5
DOSSIER FRUTTA SECCA
Mensile - Poste Italiane S.p.A. - sped. in A
A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art.1 c.1; DCB Forlì
L’incremento dei consumi stimola
il rilancio delle coltivazioni
NOVITÀ POMOLOGICHE
Albicocche Emma e Gemma
dal breeding italiano
PIEMONTE
Drosophila suzukii: prevenzione
e tecniche di difesa per i piccoli frutti
Anno LXXVI - N. 5 - MAGGIO 2014
rivista di
e di ortofloricoltura
Anno LXXVI - Numero 5 - MAGGIO 2014
SPECIALE SUSINO E ALBICOCCO
4 La sostenibilità economica del susino:
sistemi produttivi europei a confronto
ALESSANDRO PALMIERI - CARLO PIRAZZOLI
14 Il miglioramento genetico del susino
in Italia
VALTER NENCETTI - DANIELE MORELLI
20 “Ramassin”, damaschina autoctona
del Piemonte tornata di moda
26 L’albicocco negli ambienti meridionali:
serve un’attenta programmazione
LUIGI CATALANO - CARMELO MENNONE
36 Emma e Gemma, nuove cultivar
di albicocco per l’epoca medio-precoce
DANIELE BASSI - STEFANO FOSCHI
MARTINA LAMA
FRANCESCA COSTAMAGNA - LORENZO BERRA
CRISTIANO CARLI - SILVIO PELLEGRINO
4
Susino e albicocco: due specie
di interesse crescente sia al Nord
che nel Sud Italia
40
Noce da frutto: sorprendente
la crescita produttiva nell’ultimo
decennio
DOSSIER FRUTTA SECCA
40 Cresce l’interesse mondiale
per la frutta secca: la produzione italiana
non soddisfa il fabbisogno
CECILIA CONTESSA - ROBERTO BOTTA
48 Il noce guadagna spazio al Nord
MORENO TOSELLI - GIOVANBATTISTA SORRENTI
MAURIZIO QUARTIERI - BRUNO MARANGONI
GRAZIELLA MARCOLINI - ELENA BALDI
56 Concrete prospettive per la rinascita
della mandorlicoltura italiana
FRANCESCO SOTTILE
60 Valutazione di cloni di Tonda Calabrese
per il miglioramento varietale
del nocciolo
LOREDANA F. CIARMIELLO - ANTONIO DE LUCA
MILENA PETRICCIONE - PASQUALE PICCIRILLO
RUBRICHE
63 La Soi informa
65 Dai frutteti piemontesi
DAL
CRESO DI CUNEO
69 Il caso Campania
DI
CARLO BORRELLI
71 Le aziende informano
67 Dai frutteti metapontini
DI
CARMELO MENNONE
69
Campania: si afferma sempre di più
la coltivazione della fragola Sabrina
Susino e albicocco, avanti con giudizio
e frequenti situazioni di eccedenza dell’offerta di pesche e nettarine
Lconsumi,
sui mercati europei, accompagnate da una generale stanchezza dei
da alcuni anni hanno portato molte aziende frutticole in crisi
di redditività ad orientarsi verso altre specie di Prunus, segnatamente
susino e albicocco, sia al Nord che nel Sud Italia.
Apparentemente tutto bene, soprattutto se si vanno a verificare quelle
situazioni in cui, effettivamente, la diversificazione produttiva ha contribuito davvero a mantenere in equilibrio o migliorare la sostenibilità
economica delle imprese. Merito soprattutto del breeding, che ha
saputo fornire nuove proposte varietali assai diversificate, capaci di
dilatare il calendario commerciale e, soprattutto, meglio rispondenti
alle richieste del mercato.
Eppure, non tutto appare così facile e scontato; non sempre susine e
albicocche possono sostituire “tout court” le pesche e le nettarine o
diventare colture di massa; l’adattabilità pedo-climatica è spesso difficile, la biologia fiorale non sempre garantisce produttività soddisfacenti, la qualità del prodotto non sempre raggiunge i requisiti minimi
richiesti. In poche parole, queste sono specie che solo in casi specifici,
quando cioè si combinano tutte le migliori condizioni colturali, climatiche e mercantili, riescono a dare le soddisfazioni che, legittima-
mente, il frutticoltore si aspetta. Anche perché il mercato si dimostra
recettivo per i prodotti di alta qualità, ma non sempre sembra disposto
a ripagare equamente il valore dell’offerta.
Non meno preoccupanti appaiono alcune difficoltà che spesso emergono in campagna e che derivano dalla mancata efficienza dei nuovi
impianti: la rispondenza genetico-sanitaria del materiale di propagazione troppo spesso non rispetta le normative vigenti o le condizioni
minime per garantire il successo degli investimenti effettuati dai coltivatori. Non è questa la sede (ma la si dovrà trovare!) per stabilire
di chi sono le responsabilità, ma probabilmente esse vanno ripartite
su tutti gli anelli della filiera vivaistica-tecnica-produttiva. Quel che è
certo, è che anche nei sistemi più virtuosi, quelli che si fregiano dei
più impegnativi processi di certificazione, non sempre le cose funzionano bene. Lo dimostrano i crescenti casi di interi areali colturali in
cui la produzione di specie facilmente affette da virosi, fitoplasmosi o
batteriosi è diventata quasi impossibile. Quindi, avanti con il rinnovamento di susino e albicocco, ma con tanto giudizio nel “pilotare” la
costituzione dei nuovi impianti.
U.P.
rivista di
e di ortofloricoltura
Anno LXXVI - 5 Maggio 2014 - www.agricoltura24.com
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Tecnica
SPECIALE SUSINO E ALBICOCCO
La sostenibilità economica del susino:
sistemi produttivi europei a confronto
ALESSANDRO PALMIERI - CARLO PIRAZZOLI
Dipartimento di Scienze Agrarie – Università di Bologna
Il futuro del comparto è difficile
da prevedere, ma appare
evidente da recenti indagini
commissionate dal CSO di
Ferrara che la sostenibilità
economica sia oggi riservata
solo alle imprese professionali,
capaci di raggiungere accettabili
livelli di resa e di qualità del
prodotto, unico presupposto
per essere competitivi sul
mercato.
I
l quadro europeo del comparto ortofrutticolo si caratterizza per una crescente competizione tra i principali
Paesi produttori e, in tale contesto, la
disponibilità di puntuali ed aggiornate
informazioni economiche è un fattore
fondamentale per valutare la competitività dei diversi sistemi produttivi che si
misurano nell’arena di riferimento europea, così da predisporre al meglio le
strategie produttive e commerciali delle singole imprese. Allo scopo di conoscere l’attuale situazione tra i “competitor” nel mercato europeo delle susine
da consumo fresco, il Centro Servizi
Ortofrutticoli (CSO) di Ferrara ha recentemente promosso un’indagine ad
hoc nei principali areali di coltivazione
di Italia e Spagna: più in particolare, le
aree indagate sono state il Piemonte
(provincia di Cuneo), l’Emilia-Romagna
(province di Modena, Ravenna e ForlìCesena), il Lazio (provincia di Latina) e
la Campania (provincia di Caserta), in
Italia, e le regioni dell’Extremadura e di
Murcia in Spagna (Fig. 1). Lo studio ha
considerato le varietà più rappresentative di ciascuna area.
Gli aggregati economici posti a
4
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
Fig. 1 - Prospetto delle aree indagate.
confronto sono quelli tipici della filiera
in esame e, in particolare, gli oneri imputabili all’impresa di produzione e le
spese necessarie per la successiva fase
di condizionamento del prodotto, determinando quindi nell’insieme il livello di costo attribuibile a ciascuno dei
sistemi posti a confronto.
Aspetti metodologici
L’indagine è stata condotta per
mezzo di rilievi, svolti sia presso imprese frutticole, per la parte concernente i costi sostenuti nella fase produttiva, sia presso strutture di lavorazione e di conservazione, per la parte
TAB. 1 - QUADRO DI SINTESI DELLE VARIETÀ O GRUPPI VARIETALI ESAMINATI IN ITALIA (DATI PER ETTARO)
DURATA PIENA
PRODUZIONE
RESA MEDIA (t)
COSTO TOTALE
DI PRODUZIONE (.000 €)
FORMA
DI ALLEVAMENTO
DENSITÀ
DI IMPIANTO
Angeleno
Fusetto (rete a.g.)
1.500
13
38
42
17,6
17,9
Angeleno
Palmetta(rete a.g.)
750
13
33
37
16,2
16,6
CULTIVAR
min
max
min
max
PIEMONTE
EMILIA-ROMAGNA
MODENA
Angeleno
Palmetta
1.100
13
28
32
16,7
17,0
TC Sun
Palmetta
1.100
13
30
34
16,7
17,0
Fortune
Palmetta
1.100
13
28
32
15,7
16,1
Friar
Palmetta
1.100
13
28
32
17,1
17,5
Obilnaja
Palmetta
1.100
13
23
27
17,1
17,7
Black Gold
Palmetta
1.100
13
23
27
16,4
16,9
Dofi Sandra
Palmetta
1.100
13
23
27
17,0
17,6
Fusetto
1.450
13
42
46
18,2
18,4
Fusetto (rete a.g.)
1.100
13
40
44
17,7
18,0
RAVENNA
Angeleno
FORLI'-CESENA
Angeleno
Fortune
Vasetto
1.000
12
30
34
14,9
15,5
Dofi Sandra
Vasetto
1.000
12
23
27
13,7
14,4
LAZIO
Angeleno
Palmetta(rete a.g.)
680
17
38
42
17,4
17,6
Black (gruppo)
Fusetto (rete a.g.)
1.600
17
23
27
15,5
15,8
Fortune/Aphrodite
Fusetto (rete a.g.)
1.250
17
38
42
17,2
17,5
TC Sun
Fusetto (rete a.g.)
1.250
17
42
48
19,5
19,9
CAMPANIA
Angeleno
Vasetto
600
14
32
38
11,7
12,2
Friar
Vasetto
600
14
38
42
13,2
13,5
Goccia d’oro
Vasetto
600
14
38
42
13,6
13,9
Fonti: elaborazione propria
attinente alla fase del condizionamento
del prodotto. Nel complesso sono stati
esaminati 28 casi di studio per la fase
di campo e 5 per quella di condizionamento. La metodologia di calcolo dei
costi di produzione ha previsto, per la
fase agricola, la suddivisione delle voci
di spesa in diversi livelli, fra i quali è
da ricordare il costo pieno all’impresa,
sommatoria dei costi direttamente imputabili alla coltura, secondo la metodologia dell’”activity based costing”, e
dei carichi strutturali come pro-quota,
che rappresenta il concreto esborso
monetario da parte dell’impresa, ed il
costo totale di produzione, inclusivo
anche degli oneri di natura figurativa1,
lavoro e capitale apportati dall’imprenditore (o da componenti della sua famiglia), che meglio si presta al confronto
diretto dei casi esaminati.
1
6
Calcolati con il metodo del costo opportunità.
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
In fase di condizionamento, le voci di costo considerate sono state articolate in spese variabili e spese fisse:
in particolare, le prime sono costituite
dalla manodopera e dagli imballaggi,
mentre le seconde sono distinte in ammortamenti strutturali e spese generali. Circa queste ultime, l’estrema eterogeneità e variabilità delle spese ha
suggerito di considerare un dato medio complessivo per ciascuna struttura
esaminata, escludendo in ogni caso dal
computo gli oneri di natura commerciale, essendo questi ultimi connessi a
modalità di vendita variabili e difficilmente comparabili.
Costi della fase agricola
La definizione dei costi medi di produzione per il susino è resa particolarmente difficoltosa da talune peculiarità
quali la tendenziale alternanza produttiva, la sensibilità a numerose avversi-
tà e la convivenza, in molte aree, con
patologie difficili da ostacolare, come
sharka e fitoplasmosi, che impongono
una periodica asportazione, distruzione e sostituzione delle piante colpite. A
ciò va aggiunta la compresenza di tecniche produttive molto differenti tra loro, nonché l’eterogeneità delle imprese
di coltivazione, poiché, ad eccezione
dell’Extremadura, principale polo produttivo di susine da consumo fresco in
Europa, la coltura è sovente secondaria nell’ordinamento colturale rispetto ad altre specie e trova diffusione a
“macchia di leopardo” ed in aziende
non specializzate di media o mediopiccola dimensione. Alla luce di tali
considerazioni, va evidenziato come i
dati presentati, riassunti nelle tabelle 1
e 2, derivino spesso dalla mediazione
di osservazioni talvolta sensibilmente
diversificate tra loro.
L’eterogeneità degli impianti rilevati
si concretizza, per quanto concerne il
TAB. 2 - QUADRO DI SINTESI DELLE VARIETÀ O GRUPPI VARIETALI ESAMINATI IN SPAGNA (DATI PER ETTARO)
FORMA
DI ALLEVAMENTO
CULTIVAR
DENSITÀ’
DI IMPIANTO
RESA MEDIA (t)
DURATA PIENA
PRODUZIONE
min
max
COSTO TOTALE
DI PRODUZIONE (.000 €)
min
max
SPAGNA, EXTREMADURA
Angeleno
Vasetto
667
12
25
35
9,8
10,4
Crimson Glo
Vasetto
667
12
23
27
9,3
9,5
Fortune
Vasetto
667
12
20
25
8,7
9,1
Larry Ann
Vasetto
667
12
23
27
9,5
9,8
SPAGNA, MURCIA
Angeleno
Vasetto
600
12
32
38
13,8
14,2
Fortune
Vasetto
600
12
23
27
11,6
11,9
Larry Ann
Vasetto
600
12
26
30
12,0
12,3
Laetitia
Vasetto
600
12
25
30
11,9
12,3
Fonti: elaborazione propria
Modena
Mtp
Man
Alt
Cuneo (palmetta)
Mtp
Man
Alt
Cuneo (fusetto)
Mtp
Man
Alt
Latina
Forlì-Cesena
Mtp
Mtp
Ravenna
Man
Murcia
Kf
Kf
Alt
Man
Kf
Alt
Caserta
Mtp
Man
Alt
Kf
Extremadura
Mtp
Man
Alt
Kf
0.00
Kf
Alt
Man
Mtp
Kf
Alt
Man
Mtp
0.10
Kf
0.20
Fonti: elaborazione propria
Mtp: Materie prime
Man: Manodopera
salariata
Alt: Altri costi d’impresa
Kf: Costi figurativi
Kf
0.30
0.40
0.50
0.60
0.70
Euro/Kg
Fig. 2 - Susine, cv. Angeleno. Costo annuo medio di produzione (2013, dati in Euro/Kg).
costo totale di produzione, in un “range” di oltre 10.000 € in termini di unità
di superficie: l’onere per ettaro può variare, infatti, da circa 9.000 € per Fortune allevata a vaso in Extremadura, fino
a quasi 20.000 € per TcSun a fusetto
nel Lazio. I livelli di costo per ettaro
sono naturalmente influenzati anche
dalle rese produttive che contraddistinguono le diverse cultivar e che, proprio
nei due esempi di cui sopra, trovano gli
estremi tra i casi osservati: poco più di
20 t/ha per l’impianto di Fortune e fino
a quasi 50 t/ha per TcSun in provincia
di Latina.
Più nel dettaglio, relativamente ad
Angeleno, la più diffusa delle susine
tardive, almeno in Emilia-Romagna,
si registra un costo variabile da poco
più di 10.000 €/ha in Extremadura,
per una resa di circa 30 t/ha, fino ad
oltre 18.000 €/ha nel Ravennate dove
si rileva un rendimento medio anche
8
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
superiore a 45 t. Oltre alla resa produttiva, determinante è anche l’apporto di
materie prime per le quali il maggior
esborso si registra nel Lazio, in provincia di Ravenna e a Murcia (oltre 4.000
€/ha), ed i valori minimi (pari a circa
2.000 €/ha) in Extremadura ed in Campania. Un ulteriore rilevante parametro
di differenziazione è costituito dalla
quota di ammortamento, che può incidere fino a più di 2.500 €/ha per impianti ad alta densità e protetti da rete
antigrandine, la cui durata si attesta attorno a 15 anni. Più contenute, invece,
le differenze nel costo della manodopera, nonostante tariffe salariali considerevolmente variabili.
Per quanto concerne le altre varietà, il confronto è certamente meno
significativo, date le differenti caratteristiche delle cultivar considerate: relativamente alla Spagna, è da segnalare
la maggior dispendiosità della regione
di Murcia rispetto all’Extremadura, soprattutto a causa di maggiori costi per
le materie prime (terreni più poveri,
maggiori costi di irrigazione e consistenti danni causati dalla sharka). La
struttura del costo di produzione del
susino, come consuetudine in frutticoltura, vede la manodopera al primo
posto tra le diverse voci di spesa, con
un’incidenza, tuttavia, tra le più basse
al confronto con le principali specie da
frutto. Solo in pochi casi questa supera
il 50%, mentre in taluni altri si colloca
solo di poco oltre il 30%. Le materie
prime, di contro, incidono dal 12-15
fino al 30% circa.
Il principale parametro di valutazione del potenziale competitivo di un’area produttiva è certamente il costo di
produzione per unità di prodotto: nei
casi analizzati, nonostante un parziale riallineamento dovuto alle diverse
combinazioni di costo per ettaro e di
resa produttiva, tale valore evidenzia
comunque il persistere di notevoli differenze (Figg. da 2 a 4). Come rilevabile
nel caso di Angeleno, gli areali maggiormente competitivi sono la Campania e l’Extremadura, capaci di abbinare
un accettabile potenziale produttivo
ad una contenuta spesa per ettaro, che
si traduce in un costo complessivo di
poco inferiore a 0,35 €/kg. A seguire,
la regione di Murcia presenta un costo
di 0,4 €/kg, le province della Romagna
di 0,41-0,42 €/kg e Lazio e Piemonte
da 0,44 a 0,47 €/kg. Decisamente più
onerosa è la gestione degli impianti nel
Modenese, dove il costo complessivo
sale fino a 0,56 €/kg per effetto di una
tecnica produttiva che, tramite opportuni interventi agronomici, privilegia l’ottenimento di frutti di maggior calibro.
Il medesimo ordine tende a manifestarsi anche per le cultivar estive: in
particolare, tra quelle a buccia nero/
viola, Friar presenta costi di poco superiori a 0,33 €/kg in Campania, Larry
Ann richiede 0,38 €/kg in Extremadura e 0,46 €/kg a Murcia dove, tuttavia,
è raccolta più precocemente, mentre
salendo nella scala di onerosità si raggiungono circa 0,62-0,65 €/kg per il
gruppo Black, dove la precocità penalizza i rendimenti produttivi. Tra le
varietà a buccia rossa e gialla si registrano in genere livelli più contenuti
di costo, con la maggior parte dei casi
rilevati ricompresa in una forbice tra
0,40 e 0,50 €/kg, con le eccezioni di
Obilnaja nel Modenese che sfiora addirittura 0,70 €/kg e, all’altro vertice, di
Goccia d’oro e Crimson Glo con costi
di 0,35-0,38 €/kg.
Redditività della fase agricola
Le elaborazioni per la valutazione della redditività evidenziano realtà
piuttosto altalenanti: nelle figure da 5
a 7 sono evidenziate le performance
economiche dei casi rilevati, in termini
di profitto/perdita medi annui per ettaro, sottraendo dalla Produzione lorda
vendibile la totalità dei costi sostenuti, sia di natura esplicita, sia di natura
implicita o figurativa; per ciascuno dei
casi indagati è riportato il livello minimo e massimo realizzabile in funzione
della resa produttiva e del prezzo percepito.
Come rilevabile, Angeleno è in grado di offrire, nelle migliori condizioni,
un profitto massimo di 1.000-1.500 €/
ha in tutte le aree, ad eccezione del
Casertano e dell’Extremadura, dove si
possono anche superare 3.500 €/ha.
Per contro, anche in queste due aree,
nelle condizioni meno favorevoli, viene a determinarsi una perdita 2, così
come in tutti gli altri casi indagati, con
una punta massima di oltre 5.000 €/ha
nel Lazio. Relativamente alle altre varietà esaminate, la situazione è, nella
maggior parte dei casi, sostanzialmente analoga: in nessun caso si registra
un margine di profitto nelle condizioni
meno favorevoli, mentre in quelle più
favorevoli, le migliori performances sono per Goccia d’oro in Campania, con
quasi 5.000 €/ha di profitto, Friar ancora nel Casertano con poco più di 4.000
€/ha, Fortune e Aphrodite nel Lazio,
con circa 3.500 €/ha e, infine, Fortune
e Black Gold nel Modenese, con oltre
Modena (D.Sandra)
Mtp
Modena (Black Gold)
Mtp
Lazio (Black)
Mtp
Murcia (LarryAnn)
Extremadura (LarryAnn)
Alt
Man
Alt
Man
Mtp
Man
Mtp
0.00
Trattasi di perdita calcolata considerando anche la
remunerazione a prezzi di mercato dei fattori immessi
dall’imprenditore.
10
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
Kf
Kf
Mtp: Materie prime
Man: Manodopera
salariata
Alt: Altri costi d’impresa
Kf: Costi figurativi
Kf
0.20
0.30
Fonti: elaborazione propria
0.40
0.50
0.60
0.70
Euro/Kg
Fig. 3 - Susine, cv. D.Sandra, Black (gruppo), Friar, Larry Ann. Costo annuo medio di produzione
(2013, dati in Euro/Kg).
Modena (Obilnaja)
Mtp
Man
Modena (Fortune)
Mtp
Man
Modena (TcSun)
Mtp
Man
Murcia (Fortune)
Mtp
Murcia (Laetitia)
Mtp
Mtp
Lazio (Fortune/Aphrodite)
Mtp
Alt
Man
Man
Kf
Alt
Man
Extremadura (Crimson Glo) Mtp
Man
Alt
Campania (Goccia d’oro) Mtp
Man
Kf
Kf
Kf
Alt
0.20
Mtp: Materie prime
Man: Manodopera
salariata
Alt: Altri costi d’impresa
Kf: Costi figurativi
Kf
Alt
Alt
0.10
Kf
Alt
Man
0.00
Kf
Alt
Mtp
Extremadura (Fortune)
Kf
Alt
Man
Kf
Kf
Alt
Man
Forlì-Cesena (Fortune) Mtp
Lazio (TcSun)
Alt
Kf
0.30
0.40
0.50
0.60
0.70
Euro/Kg
Fonti: elaborazione propria
Fig. 4 - Susine, cv. Obilnaja, Fortune, Aphrodite, TcSun, Laetitia, CrimsonGlo, Goccia d’oro. Costo
annuo medio di produzione (2013, dati in Euro/Kg).
Murcia
Max
Min
Extremadura
Max
Min
Caserta
Max
Min
Max
Latina Min
Forlì-Cesena
Ravenna
Piemonte (fusetto)
Max
Min
Modena
Piemonte (palmetta)
Max
Min
Max
Min
Max
Min
Max
Min
-6,000 -5,000 -4,000 -3,000 -2,000 -1,000
2
Kf
Kf
Alt
0.10
Kf
Alt
Alt
Man
Kf
Alt
Man
Mtp
Kf
Alt
Man
Mtp
Forlì-Cesena (D.Sandra)
Alt
Man
Mtp
Modena (Friar)
Campania (Friar)
Man
Fonti: elaborazione propria
0
1,000 2,000 3,000 4,000 5,000
Euro/ha
Fig. 5 - Susine, cv. Angeleno. Profitto/perdita annui (2013, dati in Euro/ha).
6,000
Murcia (LarryAnn)
Min
Extremadura (LarryAnn)
Max
Max
Conclusioni
Max
Min
Campania (Friar)
0,3 a 0,36 €/kg. Il costo della manodopera di magazzino è tra le principali
cause delle differenze osservate, poiché da costi di 6-7 €/ora nei magazzini del Sud Italia e della Spagna si sale fino a 13-14 €/ora del Nord Italia;
tali evidenti differenze sono, tuttavia,
parzialmente compensate dal maggior
grado di meccanizzazione che innalza la produttività del lavoro, nonché
dalle dimensioni più elevate degli stabilimenti dell’Italia settentrionale, che
abbattono i costi fissi.
Alla luce dei costi sostenuti per la
lavorazione e il confezionamento del
prodotto, questo si carica di un costo
complessivo di filiera che può variare
da un minimo di 0,7-0,8 €/kg rilevabili
in Campania e nella maggior parte dei
casi relativi alle regioni spagnole (Fig.
9), fino a valori massimi prossimi ad 1
€/kg in Emilia-Romagna, ed anche oltre per le cultivar più precoci (Fig. 10).
Max
Max
Min
Lazio (Black)
Max
Min
Forlì-Cesena (D.Sandra)
Max
Min
Modena (D.Sandra)
Max
Min
Modena (Black Gold)
Max
Min
Modena (Friar)
Max
Min
-6,000 -5,000 -4,000 -3,000 -2,000 -1,000
Fonti: elaborazione propria
0
1,000 2,000 3,000 4,000 5,000 6,000
Euro/ha
Fig. 6 - Susine, cv. D.Sandra, Black (gruppo), Friar, Larry Ann. Profitto/perdita annui (2013, dati
in Euro/ha).
Murcia (Laetitia)
Min
Murcia (Fortune)
Max
Min
Extremadura (Crimson Glo)
Min
Extremadura (Fortune)
Campania (Goccia d’oro)
Max
Min
Lazio (TcSun)
Max
Min
Lazio (Fortune/Aphrodite)
Min
Forlì-Cesena (Fortune)
Min
Modena (TcSun)
Modena (Obilnaja)
Max
Min
Max
Max
Max
Min
Max
Min
Modena (Fortune)
Max
Min
-6,000 -5,000 -4,000 -3,000 -2,000 -1,000
Fonti: elaborazione propria
0
1,000 2,000 3,000 4,000 5,000 6,000
Euro/ha
Fig. 7 - Susine, cv. Obilnaja, Fortune, Aphrodite, TcSun, Laetitia, CrimsonGlo, Goccia d’oro.
Profitto/perdita annui (2013, dati in Euro/ha).
3.000 €/ha. All’opposto, Dofi Sandra e
Obilnaja, sempre in provincia di Modena, registrano negatività, seppur per
poco, anche nelle migliori condizioni
ipotizzate.
Costi della fase
di condizionamento
I costi della fase di condizionamento sono stati calcolati per le tipologie di
confezione più diffuse, cioè il cestino
(da 500, 750 grammi e 1 kg) e la cassa
di legno o cartone (con peso da 5 a15
kg) e si riferiscono ai soli oneri connessi
alla selezione, movimentazione, confezionamento e conservazione dei frutti
nelle celle frigorifere in attesa della vendita. Va osservato che i dati presentati
sono medie relative a tutte le cultivar,
benché sussistano differenze talvolta
apprezzabili tra varietà autunnali ed
estive. Tali differenze, tuttavia, tendono
nel complesso a mediarsi tra loro, evidenziandosi costi di conservazione più
elevati per le prime, conservate anche
per diversi mesi, a differenza delle estive, le quali manifestano, generalmente,
più elevati costi di manipolazione per
via della maggiore delicatezza.
Passando all’analisi dei risultati,
l’indagine ha evidenziato, a differenza
dei costi di campagna, valori abbastanza omogenei tra le aree indagate (Fig.
8): in particolare, per quanto concerne
il confezionamento in cestino, il costo
di lavorazione varia da un minimo di
0,36 €/kg nella regione di Murcia, fino
a 0,41 €/kg in Emilia-Romagna, mentre
il confezionamento in cassa oscilla da
I risultati dello studio delineano, per
il sistema produttivo del susino da consumo fresco, un quadro interlocutorio
e di difficile caratterizzazione, poiché
contraddistinto da risultati in chiaroscuro: evidente è soprattutto la progressiva flessione nelle performance
economiche, rispetto al recente passato, di Angeleno, tuttora la cultivar più
diffusa nel complesso. L’erosione della
redditività sta determinando una situazione di sostanziale stagnazione delle
superfici investite, nonché un’inevitabile selezione delle imprese coltivatrici a favore di quelle più professionali; solamente nella regione spagnola
dell’Extremadura e, con moderazione,
in Campania, si rileva una crescita degli impianti coltivati.
Le osservazioni svolte hanno evidenziato la presenza di aree dove prevale
una tendenza alla semplificazione della
gestione degli impianti ed al risparmio
dei costi conseguenti ed aree dove, viceversa, si punta su forme ad elevata
densità, naturalmente più dispendiose,
per raggiungere più elevate performance quantitative e anticipare per quanto
possibile il rientro dei capitali investiti.
I costi sostenuti nella fase di campagna si contraddistinguono per livelli
ben distinti, in quasi tutti i casi favorevoli alle aree spagnole e a quelle del
Sud Italia. Nel caso di Angeleno, ad
esempio, Campania ed Extremadura
hanno margini di circa 0,1 €/kg rispetto
alle altre zone produttive. La redditività
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
11
BIBLIOGRAFIA
Pirazzoli C., Palmieri A., Macchi E., Trentini L.,
Bosi T. (2013) – Costi, prezzi e competitività nella filiera della susina: comparazione
economica tra i principali sistemi produttivi.
Centro Servizi Ortofrutticoli (Ferrara).
Q
12
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
0.45
0.40
0.35
0.30
Euro/Kg
della coltura risulta soddisfacente solo
nelle annate più favorevoli in termini di
resa produttiva e prezzo alla produzione, mentre nelle ipotesi meno favorevoli è garantita la copertura dei costi vivi
sostenuti, ma non la remunerazione a
prezzi di mercato degli oneri figurativi.
In conclusione, per il futuro del
comparto è certamente difficoltoso fare previsioni, sebbene appaia evidente
che la sostenibilità economica sia oggi
riservata solo alle imprese professionali, capaci di raggiungere accettabili
livelli di resa e di qualità del prodotto, unico presupposto per essere competitivi sul mercato. Il mercato stesso
dovrà essere in grado di sapersi gestire
e di evitare, come per altre specie frutticole, frequenti crisi con conseguenti
crolli dei prezzi che sarebbero difficoltosi da sostenere alla luce degli alti
costi. L’offerta di susine è aumentata
nel tempo ed è ormai in equilibrio con
la domanda, per cui qualora vi fossero
margini di espansione occorrerà porre
grande attenzione ai rischi di sovraccarico di offerta.
Relativamente alla scelta varietale, per le imprese che continueranno
a puntare su Angeleno, maggiormente esposta alla pressione competitiva
internazionale, sarà prioritario evitare
l’eccessiva massificazione dell’offerta
e differenziare, per quanto possibile, il
proprio prodotto. Per le cultivar estive
gli spazi di mercato sembrano tendenzialmente maggiori, come peraltro dimostrato dal progressivo spostamento in
atto in alcune zone, ma non è da sottovalutare il rischio di competizione con
altre specie da frutto peculiari di questo
periodo, almeno per le aree in cui queste rivestono una notevole importanza.
Infine, alla luce della progressiva
saturazione dei mercati interni all’Ue,
per sostenere la crescita dell’offerta,
sempre più rivolta al fresco e meno
all’industria, non si può evitare di accrescere i volumi esportati verso sbocchi extra-Ue. Il mercato del susino è già
piuttosto aperto e considerevoli sono
i volumi provenienti da Paesi terzi in
entrata nei paesi dell’Ue, mentre ancora scarse sono le esportazioni dell’Unione stessa, soprattutto in rapporto ai
nuovi mercati che è teoricamente possibile raggiungere.
Ammortamenti
0.25
Spese generali
0.20
Manodopera
0.15
Imballaggi
0.10
0.05
0.00
Cestino Cassa Cestino Cassa Cestino Cassa Cestino Cassa Cestino Cassa
EMILIA-ROMAGNA PIEMONTE
CAMPANIA
EXTREMADURA
MURCIA
Fonti: elaborazione propria
Fig. 8 - Costi medi di condizionamento nelle aree indagate (2013).
Murcia (Fortune)
Murcia (Laetitia)
Murcia (LarryAnn)
Extremadura (Fortune)
Extremadura (LarryAnn)
Murcia (Angeleno)
Extremadura (Crimson Glo)
Extremadura (Angeleno)
Campania (G.d'oro)
Costo fase agricola
Campania (Angeleno)
Costo di condizionamento
Campania (Friar)
0.00
0.20
0.40
0.60
0.80
1.00
1.20
Euro/Kg
Fonti: elaborazione propria
Fig. 9 - Costo complessivo della filiera agricola per le principali varietà indagate in Spagna ed
Italia meridionale (confezionamento in cestino).
Lazio (Black)
Modena (Black Gold)
Modena (Angeleno)
Forlì-Cesena (D.Sandra)
Modena (Fortune)
Modena (TcSun)
Lazio (Angeleno)
Lazio (TcSun)
Lazio (Fortune)
Forlì-Cesena (Fortune)
Piemonte (Angeleno)
Costo fase agricola
Ravenna (Angeleno)
Costo di condizionamento
0.00
Fonti: elaborazione propria
0.20
0.40
0.60
Euro/Kg
0.80
1.00
1.20
Fig. 10 - Costo complessivo della filiera agricola per le principali varietà indagate in Italia
centro-settentrionale (confezionamento in cestino).
Tecnica
SPECIALE SUSINO E ALBICOCCO
Il miglioramento genetico
del susino in Italia
VALTER NENCETTI - DANIELE MORELLI
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente (DiSPAA) - Università di Firenze
Una coltura che sta destando
nuovi interessi da parte dei
frutticoltori e che ha bisogno
di un continuo rinnovamento
varietale per caratteristiche
estetico-qualitative e tipologie
di prodotto. Anche la
ricerca pubblica italiana fra
i protagonisti del breeding
mondiale.
Ancora scarso il ricambio
varietale nel settore delle
cultivar europee.
Il caso degli ibridi interspecifici.
N
el mondo le superfici investite
a susino contano 2,5 milioni
di ha, che corrispondono al
38,3% di quelle destinate alle Prunoideae (FAO, 2011). Nell’ultimo decennio la Cina (prima produttrice con
587.000 t e 1,7 milioni di ha coltivati)
ha incrementato le superfici investite,
così come Bosnia, Cile, Turchia, Algeria e Marocco; mentre si è assistito
ad un forte ridimensionamento degli impianti di Paesi tradizionalmente
produttori di susine (principalmente
appartenenti al gruppo delle europee)
destinate all’industria, quali Federazione Russa (-41,7%), Romania (-27,8%),
Stati Uniti (-22,6%), Polonia (-19%) e
Ucraina (-18,2%).
L’Ue pur avendo dismesso circa un
quinto delle terre impiegate, fino ad arrivare ai 184.000 ha attuali, è stata capace di aumentare le rese e mantenere
inalterate le produzioni (1.570.000 t)
grazie all’introduzione di nuove cultivar più adattabili e produttive; nell’eurozona la Spagna (231.000 t) si conferma ancora leader delle cino-giapponesi destinate al consumo fresco.
14
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
La situazione italiana
In Italia la coltura del susino dal
2008 (anno fino al quale si è registrata
una costante ascesa) ha perso il 23%,
attestandosi su 11.200 ha (-21,3% rispetto al 2012); dato confermato nelle regioni a maggior diffusione come
Emilia-Romagna (4.400 ha nell’ultimo
biennio, -13,2% rispetto al 2011) e
Campania (2.600 ha, -1,5% al 2011).
La produzione totale italiana si aggira
intorno alle 163.000 t; l’Emilia-Romagna contribuisce con circa 69.200 t
(42,5% del totale, provenienti prevalentemente dalle province di Ravenna,
Modena, Bologna, Forlì-Cesena); la
Campania con 34.400 t (principalmente nelle provincie di Napoli, Caserta e
Salerno); il Lazio con 17.200 t (provincia di Latina). La resa media nazionale
è stata di 145,7 t/ha, con eccellenze
intorno a 200 t/ha delle province di
Ravenna e Latina, circa 168 t/ha nel salernitano e 140 t/ha nel cesenate (Istat,
2013).
In Italia l’importazione di susine nel
periodo 2006-09 è stata di circa 17.000
t, con un calo del 42,6% nell’anno
2010, probabilmente a causa della
contrazione dei consumi in seguito alla crisi globale; segno opposto per quel
che riguarda l’export, con incrementi
sempre crescenti (si esporta circa un
terzo della produzione, con un +87%
dal 2006).
Da recenti studi di settore è emerso
che in Italia le susine cino-giapponesi
continuano a suscitare maggiore interesse in produttori e consumatori, nonostante la sensibilità a leptonecrosi e
sharka. Esse rappresentano il 75%, relegando quelle europee a produzioni
tipiche locali. In generale le cultivar a
maturazione tardiva occupano il 73%
delle superfici, seguite da quelle a maturazione intermedia (17%).
Per la coltivazione nel nostro Paese
e soprattutto per gli areali del CentroNord sarebbe auspicabile l’introduzione di nuove cultivar cino-giapponesi di
origine italiana (maggiormente adattabili nei nostri ambienti rispetto a quelle
di provenienza straniera), con calendario di maturazione spostato sul periodo
precoce e con caratteri agro-pomologici di pregio (consistenza, pezzatura e
variabilità cromatica), ma sono ancora
poche quelle che sembrano offrire buone potenzialità. Molto statico anche il
panorama varietale del susino europeo, basato sulle stesse cultivar da una
decina di anni a questa parte, spesso
con problemi di autofertilità, talvolta in
difetto per alcuni caratteri organolettici del frutto (insufficiente pezzatura e
qualità) e per lo più non idonee all’essicazione. Nonostante queste problematiche, in Italia, il susino resta una
coltura di primaria importanza e con
buone potenzialità di esportazione sui
mercati internazionali.
La ricerca varietale
Di fronte ai numerosi interrogativi,
pochi sono i centri di ricerca italiani
che operano nel miglioramento genetico del susino, così come ancora
scarse sono le risposte fornite in merito
(Sottile et al., 2012; Pallotti, 2011). Il
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente
(DiSPAA) dell’Università di Firenze è
da sempre molto attivo nel lavoro di
“breeding” ed, in particolare, nel miglioramento genetico del susino (in
atto dal 1970). Un programma intrapreso dagli anni ’90 ha come obiettivi
l’ottenimento di cultivar di susino cino-giapponese a maturazione precoce,
rustiche, con produttività elevata e costante e pregevoli caratteri pomologiciorganolettici dei frutti. Le osservazioni
Blue Moon e August Delight, nuove promettenti varietà europee
llo stato attuale, il panorama varietaA
le riguardante il susino europeo (Prunus domestica L.) è certamente meno
numeroso e soprattutto molto più lento
all’introduzione di nuove cultivar rispetto a quello del susino cino-giapponese
(Prunus triflora R. = Prunus salicina L.).
Difatti, si può affermare che negli odierni impianti frutticoli di susino europeo
le varietà utilizzate sono praticamente
quelle oramai conosciute e utilizzate da
diversi anni; in particolare, sono in grande parte costituiti da Stanley (raccolta a
fine di agosto) o da varietà riconducibili a
periodi di maturazione ad essa contemporanea (D’Ente 707, Sugar Top, Blue
Free) o addirittura più tardiva (President,
Grossa di Felisio).
Blue Moon e August Delight, sono
due nuove interessanti cultivar derivate dal lavoro di miglioramento genetico
della Coop. Agri 2000 (con sede a Ca- Blue Moon.
stelmaggiore, Bo) che ha le sue origini
nel 1991 da una collaborazione con il dr.
Walter Faedi dell’allora Istituto Sper.le
di Frutticoltura di Forlì (oggi Ente CRA);
possono rappresentare, per le caratteristiche che le contraddistinguono, due
novità assolute di particolare interesse.
Sono state ottenute all’interno di un
progetto di miglioramento genetico riguardante il susino europeo seguito da
un’equipe di ricercatori che, ormai da
quasi 30 anni, realizza studi, ricerche e
servizi nei settori della sperimentazione,
della qualità dei sistemi agro-aziendali e
della valorizzazione biologica, economica e commerciale delle produzioni agroalimentari.
Blue Moon e August Delight sono
state valutate da Francesco Valli e Luigi
Proni per un periodo di dodici anni (dal
2001 al 2012) in un areale di coltivazione
(provincia di Ravenna) ove questa coltura sta assumendo sempre più importanza e diffusione. Per entrambe le varietà, August Delight.
al fine di ottenere frutti di ottima qualità,
è indispensabile un apporto equilibrato
di acqua e nutrienti ed è quindi necessario prevedere un appropriato impianto di fertirrigazione. Per entrambe è in corso
la procedura di acquisizione di brevettazione europea. I diritti
per la moltiplicazione delle piante sono stati acquisiti dalla ditta
Vivai F.lli Zanzi di Ferrara.
Il programma di miglioramento genetico svolto da Agri 2000
sta puntando all’individuazione di nuove cultivar europee a maturazione precoce (metà luglio). Allo stato attuale è stata individuata una selezione promettente i cui connotati verranno resi
pubblici, si auspica, dal 2016.
Blue Moon
Albero: di tipo standard, a sviluppo tendenzialmente espanso, dotato di vigoria medio-elevata e produttività media e costante, purchè in condizioni di impollinazione incrociata (la varietà non è auto-fertile). Data appunto la sua auto-incompatibilità, vengono consigliati come impollinatori August Delight, per
il prolungato periodo di fioritura, President e Grossa di Felisio
per il fatto che presentano entrambe (come appunto Blue Moon) un’epoca di fioritura piuttosto precoce. Presenta una media
entità di fioritura.
Frutto: di grossa pezzatura, con peso medio che va dagli 80
ai 100 g rapporto all’entità di produzione della pianta. Forma
obovata, leggermente asimmetrica, con apice e base legger-
mente arrotondati, cavità peduncolare
mediamente larga e profonda, sutura
evidente. Nocciolo medio (da 2,8 a 3,2
g di peso). Buccia di colore blu-violaceo.
Polpa di colore giallo che diventa aranciato a maturazione fisiologica, mediamente succosa, con leggera semi-aderenza all’endocarpo. Buona consistenza
e qualità gustative equilibrate, con sapore decisamente gradevole. Residuo secco rifrattometrico (RSR) medio elevato,
circa 20°Brix (campione medio di frutti
riferiti agli anni 2009-13). Resistenza alle
manipolazioni molto buona.
Epoca di maturazione: medio-precoce (considerando il calendario del Prunus domestica), prima decade di agosto
(15-20 giorni prima di Stanley).
Giudizio d’insieme: risulta molto interessante per l’epoca di maturazione,
corredata però da una grossa pezzatura
dei frutti, e per le buone caratteristiche
organolettiche dei medesimi (ciò si denota anche dal grado zuccherino sopra evidenziato). Blue Moon, negli anni
di produzione osservati, ha dimostrato
una produttività media e costante. Buona la resistenza alle manipolazioni e ai
trasporti. Media è l’entrata in produzione
della pianta.
August Delight
Albero: a sviluppo tendenzialmente
assurgente, dotato anch’esso di vigoria
medio-elevata e produttività decisamente elevata e costante. Il fiore è parzialmente auto-fertile ma per una costante
produttività nel corso degli anni è consigliata l’impollinazione con altre varietà, quali Stanley, President e Grossa di
Felisio. Presenta un periodo di fioritura
lungo e quindi contemporaneo a diverse
cultivar. L’entità di fioritura è elevata dal
momento che tutti gli anni si è rilevata
una presenza di rami misti molto ricchi
di gemme a fiore; si è notato che il polline è molto apprezzato dalle api le quali
lo prediligono decisamente rispetto alle
altre varietà presenti nel medesimo campo. La pianta presenta
aspetti di rusticità, in particolare si è notato che in annate con
presenza di gelate tardive la resistenza è elevata.
Frutto: di pezzatura medio-grossa, con peso medio che si
aggira sui 75-80 g. Forma tendenzialmente ellissoidale, lievemente asimmetrica e lievemente incavata a livello del picciolo.
La linea di sutura è mediamente pronunciata. Nocciolo mediopiccolo (circa 2,3 g di peso). Buccia di colore blu-viola chiaro.
Polpa di colore giallo-verde, succosa, molto soda e di ottimo sapore, non aderente all’endocarpo. Residuo secco rifrattometrico
(RSR) medio-elevato, circa 18,5° Brix (anni di rilievo 2009-13).
Consistenza dei frutti e resistenza alle manipolazioni elevate.
Epoca di maturazione: media, a cavallo fra la prima e la seconda decade di agosto (10-15 giorni prima di Stanley).
Giudizio d’insieme: molto interessante per l’elevata e costante produttività e rusticità, per la pezzatura, l’epoca di maturazione e per la consistenza e il buon sapore dei frutti. Il prolungato
periodo di fioritura e la resistenza dei fiori la espone in misura
decisamente inferiore rispetto ad altre varietà alle gelate tardive
che, con una certa ricorrenza, colpiscono la susinicoltura italiana. Medio-precoce è l’entrata in produzione della pianta.
Francesco Valli - Luigi Proni
Agri 2000 - Castelmaggiore (Bo)
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
15
condotte su oltre 2.300 semenzali e 35
selezioni avanzate hanno portato al licenziamento nell’ultimo decennio di
due cultivar precoci, Dofi-Giudy (-25
Shiro) e Dofi-Sandra* (-15 Sh.), varietà
quest’ultima che ha riscosso successo sia in Emilia-Romagna che nel Sud
(specialmente Campania) (Borrelli,
2012). Tra le selezioni più promettenti sono da ricordare DOFI-CG-30.40,
DOFI-CG-29.03 e DOFI-CG-29.60 a
buccia nero violacea; DOFI-CG-888,
DOFI-CG-30.31 e DOFI-CG-30.13
con epicarpo rosso (Bellini, 2008).
Interessanti risultano le selezioni di
susine a buccia gialla, tipologia questa
di non facile ottenimento (essendo il
giallo recessivo rispetto al nero e al rosso, è possibile perseguire questo risultato solo con target specifici). Dal programma iniziato nel ’96 a Vignola (Mo)
sono scaturite cinque selezioni da TC
Sun x Shiro (5.71; 5.290; 5.120; 7.73;
5.320) e tre da TC Sun x Byron Gold
(7.104; 7.61; 7. 290) capaci di produrre susine con buccia e polpa gialla nel
periodo precoce e medio-precoce (Bellini et al., 2010).
Più datato il programma di miglioramento genetico del susino europeo
che aveva per obiettivi l’ottenimento
di cultivar di grossa pezzatura, idonee
al consumo fresco, di buone caratteristiche organolettiche, a maturazione precoce o intermedia. Dagli oltre
1.200 semenzali ottenuti è stata licenziata la cultivar Firenze ’90 e ottenute
9 interessanti selezioni tra le quali si
distinguono DOFI-EU-981 per la notevole pezzatura dei frutti (fino 150 g)
e DOFI-EU-609, per precocità, aspetto
attraente e ottime caratteristiche (Bellini, 2008).
Presso il Dipartimento di Colture
Arboree (ora Dipartimento di Scienze
Agrarie) dell’Università di Bologna da
oltre 40 anni viene portato avanti un
programma di miglioramento genetico
sul susino. Fino agli anni ‘70 l’attività è
stata concentrata esclusivamente sulla
specie europea, con l’ottenimento di
Sugar Top (-7 Sanley), a maturazione
medio-tardiva, selezionata per l’essiccazione, e Prugna 29 (+3 Stanley), a
maturazione tardiva e a duplice attitudine. Successivamente, l’attenzione è
stata rivolta anche alle cino-giapponesi, ricorrendo all’incrocio con cultivar
derivate in prima o in seconda generazione di P. cerasifera (mirabolano)
dotate quindi di maggiore rusticità,
fertilità e costanza produttiva. Da questo programma sono state ottenute due
cultivar a buccia nera e polpa gialla:
16
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
Bra Rossa.
Dofi Sandra.
Dofi Giudy.
Black Glow (+10 Shiro), a maturazione
medio-precoce, e Black Sunrise (+18
Sh.), a maturazione intermedia.
Sono stati avviati nuovi incroci per
entrambe le specie a partire dagli anni
’90. Per il susino cino-giapponese sono stati utilizzati soprattutto genotipi di
origine californiana, interessanti per i
caratteri del frutto e per il periodo di
raccolta e promettenti selezioni derivate dal precedente programma di “breeding” con lo scopo di migliorare le caratteristiche del frutto, la produttività,
nonché ampliare il calendario di maturazione. La scelta dei parentali per
il miglioramento del susino europeo
è invece ricaduta su cultivar a frutto
grosso e a maturazione precoce o tar-
diva, al fine di migliorarne lo standard
pomologico e l’ampliamento dell’arco
di raccolta.
Nel 2008 un nuovo programma ha
avuto inizio, con la collaborazione e il
co-finanziamento della Soc. New Plant,
società che raggruppa le tre principali organizzazioni produttive regionali
(Apo Conerpo, Apofruit Italia e Orogel
Fresco).Questo progetto mira ad ottenere cultivar di susino cino-giapponese
migliorative sotto l’aspetto pomologico, in termini di grossa pezzatura, buona consistenza della polpa (fattore che
influenza tutte le operazioni di postraccolta, quali la cernita, la conservabilità ed il trasporto del prodotto) e caratteristiche organolettiche (succosità,
tessitura fine ed elevato contenuto zuccherino, ben bilanciato con il tenore di
acidità in grado di esaltare sapore e aroma del frutto). Anche l’aspetto relativo
alla colorazione della polpa è uno tra i
principali obiettivi di questo progetto,
poiché recenti indagini di mercato hanno evidenziato come le susine a polpa
rossa abbiano caratteristiche gustative
migliori rispetto a quelle a polpa gialla
o aranciata. Allo stesso tempo è prevista anche la selezione di “linee di prodotto”, ossia genotipi aventi medesime
caratteristiche estetiche e qualitative,
ma che maturano in epoche differenti
e in grado quindi di coprire un ampio
arco di commercializzazione, da proporre alla distribuzione con continuità
d’offerta. Nel susino europeo grande
attenzione è rivolta alla costituzione
di cultivar in grado di estendere il calendario di maturazione e di migliorare
gli standard qualitativi delle prugne in
termini di pezzatura e caratteristiche
organolettiche.
Dopo uno “screening” iniziale di
circa 2.500 semenzali, parte dei quali
ancora in fase iniziale di valutazione,
sono stati individuate 40 selezioni interessanti (30 cino-giapponesi e 10 europee); le quali sono attualmente sotto
osservazione in campi sperimentali di
valutazione comparata. Alcune di queste selezioni hanno già favorevolmente
confermato alcuni aspetti qualitativi; si
tratta di genotipi che differiscono fra
loro per epoca di maturazione, che va
dal precoce fino all’extra-tardivo, forma del frutto, colore dell’epidermide e
della polpa, ma che accomunano costanza produttiva, pezzatura elevata e
uniforme del frutto, buone caratteristiche organolettiche ed, in alcuni casi,
anche ottima tenuta di maturazione
in pianta. Nel susino europeo, invece,
sono state individuate alcune selezio-
Un club per “Metis” nuovo ibrido susino x albicocco
etis” (traduzione francese della parola “meticcio”; ndr) è il primo in Europa di una serie
di nuovi ibridi di susino x albicocco licenziati da Glen Bradford, genetista californiano
assai famoso anche in Italia per aver introdotto alcune nettarine gialle e diverse susine cinogiapponesi di successo.
Questa serie di ibridi presenta frutti con alto contenuto zuccherino e un’ottima solidità
della polpa. Il colore della buccia, a seconda delle varietà, è rosso, nero, giallo o marezzato;
questi ultimi esteticamente sono forse i più interessanti e innovativi. Generalmente i frutti
hanno un calibro sostenuto e per questo saranno commercializzati da un minimo di 50 mm
di diametro. Essendo incroci di susino con albicocco hanno polpa non acquosa, ma di una
certa consistenza.
Il club «Metis» che è autorizzato a produrre e vendere questi frutti è costituito dalle seguenti Società: Royal in Spagna, Blue Whale in Francia, Granfrutta Zani e Minguzzi spa
Consortile in Italia. A Berlino, in occasione dell’ultima edizione di Fruit Logistica, presso gli
stand di queste aziende erano presenti campioni di questi ibridi (vedi foto a fianco) che hanno
riscosso un buon successo; nel periodo da giugno a ottobre 2014 alcune decine di tonnellate
di prodotto saranno disponibili presso alcune catene distributive europee.
In Italia, comunica Giancarlo Minguzzi, sono già stati costituiti 80 ettari, mentre 200 sono
quelli in programmazione; la produzione del materiale vegetale è affidata in esclusiva all’Az.
Vivai F. Calderoni di Solarolo (Ra). La coltivazione può essere effettuata solo con contratti di
conferimento.
Informazioni fornite da G. Minguzzi - Alfonsine (RA)
“M
ni con caratteri di pregio quali grossa
pezzatura del frutto, consistenza e succosità della polpa e elevato contenuto
zuccherino.
Presso il Dipartimento di Scienze
Ambientali e Produzioni Vegetali (SAPROV) dell’Università Politecnica del-
le Marche è iniziato nel 1994 un programma di miglioramento genetico del
susino che ha portato all’ottenimento
di 4.100 semenzali dai quali sono state
individuate 60 selezioni (49 cino-giapponesi e 11 europee). Tra le cino-giapponesi, per buon sapore e stessa epo-
ca di maturazione di Shiro si stanno
distinguendo Sel. 90.8.20.1 a buccia
rossa, sferica; Sel. 90.8.42.1 giallo dorata, di media pezzatura e consistenza
e Sel. 92.8.3.1 viola scura con polpa
giallo ambrata, di media consistenza.
Per l’europeo le due selezioni più inte-
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
17
Serena.
Aphrodite.
Liablu.
Black Glow.
formance produttive; CRA-FRF 233 e
CRA-FRF 268, entrambe a buccia viola
scuro, di pezzatura e sapore discreto, e
CRA-FRF 605, di grossa pezzatura e ottime caratteristiche organolettiche nel
periodo tardivo di maturazione.
Tra i costitutori privati che operano nel nostro Paese sono da ricordare
recentemente Bradford (California) e
Calderoni (Solarolo – Ra) che in collaborazione hanno licenziato 2 cultivar
cino-giapponesi: Bragialla* (+64 Sh.),
entrata nelle “Liste di orientamento varietale” per l’anno 2012, a maturazione tardiva, con frutto grosso, gradevole
e consistente, ma caratterizzato da produttività talvolta incostante; Brarossa*
(-17 Sh.), in attesa di entrare in Lista,
che si distingue per una colorazione
rosso-violacea della buccia (estesa sul
90-100% della superficie), precocità
di maturazione e pregevoli caratteri
pomologici. Altra cultivar cino-giapponese costituita nel 2000 da Bubani e
Calderoni promossa in Lista nel 2012
è Afrodite* (+20 Sh.), con frutto grosso,
un po’ allungato, di ottime qualità gustative. Tra le cino-giapponesi ottenute
da genetisti privati si ricordano Gaia
(-8 Sh.), di valore pomologico medio,
ottenuta da Martelli a Bologna, e Serena (+ 10 Sh.), a buccia e polpa gialla,
di buona produttività, lanciata da Vezzali a Vignola (Mo).
Tra le europee si segnalano le cultivar a maturazione medio-precoce Blue
Moon® ( -15 Stanley) e August Delight®
(-10 St.) ottenute recentemente dalla
Soc. Coop. Agri 2000 di Bologna (vedi
Box) che in precedenza aveva diffuso
anche la precoce Maria Novella* (-45
St.) che si caratterizza per la buona
produttività e per le pregevoli qualità
gustative dei frutti, di buona pezzatura,
benchè spesso suscettibili a non ben
definite fitopatie che li rendono talvolta non commercializzabili (Liverani et
al., 2012; Bellini et al., 2006).
Maria Novella.
Nuova selezione dell’Università di Firenze.
ressanti, che maturano verso la metà di
agosto e che si caratterizzano per polpa consistente e buon sapore, sono sicuramente Sel. 92.8.16.4 (-15 St.), con
frutti di grossa pezzatura, buccia viola
scura e polpa giallo intenso, dotata di
produttività costante, e Sel. 92.8.13.2
(-20 St.) con buccia viola e polpa giallo-verde.
Al CRA - Unità di Ricerca per la
Frutticoltura di Forlì sono oltre 5.000
i semenzali di susino europeo in osservazione e 35 le selezioni allo studio
(di cui CRA-FRF219, dal frutto di buon
sapore e buccia rosso-violacea, è una
delle più promettenti). Ultima licenziata, nel 2003, è stata Liablue (-24 St.),
cultivar europea autofertile, a maturazione medio-precoce, produttiva, con
frutti di grossa pezzatura, sebbene difettino di imbrunimento della polpa alla maturazione. Oltre 2.500 semenzali
di susino cino-giapponese sono in fase
di osservazione, mentre 25 sono le selezioni in fase avanzata di valutazione
per rusticità e qualità del frutto: CRAFRF 229, CRA-FRF 275, CRA-FRF 271,
tutte a buccia rossa e con elevate per-
18
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
BIBLIOGRAFIA
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Q
Tecnica
SPECIALE SUSINO E ALBICOCCO
“Ramassin”, damaschina autoctona
del Piemonte tornata di moda
FRANCESCA COSTAMAGNA - LORENZO BERRA - CRISTIANO CARLI - SILVIO PELLEGRINO
CReSO – Centro di ricerca e sperimentazione per l’ortofrutticoltura piemontese - Cuneo
Uno dei tanti esempi di vecchie
varietà tornate alla ribalta grazie
alla passione di frutticoltori
e artigiani locali che ne
ripropongono il consumo sia
fresco, sia attraverso derivati
ripresi dalle tradizioni alimentari
locali.
I
l Ramassin (o Dalmassin) è una
varietà di susino autoctona, tipica del Piemonte Sud-Occidentale.
Ramassin e Dalmassin sono varianti
linguistiche piemontesi (quest’ultima
propria del Monregalese) che corrispondono all’italiano “damaschina”,
susina di Damasco. La varietà afferisce, infatti, alla specie Prunus domestica L. subsp. insititia, “susino della
Siria”, di cui Damasco è capitale.
Diffusa da secoli in provincia di
Cuneo, è una presenza costante nei
frutteti famigliari. Si tratta di un tipico caso di cultivar-popolazione,
che presenta al proprio interno una
discreta variabilità di caratteri. Sono
stati ad esempio selezionati ecotipi
con maturazione leggermente anticipata, oppure con polpa più o meno
dolce. Anche il colore della buccia
oscilla, secondo gli ecotipi locali, tra il bluastro e il rosso violaceo,
quest’ultimo caratteristico del Dalmassin del Monregalese. A questo
proposito, un’indagine svolta dalla
Scuola teorico-pratica “Malva Arnaldi” di Bibiana (To) ha consentito di
individuare, catalogare e conservare
in collezione due distinte tipologie
genetiche: il Ramassin di Saluzzo,
diffuso in particolare sulle colline e
sull’altipiano saluzzese, e il Ramassin
20
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
di Pagno, che prende il nome dall’omonimo Comune della Valle Bronda,
uno dei territori di elezione della varietà.
Caratteristiche pomologiche
e qualitative
Il frutto è una drupa ovale di
piccole dimensioni, di peso 10-12
g e diametro 20-25 mm. La buccia
presenta colore di fondo verde che,
all’approssimarsi della maturazione,
si ricopre di rosso violaceo-bluastro
per oltre l’80-90%. La pruinosità conferisce alla buccia un caratteristico
aspetto opalescente. La polpa, gialla con sfumature ambrate, è spicca e
tenera. Aroma e profumo intensi ne
caratterizzano il profilo organolettico (Fig. 1); il RSR raggiunge in media
14,5-15,5 °Brix; l’acidità titolabile
125-150 meq/l.
Le susine Ramassin si prestano
bene sia al consumo fresco, sia alla
trasformazione artigianale. La confettura di Ramassin, di consistenza
densa e colore vinoso e gli sciroppati
nelle “burnìe” (barattoli di vetro, in
piemontese), sono due degli esempi
caratteristici. Grazie alle piccole dimensioni i frutti sono tra i pochi che
possono essere fatti essiccare naturalmente al sole in un clima continentale come quello piemontese. Un
tempo si sezionavano in mezzene,
esponendole per alcuni giorni su assi
di legno al sole. Oggi sono anche un
ingrediente di pregio per la preparazione di gelatine e liquori aromatici.
Infine, cotte in forno o in tegame a
fuoco lento, accompagnano il noto e
tradizionale “fritto misto alla piemontese”.
Sotto il profilo nutrizionale e salutistico questa varietà non si discosta
dagli standard del susino europeo. In
particolare, è una buona fonte di fibra: il consumo di Ramassin – fresche
o cotte – è uno dei rimedi tradizionali
contro la stipsi intestinale.
colore polpa
10
8
aroma
profumo
6
4
2
amaro
fibrosità
0
acido
durezza
dolce
succosità
Fig. 1 - Profilo sensoriale di Ramassin elaborato da ONAFrut (Organizzazione nazionale
assaggiatori frutta).
TAB. 1 - PARAMETRI CHIMICO-FISICI MEDI
DI RAMASSIN
Peso (g)
Diametro
(mm)
10-12
20-25
R.S.R.
(°Brix)
Acidità
titolabile
(meq/l)
14,5-15,5 125-150
Aspetti agronomici
L’albero di Ramassin è rustico, poco esigente in fatto di cure colturali e
di interventi fitosanitari, adatto per la
coltivazione biologica. Dimostra ampia capacità di adattamento a diversi
tipi di terreno e una buona resistenza al freddo (nessun problema fino a
25 °C sotto zero), che ne consente la
coltivazione fino a oltre 1.200 m di
altitudine.
La varietà è molto pollonifera. Per
evitare il ricorso a sostanze spollonanti, non ammesse dai disciplinari
PSR, si ricorre a portinnesti non polloniferi. Ad esempio, manifesta ottima affinità con Ferciana-Ishtara ®,
confermata in diverse indagini svolte dal CReSO. L’impiego di questo
portinnesto si è diffuso nell’ultimo
decennio, rivelando peraltro il limite
di una maggior sensibilità al freddo
invernale. La varietà è autofertile.
L’epoca di fioritura è pressoché contemporanea a Stanley (prima decade
di aprile nel Saluzzese). Il potenziale
produttivo è di 20-25 t/ha, anche se
la varietà è soggetta ad alternanza,
spesso indotta/accentuata da eventi
climatici, infestazioni non controllate
di afide farinoso (Hyalopterus pruni)
o tentredini (Hoplocampa spp.), ma
soprattutto dalla mancanza di regolari potature.
I frutti si staccano naturalmente dal ramo a piena maturazione.
La raccolta si esegue da terra, dopo
caduta. Se raccolti sul ramo, o se le
branche vengono scosse per anticipare il distacco dei frutti, questi rimangono acerbi, perdendo le pregevoli
caratteristiche gustative. Sono frutti
delicati, poco serbevoli e con limitata
“vita di scaffale”. L’impatto a terra ne
limita ulteriormente la conservabilità. Per questo si è diffuso l’impiego di
reti sospese, che attutiscono l’impatto
e preservano l’integrità del frutto. La
raccolta dalle reti avviene con apposite palette per trasferire le susine ai
contenitori definitivi e minimizzare i
danni da manipolazioni. La raccolta
dev’essere in ogni caso tempestiva,
con più passaggi ogni 2-3 giorni. La
22
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
Le antiche varietà di fruttiferi del Casentino
a Toscana è stata fra le prime regioni, in Italia,
a legiferare (1997 e 2004) sulla valorizzazione e
conservazione del germoplasma autoctono, che oggi va a comporre la residua biodiversità ambientale
che tutti i Piani dell’Ue vogliono proteggere. Non
stupisce, perciò, che l’ARSIA, l’Agenzia regionale
agroforestale (ora soppressa), abbia a suo tempo
promosso un progetto su “Recupero, conservazione, valorizzazione del germoplasma frutticolo e viticolo autoctono del Casentino”, poi realizzato dalla
prestigiosa “Scuola Superiore Sant’Anna” di Pisa.
Un gruppo di studiosi ed esperti, guidati dal prof.
Luca Sebastiani, ha condotto una sistematica ricerca territoriale, e quindi in situ, in quella parte della
provincia di Arezzo che si spinge fino al crinale appenninico che divide la Toscana dalla Romagna, e
che storicamente è sempre stato ricco di un vasto IL LIBRO
patrimonio frutticolo storico, in piccola parte so- Le antiche varietà di
pravvissuto e fortemente ridotto a causa dell’ab- fruttiferi del Casentino –
bandono e della generale perdita dei valori e delle Recupero, caratterizzazione
colture del passato.
e valorizzazione delle risorse
I risultati dell’indagine, limitatamente alla “Com- genetiche autoctone di interesse
missione specie legnose da frutto”, sono stati pub- agro-alimentare (razze animali
blicati in un bel volume di oltre trecento pagine am- e varietà vegetali), a cura
piamente documentate con foto a colori delle varie- di Fabiano Camagni e Luca
Segantini. Edito da Regione
tà censite, che sono ben 273, di cui 163 di melo, 80 Toscana, Comunità Montana
di pero, 29 di ciliegio e una sola di pesco (“Vinosa”, del Casentino e BioLabs (Scuola
della tipologia pesche della vigna).
Superiore Sant’Anna, Pisa),
Il Casentino, dunque, si è rivelato un bacino di 2011, pp 320. Senza prezzo.
inestimabile valore per la ricerca delle tracce genetiche, ancestrali, delle tre citate specie oggi tanto
importanti nella frutticoltura industriale. Naturalmente, le varietà effettivamente individuate, discriminate e riconosciute dalle nuove metodologie molecolari (“fingerprinting”), sono circa un centinaio, metà delle quali mele, alcune di grande rilevanza
storica (per es. Panara rossa e gialla, Garofana, Ghiacciola, Limoncella, Cipolla,
Calvè, Arpiona); 32 sono pere (Campana, Cova, Curato, Lardaia, Sanguinella, ecc.)
e 14 ciliegie (Corniola, conservata dai monaci camaldolesi, Marchiana o Napoletana,
Morellina, Ciliegia Bianca, tipica toscana secondo Gallesio, Palumbina, una visciola).
Di ciascuna varietà si riporta, con le foto dei frutti, una scheda descrittiva, l’areale
di coltivazione, osservazioni etnobotaniche, ma anche la valutazione dell’attività
antiossidante dei frutti; davvero un libro utile per gli appassionati delle varietà del
passato.
S. Sansavini
L
Fruttificazione di Ramassin.
Fasi della raccolta di Ramassin nel Cuneese; i teli sospesi servo a ridurre i danni meccanici al momento del distacco dei frutti.
Frutti in cestini da 500 g in vendita presso i mercati locali.
durata della cascola pre-raccolta è di
10-15 giorni, secondo le condizioni
meteorologiche. La raccolta avviene
nella seconda e terza decade di luglio, seguendo le fasce altimetriche
di coltivazione.
Storia e distribuzione
sul territorio
Le Ramassin sono un endemismo
del Piemonte Sud-Occidentale con
tracce di presenza anche nella Riviera di Ponente (Gallesio, in Pomona
italiana, Pisa 1817-1839) e in Provenza. Le varianti dialettali in lingua
piemontese “Dalmassìn” (Monregalese), “Darmassìn”, “Gramassìn” (Cebano), fino a “Ramassìn” (Saluzzese
e Cuneese) sono trasformazioni del
latino (medioevale) Prunus damascenus, cioè susino di Damasco – damaschino. La distribuzione territoriale,
che corrisponde alle aree delle incursioni saracene del IX e X secolo,
induce a ritenere che questa varietà
sia stata introdotta dal Medio Oriente nell’alto Medioevo, una delle tante tracce della cultura e della civiltà
araba nel Piemonte meridionale, al
24
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
Derivati artigianali del Ramassin.
pari di numerosi toponimi, cognomi
e altri vocaboli.
Più azzardato trovare una corrispondenza varietale, se non nel nome,
tra le Ramassin e le Pruna damascena citate da Plinio e più tardi – nel IV
secolo – da Rutilio Palladio, che nel
De re rustica ne descrive l’attitudine all’essiccazione non dissimile da
quella dell’attuale varietà (“Pruna damascena… siccantur in sole per crates
loco sicciore disposita. Haec sunt quae
Damascena dicuntur” = “vengono fatte seccare al sole disposte su graticci
in posti asciutti: queste sono le susine
chiamate damaschine”). Noccioli di
questa specie di susino (“Damson” in
inglese) sono stati trovati durante scavi archeologici in corrispondenza di
accampamenti romani in Inghilterra e
in varie parti d’Europa.
Testimonianze riguardanti le prime forme di coltivazione di Ramassin
in Piemonte si trovano negli archivi
di alcuni comuni intorno a Saluzzo.
La Valle Bronda diviene fin da subito un importante centro produttivo e
commerciale del prodotto, tanto che
nel periodo di raccolta si tenevano
ogni sera due mercati completamente
dedicati alle Ramassin: uno nel co-
mune di Pagno e l’altro nel comune
di Saluzzo, in Frazione S. Lazzaro. La
varietà è oggi presente sotto forma di
piante sparse su gran parte del territorio della provincia di Cuneo.
Canali di commercializzazione
e percorsi di valorizzazione
e tutela
Oltre al diffuso e tradizionale
consumo domestico, le Damaschine
vengono oggi commercializzate sui
mercati all’origine (il mercato della
piazza di Pagno è il più rinomato),
ma anche veicolate dalle OP piemontesi verso la grande distribuzione
organizzata, spesso attenta a segmentare e ampliare l’offerta con “prodotti
del territorio”. La produzione, nelle
annate di pieno carico, si attesta intorno a 800 t, su una superficie ragguagliabile a 50-60 ettari.
Un’altra area tipica e tradizionale di coltivazione è il Monregalese,
nella fascia pedemontana tra Bastia
e Villanova Mondovì. Anche qui nel
2006 è nato il Consorzio “Dalmassin
del Monregalese”, che raccoglie una
decina di produttori, con una produzione di circa 80 t/anno.
Q
Tecnica
SPECIALE SUSINO E ALBICOCCO
L’albicocco negli ambienti meridionali:
serve un’attenta programmazione
LUIGI CATALANO(1) - CARMELO MENNONE(2)
(1)
(2)
Agrimeca grape and fruit consulting, Turi (Ba)
AASD Pantanello - Alsia Regione Basilicata - Metaponto (Mt)
La Basilicata rimane una delle
principali regioni italiane
per la coltivazione intensiva
dell’albicocco, ma per le
minacce fitosanitarie della
Sharka rischia un drastico
ridimensionamento.
Cresce la Puglia, dove la specie
sta diventando una valida
alternativa all’uva da tavola
in termini di capacità produttiva
e redditività per le imprese.
L’
albicocco, tra le drupacee, è
specie in controtendenza in termini di superfici e produzioni.
La tabella 1 illustra l’incremento
delle superfici di circa il 17% avvenuto durante il decennio 2001-2011.
A livello regionale, la maggior parte
della produzione è concentrata in solo
3 regioni, Emilia-Romagna, Campania
e Basilicata. Se nelle prime due, ritenute da sempre regioni storiche per
la coltura, si è avuto un decremento
di circa il 5%, in Basilicata negli ultimi 10 anni si è avuta la triplicazione
delle superfici coltivate. I dati statistici
disponibili non appaiono veritieri se
riferiti alla Puglia, dove negli ultimi 5
anni la superficie investita ha subito
un forte incremento, con una stima di
circa 1.200 ha.
Tale situazione è dovuta allo spostamento del prodotto dalla destinazione industriale al mercato fresco,
alla selezione di nuove tipologie di
frutti con requisiti estetici, organolettici, di consistenza e serbevolezza superiori a quelli del passato, che hanno
riscosso l’interesse dei frutticoltori per
la maggiore redditività della coltura,
26
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
TAB. 1 - REGIONI ITALIANE PIÙ IMPORTANTI PER LA PRODUZIONE DI ALBICOCCO
(CONFRONTO DECENNALE)
Regione
Superficie
totale (ha)
Anno 2001
Anno 2011
Incidenza Produzione Superficie
(%)
totale (q) totale (ha)
Incidenza Produzione
(%)
totale (q)
972
5,8%
97.989
1.040
5,3%
91.268
Emilia Romagna
5.150
30,6%
714.874
4.942
25,1%
675.919
Campania
5.383
31,9%
49.435
4.801
24,4%
85.9310
Basilicata
1.528
9,1%
244.320
4.763
24,2%
564.504
Puglia
569
3,4%
65.732
700
3,6%
113.720
Sicilia
776
4,6%
9.833
692
3,5%
8.096
Altre
2.458
14,6%
756.098
2.747
13,9%
ITALIA
16.836
1.938.281
19.685
Piemonte
ad una nuova logistica verso i mercati
di consumo distanti dai luoghi di coltivazione.
In Basilicata la coltivazione dell’albicocco ha avuto inizio negli anni’70
con l’introduzione di varietà di origine
campana che meglio si adattavano tanto alle condizioni ambientali, quanto
alla destinazione del prodotto per la
trasformazione industriale. L’epicentro dello sviluppo è stato nei comuni
di Rotondella e Policoro che, ancora
oggi, rappresentano i maggiori centri
di coltivazione per questa specie. L’incremento dell’ultimo decennio deriva
sia dal forte interesse commerciale per
questa specie, sia dalle adeguate condizioni pedoclimatiche che consentono il conseguimento di uno standard
produttivo quanti-qualitativamente rilevante.
In Puglia, negli ultimi 5 anni si è
assistito ad un fortissimo incremento
dell’interesse verso l’albicocco, sia
per le buone performance assicurate
dalla coltivazione sulle terre rosse che
poggiano su banchi di pietra calcarea
tipiche dell’altopiano delle Murge, sia
per la necessità di riconvertire parte
332.469
2.735.286
dei terreni destinati ad uva da tavola che sta attraversando congiunture
commerciali negative. Questa espansione interessa aree storiche della
frutticoltura pugliese (a Nord le zone
della Valle dell’Ofanto – Canosa, San
Ferdinando di Puglia, Ortanova, Cerignola), le aree costiere del Nord barese, e infine i nuovi territori dell’altopiano murgiano e del Sud-Est barese.
La scelta di varietà
e portinnesti
L’esigenza di cambiamento ha determinato una “corsa” alle nuove varietà, con l’introduzione di cultivar
selezionate in areali con condizioni
climatiche molto differenti da quelle
meridionali, con comportamento vegetativo differente dalle varietà tradizionali e quindi meritevoli di essere
preventivamente valutate e gestite con
approcci tecnici completamente nuovi. L’introduzione dei genotipi sovraccolorati ha introdotto il nuovo problema di una corretta determinazione dell’epoca di raccolta considerato
che in molti casi, allettati dalle buone
quotazioni, si tende a raccogliere con
molto anticipo, quando i frutti sono
all’inizio invaiatura, adottando criteri
traslati dalle vecchie varietà tradizionali. Così si penalizzano numerose
varietà che vengono mal giudicate per
insufficienti qualità organolettiche,
sorvolando sul fatto che il colore di
fondo della buccia dell’albicocco a
maturazione è giallo e non di diverse sfumature di verde. Pensare alla
formulazione di carte colorimetriche
appare improbabile in considerazione della veloce evoluzione varietale.
Sono quindi indispensabili le note
tecniche del costitutore e la messa a
punto di strumenti di facile utilizzo,
come il DA-Meter, che possono essere
di grande aiuto.
L’attenta valutazione delle esigenze fisiologiche, come il fabbisogno in
freddo ed in caldo, di quelle genetiche,
come l’autocompatibilità, costituiscono invece la base per evitare insuccessi produttivi sempre possibili con una
specie così poco plastica per adattabilità come l’albicocco. La delimitazione
di aree omogenee rispetto alle ore di
freddo e di caldo da parte dei centri di
sperimentazione, oltre alla determinazione dei fabbisogni delle singole cultivar, costituirebbe un valido supporto
alle scelte del frutticoltore. Approccio
che si può estendere alla scelta degli
impollinatori più idonei per ogni specifica varietà.
Altro aspetto riguarda i portinnesti, considerata la generalizzata proposizione del Mirabolano 29C che
è indubbiamente un soggetto valido
e versatile per la specie. Facile nella
moltiplicazione attraverso la micropropagazione “in vitro”, di sicuro non
rappresenta la migliore soluzione in
tanti ambienti di coltivazione meridionale, laddove nei primi impianti
in Basilicata e nella “storica” frutticoltura campana sono stati utilizzati
franchi di pesco. Nei terreni vergini e
ben drenati i franchi di pesco Missour
e Montclar®Chanturgue o quello di albicocco Manicot assicurano standard
qualitativi migliori rispetto al mirabolano e alle sue selezioni. Altra grande
potenzialità espressa e da verificare
nelle diverse combinazioni e in più
ambienti deriva dall’utilizzo di portinnesti di Prunus domestica come Tetra
e Penta.
Il panorama varietale coltivato
Il calendario di maturazione in
Basilicata inizia intorno al 25 aprile
28
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
Il ruolo del settore vivaistico
on va sottaciuto che il settore vivaistico nazionale vanta un’eccellente disponibilità di varietà registrate nell’ambito del Servizio nazionale di certificazione
volontaria del Mipaaf, ricco di un numero di accessioni in grado di coprire tutto il
calendario di maturazione (121 fonti primarie di 107 differenti varietà ed oltre 25 portinnesti idonei per l’albicocco). Tutte le accessioni sono accertate per la corrispondenza varietale e sono certe anche sotto il profilo sanitario ed alimentano il processo
di certificazione del materiale di propagazione dell’albicocco nel nostro Paese.
Anche nel caso di varietà datate e consolidate, proprio perchè provenienti da
selezione genetico-sanitaria, esprimono caratteri migliorativi che hanno superato
le iniziali diffidenze dei frutticoltori. Utilizzando questo materiale si opera altresì in
maniera attiva e reale la prevenzione verso l’introduzione e diffusione di pericolosi
organismi nocivi che rischiano di compromettere in maniera definitiva l’albicocchicoltura nazionale.
Q
N
2014: problemi produttivi per il mancato
soddisfacimento del fabbisogno in freddo
l momento di consegnare alla Redazione la presente nota, la campagna
2014 negli areali di coltivazione meridionali lascia trasparire tinte fosche per
i volumi produttivi insufficienti rispetto
alle aspettative, specie se correlati alla
superficie investita.
Sono sul banco degli imputati di tale
situazione gli eventi climatici sfavorevoli, sia per la mancanza di ore di freddo
accumulate durante il riposo vegetativo
invernale, sia per gli andamenti delle
A
con Ninfa coltivata in ambiente forzato e con tecniche colturali specifiche; continua poi con la stessa varietà
in pieno campo, cui seguono Bora*,
Carmentop ®CarmenPop*, A. Errani,
Bella d’Imola, Bella d’Italia, Precoce
d’Imola, Orange Rubis®Couloumine*
(la più impiantata degli ultimi anni, con
frutti sovraccolorati e di buon sapore,
anche se va gestita bene la raccolta in
quanto tende a macchiarsi, aspetto che
la rende idonea per le filiere corte in
termini logistici).
Le vesuviane Cafona, Vitillo, S.
Castrese, Palummella, Portici, Pellecchiella, Boccuccia, con buon sapore
e caratteri estetici tradizionali, non
sono più in cima alle preferenze del
mercato; solo Portici e Pellecchiella
rispettano gli attuali canoni, anche per
la buona predisposizione alla trasformazione industriale. In ultimo, Kioto,
autofertile, che presenta frutti molto
sovraccolorati e di sapore discreto, ha
avuto una buona diffusione nei campi
commerciali, con risultati interessanti da un punto di vista produttivo, ma
questo anno, con basso numero di ore
temperature nelle primissime settimane
dell’anno, che hanno avuto i connotati
di una lunga primavera senza i rigori tipici della stagione. A ciò si sono aggiunte
nebbie e piogge concentrate proprio nel
periodo della fioritura.
Il frutticoltore assiste a ciò confuso,
deluso e consapevole che un’altra campagna negativa può compromettere definitivamente l’economia della propria
azienda, specie nella congiuntura difficile che viviamo.
Q
di freddo, ha tradito le aspettative dei
frutticoltori.
In Puglia, nelle zone alte e “fredde”
del Sud-Est barese, si è avuta un’importante diffusione delle varietà tardive del gruppo Carmingo® con Farbaly,
Fardao e Farclo, mentre, nel periodo
precoce ottimi risultati si stanno avendo con Primius e Mediabel.
Le nuove introduzioni
L’introduzione di nuove varietà
necessita di osservazioni pluriennali;
allo scopo è fondamentale il lavoro
svolto dai centri di sperimentazione
pubblica, ma anche dalle osservazioni effettuate in campi commerciali-catalogo dove su poche varietà
è possibile mettere a punto anche
una tecnica colturale appropriata. La
completezza di giudizio è legata ai
tempi di valutazione, almeno 4-5 anni, per verificare il comportamento in
differenti condizioni climatiche (ore
di freddo, umidità dell’aria, ecc.), ma
spesso la forte pressione nell’introduzione delle nuove varietà porta ad
Mogador*, varietà selezionata in Spagna, a basso fabbisogno in freddo.
Frutti di Wondercot*, con evidente presenza di umbone.
Particolare della produzione di Tsunami*® (EA 5016 cov), autoincompatibile, interessante per l’epoca di maturazione.
Particolare della produzione di Flopria*, varietà autofertile e a basso
fabbisogno in freddo.
Particolare delle produzione di Orange Rubis®Couloumine*, la varietà
più impiantata negli ultimi 5 anni nel Sud Italia.
Kioto*, auto-compatibile, ad elevato fabbisogno in freddo, con frutti
con caratteri moderni.
una forte diminuzione di questi tempi di valutazione con rischi oggettivi
di insuccessi produttivi. Molte delle
nuove introduzioni sono auto-incompatibili, per cui si rende indispensabile l’abbinamento di adeguati impollinatori, che variano rispetto alle
diverse zone.
Rispetto alle esigenze in ore di
freddo, negli ultimi anni sono state
introdotte varietà a basso e/o ridot-
30
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
to fabbisogno (Mogador, Margotina,
Colorado, Flopria, ecc.), con fioriture
precoci, la cui completa valutazione è
in corso, anche se alcuni aspetti risultano ormai acquisiti. Per Mogador si
riscontra una sensibilità alla spaccatura dell’apice, riscontrata anche con
stagioni primaverili non particolarmente umide e piovose; Wondercot*,
auto-incompatibile, presenta frutti
dolci e aromatici, ma tra i punti deboli
si riscontrano la maturazione all’apice
del frutto, la cascola pre-raccolta e il
“cracking” nelle annate piovose, nonché la frattura dell’apice del nòcciolo.
Nella stessa epoca sono state introdotte altre varietà come Tsunami*, autoincompatibile, che per produrre va
ben impollinata, e che può talora presentare un’imperfetta saldatura della
linea di sutura. Per Pricia* e Banzai*,
autofertili, introdotte da pochi anni,
Emergenze fitosanitarie
emergenza fitosanitaria causata dal virus della Sharka (PPV
– vaiolatura del susino) in alcune aree della Basilicata sta
determinando l’impossibilità di coltivare diverse specie di drupacee. La Sharka è ormai presente non solo con il ceppo PPVD, che risulta in un certo senso contenibile e gestibile, visto il
suo lento andamento epidemiologico e la sua minore trasmissibilità da parte degli afidi vettori, ma è ormai ampiamente diffuso
e prevalente anche il ceppo PPV-M che è trasmesso molto velocemente dagli afidi e causa danni ingentissimi. A tale situazione
si è arrivati poiché sia le Istituzioni preposte, sia le attività vivaistiche e i frutticoltori, hanno sottovalutato il rischio e non hanno
attivato con la dovuta celerità e fermezza i piani di monitoraggio
ed eradicazione della malattia, tra l’altro previsti dai decreti di
lotta obbligatoria emanati dal Mipaaf.
Ma questa problematica va estesa all’intero territorio nazionale, laddove per ragioni legate al regionalismo più becero e poco lungimirante, quando si è continuato ad autorizzare l’attività
vivaistica anche in distretti fortemente infetti da PPV, ritenendo
alquanto ipocritamente che le “misure ragioneristiche” delle distanze minime da rispettare per la costituzione dei vivai in vicinanza di focolai di Sharka, potessero da sole essere sufficienti a
garantire la sanità delle produzioni da un patogeno con un simile
andamento epidemiologico. Eppure esistono esempi di attività
vivaistiche delocalizzate rispetto alla sede legale del vivaio, ad
esempio il melo, che dimostrano come simili provvedimenti,
purché gravosi per chi li subisce, sono attuabili anche in Italia,
assicurando materiale vivaistico di qualità e garantito. Pertanto,
anche operando nel rispetto delle norme obbligatorie e volonta-
L’
rie, in alcune zone è ormai arduo se non impossibile garantire la
sanità dei materiali prodotti.
Altra criticità è il livello di qualificazione improprio come il
“Bollino blu” (gli unici livelli ufficiali riconosciuti dalla legge sono
la C.A.C. – Conformitas Agraria Communitatis e la certificazione
volontaria), che se da un lato ha risolto l’aspetto della tracciabilità del materiale vivaistico funzionale alla realizzazione dei
programmi operativi nell’ambito dell’OCM frutta, non certo ha
garantito la sanità del materiale. A testimonianza di ciò vi sono
le innumerevoli intercettazioni di piante infette da PPV pur se
contraddistinte da cartellini ufficiali attestanti la loro categoria,
ma provenienti da zone vivaistiche contaminate.
Anche i frutticoltori non sono scevri di responsabilità considerato che in molti casi, pur di non pagare le “royalty” gravanti
sulle novità varietali, hanno indebitamente prelevato marze da
campi non controllati ed in zone fortemente infette. In Puglia,
dove il programma di monitoraggio è al 26° anno di attuazione,
la diffusione della Sharka era stata finora scongiurata grazie alla
pronta eradicazione di qualche focolaio rilevato nel corso degli
anni. In alcune zone fortemente vocate alla coltura la situazione
è ormai scappata di mano perché di fatto non c’è un freno alla
libera circolazione dei materiali di propagazione.
Sarebbe auspicabile che gli organi preposti delimitassero il
territorio, laddove sia ancora possibile, per definire areali indenni dalle infezioni in cui si potrà pianificare l’esecuzione di
nuovi campi di drupacee con sufficienti garanzie di medio-lungo
periodo.
Q
Particolare della fruttificazione di Faralia.
Pianta di Primius*, interessante per la
precocità di maturazione.
resta da verificare l’adattabilità ai diversi ambienti di coltivazione. Rubistà*, autofertile, presenta frutti molto
colorati, con colore che tende al viola,
molto dolci; ancora da confermare la
produttività e la risposta del mercato
a frutti totalmente diversi anche dagli
32
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
standard commerciali introdotti negli
ultimi anni.
Nei campi commerciali è da 5 anni
introdotta l’autofertile Flopria*, selezionata a Murcia in Spagna; le indicazioni sono positive per la produttività,
discreto il sapore dei frutti, anche se
a volte presentano una leggera rugginosità. Per gli aspetti produttivi è stato
riscontrato un comportamento positivo per Flavorcot®Bayoto*, di ottimo
sapore, che è risultata tra le migliori
varietà attualmente in valutazione. Il
calendario tardivo inizia con Pieve, di
discreta produttività, anche se i frutti
hanno piccola pezzatura, ma di ottime caratteristiche organolettiche, con
maturazione a cavallo tra giugno e luglio.
Di particolare interesse è la produzione molto tardiva che inizia con Faralia, con frutti di sapore interessante;
a seguire, dopo circa tre settimane,
si raccoglie Farbaly, molto produttiva, da diradare con cura, con frutti
di aspetto discreto e di buon sapore;
chiudono questa fase Fardao, Farclo e
Farius, accomunate da frutti di buon
sapore, più o meno sovraccolorati,
particolarmente resistenti alle temperature estive che consentono una
buona tenuta sulla pianta. In questo
modo il calendario di produzione in
questi due areali parte da fine aprile
in coltura forzata e termina a fine agosto, passando da 60 a 120 giorni di
offerta.
Le varietà resistenti
a PPV
Nelle aree vocate, in cui insistono
focolai di Sharka, un aiuto potrà venire dalla disponibilità di nuove varietà
che mostrano resistenza o tolleranza a
questo virus, su cui stanno lavorando
numerosi “breeder” a livello internazionale. È bene sottolineare che queste varietà in molti casi non esprimono
sintomi sui frutti, che risultano essere
commerciabili benché le piante risultino infette, rendendole così “portatori
IPS, albicocche di qualità, ma non solo
PS (International Plant Selection) è un’azienda, con sede a Montélimar (nel Sud
della Francia), fondata e ancora oggi diretta dalla famiglia Darnaud, specializzata esclusivamente in drupacee: ciliegie,
pesche, nettarine, albicocche e susine.
Il ruolo di IPS é di selezionare le migliori varietà lavorando in collaborazione con
alcuni dei più autorevoli breeder mondiali: Zaiger Genetics in California (pesche e
nettarine), Plant Improvement Corporation
(PICO) a Summerland in Canada (ciliegio),
M.F. Bois in Francia per le albicocche.
La gamma di albicocche Carmingo® selezionate dal Dr. Bois ha la particolarità di
ampliare il calendario di produzione e commercializzazione da maggio a settembre. Le
caratteristiche dominanti sono l’auto-fertilità e le migliori qualità organolettiche. Per
l’epoca precoce, una delle nuove varietà da
valutare è Pricia®, con un bel sovraccolore
rosso, senza difetti dell›epidermide e con
una buona tenuta. In questo periodo di forte concorrenza IPS offre una varietà valida Pricia (sin.) e Mediabel, due belle albicocche precoci della serie Carmingo®.
per il mercato europeo e sviluppa campi di
maturazione molto precoce. Infine, per quanto attiene il ciliegio,
sperimentazione in tutta Europa per organizzare incontri e presentazioni varietali. A tale scopo IPS ha dal 1962 IPS ha la licenza Europea per le varietà ottenute dal
recentemente “arruolato” Edwige Remy, da tempo nota anche Centro di ricerca di Summerland (Canada); i genotipi selezionati
in Italia per le competenze nel settore delle albicocche e la sua hanno calibro importante, buona consistenza e, soprattutto, sofamigliarità con la lingua italiana (ndr).
no quasi tutti auto-fertili. Fra le varietà più significative figurano
Affianca le albicocche Carmingo® una gamma di pesche-net- Skeena®, Satin®, Samba® e Sweetheart® che hanno fatto regitarine di F. Zaiger caratterizzata da elevata omogeneità, buona strare un notevole sviluppo in Europa negli ultimi anni.
pezzatura e produttività, forma sferica con un bel colore rosso
Con lo sviluppo delle varietà in Europa IPS intende rinforzare
sulla quasi totalità del frutto e polpa con una elevata consistenla vigilanza sul mercato per scongiurare il contrabbando varieza. Per quanto riguarda il sapore, i frutti hanno eccellenti qualità
tale; l’obiettivo è che tutti operino in modo legale (pagando le
organolettiche. Dopo il successo di Big Top®, varietà numero
uno in Europa, IPS propone la gamma delle nettarine Honey “royalty”) per permettere ai breeder di continuare il loro lavoro
Zee® per ora prodotte e commercializzate in esclusiva dalle or- di miglioramento genetico e trovare le risorse per selezionare le
ganizzazioni di produttori che hanno costituito la Soc. Newplant. migliori varietà per i frutticoltori. Afferma la famiglia Darnaud:
IPS offre anche varietà californiane di susino che maturano “un produttore contento delle nostre varietà è la migliore pubblida metà giugno a metà settembre; la caratteristica dominante cità che possiamo avere”!
della gamma è la buona tenuta e le buone qualità organolettiEdwige Remy
che. Le più distribuite sono Crimson Glo (-10gg Fortune), con
polpa rossa, ed Earliqueen, molto interessante per l›epoca di
Research and Development International Plant Selection
I
sani” della Sharka, un aspetto che va
ben valutato in zone ancora indenni;
tale risorsa va gestita con precise strategie.
Innanzitutto bisogna essere consapevoli che la disponibilità di germoplasma resistente non è garanzia di
successo agronomico e commerciale,
in quanto necessita di una sperimentazione in campi di confronto varietale
per verificare l’adattabilità alle condizioni pedoclimatiche dei diversi areali
di coltura, verificando il gradimento da
parte del mercato e dei consumatori.
Inoltre, ci deve essere la consapevolezza che la resistenza non sempre è
definitiva, in quanto PPV è un patogeno che muta facilmente adattandosi
velocemente alle condizioni che trova
34
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
e selezionando naturalmente nuove
varianti del virus.
La prima varietà ad essere commercializzata in Italia è stata Bora*,
costituita dal prof. Bassi, a maturazione precoce, con epoca di fioritura
intermedia, frutti di grossa pezzatura
e un colore aranciato intenso, polpa
di buona consistenza e dolce. Questa
varietà è ben diffusa e sta offrendo discreti risultati. Negli ultimi anni sono
state introdotte le varietà resistenti a
PPV, selezionate in Spagna dal Cebas
di Murcia, Mirlo Blanco, Mirlo Rojo e
Mirlo Naranja, che presentano autocompatibilità e maturazione precoce,
quasi tutte nel mese di maggio. Attualmente non si hanno dati sufficienti sul comportamento negli ambienti
meridionali; bisognerà verificare l’eventuale esigenza di copertura per
proteggerle da ritorni di freddo e le
caratteristiche dei frutti.
Di altre varietà, sempre di origine spagnola, costituite dall’IVIA di
Valencia, si conoscono Mioxent,
IVIA-Alba-69, IVIA Alba-8, IVIA-Alba-71, ma, così come per la francese
Aramis®Shamade, costituita dall’INRA,
non si ha ancora alcun dato negli ambienti di coltivazione nostrani. Sarebbe
auspicabile che le nostre istituzioni,
nazionali e regionali, finanziassero attività di ricerca e sperimentazione volte all’ottenimento di varietà resistenti,
in modo da offrire ai nostri frutticoltori
genotipi selezionati nei nostri ambienti
colturali.
Q
Tecnica
SPECIALE SUSINO E ALBICOCCO
Emma e Gemma , nuove cultivar
di albicocco per l’epoca medio-precoce
®
®
DANIELE BASSI(1) - STEFANO FOSCHI(2) - MARTINA LAMA(3)
Università degli Studi di Milano
CRPV (Cesena, Fc)
Martina Lama – ASTRA Innovazione e Sviluppo (Faenza, Ra)
(1)
(2)
(3)
Il panorama varietale si
arricchisce di due nuove
proposte caratterizzate
da autofertilità, qualità
e serbevolezza dei frutti.
Si allarga il confronto con le
nuove varietà francesi
e spagnole.
I
l programma di miglioramento varietale di albicocco e pesco oggi
denominato MAS.PES, vede le sue
origini presso l’Università di Bologna
tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, ha vissuto una serie di cambiamenti, sfociati
nell’attuale assetto che risale al 2003.
In passato è stato finanziato, oltre che
dal Mipaaf e dal CNR, anche dalla
Regione Emilia-Romagna e da alcune
Fondazioni Bancarie romagnole, mentre è attualmente sostenuto in larga misura da alcune organizzazioni di produttori (OO.PP.).
L’attività si svolge sotto la responsabilità scientifica dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione
con quelle di Bari, Bologna e Udine,
oltre che col Polo Tecnologico di Lodi,
PRECOCE
MEDIO
PRECOCE
EPOCA DI FIORITURA
MEDIO
INTERMEDIA TARDIVA
l’azienda sperimentale ASTRA Innovazione e Sviluppo di Faenza (Ra), ed
il coordinamento del CRPV di Cesena. Gli obiettivi sono mirati all’ottenimento di cultivar di albicocco e pesco
per l’Emilia-Romagna, valorizzando
i caratteri di adattamento ambientale
(costanza produttiva e resistenza alle
minime termiche), qualità dei frutti e
resistenza ad alcune malattie (come la
virosi Sharka nell’albicocco e nel pesco, l’oidio ed i marciumi da moniliosi
nei frutti di pesco). Gli obiettivi specifici sono concordati con le OO.PP.
al fine di rendere più efficiente l’ottenimento di gamme di cultivar di alto
pregio.
Il programma integra tecniche tradizionali (effettuazione di incroci, allevamento in campo degli alberi e relativa
selezione agronomico-pomologica) e
tecniche di selezione su base genomica.
Per quanto riguarda l’albicocco, nel recente passato il progetto ha fatto registrare significativi successi: basti ricordare Ninfa* e Bora®, coltivate in tutte
le aree del territorio nazionale, ed entrambe adatte anche alla coltivazione
protetta, ed il più recente licenziamento di Pieve* e Petra®, molto apprezzate
per le pregevoli caratteristiche organolettiche dei frutti.
Per il raggiungimento degli obiettivi
prefissati si è fatto ricorso sia ad accessioni italiane (in particolare Portici e
Reale di Imola per la qualità del frutto), sia ad accessioni Nord americane,
in particolare quelle ottenute presso le
stazioni di ricerca di Prosser (Stato del
Washington) e di Harrow (Canada). Per
il materiale dell’Università di Prosser
si menziona Goldrich, mentre da Harrow proviene la serie delle cultivar che
inizia con ‘H’, tra cui Harcot, HW408,
ecc. Il materiale nord-americano è di
grande interesse perché abbina la buona qualità del frutto (lento intenerimento, uniformità di maturazione, sapore)
alla resistenza al PPV, virus responsabile della Sharka. Unico neo di questo
materiale genetico è la scarsa o nulla
auto-compatibilità biologica dei fiori,
che rende spesso aleatoria la produttività. Viceversa, il materiale genetico
di origine italiana è caratterizzato da
piena fertilità.
Le due nuove cultivar derivano
entrambe da incroci che assommano
i pregi dei due patrimoni genetici. In
Emma troviamo infatti ‘sangue’ di Portici, mentre in Gemma quello di Reale
di Imola. Per quanto riguarda la resistenza a PPV, Emma ha come madre
Bora®, coltivata su un’estensione di alcune centinaia di ettari da ormai una
decina di anni (sia in Romagna, sia
FENOGRAMMA DI MATURAZIONE
TARDIVA
BORA
EMMA
ORANGE RUBIS
GEMMA
GOLDRICH
KIOTO
PIEVE
PORTICI
GIUGNO
LUGLIO
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 1 2 3 4 6 7 8 9 10
Fig. 1 - Periodi di fioritura e date di maturazione medie di Emma e Gemma a confronto con le principali cultivar commerciali della medesima
epoca.
36
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
Fig. 2 - Alberi di Emma (sin.) e Gemma (ds.), rispettivamente in piena e ad inizio fioritura.
Emma®
Origine genetica: ottenuta nel 2003 dall’incrocio di Bora®
{Early Blush (NJ A53) x PA 7005-2 [Rival x (Goldrich x P A43)]} x
Portici e selezionata presso l’azienda sperimentale Astra-Innovazione e Sviluppo (Faenza, Ra) come BO 03613001.
Costitutori: Daniele Bassi, Università degli Studi di Milano;
Stefano Foschi e Marisa Rizzo (CRPV, Cesena, Fc).
Albero: presenta una fioritura precoce e generalmente abbondante; i fiori sono auto-compatibili. Il vigore è elevato ed il
portamento è regolare-assurgente, con la produzione, elevata
e costante, distribuita prevalentemente su dardi e rami misti.
L’entrata in produzione è precoce e la maturazione in Romagna
precede di circa 10 giorni Kioto.
TAB. 1 - PRINCIPALI PARAMETRI CHIMICO-FISICI DEL FRUTTO(1)
Cultivar
Peso
Anno medio
(g)
Durezza
polpa
(kg/cm2)
Brix
Acidità
(°) (meq/100 g) pH
Emma®
2011
50
1,0
14,0
30,0
3,35
Kioto*
2011
55
1,6
11,6
31,2
3,33
2012
51
1,0
15,4
32,0
3,38
Emma
®
(1)
Campioni proveniente da zona collinare non irrigua (Imola, Bo). Determinazioni
di laboratorio effettuate da ASTRA Innovazione e Sviluppo (Faenza, RA).
Panel-test, descrittori gustativi (fonte: Astra Innovazione e
Sviluppo).
Panel-test, giudizi di gradevolezza globale (fonte: Astra Innovazione
e Sviluppo).
Frutto: è di pezzatura media e forma oblunga, leggermente
asimmetrica, con apice e sutura leggermente incavati; la buccia
è di colore giallo-aranciato con sovraccolore rosso sul 30-40%
della superficie. Il nocciolo è spicco, ovato, con carena mediamente pronunciata. La valutazione organolettica effettuata dal
panel riporta una maturazione uniforme non soggetta a disfacimento interno, di ottimo sapore, aromatico, nonostante la buccia sia piuttosto acida.
Giudizio complessivo: interessante per l’epoca di maturazione precoce e le pregevoli caratteristiche organolettiche (aroma e sapore) del frutto. Discreta la pezzatura, buona la tenuta in pianta. Autofertile, denota una precoce messa a frutto e
un’adattabilità a diverse condizioni pedoclimatiche per l’areale
emiliano-romagnolo vocate per l’albicocco.
Q
Particolare dei frutti di Emma.
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
37
Gemma®
Origine genetica: ottenuta nel 2003 dall’incrocio di BO
92639060 (HW 408 x Reale d’Imola) x Orange Red® e selezionata presso l’azienda Sperimentale Astra Innovazione e Sviluppo
(Faenza, Ra) come BO 03608022.
Costitutori: Daniele Bassi (Università degli Studi di Milano),
Stefano Foschi e Marisa Rizzo (CRPV, Cesena, Fc).
Albero: presenta fioritura medio-tardiva e generalmente abbondante; i fiori sono auto-compatibili. Il vigore è medio-elevato
ed il portamento è regolare-espanso, con la produzione, elevata
e costante, distribuita prevalentemente su rami anticipati e dardi. L’entrata in produzione è media e la maturazione in Romagna
precede di circa 4 giorni Kioto*.
TAB. 1 - PRINCIPALI PARAMETRI CHIMICO-FISICI DEL FRUTTO(1)
Cultivar
Peso
Anno medio
(g)
Durezza
polpa
(kg/cm2)
Brix
Acidità
(°) (meq/100 g) pH
Gemma®
2011
63
2,5
14,4
22,0
3,48
Kioto*
2011
55
1,6
11,6
31,2
3,33
Gemma®
2012
62
1,5
18,6
19,4
3,64
(1)
Campioni proveniente da zona collinare non irrigua (Imola, Bo). Determinazioni
di laboratorio effettuate da ASTRA Innovazione e Sviluppo (Faenza, RA).
Panel-test, descrittori gustativi (fonte: Astra Innovazione e
Sviluppo).
Panel-test, giudizi di gradevolezza globale (fonte: Astra Innovazione
e Sviluppo).
Frutto: è di pezzatura medio-elevata e forma ovata-ellittica,
leggermente asimmetrica, con apice sporgente (piccolissimo
umbone); la buccia è di colore giallo-aranciato con sovraccolore
rosso sul 30-40% della superficie, di sapore mediamente acido.
Il nocciolo è spicco, ovato, con carena mediamente pronunciata. La valutazione organolettica effettuata dal panel riporta una
maturazione uniforme non soggetta a disfacimento interno, di
ottimo sapore, aromatico, nonostante la buccia sia piuttosto
acida.
Giudizio complessivo: cultivar molto interessante per le pregevoli caratteristiche organolettiche del frutto, molto bello all’aspetto e di sapore molto dolce e aromatico. Discreta la pezzatura,
elevata la tenuta in pianta. Necessita di adeguata potatura per
indirizzare la produzione verso i rami anticipati e i dardi.
Q
Particolare dei frutti di Gemma.
in Puglia e Basilicata) senza che siano mai stati segnalati casi di attacchi
di PPV; inoltre, recenti e approfondite
indagini fanno ritenere questa cultivar
probabilmente immune al virus.
Gemma ® ha come padre Orange
Red®, anch’essa portatrice del carattere di resistenza. Per entrambe le
nuove cultivar non sono però ancora
stati completati i saggi di resistenza,
per cui non è ancora noto quale possa essere la loro reazione agli attacchi
del virus.
Il motivo principale per cui Emma®
e Gemma® vengono proposte al mercato è il fatto che abbinano a buone caratteristiche agronomiche (produttività,
38
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
grazie anche alla piena fertilità fiorale
e tenuta di maturazione), ottime peculiarità pomologiche (aspetto e qualità
intrinseca, uniformità di maturazione),
così come attestato dai saggi tramite panel test (effettuati dal laboratorio
ASTRA-Innovazione e Sviluppo). Infatti, occorre tenere presente che in questa fascia di calendario che anticipa
Kioto, estremamente interessante per
il mercato dell’albicocca, non ci sono
per ora altre cultivar che assommano
tutti questi caratteri postivi, e la loro
contigua epoca di maturazione si giustifica nell’ottica di una continuità di
offerta di prodotto di elevato standard
qualitativo.
A riguardo della qualità intrinseca,
sono risultate entrambe nettamente
superiori a Kioto*, oltre alla pezzatura
(Gemma®), sia in termini di contenuto zuccherino (Gemma® in particolare), sia di gradevolezza complessiva,
compresa la componente aromatica.
Da notare come nei due anni di valutazione qualitativa (2011 e 2012) i
risultati del panel siano stati estremamente concordanti per entrambe le
cultivar.
Per quanto riguarda la diffusione
commerciale, è stata avviata la richiesta di ‘privativa’ europea per entrambe.
Maggiori informazioni possono essere
richieste al CRPV di Cesena.
Q
Tecnica
DOSSIER FRUTTA SECCA
Cresce l’interesse mondiale
per la frutta secca: la produzione
italiana non soddisfa il fabbisogno
CECILIA CONTESSA - ROBERTO BOTTA
Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA) - Università di Torino
Secondo la FAO nel mondo
vengono prodotti circa 14 Ml di
t di frutta secca all’anno, con un
incremento costante dell’offerta
ed un mercato guidato
prevalentemente da USA e
Paesi asiatici. La tendenza
all’aumento è dovuta anche
alle campagne salutistiche
intraprese per incentivare il
consumo giornaliero di frutta
secca, di cui è stato dimostrato
l’alto valore nutraceutico.
Rinnovato interesse anche
in Italia per bilanciare le
importazioni.
L
e specie di frutta a guscio coltivate in Italia sono il nocciolo,
il mandorlo, il noce e, in minor
misura, il pistacchio. In passato l’Italia primeggiava per le produzioni
sul panorama internazionale; oggi si
registra una forte contrazione dell’incidenza del prodotto nazionale sul
totale mondiale. Nonostante la vocazionalità ambientale e l’eccellente
qualità delle cultivar locali, tuttavia
non sempre competitive per produttività e resa dello sgusciato, la produzione di frutta secca nel nostro Paese
ha registrato incrementi significativi
solo per il nocciolo. In generale, infatti, la produzione italiana fatica a
seguire il trend mondiale, risultando
inadeguata a soddisfare il fabbisogno
interno. Questo è dimostrato dalle
statistiche degli ultimi anni che pongono l’Italia tra i principali Paesi consumatori ed al contempo importatori
di frutta secca al mondo.
Nocciolo
Secondo le statistiche ufficiali
FAO, i Paesi produttori di nocciole
a livello mondiale sono attualmente
30, sette in più rispetto al 2000. La
4.000.000
3.500.000
3.000.000
t
2.500.000
2.000.000
1.500.000
1.000.000
500.000
0
2003
2004
2005
Mandorle
2006
Noci
2007
2008
2009
Nocciole
2010
2011
2012
Pistacchi
Fig. 1 - Trend mondiale (t) della produzione di mandorle, noci, nocciole e pistacchi in guscio dal
2003 al 2012 (fonte FAO, 2014).
40
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
produzione annua mondiale di nocciole in guscio si aggira attorno alle
872.000 t (media 2008-12, dati FAO
2014), 914.000 t nel 2012, il 35% in
più rispetto al 2000. La produzione
si concentra principalmente in due
Paesi: al primo posto si pone la Turchia con 600.000 t/anno, al secondo
l’Italia con 105.000 t/anno. Gli Stati
Uniti si collocano al terzo posto con
33.000 t/anno, sostituendo la Spagna che negli ultimi dieci anni ha
quasi dimezzato la sua produzione,
registrando un continuo decremento della superficie investita (appena
14.000 ha censiti nel 2012, per una
produzione pari a 14.000 t) che la
pone all’ottavo posto nella statistica dei Paesi produttori. Agli Usa
seguono Azerbaijan e Georgia con,
rispettivamente, 30.000 t e 25.000 t
annue prodotte. Azerbaijan, Georgia
e Iran hanno incrementato significativamente l’output prodotto nel corso
degli ultimi anni, a dimostrazione di
un crescente interesse verso la corilicoltura. Inoltre, la coltivazione del
nocciolo è stata introdotta in Paesi
come Australia, Cile e Sudafrica.
Complessivamente la diffusione
della specie ha provocato un aumento della superficie coltivata salita nel
2012 a 600.000 ha, il 18,6% in più
rispetto al 2002 (fonte FAO, 2014).
L’incremento dell’offerta è cresciuto
notevolmente nell’ultimo decennio,
ma la disponibilità annua presenta comunque notevoli oscillazioni.
Questo dipende dalle ampie fluttuazioni del raccolto da un anno all’altro
e, soprattutto, dal variabile andamento della produzione turca. La Turchia
domina il mercato mondiale a causa
del volume di prodotto e dei bassi co-
Cosa fa lo Stato per la frutta in guscio?
e specie di frutta in guscio, meglio note come “frutta secca” e cioè nocciolo, castagno, noce, mandorlo, pistacchio
e carrubo, non sono andate fuori moda, anche se in gran parte “fuori coltura”. Troppo poche, però, sono le iniziative ministeriali e pubbliche per far decollare, se non ridarne slancio,
questo comparto per il quale l’Italia è ormai diventata grande
importatrice.
Il Mipaaf a suo tempo aveva costituito un “tavolo di filiera”
per esaminare le problematiche di settore, facendosi propulsore e coordinatore di progetti di ricerca e sviluppo di iniziative
incentivanti gli impianti, l’aggregazione dell’offerta e la promozione commerciale del prodotto. Molte erano state le speranze
sollevate qualche anno fa da questa iniziativa. Ma la riunione del
“Tavolo” tenutasi lo scorso marzo a Roma con i rappresentanti
ed operatori del settore ha potuto prendere nota della situazione
quasi disperata di una ripresa a breve, sia sul piano produttivo
che su quello mercantile, per alcune di queste specie, come il
L
sti di produzione che le consentono
di praticare sui mercati internazionali prezzi nettamente concorrenziali.
Solo il 19% delle nocciole turche
viene destinato al consumo interno,
il restante 81% va all’esportazione,
in particolare verso i Paesi dell’Ue.
L’Italia esporta appena il 13,6% della
produzione nazionale (media 200711, dati FAO 2014).
L’area comunitaria rappresenta il
mercato di destinazione in assoluto
più importante, assorbendo una quota consistente, pari a circa il 68%,
del volume delle importazioni mondiali annue complessive di prodotto
nocciolo e il castagno (colpito fortemente da un parassita forestiero, il cinipide). Per le rimanenti quattro specie è stata compiuta un’ampia ricognizione, ma purtroppo, in generale, sono
mancate le risorse finanziarie pubbliche per agire. Le poche risorse stanziate sono state finora assorbite dal “piano corilicolo”
nazionale e dall’emergenza “cinipide” (castagno). I due piani ora
sono scaduti e non sono stati rinnovati.
È stata auspicata anche la costituzione di consorzi e di marchi commerciali, ma finora non s’intravvedono iniziative decisive
al riguardo. Ci sono, tra l’altro, da rispettare le normative comunitarie per le OP, i disciplinari di produzione che mancano.
La conclusione del tavolo è andata nella direzione di auspicare, almeno, provvedimenti-tampone attraverso i nuovi piani di
sviluppo rurale delle singole Regioni in attesa che a livello nazionale si rifacciano “piani di settore” per le varie frutta in guscio,
dotati di adeguate risorse finanziarie, che finora non sono state
nemmeno promesse.
Q
sgusciato (195.000 t nel 2011) (fonte INC 2012); in particolar modo,
la Germania, con 65.500 t, risulta il
principale Paese importatore, seguito
dall’Italia con 30.000 t e dalla Francia con 17.000 t (media 2007-11, dati FAO 2014). Per quanto concerne,
invece, i Paesi consumatori, l’Italia
si colloca sensibilmente al primo posto, sia per il consumo complessivo
annuo (90.000 t/anno; media 200610, dati INC 2012), sia in termini di
consumo medio annuo pro-capite di
prodotto sgusciato (1,5 kg/anno; media 2006-10). L’Italia, inoltre, ha fatto
registrare negli ultimi anni un note-
Mandorlo
Nocciolo
USA (1.087.447 t; 46,9%)
Spagna (220.026 t; 9,5%)
Australia (139.949 t; 6%)
Iran (127.054 t; 5,5%)
Italia (105.640 t; 4,6%)
Marocco (968.800 t; 4,2%)
Siria (93.858 t; 4%)
Altri (448.020 t; 19,3%)
Noce
N%
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"'? Q)),-3
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vole aumento dei consumi passando
dalle 79.397 t del 2007 (1,34 kg/procapite) alle 103.250 t del 2011 (1,71
kg/pro-capite) (INC 2012).
A livello nazionale la coltivazione
del nocciolo è diffusa su tutto il territorio, ma la produzione si localizza essenzialmente in Lazio, Campania, Piemonte e Sicilia che, insieme,
rappresentano circa il 92% del totale (dati medi 2007-11, fonte ISTAT,
2014). Il Lazio con 43.000 t/anno
concorre per circa il 34% al raccolto
italiano di nocciole. La produzione è
costituita prevalentemente dai frutti
della cultivar Tonda Gentile Romana,
Turchia (598.158 t; 68,6%)
Italia (104.576 t; 12%)
USA (32.400 t; 3,7%)
Azerbaijan (30.035 t; 3,4%)
Georgia (25.020 t; 2,9%)
Iran (20.833 t; 2,4%)
Cina (19.700 t; 2,3%)
Altri (41.080 t; 4,7%)
Pistacchio
Cina (1.289.572 t; 43,7%)
Iran (434.049 t; 14,7%)
USA (418.645 t; 14,2%)
Turchia (180.775 t; 6,1%)
Messico (95.766 t; 3,2%)
Ucraina (91.992 t; 3,1%)
Francia (32.761 t; 1,1%)
Italia (11.900 t; 0,4%)
Altri (402.207 t; 13,6%)
Iran (456.827 t; 50,6%)
USA (191.259 t; 21,2%)
Turchia (118.382 t; 13,1%)
Cina (58.200 t; 6,4%)
Siria (56.872 t; 6,3%)
Grecia (9.360 t; 1%)
Italia (2.831 t; 0,3%)
Altri (8.843 t; 1%)
Fig. 3 - Principali Paesi produttori, quantità prodotte e percentuale sul totale mondiale (media 2008-12; FAO 2014) di mandorlo, noce, nocciolo e
pistacchio.
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
41
Innovazione e sostenibilità per uscire dalla crisi della castanicoltura
minaccia del cancro corticale, ormai endemizzato nel territorio
castanicolo, negli ultimi 30 anni la coltura è stata sottoposta ad
una serie di fattori di stress biotici e abiotici molto spesso collegati tra loro. Da circa 3 decenni il modificarsi progressivo del
clima ha favorito la recrudescenza del Mal dell’Inchiostro, causato dall’organismo alieno invasivo Phytophthora cambivora, e
ha aperto all’invasione della più temibile Phytophthora cinnamomi. Inoltre, il maldestro e scellerato commercio di materiale
di propagazione ha causato, in questi ultimi anni, la devastante
infestazione della vespa galligena, Dryocosmus kuryphilus, che
ha oggi invaso l’intera area castanicola nazionale. La castanicoltura soffre inoltre eventi, sempre più frequenti, associati al
cambiamento del clima così come
certo non beneficia dell’eccessivo ricorso alla meccanizzazione
causa di un impatto negativo sulla biodiversità vegetale, animale e
microbiologica del suolo, nonché
del compattamento del suolo.
Castanea 2014, attraverso i
contributi del mondo scientifico
nazionale e non solo, sarà quindi
l’occasione per fare il punto su
questi temi “caldi”, aprire tavoli di
confronto anche con gli attori dei
territori e discutere per promuovere una vera gestione sostenibile e
integrata dell’habitat castanicolo.
A Viterbo, in settembre, Castanea 2014,
VI Convegno Nazionale sul Castagno
l rilancio e la valorizzazione della castanicoltura italiana non
possono prescindere dall’aumento di competitività del castagno europeo nei confronti delle altre produzioni mondiali, essenzialmente asiatiche. La presenza del castagno in gran parte
dei territori collinari e montani dell’arco prealpino e di tutta la
dorsale appenninica testimoniano della multifunzionalità di questa risorsa che può essere considerata un valore strategico per
l’economia agroforestale del nostro Paese.
I boschi di castagno rappresentano una realtà paesaggistica
unica e un patrimonio naturale da
difendere e preservare. Questo patrimonio alimenta economie locali
basate su prodotti tipici, cultura
enogastronomica, attività agrituristiche e attività naturalistiche.
Il castagno è parte della cultura
e tradizione delle comunità locali
e delle abitudini anche quotidiane. La castanicoltura ha garantito
per secoli il presidio del territorio,
la cura e la salvaguardia dell’ambiente e rappresentato una solida
continuità territoriale, ecologica e
di identità paesaggistica. Accanto
alla castanicoltura tradizionale si
sta sviluppando da anni una nuova castanicoltura da frutto, basata
sui criteri e gli schemi classici della
frutticoltura.
Moderno impianto di ibrido euro-giapponese di castagno
Purtroppo, superata la terribile in provincia di Cuneo.
I
t
molto apprezzata per le caratteristiche qualitative, idonee alle esigenze
dell’industria dolciaria. Sono presenti
anche Tonda di Giffoni e Nocchione.
Al secondo posto viene la corilicoltura campana, che con 39.500 t/anno
fornisce il 31,6% della produzione
nazionale. Le cultivar più diffuse so-
no Mortarella e San Giovanni a frutto
allungato, Tonda di Giffoni e Riccia
di Talanico a frutto tondo.
La produzione piemontese con
16.500 t/anno concorre per circa il
13% a quella nazionale. La coltura
del nocciolo è localizzata nella zona
della Langhe, in provincia di Cuneo,
160,000
150,000
140,000
130,000
120,000
110,000
100,000
90,000
80,000
70,000
60,000
50,000
40,000
30,000
20,000
10,000
0
2003
2004
2005
mandorle
2006
nocciole
2007
2008
noci
2009
2010
2011
2012
pistacchi
Fig. 3 - Trend produttivo italiano (t) di mandorle, nocciole, noci e pistacchi. I dati si riferiscono al
prodotto in guscio (FAO, 2014).
42
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
Giancarlo Bounous
Universita di Torino
Andrea Vannini
Università della Tuscia - Viterbo
Asti ed Alessandria con la Tonda Gentile Trilobata (sin. Tonda Gentile delle
Langhe) come varietà di riferimento
che costituisce il 97% degli impianti oggi presenti in regione. In Sicilia,
invece, dove i corileti sono concentrati prevalentemente nel Messinese,
le cultivar fanno riferimento ad un
genotipo prevalente conosciuto con
nomi varietali diversi, tra cui Mansa,
S. Maria di Gesù, Comune e Nostrale,
ed identificato come Nocchione o una
sua mutazione. La produzione, stimata in circa 16.200 t/anno (media 200711), pari al 13% di quella nazionale, è
considerata di minor pregio commerciale. La sua destinazione prevalente
è quella della trasformazione locale e
del consumo da tavola.
La situazione mondiale vede quindi ancora una tendenza all’espansione della coltura, in particolare in Paesi emergenti, trend che si osserva anche in alcune regioni italiane sia per
l’abbandono di altre colture, sia per
la remuneratività che la corilicoltura
consente nei contesti rurali collinari.
45.000
350.000
40.000
300.000
35.000
250.000
30.000
t
25.000
200.000
20.000
150.000
15.000
x1000
US$
100.000
10.000
50.000
5.000
0
0
2002
2003
2004
import mandorle (t)
import mandorle (US$)
2005
2006
import nocciole (t)
import nocciole (US$)
2007
2008
2009
import noci (t)
import noci (US$)
2010
2011
import pistacchi (t)
import pistacchi (US$)
Fig. 4 - Import italiano di mandorle, nocciole noci e pistacchi: quantità (t) e valore (US$). Per mandorle e nocciole i dati si riferiscono al prodotto
sgusciato; per le noci e i pistacchi sia al prodotto in guscio che a quello sgusciato (FAO, 2014).
Noce
La produzione mondiale di noci
in guscio è di circa 3.000.000 t/anno
(media 2008-12, dati FAO 2014) ed è
concentrata in Cina, Iran e Stati Uniti
dove viene ottenuto rispettivamente
il 43,7, il 14,7 e il 14,2% dell’intero
prodotto. La restante quota è suddivisa tra Turchia (6%), Messico (3%),
Ucraina (3%) e Francia (1%); tra i
Paesi produttori di minor rilevanza
rientra l’Italia, che si posiziona al
diciottesimo posto nella classifica
mondiale. Dal 1980 al 2012 il trend
produttivo mondiale della noce da
frutto ha registrato una forte e continua crescita sia per i quantitativi
prodotti, sia in termini di superficie
investita, riportando un incremento
di produzione del 330%, con circa
3.400.000 t di noci in guscio ottenute
nel 2012, ed un aumento della superficie nocicola del 470%, che ad oggi
ha raggiunto il milione di ettari (dati
FAO 2014).
Gli USA, con 426.000 t di frutti
prodotti nel 2012 e una superficie investita di circa 99.000 ha, concentrata essenzialmente in California, sono
il principale Paese esportatore di noci
a livello mondiale con un volume di
circa 93.000 t/anno di prodotto in guscio e 67.000 t/anno di prodotto sgusciato, venduto principalmente sul
mercato europeo, per un valore tota-
le che si aggira attorno ai 700 Ml di
dollari/anno (media export 2007-11).
La Francia con 32.700 t/anno di noci prodotte (media 2008-12) è l’unico Paese europeo produttore con un
significativo impatto commerciale,
con un incremento della superficie
investita a noce del 31% dal 2000 al
2012. La nocicoltura francese è localizzata in due zone principali, ‘Noix
du Pèrigord’ e ‘Noix de GrenoblÈ
(DOC), con cultivar di buona qualità, ma dalle rese inferiori rispetto alle
varietà californiane.
In Italia negli anni ’70 si producevano circa 80.000 t/anno di noci;
in seguito la nocicoltura ha subito un
ridimensionamento delle superfici in-
Nocciola Day, l’Italia dei territori corilicoli
er condividere con il grande pubblico i valori della nocciola
italiana, l’Associazione Nazionale Città della Nocciola ha
ideato il “Nocciola Day” che è andato in scena nel dicembre
scorso nelle principali città italiane e nei 240 paesi italiani produttori di nocciole. Dalla Sicilia alla Campania, dal Lazio al Piemonte, dalla Lombardia alla Calabria, dalla Toscana all’Umbria,
nelle principali regioni corilicole italiane sono stati organizzati
numerosi eventi che avevano come protagonista la nocciola
italiana: escursioni guidate nei sentieri della nocciola, weekend,
menù dedicati nei ristoranti, bar e pasticcerie, stand gastronomici, laboratori sensoriali, convegni e mostre fotografiche. Per
scoprire tutte le iniziative basta andare sul sito www.nocciolaitaliana.it.
La nocciola italiana rappresenta un tassello fondamentale
dell’economia agricola di alcune regioni come Campania, Lazio, Piemonte e Sicilia, dove è concentrato ben il 98% della
produzione. Da un punto di vista qualitativo le nostre nocciole
sono di gran lunga le più buone al mondo per valori nutrizionali
ed organolettici. I dati dell’ultimo panel d’assaggio ufficiale della nocciola, svoltosi a Roma nel 2011, mostrano che le varietà
italiane sono superiori rispetto a quelle estere per dolcezza e
P
persistenza olfattiva, caratteristiche particolarmente apprezzate nei prodotti dolciari. All’analisi sensoriale delle diverse cultivar testate le migliori nel gradimento complessivo risultano
Tonda di Giffoni, Nocciola Piemonte, Nocciola dei Nebrodi e
delle Madonie e la Nocciola Romana; alcune di queste si fregiano del marchio Igp o Dop.
“Da sola o anche come ingrediente di snack, salse e dolci, la nocciola italiana rappresenta il cibo ideale per coniugare
gusto e sana alimentazione”, ha dichiarato Rosario D’Acunto,
Presidente dell’Associazione Nazionale Città della Nocciola. La
nocciola, infatti, è costituita da una variegata e ben assemblata
miscela di sostanze utili alla salute; una particolare formulazione in acidi grassi, infatti, rende questo frutto ricco di molecole
bioattive (fitosteroli, polifenoli, vitamine), fibre e sali minerali che
favoriscono la prevenzione di malattie cronico-degenerative. È
confermato, ad esempio, che l’acido oleico, di cui sono ricche le
nocciole, consente di mantenere sotto controllo i livelli di LDL, il
cosiddetto “colesterolo cattivo”, mentre innalza quelli di HDL, il
“colesterolo buono”. Le nocciole sono inoltre ricche di calcio e
vitamina E che fornisce un apporto significativo di agenti antiossidanti che rallentano l’invecchiamento dei tessuti.
Q
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
43
La castanicoltura cuneese riparte dopo l’incubo cinipide
ultima edizione della Fiera del Marrone di Cuneo (ottobre 2013) ha segnato un punto di svolta per la castanicoltura
piemontese. Folla di visitatori provenienti
soprattutto dal Nord-Europa, risultato della
buona comunicazione territoriale. È la più
grande kermesse agro-alimentare nel nome
della castagna. La “food valley” del basso
Piemonte, con i suoi distretti agro-alimentari dell’ortofrutta, del vino, della carne e
dei formaggi, si incontra qui con le tante
contaminazioni gastronomiche tra castagna e altri ingredienti. Castagne e marroni,
declinati in tutti i preparati più sfiziosi, da
quelli tradizionali alle nuove proposte, hanno fatto bella mostra di sé nelle centinaia
di stand allestiti nello scenario del centro
storico. Cuneo, con le sue valli, torna a sentirsi capitale della castagna, come nei primi
decenni del 900, quando è stata istituita la
Fiera e la grande piazza si trasformava nel
vero mercato della castagna.
La svolta si intravvedeva nell’euforia palpabile degli operatori. Per la castanicoltura
cuneese il 2013 è stato l’inizio della fine di
un incubo durato dieci anni: l’infestazione
del cinipide (Dryocosmus kuriphilus). Finalmente i castagni sono apparsi visibilmente
liberi dalle galle che avevano affossato la
produttività. La produzione 2013 è tornata
ai livelli pre-cinipide, con qualità eccellente
e quotazioni elevate: da 2 a 4 €/kg ai produttori. La cosa è di buon auspicio per le
altre regioni italiane che sono state successivamente infestate dal cinipide.
L’incubo era iniziato nel 2002, quando
alcuni castanicoltori della Valle Colla avevano portato al Centro sperimentale del Creso a Boves alcuni rami
con sintomi “strani”. Non c’era voluto molto per capire di cosa
si trattasse. Si scoprì che l’insetto era stato introdotto – accidentalmente quanto irresponsabilmente – dalla Cina con una o
più forniture di materiale vivaistico. La progressione della “vespetta” apparve impressionante anche per gli addetti ai lavori. In
pochi anni, dal nucleo centrale di insediamento delle Valli Pesio,
Colla e Vermenagna, a Sud di Cuneo, l’insetto si estese a tutto
il territorio piemontese, modificando anche l’aspetto dell’albero
e del paesaggio. Le chiome completamente coperte di galle
proiettano un’ombra rada.
C’era un’unica soluzione da adottare, l’introduzione del limitatore naturale Torymus sinensis, che aveva brillantemente risolto il problema già in Giappone e negli Stati Uniti. L’introduzione
dal Giappone, l’allevamento e l’immissione sul territorio sono
stati curati dal Divapra – Entomologia dell’Università di Torino.
Ricordo la liberazione della prima coppia di Torymus alla presenza della stampa nella primavera 2005. Fu come accendere
una miccia, sapendo che per il botto ci sarebbero voluti 6– anni.
Nel frattempo gli entomologi confermavano che il limitatore naturale si era insediato stabilmente, moltiplicandosi ad un ritmo
ben superiore al cinipide. Le galle parassitizzate dal Torymus
cominciavano ad osservarsi diffusamente nei castagneti. Quanta fatica però a convincere l’opinione pubblica che era l’unica
strada giusta!
Nel frattempo i castagneti non se la sono passata bene. Il calo di produzione è stato nell’ordine dell’80%. Ma, se è vero che
i castagni non muoiono per il cinipide, le piante indebolite sono
andate soggette ad altre patologie. Si è costatata una generale
recrudescenza del cancro corticale (Cryphonectria parasitica); si
L’
44
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
sono susseguite annate caratterizzate
da piogge persistenti in fioritura che
hanno causato marciume dei frutti
(Gnomoniopsis castanea), che ha reso incommerciabile la scarsa produzione raccolta.
Ora che si intravvede la fine dell’emergenza cinipide, vale la pena interrogarsi sulle prospettive della castanicoltura. I finali felici esistono solo
nelle fiabe e nel caso del castagno
è bene ricordare che la situazione
pre-cinipide non era affatto brillante.
Quella che nei secoli precedenti era
stata la civiltà del castagno era in declino, l’abbandono dei boschi appariva inarrestabile. Il cinipide è stata la
goccia che ha fatto traboccare il vaso.
È ragionevole attendersi che il Cuneese – e a seguire il Piemonte – godrà di
un vantaggio competitivo rispetto alle
altre regioni. Primi ad entrare nell’emergenza, primi ad uscirne. Per un
periodo di due/tre anni le quotazioni
dovrebbero mantenersi elevate, in un
contesto di offerta ancora al di sotto
della domanda.
Occorrerà sfruttare questo momento magico per intraprendere le
iniziative di rilancio del settore. In
questi anni il coordinamento dell’emergenza cinipide è stata affidata ad
un tavolo tecnico, guidato dal Settore
Agricoltura della Provincia di Cuneo,
che ha coinvolto i tecnici e i ricercatori dell’Università di Torino, Comunità
montane e organizzazioni professionali. Visti i successi ottenuti, il tavolo potrà diventare la cabina
di regia per far ripartire la castanicoltura. Per la castanicoltura
“specializzata” (frutteti di castagno in terreni fertili di altipiano)
non mancano le opportunità. Il Marrone di Chiusa di Pesio e gli
altri ecotipi piemontesi sono varietà esigenti, da coltivare nei
terreni fertili di fondovalle. Il limite all’espansione non è certo
la disponibilità dei terreni, che spesso abbondano incolti, ma
la sensibilità al cancro corticale, che ha fatto registrare picchi
di recrudescenza. Negli stessi ambienti si coltiva con successo
la varietà Bouche de Bétizac, l’unico ibrido euro-giapponese di
pregio. Si è diffuso in questi anni perché resistente all’infestazione del cinipide, spunta i prezzi più elevati, al pari dei marroni
locali, per l’eccellente profilo gustativo. Sui terreni in pendio, su
cui ancora oggi è diffusa la castanicoltura piemontese, occorre
puntare sulle varietà locali di maggior pregio: Garrone Rosso,
Bracalla, Sirie, ecc.
Oltre ai consumi tradizionali si strizza l’occhio a nuovi utilizzi,
quali la birra di castagne, l’impiego della castagna nella cucina
e nella gastronomia (ricette nuove per piatti golosi, dove la castagna funge da richiamo al territorio). Questi castagneti “eroici” meritano un’attenzione da parte della collettività anche per
gli aspetti paesaggistici. Alcuni castagneti storici delle valli del
Piemonte Sud-occidentale sono siti di puro interesse paesaggistico, parchi naturali del castagno in cui si snodano percorsi
naturalistici sempre più frequentati, fungendo da “incoming”
turistico per tutto il territorio e sembra corretto, quindi, che tutti
gli operatori, non solo quelli agricoli, si facciano carico del loro
Q
mantenimento.
Cristiano Carli - Silvio Pellegrino
CReSO - Cuneo
vestite, con conseguente diminuzione delle quantità prodotte, fino alle
attuali 12.000 t/anno su una superficie di 4.400 ha (media 2008-12).
Nonostante Cina, Iran e Turchia
siamo i principali attori della nocicoltura mondiale, la produzione di questi Paesi è utilizzata prevalentemente
per coprire il fabbisogno interno. L’esportazione da parte dei grandi produttori asiatici e mediorientali è quindi molto esigua, appena il 7% del
totale, mentre le loro importazioni si
attestano complessivamente intorno
al 20% (media 2007-11). Messico,
Ucraina, Francia e Cile esportano rispettivamente il 42, 33, 89 e 59% del
loro raccolto verso Paesi quali Cina,
Italia, Turchia, Spagna e Germania,
le cui importazioni rappresentano il
45% del totale. L’aumento del prodotto importato, sia a livello nazionale che mondiale, trova giustificazione
nell’aumento dei consumi. Secondo
le statistiche dell’International Nut &
Dried Fruit Council, tra il 2007 ed il
2011 il consumo di prodotto a livello mondiale è aumentato del 29,5%,
con un consumo pro-capite medio di
0,074 kg nel 2011, il 27% in più rispetto al 2007.
In Italia vengono consumate ogni
anno circa 40.000 t di noci in guscio
o sgusciate e il trend del consumo
è in continuo aumento (+58,3% dal
2000 al 2010, Istat 2012). La produzione è quindi inadeguata a soddisfare il fabbisogno interno ed il deficit
di prodotto è coperto principalmente
dai Paesi europei (Francia) ed extraeuropei (Stati Uniti, Cile, Argentina, Australia). Il quantitativo medio
annuo di importazioni di prodotto,
pari a 26.500 t tra noci in guscio e
sgusciate, rappresenta un costo significativo per l’industria nazionale,
stimabile in 114 Ml di dollari/anno,
valore che ha visto dal 2007 al 2011
un incremento del 53%.
La realtà nocicola tradizionale italiana è concentrata principalmente in
Campania con la Noce di Sorrento,
che da sola fornisce il 70% del totale
italiano. Altre realtà tradizionali esistono in Trentino, Veneto e Abruzzo, dove si coltivano ecotipi locali
(rispettivamente Bleggiana, Feltrina
e Sulmona). In altre regioni, in particolare Veneto ed Emilia-Romagna,
si stanno sviluppando nuove realtà produttive, con aziende che raggiungono gradi elevati di specializ-
zazione nella produzione di noci in
guscio utilizzando varietà di origine
francese (Franquette, Lara e Fernor, e
californiana come Hartley, Chandler,
Howard e Tulare).
In conclusione, si può affermare
che il settore ha vissuto finora una
fase di forte espansione grazie alla
crescente richiesta del mercato e che
l’Ue è fortemente deficitaria per questo prodotto.
Mandorlo
Nel 2012 la produzione mondiale
di mandorle è stata di circa 2 Ml di t,
registrando un calo del 20% rispetto al raccolto medio dei cinque anni
precedenti (dati FAO 2014), ma con
un incremento del 30% rispetto al
2000. In base ai dati medi 2008-12,
il 47% della produzione totale è nelle
mani degli Stati Uniti, in particolare
della California, con circa 1 ML di t/
anno di mandorle in guscio prodotte; seguono la Spagna con 220.000
t/anno (9,5% del totale), l’Australia
con 140.000 t/anno (6% del totale),
l’Iran con 127.000 t/anno (5,5% del
totale) e l’Italia che con 106.000 t/
anno copre il 4,6% della produzione
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
45
mondiale. Se consideriamo i dati di
produzione del prodotto sgusciato,
l’incidenza della produzione statunitense sulla produzione mondiale arriva a toccare l’80% (fonte INC, 2012).
La mandorlicoltura nel mondo si
estende per 1,6 Ml di ha (dati FAO
2012), concentrati soprattutto in
Spagna (33%), USA (18%), Tunisia
(10,8%) e Marocco (8,7%). Nonostante negli Stati Uniti la superficie
investita nella coltura (315.000 ha)
sia quasi la metà rispetto a quella
spagnola (530.000 ha), la produzione mandorlicola risulta essere 5 volte
maggiore per effetto della selezione
di cultivar ad alta resa e dell’utilizzo
di sistemi intensivi con una gestione
degli impianti sempre più meccanizzata (dati FAO 2012).
Il volume dell’export mondiale di
mandorle sgusciate si aggira attorno
alle 533.000 t/anno (media 2007-11,
dati FAO 2014), per un valore medio annuo complessivo di circa 2,5
miliardi di dollari, andamento che si
conferma in continua crescita (+ 32,6
% nel 2011 rispetto al 2007). Gli Stati
Uniti esportano il 32% della produzione interna, pari al 71% del totale mondiale. La restante quota viene
coperta principalmente da Spagna
(10%), Cina (3%) e Australia (2,5%).
L’Italia esporta appena l’1,1% del totale. La Germania, con 74.300 t/anno
circa di prodotto sgusciato, domina
il mercato delle importazioni; seguono la Spagna, che non riuscendo a
coprire il fabbisogno interno importa all’anno mediamente 64.000 t di
mandorle, la Cina (38.500 t/anno),
l’Italia (28.500 t/anno) (Fig. 4), la
Francia (28.500 t/anno) e gli Emirati
Arabi Uniti (28.500 t/anno). Il deficit
produttivo dell’Italia comporta ogni
anno un flusso in uscita dal Paese di
circa 138 ML di dollari, valore destinato a crescere grazie all’aumento
del consumo nazionale di mandorle sgusciate verificatosi dal 2008 al
2011 (+36,7%), trend che segue l’andamento mondiale (+37,5%).
La mandorlicoltura italiana ha ricoperto un ruolo di primaria rilevanza
a livello mondiale fino al secondo dopoguerra. Dal 1970 al 2012 si è registrato un forte ridimensionamento della produzione e delle superfici investite a mandorlo passando da 230.000
a 90.000 t prodotte e da 296.000 a
68.500 ha investiti; oggi la coltivazione è concentrata prevalentemente in
Sicilia e in Puglia, che coprono insieme il 96,4% della produzione totale e
46
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
il 95% della superficie interessata (dati ISTAT, 2011). Per le restanti regioni
solo la Sardegna riporta una superficie
mandorlicola significativa (3.500 ha),
mentre le altre hanno quasi totalmente
abbandonato la coltivazione.
Ogni nazione mandorlicola possiede un proprio patrimonio varietale.
Le varietà californiane sono caratterizzate dall’avere un guscio tenero e
un’alta resa. In particolare, la cultivar
Nonpareil fornisce da sola il 50% della produzione californiana. In Italia le
cultivar sono principalmente a guscio
duro. Prevalgono le varietà Pizzuta
d’Avola e Fascionello per la confetteria, Filippo Ceo, Fragiulio Grande,
Genco, Tuono e Falsa Barese tra le
cultivar tradizionali e la francese Ferragnés tra quelle internazionali.
In conclusione, si può affermare
che la mandorlicoltura nel mondo
ha visto una crescita moderata delle
produzioni dal 2000 ad oggi, mentre
si è mantenuta stabile in Italia dopo
il ridimensionamento della seconda
metà del secolo scorso. Esiste indubbiamente un ampio margine per interventi innovativi che favoriscano
l’ammodernamento degli impianti e
delle tecniche colturali per migliorare le produzioni e ridurre l’approvvigionamento dall’estero.
Pistacchio
A livello mondiale sono appena
10 i Paesi produttori di pistacchio
che superano le 1000 t/anno di prodotto raccolto. La produzione è concentrata in Iran, dove viene ottenuto
il 51% dell’intero prodotto mondiale
(902.500 t/anno), mentre la restante
quota è appannaggio essenzialmente
di USA (21%), Turchia (13%), Cina
(6,4%), Siria (6,3%) e Grecia (1%);
segue l’Italia con lo 0,3% (2.800 t/anno) del prodotto totale (media 200812, dati FAO 2014). La produzione
mondiale è in costante aumento: nel
2012 ha superato il milione di t, il
24,7% in più rispetto al 2008. In questo contesto l’Italia si inserisce come
uno dei Paesi con la maggior staticità
delle produzioni registrata negli ultimi anni.
La superficie investita a pistacchio ha raggiunto i 474.000 ha, la
metà concentrata in Iran. A livello
mondiale gli Stati Uniti hanno fatto censire il maggior incremento di
superficie a pistacchio dal 2008 al
2012 (+50,8%), passando da 48.000
a 72.000 ha circa. Anche Cina e Tur-
chia hanno registrato un notevole
incremento delle superfici coltivate,
rispettivamente +38,8 e +29,6%.
Dal 2000 le esportazioni sono
aumentate del 120%, totalizzando
360.000 t circa nel 2011, per un valore che supera i 2 miliardi di dollari.
L’Iran esporta il 37,5% della produzione destinata al mercato (media
2007-11), seguita da Stati Uniti, che
esportano il 50,6% del prodotto raccolto, Cina e Germania che importano pistacchi sia per coprire il fabbisogno interno che per rivenderli sul
mercato internazionale. Infatti, i dati
riguardanti le importazioni vedono
la Cina e la Germania dominare il
mercato mondiale con rispettivamente 108.000 e 36.000 t di pistacchi
importati all’anno; gli Emirati Arabi
Uniti e la Federazione Russa sono rispettivamente il terzo (20.300 t/anno)
ed il quarto (18.200 t/anno) Paese importatore. Nel 2011 in Italia sono state importate oltre 11.000 t di pistacchi in guscio, mantenendo il flusso
nella media degli ultimi anni, per un
valore che supera i 91 Ml di dollari.
Negli ultimi anni anche il consumo di pistacchi è aumentato notevolmente, passando da 430.700 t
nel 2007 a 543.700 t nel 2011. L’incremento di consumo è da attribuire
principalmente a Paesi come gli Stati
Uniti e la Turchia che hanno raddoppiato il consumo pro-capite dal 2007
al 2011. Nel 2011 gli USA sono stati
il principale Paese consumatore con
125.800 t, valore che equivale a 0,41
kg/pro-capite, seguiti dalla Turchia
con circa 75.500 t (1,03 kg/pro-capite). L’Italia con 12.200 t di pistacchi
ed un consumo pro-capite di 0,2 kg
si colloca all’undicesimo posto della
classifica dei Paesi consumatori.
La pistacchicoltura italiana di distingue da quella dei Paesi extraeuropei per le migliori caratteristiche
organolettiche delle produzioni ed è
concentrata quasi interamente in Sicilia, dove si produce il 98% del totale nazionale, su una superficie che
si estende per circa 3.500 ha. Il 90%
della produzione siciliana è condensata nel catanese con Napoletana come cultivar predominante. La regione
vanta tra le sue DOP il ‘Pistacchio
Verde di BrontÈ, conosciuta a livello internazionale. Anche per questa
specie, dunque, il trend produttivo ha
visto una crescita significativa negli
ultimi anni, ma la coltivazione in Italia è limitata alle zone climaticamente più vocate.
„
Tecnica
DOSSIER FRUTTA SECCA
Il noce guadagna spazio al Nord
MORENO TOSELLI - GIOVAMBATTISTA SORRENTI - MAURIZIO QUARTIERI - BRUNO MARANGONI
GRAZIELLA MARCOLINI - ELENA BALDI
Dipartimento di Scienze Agrarie - Università di Bologna
Sorprendente la crescita
produttiva del noce nell’ultimo
decennio. In Piemonte,
Veneto ed Emilia-Romagna
le più interessanti realtà che
hanno deciso di puntare su
questa specie per rilanciare
la frutticoltura del territorio,
diversificando l’offerta con
un prodotto di alta qualità,
assai ricercato dal mercato.
Aumentano le richieste
commerciali e i consumi
pro-capite.
Accurate tecniche agronomiche
e materiale di propagazione
di qualità: sono questi i punti
chiave per ottenere buone
performance produttive.
Italia importatrice di noci
Nonostante la vocazionalità per la
produzione di frutta secca, la nocicoltura nazionale soddisfa circa il 30%
della richiesta interna. L’Italia, dunque,
importa noci (Fig. 1) soprattutto da California, Cile, Francia, Australia e Cina
(Paesi dai quali provengono noci selezionate e di grosso calibro), ma anche
dall’Est Europa (Ucraina, Moldavia,
Romania e Ungheria), da dove arrivano noci ‘selvatiche’ caratterizzate da
guscio più duro e di calibro medio-piccolo (<28 mm) (Zampagna, c.p.). L’Italia è anche esportatrice di una quantità
di noci inferiore a quella importata e
che nel 2011 si è attestata attorno alle
4500 t (CSO, 2013).
Le principali ragioni che relegano la
nocicoltura italiana ad una posizione
di importanza secondaria possono così
riassumersi:
– scarsa specializzazione degli impianti (talvolta promiscui ed allevati
in aree marginali), spesso su superfici
limitate;
– vetustà degli impianti e panorama varietale limitato;
– tecnica agronomica empirica, bassa
densità d’impianto e scarsa meccanizzazione;
– prodotto non sempre omogeneo, talvolta di inadeguata qualità;
– mancanza di strutture idonee ad accogliere e commercializzare il prodotto;
– assenza di programmi di valorizzazione e promozione del prodotto tra i
consumatori.
Fig. 1 - Andamento delle importazioni (quantità, prezzo unitario e
volume d’affari) di noci in Italia (Fonte: CSO, Ferrara).
48
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
La diffusione nazionale
Attualmente la superficie investita
a noce in Italia in coltura specializzata e promiscua è di quasi 9.000 ha
(Tab. 1), suddivisa indistintamente in
impianti da frutto (Fig. 2), da legno e
a duplice attitudine che coinvolgono
circa 14.000 aziende (Istat, 2010) con
il primato della Campania, nella quale
si concentrano la maggior parte degli
impianti, seguita da Sicilia e Lazio nelle quali, però, il noce rimane una coltivazione marginale, a duplice finalità,
quindi poco produttiva. La nocicoltura
da frutto specializzata in Italia interessa circa 4.000 ha con una produzione
che oscilla tra le 15 e le 18.000 t annue
(Fig. 2). La produzione italiana è basata
su cultivar autoctone dell’area vesuviana come Malizia, a volte consociata
col noccioleto e, soprattutto, Noce di
Sorrento, cultivar-popolazione policlonale, i cui impianti sono spesso gestiti
in coltura promiscua e in aree svantaggiate e senza l’ausilio della meccanizzazione. Nel Nord Italia, invece, le
realtà più importanti si incontrano in
Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna
(Tab. 1), nelle quali già da un decennio
si è assistito alla valorizzazione degli
impianti da frutto in virtù della:
Fig. 2 - Andamento della superficie e della produzione di noci da
frutto in Italia (2000-11) (Fonte: CSO, Ferrara).
Fig. 3 - La cultivar Chandler (appena smallata, a sinistra), di origine californiana, garantisce buone rese e di apprezzata qualità; si noti la frequente
fruttificazione sulle gemme laterali (a destra).
Fig. 4 - Forma libera al 10° anno di Lara presso l’Az. Sperimentale dell’Università di Bologna (a sinistra). A destra particolare di frutto (foto archivio Nogalba).
– consapevolezza che la noce rappresenta un alimento di facile conservazione e funzionale (proprietà energetiche e salutistiche; Oliveira et al., 2008;
Popoutsi et al., 2009);
– introduzione di valide tecnologie per
la meccanizzazione integrale degli impianti e la disponibilità di varietà più
produttive delle tradizionali, perché
con fruttificazione di tipo laterale;
– crescente richiesta del mercato e
contemporanea crisi del comparto frutticolo tradizionale (es. pesco).
Risulta chiaro, in questo nuovo contesto, che le noci prodotte in Italia possono essere potenzialmente competi-
tive sia dal punto di vista qualitativo,
sia da quello commerciale. Possono,
infatti, trovare spazio sul mercato nazionale con largo anticipo rispetto alle concorrenti, svantaggiate dai lunghi
tempi di spedizione e con una qualità
maggiore per i minori rischi di irrancidimento degli acidi organici, in virtù
del minor tempo che intercorre tra la
raccolta e la vendita.
Varietà e portinnesti al Nord
Le varietà maggiormente diffuse
in Italia settentrionale sono di origine
californiana e francese. Tra le prime,
TAB. 1 - SUPERFICIE COLTIVATA A NOCE IN ITALIA PER REGIONE (FONTE: ISTAT, 2010)
Nord
Piemonte
(ha)
Centro
(ha)
Sud e isole
(ha)
503
Toscana
524
Campania
2.104
V. d’Aosta, Liguria, Trentino
47
Umbria
451
Puglia
106
Lombardia
106
Marche
568
Basilicata
198
Veneto
513
Lazio
642
Calabria
656
Friuli-Venezia-Giulia
72
Abruzzo
698
Sicilia
580
Emilia-Romagna
482
Molise
296
Sardegna
65
Totali
1.723
3.179
3.709
la più utilizzata è Chandler (Fig. 3), a
maturazione tardiva (I decade di ottobre), di buona produttività e pezzatura,
con guscio ovale di colore chiaro, liscio e sottile, e gheriglio molto chiaro,
facilmente sgusciabile; si avvantaggia
dell’impollinazione con Franquette o
Parisienne. Howard è geneticamente
simile a Chandler (proviene dai medesimi parentali: Pedro x 56-224), dalla
quale si differenzia però per la maturazione anticipata di 2 settimane, per il
frutto più grande con guscio più ruvido
e coriaceo e per il gheriglio più chiaro,
che però può imbrunire durante la conservazione (Università di California,
2013). Tra le francesi, Lara è la varietà
più diffusa (Fig. 4). La fruttificazione è
laterale, ma non abbondante; il frutto
è tondeggiante e di grosso calibro (36
mm ed oltre) con guscio tenero e gheriglio chiaro. Richiede elevate capacità
tecniche per raggiungere standard produttivi adeguati e costanti nel tempo.
Come tutte le varietà francesi, Lara germoglia tardivamente rispetto alle californiane, caratteristica che, sebbene
possa risultare utile per evitare le gelate tardive, può comportare difficoltà di
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
49
razione degli ovari) delle californiane.
I portinnesti disponibili per il noce, a livello mondiale, sono limitati; in
Italia si ricorre quasi esclusivamente al
franco (Juglans regia), mentre negli Stati
Uniti si impiega spesso il noce nero (J.
nigra), ma soprattutto il noce nero californiano (J. hindsii) e il Paradox, ibrido
interspecifico tra J. regia e J. hindsii ottenuto da impollinazione spontanea e
propagato per seme. Negli USA, sia il
noce nero californiano, sia il Paradox
sono preferiti per l’elevato vigore e la
buona produttività che conferiscono. A
differenza del noce nero californiano,
il Paradox è più tollerante nei confronti
di Phytophtora spp. e A. mellea (Ramos, 1997). Purtroppo non si conoscono prove comparative svolte in aree di
coltura italiane.
Fig. 5 - Noce adulto allevato a forma
libera in un impianto dotato di sistema di
microirrigazione. Le branche si inseriscono
sul tronco a non meno di 1 m da terra per
agevolare le operazioni di raccolta meccanica
per vibrazione del tronco.
impollinazione in virtù della spiccata
proterandria cui è soggetta.
Franquette è una varietà a fruttificazione apicale i cui frutti presentano
guscio duro e buona pezzatura, che
trova diffusione come impollinatore
(in particolare per le cv. californiane).
Dall’incrocio tra Franquette e Lara è
stata ottenuta Fernette, la quale germoglia precocemente rispetto ai genitori,
presenta fertilità laterale ed un gheriglio di buona qualità (Germain, 1997).
Potrebbe trovare impiego anche come
impollinatore di Chandler e Howard
per l’abbondante produzione di polline, poiché in generale le varietà francesi presentano la fioritura maschile
(maturazione degli amenti) in concomitanza con quella femminile (matu-
Forme di allevamento, densità
d’impianto e gestione dell’albero
La forma d’allevamento più comune per il noce è quella libera, impostando il primo palco a circa 1,2 m
da terra (Fig. 5) al fine di agevolare le
operazioni di raccolta per scuotimento
del tronco, con sesti d’impianto di 7x7
m (circa 200 piante/ha). Negli impianti
specializzati, invece, si può ricorrere a
forme tronco coniche (che ricordano
la piramide) che consentono sesti più
fitti (fino a 400 piante/ha) nel tentativo di contenere il vigore degli alberi e
anticiparne l’entrata in produzione. In
quest’ottica, in California e in Cile (Fig.
6) si ricorre spesso ad impianti più fitti, a siepe (“hedgerow”) con densità di
circa 500 alberi/ha.
In generale, il governo dell’albero
di noce (potatura e raccolta) è integralmente meccanizzabile, quindi relativamente agevole ed in questo facilitato
Fig. 6 - Impianto fitto di noce allevato in Cile. L’obiettivo è sfruttare
la competizione tra gli alberi per contenerne la vigoria ed anticipare
l’entrata in produzione.
50
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
dalla autoregolazione della carica produttiva dell’albero. Durante la fase di
allevamento gli interventi cesori sono
limitati alla selezione delle branche
principali, mentre in fase di produzione si può ricorrere alla potatura ad anni alterni anche con l’ausilio di barre
rotanti verticali per il taglio in parete
(Fig. 7) (“hedging”) e orizzontali per il
contenimento dell’altezza (“topping”).
È comunque consigliabile rifinire
l’intervento di potatura meccanica con
tagli manuali al fine di rimuovere le
branche e i rami mal posizionati o troppo vigorosi, soprattutto al centro della
chioma. Una tecnica ancora poco applicata, ma meritevole di valutazione,
è il taglio di “hedging” eseguito in tarda
estate sui germogli ancora in crescita
durante la loro seconda fase di sviluppo.
In questo modo si eliminano porzioni
di germoglio prive di gemme fertili, ma
capaci di sottrarre carboidrati ai frutti ed
alle gemme a fiore e di limitare la penetrazione della radiazione luminosa.
La raccolta delle noci può essere integralmente meccanizzata; sono disponibili, infatti, sia macchine semoventi
sia carrellate, dotate di bracci idraulici
scuotitori, che agiscono per vibrazione
ad alta frequenza del tronco (Fig. 8) e,
qualora il prodotto non venga intercettato da ombrelli rovesciati o telai intercettatori, si può ricorrere a macchine
andanatrici e raccoglitrici da terra (Fig.
9). La raccolta meccanizzata delle noci
presuppone superficie del suolo in piano, opportunamente livellata e, preferibilmente, inerbita al fine di aumentare
la portanza del terreno e massimizzare
la resa della raccoglitrice, garantendo
un rapido trasferimento del prodotto al
centro aziendale per l’essicazione. Un
miscuglio di specie graminacee, che
includa la festuca, può rappresentare
Fig. 7 - Filare di noci, allevati a forma libera, appena sottoposti al taglio
meccanico verticale (unilaterale) della parete mediante barre falcianti.
Fig. 8 - Macchina semovente durante le operazioni di raccolta nel
noceto. L’unità operatrice avanza lungo il filare provvista di testata
vibrante laterale montata su un braccio telescopico.
la scelta migliore, sia per la limitata
competizione sia per gli effetti benefici
che questa specie erbacea ha nella solubilizzazione del ferro e conseguentemente, nella prevenzione della clorosi
ferrica alla quale il noce è suscettibile
quando allevato su suoli calcarei.
Il noce è una pianta esigente in termini di azoto (N), accumulato prevalentemente nel frutto (Tab. 2). Considerando il peso del gheriglio di circa
5-8 g/frutto, pari al 40-50% della noce
essiccata e pronta per il consumo e una
concentrazione di N di circa il 3%, ne
consegue che, con una produzione di
noci di circa 4 t/ha i frutti asportano
approssimativamente 46-60 kg di N/
ha (per comodità si semplifica considerando trascurabili i nutrienti asportati
dal guscio e dal mallo). La quantità di
N annualmente asportata dallo scheletro, considerando una produzione
annua di legno (sostanza secca), radici
comprese, tra 4 e 5 t/ha, ammonta a
24-40 kg di N/ha. L’N delle foglie cadute e riciclate a terra, invece, oscil-
Fig. 9 - Cantiere semovente durante le operazioni di andanatura e
raccolta delle noci dal suolo.
TAB. 2 - STIMA DELLE ASPORTAZIONI DI MACRONUTRIENTI IN UN NOCETO IN PIENA
PRODUZIONE (DATI OTTENUTI DA PROVE IN VASO ED IN CAMPO NELL’AREA
DI BOLOGNA E FORLÌ)
Nutriente
Concentrazione (% s.s.)
Asportazioni totali
Gheriglio
Foglie autunno
Scheletro
(kg/ha/anno)
N
2,9-3,0
1,4-1,6
0,6-0,8
98-140
P
0,32-0,36
0,20-0,30
0,4-0,5
25-41
K
0,22-0,44
1,2-2,0
0,3-0,4
39-89
Ca
1,00-1,20
1,2-1,5
0,1-0,15
44-92
Mg
0,12-0,14
0,3-0,4
0,1
12-20
Asportazioni annuali calcolate sulla base di una produzione media di 4 t/ha di frutto essiccato con un’incidenza
del gheriglio sul frutto del 40-50%, 2-3 t/ha di foglie abscisse, 4-5 t/ha di struttura scheletrica e apparato radicale
prodotto annualmente. A titolo esemplificativo, un peso di circa 2 t/ha di guscio con una concentrazione media di N
di 0,15%, determina un’asportazione di N di 3 kg N/ha, mentre per il mallo, un peso secco di circa 0,8 t/ha e una
concentrazione di N di 1% determina un’asportazione di N di 8 kg/ha.
la verosimilmente tra 28 e 48 kg/ha.
Il piano di concimazione dovrà,
quindi, tenere conto di queste due
componenti e, considerando un’efficienza media dell’assorbimento radicale di N di circa il 50% (Toselli et al.,
2009) si può ipotizzare una corretta
restituzione annuale al noceto con fertilizzanti apportanti da 120 a 160 kg N/
Fig. 10 - Risposta produttiva del noce (cv. Chandler di 10 anni) alla
somministrazione di azoto. La resa è espressa sul peso fresco alla raccolta
di prodotto con mallo (ogni punto rappresenta la media di 5 piante).
ha. Prove eseguite presso l’Università
di Bologna dimostrano una buona risposta del noceto alla somministrazione di N in quantità variabili da 100 a
200 kg/ha (Fig. 10).
In caso di utilizzo di N minerale,
se ne consiglia l’apporto verso metà
maggio (fioritura degli ovari), ma si
può distribuire anche successivamen-
Fig. 11 - Gestione sostenibile della fertilizzazione del noceto.
Nella foto, distribuzione di ammendante compostato misto in impianto
adulto presso l’Az. Sperimentale dell’Università di Bologna.
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
51
Fig. 12 - Albero adulto di Chandler affetto da marciume fibroso delle
radici (A. mellea) alla ripresa vegetativa.
te, fino a metà settembre, quando la
maggiore efficienza di assorbimento
(Tab. 3) permette la costruzione di riserve organiche invernali disponibili
per la primavera successiva (Toselli et
al., inedito). In alternativa si può ricorrere ad ammendante compostato misto
(Fig. 11), che sebbene apporti nutrienti non prontamente disponibili, ha il
vantaggio di apportare oltre che tutti i
macro e micro elementi essenziali insieme anche sostanza organica stabile.
Il consumo annuale di fosforo (P) del
noceto è stimato in 25-41 kg/ha, di cui
circa 5-10 kg ritornano al terreno con
le foglie abscisse (Tab. 2). Le esigenze
di potassio (K) da parte del noce sono
generalmente inferiori a quelle degli
altri fruttiferi, in quanto il K viene assorbito annualmente in quantità comprese tra 39 e 89 kg/ha, di cui 24-60 kg
sono riciclati con la caduta delle foglie.
Valori di asportazione simili al K interessano anche il calcio (Ca), mentre il
magnesio (Mg) viene assorbito in quantità inferiori al P (Tab. 2).
Il noce si avvantaggia dell’irrigazione con consumi idrici piuttosto elevati,
senza la possibilità di applicare lo stress
idrico controllato, ovvero la riduzione
dell’apporto idrico rispetto all’evapo-
Fig. 13 - Feltro bianco sottocorticale (micelio fungino) di A. mellea,
agente del marciume radicale fibroso, su radice di noce.
traspirato (Fulton et al., 2013), che nel
noce non ha dato gli effetti benefici osservati in altre specie. È bene sottolineare che il noce soffre invece il ristagno
idrico, per cui è fondamentale una buona regimazione idrica del suolo al fine
di evitare la presenza di zone asfittiche.
Le problematiche del settore
Propagazione
Nonostante il crescente interesse registrato negli ultimi anni per la
specie, il comparto vivaistico italiano
non sembra assecondarne il processo. Gli astoni delle varietà più pregiate (Chandler, Howard, Lara), infatti,
devono essere prenotati in anticipo,
quando non siano reperibili solo in vivai specializzati ed a prezzi piuttosto
elevati se confrontati con altre specie
frutticole. La messa a punto di tecniche affidabili (es. micropropagazione,
microinnesto e mininnesto) al posto
dell’innesto tradizionale per la moltiplicazione del noce appare dunque
una condizione necessaria per il buon
esito dell’intera filiera (Cozzolino e
Neri, 2006). Attualmente il noce viene propagato per innesto, utilizzando
TAB. 3 - EFFICIENZA DELL’ASSORBIMENTO DELL’N (PERCENTUALE DELLA QUANTITÀ
SOMMINISTRATA CON LA CONCIMAZIONE) DOPO 7 GIORNI DALLA FERTILIZZAZIONE E
A CADUTA FOGLIE (IN DICEMBRE) DA PARTE DI NOCI DI 1 ANNO DELLA CV CHANDLER/
FRANCO (J. REGIA) ALLEVATI IN VASO
EPOCA
Assorbimento di N (%)
7 giorni
1 anno
Schiusura gemme
8.78 c
66
Maturità amenti
19.6 b
60
Fine estate
27.4 a
69
*
ns
Significatività
n.s., *: effetto non significativo o significativo per P ≤0,05, rispettivamente. In colonna, valori affiancati da lettere
diverse sono statisticamente diversi (P ≤0,05).
52
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
come soggetto quasi esclusivamente
J. regia. Alcuni intraprendenti vivaisti,
invece, offrono varietà micropropagate
che però, rispetto al materiale innestato, presentano un certo ritardo nell’entrata in produzione.
Vigore dell’albero ed entrata
in produzione
Il noce è tradizionalmente caratterizzato da una fase improduttiva (allevamento) piuttosto lunga. La piena
produzione si raggiunge, infatti, tra l’8°
ed il 10° anno dall’impianto, sebbene le prime produzioni significative si
registrino a partire dal quinto o sesto
anno. Le ragioni sono legate, oltre alla predisposizione genetica, all’elevata
vigoria degli alberi. La disponibilità di
materiale vegetale debole (attraverso
il portinnesto) potrebbe consentire un
netto accorciamento dei tempi di ammortamento dell’impianto. Il vigore
dell’albero può essere in parte controllato dalla tempestiva introduzione di
impollinatori e dalla conseguente più
rapida entrata in produzione che riesce
a limitare l’attività vegetativa. A questo proposito, potrebbe risultare utile
disporre di polline disidratato da distribuire in fioritura, al fine di ovviare alla
mancanza di fonti di polline in campo,
per alzare la fertilità e quindi il livello
di fruttificazione.
Difesa fitosanitaria
Nel complesso, la difesa fitosanitaria del noce non presenta particolari
problematiche, a patto che si intervenga in maniera tempestiva. Tra gli insetti,
la cidia (Cydia pomonella), le cui larve
crescono a spese del gheriglio, rappresenta la problematica principale, soprattutto per i danni causati dalle prime
due generazioni. Oltre ai formulati chimici, soddisfacenti risultati si ottengo-
Tre realtà produttive del Nord che vendono noci col loro marchio
a società cooperativa “Il
Noceto” di Chiarano (Tv)
e la società Consortile “Nogalba” di Pettorazza (Ro)
sono le uniche Organizzazioni di produttori riconosciute in Italia per le noci.
La loro storia risale al 1991, quando sono stati messi a dimora i
primi 10 ha, seguiti in pochi anni da altri 400. Attualmente gli associati coltivano circa 500 ha in produzione, più altri 100 di prossima messa a frutto. La superficie dei frutteti degli associati varia
dai 10 ai 90 ha. La varietà prevalente è Lara che occupa il 97,4%;
Chandler e Tulare si ripartiscono il restante 2,6%. Il modello produttivo prevede la meccanizzazione integrale di tutte le operazioni di campo e il conferimento del prodotto raccolto ai centri di
essiccazione e selezione. La vendita è attuata dalle strutture di
appartenenza con i propri marchi e reti commerciali. I due gruppi
collaborano ad un progetto tecnico che coinvolge la più grande
realtà francese della frutta secca: Unicoque. “Produrre noci non è
un’attività molto diversa dal produrre altra frutta. Ciò che cambia
è l’approccio mentale al problema”, sostengono i coordinatori del
programma; “dobbiamo riconoscere ad altri, soprattutto ai californiani, il primato per l’approccio pragmatico ai problemi tecnici
in generale. La California è l’unico Paese che investe in ricerca
parte del ricavato dalla vendita delle noci”. Nogalba e Il Noceto
finanziano direttamente i propri programmi di ricerca.
„
L
Federico Bertetti – Enrico Bortolin
Nogalba Soc.ConsAgr. a r.l.
Giancarlo Potente – Antonio Fiorin
Il Noceto Scarl
La Cooperativa Trasporti Imola (CTI) realizzò un primo impianto
di noce di circa 12,5 ettari nel 2007. Una parte dell’impianto è stata realizzata con piantine autoradicate di origine meristematica. È
stata adottata la cv Chandler con sesti d’impianto di 7x6 m e con
un 5% di piante della cv Franquette come impollinatori. All’inizio
del 2° anno le piante, alte 1,2 m, sono state cimate a tre gemme
con allevamento successivo di un unico germoglio. All’inizio del 3°
anno l’asse centrale è stato cimato a circa 1,5 m da terra, poi si è
lasciato un solo germoglio apicale degemmando la parte basale
e sfruttando le sottogemme per generare germogli con angolo
aperto destinati a dare origine alle branche. Negli anni successivi
si è continuato a potare gli alberi manualmente fino al 7° anno e
dall’8° si è cominciato a potare meccanicamente con potatrice a dischi
e con turno di taglio triennale. Tra gli
anni 2008 e 2010 la CTI ha impiantato
altri 20,5 ha di noci, introducendo le cv
Lara e Howard allo scopo di ampliare il
calendario di raccolta. Tutta la superficie a noce (ha 33) è stata inerbita. La
no con la confusione sessuale avendo
cura di posizionare almeno 2 sorgenti
di feromone per albero adulto oppure,
in alternativa, trattando con preparati biologici (virus della granulosi). La
mosca del noce (Rhagoletis completa)
presenta una sola generazione all’anno
e crea danni nello stadio di larva determinando l’insorgenza di marcescenza,
l’imbrunimento e il disseccamento della gheriglio e del mallo. Le varietà precoci sono le più sensibili ed il controllo
dell’insetto si basa sull’uso di insetti-
raccolta meccanica da terra è iniziata nel 2011 sui primi 12,5 ha
con macchina semovente; la lavorazione post-raccolta è stata
realizzata con un piccolo impianto di smallatura-essiccazione in
loco. Nei prossimi anni sarà completato il cantiere di raccolta con
uno scuotitore semovente allo scopo di rendere più tempestiva
la raccolta. Nel 2012 la CTI ha iniziato a commercializzare direttamente noci essiccate e nocino di produzione propria e con il
proprio marchio “Noceti del Rapace”.
Le principali considerazioni dei responsabili della CTI sono le
seguenti:
– nella realtà imolese esistono condizioni favorevoli alla coltura
del noce;
– si auspica lo sviluppo di un’attività vivaistica che ora è inadeguata;
– è opportuno sperimentare sesti di impianto più fitti per aumentare la densità ed accelerare la messa a frutto;
– man mano che crescono di numero, i produttori dovrebbero
Q
organizzarsi in forme associative per i servizi e il mercato.
Clemente di Placido
CTI, Imola
L’Azienda Agricola San
Martino, sita a San Martino in Strada di Forlì, diede
vita, 15 anni fa, al progetto
“Noce di Romagna”, in una
regione nella quale il noce
non ha mai rivestito una
posizione di rilievo. La sua funzione pionieristica ha contribuito
in maniera decisiva a promuovere la coltura al Nord, non solo in
Emilia-Romagna. Con questo progetto è stata creata una filiera
controllata che assicura un prodotto di qualità. La partnership tra
Azienda Agricola San Martino e “New Factor” – azienda riminese
leader nella lavorazione e commercializzazione di snack naturali a
base di frutta secca – ha consentito di ottenere successo anche
nella fase di commercializzazione del prodotto finito sia sul mercato all’ingrosso, sia nella GDO. Il marchio “Noce di Romagna”
rappresenta oggi un’eccellenza alimentare.
Il sistema produttivo si discosta dalla nocicoltura tradizionale
per la sua modernità, l’alto livello di meccanizzazione, l’alta produttività degli impianti e i rigorosi standard qualitativi. In particolare, le cultivar californiane selezionate per il progetto – Howard
e Chandler – sono state scelte per caratteristiche quali l’alta produttività, il grosso calibro, la bianchezza dei gherigli e la facile rottura del guscio. Un articolo su questo progetto è stato pubblicato
da questa Rivista nel n. 2 del 2008.
L’Azienda Agricola San Martino vanta oggi 90 ha produttivi
di cui 45 di proprietà, ai quali se ne aggiungeranno altri 100 nei
prossimi due anni.
Q
cidi efficaci anche contro cidia, sulla
profilassi (rimozione di frutti infestati) e
sull’impiego di trappole per il monitoraggio dei voli.
Tra i patogeni, il noce soffre di
batteriosi o mal secco del noce (Xanthomonas arboricola pv. juglandis) e
l’antractnosi (Gnomonia leptostyla).
L’utilizzo di prodotti rameici, meglio
se in miscela, con Mancozeb (max 4
interventi/anno) dalla ripresa vegetativa (ma non in fioritura), assicurano
una buona azione preventiva contro
Alessandro Annibale
Azienda Agricola San Martino - Fc
l’instaurarsi di entrambe le patologie
che colpiscono il mallo dando origine
a macchie bruno-nerastre, tendenzialmente tondeggianti, sparse, circondate o meno da un alone clorotico. Il
gheriglio può atrofizzare originando
cascola pre-raccolta. Bisogna precisare che attualmente il Mancozeb ha
perso la registrazione sul noce, ma
è in attesa di ottenere dal Ministero
della Salute un’autorizzazione eccezionale per il 2014. Il noce, specie
se innestato su J. regia, è sensibile al
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
53
Chi mangia noci vive più a lungo
elisir di lunga vita, da sempre ricercato da scienziati e “maghi”, forse non è qualcosa di misterioso o complicato, ma
un qualcosa che tutti abbiamo a portata di mano: un frutto che
si chiama noce. Sono stati i ricercatori spagnoli della Universitat
Rovira i Virgili di Tarragona ad aver sottolineato, a seguito di
uno studio, come l’assunzione di una manciata di noci, anche
solo tre volte a settimana, possa essere la chiave di lunga vita.
Secondo gli scienziati spagnoli le proprietà benefiche delle noci si
applicano al rischio di morte che verrebbe ridotto del 40% per malattie quali il cancro e di ben il 55% per le malattie cardiovascolari.
Le persone coinvolte nello studio sono state 7.000, erano ambosessi e con un’età compresa tra i 55 e i 90 anni. Analizzando lo stile di vita, la dieta seguita e altri dati riguardanti la loro
storia e le malattie in corso, gli scienziati hanno trovato che in
linea generale i consumatori di frutta secca avevano un rischio
L’
di morte ridotto del 39% e, in particolare, i mangiatori di noci un rischio ridotto del 45%. L’azione antiossidante delle noci
si mostrerebbe dunque non solo nel promuovere una maggiore salute, ma proprio nel ridurre il processo d’invecchiamento.
Le noci contengono preziosi elementi come fosforo, calcio, ferro, potassio, zinco (in particolare) e rame. Per questa elevata
presenza di sostanze utili le noci sono particolarmente indicate
anche a chi segue una dieta vegetariana. Le noci sono un frutto
oleoso da cui è possibile estrarre un olio dalle molte proprietà. Sono un cibo piuttosto calorico, per cui ne basta poco: in
media, con 100 grammi di parte edibile assumiamo circa 580
kilocalorie. Diverse sono le vitamine presenti: A, B1, B6, F, C e
P. Oltre a questo, le noci sono assai ricche di grassi polinsaturi,
i quali aiutano a combattere il colesterolo LDL.
„
U.P.
La coltura del noce nel mondo
Culture
History
Traditions
ISSN 1813-9205
ISBN xxx xx xxxx xxx x, Scripta Horticulturae Number 17
marciume radicale fibroso (Armillaria
mellea), che porta l’albero al collasso
(Figg. 12 e 13).
Aspetto importante da considerare
nella difesa del noce riguarda la disponibilità di macchine irroratrici appositamente predisposte, in grado di assicurare la bagnatura dell’intera chioma
(specie in altezza e nelle porzioni più
interne) durante l’esecuzione degli interventi. Di contro, tali macchine possono incorrere in maggiori rischi di derive e distribuzioni disformi.
54
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
Uses
Following Walnut Footprints | Scripta Horticulturae Number 17
Cultivation
costanti. Nuove varietà più produttive
e tecniche di lavorazione post-raccolta
sono la chiave di successo. In passato il
consumo del noce era di tipo stagionale
e legato principalmente alla tradizione
natalizia. Oggi le noci sono un prodotto
sempre offerto nei supermercati e consumato per le decantate proprietà nutriFol
F
Fo
ollowing
ollo
o
ol wing W
Walnu
alnut
zionali e salutistiche. È noto che il frutto
Fo
F
oo
oo
otprintss
ot
è “colesterolo-free” e che contiene sostanze (acidi omega) che contrastano gli
attacchi cardiaci. I Paesi che dominano
il mercato sono quelli che hanno puntato sulla standardizzazione varietale, storicamente gli Stati Uniti e
la Francia, ai quali si sono aggiunti Cile, Argentina e Australia. La
modernizzazione varietale è in corso anche in Turchia, Spagna,
Iran, Ungheria e Romania. Anche l’Italia ha avviato una produzione con varietà selezionate, in Veneto e in Emilia Romagna, e
con risultati ottimi. La Cina, prima nel mondo, sta facendo sforzi
per passare dalla prevalente produzione ottenuta da semenzali,
a quella con varietà locali di buona qualità.
La multifunzionalità di questa specie emerge in modo totale:
legno, foglie, mallo, guscio, gheriglio, anche le membrane che
separano il gheriglio!
„
Scripta Horticulturae
Number 17
ollowing Walnut Footprints” (Sulle
orme del noce), serie “Scripta” n.
17, pubblicata dall’International Society
for Horticultural Science (pp 442, 2014).
Con questo titolo sono già stati pubblicati altri 4 volumi dedicati rispettivamente al mandorlo, al pistacchio, al castagno
e all’olivo.
Il volume sul noce raccoglie notizie
storiche, botaniche, agronomiche, economiche e sulle tradizioni e usi di Juglans regia in una sessantina di Paesi del
mondo, compresi quelli dell’Est caucasici e quelli asiatici. Si tratta della stragrande maggioranza dei
Paesi ove è presente la specie. Mancano all’appello Siria e Iraq
a causa dei ben noti problemi interni che hanno reso difficile trovare un interlocutore. Alla stesura del volume hanno collaborato
120 specialisti. Del Comitato editoriale fanno parte: Damiano
Avanzato (Chair ISHS della Sezione “Nuts and Mediterranean
Climate Fruits”, 2011-14), Gale McGranahan (Universita della
California, USA), Kourosh Vahdati (Università di Tehran, Iran),
Botu Mihai (Università della Craiova, Romania), Luis Iannamico
(Istituto Nazionale Agro-zootecnico di Rio Negro, Argentina) e
Jozef Van Assche (Executive Secretary dell’ISHS, Belgio).
Il libro contiene informazioni note, ma anche molti dati originali, come ad esempio quelli riguardanti la Corea del Nord, la
Nigeria o il Messico. Emerge che tra le specie a frutto secco il
noce è una delle più diffuse, ma anche che le moderne tecniche
di coltivazione ne hanno favorito la diffusione con incrementi
“F
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Juglans
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International Nutt & Drie
Dried Fruit Council
D. Avanzato
Già CRA-Centro di Frutticoltura di Roma
(Chair ISHS Commission Plant Genetic Resources, 2015-18)
Prospettive future
Poiché la produzione nazionale non
soddisfa le richieste interne, si intravvedono buone prospettive di sviluppo
per le produzioni di qualità, attualmente relegate ad esigue realtà. Il rilancio
della coltura del noce nel Nord Italia
presuppone la specializzazione degli
impianti in termini di densità e gestione per consentire un limitato impiego
di manodopera (circa 40 ore/uomo/ha/
anno). Tale fattore è a sua volta legato,
inevitabilmente, alla meccanizzazione
integrale del noceto, sfruttando, peraltro, tecnologie già collaudate e di provenienza nazionale, il cui costo, però,
si ammortizza solo su una superficie
piuttosto ampia. In tale contesto, la gestione associata (anche della fase postraccolta e di commercializzazione)
giocherà un ruolo strategico nell’intera
filiera produttiva (Fig. 14).
Analogamente, l’affinamento della
tecnica vivaistica e di quella agronomica, il rinnovamento del materiale
vegetale abbinato ad azioni mirate di
marketing volte a valorizzare il prodotto di qualità, sembrano rappresentare
le tappe necessarie per il rilancio della
filiera del noce anche in Italia.
SUMMARY
Although Italy can account for optimal conditions for walnut production, it imports over 70%
of internal demand mainly from overseas and Eastern Europe. Among the reasons that delegate
walnut production to a limited importance there
are: old, apical bearing varieties, low planting
density, low yields, long unbearing time. Recently, the availability of new technologies for
orchard management, along with the economical problems of the traditional fruit species (i. e.
peach) promoted a new interest in walnut cultivation over the past 10 years. In the northeren
Italy, the developing walnut industry presents
these features: 1) Chandler and Howard (Californian) and Lara (French) are the most important
varieties; 2) the rootstock used is seedling Juglans
regia, 3) orchard management includes low plantation density (200-300 tree/ha), free training system with the first scaffold 1.20 m-high, to allow
shacking at harvest, complete mechanization of
pruning and harvesting, 4) nutrient requirement
includes (in kg/ha) N 100-140, P 25-41, K 40-90,
Ca 45-90, Mg 12-20, a third of which is recycled
with leaf fall, 5) water management according
to ET rate, 6) codling mouth (Cydia pomonella)
and fruit fly (Rhagoletis completa) are the most
important pests, while bacteria Xanthomonas
arboricola pv juglandis, and fungus Gnomonia
lepostyla and Armillaria mellea (root rot) are the
most common diseases.
Fig. 14 - La diffusione di strutture idonee ad accogliere ed essiccare tempestivamente il prodotto
rappresenta un fattore determinante per l’espansione della coltivazione del noce in Italia.
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critici e prospettive. In, Il mercato mondiale: buone prospettive di crescita per l’Italia.
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the XVI International Plant Nutrition Colloquium. Sacramento, 26-30 agosto, p. 1-7,
Sacramento, USA.
University of California, Agriculture and Natural Resources Fruit and Nuts Research and
Information Center, 2013 http://fruitandnuteducation.ucdavis.edu/
„
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
55
Tecnica
DOSSIER FRUTTA SECCA
Concrete prospettive per la rinascita
della mandorlicoltura italiana
FRANCESCO SOTTILE
Dipartimento Scienze Agrarie e Forestali - Università di Palermo
Una rinnovata filiera vivaistica,
la specializzazione degli
impianti, una razionale
gestione delle risorse idriche
e della nutrizione, una tecnica
colturale oculata associata alla
meccanizzazione della raccolta
sono tutti gli ingredienti
indispensabili che oggi devono
caratterizzare un settore
in profondo cambiamento.
P
er decenni parlare di mandorlicoltura è equivalso a produrre
una elencazione abbastanza sterile di ragioni per cui il settore, in continuo declino dal secondo dopoguerra,
non riusciva a trovare il giusto riassetto
per riprendere competitività su base
internazionale. È sufficiente analizzare
l’evoluzione degli investimenti e della
produzione italiana per comprendere
come un settore di primaria riconoscibilità nel mondo abbia sofferto una sostanziale rarefazione in termini economici. Tutto questo mentre nel mondo
si riconosceva l’importanza di questo
frutto secco, dal punto di vista nutrizionale e nutraceutico, e la richiesta di
prodotto finiva per consolidarsi sempre
più in California dove ormai è stratificato un sistema produttivo e commerciale difficilmente scalfibile, ma non
difficilmente imitabile.
Nell’ultimo decennio, infatti, l’Australia sembra aver studiato il successo
californiano e nelle grandi fattorie del
Sud, soprattutto ad Est, ha sviluppato
una nuova mandorlicoltura, estremamente specializzata, che ha permesso
nel giro di pochi anni di collocare la
produzione di questo Paese al secondo posto nel mondo. Sono le medesi-
56
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
Fig. 1 - Elevata fertilità in una pianta di Tuono innestata su GF677 in Sicilia.
me cultivar impiegate in California e
l’impostazione non è molto diversa se
si tiene conto che tutto ha avuto inizio con l’istituzione di un Australian
Almond Board che, come nel sistema
americano, governa il settore da molteplici punti di vista.
L’Europa arranca sempre, ma offre
segnali di risveglio: se da un lato le
statistiche ufficiali non rilevano alcun
progresso, è noto agli addetti ai lavori che qualcosa si sta attivando in tutta
Europa sia per lo sviluppo e l’adeguamento della mandorlicoltura a sistemi
efficienti ed innovativi, sia per il sostanziale differenziamento della produzione del vecchio continente rispetto a
tutta la rilevante produzione mondiale.
È sempre più profondo, infatti, il solco
esistente tra le due tipologie di produzione, quella internazionale (intendendo USA e Australia) e quella mediterranea a cui sostanzialmente contribuisce
in modo determinante l’Europa con
alcuni Paesi del Nord Africa. Spagna e
Italia rimangono a contendersi primati
pressoché inutili, ma al proprio interno
avvertono importanti segnali di interesse, talvolta di ripresa, in ogni caso con
prospettive che da più parti vengono
sottolineate come positive.
Eppur si muove
In Italia, i segnali positivi di qualche anno fa erano stati attribuiti alla
disponibilità di alcune misure di finanziamento a valere su fondi stanziati
nell’ambito delle programmazioni comunitarie, soprattutto in Sicilia. Tali segnali sono stati via via più consolidati
e hanno evidenziato, a poco a poco,
la nascita di sistemi mandorlicoli nuovi, per nulla assimilabili a quelli del
passato, con una sostanziale efficienza produttiva ed economica. Nulla a
confronto della rilevanza mandorlicola
esistente fino agli anni ’50, anche se
difficilmente si possono confrontare le
statistiche attuali con quelle del passato che tenevano conto di mandorleti
estensivi e spesso consociati, soprattutto con olivo e cereali.
È anche vero, tuttavia, che se la vitalità di un settore si misura con l’interesse che la ricerca nazionale gli destina, nel caso del mandorlo l’interesse
andrebbe considerato pressoché nullo.
Da decenni l’attività di ricerca pubblica è quasi assente (fa eccezione l’interesse, purtroppo concluso, del Progetto
“Convar” del Mipaaf) e le ridotte esperienze scientifiche che si sono concretizzate sono state affidate a limitati progetti di carattere regionale che, in qualche modo, hanno sostenuto l’entusiasmo di chi non ha mai smesso di considerare la specie foriera di prospettive
concrete. In Spagna, invece, la ricerca
pubblica ha prevalentemente sostenuto l’attività di miglioramento genetico
che ha permesso di portare avanti una
serie di selezioni che negli anni hanno
trovato diversificata diffusione.
In termini di ricerca privata, invece,
va segnalato lo sforzo del più grande
gruppo vivaistico mondiale (Agromillora, Barcellona) che ha sostenuto la
ricerca scientifica per l’ottenimento di
portinnesti con ridotto vigore da destinare soprattutto alla validazione di sistemi di impianto innovativi in emulazione di quelli che da qualche decennio vengono proposti per l’olivicoltura.
Durante il recente ISHS International
Symposium on Almond and Pistachio
(Murcia, maggio 2013) sono stati presentati i primi risultati sull’efficienza di
sistemi di impianto superintensivi realizzati con combinazioni tra cultivar
spagnole innestate sulle recenti selezioni Rootpac® con densità di impianto che giungono fino a 2.000 alberi/
ha in cui tutte le operazioni colturali
più onerose sono meccanizzate e la
raccolta è condotta per mezzo di macchine scavallatrici. Si tratta, evidentemente, di soluzioni tecnologicamente
molto avanzate, in buona parte ancora
relativamente sperimentali, che possono trovare applicazione solo in specifiche condizioni in cui le caratteristiche
orografiche e la disponibilità irrigua, in
primis, non si presentino come fattori
limitanti.
Questa ricerca di sistemi tecnologici avanzati, tuttavia, ha stimolato
non poco l’imprenditoria agricola del
Meridione d’Italia e, più recentemente, un sensibile interesse per la coltura
sta davvero crescendo, determinando
un risveglio di entusiasmo in tutti co-
Fig. 2 - Mandorleto adulto in provincia di
Bari a 400 piante/ha, irriguo (foto DISSPAUniBA).
Fig. 3 - Giovane impianto di Ferragnés/GF677
in irriguo, in Sicilia.
loro che hanno sempre creduto nel
mandorlo. Già in occasione del Convegno Nazionale sulla Frutta Secca
del 2007 (Patti, Me) emergeva in tutta
evidenza che il comparto della frutta
in guscio godeva di prospettive importanti e tra tutte il mandorlo appariva la
specie con maggiore domanda mondiale in cui collocarsi con un prodotto
di qualità, di eccellenza e standardizzato. Si escludeva tutta la produzione
di massa, che ancora oggi in buona
parte deriva dagli impianti obsoleti ed
inefficienti, affidando le prospettive di
sviluppo ad una crescente mandorlicoltura specializzata che, ancorché
a passi molto lenti, sta trovando una
propria dimensione sia in Sicilia che
in Puglia.
quentemente deprezzata. Un relativo
interesse, soprattutto in Sicilia, va sottolineato per Supernova, l’ultimo frutto
del miglioramento genetico italiano,
che trova ancora discreta collocazione
soprattutto in associazione al parentale
stretto Tuono, rispetto alla quale evidenzia un anticipo nell’epoca di raccolta di interesse per le organizzazioni
aziendali. Il miglioramento genetico
europeo, francese, ma soprattutto spagnolo, ha licenziato negli ultimi anni
alcune cultivar che, negli ambienti di
provenienza, risultano interessanti per
resa in sgusciato e qualità del seme.
Poche sono le informazioni in Italia:
Antoñieta, Marta, Belona, Mardia, Soleta sono attualmente inserite nei campi di confronto varietale del Progetto
Convar che vengono mantenuti solo
grazie alla dedizione delle Istituzioni
scientifiche che si sono impegnate a
non dismetterli malgrado l’assenza di
fondi. Non manca, tuttavia, l’interesse
per le cultivar storiche in alcuni areali
specifici; non è raro, infatti, incontrare
nuovi mandorleti di Pizzuta d’Avola,
Romana e Fascionello nella provincia
di Siracusa con sistemi di impianto innovativi e meccanizzati; una delle più
interessanti esperienze oggi di condivisione tra tradizione varietale e innovazione agronomica nel settore della
frutta secca.
Se ridotta è l’innovazione nel campo varietale, ancora meno si può segnalare nel campo dei portinnesti. Le
recenti introduzioni spagnole della
serie Rootpac® (geneticamente ibridi
complessi a cui hanno contribuito in
diverso modo prevalentemente mirabolano, pesco e mandorlo) sono ancora alle fasi iniziali della valutazione di
campo anche per il mandorlo e sarà
molto interessante poterli introdurre
in Italia in sistemi adattati alla ridotta
vigoria della combinazione di innesto.
Rimane diffuso l’uso del portinnesto
L’innovazione colturale
Per tutte le ragioni già esposte non
è oggi possibile tenere conto della
mandorlicoltura realizzata con sistemi
tradizionali nell’ottica di un comparto
competitivo sul piano agronomico ed,
ovviamente, economico. Ciò che oggi
invece caratterizza i positivi segnali di
rilancio del settore deriva fondamentalmente da un modello di impianto
che tiene conto delle esigenze primarie
di contenimento dei costi di produzione e quindi della necessità di meccanizzare, o quanto meno agevolare, la
raccolta.
Dal punto di vista della scelta varietale non ci sono novità di grande
rilievo. Ciò dipende anche dal fatto
che la principale cultivar italiana, la
pugliese Tuono, continua a non avere
rivali in termini di efficienza produttiva
e di recettività del mercato della trasformazione, consolidandosi ormai nel
60-70 % dei nuovi impianti. È comune
la consociazione con Ferragnés e Genco anche se quest’ultima non supera
spesso il vaglio del mercato e viene fre-
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
57
Fig. 4 - Esperienze di impianti adulti di
Romana/GF677, ad alta densità (1000 piante/
ha), in irriguo.
Fig. 5 - Il nuovo marchio collettivo ‘Mandorla
di Sicilia’.
franco da seme (con alcune selezioni
vivaistiche molto uniformi dal punto di
vista vegetativo), ma va altresì segnalata una discreta diffusione del GF 677.
La paventata disaffinità segnalata per
via di un difforme accrescimento tra
nesto e portinnesto non si è mai rivelata in modo negativo; esistono in Sicilia
impianti specializzati su questo portinnesto con oltre un decennio di produzione costante e rilevante che mettono
in evidenza che questo soggetto, nelle
condizioni in cui meglio può esprimere il proprio potenziale, riesce a dare
soddisfazioni anche nel settore mandorlicolo.
Gli impianti di mandorlo specializzati vengono oggi realizzati con densità
non inferiori a 400 piante/ha, ma molto
spesso prossime a 500-600, allevate a
vaso tradizionale con impalcatura minima a 60 cm dal piano di campagna
per garantire l’azione dello scuotitore
alla raccolta. L’innovazione vera, assolutamente rivoluzionaria rispetto ad un
passato da dimenticare, è la presenza
dell’irrigazione in una coltura in cui
l’apporto irriguo è stato talvolta pensato come negativo oltre che non indispensabile. Volumi di 1.000-1.200 m3
per ettaro sono in grado di soddisfare
le esigenze idriche del mandorleto, ma
soprattutto, se ben distribuiti, possono
sostanzialmente contribuire al raggiun-
58
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
gimento di rese in sgusciato di rilievo,
al mantenimento di una buona produzione annuale limitando meccanismi di
alternanza, ad un equilibrio vegetativo
che si rende necessario per una costante efficienza produttiva degli impianti.
Inoltre, recenti esperienze di impianti
di subirrigazione, sia su Tuono innestata su GF/677, sia su cultivar autoctone (Fascionello e Romana) innestate
su franco, hanno evidenziato una reale
possibilità di riduzione dei volumi irrigui di circa il 30%, confermando la
maggiore efficienza di uso dell’acqua
quando questa viene somministrata
praticamente a contatto diretto con
l’apparato radicale assorbente.
Va da sé che in un sistema che
cambia completamente connotati,
passando da una tradizione inefficiente ad una sostanziale innovazione, devono essere rimodulate tutte
le conoscenze in termini di relazioni
acqua-nutrienti, di fertilizzazione, di
gestione del suolo e di efficienza e sostenibilità nell’uso degli input esterni.
Tutti aspetti assolutamente noti per
la gran parte delle specie frutticole,
ma ancora da definire per una specie
che solo di recente ha assunto connotati di specializzazione agronomica.
Tuttavia, qualsiasi innovazione nel
campo mandorlicolo non può essere
nemmeno immaginata se non si prevedono espliciti adattamenti delle
piante all’impiego della meccanizzazione, almeno della fase di raccolta.
Agli ingombranti ombrelli rovesciati
di un tempo, che obbligavano a scelte
tecniche infelici in termini di distanze
di impianto, oggi seguono molte tipologie di macchine differenziate, di
piccolo ingombro e di elevata mobilità, che presentano buona applicabilità nei contesti più differenziati.
e si vanno sempre più consolidando
imprese di lavorazione e trasformazione che alla produzione di tutti i possibili prodotti derivati dalle mandorle
associano una qualità indiscutibile
che trova importanti gratificazioni nel
Continente e oltre Oceano. Tutto ciò
è favorito anche dall’ampia adattabilità della specie alla gestione secondo i
regolamenti dell’agricoltura biologica
che sta via via permettendo graduali
ampliamenti dell’offerta di mandorle
bio in Italia e nel mondo, con un sostanziale consolidamento dell’Italia
rispetto agli altri Paesi del Bacino del
Mediterraneo.
Questo andamento innovativo e
di sicuro interesse e prospettiva della
specie è ulteriormente favorito da iniziative di aggregazione tra produttori
che, in alcune situazioni, stanno convergendo per condividere l’accesso a
strumenti di finanziamento importanti
a valere sulle attuali programmazioni comunitarie attraverso i quali si
sta consolidando sempre un orientamento verso una mandorlicoltura
innovativa, efficiente, competitiva.
Anche le Amministrazioni pubbliche
cercano di accompagnare tali processi
di revisione colturale cercando di individuare strumenti di promozione a
vantaggio degli imprenditori che raccolgono la sfida anche attraverso una
seria aggregazione; è recente in Sicilia
il lancio del Marchio collettivo ‘Mandorla di Sicilia’ che sta muovendo i
suoi primi passi attraverso la nascita
di un’associazione di produttori su
scala regionale con l’unico obiettivo
di valorizzare il prodotto isolano da
sempre riconosciuto per la sua peculiare qualità organolettica.
In prospettiva
Dal quadro appena analizzato non
viene certamente fuori la rinascita di
un settore per troppo tempo marginalizzato dalla mancata volontà di renderlo efficiente e competitivo: emerge
piuttosto che la mandorlicoltura italiana – siciliana e pugliese in particolare – ha tutte le carte in regola per
vivere una fase di sviluppo interessante, in grado di offrire valide alternative colturali ad imprenditori attenti e
lungimiranti. La capacità di sfruttare
queste prerogative e queste prospettive è l’unico strumento che oggi rimane nelle mani dei mandorlicoltori che
non hanno perso la fiducia di vedere rivivere un settore incredibilmente
sottovalutato per anni.
Q
In definitiva, astoni di qualità, impianti specializzati, disponibilità irrigua, tecnica colturale oculata e meccanizzazione della raccolta sono tutti
gli ingredienti indispensabili che oggi
caratterizzano un settore in profondo cambiamento. Se in questo modo,
quindi, abbiamo oggi conferme che il
“sistema mandorleto” può essere efficiente e competitivo si deve anche
sottolineare che il successo economico
della ripresa della mandorlicoltura italiana passa inevitabilmente per una sostanziale qualificazione del prodotto su
livelli di eccellenza internazionale. Da
alcuni anni ciò è sempre più evidente
Conclusioni
Ricerca
DOSSIER FRUTTA SECCA
Valutazione di cloni di Tonda Calabrese
per il miglioramento varietale del nocciolo
LOREDANA F. CIARMIELLO - ANTONIO DE LUCA - MILENA PETRICCIONE - PASQUALE PICCIRILLO
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura - Unità di Ricerca per la Frutticoltura di Caserta
L
a coltivazione del nocciolo ha
importanza economica in quattro regioni italiane: Campania,
Lazio, Piemonte e Sicilia. Le superfici investite sono stabili in Campania,
in leggera espansione in Piemonte e
Lazio, in crescente declino in Sicilia
(Adua, 2002; Piccirillo, 2002; Alberghina, 2002); le produzioni risentono
di variazioni dovute al rinnovamento
degli impianti e agli andamenti climatici stagionali.
In Calabria la coltivazione non ha
antiche tradizioni; il nocciolo fu introdotto nella seconda metà dell’800 da
nobili napoletani che avevano estesi
latifondi nella zona. I primi impianti
furono fatti nel comune di Cardinale
(Cz), oggi la coltivazione interessa pochi comuni a confine di due province:
Cardinale e Torre Ruggiero (Cz); Simbario, Spadola, Filogaso (Vv) (Piccirillo
et al., 2007). Le superfici coltivate sono
circa 600 ettari, per una produzione di
circa 1.000 t. La produzione rappresenta circa l’1% di quella nazionale che
che è di circa 116.000 t (dati Faostat,
2008). Tuttavia, il nocciolo è impor-
tante per l’economia rurale dei comuni
interessati che non hanno grosse possibilità di conversione verso attività più
remunerative. Un’eventuale crisi della
coltivazione del nocciolo inciderebbe
negativamente sull’economia locale.
La tipologia colturale comprende
aziende medio-piccole con impianti specializzati collocati in collina
e in bassa montagna: 200-700 m di
altitudine. La varietà principalmente
coltivata è la Tonda Calabrese, una
cultivar che ha frutto rotondeggiante, pezzatura media e buone qualità
organolettiche. È apprezzata sui mercati locali per il consumo diretto, ma
ha una resa bassa (inferiore al 40%)
e presenza di fibre sul seme. Difetti
che, nell’ultimo ventennio, hanno
determinato la diffusione di altre varietà quali Tonda Romana e Tonda di
Giffoni. Questa tendenza sembra in
aumento.
Scopo di questo lavoro è stato la
valutazione di cloni all’interno della
popolazione di Tonda Calabrese per
selezionare quelli con caratteristiche
carpologiche superiori: maggiore resa
allo sgusciato e scarsa presenza di fibre
sul seme.
Materiali e metodi
Sono state individuate novanta
piante di Tonda Calabrese in campi
diversi nei comuni di Cardinale e Torre Ruggiero (Cz). Le piante sono state
scelte in primavera secondo il seguente
metodo: sono stati individuati 5 campi
in altrettante aziende coltivatrici (Azz.
Signoretta, Martelli, Rosanò, Ritacchi,
Rotiroti); all’interno di ogni campo sono state scelte 20 piante su 5 filari. Per
ciascuna fila sono state scelte 4 piante,
una ogni 5.
Le caratteristiche carpologiche dei
90 cloni sono state valutate per tre anni (2007-09). A settembre, alla caduta
delle nocciole, sono stati raccolti campioni di circa 100 nocciole iniziando
dalla base del fusto e proseguendo in
circolo. Su 20 nocciole, scelte a caso
per ciascun clone, sono stati fatti rilievi sui frutti e sui semi per i seguenti
parametri: dimensioni (diametro max
e lunghezza); forma (diametro max/
TAB. 1 - VALORI MEDI, RELATIVE DEVIAZIONI STANDARD E COEFFICIENTI DI CORRELAZIONE INTRACLASSE DEI 90 CLONI DI NOCCIOLO
TONDA CALABRESE OGGETTO DI STUDIO E DELLE CULTIVAR DI RIFERIMENTO
Cloni
Valori medi
Resa
sgusciato
(%)
Peso
seme
(g)
Peso
frutto
(g)
Calibro
seme
(g)
Calibro
frutto
(g)
Forma
frutto
(alt/dmax)
Spessore
guscio
(mm)
Presenza
fibre
(1:3)
38,0
1,2
3,2
14,1
20,6
0,9
1,7
2,9
componenti della varianza (come deviazioni standard)
tra cloni
0,34
0,02
0,05
0,13
0,10
0,01
0,05
0,27
entro cloni
2,17
0,10
0,27
0,57
0,72
0,04
0,18
0,27
ICC
0,02
0,04
0,03
0,05
0,02
0,03
0,08
0,50
T. Romana
43,1
1,4
3,1
14,9
21,3
0,9
1,2
1,0
T. di Giffoni
40,9
1,3
3,1
14,6
20,4
0,9
1,3
1,0
Nocchione
37,0
1,3
3,3
14,4
21,1
0,9
1,8
3,0
60
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
lunghezza); peso frutto; peso seme;
calibro seme (diametro max); spessore
guscio; presenza di fibre sul seme. La
pelabilità è stata stimata dopo tostatura del seme a 130 °C per 30 minuti.
I dati sono stati confrontati con
campioni di Tonda di Giffoni e Tonda Romana coltivati in zona e con un
campione della cv Nocchione proveniente dalla collezione varietale del
CRA-Unità di Ricerca per la Frutticoltura di Caserta. I dati sono stati elaborati con il metodo di clusterizzazione
di Scott e Knott (1974). La media, la
varianza e il coefficiente di correlazione intraclasse (un indice di diversità
genetica tra i cloni) sono stati calcolati
mediante l’ausilio del software di analisi statistica R environment (R. Core
Team, 2009) e l’utilizzo di pacchetti
lme4 (Bates e Maechler, 2009) e ggplot2
(Wickham, 2009).
Caratterizzazione carpologica
Tra i cloni non è stata riscontrata
variabilità significativa per la maggior
parte dei caratteri carpologici, ad eccezione della resa in sgusciato che per
i cloni 91 e 92 è risultata più alta rispetto al valore osservato per gli altri
cloni e comparabile al valore medio
ottenuto per la cv Tonda di Giffoni,
coltivata nelle stesse condizioni pedoclimatiche. Per brevità espositiva
in tabella 1 vengono riportati solo i
valori medi, la deviazione standard,
le componenti della varianza e i coefficienti di correlazione intraclasse relativi ai dati carpologici osservati non
vengono riportati per brevità espositiva; il coefficiente di correlazione intraclasse è risultato pari al 50% per la
presenza di fibre.
I profili triennali dei singoli cloni per le caratteristiche carpologiche
studiate hanno mostrato oscillazioni
contrastanti tra gli anni, che portano
ad escludere differenze sistematiche
di rilievo tra i cloni (Fig. 1). I campi di
variazione delle caratteristiche sono rimasti sostanzialmente gli stessi tra gli
anni: 1,5 g per il peso del frutto; 0,7
g per il peso del seme; una decina di
punti percentuali per la resa in sgusciato; 4 mm per il diametro massimo del
frutto; 3 mm per il diametro massimo
del seme; 0,2 mm per lo spessore del
guscio.
La resa in sgusciato è correlata positivamente con il peso del seme, ma
non con il peso del frutto (Fig. 2). Lo
spessore del guscio sembra contribuire
significativamente al peso del frutto e
Fig. 1 - Profili triennali di 90 cloni di nocciolo (linee grigie) isolati in Calabria per alcune
caratteristiche carpologiche e tendenza media interpolata con smussature non parametriche (linea
blu).
ciò spiega la relazione tendenzialmente negativa di quest’ultimo con la resa
in sgusciato. La presenza di fibre sul
frutto è stata alta per la maggior parte
dei cloni e non è risultata essere in relazione con la resa in sgusciato.
Per quanto riguarda il raffronto con
i parametri carpologici delle cultivar
di confronto (Tonda di Giffoni, Tonda
Romana e Nocchione) i cloni hanno
presentato peso del seme e resa allo
sgusciato inferiori rispetto alle prime
due, anche a causa di un guscio notevolmente più spesso. Rispetto a Nocchione i valori medi della resa in sgusciato e dello spessore del guscio non
si discostavano molto, mentre i cloni
hanno mostrato valori tendenzialmente inferiori rispetto a Nocchione per
peso del frutto e del seme, soprattutto a causa delle minori dimensioni di
quest’ultimo (Fig. 3).
Discussione
I 90 cloni oggetto di valutazione
hanno mostrato variabilità nei valori
dei caratteri esaminati all’interno dei
singoli anni. Due cloni, il 91 e il 92
presentano una resa in sgusciato superiore rispetto agli altri, tuttavia, le osservazioni non hanno identificato un
clone con valori elevati per tutti i caratteri carpologici considerati. È plausibile affermare che la popolazione è
abbastanza omogenea e che le differenze tra gli individui non sono frutto
di variazioni genotipiche, ma casuali.
Il miglioramento genetico del noc-
ciolo fino a un ventennio fa era fondato sulla selezione clonale di un patrimonio genetico derivante da seme già
esistente. È stato applicato con discreti
risultati ed ha portato alle attuali varietà coltivate in Turchia, Italia e Spagna (Mehlembacher, 1994; Rovira et
al., 1997; Valentini et al., 1998, Islam
e Ozguven, 2001). Per ogni varietà
considerata sono stati selezionati cloni con caratteristiche agronomiche e
carpologiche di pregio. La selezione
clonale è stata attuata con modesti risultati in Spagna per le varietà Gironell
e Negret; in Italia per Tonda Gentile
delle Langhe, Tonda Romana e Tonda
di Giffoni (Preziosi e Cartechini, 1979;
Monastra et al.,1997; Valentini et al.,
2001; Petriccione et al., 2010).
Ciò permette di affermare che la
selezione clonale, quando ci troviamo
di fronte ad una varietà-popolazione
presente su un territorio da secoli, con
piante che presentano gradi di variabilità apprezzabile, può ancora essere
uno strumento valido per il miglioramento varietale. Tuttavia, questo non
sembra essere avvenuto per la Tonda
Calabrese, probabilmente perché l’areale di produzione è abbastanza limitato e la propagazione per pollone è stata
efficiente scartando piante provenienti
da seme anche con caratteristiche feno-carpologiche simili alla Tonda Calabrese tipo.
In Calabria il nocciolo ha discrete
potenzialità, ma soffre di limitazioni
strutturali in fase produttiva e commerciale. Piccoli coltivatori, con strutFRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
61
Fig. 2 - Relazioni bivariate tra caratteristiche carpologiche di 90 cloni di nocciolo isolati in
Calabria.
Fig. 3 - Diagramma a coordinate parallele dei valori medi (del triennio) di peso del frutto (pfru)
e del seme (psem), lunghezza del frutto (altf), diametro massimo del frutto (dmaxf) e del seme
(dmaxs), resa in sgusciato (resa) e spessore del guscio (spgu) per 90 cloni di nocciolo isolati in
Calabria (linee grigie) in confronto con le varietà Nocchione 47, Tonda di Giffoni (TG) e Tonda
Romana (TR).
tura e superfici aziendali non sempre
competitive, scarsa meccanizzazione
alla raccolta e impianti di essiccazione precari, sono la causa di un prodotto non sempre di qualità, che fa fatica
a reggere la concorrenza del mercato.
La produzione, fondata maggiormente
sulla varietà Tonda Calabrese potrebbe essere più remunerativa puntando
anche su nuove cultivar. Tuttavia, i
giudizi dei produttori sono discordanti: accanto a chi è propenso a mantenere la Tonda Calabrese c’è chi preferisce puntare su altre varietà come
Tonda di Giffoni e Tonda Romana,
che hanno una maggiore resa in sgusciato e quindi un prezzo di mercato
superiore, dal momento che la produzione, destinata quasi tutta all’in-
62
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
dustria di trasformazione, è pagata al
punto resa.
Tuttavia, a fronte delle problematiche varietali, il settore sembra avere
energie sufficienti per migliorare qualità e rendite aziendali. La produzione
calabrese potrebbe aumentare investendo su nuove superfici e migliorando le condizioni di coltivazione dando
maggiore importanza ad alcune pratiche colturali, come la potatura e la
meccanizzazione della raccolta, questa in parte fatta ancora a mano (Piccirillo et al., 2007).
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version 0.8.3. http://CRAN.R-project.org/
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package=ggplot2.
LA SOI INFORMA
Giornate Tecniche Soi
verso l’Expo 2015
S
ono in programma per il 29 e 30 maggio 2014,
presso il Dipartimento D3A dell’Università Politecnica delle Marche ad Ancona, le Giornate
Tecniche SOI dal tema “Biostimolanti, corroboranti,
induttori di resistenza e micronutrienti nelle colture
ortoflorofrutticole”.
L’utilizzo di biostimolanti, corroboranti, induttori di
resistenza e micronutrienti è frequente nelle principali
colture ortoflorofrutticole per migliorare il controllo della crescita e di alcune fasi importanti nel ciclo annuale e
vitale delle piante, e per il contenimento delle malattie.
L’argomento è sempre più presente in progetti di ricerca nazionali ed internazionali. Numerose informazioni
sull’efficacia e sui meccanismi di azione coinvolti sono
state acquisite negli ultimi anni; tuttavia, le informazioni
sono in alcuni casi discordanti e non infrequenti sono
le situazioni di poca chiarezza e opacità nella pratica di
promozione dei prodotti e nella definizione dei prezzi.
La problematica è molto sentita non solo in agricoltura
biologica e integrata, ma anche nel settore vivaistico e
ornamentale.
Quello dei promotori della crescita è un approccio
innovativo che può essere considerato importante per
raggiungere produzioni elevate e di qualità. Il loro ruolo
potrebbe essere centrale anche nel rilancio dello sviluppo di colture vocate difficili da realizzare con tecniche
tradizionali per la richiesta di input esterni sempre crescenti a fronte di una riduzione della fertilità e della soppressività naturale verso i patogeni. Da qui l’esigenza di
promuovere una maggiore conoscenza dei meccanismi
di azione e della funzionalità di queste classi eterogenee di prodotti. Le Giornate Tecniche sono pensate per
consentire l’incontro fra gli operatori dei diversi settori
produttivi e per fornire indicazioni sulle tendenze e sulle possibilità di sviluppo di prodotti innovativi.
L’evento si svolgerà prevedendo quattro sessioni;
nella prima si mirerà a fare il punto della situazione descrivendo lo stato
dell’arte nell’utilizzo dei
diversi prodotti e la relativa normativa nazionale. La seconda e la terza
sessione vedranno i contribuiti accademici con
informazioni provenienti
dal mondo della ricerca
e della sperimentazione.
Protagoniste della quarta
sezione saranno le aziende produttrici che interverranno per presentare i loro
prodotti più innovativi.
L’incontro, di interesse nazionale, si inserisce in un
percorso più ampio in preparazione all’Expo 2015, e
sarà patrocinato non solo dalla SOI, ma anche dalle
principali società scientifiche operanti nei campi della patologia vegetale (SIPAV), della protezione delle
piante (AIPP) e della chimica agraria (SICA). L’evento si
propone come un’occasione di rilevanza tecnico-scientifica elevata e trasversale in quanto il convegno sarà rivolto sia al mondo accademico, sia ai tecnici del settore
frutticolo, ornamentale e floricolo e alle ditte produttrici
di mezzi tecnici per l’agricoltura (agrofarmaci, fertilizzanti, fitoregolatori).
Le iscrizioni al convegno sono aperte e maggiori
informazioni sono disponibili alla pagina http://www.
cesmi-agraria.univpm.it/giornate_soi_2014/. Segreteria organizzativa: Serena Polverigiani (s.polverigiani@
Q
univpm.it).
Per il Comitato scientifico e organizzatore
Davide Neri
Il nuovo portale dell’agricoltura
www.agricoltura24.com
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
63
Ishs, italiani alla guida
di commissioni e sezioni tecniche
A
quattro anni dal congresso mondiale di Lisbona
(2010), l’ISHS - International Society for Horticultural Science, Associazione scientifica degli ortoflorofrutticoltori, con oltre seimila soci in tutto
il mondo - terrà a Brisbane, Australia, il suo 29° Congresso, dal 17 al 22 agosto di quest’anno (http://www.
ihc2014.org/index.html).
L’Italia è parte molto attiva della Società, anche per
averne ricoperto la Presidenza in anni recenti, dapprima con Franco Scaramuzzi (1986-90) e poi con Silviero Sansavini (1994-98). I soci italiani attualmente sono
oltre trecento, non solo ricercatori e docenti, ma anche
tecnici, operatori e produttori.
Nello scorso febbraio si sono svolte le elezioni dei
“Chairman” (coordinatori) delle sette Sezioni e delle
tredici Commissioni attraverso cui l’ISHS opera nelle
varie tematiche (specie coltivate per le Sezioni e argomenti tecnici trasversali per le Commissioni). Sono risultati eletti per l’Italia: il prof. Tiziano Caruso (Università
di Palermo) per la Sezione “Nut and Mediterranean
Climate Fruits”; il dr. Damiano Avanzato (CRA, Roma)
per la Commissione “Plant Genetic Resources”; il dr.
Maurizio Lambardi (CNR, Firenze) per la Commissione “Molecular Biology and In Vitro Culture; la prof.ssa
Stefania De Pascale (Università di Napoli “Federico II”,
nonché Presidente Generale della Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana) per la Commissione “Protected
cultivation”; il prof. Giorgio Prosdocimi Gianquinto
(Università di Bologna) per la Commissione “Landscape and Urban Horticulture”.
Segnaliamo ai nostri Lettori i numerosi meeting organizzati, almeno una volta ogni quattro anni, dall’Executive Committe per ciascuna delle specie e tematiche
oggetto di studio (vedi programmi sul sito www.ishs.
org).
L’attività editoriale dell’ISHS è molto importante
e sempre in lingua inglese, tra cui la rivista “Chronica Horticulturae”, trimestrale, inviata a tutti i soci, e i
volumi “Acta Horticulturae” (in media trenta-quaranta
per anno) inviati ai soli partecipanti ai simposi organizzati dalla Società. Attualmente i volumi pubblicati sono
più di mille, acquistabili con sconti agli associati. Le biblioteche di alcune istituzioni scientifiche italiane sono
abbonate a tutti i volumi; fra queste la Biblioteca “G.
Goidànich” della ex Facoltà di Agraria di Bologna. Gli
“abstract” di tutte le relazioni inserite nei volumi sono
scaricabili gratuitamente dal sito della Società. La quota
di iscrizione annua all’ISHS è di 75 €.
I riferimenti dell’ISHS sono i seguenti: ISHS Secretariat - PO Box 500 - 3001 Leuven 1, Belgio – tel. +32
16229427, fax +32 16229450, [email protected] - www.
ishs.org.
Q
Silviero Sansavini
Università di Bologna
Tutti gli eletti dell’ISHS
Commission Landscape and Urban Horticulture
(CMUH): Prof. Dr. Giorgio Prosdocimi Gianquinto
(Italy)
Commission Organic Horticulture (CMOR):
Dr. Martine Dorais (Canada)
Commission Economics and Management (CMEM):
Dr. Peter J. Batt (Australia)
Commission Education, Research Training and
Consultancy (CMET): Dr. Rémi Kahane (France)
Commission Fruits and Vegetables and Health
(CMFV): Prof. Julian Heyes (New Zealand)
Commission Horticultural Engineering (CMEN):
Dr. Murat Kacira (USA)
Commission Irrigation and Plant Water
Relations(CMIR): Prof. Dr. Manuela Zude (Germany)
Commission Molecular Biology and In Vitro Culture
(CMMV): Dr. Maurizio Lambardi (Italy)
Commission Plant Genetic Resources (CMGR):
Dr. Damiano Avanzato (Italy)
Commission Plant Protection (CMPP):
Dr. David Hunter (Canada)
Commission Plant Substrates and Soilless Culture
64
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
(CMPS): Prof. Dr. Michael Raviv (Israel)
Commission Protected Cultivation (CMPC):
Prof. Stefania De Pascale (Italy)
Commission Quality and Postharvest Horticulture
(CMPH): Prof. Christopher B. Watkins (USA)
Section Nuts and Mediterranean Climate Fruits
(SENU): Prof. Tiziano Caruso (Italy)
Section Ornamental Plants (SEOP):
Prof. Dr. Margrethe Serek (Germany)
Section Pome and Stone Fruits (SEFR): Prof. Ted M.
DeJong (USA)
Section Tropical and Subtropical Fruits (SETS):
Prof. Dr. Sisir Kumar Mitra (India)
Section Vegetables - Quality Production Systems Leafy Green and Non-Root Vegetables (SEVQ):
Dr. Daniel Leskovar (USA)
Section Vegetables - Roots, Tubers, Edible Bulbs,
Brassica and Asparagus (SEVR): Prof. Umezuruike
Linus Opara (South Africa)
Section Vine and Berry Fruits (SEVI):
Prof. Dr. Bernadine C. Strik (USA)
DAI FRUTTETI PIEMONTESI
La strategia di difesa più efficace resta la prevenzione
Proteggere i piccoli frutti
dagli attacchi della drosofila
I
l moscerino della frutta dagli occhi rossi (Drosophila
suzukii) è arrivato in Piemonte nel 2010. Nel 2012
i danni sono diventati ingenti, soprattutto su piccoli
frutti: lampone e mirtillo. Nel 2013 la pressione del fitofago è diminuita ma soprattutto i picchi dei voli si sono
verificati in ritardo rispetto alla maturazione delle varietà più diffuse sul territorio (Fig. 1). L’anticipo di stagione
2014 non lascia prevedere niente di buono.
Monitoraggio 2014
Maschio di Drosophila suzukii su lampone.
Monitoraggio voli D. suzukii e andamento delle temperature (mirtilleto CReSO)
700
35.0
600
30.0
20.0
400
15.0
300
10.0
200
D. suzukii
D. suzukii
T Min
T Max
Temperatura
25.0
500
N. Catture
Proseguirà il monitoraggio su 5 siti che rappresentano aree omogenee del territorio pedemontano, dal Peveragnese al Saluzzese, attività svolta in collaborazione
da Creso e Disafa dell’Università di Torino. Le trappole
sono costituite da una bottiglia di plastica contenente
250 ml di aceto di mele con 5-6 fori (diametro massimo
0,5 cm) sui lati per consentire l’ingresso degli insetti.
L’esposizione delle trappole dura tutto l’anno. Nei
periodi di scarsa presenza la sostituzione e i conteggi
sono effettuati ogni due settimane, mentre nei periodi
critici si passa ad una frequenza settimanale. Le letture
delle catture vengono comunicate tempestivamente attraverso il bollettino ai tecnici di base. Nel corso della
stagione prenderà forma il grafico dell’andamento delle
popolazioni maschile e femminile, con funzione predittiva dei picchi di infestazione.
5.0
Interventi agronomici preventivi
100
Fino ad oggi la strategia di difesa più efficace è la
prevenzione. Si tratta di creare condizioni sfavorevoli
allo sviluppo dell’insetto e ridurne il potenziale di infestazione. Di seguito gli interventi raccomandati.
0
Fig. 1 - Volo di Drosophila suzukii e andamento delle temperature (mirtilleto CReSO).
Controllo della vegetazione
Distruzione degli scarti
Occorre sfoltire la vegetazione con interventi in verde, per agevolare la raccolta di tutti i frutti ed evitare di
dimenticarne all’interno della chioma. Nei lamponeti
occorre rimuovere anche i polloni esterni alla fila.
I frutti di scarto vanno raccolti in sacchi di polietilene trasparente ben chiusi. L’esposizione al sole fa
aumentare la temperatura a livelli che devitalizzano in
pochi giorni uova e larve presenti nei frutti.
Raccolte
Effettuare passaggi di raccolta ravvicinati. I frutti maturi, o peggio senescenti, attraggono gli adulti di drosofila. Con le raccolte ravvicinate si riduce anche il rischio
di cascola dei frutti che, una volta a terra, sono difficili
da rimuovere e distruggere. Il frutto infestato lasciato
sulla pianta o cascolato consente il completamento del
ciclo di sviluppo delle larve, dando origine a una nuova
generazione.
3/7
8/7
13/7
18/7
23/7
28/7
2/8
7/8
12/8
17/8
22/8
27/8
1/9
6/9
11/9
16/9
21/9
26/9
1/10
6/10
11/10
16/10
21/10
26/10
31/10
5/11
10/11
15/11
20/11
25/11
30/11
5/12
10/12
15/12
20/12
25/12
30/12
4/1
9/1
0.0
-5.0
Cattura massale con trappole alimentari
La miscela più appetita è composta da:
– 190 ml di aceto di mele,
– 60 ml di vino rosso,
– un cucchiaino di zucchero di canna grezzo.
Buoni risultati sono stati ottenuti anche con l’impiego di macerato di frutti di fragola o di lampone.
Le bottiglie devono essere posizionate precocemenFRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
65
Tunnel con rete antinsetto.
predatori di ragnetto rosso. Occorre quindi monitorare
con attenzione lo sviluppo dell’acaro. I fitoseidi possono essere reintrodotti ponendo attenzione alla persistenza dell’insetticida.
Per lampone e rovo la strategia di intervento proposta nel 2013 è stata di un trattamento abbattente alle
prime rilevanti catture. Nel corso della stagione, in funzione dell’andamento della maturazione, è stato consigliato di proseguire con gli altri due trattamenti consentiti nelle situazioni a più elevato rischio. Nel 2014
i bollettini fitosanitari forniranno le nuove indicazioni
sulla base del monitoraggio dei voli.
Valutazione dell’efficacia di reti antinsetto
Trappola per la cattura massale.
te, già in occasione del primo volo, e lasciate fino a
quando si registrano catture, spesso ben oltre la raccolta. Le “esche” vanno sostituite ogni 7-10 giorni.
Sulle bottiglie devono essere praticati almeno una
dozzina di fori con dimensioni non superiori ai 4-5 mm.
Il posizionamento delle bottiglie, distanziate tra loro di
circa 2 metri, deve avvenire lungo tutte le file con i fori
ad una altezza da terra di 100-120 cm da terra per il
lampone e il mirtillo. Per la fragola i fori devono trovarsi
all’altezza dei frutti. Si raccomanda di evitare le postazioni in pieno sole.
Interventi fitoiatrici
Attualmente non sono disponibili agrofarmaci registrati, ma vengono concesse registrazioni provvisorie
per 120 giorni. Nel corso del 2013 hanno ottenuto questa registrazione il Fosmet e la Deltametrina.
Fosmet (Spada 200 EC) è ammesso solo su mirtillo, con un solo trattamento alla dose di 350-375 ml/hl
(3,75 l/ha). Tempo di carenza 5 gg.
Deltametrina (Decis) alla dose di 50 ml/hl (0,5 l/
ha) e DECIS JET alla dose di 83 ml/hl (0,83 l/ha) sono
ammessi su lampone e rovo con la possibilità di eseguire tre interventi a distanza di 7 gg. Tempo di carenza
7 gg.
L’impiego del piretroide non è selettivo sui fitoseidi,
66
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
Nel 2013 Creso e Disafa hanno allestito la copertura
di un lamponeto con rete anti-insetto, per verificarne
l’efficacia nel limitare l’ingresso della drosofila.
Caratteristiche della rete sono maglie sufficientemente fitte per impedire il passaggio dell’insetto (mesh 16/10
con maglie di 0,8x0,8 mm), altezza di 2,5 m, di cui 0,5 m
sporgenti verso l’esterno, larghezza di 7 m (circa 1 m in
più dell’impianto per permettere l’arieggiamento del tunnel). Il posizionamento della rete è avvenuto il 5 giugno,
la rimozione è stata effettuata il 30 ottobre.
All’interno del tunnel erano presenti varietà di lampone rifiorente con diversa epoca di maturazione, in modo
da coprire tutto l’arco della stagione.
Il 31 luglio 2013 è stato eseguito un trattamento abbattente a base di deltametrina e il 23 agosto è stato fatto
un trattamento acaricida con Exitiazox + Abamectina.
Le catture della trappola posizionata all’interno del
tunnel (50 esemplari) sono state sensibilmente inferiori
rispetto alla trappola esterna (272 esemplari). Dopo la
rimozione della rete (30 ottobre), le catture della trappola interna (730) si sono portate ai livelli della esterna
(1.127). La rete si è quindi dimostrata efficace nell’impedire l’accesso della drosofila al lamponeto. L’integrazione rete + agrofarmaci ha protetto adeguatamente la
produzione del lamponeto. Si tratta ovviamente di una
strategia costosa, che è conveniente adottare in impianQ
ti già predisposti per la coltura protetta.
Cristiano Carli, Roberto Giordano
Creso - Cuneo
DAI FRUTTETI METAPONTINI
Sostanza organica e produttività dei suoli
Un progetto per i terreni soggetti
a erosione e desertificazione
N
el 2013 ha avuto inizio, presso l’Azienda
Pantanello dell’Alsia, il Progetto Biorem, Env/
It/000113, cofinanziato dal programma Life+,
lo strumento finanziario Europeo di supporto ai progetti
di conservazione della natura e ambientali.
Il progetto considera i processi di degrado del suolo
che, pur variando considerevolmente fra gli Stati membri in termini di gravità e pericolo, interessano tutta l’Unione. Difatti si stima che 115 milioni di ettari, il 12%
del territorio Europeo, siano soggetti ad erosione del
suolo a opera dell’acqua, mentre 42 milioni siano interessati da erosione ad opera del vento. Inoltre si stima anche che il 45% dei suoli europei presentino un
basso contenuto di sostanza organica, principalmente
in Europa del sud, ma anche in Francia, Inghilterra e
Germania.
Al di sotto di una certa quantità di materia organica
contenuta nel terreno, la produttività del suolo si riduce
fortemente, sia per la mancanza di nutrienti organici,
sia per il degrado della struttura del suolo. Secondo Loveland et al. (2003) vi è un limite del 3,4% di materia
organica contenuta nel suolo (2% di carbonio organico) al di sotto del quale potrebbe verificarsi un serio
peggioramento della qualità del terreno. Le Villio et al.
(2001) collocano questo limite tra il 2 e il 3% quando
si tratta di terreni limosi.
Da un punto di vista ambientale ed economico,
molte regioni nel sud dell’Europa hanno raggiunto un
livello critico di sostanza organica contenuta nel suolo,
al di sotto del quale la produzione agricola potrebbe
precipitare. Nelle regioni mediterranee, i bassi livelli di
sostanza organica di alcune aree densamente popolate
stanno già avendo allarmanti conseguenze sulla produttività.
Lo sfruttamento e l’impoverimento del suolo sono la
causa di tre problemi ambientali e sociali:
1) erosione del suolo nelle aree agricole,
2) marginalizzazione e abbandono dei terreni agricoli,
3) impermeabilizzazione dei suoli.
Il progetto Biorem si pone l’obiettivo di fornire un
sistema integrato, veloce ed efficiente, per il monitoraggio e il ripristino del suolo, combinando l’azione
della rigenerazione vegetale con sostanza organica
esogena.
Rispetto al monitoraggio del suolo, l’obiettivo del
progetto è di dimostrare che il sistema previsto può
fornire un mezzo più veloce, più accurato e dinamico rispetto ai metodi esistenti. Per il ripristino del suolo l’obiettivo è di dimostrare che le tecniche applicate
possano ripristinare con successo i terreni degradati,
migliorandone le proprietà fisico-chimiche, l’attività
biochimica ed aumentandone la fertilità fino al 25%.
Inoltre con un’analisi molecolare quantitativa e qualitativa del profilo del suolo, si cercherà di conseguire
Particolare del campionamento a diverse profondità.
Il gruppo di ricerca che partecipa al progetto
I
l progetto vede la partecipazione dei seguenti gruppi di ricerca e sperimentazione pubblici e privati.
Il gruppo di ricerca dell’Isecnr di Pisa, che si occupa del coordinamento del progetto, appartiene all’istituto degli studi sull’ecosistema (Ise) del
Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), che curerà gli aspetti relativi alle
analisi dei suoli trattati.
L’Azienda Pantanello dell’Alsia situata nel cuore di Metaponto, territorio
caratterizzato da un’agricoltura altamente innovativa, che ha portato un
forte impoverimento dei terreni agricoli in termini di sostanza organica, che
si occuperà della esecuzione dei campi.
Il Csic-Cebas di Murcia, istituto che fa parte del consiglio nazionale spagnolo delle ricerche è l’istituzione pubblica nel settore della ricerca al primo
posto in ordine di grandezza in Spagna e la terza in Europa, che curerà gli
aspetti relativi alle analisi dei siti.
Abonos Orgánicos Pedrin è una azienda privata spagnola localizzata in
Murcia, che si occupa della produzione e commercializzazione di prodotti
agrochimici, quali il concime organico e prodotti utilizzati nell’agricoltura
biologica tradizionale, che si occuperà della esecuzione dei campi.
$PHNVFUOSURPXRYHORVYLOXSSRGHOODULFHUFDVFLHQWLÀFDHODVSHULPHQWDzione nel campo delle biotecnologie, in particolare nell’impiego di enzimi in
DJULFROWXUD]RRWHFQLDUHFXSHURGHOODELRPDVVDHGHLULÀXWLHERQLÀFDGHLVLWL
contaminati; nel progetto curerà l’esecuzione dei campi.
Q
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
67
Spargimento della sostanza organica.
Particolare del campo con impianto delle essenze previste.
un’analisi dettagliata, individuando ed analizzando la
presenza e lo stato dei processi enzimatici.
Azioni proposte nel progetto
Il progetto Biorem consta di quattro azioni strettamente connesse:
individuazione del sito, del quale sono state effettuate le analisi delle condizioni iniziali che serviranno
per verificare i cambiamenti che si avranno in futuro
dopo aver praticato gli interventi previsti. I siti sono situati in Spagna e in Italia. I 10 siti, su cui si opera, saranno suddivisi in 40 “sotto-siti” dei quali:
tTFSWJSBOOPEBDPOUSPMMPFOPOWFSSBOOPUSBUUBUJ
tWFSSBOOPBSSJDDIJUJEJNBUFSJBPSHBOJDBFTPHFOB
tWFSSBOOPEFEJDBUJBMMBSJHFOFSB[JPOFWFHFUBMF
tTBSBOOPUSBUUBUJDPOVOBDPNCJOB[JPOFEFJEVF
metodi (arricchimento con materia organica esogena e
rigenerazione vegetale).
tEJNPTUSB[JPOFEFMMJOOPWBUJWBUFDOJDBEJNPOJUPSBHHJP
biochimico attraverso 4 sessioni di campionamenti e
misurazioni che risulteranno in una caratterizzazione
dinamica dello stato e dell’evoluzione dei terreni trattati.
L’iniziativa e i suoi risultati saranno divulgati nei Paesi coinvolti nel progetto e nel resto dell’Unione grazie a una campagna di comunicazione appositamente
strutturata.
Azioni in fase di attuazione
Presso l’Aasd Pantanello dell’Alsia sono stati realizzati tre siti per la dimostrazione delle strategie di
rigenerazione vegetale così come proposti nel Progetto Biorem. Su questi siti è stato applicato il protocollo
sperimentale, con l’uso di sostanza organica (di origine
animale) e la rigenerazione con specie vegetali quali il
Lentisco e il Pino d’Aleppo.
68
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
I siti scelti presentano tre differenti tipi di suolo e
sono stati realizzati nel mese di settembre 2013; in essi
è stato già avviato il monitoraggio biochimico e le misurazioni.
I primi risultati
Come atteso, immediatamente dopo l’applicazione delle strategie di rimediazione (compost e piante),
il carbonio organico totale (Toc) aumenta rispetto ai
terreni di controllo, grazie all’aggiunta della sostanza organica. In accordo con l’andamento del Toc,
la frazione più resistente di sostanza organica (sostanza umica) ha mostrato la tendenza ad aumentare con l’applicazione del compost. L’incremento di
tali parametri chimici è più evidente nei siti spagnoli rispetto a quelli italiani. Inoltre, l’applicazione di
compost ha migliorato le condizioni microbiologiche
e biochimiche dei suoli selezionati. Infatti, l’attività
dell’enzima deidrogenasi, che valuta gli effetti indotti
dalla gestione del suolo sul metabolismo microbico,
l’attività dell’enzima-glucosidasi, che rappresenta il
potenziale del suolo di idrolizzare composti carboniosi a basso peso molecolare e l’attività dell’enzima
fosfatasi, che catalizza l’idrolisi di P organico con il
rilascio di fosfati, risultano stimolate nei suoli trattati.
Anche l’attività β-glucosidasi extracellulare è risultata
più alta nei terreni trattati con compost rispetto ai
terreni di controllo. La presenza di questo enzima
extracellulare, che grazie alle interazioni chimiche
con le sostanze umiche (complessi umo-enzimatici)
viene protetto dalla denaturazione chimica e proteolitica, può fornire informazioni per una migliore comprensione dell’efficacia delle pratiche di recupero del
Q
suolo.
Carmelo Mennone
Alsia, Az. Sperimentale Pantanello, Mataponto (Mt)
IL CASO CAMPANIA
Si afferma la lotta “integrata” con entomofagi
Sempre più Sabrina per le fragole,
ma le superfici si contraggono
N
el panorama fragolicolo campano si afferma sempre più la varietà
Sabrina.
I dati del Cso rilevano la prevalenza di Sabrina (58%) con frutti
di bella forma conico-allungata, in entrambi gli areali, Piana del Sele e
Agro-aversano; nel salernitano seguono Candonga (9%), Florida, Fortuna,
Amiga e Rania, mentre nell’aversano Candonga, Florida e Fortuna.
«Le ottime caratteristiche di Sabrina – ci dice Marco Valerio Del Grosso, esperto del settore, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo –
ne hanno consentito l’affermazione e i fragolicoltori si stanno ampiamente
orientando verso questa cultivar, anche se si è dimostrata più sensibile agli
attacchi di oidio».
Le scelte del materiale di propagazione è sostanzialmente rivolta verso
due tipologie. «Per le produzioni precoci, continua Del Grosso, si opta per
le piantine a “cima radicata”, mentre qualora si voglia puntare a produzioni di qualità anche più tardive la scelta ricade per le piantine a “radice
nuda”».
Ai tanti vantaggi delle piante “fresche”, quali il ritardo stesso nella
piantagione, l’anticipo del calendario di raccolta, la riduzione dei costi
I mercati
mercati di destinazione delle fragole campane sono Italia, Germania,
Svizzera, Svezia, Austria, con il 65% rappresentato dalla Gdo e il 35%
dai mercati.
«I mercati esteri – riferisce Capriolo – sono molto esigenti in quanto
a certificazioni ed integrità del prodotto, gli italiani invece preferiscono
fragole dal colore brillante, buone, ed ultimamente sono interessati anche alla tracciabilità ed alla conservazione del prodotto. Chiaramente,
Paesi quali Marocco, Egitto e Israele, con costi di produzione nettamente inferiori ed in grado quindi di vendere la loro frutta a prezzi più bassi
sono diventati agguerriti concorrenti, però con qualità inferiore e diversa
ed inadeguata presentazione del prodotto».
In Spagna, nostro principale concorrente, nel 2014, le coltivazioni
hanno sofferto basse temperature, venti intensi e piogge durante l’intero
mese di febbraio, con arrivo sui mercati interessati, di partite di qualità
inferiore alla media, prodotte in condizioni tutt’altro che ideali.
«La Spagna – continua lo sperimentatore – data la mole produttiva,
riesce comunque a determinare il mercato e a formare il prezzo, generalmente abbassandolo, quando entra massivamente in competizione
con il prodotto italiano. Pertanto il nostro punto di forza rimane l’elevato
livello qualitativo, ed il rispetto pieno delle norme attinenti la conservabilità del prodotto».
In Italia, i principali concorrenti delle fragole campano restano la Sicilia, in quanto a precocità dovuta ovviamente alle condizioni climatiche,
e la Basilicata per l’elevato standard varietale; tuttavia, vista l’ottima
qualità delle produzioni campane, i maggiori concorrenti restano i paesi
esteri.
«Nel prossimo futuro – conclude Del Grosso – si assisterà ad un’ulteriore contrazione delle superfici e si avvantaggeranno solo le aziende che
punteranno al massimo della qualità (sia come colore sia come sapore),
stante le esigenti richieste dei mercati, sia interni sia esteri». C.B
Q
I
Sabrina si sta affermando in tutti gli areali di coltivazione
campani.
L’impiego di piante “fresche” presenta numerosi vantaggi,
ma anche qualche inconveniente.
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
69
I mercati, sia italiani che esteri, sono molto esigenti e cercano prodotti di ottimo colore e sapore.
Le produzioni campane, stante gli elevati standard qualitativi, non temono la concorrenza.
di produzione, il regolare e valido aspetto del frutto, la maggiore tolleranza agli stress, si contrappone
qualche svantaggio, come ci riferisce Giuseppe Capriolo dell’unità di Frutticoltura del Cra di Caserta:
«Le difficoltà possono essere collegate all’andamento termico, con temperature che possono risultare
troppo rigide dopo la messa a dimora e alle condizioni di salinità in eccesso (conducibilità elettrica
Ec entro 1,2-1,3 mS/cm) con perdita di efficienza
produttiva. Quindi ruolo decisivo in questa tecnica
è la conoscenza della fisiologia, della nutrizione e
del controllo fitosanitario. Basta pensare ad esempio la difficile valutazione del momento di induzione
a fiore, elemento fondamentale per programmare la
produzione».
Tra le novità riguardanti la difesa si sta affermando l’uso sempre più frequente di entomofagi contro i
principali parassiti animali.
«Anche per la lotta all’oidio, aggiunge Del Grosso, si segnala una novità rappresentata da interessanti agrofarmaci a base di bicarbonato di potassio, che
sembra abbiano un discreto effetto nel contenere la
crittogama».
L’area nord
«Per quanto riguarda le novità colturali – ci riferisce Antimo Pedata, consulente del settore – nell’agro
aversano si sta assistendo al ritorno verso un sesto
d’impianto più largo (23 cm sulla fila e 35 tra le file
70
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
rispetto ai 20 2 30-35 cm degli anni passati) dovuto
all’impiego di varietà molto più vigorose di quelle
precedenti. Inoltre, si tende a modificare anche le
strutture protette e le coperture favorendo una migliore illuminazione e un superiore ricambio d’aria».
La scelta delle piante ricade sulle piante “fresche”
per prolungare anche perché, allungando il periodo
di raccolta, è possibile dilazionare l’impegno di manodopera.
«Per quanto riguarda l’impiego di “cime radicate”
– aggiunge Pedata – la varietà Fortuna sembra quella
rispondere meglio ed è certamente superiore a tutte
quelle già provate».
Quest’anno si è assistito ad un eccessivo sviluppo
delle piante trapiantate precocemente per l’eccezionale caldo che si è verificato nella stagione autunnale.
«Tuttavia – precisa Pedata – si può dire che l’annata, dal punto di vista produttivo, è stata ottima».
In Italia vi è una forte esigenza di rinnovamento
varietale, optando per cv che producano fragole resistenti e di qualità, anche perché i consumatori sono
disposti a pagare di più per frutti di qualità migliore e
come sempre la qualità premia.
«La principale finalità, aggiunge Capriolo, è quella di aumentare alcune caratteristiche qualitative dei
frutti (dolcezza e consistenza in particolare); nella ricerca pubblica lavorano ben 14 Unità di ricerca, con
Q
16 campi sperimentali costituiti in 13 regioni».
Carlo Borrelli
LE AZIENDE INFORMANO
Nella primavera 2014 attesa una produzione di 80 tonnellate della varietà Joly
Dalle ricerche del Civ la fragola che piace ai belgi
N
uovi riconoscimenti internazionali per le fragole ‘ferraresi’ frutto della ricerca del CIV.
Dopo il successo di mercato in
Gran Bretagna, la varietà Joly si
avvia a diventare la produzione
di riferimento in Belgio in particolare nella regione della Vallonia. I primi test produttivi risalgono al 2012; i buoni risultati
hanno incrementato la produzio-
ne nel 2013 e per la primavera
2014 si attende una produzione
di circa 80 tonnellate sul mercato
vallone.
La fragola Joly, caratterizzata
da una pianta rustica, è dotata di
notevole tolleranza alle malattie
sia radicali che fogliari. Il colore è
rosso brillante, molto attraente, e
le qualità organolettiche sono di
assoluta eccellenza, con sapore
Il Consorzio Italiano Vivaisti
iv è leader in Italia nell’innovazione varietale e nella produzione di materiali di propagazione certificati. Attivo dal
1983, con sede a San Giuseppe di Comacchio, in provincia di
Ferrara, il Civ è composto dai tre vivai italiani leader nel settore: Vivai Mazzoni, Salvi Vivai, Tagliani Vivai. Attraverso la sinergia, l’esperienza e gli investimenti importanti nella ricerca, Civ
è in grado di offrire prodotti all’avanguardia e più rispondenti
alle esigenze del mercato. Nel complesso i tre vivai producono
ogni anno circa 5 milioni di portinnesti, 3,5 milioni di piante
di mele, pere e drupacee, 150 milioni di piante di fragola e 2
milioni di zampe di asparago. Producono inoltre, su richiesta dei clienti, altre specie minori di frutta. Il Civ, con grande
lungimiranza, è impegnato da anni a selezionare varietà che
possono fornire produzioni di alta qualità con ridotto fabbisogno energetico e basso impatto ambientale. Civ è un membro fondatore dell’International New-varieties Network (Inn),
un’associazione mondiale di vivai che promuove lo scambio,
la valutazione e la commercializzazione di nuove varietà nelle
Q
principali aree di produzione nel mondo.
C
molto zuccherino e di ottimo aroma. I frutti sono molto resistenti
in pianta e possono essere raccolti a piena maturazione. Ottime la
conservabilità e la shelf life.
Le prove varietali messe in
atto fin dal 2011 dal GFW, l’associazione dei fragolicoltori valloni, hanno evidenziato i valori
caratteristici della Joly, in particolare la costanza dei risultati sia
sul piano quantitativo che qualitativo. Caratteristiche, afferma la
GFW, assai importanti “soprattutto tenendo conto del clima assai
variabile del Belgio che propone
condizioni climatiche assai differenti da una stagione all’altra.
Joly si è confermata una varietà
stabile nel tempo”. Inoltre i test
effettuati in Belgio hanno confermato la migliore tolleranza ai
patogeni del suolo e una minor
necessità di trattamenti contro
l’oidio rispetto ad altre varietà.
Quattro linee di ricerca
«Dal Belgio arriva una ulteriore conferma della bontà ed efficacia del programma breeding
fragola del Civ, attivo dal 1984
su quattro linee di ricerca: fragole
per ambienti a clima temperato
mediterraneo, per ambienti a clima continentale, rifiorenti e varietà adatte alla trasformazione
La varietà di fragola Joly.
industriale – commenta Mauro
Grossi, presidente Civ –. Puntiamo solo su tecniche classiche (assolutamente no Ogm) e su nuove
varietà che garantiscano produzioni elevate e frutti di ottima
qualità, assieme ad una naturale
rusticità e vigoria delle piante,
per offrire al mercato nazionale e
a quelli internazionali non solo la
qualità ma il massimo della ecosostenibilità».
La ricerca Civ nel comparto delle fragole, sostenuta dalle
aziende socie del Civ, i vivai Salvi
e Mazzoni, ha portato all’individuazione di 25 nuove varietà per
i diversi ambienti di coltivazione.
Attualmente vengono piantate in
coltivazione oltre 150 milioni di
piante di varietà originate dalla
Q
ricerca del Civ.
Per ulteriori informazioni:
Alessio Martinelli, responsabile Ricerca & Sviluppo Civ.
Tel. 0533-399431
Raccoglierà i contributi video forniti da tutti i clienti
Missione speciale Timac Agro Italia web-tv al servizio dell’agricoltura
L
e comunità agricole italiane
hanno una tradizione solidale. Hanno sempre scambiato
forze, manodopera, esperienze
e competenze. La missione speciale di Timac Agro Italia è portare la tradizione solidale in Rete,
per abbattere i limiti territoriali
e moltiplicare le esperienze da
condividere. Per questa missione
speciale Timac Agro Italia mette
a disposizione i suoi oltre 100
esperti agronomi, i suoi Clienti
e un agente segreto molto speciale: Fabrizio Fontana. Si vuole
costruire la più grande comunità
agricola italiana, aperta a tutti coloro che vorranno viverla, una rete di esperienze e di opportunità.
La web-tv è una sezione fondamentale della Missione Spe-
ciale, in cui verranno raccolti tutti i contributi video dei Clienti di
Timac Agro Italia e degli esperti
agronomi, per condividere le loro esperienze, i loro suggerimenti
e ogni informazione utile per ottenere il miglior risultato.
Oltre ai video anche i forum
sono il fulcro della “Missione
Speciale”, perché nei forum
tutti i giorni ogni utente, che sia
allevatore o agricoltore, cliente
o non cliente, esperto agronomo
oppure semplice appassionato,
potrà accedere ai preziosi
contributi degli altri utenti.
Per partecipare al progetto
“Missione speciale” è necessario
digitare l’indirizzo web sotto ed
iscriversi cliccando nell’apposita
sezione.
Suggerimenti per fare il video
Il consiglio è di fare un filmato breve, di 2-3 minuti. In
ogni caso mai superare i 5 minuti. E organizzare il video in tre
momenti ben precisi e distinti in
cui:
1. Parlate di voi e della vostra
azienda
2. Parlate dei vostri prodotti, di
cosa coltivate e cosa allevate
3. Parlate della vostra esperienza con Timac Agro Italia. Cosa
avete usato e che risultato avete
ottenuto.
Link:
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https://www.facebook.com/timacagroitalia
http://www.youtube.com/channel/
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*Tra quelli inviati entro il 31.10.2014.
Per maggiori informazioni
http://missionespeciale.timacagro.it/ipad-di-james-tont/
FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014
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Albicocche Emma e Gemma dal breeding italiano