QUADERN
/ LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016
ILCASODELGIORNO
PRIMOPIANO
La tassazione
separata non osta al
ravvedimento
operoso
Giudizio sulla coerenza della
Relazione sulla gestione più
ampio dal 2016
/ Alfio CISSELLO e Massimo NEGRO
Il DLgs. 139/2015 ha ampliato il giudizio espresso dal soggetto
incaricato della revisione legale dei conti
Da più parti ci è stato segnalato
che, ad avviso di alcune Direzioni
provinciali, non è ammesso il ravvedimento operoso in merito ai
redditi soggetti a tassazione separata.
Riteniamo di non condividere la
menzionata impostazione, per le
ragioni seguenti.
Rimandando ad un successivo intervento la problematica del ravvedimento sul tardivo versamento dell’imposta già liquidata
dall’Agenzia delle Entrate con
l’avviso bonario, approfondiamo
ora la fattispecie in cui il contribuente abbia dichiarato infedelmente un reddito che, per natura
o per opzione, è soggetto a tassazione separata.
In tal caso, la violazione rientra
nell’art. 1 del DLgs. 471/97, in
quanto, tecnicamente, è commessa una dichiarazione infedele,
avendo il [...]
/ Silvia LATORRACA
Nel modificare, peraltro in modo rilevante, la disciplina del bilancio d’esercizio delle società di
capitali, il DLgs. 139/2015 (decreto bilanci) è intervenuto anche sulla Relazione di revisione. In
questo contesto, in particolare, è stato ampliato il
giudizio sulla coerenza della Relazione sulla gestione con il bilancio, che deve esprimere il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale
dei conti.
Il contenuto della Relazione di revisione è disciplinato dall’art. 14 del DLgs. 39/2010, all’interno del quale sono state trasposte le disposizioni
dapprima contenute nell’art. 2409-ter c.c.
Il comma 2 lett. e) del citato art. 14 stabilisce
che la Relazione di revisione comprende, tra
l’altro, “un giudizio sulla coerenza della relazione sulla gestione con il bilancio”.
Tale giudizio può essere omesso soltanto con riferimento alle società che redigono il bilancio in
forma abbreviata, laddove le stesse siano esonerate dalla redazione della Relazione sulla gestione in applicazione della disposizione contenuta nell’art. 2435-bis comma 7 c.c., ovvero
qualora forniscano nella Nota integrativa le in-
A PAGINA 2
INEVIDENZA
Usufrutto da calcolare con i nuovi coefficienti
Via libera al sindacato di congruità sui costi e i ricavi
Niente agevolazioni IRES per le fondazioni bancarie
Non sempre il socio lavoratore escluso dalla coop
perde il posto
Il Politecnico di Milano lancia un contest sullo studio
più digitale
formazioni sulle azioni proprie e sulle azioni o
quote di società controllanti possedute dalla
società o acquistate/alienate nel corso
dell’esercizio.
Si ricorda che l’obbligo di inserire il giudizio
sulla coerenza della Relazione sulla gestione
con il bilancio all’interno della Relazione di
revisione è stato introdotto (a decorrere dai bilanci relativi agli esercizi aventi inizio dalla
data successiva al 12 aprile 2007) dal DLgs.
32/2007.
Fino all’entrata in vigore di tale norma, il giudizio sulla coerenza veniva, normalmente,
evidenziato nel richiamo di informativa.
Occorre, inoltre, evidenziare che le responsabilità del soggetto incaricato della revisione
legale relativamente all’espressione del giudizio sulla coerenza delle informazioni contenute nella Relazione sulla gestione con il bilancio sono trattate dal principio di revisione SA
Italia 720B, in vigore per le revisioni legali
dei bilanci relativi ai periodi amministrativi
che iniziano dal 1° gennaio 2015 o [...]
A PAGINA 3
FISCO
Per alcuni contribuenti
congrui e coerenti in
soffitta UNICO 2012
/ Alfio CISSELLO e Paola RIVETTI
È stato già evidenziato su Eutekne.info che,
entro il 31 dicembre 2015, avrebbero dovuto,
a pena di decadenza, essere notificati gli avvisi di accertamento relativi al periodo d’imposta 2010 (modello UNICO 2011) oppure
2009 (modello UNICO 2010) se si fosse trattato di dichiarazione omessa (si veda “A fine
anno, in soffitta il modello UNICO 2011 per
decorrenza dei termini” dell’8 dicembre
2015).
Rispetto a tali periodi non [...]
A PAGINA 4
ancora
IL CASO DEL GIORNO
La tassazione separata non osta al
ravvedimento operoso
Per i redditi non indicati, bisogna però appurare come il ravvedimento deve avvenire
/ Alfio CISSELLO e Massimo NEGRO
Da più parti ci è stato segnalato che, ad avviso di alcune Direzioni provinciali, non è ammesso il ravvedimento operoso in merito ai redditi soggetti a tassazione separata.
Riteniamo di non condividere la menzionata impostazione,
per le ragioni seguenti.
Rimandando ad un successivo intervento la problematica del
ravvedimento sul tardivo versamento dell’imposta già liquidata dall’Agenzia delle Entrate con l’avviso bonario, approfondiamo ora la fattispecie in cui il contribuente abbia dichiarato infedelmente un reddito che, per natura o per opzione, è soggetto a tassazione separata.
In tal caso, la violazione rientra nell’art. 1 del DLgs. 471/97,
in quanto, tecnicamente, è commessa una dichiarazione
infedele, avendo il contribuente dichiarato un reddito
inferiore a quello posseduto (ai fini della sanzione
applicabile, non incide la circostanza che la liquidazione
debba avvenire d’ufficio).
Pertanto, siamo dell’avviso che operi l’art. 13 comma 3 del
DLgs. 472/97, e il ravvedimento sarà articolato in due fasi:
in un primo momento il contribuente deve inviare una dichiarazione integrativa indicando l’ammontare corretto del
reddito soggetto a tassazione separata; poi, l’Agenzia delle
Entrate notificherà un avviso contenente la liquidazione
dell’imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni da dichiarazione infedele ridotte ai sensi delle lettere da a-bis) a
b-ter) dell’art. 13 del DLgs. 472/97 (a seconda di quando è
stata presentata la dichiarazione integrativa).
Più complessa è l’ipotesi in cui il contribuente non abbia indicato il reddito nella dichiarazione presentata, siccome, se
dal versante sanzionatorio si è sempre in presenza di una dichiarazione infedele, ai fini del ravvedimento pare sia necessario verificare se il reddito è soggetto a tassazione separata
/ EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016
per natura o per opzione.
Emerge infatti il problema relativo alla possibilità di inserire
opzioni in una dichiarazione integrativa, a cui, ai soli fini in
esame e per semplicità, ipotizziamo di fornire una risposta
negativa (si veda “Alle Sezioni Unite i «confini»
dell’emendabilità della dichiarazione” del 19 settembre
2015).
Dunque, se si tratta di tassazione separata per natura, vale
quando detto prima, trovando applicazione l’art. 13 comma 3
del DLgs. 472/97.
Invece, se la tassazione separata avviene per opzione, e, come detto, si suppone che la stessa debba necessariamente avvenire con la dichiarazione originaria, saremmo in presenza
di un tributo soggetto ad autoliquidazione.
Ammesso il ravvedimento nelle liquidazioni d’ufficio
Allora, come di consueto, il contribuente dovrebbe presentare la dichiarazione integrativa indicando il reddito, pagare le
imposte, gli interessi legali e le sanzioni da dichiarazione
infedele del 90% (eventualmente ridotte di un terzo ex art. 1
comma 4 del DLgs. 471/97, se si ammette che ciò sia compatibile con il ravvedimento operoso) ridotte secondo quanto previsto dall’art. 13 del DLgs. 472/97.
Rileviamo, infine, che sembra ormai anacronistico quanto
suggerito, a suo tempo, dal Ministero delle Finanze (C.M. 27
maggio 1994 n. 73, § 4.2.3), ad avviso del quale per fruire
del ravvedimento sarebbe necessario rinunciare alla
tassazione separata, optando per l’ordinaria. All’epoca del
chiarimento, a ben vedere, non era ancora in vigore l’art. 13
comma 3 del DLgs. 472/97.
/ 02
ancora
CONTABILITÀ
Giudizio sulla coerenza della Relazione sulla
gestione più ampio dal 2016
Il DLgs. 139/2015 ha ampliato il giudizio espresso dal soggetto incaricato della
revisione legale dei conti
/ Silvia LATORRACA
Nel modificare, peraltro in modo rilevante, la disciplina del
bilancio d’esercizio delle società di capitali, il DLgs.
139/2015 (decreto bilanci) è intervenuto anche sulla Relazione di revisione. In questo contesto, in particolare, è stato
ampliato il giudizio sulla coerenza della Relazione sulla
gestione con il bilancio, che deve esprimere il soggetto
incaricato di effettuare la revisione legale dei conti.
Il contenuto della Relazione di revisione è disciplinato
dall’art. 14 del DLgs. 39/2010, all’interno del quale sono state trasposte le disposizioni dapprima contenute nell’art.
2409-ter c.c.
Il comma 2 lett. e) del citato art. 14 stabilisce che la Relazione di revisione comprende, tra l’altro, “un giudizio sulla coerenza della relazione sulla gestione con il bilancio”.
Tale giudizio può essere omesso soltanto con riferimento alle società che redigono il bilancio in forma abbreviata, laddove le stesse siano esonerate dalla redazione della Relazione sulla gestione in applicazione della disposizione contenuta nell’art. 2435-bis comma 7 c.c., ovvero qualora forniscano nella Nota integrativa le informazioni sulle azioni
proprie e sulle azioni o quote di società controllanti
possedute dalla società o acquistate/alienate nel corso
dell’esercizio.
Si ricorda che l’obbligo di inserire il giudizio sulla coerenza
della Relazione sulla gestione con il bilancio all’interno della Relazione di revisione è stato introdotto (a decorrere dai
bilanci relativi agli esercizi aventi inizio dalla data successiva al 12 aprile 2007) dal DLgs. 32/2007.
Fino all’entrata in vigore di tale norma, il giudizio sulla
coerenza veniva, normalmente, evidenziato nel richiamo di
informativa.
Occorre, inoltre, evidenziare che le responsabilità del
soggetto incaricato della revisione legale relativamente
all’espressione del giudizio sulla coerenza delle informazioni
contenute nella Relazione sulla gestione con il bilancio sono
trattate dal principio di revisione SA Italia 720B, in vigore
per le revisioni legali dei bilanci relativi ai periodi
amministrativi che iniziano dal 1° gennaio 2015 o
successivamente.
/ EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016
Il principio di revisione precisa che la responsabilità della redazione della Relazione sulla gestione, nonché del suo contenuto, in conformità a quanto previsto dalle norme di legge
(nella specie, l’art. 2428 c.c.) compete agli amministratori
o ad altro organo che svolge analoghe funzioni, a seconda
del modello di amministrazione e controllo adottato.
Il revisore ha, invece, la responsabilità di esprimere un giudizio sulla coerenza delle informazioni contenute nella Relazione sulla gestione con il bilancio sulla base delle procedure di revisione svolte ed illustrate nel medesimo principio
SA Italia 720B.
Conseguentemente, detto giudizio non rappresenta un
giudizio di conformità, né di rappresentazione veritiera e
corretta, della Relazione sulla gestione rispetto alle norme di
legge che ne disciplinano il contenuto, né di completezza
delle informazioni contenute nella Relazione stessa.
Detto ciò, come anticipato, il DLgs. 139/2015 ha modificato
l’art. 14 comma 2 lett. e) del DLgs. 39/2010, ampliando la
nozione ed il contenuto del giudizio di coerenza della Relazione sulla gestione con il bilancio.
Per effetto della modifica in esame, infatti, il revisore deve
esprimersi anche sulla conformità della Relazione sulla
gestione alle norme di legge.
Il giudizio deve contenere, inoltre, “una dichiarazione rilasciata sulla base delle conoscenze e della comprensione
dell’impresa e del relativo contesto acquisite nel corso
dell’attività di revisione legale, circa l’eventuale identificazione di errori significativi nella relazione sulla gestione”.
Qualora siano identificati errori significativi, il revisore deve
fornire “indicazioni sulla natura di tali errori”.
La modifica discende da analoga disposizione contenuta
nell’art. 35 comma 1 della direttiva 2013/34/UE.
Si ricorda, infine, che, ai sensi dell’art. 12 comma 1 del
DLgs. 139/2015, le disposizioni esaminate sono entrate in
vigore dal 1° gennaio 2016 e si applicano ai bilanci relativi
agli esercizi finanziari aventi inizio a partire da quella data.
Le stesse non incidono, dunque, sui bilanci relativi
all’esercizio 2015.
/ 03
ancora
FISCO
Per alcuni contribuenti congrui e coerenti in
soffitta UNICO 2012
La riduzione di un anno dei termini non vale per tutti i contribuenti: ad esempio, sono
esclusi i professionisti
/ Alfio CISSELLO e Paola RIVETTI
È stato già evidenziato su Eutekne.info che, entro il 31 dicembre 2015, avrebbero dovuto, a pena di decadenza, essere
notificati gli avvisi di accertamento relativi al periodo d’imposta 2010 (modello UNICO 2011) oppure 2009 (modello
UNICO 2010) se si fosse trattato di dichiarazione omessa (si
veda “A fine anno, in soffitta il modello UNICO 2011 per
decorrenza dei termini” dell’8 dicembre 2015).
Rispetto a tali periodi non trova applicazione la nuova
disciplina sui termini di decadenza, come modificata dalla L.
208/2015, secondo cui l’accertamento va notificato, a pena
di decadenza, non più entro il 31 dicembre del quarto anno
successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ma
del quinto anno successivo. Tale disciplina, infatti, opera
dalle dichiarazioni presentate nell’anno 2017, relative al
periodo d’imposta 2016.
Tanto premesso, vogliamo ricordare che, per taluni soggetti,
i termini sopra indicati sono ridotti di un anno. Alludiamo
all’art. 10 commi 9 e 10 del DL 201/2011, secondo cui i termini decadenziali per l’accertamento di imposte sui redditi e
IVA sono ridotti di un anno, se i contribuenti risultano congrui e coerenti rispetto allo studio di settore e hanno assolto
correttamente i relativi obblighi comunicativi. La congruità
(anche a seguito di adeguamento) e la coerenza devono
sussistere rispetto a tutti gli indicatori previsti per lo studio
di settore, nonché, in caso di soggetto multiattività, per tutti
gli studi di settore applicati.
La predetta riduzione dei termini di decadenza, così come gli
altri benefici contemplati dal “regime premiale” (si pensi
alla limitazione circa la possibilità di accertamenti presuntivi
e alla riduzione da 1/5 a 1/3 dello scostamento rilevante ai
fini dell’accertamento sintetico) trova applicazione solo per
/ EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016
determinate categorie di contribuenti, individuate
annualmente da apposito provvedimento direttoriale delle
Entrate. Ciò, dal punto di vista normativo, trova “copertura”
nell’art. 10 comma 12 del DL 201/2011.
Il regime premiale, ai sensi del comma 13 della norma appena richiamata, opera a partire dalle dichiarazioni relative
all’annualità 2011 ed a quelle successive. Facendo i conti,
dunque, questa è la prima annualità in cui la riduzione di un
anno dei termini decadenziali può essere applicata: infatti,
per i contribuenti che rientrano nel c.d. “regime premiale”,
l’accertamento sull’anno 2011 (UNICO 2012) avrebbe
dovuto essere notificato, al massimo, entro il 31 dicembre
2015 (diversamente, in assenza del beneficio del regime
premiale, il termine scadrebbe ordinariamente il 31 dicembre
2016).
Per individuare i contribuenti “interessati” dal beneficio, occorre riferirsi al provvedimento direttoriale del 12 luglio
2012 n. 102603, il cui allegato individua gli studi di settore
per i quali si applica il regime premiale in relazione al periodo d’imposta 2011. Nel complesso, si tratta di una minoranza di studi di settore: 55 ammessi, a fronte di 151 esclusi, tra
cui l’intero comparto delle attività professionali.
Rimane il raddoppio per violazioni penali
La riduzione dei termini decadenziali sopra indicata non
opera in presenza di violazioni penalmente rilevanti,
situazione in cui, oltre al raddoppio, permane l’ordinario
termine quadriennale (si precisa che, in ragione della L.
208/2015, il menzionato raddoppio verrà meno a decorrere
dall’annualità 2016).
/ 04
ancora
FISCO
Usufrutto da calcolare con i nuovi
coefficienti
Dal 1° gennaio 2016 vanno utilizzati per determinare il valore dei diritti reali di uso,
usufrutto e abitazione, nonché per determinare il valore delle rendite
/ Anita MAURO
Il tasso di interesse legale è stato ridotto allo 0,20% con decorrenza dal 1° gennaio 2016 dal DM 11 dicembre 2015,
rendendo necessario l’adeguamento dei coefficienti da utilizzare per la determinazione del valore fiscale di rendite,
pensioni, nonché dei diritti reali di uso, usufrutto ed
abitazione.
Si ricorda, infatti, che per la determinazione della base imponibile dell’imposta di registro (art. 46 del DPR 131/86), il
valore delle rendite e pensioni, nonché il valore dei diritti
reali di uso, usufrutto e abitazione, sono determinati usando
coefficienti aggiornati periodicamente sulla base della variazione del tasso legale di interesse. Lo stesso metodo di determinazione del valore è utilizzato nell’ambito delle imposte
sulle successioni e donazioni, a norma dell’art. 17 comma 1
del DLgs. 346/90, nonché nell’ambito delle imposte ipotecaria e catastale (per il rinvio operato dagli artt. 2 comma 1
e 10 del DLgs. 347/90).
Inoltre, sebbene il DM 21 dicembre 2015 si riferisca espressamente solo all’imposta di registro ed alle imposte sulle
successioni e donazioni, le modifiche in esso contenute rilevano anche ai fini delle imposte sui redditi. Infatti, come
chiarito dall’Agenzia delle Entrate (cfr. ris. n. 188/2009), il
metodo di determinazione del valore dei diritti reali di uso,
usufrutto e abitazione individuato per l’imposta di registro
va applicato anche nell’ambito dell’imposizione diretta.
In conseguenza della riduzione del tasso di interesse legale
dallo 0,50% allo 0,20%, operata dal DM 11 dicembre 2015
(con efficacia dal 1° gennaio 2016), il DM 21 dicembre 2015
ha adeguato il valore dei coefficienti da utilizzare, ai fini
delle imposte di registro, delle imposte sulle successioni e
donazioni e delle imposte ipotecaria e catastale, per
determinare il valore di rendite e pensioni e per determinare
il valore dei diritti reali di uso, usufrutto e abitazione. In
particolare, il DM 22 dicembre 2015 fissa nella misura di
500 il coefficiente per la determinazione del valore delle
rendite e delle pensioni, ai sensi degli artt. 46 comma 2 del
DPR 131/86 e 17 comma 1 del DLgs. 346/90. Anteriormente
(dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015), tale coefficiente
era stato fissato nella misura di 200 dal DM 22 dicembre
2014 (in relazione al tasso di interesse dello 0,50% fissato
dal DM 12 dicembre 2014, si veda “Aggiornati i coefficienti
per il calcolo del valore dell’usufrutto” del 31 dicembre
/ EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016
2014).
L’art. 1 comma 3 del DM 21 dicembre 2015, inoltre,
sostituisce il prospetto dei coefficienti allegato al DPR
131/86, necessario per la determinazione del valore del
diritto di usufrutto a vita e delle rendite o pensioni vitalizie
(si veda il prospetto sottostante).
Anche tali coefficienti, infatti, devono essere aggiornati in
conseguenza della modifica del tasso legale di interesse.
I nuovi valori definiti dal DM 21 dicembre 2015 si applicano, per espressa disposizione dell’art. 2 del medesimo DM:
- agli atti pubblici formati dal 1° gennaio 2016;
- agli atti giudiziari pubblicati o emanati dal 1° gennaio
2016;
- alle scritture private autenticate dal 1° gennaio 2016;
- alle scritture private non autenticate presentate per la registrazione dal 1° gennaio 2016;
- alle successioni apertesi dal 1° gennaio 2016;
- alle donazioni fatte dal 1° gennaio 2016.
Di conseguenza, volendo determinare, ad esempio, il valore
dell’usufrutto costituito, con atto pubblico stipulato il 10
gennaio 2016, a favore di un soggetto di 59 anni, gravante su
un immobile la cui piena proprietà ha un valore pari a
120.000 euro, è necessario procedere nel modo seguente.
In via preliminare, occorre determinare il valore dell’annualità, moltiplicando il valore della piena proprietà per il
tasso di interesse legale: 120.000 euro x 0,20% = 240 euro.
A tal punto, il valore dell’usufrutto si ottiene moltiplicando
il valore dell’annualità (ottenuto come sopra illustrato) per il
coefficiente corrispondente all’età del beneficiario (59 anni),
desumibile dalla tabella allegata al DPR 131/86 (come
aggiornata dal DM 21 dicembre 2015), che è pari a 300. Il
valore dell’usufrutto risulta, quindi, pari a 240 x 300 =
72.000 euro. Di riflesso, è possibile determinare anche il
valore della nuda proprietà, sottraendo, al valore della piena
proprietà, il valore dell’usufrutto come poco sopra
determinato: 120.000 - 72.000 = 48.000 euro.
Il valore dell’usufrutto aumenta quanto più giovane è la persona beneficiaria, atteso che si suppone che il soggetto più
giovane possa godere del bene oggetto del diritto di usufrutto per più tempo.
Si riportano nella tabella sottostante i nuovi coefficienti
applicabili dal 1° gennaio 2016.
/ 05
ancora
Età del beneficiario
0 - 20 anni compiuti
21 - 30 anni compiuti
31 - 40 anni compiuti
41 - 45 anni compiuti
46 - 50 anni compiuti
51 - 53 anni compiuti
54 - 56 anni compiuti
57 - 60 anni compiuti
61 - 63 anni compiuti
64 - 66 anni compiuti
67 - 69 anni compiuti
70 - 72 anni compiuti
73 - 75 anni compiuti
76 - 78 anni compiuti
79 - 82 anni compiuti
83 - 86 anni compiuti
87 - 92 anni compiuti
93 - 99 anni compiuti
/ EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016
Coefficienti da applicare dal 1° gennaio 2016
475
450
425
400
375
350
325
300
275
250
225
200
175
150
125
100
75
50
/ 06
ancora
FISCO
Via libera al sindacato di congruità sui costi
e i ricavi
La Cassazione conferma la propria tesi, sostenendo che il Fisco non è vincolato al
valore o al corrispettivo indicato in delibere e contratti
/ Giovambattista PALUMBO
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25908/2015, è
tornata sul tema della congruità dei costi ai fini della deducibilità fiscale.
Nel caso di specie veniva disconosciuta la deducibilità di alcuni costi sostenuti in forza di un contratto di fornitura di
servizi. La decisione della C.T. Prov., sfavorevole alla contribuente per non aver questa provato le ragioni del raddoppio, in corso di esecuzione, del corrispettivo a suo carico, era
appellata e riformata dalla C.T. Reg., la quale affermava che
la contribuente aveva documentalmente provato l’aumento
del corrispettivo e che le argomentazioni dell’Ufficio,
inerenti le motivazioni dell’aumento di tale costo, non
rilevavano, non dimostrando né la simulazione, né la falsità
dei costi. I giudici di merito ritenevano quindi sufficiente a
dimostrare l’inerenza del costo la modifica contrattuale,
intervenuta in corso d’opera e con la quale il corrispettivo
contrattuale era stato portato da 480.000.000 di lire a
900.000.000 di lire.
L’Agenzia delle Entrate ricorreva allora in Cassazione, sostenendo che il contribuente non aveva addotto elementi certi, tali da giustificare né l’effettività dei maggiori servizi ricevuti, né la congruità e dunque la deducibilità dei maggiori
costi sostenuti. L’Agenzia rilevava inoltre come non fosse
necessario, ai fini del disconoscimento della deducibilità,
provare la simulazione del contratto o la falsità del costo,
dato che la ripresa era conseguente alla ritenuta non
congruità dei costi, fondata su specifici elementi indiziari,
quali la sproporzione tra il corrispettivo rideterminato e i
costi sostenuti dal medesimo contribuente per analoghe
fattispecie, la forfettizzazione del costo senza l’indicazione
di specifici elementi di commisurazione, l’inesistenza di
servizi aggiuntivi che giustificassero il maggior costo ed
infine la commistione di interessi tra le società committente
e fornitrice. L’Agenzia rilevava poi come, in ogni caso,
l’onere della prova in ordine ai presupposti di deducibilità
delle componenti negative, compresa la loro inerenza,
incombeva sul contribuente, laddove comunque
l’Amministrazione finanziaria poteva valutare la congruità
dei costi, anche in assenza di irregolarità nella tenuta delle
scritture contabili.
La Suprema Corte riteneva il ricorso fondato, sostenendo
che rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria negare la deducibilità di un costo ritenuto insussistente o spropor-
/ EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016
zionato, non essendo l’Ufficio vincolato ai valori o ai corrispettivi indicati nei contratti, spettando al contribuente
“l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove
contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza
economica dei costi deducibili”, e non essendo a tal fine sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, ma “occorrendo anche che esista una documentazione di
supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la
coerenza economica della stessa”. L’Amministrazione finanziaria può del resto dimostrare l’inattendibilità delle fatture
anche mediante presunzioni, dovendo in tal caso il giudice di
merito prendere in considerazione il complessivo quadro
probatorio.
Sempre ferma la prova contraria
La contestazione dei costi non doveva pertanto, nel caso di
specie, necessariamente passare attraverso la prova di una simulazione o della falsità dei costi, potendo basarsi anche su
elementi indiziari, offerti, in via presuntiva, a dimostrazione
della non congruità dei costi.
La sentenza in commento si inserisce quindi nel dibattito relativo alla rilevanza del principio di “antieconomicità”, quale criterio utilizzabile dal Fisco per valutare la congruità dei
costi. Una situazione “antieconomica” può evincersi infatti
in tutte quelle ipotesi in cui vi sia un’entità di costi eccessivamente elevata, per cui, nell’ambito di un più complessivo
quadro indiziario (tipica, come anche nel caso di specie, è la
commistione di interessi o rapporti societari con il soggetto
che fattura corrispondenti ricavi), a parere dell’Amministrazione finanziaria, gli atti posti in essere dall’imprenditore sono da considerarsi rivelatori di scopi extraimprenditoriali,
con conseguente sottrazione al Fisco di materia imponibile
senza alcuna valida motivazione.
Tale riflessione si basa sulla considerazione che chi “fa impresa” è portato a ridurre i costi, o a massimizzare i ricavi,
con la conseguenza che, laddove vi siano dei comportamenti
difficilmente comprensibili da un punto di vista razionale e/o
economico, l’Amministrazione può disconoscere la rilevanza fiscale dei componenti di reddito negativi, come risultanti
da atti o negozi giuridici, indipendentemente dalla
simulazione o meno di tali atti, ed in presenza di una
contabilità formalmente corretta.
/ 07
ancora
FISCO
Niente agevolazioni IRES per le fondazioni
bancarie
Per la C.T. Reg. Firenze, non rientrano in nessuna delle categorie indicate nell’art. 6 del
DPR 601/73 e non hanno diritto all’aliquota ridotta del 50%
/ Francesco NAPOLITANO
Con sentenza n. 352/16/15, la C.T. Reg. Firenze si è pronunciata sulla spettanza delle agevolazioni fiscali a favore delle
fondazioni bancarie, introdotte con la L. 218/90, e riguardante la richiesta di rimborso di eccedenza IRPEG (ora IRES)
in sede di dichiarazione per effetto dell’art. 6 del DPR
601/73 (aliquota ridotta del 50% a favore di enti ed istituti di
assistenza e beneficenza senza finalità di lucro), il tutto per
gli anni d’imposta 1994-95.
Nel 2010 l’Ufficio territoriale competente comunicava il diniego avverso l’istanza di tale rimborso poiché riteneva non
applicabili le agevolazioni in questione.
La Fondazione impugnava il diniego eccependo – tra le altre
questioni – il consolidamento del diritto al rimborso per
mancata azione di rettifica e accertamento da parte del Fisco
nei termini di decadenza e la spettanza delle agevolazioni in
quanto l’ente aveva, in via esclusiva, finalità di interesse
pubblico e utilità sociale.
La Direzione provinciale competente resisteva adducendo
l’inesistenza ab origine del credito per assenza del diritto a
fruire delle agevolazioni applicate in dichiarazione, sia sotto
il profilo formale che sostanziale, in quanto la fondazione
aveva, quale attività principale, la gestione del pacchetto
azionario di imprese bancarie, prettamente di natura commerciale (cfr. Cass. SS.UU. n. 1576/2009).
Inoltre, lo spirare del termine decadenziale di controllo
formale e sostanziale non si traduceva affatto nel
consolidamento del credito perché semplicemente esposto in
dichiarazione. L’unico termine è quello prescrizionale
decennale, decorrente dalla data di presentazione della
dichiarazione.
La C.T. Prov. accoglieva il ricorso della fondazione soprattutto con riferimento a tale ultimo motivo, considerato assorbente rispetto a tutti gli altri, e ritenendo che il Fisco non poteva più opporre eccezioni di merito oltre il termine di decadenza della liquidazione e/o controllo sostanziale. Il fatto
che il contribuente avesse presentato istanza di rimborso non
poteva costituire un atto interruttivo della prescrizione e,
quindi, far rivivere un diritto consolidato, rimettendo tutto in
gioco.
L’appello dell’ufficio – unitamente alle altre questioni – faceva leva sulla prevalente e recente giurisprudenza della Suprema Corte per cui, anche in assenza di controlli formali e
sostanziali, non si ha alcun consolidamento del credito espo-
/ EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016
sto in dichiarazione (Cass. n. 17903/2013). Inoltre, insisteva
sulla non spettanza dell’agevolazione di cui all’art. 6 del
DPR 601/73.
Nelle controdeduzioni, la fondazione richiamava la sentenza
della Cassazione n. 9339/2012, per cui il diritto al rimborso
esposto in dichiarazione si cristallizza nell’an e nel quantum negli stessi termini di decadenza stabiliti in capo al Fisco per procedere ai controlli formali e sostanziali, restando
preclusa la possibilità di contestare i fatti che hanno originato la richiesta di rimborso.
Norma agevolativa non applicabile per analogia
A parte la questione sul termine prescrizionale, il nocciolo
della questione atteneva alla spettanza o meno delle agevolazioni previste dal citato art. 6, ritenute centrali e dirimenti
dai giudici d’appello per la risoluzione della controversia.
Dalla lettura testuale della norma, la C.T. Reg. osserva che la
fondazione “... non appare rientrare in nessuna delle categorie sopra indicate in quanto (...) ha tra i suoi scopi l’amministrazione della partecipazione nella società bancaria conferitaria”. Inoltre, trattandosi di norme agevolative, non è applicabile neanche per analogia.
Oltre a quanto sopra, rileva che lo Statuto prevede che “almeno la metà degli utili siano destinati a rafforzamento delle partecipazioni della Fondazione, finalità evidentemente di
natura commerciale”. Tale vincolo permetterebbe di assoggettare a tassazione di favore utili esclusivamente destinati
ad attività commerciale pura, non sfuggendo – addirittura – a
eccezioni di incostituzionalità.
Chiarita – quindi – la non spettanza delle agevolazioni, la
Regionale ha evidenziato che dalla mancata attivazione dei
controlli formali e sostanziali da parte del Fisco nei termini
di decadenza “non possano derivare conseguenze diverse da
quelle espressamente previste (...) e di certo non possano derivare effetti costitutivi di un diritto precedentemente inesistente ancorché richiesto in sede di dichiarazione”.
In altri termini, l’unica conseguenza del mancato controllo è
l’impossibilità per il Fisco di correggere i dati esposti in dichiarazione e avanzare ulteriori pretese fiscali.
Di conseguenza, la C.T. Reg. ha accolto l’appello
dell’ufficio, compensando le spese per complessità della
materia.
/ 08
ancora
IMPRESA
Non sempre il socio lavoratore escluso dalla
coop perde il posto
Il Tribunale di Roma sottolinea, tra l’altro, come sia possibile che lo statuto preservi il
posto di lavoro nonostante il venir meno del rapporto associativo
/ Maurizio MEOLI
Numerose e interessanti sono le indicazioni fornite dal Tribunale di Roma, nella sentenza n. 19208/2015, in tema di
esclusione del socio da una società cooperativa.
Si afferma, innanzitutto, come tale delibera determini anche
l’automatica estinzione del rapporto di lavoro, senza che
sia necessario uno specifico atto di licenziamento, trovando
la posizione del socio lavoratore adeguata tutela nel disposto dell’art. 2533 c.c., che gli riconosce la facoltà di proporre opposizione al Tribunale contro la delibera degli amministratori o, se previsto dall’atto costitutivo, dell’assemblea
(cfr. Cass. n. 2802/2015).
Peraltro, attesa l’espressa riserva di una diversa previsione
statutaria, ex art. 2533 comma 4 c.c., si ritiene che nulla impedisca alla cooperativa di prevedere nel proprio statuto la
possibilità del mantenimento del rapporto di lavoro,
nonostante l’avvenuto scioglimento del rapporto associativo.
E, quindi, l’art. 5 comma 2 della L. 142/2001 – ai sensi del
quale “il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o
l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni
statutarie e in conformità con gli articoli ... del codice civile”
– deve intendersi non come norma imperativa e
inderogabile, ma come previsione generale, da applicarsi in
mancanza di differente previsione statutaria.
È necessaria, poi, una specifica motivazione del provvedimento di esclusione per consentire al socio di proporre opposizione e al giudice di accertare la legittimità sostanziale della decisione. Pertanto, ove l’atto costitutivo dell’ente contenga formule generali ed elastiche, destinate ad essere riempite di volta in volta di contenuto in relazione a ciascun singolo caso, si dovrà valutare se la condotta contestata sia stata
talmente grave da provocarne l’espulsione dalla compagine
sociale, dovendo al riguardo il giudice operare una valutazione di proporzionalità tra le conseguenze del
comportamento imputato al socio e la radicalità del
provvedimento di espulsione (Cass. n. 17907/2004).
L’ambito di valutazione del giudice è inversamente proporzionale all’analiticità dei fatti disegnati dallo statuto. E in tali giudizi il Tribunale deve verificare, oltre al rispetto della
procedura statutaria o legislativa, l’effettiva sussistenza della causa fondante l’esclusione sulla base della contestazione
mossa e dei dati conoscitivi esistenti al momento della
deliberazione stessa. In particolare, l’apprezzamento della
sussistenza dei motivi fondanti la delibera di esclusione non
è rimesso alla discrezionalità degli organi dell’ente a ciò
deputati, competendo al giudice di merito, in sede di
/ EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016
impugnazione della delibera, riscontrare l’effettiva esistenza
delle ragioni della sanzione, la loro riconducibilità a quelle
previste dalla legge o dallo statuto e la congruità della
motivazione addotta a sostegno della ritenuta gravità.
Allora, nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di
esclusione del socio di una società cooperativa incombe sulla società – che, seppure formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore – l’onere di provare i fatti indicati a
supporto dell’atto impugnato (Cass. nn. 22097/2013 e
3342/2003); e la decisione del giudice deve basarsi
esclusivamente su quei fatti, non potendo l’ente collettivo
allegare fatti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli oggetto
contestazione e, di poi, posti a fondamento del
provvedimento adottato (Cass. n. 3342/2003).
A fronte di tutto ciò, il Tribunale di Roma osserva come non
possa considerarsi di per sé invalida – per violazione della
determinatezza di cui all’art. 1346 c.c. – una clausola statutaria che non contenga alcuna tipizzazione delle condotte sanzionabili ovvero che rechi formule generiche ed elastiche
(come, nel caso di specie, la clausola che disponeva l’esclusione del socio che avesse arrecato, in qualunque modo,
“gravi danni materiali” alla cooperativa o assunto iniziative
o comportamenti pregiudizievoli per il “perseguimento dello scopo mutualistico” o dell’oggetto sociale). Ma rispetto ad
esse è compito del giudice verificare i fatti contestati e valutare la gravità degli stessi nell’ottica del mantenimento del
vincolo associativo (Cass. n. 17907/2004).
Ed è da escludere che possano essere ricondotti, da un lato,
ai “gravi danni materiali” di cui alla clausola statutaria del
caso in questione, quelli correlati al distoglimento dei “gestori” dalle loro funzioni abituali per seguire la vicenda
dell’esclusione, dall’altro, alla “violazione dello spirito mutualistico” della medesima clausola, la richiesta di tutela in
giudizio contro l’esclusione, salvo che si dimostri che la tutela giudiziaria sia strumentale al perseguimento di finalità
indebite, del tutto estranee alla legittima protezione dei
propri interessi giuridici (Cass. n. 14741/2011).
Si osserva, infine, come l’inadempimento che giustifichi
l’esclusione del socio lavoratore presupponga anche una valutazione del tempo trascorso fra la mancanza addebitata e
la reazione da parte della società recedente, dovendosi
ritenere non conforme ai criteri legali, anche alla luce delle
regole di buona fede e correttezza, l’esclusione disposta a
notevole distanza di tempo dai fatti addebitati (Cass. n.
14741/2011).
/ 09
ancora
PROFESSIONI
Il Politecnico di Milano lancia un contest
sullo studio più digitale
Dall’Osservatorio dell’Ateneo lombardo un’altra iniziativa per sostenere e diffondere la
cultura dell’innovazione tra i professionisti
/ REDAZIONE
Dopo lo specifico questionario, per gli studi professionali di
avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro, arriva la
possibilità di partecipare anche ad un “contest” in materia di
innovazione digitale. L’iniziativa parte, ancora una volta,
dall’Osservatorio Professionisti & Innovazione digitale
della School of Management del Politecnico di Milano che,
oltre a cercare di capire quale sia lo stato dell’arte degli studi
professionali italiani in termini di investimenti tecnologici,
intende anche premiare le realtà che meglio hanno saputo
rinnovarsi in questo specifico ambito.
Al contest, infatti, potranno partecipare gli studi che hanno
innovato i propri processi interni, attraverso l’implementazione di nuove tecnologie, in modo da ottenere maggiori livelli di efficienza e ridurre i costi e gli sprechi di tempo. Le
strutture che hanno migliorato o introdotto nuovi servizi per
la clientela attraverso lo sviluppo delle tecnologie informatiche o utilizzato la “digital innovation” per allargare i propri
orizzonti e raggiungere nuovi mercati.
Per prendere parte al concorso, bisognerà inviare la propria
candidatura entro, e non oltre, il 20 gennaio 2016, compilando il form di iscrizione al seguente indirizzo:
https://survey.opinio.net/s?s=13220. La valutazione delle
differenti candidature (effettuata in due fasi, la prima
attraverso l’esame delle risposte al form, la seconda tramite
un confronto telefonico con i finalisti) è affidata ad una
commissione di esperti, composta da docenti e ricercatori
dell’Osservatorio, che giudicheranno secondo criteri
predeterminati. Tra questi, originalità e complessità del
progetto, rilevanza e misurabilità dei benefici derivanti
dall’innovazione e approccio strategico (inteso come
l’esistenza di un progetto articolato e definito nel tempo).
Una volta conclusa la fase di valutazione, gli studi che si sa-
ranno distinti per l’efficacia delle soluzioni adottate saranno
invitati a partecipare al convegno finale dell’Osservatorio,
in programma il prossimo 26 febbraio a Milano. In quella
sede, dove verranno presentati anche i risultati del
questionario lanciato a metà dicembre scorso (si veda “Dal
Politecnico di Milano un sondaggio su professionisti e
digitale” del 18 dicembre), i titolari degli studi vincitori del
contest potranno raccontare la loro esperienza di
innovazione e ricevere una targa premio.
La scorsa edizione, su un totale di circa 70 partecipanti,
l’Osservatorio decise di premiarne quattro, due dei quali (ex
aequo) nella categoria “Dottori commercialisti ed esperti
contabili”: lo Studio Emmi di Catania con il progetto
“www.partitaiva.it” e lo Studio VBC – Verginer Business
Consulting – di Bolzano, con il progetto “PaperLess”. Il primo è riuscito a sfruttare nuovi strumenti tecnologici (come
portali, blog, testate on line e tool gratuiti messi a disposizione del pubblico) per allargare il proprio mercato, slegandosi
da una clientela strettamente territoriale e rivolgendosi a tutto il tessuto economico nazionale, con particolare riferimento ai clienti del settore ICT (Information and Communication Technology) e start up innovative.
Lo studio VBC di Bolzano, invece, pur mantenendo il portafoglio servizi tradizionale (contabilità e consulenza tributaria e commerciale), ha reso più efficiente i propri processi lavorativi con la digitalizzazione di tutta la documentazione
e l’utilizzo di workflow (applicazioni di automatizzazione)
per guidare le procedure di studio e monitorare le tempistiche di esecuzione. In più, grazie al processo di innovazione
interna, è in grado di offrire strumenti di eCollaboration alla
propria clientela, permettendo la collaborazione tra
professionista e cliente sulle attività di contabilità.
Direttore Responsabile: Michela DAMASCO
EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL'8 FEBBRAIO 2010
Copyright 2016 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO
Scarica

Eutekne.Info - Il Quotidiano del Commercialista