Con queste diapositive vi illustriamo le
principali feste e i divertimenti più in uso
al tempo degli antichi romani…
I Romani
Le feste
I divertimenti
Le nostre creazioni
E' dai miti che i Romani derivano molte delle loro feste
religiose.
Le Lupercalia
Le Lupercalia, festeggiate il 15 febbraio, sono giunte fino a
noi ricche dei particolari. Celebrata in onore di Faunus
Lupercus, dio di origine greca che teneva lontani i lupi dalle
greggi, la festa inizia proprio nel Lupercale, la grotta sul
Palatino dove la lupa, secondo la credenza, ha allattato
Romolo e Remo.
E' qui che i Luperci (i sacerdoti) sacrificano gli animali,
più che altro capre, in onore del dio. Con la lama ancora
insanguinata dei coltelli sacrificali vengono bagnate le
fronti di due Luperci e poi ripulite con della lana intrisa
nel latte (secondo altre fonti non si tratta di luperci ma di
due ragazzini di famiglia patrizia). Le pelli degli animali
sacrificati vengono poi tagliate a listarelle con le quali i
sacerdoti si cingono i fianchi dividendosi in due gruppi.
Completamente nudi tranne che per le strisce di pelli, i Luperci
iniziano di corsa due percorsi contrapposti, inizialmente tutto intorno
al colle (in seguito si riduce al semplice giro del Foro) per poi
ritornare al punto di partenza. Con le strisce di pelli frustano lungo il
percorso tutti coloro che incontrano e soprattutto le donne, alle quali
intendono così fare dono della fertilità, almeno secondo
l'interpretazione di Ovidio (Varrone ritiene invece che si tratti, più
semplicemente, di un rito di purificazione).
Le origini e il significato di questo rituale affondano tanto le
radici nell'antichità che gli stessi autori classici ne spiegano le
varie fasi in modo diverso .Tuttavia i Romani tendono a
individuare nella festa la celebrazione dell'origine di Roma,
considerando il percorso dei Luperci come l'antico tracciato
delle mura della città e i due gruppi di sacerdoti come la
rappresentazione di Romolo e Remo. La festa sopravvive fino al
494 d.C., quando viene trasformata dai cristiani nella
celebrazione della purificazione della Vergine Maria.
Festa di Quirino
Anche la festa di Quirino, secondo la tradizione istituita da
Numa Pompilio sempre a febbraio, prende corpo dai miti della
fondazione di Roma. In epoca repubblicana Quirino, che è una
divinità di origine sabina protettrice di Roma insieme a
Marte, viene infatti identificato con Romolo. Il nome
Quirites, attribuito ai romani ha proprio questa origine.
Festa di Marte
La festa in onore di Marte, il padre divino di Romolo e, insieme a
Giove, una delle maggiori divinità romane, ricorda invece una delle
tante leggende che hanno come protagonista Numa Pompilio.
Celebrati in marzo, i festeggiamenti di Marte sono officiati da 12
sacerdoti-guerrieri, i cosiddetti Salii, impegnati in una
processione nella quale si cimentano in una strana danza, cantano
una litania così antica da essere incomprensibile agli stessi romani
e percuotono gli scudi magici fatti costruire da Numa Pompilio.
Questi scudi, gelosamente custoditi, hanno un'origine fantastica e
divina. Secondo la tradizione, infatti, Numa avrebbe deciso di
interpellare Giove per farsi svelare il segreto per difendersi dai suoi
fulmini.
Chiamato dal re, Giove discende sull'Aventino dove, a detta di
Ovidio, la terra addirittura si abbassa sotto il peso del Dio. Anche
se intimorito dalla divina presenza, lo scaltro Numa chiede a Giove
come placare il fulmine, ottenendo dapprima una riposta sibillina e
inquietante.
- Taglia una testa - sentenzia infatti Giove.
- Taglierò una cipolla cavata dei miei orti - interpreta allora Numa,
celebre per essere un uomo mite.
- Una testa d'uomo - precisa il dio nel tentativo di mettere il re in
difficoltà.
Numa non si lascia imbrogliare e replica:
- Taglierò allora la cima di un capello Giove insiste, chiedendo al re il sacrificio di una vita.
- Ucciderò un pesce…- risponde caparbio Numa.
Giove, per nulla offeso, ride dell'arguzia del re che per niente al mondo
vuole concedergli un sacrificio umano e gli rivela il rituale segreto da
compiere per difendersi dai fulmini.
Ai romani increduli, Numa dimostra, il giorno successivo, di aver
ottenuto la grazia di Giove invocando il dio davanti alla folla riunita.
Sotto lo sguardo attonito dei presenti un fulmine squarcia il cielo e uno
strano scudo, con degli incavi laterali, cade a terra inviato da Giove.
Per confondere eventuali ladri ed evitare che la preziosa testimonianza
divina venga trafugata, Numa incarica il fabbro Veturio Mamurio di
eseguire undici copie identiche dello scudo. I Salii ne divengono i
custodi, continuando nei secoli a portarle in processione.
E' curioso ricordare, a proposito dei fulmini, che non tutti i re di Roma
godono della stessa benevolenza che Giove riserva a Numa Pompilio.
Tullo Ostilio, infatti, guerrafondaio tanto quanto il suo predecessore
Numa è uomo di pace, pare abbia irritato Giove con le sue frequenti
scaramucce al punto da attirarsi le ire del dio sotto forma di una
grandinata di pietre e di una pestilenza. Per scongiurare il pericolo dei
fulmini Tullo avrebbe anche cercato di ripetere in segreto i rituali
conosciuti da Numa. Qualcosa però deve essergli andata storta, perché
la leggenda narra che Giove, evidentemente irritato, gli abbia risposto
incenerendogli il palazzo reale proprio con un fulmine.
Festa di Cerere
Dal 12 al 19 aprile, mese in cui vengono onorate anche molte altre
divinità agricole, si festeggia Cerere ricordando il mito greco di
Persefone e Demetra.Il culto di Cerere ha origini antichissime.
Inizialmente identificata come la dea delle Biade, è venerata dai
Romani con particolare devozione e nelle feste più antiche (le Sementive
e le Paganalia) è onorata insieme alla dea Tellus, che finisce poi per
essere confusa con la stessa Cerere.
In un primo tempo, quando ancora gode di un'identità propria, Tellus è
la rappresentazione della dea Terra e trova la sua omologa greca in
Gea, la primigenia madre generata da Caos (lo spazio cosmico
primordiale).
Vale certamente la pena, a questo punto, fare un passo indietro e
ricordare lo splendido mito greco della Creazione dell'Universo, in cui la
fantasia suggerisce all'uomo ciò che con la ragione non può
comprendere. Gea partorisce Urano, il cielo, e da lui viene fecondata
attraverso la pioggia. Dall'unione di Gea e Urano nascono i Ciclopi, gli
Ectonchiri (i giganti con cinquanta teste e cento braccia) e i dodici
Titani (alcuni maschi, altri femmine).
Tra questi ultimi c'è Oceano, il favoloso e immenso fiume che circonda
la terra, dio di tutte le acque che procrea i fiumi insieme alla sorella
Teti; Iperione, identificato con Elios e dio della luce; Ceo, che con
Febe, altra Titanessa, genera Leto (la notte buia) e Asteria (la notte
stellata); Crono, il tempo, il più giovane e ambizioso dei fratelli. Sarà
Crono a detronizzare il padre Urano, tanto che quest'ultimo non avrà
mai né culto né templi.
Crono, senza troppi scrupoli, toglie di mezzo il padre, lo evira e
ne getta gli "attributi" nel mare. Dalle acque così fecondate
nasce Afrodite (che i romani onoreranno come Venere), mentre
dal suo sangue vengono generati altri essere mostruosi, come i
Giganti, creature malvagie dalla enorme statura.
Ratto di Persefone
La festa di Cerere ricorda il mito con dei
banchetti nei quali i romani si scambiano frutti e
legumi e i riti religiosi vengono officiati
esclusivamente da donne vestite di bianco. Mentre
le altre pregano e digiunano, una di loro si
nasconde e ricompare solo dopo che è stato
compiuto il sacrificio di una scrofa gravida. In
epoca più tarda si aggiungono ai festeggiamenti
anche giochi, come corse di cavalli e bighe, da
tenersi però nei sette giorni precedenti alla festa
vera e propria.
Culto di Dia
Al culto di Cerere viene anche ricondotto quello di Dia, antichissima dea
latina che con Cerere viene confusa in epoca tarda. Il culto di Dia era
officiato dagli Arvali, i dodici sacerdoti ad essa consacrati e le origini
del loro collegio sono altrettanto antiche. Secondo la tradizione, infatti,
i primi Arvali altri non sono che i dodici figli di Faustolo e Acca Larenza,
i genitori adottivi di Romolo e Remo. Acca e i suoi figli avevano
l'abitudine di garantirsi la fertilità dei campi compiendo ogni anno dei riti
propiziatori. La consuetudine viene mantenuta dagli Arvali, che a maggio
benedicono un pane adorno di alloro, si passano ritualmente delle spighe
di grano tra le mani, cantano carmi (uno di questi, il Carmen Arvalis è
giunto fino a noi), ballano e organizzano giochi e banchetti. Gli Arvali
erano soliti portare sul capo delle fasce bianche e un serto di spighe di
grano in onore della dea.
Il culto di Dia prevedeva anche una festa non di carattere pubblico, detta
Ambarvalia e sempre celebrata in maggio, in cui si provvedeva a purificare
i campi con il sacrificio di un maialino da latte, un vitello e un agnello. Gli
animali venivano accompagnati al luogo del sacrificio in una processione,
nella quale i partecipanti, che dovevano essersi astenuti dai rapporti
sessuali la notte precedente ed essersi purificati le mani con l'acqua, erano
tutti vestiti di bianco e avevano il capo cinto con fronde di ulivo e quercia.
Festa di Libero
Se Demetra viene identificata con Cerere, in epoca tarda sua
figlia Persefone prende per i romani il posto di Libera, antica
divinità italica preposta alla fecondazione dei terreni insieme a
Libero (a sua volta successivamente identificato con Dioniso). La
festa di Libero viene festeggiata il 17 marzo ed è principalmente
una festa propiziatoria nella quale si offrono al dio delle focacce
di olio e miele. Tuttavia non va dimenticato che i suoi
festeggiamenti rivestono per i romani anche una notevole
importanza sociale. E' in questa occasione, infatti, che i ragazzini
maschi vengono accolti nel mondo degli adulti e i loro nomi iscritti
nei pubblici registri. Il passaggio è sancito dall'abbandono della
toga tipicamente infantile, bordata di rosso, e della "bulla", un
amuleto che tutti i bambini romani maschi portavano al collo dal
giorno della nascita come protezione da ogni possibile maleficio.
Feste Vestalia
Il culto della dea Vesta viene anch'esso fatto risalire a Numa Pompilio,
anche se in realtà la dea è già venerata in tempi ancora più antichi. Vesta
rappresenta il focolare domestico e la pace familiare. Le sue sacerdotesse,
le sei Vestali, sono considerate le figlie sacre di Enea. Nel tempio di Vesta
di Lanuvio, nei pressi di Roma, l'eroe avrebbe infatti portato i Penati di
Troia perché vi fossero custoditi. (I Penati erano numi tutelari della
famiglia, anche se probabilmente in origine erano le divinità degli alimenti
perché quasi certamente il loro nome deriva dal termine latino "penus" che
significa "vivande, cibo, provviste").
In onore di Vesta viene costruito un tempio vicino ai palazzi dei Cesari,
nel Foro, dalla particolare a forma circolare in ricordo delle antiche
capanne.
Le feste Vestalia si celebrano dal 9 al 15 giugno. In questo periodo il
tempio viene aperto al pubblico e le Vestali preparano la "mola salsa",
la pasta salata utilizzata in tutti i sacrifici dal cui nome deriva il
nostro termine "immolare" col significato di "sacrificare". Ingrediente
principale della "mola salsa" è il farro, il cereale che per molto tempo
rimane alla base dall'alimentazione, anche se successivamente viene
ampiamente sostituito dal frumento. La "mola salsa" viene conservata
dalle Vestali in recipienti dalla base molto stretta in modo che il sacro
impasto non possa venire nemmeno indirettamente a contatto con il
terreno e quindi contaminato.
L'importanza del
rituale del farro è
tale che a febbraio
si celebra anche
una antichissima
festa di carattere
propiziatorio per la
vita rurale,
cosiddetta
Fornacalia, dai
"forni" usati per la
tostatura del
farro.
Ludi Apollinares
Le feste in onore di Apollo, festeggiato in luglio, vengono invece
istituite dopo la consultazione dei Libri Sibillini durante la guerra
contro Annibale. Gli stessi Libri Sibillini ("seconda edizione"), sono
custoditi nel tempio di Apollo sul
Palatino. Il culto del dio approda a Roma intorno al 500 a.C. dalla
Grecia, dove Apollo è dio più importante dopo Zeus. Secondo il mito
Apollo è figlio dello stesso Zeus e della sua sposa Leto (Latona per
i Romani), a sua volta figlia di due Titani e perseguitata poi da
Era, la successiva compagna di Zeus.
Bellissimo, solare, dotato dei massimi poteri di vaticinio (il
famosissimo oracolo di Delfi, la sacerdotessa Pitia e la sibilla
di Cuma parlano per sua ispirazione), dio della medicina e delle
arti, consigliere delle Muse, vendicatore di tutto ciò che porta
morte, dolore, distruzione, malattia, Apollo vive mille amori e
genera molti figli.
I Ludi Apollinares vengono celebrati a Roma nel Circo Massimo.
Durante le cerimonie vengono offerti al dio e a sua madre due
pecore, un bue e una vacca con le corna dipinte d'oro.
Avendo citato i Libri Sibillini, corre l'obbligo di raccontare
della loro origine. Narra Dionigi di Alicarnasso che la raccolta
dei testi profetici, scritti in greco, compare a Roma ai tempi
di Tarquinio il Superbo. Una misteriosa vecchia si presenta un
giorno al cospetto del re offrendogli di comperare l'intera
raccolta. Il re rifiuta sdegnosamente e la vecchia comincia a
bruciare i libri uno alla volta, continuando ad offrire al re i
rimanenti, sempre allo stesso prezzo. Impressionato, il re
decide di comperare gli ultimi libri rimasti prima che vengano
interamente bruciati, pagando l'intero prezzo.
La vecchia, così come è comparsa, misteriosamente scompare lasciando
a Tarquinio la raccolta, seppur incompleta, della più accreditata fonte
di vaticini e profezie dell'antichità. Analoga l'origine dei libri secondo
Lattanzia, a detta del quale, però, il re in questione sarebbe stato
Tarquinio Prisco e la vecchia addirittura la Sibilla di Cuma.
I libri Sibillini vengono inizialmente custoditi gelosamente dai romani
nei sotterranei del tempio di Giove Capitolino. Vengono consultati
ogniqualvolta debbano essere prese importanti decisioni che riguardano
l'intera collettività o si siano verificati particolari "segni" divini da
interpretare.
Nel luglio dell'anno 83 a.C. i libri vanno in parte distrutti nell'incendio
che rade al suolo il tempio di Giove e la gravità del fatto impone che
vengano al più presto reintegrati. Consultando tutte le più rinomate
sibille del tempo, viene ricostituita una nuova collezione di libri
profetici che Augusto fa trasferire nel tempio di Apollo dove vengono
conservati nascosti sotto la statua del dio. Sarà Stilicone, nel 400
d.C., a decretarne la definitiva scomparsa ordinando che vengano dati
alle fiamme.
Ludi Megalensi
Celebrati in aprile, i Ludi Megalensi sono i festeggiamenti della dea
Cibele, simbolo di fecondità e conosciuta anche come la Grande Madre
(ha infatti generato Zeus). Il culto di Cibele è di origini orientali ed
ha forti caratteri orgiastici. Si ritiene che Pessinunte, in Asia Minore,
sia la principale città di provenienza del culto da dove si è poi diffuso
in Grecia, nell'isola di Creta e infine a Roma. La dea è "importata"
nell'Urbe nel 204 a. C. su preciso intento del Senato che, facendo
probabilmente confezionare "ad hoc" un oracolo sibillino, autorizza il
trasferimento a Roma del culto di Cibele e della "pietra nera"
(probabilmente un meteorite) che la rappresenta e che è stata fino a
quel momento custodita a Pergamo. La decisione ha chiari intenti
politici. In questo periodo i Romani stanno vivendo momenti di profonda
tensione per le vittorie di Annibale in Italia e cercano sempre più
spesso conforto spirituale nelle superstizioni orientali, cosa che impone
al Senato di vigilare direttamente. In più, si rende necessaria una
alleanza politica con il re di Pergamo. Nulla di meglio, quindi, che
intessere un vincolo religioso che da Pergamo si snodi fino a Roma
L'arrivo della statua di Cibele a Roma è legata ad un fatto
miracoloso e leggendario. Si narra infatti che la nave sulla
quale era stata caricata la statua della dea si sia arenata nel
Tevere, tra lo sconforto e la preoccupazione della folla che si
è riunita per assistere all'evento. Inutilmente numerose e forti
braccia cercano di trascinare l'imbarcazione con delle funi
lungo il corso del fiume. La nave sembra incollata all'alveo e
non si sposta di un centimetro.
Avanza allora verso la riva Claudia Quinta, una giovane
considerata poco virtuosa e oggetto di feroci malelingue. La
ragazza invoca la dea, chiedendole di punire la sua eventuale
colpa nel sangue o di dimostrare la sua purezza seguendola.
Claudia afferra le funi che legano la nave e con la forza delle
sue sole braccia riesce a trasportare l'imbarcazione fuori dalla
secca nella quale si è incagliata.
I sacerdoti di Cibele vengono denominati "Galli" e l'etimologia della
parola è piuttosto incerta. Secondo alcune fonti essi prenderebbero il
nome da un fiume omonimo le cui acque, purché bevute in quantità
modica, avrebbero il potere di guarire qualsiasi malattia facendola
espellere dal corpo attraverso il cervello. Se assunte in eccesso, le
stesse miracolose acque porterebbero alla follia.
La punizione per i sacerdoti che si fossero abbandonati a troppo
abbondati "bevute" sarebbe stata l'evirazione. Pare che proprio per
questo motivo il popolo dei Galli avrebbe assunto questo nome,
cercando di ricordare ai Romani conquistatori che avevano a che fare
con gente capace di trasformarsi in "castratori" di uomini. Secondo
altre interpretazioni, invece, il nome di Galli attribuito ai sacerdoti
avrebbe avuto unicamente il significato di "barbari" e quindi di
stranieri.
Questo appare plausibile, poiché i sacerdoti di Cibele
potevano essere solo di origine orientale. Il rito
dell'evirazione, che in ogni caso praticano, acque sacre o
meno di mezzo, è infatti rigorosamente proibito ai cittadini
romani e il Senato vigila rigorosamente sui culti officiati in
onore della dea, possibili solo all'interno del tempio. Soltanto
in occasione delle Lavatio, che si svolgono una volta all'anno
entro il 4 aprile, viene effettuata una processione pubblica
durante la quale i sacerdoti di Cibele portano la statua della
dea, con incastonata la pietra sacra, dal tempio fino all'Almo,
un affluente del Tevere. Qui la dea viene purificata con
l'immersione della statua e degli arredi sacri nelle acque del
fiume. Dal 4 al 10 di aprile si svolgono poi i Ludi Megalensi,
in cui si festeggia con spettacoli teatrali e banchetti.
Cibele è rappresentata come una matrona dalla testa cinta di
torri (le città esistenti sulla terra)e circondata da leoni
(simbolo dell'idea che la cultura può sottomettere le
popolazioni ribelli). Il suo simbolo è il timpano, che
rappresenta la sfera del mondo.
Le feste dedicate ai morti
In questi giorni i templi vengono chiusi, spenti i fuochi sacri, non si
possono celebrare matrimoni e tutti devono dedicarsi, anche se
ricoprono cariche pubbliche, al culto dei propri morti. Ai defunti
vengono offerte delle ciotole lasciate ai bordi delle strade riempite
con cereali (soprattutto farro), sale, pane bagnato nel vino e fiori di
viola.
In questo periodo vengono onorati anche i Lari, inizialmente
identificati con le anime dei defunti, protettrici della loro casa natale
e della terra e successivamente considerate come vere e proprie
divinità del focolare domestico.
In febbraio, dal 13 al 21, si svolgono le cosiddette Parentalia. Nei
giorni immediatamente successivi si celebrano invece le feste dei Cara
Cognatio (o Caristia). Le Parentalia si ritengono essere state istituite
dallo stesso Enea e vedono protagoniste le Vestali, sue figlie sacre, le
quali provvedono a offrire sacrifici in
Saturnalia
Sono forse le più famose feste dell'antichità. Celebrate dal 17 al 23 dicembre
di ogni anno sanciscono la fine dell'anno agricolo e sono dedicate a Saturno,
antichissima divinità agricola dell'Italia Centrale, identificata con Crono dopo la
diffusione dei culti greci a Roma. La sovrapposizione delle due divinità è forse
stata facilitata dalla loro iconografia, simile perché entrambe rappresentate
con una falce.
Racconta il mito che Saturno/Crono, dopo essere stato cacciato dall'Olimpo,
trova la sua dimora sul Campidoglio, dove venne edificato il suo tempio più
famoso. Poiché il dio non avrebbe potuto lasciare chi lo aveva accolto, nel
tempio era custodita una sua statua legata con delle catene, che venivano
sciolte solo in occasione dei saturnalia.
Poiché, secondo la leggenda, Saturno è anche il dio che regnava nella
cosiddetta "età dell'oro" durante la quale gli uomini potevano vivere
semplicemente raccogliendo i frutti che la terra spontaneamente donava loro, le
feste di Saturno sono celebrate all'insegna dell'ozio e, tranne per il primo
giorno dedicato alle celebrazioni religiose, si respira un clima di assoluta libertà
e vacanza, con banchetti, possibilità di giocare d'azzardo e scambio di doni.
In questo periodo vengono anche sovvertiti i normali ordini sociali. Gli schiavi
possono indossare gli abiti degli uomini liberi e siedono alla stessa tavola dei
loro padroni, che, per l'occasione, indossano il tipico cappellino portato dagli
schiavi affrancati e servono le pietanze.
La Triade Capitolina
Sono Giove, Giunone e Minerva a costituire la cosiddetta Triade Capitolina,
definizione che non è antica perché si ritrova nei testi solo a partire dal XIX secolo.
Il culto della triade è prettamente romano e ha origini incerte. Servio Danielino,
filologo latino vissuto tra il IV e il V secolo d.C., sembra darne origini etrusche, ma a
tutt'oggi non esiste alcun ritrovamento archeologico a supporto della tesi che fosse
venerata anche in epoca pre-romana.
E' indubbio, comunque, che la diffusione del culto della Triade sia stata supportata
dalla precisa volontà politica di definire un gruppo di divinità "superiori", tali da
identificare la grandezza di Roma anche da un punto di vista religioso. Templi
dedicati alle tre divinità vengono infatti costruiti anche in molte colonie.
Il culto, comunque, deriva certamente da quello di Giove Capitolino con gli epiteti di
Optimus e Maximus per differenziarlo da qualsiasi altro Giove diversamente
definito e venerato dalle comunità latine limitrofe.
Successivamente vengono aggiunte al culto anche Giunone Regina ("ad essa
appartengono tutti i luoghi della terra", come riferisce Varrone) e Minerva
protettrice delle arti, alla quale, in alcune zone e a partire dal II secolo d.C., viene
dato l'epiteto di Augusta.
Il culto della Triade è strettamente legato al suo tempio, edificato sul Campidoglio
e fornito di tre celle parallele nelle quale vengono poste le statue delle tre divinità:
Giove al centro, seduto in trono e con i fulmini nella mano, Giunone alla sua sinistra e
Minerva a destra.
L'importanza del tempio è dimostrata dalle stesse fonti che
riportano la cronaca dell'invasione di Roma da parte dei Galli nel
390 a.C. Pare infatti che in quell'occasione il Campidoglio e il
tempio siano stati risparmiati dai nemici, a riprova della potenza
di Giove Capitolino. Il Senato, una volta sconfitti i Galli,
istituisce perciò i ludi Capitolini.
I festeggiamenti di Giove Capitolino (denominati anche ludi
Romani o Magni) si svolgono ogni anno in settembre per 16
giorni, con magnifiche parate militari, cortei variopinti di
danzatori, musicisti, atleti e inservienti dei templi che
portano vasi d'oro e d'argento colmi di incenso e profumi.
Anche le statue di tutti gli dei vengono fatte sfilare per le
vie della città. Al temine delle parate vengono sacrificate
solennemente molte vittime, dopo essere state purificate con
acqua e interamente cosparse di mola salsa. Nel circo
Massimo, per tutta la durata dei ludi, si svolgono giochi ed
esibizioni di acrobati.
Alle idi di settembre viene anche offerto un particolare
banchetto in onore alla Triade, al quale partecipano i
sacerdoti e le stesse statue degli dei, Minerva e Giunone
sedute e Giove sdraiato sul triclinio.
Il culto della triade non era tuttavia esclusivamente pubblico.
Il ritrovamento della Triade di Guidonia e di altri
bronzetti nella casa degli Amorini dorati di Pompei ha
dimostrato come esistesse anche un culto privato e
famigliare particolarmente sentito.
La Triade ritrovata a Guidonia nel 1994 (vedi foto) è
sicuramente di elevatissimo interesse archeologico in
quanto, allo stato attuale, è l'unico esemplare
rinvenuto praticamente intero in cui le tre divinità
siedono insieme e non su troni separati. Giove si
identifica al centro, con il fascio di fulmini ben evidenti
nella mano destra. Alla sua sinistra è rappresentata
Giunone, con in testa un diadema e un velo e lo scettro
nella mano sinistra. A destra è invece posta Minerva
nell'atto di reggere probabilmente l'elmo (braccio
destro mancante). Ai piedi delle tre divinità sono anche
riconoscibili i tre animali sacri: l'aquila, il pavone e la
civetta.
Oltre ai noti combattimenti tra Gladiatori nell' Anfiteatro Flavio
(Colosseo) o ai combattimenti contro feroci animali mostrati molto di
frequente nei film, i Romani amavano anche le corse dei cocchi. Il
Circo Massimo era un ippodromo capace di ospitare fino a 250.000
persone che assistevano ad emozionanti gare dove di frequente i
concorrenti cadevano rovinosamente.Anche il teatro era molto
seguito con i suoi due spettacoli per rappresentazione, uno
drammatico e l'altro comico per tirare su il morale. E' da notare
che seppure i Romani amassero le arti greche, gli attori non
venivano considerati come artisti ma piuttosto come persone di
basso livello sociale.
Tutti gli spettacoli dal Colosseo all' Ippodromo o al Teatro erano
gratuiti, a pagare le spese in genere erano o un Imperatore o una
persona importante, entrambi con lo scopo di conquistarsi il favore
del popolo.
Per finire va sottolineato che, contrariamente a quanto si crede, i
Gladiatori non combattevano contro gli animali, ma contro altri
Gladiatori. Erano i Venatori che effettuavano feroci combattimenti
contro feroci animali provenienti dalle più remote province dell'
Impero.
Sia i Gladiatori che i Venatori erano schiavi, spesso erano guerrieri
fatti prigionieri durante le guerre. Talvolta però, come fece l'
Imperatore Commodo, anche chi non era schiavo poteva combattere
per dimostrare il proprio valore ed il proprio coraggio.
Il Gladiatore sconfitto rivolgeva il
suo sguardo all' Imperatore, il quale
in base agli umori del pubblico
decideva: pollice su equivaleva alla
grazia, pollice giù la morte.
La Nascita del Teatro
Tutti conoscono i teatri dell’antica Grecia.
C’immaginiamo che da allora fino ad oggi i
teatri, anche se cambiati ed evoluti nei secoli,
sono sempre stati parte della vita cittadina
d’Europa.
Effettivamente il teatro, come edificio, è nato nella Grecia antica. I primi teatri
consistevano in panche di legno poste su una collina in declivio, con uno spazio piano
davanti per le rappresentazioni. I primi teatri in pietra furono costruiti verso la
fine del VI secolo a.C.; il teatro di Dionisio ad Atene risale al 544 a.C. eretto
sotto la direzione di Pisistrato. Dal quarto secolo
a.C. la struttura del teatro era compiutamente
definita, come dimostra il teatro di Epidauro
(Epidaurus) con 12.300 posti, costruito nel 350
a.C. da Policlito il Giovane.
I teatri greci erano sempre costruiti fuori città, annesso ai templi,
su una collina che offriva una formazione facilmente adattabile alla
struttura. Non erano concepiti come strutture monumentali, ma
esclusivamete funzionali. Il teatro greco consisteva nell’orchestra,
una zona circolare pavimentata con tavole di legno usato per le
rappresentazioni, la cavea, una serie di gradoni semicircolari
appoggiati al terreno per ospitare gli spettatori, e la skené, un
edificio scenico che serviva da fondale, di fronte alla cavea.
Migliorava l’acustica, senza nascondere il panorama. La skené era
tipicamente dotata di tre porte per le entrate in scena, una centrale
e due laterali. Lo spazio tra la rettangolare skené e l’orchestra
circolare si chiamava “proskénion”. La cavea era suddivisa in settori
da uno o più scalette che la tagliavano a cuneo, e da corridoi
concentrici.
Le rappresentazioni erano inizialmente legati strettamente alla religione, vi
si svolgevano le feste dionisiache. Dagli inni di queste feste, detti
ditirambi, nasce la tragedia greca.
Tutta la popolazione assisteva agli spettacoli. Ogni attività lavorativa era
sospesa e la perdita della giornata lavorativa era risarcita ai cittadini più
poveri tramite un gettone di presenza, il theorikon. Queste celebrazioni,
con sacrifici e recitazioni, duravano molto, dalla mattina alla sera, spesso
per più di un giorno. Gli spettacoli, che includevano recitazione, musica,
canto, e danze, si svolgevano di giorno. Gli attori, cantanti e ballerini
usavano maschere per rappresentare il carattere e il sentimento; i costumi
erano standardizzati nel colore e negli attributi a seconda del personaggio.
Nel teatro greco si faceva ampio uso di macchine sceniche.
Nell’antica Roma il concetto di teatro ereditato dai greci è stato notevolmente
sviluppato. I primi teatri romani in pietra risalgono all’ultimo secolo della
repubblica (127 – 27 a.C.). Prima di allora, la legge proibiva la costruzione di
edifici permanenti per gli spettacoli, ma i teatri non permanenti in legno erano
straordinariamente sviluppati. Il teatro costruito in legno da M. Aemilius
Scaurus nel 58 a.C. contava 8000 posti, ed era sontuosamente decorato con oro
e mosaici. Il primo teatro costruito in pietra a Roma è il teatro di Gneo Pompeo
a Campo Marzio del 55 a.C.
Nel teatro romano i posti a sedere sono
arrangiati in semicerchi concentrici
come quelli greci, ma gli architetti
romani hanno sviluppato la tecnica di
sorreggere la struttura su archi e
corridoi a volte anziché appoggiarla ad
un terreno in pendenza. Così era
possibile costruire un teatro ovunque,
anche nel cuore delle città. L’esterno
diventa una struttura monumentale,
decorato con ordini di colonne ed archi
sovrapposti a più piani.
L’orchestra è semicircolare, più piccola di quella greca, perché non vi
si svolge più l’azione, che si sposta nell’edificio scenico. La skené
diventa la scaenae frons, una struttura a più piani, alta ma poco
profonda, lungo il lato diritto dell’orchestra. Serviva da fondale e
spesso conteneva i camerini per gli attori; racchiudeva le tre porte
ereditate dai teatri greci. Era ornato con elementi architettonici e
sculture. Davanti alla scaenae frons correva un palcoscenico rialzato
denominato proscaenium, lateralmente erano poste due quinte, o
parascaenia, con una porta ciascuna per le entrate laterali. I romani
hanno inventato il sipario (aulaeum) che si abbassava, scomparendo in
un apposito solco, all’inizio dello spettacolo.
La cavea romana era divisa in diversi ordini, separati tra loro da
parapetti, accessibili da gallerie. Un portico a colonne stava sopra la
cavea per ospitare altri spettatori. Gli spettatori più ragguardevoli si
sedevano nelle prime file e nell’orchestra, quelli meno abbienti nei
settori successivi e i più poveri nel portico.
I teatri romani più spettacolari rimasti sono quelli di Orange, Francia dell’inizio del
I secolo d.C. e di Sabratha, Libia, della fine del II secolo d.C. Uno dei più
monumentali è il Teatro di Marcello, dedicato al nipote dell’imperatore Augusto,
costruito dal 13 al 11 a.C., capace di ospitare dai 15.000 ai 20.000 spettatori. A
Volterra la scaenae frons del piccolo teatro romano è stata parzialmente
ricostruita.
L’anfiteatro è un altro sviluppo dell’edificio teatrale. Significa letteralmente teatro
rotondo. Consisteva in un’area ellittica circondata da posti a sedere su tutti i lati.
Gli anfiteatri erano di due tipi: appoggiati su un terrapieno e interamente costruiti.
Nell’antica Roma vi si svolgevano combattimenti di animali e gladiatori, e giochi
atletici. Il primo anfiteatro conosciuto è quello di Pompei di 75 a.C. circa. Il più
grande era l’Anfiteatro Flavio, noto come il Colosseo per una statua colossale di
Nerone che si trovava vicino, costruito tra 70 e 80 d.C. a Roma. Conteneva 50,000
spettatori, circa la stessa capienza di uno stadio moderno.
Esigenze climatiche, e la ricerca di uno spazio teatrale più intimo, hanno
portato allo sviluppo dell’odeon, un teatro al chiuso che si poteva usare in
qualsiasi condizione meteorologica. L’odeon era essenzialmente uguale al
teatro romano con l’aggiunta dei muri laterali e del tetto in legno. E’
probabilmente uno sviluppo del bouleuterion greco, uno spazio al chiuso per
assemblee con gradinate per il pubblico, uno spazio centrale, e un tetto in
legno sostenuto da colonne. L’odeon di Pompei del 80 a.C. conteneva mille
spettatori. Vi si svolgevano spettacoli di musica, teatro, recitazioni di
poesie e pantomime, spettacoli paragonabili ai moderni spettacoli di danza,
accompagnati da strumenti musicali e dal coro.
Mimo, un tipo di spettacolo teatrale recitato senza maschere, che prevedeva
l’impiego di scene di sesso dal vivo, violenza, e morte (condannati a morte
sostituivano gli attori all’ultimo momento e furono uccisi sulla scena), divenne
popolare nel tardo impero. Per la natura di questi spettacoli, e il forte legame
tra tutto il teatro classico e la religione pagana, la chiesa cristiana
disapprovava il teatro.
Nel 312 d.C. l’imperatore Costantino impone la Cristianità come unica fede
dell’impero. Già alla fine del secolo, sotto l’imperatore Teodosio, le
rappresentazioni erano vietate la domenica e nei giorni festivi. Nel corso del 4°
secolo d.C. gli attori, e dopo anche gli spettatori, sono scomunicati. Gli ultimi
teatri romani furono costruiti nel 3° secolo d.C.; l’ultima notizia di uno
spettacolo teatrale nell’antichità risale al 533 d.C.
Per 400 anni il teatro, e i teatri, non esisteranno più. I teatri e gli odeon
romani crollano, le pietre vengono usate come materiale di costruzione per
nuovi edifici.
Solo nel 9° secolo il teatro si riaffaccia nella storia occidentale. Nascono i drammi
di misteri e miracoli. Questi drammi erano inizialmente rappresentati a Pasqua ed a
Natale da ecclesiastici all’interno delle chiese, con le varie scene organizzate in
sequenza attorno alla navata principale.
Col tempo i drammi sono stati spostati all’esterno, sulle scale delle
chiese e su piattaforme temporanee costruite per l’occasione. Il
pubblico si spostava seguendo la storia con un ordine prestabilito.
Spostando il dramma fuori dalle chiese, i membri delle corporazioni
medievali e, più tardi, attori professionisti hanno sostituito i sacerdoti
come attori.
Durante tutto il Medioevo, il teatro si svolgeva con queste modalità, che oggi si
definisce “spettacolo itinerante”. Non è stato costruito alcun edificio teatrale.
Con il rinascimento è nato un nuovo interesse per
l’antichità classica. Gli studiosi hanno letto i
drammi classici rimasti, e studiato e tradotto il
trattato di Vitruvio sull’architettura. Vitruvio ha
dedicato la maggior parte del 5° Libro alla
costruzione e all’acustica dei teatri. Questi
studiosi avvertivano un vuoto culturale dove una
volta c’era il teatro. Cresceva la voglia di fare
rivivere il teatro come luogo, e di riempirlo di
nuovi contenuti nello stile antico.
Le Colisée
Le Colisée est le monument le plus connu de Rome et il est aussi appelé
Anphitéatre Flavien , du nom du premier des empereurs Flaviens qui fit
entreprendre sa construction en l’an 80 A.C.
Ce monument est situé au début de la magnifique rue, appelée « Fori Imperiali » au
centre de Rome.
C’est un théatre ovale, les dimensions sont énormes : il contenait cent sept mille
spectateurs. Il y a trois ordres classiques superposés : dorique, ionique et
corinthien.
Le peuple Romain eut le plaisir de voir les combats d’homme et d’animaux les
gladiateurs avec lions, tigres et autres bệtes féroces et des simulations de
combats navals.
Dans le Colisée on peut trouver seulement des ruines ; tout est en silence...
Pourtant, quand on le voit c’ est comme si on sentait le bruit des chaines, le
rugissement des tigres, l’incitation de la foule...c’est un monument tres imposant
qui attire les regards des touristes et non.
Quand on regarde le Colisée on pense comme il etait beau dans l’ an 80, plein des
richesses mais aujourd’ hui il est degradè de la pollution ; en outre le Colisèe, le
symbole de Rome, on sent s’émouvoir, parce que on pense à tout le peuple romain,
et les combats, comme si on retourne au passé.
Qui n’habite pas au centre de la ville, il regarde le Colisèe avec autres yeux et il
apprend que son pays est riche d’art et que peut-ệtre, le Colisée en est vraiment
la preuve.
Rome
Rome, ville ancienne, ville moderne
un pont entre le passé et le présent…
ou les jeunes garçons
seulement en regardant les vieux murs,
les vieilles routes,
ils pensent aux temps passés
et
ils se sentant un peu gladiateurs…
…mais, gladiateurs d’amour
et
non de guerre…
Ma mère et Mélanie mercredi mangeront chez moi. Nous mangerons
macaronis et macédonie. Mangera avec nous aussi Michel, il se mariera
avec Mélanie au mois de mai. Mais Marie la mère de Mélanie ne
mangera pas chez moi, malheureusement elle est malade.
Pellegrini Roberta
Amour est aimer, est l’Âme, est admirer l’aube avec les amis;
Amour est avoir de l’affection pour l’autre avoir affinité avec le
bien aimé.
L’amour allévie tout .
Mais l’amour est avoir de l’amertume aussi s’il ne t’appelle pas.
Martine mange un mandarine devant la mer, quand nait le
matin de mars. Une brise marine s’élève; la montre marque les
cinq heures.
Un monsieur mene sa dame sur un petit mur sur la rue.
Un autre monsieur, habillé de marron écoute de la musique et
dessine:sa muse inspiratoire est la mer.
Petrarca Giulia
Paulie le perroquet pensait au Portugal et alors un jour pluvieu
il prit la peniche et il partit pour le Portugal.
Sur le paquebot il se presente à toutes les personnes comme
« Paulie le perroquet que parle le portugais » et parvenu au
port il prit ses paquets.
Au Portugal il pleut tout le temps et Paulie pleure car il a peur
de perdre tous ces petits paquets. Alors il partit pour son
pays...
Paulie ne pense plus au Portugal et ses parents ont été très
contents.
Munzi Manuela
Anne pour son anniversaire astreint Amelie à acheter un
adorable Ânon qu’elle a vu sur une accroche.
Amelie : « C’est une absurdité !!! »
Anne : « Je l’aime et je t’astreint !!! »
Ce n’est pas aisé, mais elle arrive à l’anniversaire, où
l’atteind Anne anxieuse, avec l’adorable Ânon.
Novelli Giulia
Roma
Nel mappamondo c’è un punto
caro a tutto il mondo;
è la città eterna è la città
stupenda.
È Roma.
Roma dolce, Roma rude,
Roma sincera e scansonata,
ma è Roma e la si ama.
Ogni pietra ha una storia,
ogni angolo ti fa tornare alla
memoria o Rugantino o quer
poraccio der Ciabattino e,
per concludere in bellezza;
Roma è amore lo dice la
parola e lungo il Tevere canticchiare.
Lavoro realizzato da:
Munzi Manuela
Novelli Giulia
Pellegrini Roberta
Petrarca Giulia
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E` dai miti che i Romani derivano molte delle loro feste religiose. Le