difficoltà e degli errori, il più delle volte mi fa
vergognare, ma nello stesso tempo mi fa vedere che si può e
che vale la pena…Semplicemente, stare nella comunità
vocazionale è un sostegno e un aiuto nei momenti in cui, come
quel folletto vorrei fuggire e nascondermi da qualche parte, ad
esempio nella cella di un monastero. A volte sento la nostalgia
di un vita monastica. Avrei voluto fuggire da questo mondo e
condurre una via “santa e tranquilla”. In quei momenti la
comunità dell’Istituto mi richiama “all’ordine”, e attraverso dei
gesti spesso piccoli e sorprendenti, attraverso una preghiera
costante, attraverso la stessa la presenza, mi aiuta a
intraprendere di nuovo questa missione. La missione per
rimanere con questi ‘ultimi’.
Quindi non scapperò mai più!
Danuta P. - Polonia
Missione: significa portare la Buona Novella a tutto il
popolo (Mc 16, 15-20)
Coloro che credono e sono battezzati saranno
nell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
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Nell’amore del Padre, diventeremo veramente figli di
Dio.
Nell’amore del Figlio, riceveremo l’amore del
primogenito che è Fratello nostro: in lui tutti diventeranno
fratelli e sorelle.
Nell’amore dello Spirito Santo possiamo amare gli uni e
gli altri come fratelli e sorelle e scoprire che tutti sono creati a
nostra immagine e questo ci fa crescere nella pianezza come
figli di Dio.
In conseguenza, noi popolo, ci libereremo dalle
contraddizioni, supereremo i conflitti, le repulsioni, i
sentimenti e gli atteggiamenti negativi sugli avvenimenti, sulle
situazioni di vita e sugli altri. Ci libereremo dalla nostra paura
della morte, dei fallimenti, dei disprezzi e da altre esperienze
negative.
Sperimenteremo profonde guarigioni e riconciliazioni
con noi stessi, con Dio, con le altre persone e con la storia,
anche del passato.
La missione di ogni cristiano è di proclamare e crescere
nel regno di Dio che si estende in tutto il mondo.
Gesù, inviato dal Padre, è la fonte e l’origine della
missione della Chiesa; il successo nella missione dipende
dall’unione vitale con Lui e con lo Spirito Santo.
La missione comprende e si rivela tramite ogni cosa che
dico e che faccio in Cristo e con Cristo, in tutto il mio
cammino, come cristiana e come persona consacrata e anche
nella mia relazione con ogni persona. Ad esempio, nella misura
in cui sono segno dell’amore di Dio per ogni singola persona e
anche nel modo in cui rispetto la diversità e la libertà di ogni
essere umano e creato.
La missione si esprime anche nel mio costante servizio
ai fratelli, facendo di me stessa la più piccola fra i piccoli. E’
essere aperta ad ogni legittima aspirazione delle persone,
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particolarmente dei più poveri. In tal modo, promuovo ovunque
una vera crescita nella vita con Cristo.
In conclusione, la missione implica preghiera per tutte
le famiglie portandole nell’abbraccio amoroso di Francesco;
colui che diventò povero per donarsi ai poveri e agli
abbandonati. Missione è abbracciare i rischi per poter portare la
buona novella dell’amore di Dio a coloro che la ignorano o la
disertano preferendo il potere del denaro o la incomprensione
del significato della vita umana.
In una parola, essere nel mondo, ma non del mondo;
così da poter approfondire il senso della vita e poter accudire i
bisognosi, i bambini della strada, le ragazze-madri, ecc., con un
cuore che cresce ogni giorno nella sua capacità di amare come
è stato chiaramente evidente nella personalità di San Francesco
di Assisi.
Angelina K. - Sudan
Il 1 gennaio 2009 ho fatto un bilancio ed allo stesso
tempo ho guardato al futuro. Dopo quasi 40 anni dalla mia
professione come missionaria “in mezzo al mondo” e dopo
tante diverse attività mi sono chiesta cosa significhi per me,
che sono in età avanzata, la “missione” oggi. Sono del 1933.
Il 2 gennaio, però, all’improvviso la situazione si è
capovolta. Una caduta sulla strada ghiacciata (mentre mi
recavo alla S. Messa) ha completamente stravolto la mia
quotidianità. Dapprima c’è stato il ricovero in ospedale per una
frattura tripla al piede ed una ferita alla spalla, poi 3 mesi di
convalescenza (in condizioni di non-autosufficienza) in una
casa di riposo, di cui 6 settimane sulla sedia a rotelle. Adesso
sono di nuovo a casa, ma il processo di guarigione sarà ancora
lungo.
In questa maniera mi si è aperto un “nuovo mondo” di
dipendenza, di calma e di ritiro interiore. In tutte queste
41
vicende ho avuto molti segni di partecipazione amorevole,
soprattutto dalle missionarie della Svizzera, come anche da
quelle della Germania e dell’Italia.
Nella certezza di essere nelle mani di Dio in tutte le
circostanze della vita, percepisco la provvidenza di Dio molto
concretamente in vari segni e mi rendo conto che adesso deve
maturare un periodo più calmo della missione.
Grata per la mia vocazione di missionaria.
Marianne G. - Svizzera
La missione è il cammino continuo di ogni Missionaria
verso un’unione profonda con Gesù e la personale volontà di
usare i suoi doni e talenti per integrarsi nell’ambiente dove
vive, partecipando alla storia del mondo intero lì dove si trova.
Dio ha mandato Cristo … La sua missione è stata consegnata ai
suoi discepoli e poi a noi. È Gesù che chiama ognuna lì dove
si trova a vivere e lavorare. Partecipando nella Chiesa, nella
vita civile dei gruppi/famiglia/lavoro/ISM, portiamo Gesù che
opera tramite il servizio per gli altri.
Circa 5 anni fa, mi sono trasferita qui dove abito ora per
stare più vicino alla mia famiglia. Dista circa 1000 miglia da
dove abitavo prima. Non avevo idea dove il Signore mi portava
perché non conoscevo nessuno, a parte la mia famiglia. Poiché
sono stata sempre molto impegnata e ho preso a cuore la mia
missione di insegnante e come membro attivo della Diocesi e
di vari ministeri parrocchiali, so che il Signore mi chiamava
anche ad aiutare nel programma di formazione della mia
parrocchia, ma come mai ????
Dopo un lungo periodo di preghiera, mi sono presentata
al volontariato come insegnante nella classe di quarto grado.
Poi c’è stato bisogno di insegnare anche al secondo e sentivo la
chiamata del Signore di rispondere anche lì. Avevamo più di
42
mille alunni e mentre si andava avanti mi chiamavano anche
come tutor privato (insegnanti di recupero per coloro che
hanno saltato il primo grado) per essere inseriti alla
preparazione per la Prima Comunione. Questa è stata un pò la
sfida perché era necessario lavorare anche con i genitori. E
continuavo con il recupero. Tutti questi impegni mi rendevano
soddisfatta.
Andando avanti, le due donne incaricate al programma
di Formazione nella Fede, mi hanno chiesto di fare da
consulente perché avevo molti anni esperienza in questo campo
e in varie parrocchie della Diocesi di Worcester, e avevo
comunque la preparazione professionale per questo lavoro.
Ancora una volta ho accettato di collaborare.
Nella città vicino casa, abbiamo un programma per
insegnare gli adulti immigrati a scrivere e leggere e ad
imparare l’inglese. Una volta a settimana, ho due donne che
vengono da me per questo. Tutte due svolgono dei lavori ed è
necessario che imparino l’inglese per poter lavorare.
Una scuola cattolica, Nostra Signora di Lourdes,
frequentata da mio nipote, cercava qualcuna che potesse
sistemare la biblioteca e assistere la bibliotecaria per alcuni
giorni alla settimana. Il mio nome è stato suggerito, quindi mi
hanno chiesto se potevo aiutare. Ancora una volta ho sentito la
chiamata del Signore ad usare il mio talento per gli altri, quindi
ho accettato l’invito di fare la bibliotecaria per due giorni alla
settimana.
La mia Missione comprende anche il servizio alle
Missionarie della Zona USA, prima come Presidente per 8 anni
ed ora come Formatrice. E’ stata una esperienza che mi ha reso
umile e allo stesso momento è stato un privilegio servire ed
assistere le Missionarie nel cammino spirituale. Il buon Dio ci
chiama a portare avanti la Sua opera lì dove siamo, occorre
43
solo aprirsi e rispondere alla sua chiamata al servizio quando le
occasioni si presentano davanti a noi.
“La Missionaria è invitata a riconoscere nella storia e
nei bisogni dell’umanità, i segni della presenza di Dio e la sua
chiamata …”(Art. 8 delle Costituzioni)
Charleen D. (USA)
Vedo un’opportunità per la missione ovunque vivo la
mia consacrazione. Potrebbe essere in ospedale dove lavoro
come infermiera anestesista, in parrocchia come formatrice
della religione e come ministro dell’Eucaristia, nell’ISM come
membro del consiglio della Zona e incaricata del sito
dell’Istituto, o anche nell’assistenza alla mia famiglia.
In ospedale, il mio compito principale è la
somministrazione dell’anestesia e l’assistenza dei pazienti
durante l’intervento chirurgico. Il tutto comprende la
valutazione della situazione medica, spiegare le procedure e
insegnare tutto quello che è necessario sapere per la sua
preparazione. Molto spesso in questo percorso con i pazienti,
mi accorgo della loro fede, della loro preghiera per una buona
riuscita e anche quando chiedono a Dio di guidare la mano del
chirurgo e dell’équipe durante l’intervento. Ho anche pregato
per i pazienti, particolarmente nei momenti critici. Un’altra
faccia della missione nel mio ambito di lavoro è dare
attenzione totale al paziente, garantendo che nella sala
operatoria, il paziente sia sempre la persona più importante. Fa
parte dell’impegno della mia consacrazione l’onestà e la
sincerità che si realizza nella mia relazione con i pazienti, con
l’équipe, i miei superiori e anche nel gestire i documenti o l’archivio.
Non c’è spazio per gli errori quanto si tratta del paziente.
In tanti anni che sono passati, la mia missione è stata
distribuita tra la mia responsabilità nel lavoro e nella famiglia.
Mio padre ha avuto la demenza senile quindi è stato difficile
44
per la mamma assisterlo da sola. Ho potuto aggiustare il mio
orario di lavoro per assistere mio padre. Il mio stare con lui è
stato un dono tanto quanto è stato difficile. Non mi conosceva
più, però abbiamo instaurato un rapporto. Per lui ero una nuova
amica. Nello stesso tempo i miei due fratelli si sono ammalati
di cancro. Uno di loro aveva una famiglia molto disponibile ad
aiutarlo ed assisterlo, mentre l’altro aveva dei figli che non si
sono accorti della gravità della sua malattia. Mi ha chiesto di
aiutarlo a prepararlo per la morte. All’inizio non è stato
semplice per me, non ero a mio agio perché lui era più grande
di me. Come potevo aiutarlo? Non ero pronta a perdere mio
fratello. Lui è stato lontano dalla Chiesa per molti anni, e
desiderava di avere di nuovo Dio nella sua vita. L’ho fatto
incontrare col parroco della mia parrocchia e in quell’incontro
lui ha avuto un’esperienza di conversione che ha toccato nel
profondo sia lui che il parroco. Nei due mesi seguenti ho potuto
parlare e condividere con lui la mia fede quanto lui ha parlato
con me della sua. Nelle ultime settimane di vita, non ha potuto
più prendersi cura di se stesso. Mi ha dato il privilegio di
assisterlo. Ci sono stati momenti molto forti, quando si è reso
conto che stava tornando a Dio e ha potuto cedere, anzi ha
aspettato con ansia il passaggio. É stato per me un dono poter
assistere al suo cammino.
La missione mi ha portato in varie direzioni che non
avrei scelto. Le strade non sono state piane e lisce ma con
dislivelli molto alti e bassi. La grazia della mia consacrazione e
la mia conoscenza di Dio sono stati il mio aiuto, la forza e il
coraggio nei momenti più difficile e anche in quelli felici.
Mary Lou C.
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46
SECONDA PARTE
Per riflettere …
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48
RIFLESSIONI E APPROFONDIMENTI
GESÙ, L’INVIATO DEL PADRE:
LA NOSTRA MISSIONE PARTECIPE DELLA SUA
MISSIONE
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con
me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che
mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del
mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti
ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai
mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò
conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi
e io in loro (Gv 17, 24-26).
Queste parole, pronunciate da Gesù alla fine del
cosiddetto “discorso di addio” che il quarto evangelista riporta
nel corso dell’ultima cena, dicono in poche espressioni molto
dell’identità del Nazareno e dell’identità dei suoi discepoli.
Innanzitutto, l’identità di Gesù di Nazaret. La sua
preghiera fiduciosa lascia trasparire la particolare intimità che
c’è fra lui e Dio. Non solo lo chiama, come mai nessuno lo
aveva chiamato, “Padre”, ma ha la confidenza per dirgli
“voglio”. Solo dove c’è un amore e un rispetto grandi si può
ardire di usare questo verbo senza che suoni pretesa o
imposizione.
Il quarto vangelo è l’epifania del monogenés,
dell’Unigenito dal Padre (Gv 1, 14c), che non è il Padre, ma
che nel contempo è profondamente uno con lui: io e il Padre
siamo una cosa sola (Gv 10, 30); egli stesso dice del Padre mi
hai amato prima della creazione del mondo (Gv 17, 24). Come
sia possibile salvaguardare in Dio l’unità della natura e la
49
distinzione delle persone resta per noi uno sforzo intellettivo
insuperabile, tuttavia noi in qualche misura sappiamo che è
possibile. Lo sappiamo perché Gesù Cristo ce lo ha rivelato. Lo
sappiamo perché l’amore con il quale il Padre ama il figlio è in
noi. Perché che cos’è tale amore se non lo Spirito Santo, che è
nel Padre e nel Figlio e contemporaneamente in noi? Si
compiono così le parole di Gesù (cf. Gv 17, 26: l’amore con il
quale mi hai amato sia in essi e io in loro). Se la mente
annaspa nel doversi capacitare di un mistero insondabile come
quello della Trinità, il nostro cuore sa che è possibile essere
uno-in-molti e molti-in-uno, così come avviene in Dio, così
come avviene tra noi mortali quando amiamo qualcuno con
tutto noi stessi. Quindi è soprattutto attraverso l’amore che noi
capiamo qualcosa del mistero di Dio.
Tuttavia la chiarezza con cui possiamo conoscere
queste profondità non ci sarebbe data in modo inequivocabile
se il Padre non avesse mandato suo Figlio nel mondo.
L’Unigenito è l’inviato. Dio ha tanto amato il mondo
da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non
vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha
mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma
perché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Gv 3, 16-17).
Pur senza perdere le sue prerogative divine (il Verbo
era Dio, Gv 1, 1c), pur senza abbandonare la sua inestricabile
condivisione di vita con il Padre (il Verbo era presso Dio, Gv 1,
1b), l’Unigenito venne inviato dal Padre in mezzo a noi: venne
fra i suoi (Gv 1, 11); il Verbo si fece carne e venne ad abitare
in mezzo a noi (Gv 1, 14).
Ecco la “buona novella” annunciata ad ogni persona:
c’è un Dio, che ha creato il mondo (il mondo è stato fatto per
mezzo di lui, Gv 1, 10b) e che continua a prendersi cura della
sua creatura. Ma poiché essa è in pericolo, si trova prigioniera
delle tenebre e dell’ombra di morte, allora ha deciso di liberarla,
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di riscattarla, di redimerla. E come poteva liberare il mondo un
Dio immateriale e infinito se non facendosi materiale e finito?
Dio ha deciso di liberare il mondo dal di dentro, irrompendo
nella trama della storia per trascinare ogni nostro istante
all’interno del vortice d’amore della sua vita infinita. Il Battista
lo riconosce: Ecce agnus Dei, qui tollit peccatum mundi (Gv 1,
29). Dice tollit, cioè “toglie”, “elimina”, ma anche “prende su
di sé”. Potremmo tradurre: “colui che elimina il peccato
addossandolo su di sé”.
Ecco il mistero di Gesù di Nazaret, l’Unigenito:
l’uomo-Dio. Egli nel contempo è venuto a rivelare l’amore
salvifico di Dio e a compierlo. La sua manifestazione al mondo
è nello stesso tempo azione di liberazione e annuncio di questa
liberazione, come a dire che, attraverso le sue parole e i suoi
segni, Gesù Cristo ha gridato al mondo: “guardate, io sono qui
per liberarvi. Io sono il vostro liberatore e colui che vi annuncia
la liberazione!”.
L’Unigenito, in quanto inviato per salvare il mondo, è
perciò il primo missionario. Egli è la scaturigine di ogni
missione compiuta nel suo nome. L’oggetto del suo annuncio è
egli stesso, in quanto liberatore, ma anche il Regno di Dio, in
quanto meta della liberazione. Io sono venuto perché abbiano
la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10, 10). Padre, voglio
che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io,
perché contemplino la mia gloria (Gv 17, 24). “Dove sono io”
indica uno stato di vita più che un luogo fisico. È la condizione
di profonda comunione tra il Padre e il Figlio, la sua “gloria”.
Gesù nel vangelo di Giovanni usa anche alcune immagini per
abituare i suoi discepoli a “vedere” il mistero: parla di fonte
d’acqua viva (cf. Gv 4, 14; 7, 37-38), pane che non si guasta
(Gv 6, 27.33-35), luce che vince la morte (Gv 8, 12; 12, 46),
via (Gv 14, 6), vite (Gv 15, 1-8). Attraverso queste immagini
ed espressioni, come “diventare figli di Dio” (Gv 1, 12),
51
“nascere dall’alto” (Gv 3, 3.5), “essere riempiti dello Spirito”
(Gv 7, 39; 14, 16), l’Unigenito rivela al mondo che c’è un
mondo ulteriore. Gesù Cristo rivela ai suoi discepoli che, dal di
dentro di questa storia si sta sviluppando un futuro di felicità
senza fine, che chiamiamo Regno di Dio perché in esso Dio
regnerà senza avere alcun rivale al trono, avendo vinto la morte
che pretendeva di dominare sul creato.
Se questa è l’identità dell’Unigenito così come lui
stesso ce la rivela nel quarto vangelo, allo stesso modo occorre
che riconosciamo in lui la nostra identità di suoi discepoli.
Questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato (Gv 17,
25). I suoi discepoli sono coloro che lo hanno accolto, cioè che
hanno capito di chi si trattava. E a quanti lo hanno accolto ha
dato potere di diventare figli di Dio (Gv 1, 12). L’uomo, la
donna che accoglie il Verbo rivelatore del Padre è la persona
che non si lascia ingannare dalle apparenze e dal paradosso di
un uomo-Dio, ma sa vedere la divinità di Gesù di Nazaret
dentro e oltre la sua umanità. Così, riconoscendolo come
l’Unigenito del Padre, come l’Agnello di Dio, quell’uomo,
quella donna diventano veri discepoli. Ma la conoscenza di Dio
non è solo un fatto teorico. Conoscere Dio significa amarlo. E
non si può amare Dio se non del suo stesso amore, perché
l’uomo, lasciato alle sue sole forze, può solo temere Dio. Ecco
perché i discepoli sono anche figli: perché alla scuola del
Verbo non si impara a parlare di Dio, ma ad amare Dio.
Ed ecco, allora, la caratteristica più autentica di ogni
missionario, di ogni missionaria. Le vostre Costituzioni dicono:
Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Suo Figlio
Unigenito. Partecipe della sua missione, la Missionaria è
chiamata a “far conoscere i prodigi di Colui che dalle tenebre
ci chiamò alla sua ammirabile luce”; a dare testimonianza a
52
Cristo “rendendo ragione della speranza” che è in lei; ad
annunciare il Vangelo ovunque (Cost. ISM, art. 7).
Che cosa significa “partecipe della sua missione”, cioè
della missione di Cristo? Significa ricordarci che anche noi,
come Cristo, siamo missionari in quanto mandati, “inviati”. È il
Figlio che ci invia al mondo, così come lui, a sua volta, è stato
mandato dal Padre nel mondo: come tu hai mandato me nel
mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo (Gv 17, 18).
Ne traiamo alcune importanti conseguenze pratiche.
1. La Missionaria deve vivere della stessa intimità che sussiste
tra Padre e Figlio. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano
anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato
(Gv 17, 21). L’essenza stessa dell’essere inviato è conservare
un legame di profonda unità con chi invia. Essere missionari di
Cristo non è semplicemente portare il suo annuncio. Occorre
essere permeati da quell’annuncio, coinvolti da quell’amore,
travolti da quella passione. Altrimenti non siamo missionari:
siamo vuoti trafficanti di notizie. Ne deriva, per la vostra vita
di Missionarie, l’esigenza di coltivare una buona vita di
preghiera personale e comunitaria e una cordiale adesione alle
iniziative dell’Istituto, che per voi è locus theologicus
privilegiato nel quale vi si rivela l’amore di Dio attraverso la
via stretta del voto di castità e delle promesse di povertà e
obbedienza.
2. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo
condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo,
ma per salvare il mondo (Gv 12, 47). Non possiamo essere
missionari di Cristo e avere un approccio al mondo diverso da
quello che lui ebbe. Se Cristo ha amato il mondo, noi non
possiamo disprezzarlo; se Cristo ha abbracciato ogni creatura,
53
noi non possiamo evitarle. La Missionaria, trascinata
dall’amore del Padre e del Figlio, che è lo Spirito Santo in noi,
ama di un amore tenero e appassionato questo nostro mondo,
questa nostra storia. Certo, proprio perché lo ama, sa
riconoscerne i limiti, perché lo vede non con occhi di seduttrice
ma con sguardo di amante, e deve ricordare al mondo che
buona parte di esso è transeunte, è penultima, e che c’è una
realtà ultima futura, una vita buona e felice senza fine, che
scorre nel presente come linfa nascosta in ogni azione di bene
compiuta con gratuità. Tuttavia solo entrando in empatia con il
mondo si può annunciare ad esso con coraggio la buona
novella del Regno. Il nostro annuncio sarà tanto più ascoltato
quanto meno si porrà altezzosamente in un atteggiamento di
giudizio e, tanto meno, di condanna. Non si tratta di tacere di
fronte alle ingiustizie o di condividere la mentalità
dell’effimero che pervade ogni struttura della nostra società,
ma è chiaro che per poter parlare ed essere ascoltati occorre
saper intercettare l’interlocutore proponendogli di entrare in
dialogo con noi. E non si dà dialogo autentico se non si entra in
sintonia con l’interlocutore. La Missionaria della Regalità di
Cristo non deve temere di entrare in dialogo con chiunque, anzi,
proprio per la sua specifica vocazione di consacrata nel mondo
ha la possibilità e la responsabilità di portare la parola di Dio
anche laddove risulterebbe più difficile per chi si presentasse
come “contrassegnato” esteriormente da un’appartenenza
religiosa cristiana.
3. Infine non dimentichiamo che il missionario di Cristo è
portatore di un dono che non gli appartiene, così come Cristo
stesso non è venuto nel mondo per fare quello che voleva: Il
mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e
compiere la sua opera (Gv 4, 34). Voi non siete missionarie
dei vostri progetti o delle iniziative dell’Istituto o dei
54
programmi delle Diocesi: voi siete missionarie di Gesù Cristo.
Può darsi che la sua Parola si incarni nei vostri progetti, nelle
iniziative dell’Istituto o nei programmi delle Diocesi, ma può
anche accadere che, forti dei nostri pregiudizi, agiamo non
condotti dallo Spirito di Dio ma dal nostro orgoglio. C’è tutto
un mondo innanzitutto dentro di noi, dentro le nostre persone e
dentro le nostre realtà comunitarie, che richiede di essere
adeguatamente amato e quindi evangelizzato, perché si
converta davvero alla sconvolgente verità di un Dio che regna
dalla croce.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho
costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto
rimanga (Gv 15, 16).
Andate, dunque, Missionarie di Cristo, e portate frutti di
buone opere che rimangano in eterno per la costruzione del
Regno di Dio.
Fr. Ernesto D. – Italia
55
QUALE MISSIONE PER NOI OGGI?
Dalla lettura delle Costituzioni traspare un desiderio di
risposta al grande amore di Dio che, nello spirito di Filippesi 2,
5-11 e nell’esperienza spirituale di Francesco d’Assisi, accetta
di farsi fragile e di lasciarsi spezzare nel dono di sé.
Ne emerge il volto di una piccola fraternità di donne
innamorate, appassionate di Dio e dell’uomo, che si
accompagnano nel cercare il Signore volendosi bene e
testimoniando che è possibile vivere le Beatitudini nel
quotidiano, ad ogni età e condizione di vita, con piena
dedizione... fino alla fine.
Parlando di Missione, dunque, il discernimento più vero
che possiamo operare non è tanto sul “fare”, sul “dove”…
quanto sull’“essere”, sul “come”.
La prima attenzione è alla vita interiore, non certo per
intimismo… ma perché l’amore e la passione non si spengano
mai e lo Spirito possa continuare in noi “la sua santa
operazione”.
Dalle Costituzioni non si evidenzia un progetto di
missione luccicante, non una missione gridata … ma un
progressivo ritrarsi, un desideroso decrescere nell’urgenza di
restituire in perdita tutto ciò che si è avuto in dono, per amore.
É lo scandalo della croce, é l’accoglienza della
Pasqua…
Rileggendo le Costituzioni…
“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
56
ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
Per questo Dio l'ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.”
(Fil 2, 5 - 11)
Il testo tratto dalla lettera ai Filippesi, con cui iniziano
le Costituzioni, ci dice che la missione di Gesù avviene
attraverso la kénosi: non un movimento trionfale, né
particolarmente “attivo”, ma il mistero che si manifesta
• nel discendere
• nello spogliarsi
• nel servire
• nell’umiliarsi
• nel divenire”simile agli uomini”
• nell’obbedire “fino alla morte e alla morte di croce”…:
É il mistero dell’amore.
Questo è il cuore delle nostre Costituzioni, alla luce del
quale possiamo e vogliamo rileggere la nostra missione.
57
Art.1 – La missione è espressa, nel nostro nome, dall’essere
donne che testimoniano la possibilità di vivere il Vangelo alla
sequela di Gesù obbediente, povero e casto, nella condizione
secolare.
Art.2 – Il Carisma è la secolarità consacrata per la missione,
nello spirito di S. Francesco. In questo caso il termine “per”
non indica una realtà funzionale, ma un legame profondo tra
CONSACRAZIONE, MISSIONE, SECOLARITA’.
Art.4 – Il significato del nostro nome è, prima di tutto,
riconoscere di essere amate e, per amore, perdere la vita per il
Regno che “è vicino” e già urge dentro di noi.
Siamo chiamate a rimanere in questo grande mistero come
“lievito di sapienza e testimoni di grazia”, nel cammino della
comunità degli uomini, partecipi della comunione dei santi.
Art.5 – L’azione dello Spirito (“Lo Spirito del Signore e la sua
santa operazione”) crea in noi quel movimento interiore che, a
partire dalla consapevolezza lieta della nostra creaturalità, ci
sollecita a restituire il dono della vita.
Art.6 – In ragione di questa dinamica dell’amore possiamo dire
che tutta la vita è missione, rivelazione e annuncio dell’amore
universale di Dio.
La missione non è una “cosa”, un adempimento, un aspetto
della vocazione, un impegno: è la vita.
I segni di questa continua “operazione” dello Spirito in noi
sono:
- vivere il Vangelo “sine glossa”
- servire nello spirito delle Beatitudini
- partecipare alla Pasqua del Signore
58
-
condividere con l’umanità tutta la vita.
VIVERE, SERVIRE, PARTECIPARE, CONDIVIDERE: la
vita interiore e la concretezza del quotidiano si nutrono l’una
dell’altra, respirano l’una nell’altra…
Art. 7 – La testimonianza (martyria) e l’annuncio con
franchezza (parresia) sono la nostra partecipazione alla
missione di Cristo, mandato dal Padre per amore.
Una missione laicale: capace di riconoscere alle cose del
mondo un significato proprio che i misteri dell’Incarnazione e
della Pasqua hanno suggellato definitivamente, dopo l’atto
creativo delle origini, come “cosa buona”.
Art.8 e 9 – “In principio la Parola”: la Parola sollecita e
sostiene la vita e la missione.
La ricerca appassionata della presenza dello Spirito in noi e
l’accoglienza della sua chiamata, che avviene continuamente
attraverso la storia, è ciò che motiva alcune scelte e stili di vita,
di lavoro e di servizio.
Gli stili di vita (Art. 8,9,10,11,12):
- rispetto per ogni persona
- sostegno al valore della donna nella società e nella
Chiesa
- partecipazione ai diversi ambiti del vivere sociale ed
ecclesiale
- servizio ad una convivenza umana vera, libera, pacifica
- collaborazione per la cura del creato
- condivisione del lavoro come grazia (con competenza,
servizio, restituzione dei beni …)
- accettazione delle difficoltà e delle responsabilità in
minorità
59
-
assunzione del tempo (anche quello del pensionamento)
come opportunità
accoglienza della malattia, dell’anzianità, della
debolezza alla luce del Regno
partecipazione alla comunione ecclesiale
attesa vigilante della pienezza del Regno
impegno per l’unità e il dialogo
scelta del riserbo come minorità, per la secolarità
Gli atteggiamenti della vita interiore sono già missione.
Mi interrogo sul mio essere:
Art.14:
- pellegrina sulle strade del mondo
- libera da ogni attaccamento
- capace di restituire a Dio i suoi beni
- grata
Art.17:
- feconda
- in relazione
- in solitudine
- in cammino
- nella custodia amorosa della vita (amicizia, bellezza,
gioia, creatività)
Mi interrogo sul mio stare:
Art.18 e 19:
- nell’abbandono fiducioso a Dio
- nella sobrietà – essenzialità – solidarietà per la giustizia
- nella condivisione
- nel dono
- nella responsabilità
- nel discernimento
60
-
nella ricerca del bene comune
nell’ascolto della volontà di Dio
nel servizio vicendevole
Mi interrogo sul mio rimanere:
Art. 20, 21, 22:
- nell’accoglienza dell’amore sponsale, in qualunque
situazione della vita
- nella ricerca di Dio
- nella contemplazione attraverso la vita di ogni giorno
- nell’offerta
- nella lode
- nella benedizione
- nel dono della vita come pane spezzato
- nel continuo cammino di conversione
- nel perdono ricevuto e dato
- con Maria
Mi interrogo sul mio sperimentare concretamente che:
Art.28:
- la vocazione (e quindi la missione) si svela
progressivamente
Art.29:
- la formazione, nutrita di Parola e di storia, cresce con la
vita
Mi interrogo sulla mia disponibilità:
Art.30:
- al cambiamento
- al confronto fraterno
- alla lettura sapienziale della storia
Laura L.- Italia
61
LA NOSTRA MISSIONE:
LAICITÀ E PROFETISMO S’INCONTRANO
La nostra missione di laiche consacrate si caratterizza e
si definisce in parte per la nostra maniera di vivere e di
coordinare nel modo giusto la laicità e il profetismo.
Che intendiamo, infatti, per laicità? Per laico?
La laicità designa uno stato della società in cui il
politico sfugge all’influenza del religioso. Ciò ha due
conseguenze: l’autonomia del politico e il riconoscimento della
libertà di coscienza che si prolunga in libertà di culto. Secondo
questa definizione ampia, tutte le democrazie europee si
possono considerare regimi laici.
La parola laico deriva da laos, termine piuttosto raro del
greco classico, in cui indica il popolo in quanto massa non
organizzata.
Nella Bibbia, laos assume un duplice significato:
l’insieme del popolo di Dio, ma anche le persone che, in questo
popolo, non essendo né sacerdoti né profeti, non hanno una
funzione sacra specifica. La parola passò così nel vocabolario
cristiano per indicare chiunque appartenesse al Popolo di Dio
senza essere sacerdote, dunque ogni battezzato che non è
chierico.
Il termine “laicità” è un termine di moda.
«È anche un termine ambiguo, che bisognerebbe forse
osare di sostituire con quelli di «mondanità» o di «profanità»
per indicare l’autonomia specifica dell’uomo credente, nel
mondo e nella Chiesa.
Questa laicità affonda le sue radici nella fede biblica,
62
-
fede in un Dio creatore che desacralizza la natura e
la storia;
fede in un Dio incarnato che sostituisce la legge della
separazione e dell’esclusione con una legge di
solidarietà e di comunione;
fede escatologica che relativizza e il mondo e la
Chiesa.»
(Il senso biblico della laicità, di G. Barbaglio)
Nel 2005 il Papa Giovanni Paolo II, nella sua lettera ai
vescovi francesi segnala la necessità di una giusta separazione
di poteri:
«Il principio di laicità, se ben capito, appartiene anche
alla dottrina sociale della Chiesa. Esso ricorda la necessità di
una giusta separazione dei poteri… Da parte sua, la non
confessionalità dello Stato, che è una non intromissione del
potere civile nella vita della Chiesa e delle diverse religioni,
come nella sfera dello spirituale, permette che tutte le
componenti della società lavorino insieme a servizio di tutti e
della comunità nazionale.»
A partire da qui si ritiene che lo Stato buono é quello
che permette il rispetto della libertà e l’uguaglianza di tutte le
convinzioni. Da allora, la Chiesa non considera più la laicità
come un male minore, ma come un bene.
Queste parole costituiscono una sfida per noi
Missionarie che crediamo ai valori della laicità, il cui aspetto
essenziale è l’autonomia del politico in relazione al religioso.
In questo contesto di presenza in tutti i campi della vita civile si
pone la questione della specificità della nostra missione.
Siamo cittadine come le altre?
Come essere testimoni di Cristo in una società divenuta
ampiamente secolarizzata?
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Con quale spirito vivere la laicità?
1. Siamo autrici della costruzione di una società più
fraterna.
Lo spazio pubblico deve essere visto come il luogo
dell’incontro affinché si possa avere un dibattito pubblico
fra uomini e donne che affermano liberamente il proprio
agnosticismo o le proprie convinzioni religiose, parte
integrante della loro personalità. Questo spazio non si
riduce a una faccia a facciata lo Stato e i cittadini. Tra di
loro devono esistere dei corpi intermedi: associazioni,
sindacati … e Chiese, che partecipano come gli altri alla
vita della società e al dibattito pubblico.
2. La maturità della nostra fede ne guadagna con la
laicità.
Per noi laicità è libertà. Libertà di credere e di mettere in
pratica le nostre convinzioni, per quanto possiamo. E
libertà di avere le loro per tutti quelli che non condividono
le nostre convinzioni.
Le nostre convinzioni politiche sono in osmosi,
naturalmente con le nostre convinzioni cristiane. Nelle
nostre scelte politiche, sul piano dei valori e dell’etica della
società facciamo riferimento alle encicliche economiche e
sociali della Chiesa cattolica. Porsi di fronte alla laicità
talvolta è difficile, poiché noi non vogliamo riportare la
fede a una questione strettamente privata. Tuttavia non
possiamo concederci la facilità di manifestare la nostra
identità gridandola sui tetti. Siamo obbligati a testimoniare
con le nostre azioni.
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3. Ecco cosa significa in fondo vivere di Dio in una
società laica.
La nostra fede ci pone nel cuore del mondo. C’è una posta
in gioco per noi di non fuggire questo luogo che è quello
della rivelazione di Dio e dell’incontro con l’altro.
Vivere di Dio oggi nella nostra società laica passa senza
dubbio attraverso un sottile miscuglio di audacia e di
discrezione, di coraggio e di pazienza, di rispetto e di
proposta, di ascolto e di dialogo, di analisi e di preghiera.
Di servizio insomma. È sicuramente il primo segno
dell’identità cristiana che meglio testimonia ciò che il
Cristo ha fatto per noi. Ciascuna troverà, il suo posto e la
sua misura, là dove potrà servire e così tessere i legami
invisibili di un amore che è il solo capace di far vivere la
nostra società.
Di fronte alle grandi questioni dell’esistenza, noi
abbiamo la missione e il desiderio di manifestare la
vitalità della nostra fede pur rispettando la laicità
costitutiva della nostra società.
Madeleine Delbrêl nel 1964 diceva: «Ambiente ateo,
circostanza favorevole alla nostra conversione». Perché non
oseremmo riconoscere che nella nostra società
dell’indifferenza, che è allo stesso tempo fragile e incerta,
noi siamo chiamate da Dio a credere in Lui e a vivere di
Lui in modo più radicale?
Che cosa vogliamo per la nostra società? Sappiamo ciò che
non vogliamo: la violenza, l’insicurezza, la menzogna, la
corruzione, le disuguaglianze aggravate dalla disoccupazione.
Ma come sapere quello che vogliamo veramente? A quale
prezzo siamo pronte a lottare contro tutto quello che
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disumanizza l’esistenza, contro questa barbarie strisciante
che tratta gli esseri umani come oggetti manipolabili in
nome delle prestazioni tecniche o della redditività
finanziaria? In nome di cosa affermare e difendere la
dignità di ogni persona umana?
4. Un momento di riflessione personale
• La laicità mi sembra positiva o negativa? Perché?
• La nostra società da abbastanza spazio alle
religioni? È facile starci da cristiani?
• In quali occasioni esprimo pubblicamente la mia
•
•
•
•
•
fede?
Quali legami faccio tra le mie convinzioni personali
e la mia cittadinanza?
Quali problemi mi pone l’evoluzione della nostra
società?
Come cristiana a cosa sono sensibile?
C’è un modo cristiano di vivere nella società?
Cosa potrebbe aiutarmi a radicare la mia fede nel
cuore di questo mondo?
Vivere da laica significa «condividere le gioie e le
speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di questo
tempo, dei poveri soprattutto e di tutti quelli che
soffrono» (Gaudium et Spes).
Ciò presuppone l’avere uno stile di vita, una grande
libertà di parola di fronte all’istituzione, credere
nell’azione dello Spirito di fronte alle pesantezze
naturali, sviluppare i doni personali di fronte
all’impotenza o ai bisogni dei fratelli. Questi tratti ci
indicano il cammino verso il profilo del profetismo, quello
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di ieri e quello di oggi, poiché ogni profeta vede con
lucidità la società in cui vive.
Parlare e vedere sono due modi di parlare della
missione del Profeta.
La parola “profeta” deriva dal greco «pro-phètès» che
significa «porta-parola». Il compito del profeta, ciò che gli
conferisce la sua competenza, è dunque un «saper parlare».
Il profeta è definito anche per la sua capacità di vedere.
Egli vede lucidamente la società in cui vive. Vede in quale
senso la storia prende forme e presagisce così le crisi future
e le difficoltà che si preparano.
Il profeta parla perché ha visto qualcosa. Attraverso
tutto ciò che tutti possono vedere, egli legge l’intervento di
Dio.
Profeti antichi, profeti attuali, profeti di tutti i tempi: il
profetismo non ha età. I profeti di oggi continuano l’azione
profetica di Gesù in un mondo che più che mai ha bisogno
della loro azione. Ciascuna di noi è invitata ad assumere,
nel suo contesto di vita, il compito profetico che le
conferisce il Vangelo.
Quali sono le caratteristiche del profetismo di oggi?
1. I profeti non sono sognatori. Sono realisti, e ciò che li
affascina è il presente con le sue luci e le sue ombre.
Sono sensibili al nostro tempo, a ciò che si vive, agli
uomini concreti con la loro grandezza e le loro
miserie. Se parlano, non è per mettersi in mostra, ma
perché la loro solidarietà con altri uomini li obbliga in
certo qual modo a prendere la parola.
Non sono schiavi di un’ideologia e se è loro impossibile
fare a meno di una griglia di lettura degli avvenimenti,
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non ci si lasciano rinchiudere. La loro libertà di parola
spaventa, irrita e affascina e attira spesso la diffidenza
delle grandi istituzioni. Ciò che hanno da dire non
pretende l’universalità, ma mira a una situazione molto
particolare di un gruppo di uomini concreti.
Il loro atteggiamento ci rivela la posta in gioco assoluta
delle situazioni umane: arrivare all’uomo, è arrivare a
Dio.
2. I profeti dell’Antico Testamento, Gesù profeta, i profeti
di oggi sono testimoni di un Dio che crede nell’uomo,
sono attenti all’uomo concreto e smascherano gli
idoli.
Anche se non ha continuamente la parola «Dio» in
bocca, ogni profeta autentico fa intuire il vero volto di
Dio.
Egli riprende il combattimento di Gesù denunciando
tutto ciò che noi erigiamo a idoli: il POTERE, quando
gli uomini sono sacrificati ai suoi interessi, la LEGGE,
il DENARO, il SESSO, la REDDITIVITÀ, la
CRESCITA, la RELIGIONE quando essa è utilizzata
per dominare meglio l’uomo.
Con la sua parola e il suo impegno, il profeta ricorda
sempre che Dio è oltre le idee che noi ce ne facciamo.
Egli proclama un Dio povero e crocifisso che insegna
all’uomo a mettersi in piedi e spera di annodare con lui
una relazione sincera, calorosa, fiduciosa.
3. Logici e audaci, i profeti sono dei combattenti e il loro
impegno per la causa dell’uomo e del vero Dio li
porta ad assumersi rischi personali.
All’audacia delle parole seguirà la logica delle azioni. Il
profeta autentico si riconoscerà dal suo modo di vivere.
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Conseguente a quello che dice, parla anche con le sue
azioni quotidiane e con la lunga tenacia dei suoi
impegni. È credibile perché fa unità tra i suoi discorsi e
il suo stile di vita.
Il profeta è un combattente: non lavora tanto per
conciliare gli estremi, per cercare la via del giusto
mezzo, quanto per difendere con passione la causa del
debole, e questo atteggiamento non può che attirare
sorde ostilità.
Sono veri profeti coloro che accettano questo rischio,
consumeranno le forze, saranno inviati verso tutti; senza
considerarsi eroi. Alcuni tra loro lasceranno le comodità,
la salute, la reputazione, perfino la vita.
La loro vita grida una grande passione: quella della
solidarietà umana e della fiducia in un Dio onnipotente
e tuttavia povero e vulnerabile. Questa è la loro unica
sicurezza.
4. Infine il vero profeta è un costruttore di speranza.
Esso si riconosce nel modo in cui permette alla
speranza di nascere e di crescere. Contesta ciò che
allontana l’uomo dalle sue responsabilità, ciò che lo
rinchiude nel suo passato, ciò che lo aliena e in
particolare tutte le forme di ricchezza che fanno
dell’uomo un proprietario e gli impediscono di volgersi
verso la novità dell’avvenire. Egli restituisce
continuamente l’uomo alla sua responsabilità.
Ecco perché la sua parola fa male. Colui che accarezza
e adula i suoi interlocutori, che rassicura e tranquillizza,
senza mai aprire una ferita è forse un brav’uomo, ma
non è un profeta.
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Nella Chiesa come nella società umana è impossibile
vivere senza compromessi, senza leggi, senza un
minimo di stabilità e di ordine. Tutti noi abbiamo
bisogno di questa sicurezza. Ma i compromessi si
stabiliscono quasi sempre secondo la legge del più forte,
e i piccoli ne sono spesso le vittime; l’ordine diventa
presto una prigione.
Allora sorgono i profeti che, con la loro attenzione
all’uomo schiacciato, con la loro solidarietà attiva,
testimoniano un Dio che rifiuta questa alienazione e
così permettono alla speranza di rinascere.
5. Un momento di riflessione personale.
• Quali sono i profeti per l’oggi? Puoi nominarne
alcuni? Veri o falsi profeti?
• Se rivedo il mio percorso vocazionale posso scorgere
i diversi appelli lanciati dal Signore?
• Posso scoprire le poste in gioco di questa scelta di
Dio nei miei confronti e della mia libertà di fronte a
questa chiamata?
• Posso trovare nella mia vita concreta
- impegni realistici che corrispondano alle mie
possibilità?
- esempi in cui ho dovuto combattere duramente per
difendere la causa del debole?
- situazioni in cui sono stata chiamata ad essere
costruttrice di speranza?
Attraverso la nostra consacrazione siamo chiamate a
camminare sulle orme di Gesù, ad impegnarci sulla stessa
via considerando la nostra missione come un
prolungamento della sua. È Lui che ci ha chiamato, è Lui
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che ci ha consacrato, è Lui che ci interpella ogni giorno
perché noi diventiamo in quella che è la nostra realtà,
sensibili all’uomo concreto, testimoni di un Dio che crede
nell’uomo. Così il profetismo è anche la nostra vocazione.
Siamo consapevoli di questo ruolo che ci è stato
conferito col battesimo, «ruolo di sacerdote, di profeta e
di re».
Negli Atti degli Apostoli, dopo il racconto della
Pentecoste, Pietro cita la parola di Gioele:
«Avverrà negli ultimi giorni – dice Dio – su tutti
effonderò il mio Spirito; i vostri figli e le vostre figlie
profeteranno…in quei giorni effonderò il mio Spirito ed
essi profeteranno». (Atti, 2,17-18)
Oggi come ieri la Parola di Dio chiama, consacra, invia.
Oggi come ieri essere profeti è vedere, parlare, agire.
Oggi come ieri essere profeta è un mestiere rischioso!
Laicità e Profetismo, due sfide della nostra vocazione
che valgono tanto oro quanto pesano!
Marie Thérèse B. - Lussemburgo
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