LE INFORMATIVE PREFETTIZIE
Il Consiglio di Stato con la pronuncia n. 444/2012 si è espresso sull’appello, avverso una sentenza del
Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, presentato da una impresa nei cui
confronti è stata emanata un’informativa prefettizia antimafia interdittiva adottata dal Prefetto di Caserta.
L’informativa prefettizia, nel caso di specie, è quella prevista e disciplinata dall’art. 10, comma 1, del d.p.r.
n. 252/1998 e dall’art. 4 del d.lgs. n. 490/1994, i quali hanno una funzione spiccatamente cautelare e,
quindi, prescinde dal concreto accertamento, in sede penale, di reati, dovendosi basare sull’ oggettiva
rilevazione di fatti, suscettibili di condizionare scelte ed indirizzi di imprese, che hanno, o mirano di avere,
rapporti economici con le pubbliche amministrazioni. Essa deve fondarsi, perciò, su fattori di pericolo, che si
manifestano per evidenze oggettive. E’ dunque necessario che, dagli accertamenti disposti dal Prefetto,
emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nei confronti delle società o imprese
interessate ( Consiglio di Stato, sez. III, 30 gennaio 2012, n. 444).
L’informativa prefettizia, oggetto della sentenza del Consiglio di Stato, è quella cd. tipica, ovvero
disciplinata dall’art. 4 del d. lgs. n. 490/1994 il quale stabilisce che le p.a., gli enti pubblici e gli altri soggetti
di cui all’art. 1, prima di procedere alla stipula, approvazione, autorizzazione di contratti o subcontratti,
relativi ad appalti di lavori, servizi e forniture pari o superiore alla soglia comunitaria, devono acquisire nel
termine di 15 giorni dalla richiesta, oltre alla certificazione antimafia, un’informativa, rilasciata dal Prefetto
della provincia di residenza della persona fisica o in cui vi è la sede della persona giuridica, riguardante
“eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o
imprese interessate”.
Nel caso di accertamenti complessi, il Prefetto ne dà comunicazione all’amministrazione interessata e
fornisce le relative informazioni nel termine di 30 giorni dalla richiesta.
Per effettuare i necessari accertamenti, il Prefetto si avvale dei poteri di accesso e di accertamento delegati
dal Ministro dell’Interno, dispone le necessarie verifiche nell’ambito della provincia e, ove occorra, si avvale
dei prefetti delle altre province. Inoltre l’art. 2, comma 2, della legge n. 90/2009 ha poi attribuito la
possibilità per il Prefetto di disporre accertamenti all’interno dei cantieri delle imprese interessate
all’esecuzione dei lavori pubblici, avvalendosi dei gruppi interforze.
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Sia le certificazioni antimafia sia le informative prefettizie ex art. 4 del d. lgs. n. 490/94 producono effetti
automaticamente, pertanto, alle amministrazioni destinatarie delle stesse è fatto divieto di stipulare o
approvare contratti con le imprese che risultano avere concussioni con la criminalità organizzata.
La giurisprudenza amministrativa e la dottrina hanno distinto le informative prefettizie tipiche in due
categorie:
1) la prima, ricognitiva, di cause interdittive, rappresentate dai provvedimenti latu sensu giudiziari, o
fonti tipiche, disciplinate dall’ art. 10, comma 7, lettere a e b del d.p.r. n. 252/1998;
2) la seconda, accertativa – costitutiva, derivante da un generale potere di investigazione che la legge
attribuisce al Prefetto e disciplinata dall’art. 10, comma 7, lettera c del d.p.r. n. 252/1998.
L’oggetto delle informative prefettizie tipiche è costituito, come detto in precedenza,
dalla verifica
dell’esistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa che possano condizionare le scelte e gli indirizzi
delle imprese interessate.
Orbene più volte sia la giurisprudenza che la dottrina hanno ribadito che il concetto, tentativi di
infiltrazione mafiosa, è di matrice sociologica e non giuridica e, pertanto, risulta differenziato rispetto
all’accertamento operato dal giudice penale ( Paolo Pirruccio – L’informativa antimafia; Alfonso
Mezzotero – Le informative prefettizie antimafia).
L’art. 4 del d. lgs. n. 490/1994 non richiede che ci si imbatta in un’impresa criminale ma ritiene sufficiente
che, dalle informazioni acquisite tramite le indagini effettuate dagli organi di polizia, emerga un quadro
indiziario che complessivamente inteso sia sintomatico del pericolo di collegamento tra l’impresa e la
criminalità organizzata (Cons. Stato, Sez. IV, n. 2615/2004; idem, Sez. V, n. 2512/2008).
Quindi, il Prefetto può riscontrare gli eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti quali una condanna
irrevocabile, rapporti di parentela con soggetti malavitosi, dichiarazioni rilasciate da pentiti che siano tali da
far ritenere che l’impresa sia assoggettata finanche a tentativi di estorsioni, tali da non lasciare libertà nelle
scelte dell’impresa (Cons. Stato, Sez. VI, n. 7777/2009).
In sostanza non ci si deve imbattere in una impresa criminale, bensì in una impresa che possa favorire la
criminalità organizzata.
Nella casistica giurisprudenziale l’ipotesi più frequente è quella del socio occulto o socio di fatto, ma non
mancano ipotesi in cui un’impresa sia stata vittima di pressioni estorsive.
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L’informativa prefettizia tipica deve essere distinta da un’altra tipologia che è, invece, disciplinata dall’art. 1
septies del d.l. n. 629/1982 che è quella definita atipica.
Quest’ultima, secondo la giurisprudenza e la dottrina, è fondata sull’accertamento di elementi che, pur
indicanti il pericolo di collegamenti tra le imprese e la criminalità organizzata, non è in grado di raggiungere
la soglia di gravità richiesta per le informative tipiche perché priva di alcuni requisiti soggettivi o oggettivi
pertinenti alle cause di divieto o sospensione nonché non integranti in pieno il tentativo di infiltrazione
mafiosa (Cons. Stato, sez. VI, n. 149/2002).
Il Prefetto, come per l’informativa tipica, per effettuare i necessari accertamenti si avvale dei poteri di
accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’Interno.
L’informatica atipica trova il suo fondamento nel principio di collaborazione tra le p.a., principio che viene
in rilievo quando ci si imbatte in interessi delicati, quali per esempio la tutela della sicurezza e dell’ordine
pubblico.
Le informative atipiche si differenziano da quelle tipiche soprattutto per la conseguenza che le prime non
producono automaticamente effetti interdittivi, come ben accade per le informative tipiche, ma al
contrario, lasciano libertà di scelta alla pubblica amministrazione destinataria delle stesse di aderire o meno
all’informativa ricevuta, considerata la discrezionalità esistente in capo alla p.a. e, pertanto, di sottoscrivere
o meno il contratto con l’impresa interessata.
Ulteriore differenza esistente tra le informative tipiche e le atipiche è che in quest’ultime il potere
accertativo del Prefetto viene esercitato indipendentemente dal valore del contratto, della concessione o
dell’erogazione ( T.A.R. Napoli, sez. VII, n. 3291/2006).
Le informative atipiche, come affermato dalla giurisprudenza, non sono atti vincolanti, ben potendo la
pubblica amministrazione destinataria agire in via di autotutela per sopraggiunte ragioni di pubblico
interesse ( Cons. Stato, sez. VI, n. 5780/2008).
Una volta ricevuta un’informativa prefettizia atipica, l’amministrazione ha l’onere di valutarla
autonomamente e motivatamente prima di adottare eventuali atti negativi o di ritiro.
Pertanto, l’amministrazione avrà di fronte due possibilità:
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1) se condivide l’informativa atipica, la motivazione può essere data ob relationem dall’informativa
stessa;
2) se, al contrario, non la condivide, la motivazione al riguardo deve essere dettagliata e puntuale, con
l’avvertenza che, in questo caso, l’ambito di discrezionalità dell’amministrazione interessata è
estremamente ridotto.
La dottrina ha evidenziato la fragilità degli elementi talora contenuti nelle informative atipiche, spesso
“incerti, inconcludenti, riferiti a circostante avvenute in tempi molto lontani dal rilascio dell’informativa e,
pertanto, non più attualizzati” che rischiano di esporre le pubbliche amministrazioni a fondate pretese
risarcitorie da parte di un’impresa illegittimamente esclusa da un contratto (Maria Grazia Vivarelli, Le
informative prefettizie antimafia, in Appalti e contratti).
La giurisprudenza ha riconosciuto, relativamente ad una pretesa risarcitoria avanzata da un’impresa a
seguito di un’adozione di un’informativa prefettizia atipica, oltre al risarcimento per danno emergente,
lucro cessante, e danno da perdita di chanche anche il cd. danno esistenziale per lesione all’immagine
dell’impresa ( Cons. Stato, sez. V, n. 491/2008).
Per quanto concerne gli aspetti processuali delle informativa prefettizie antimafia è necessario distinguere
le tipiche dalle atipiche.
Innanzitutto entrambe essendo atti amministrativi vanno impugnate dinanzi al giudice amministrativo.
Le tipiche poichè producono effetti interdittivi automaticamente debbono essere impugnate
immediatamente senza, pertanto, attendere i successivi provvedimenti della stazione appaltante, quali per
esempio l’esclusione dalla gara, la revoca o il recesso dal contratto.
L’eventuale annullamento giurisdizionale dell’informativa prefettizia tipica determina l’invalidità sia del
provvedimento di revoca dell’aggiudicazione dell’appalto, disposto in danno dell’impresa sospetta di essere
in collusione con la criminalità organizzata, sia dell’assegnazione dello stesso appalto ad altro concorrente
(Cons. Stato, Sez. V, n. 5929/2008).
Al contrario, invece, l’informativa atipica è un atto privo di autonoma capacità lesiva, poiché non produce
effetti preclusivi immediatamente, e ha come obiettivo principale quello di fornire alle amministrazioni
pubbliche destinatarie un arricchimento di notizie relative ad elementi utili per la valutazione dei requisiti
soggettivi della persona fisica o giuridica che partecipa ad una gara di appalto.
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Quindi l’informativa prefettizia atipica non potrà essere impugnata, in quanto entrerà a far parte di un sub
procedimento che potrà eventualmente concludersi con l’adozione da parte della stazione appaltante di un
successivo provvedimento, quale l’esclusione dalla gara, che determinerà sia l’interesse a ricorrere quanto
l’amministrazione a cui notificare il ricorso.
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 444/2012 ha accolto giustamente l’appello proposto dall’impresa,
nei cui confronti era stata emessa un’informativa prefettizia antimafia tipica per il fatto che
l’amministratore unico della stessa, ben oltre dieci anni prima dell’informativa, era stato accusato di
associazione mafiosa da parte della Procura della Repubblica , accusa poi respinta dal Tribunale di Santa
Maria Capua Vetere ritenendo che l’amministratore non avesse commesso il fatto.
Inoltre dalla sentenza del Supremo Consesso Amministrativo si evince chiaramente che l’informativa si
fondava anche su alcune indagini effettuate dagli organi di polizia, dalle quali risultavano avvenuti alcuni
incontri occasionali da parte dell’Amministratore unico con due soggetti, a carico dei quali vi erano dei
precedenti di polizia senza però precisare né se ci fossero stati relativi sviluppi penali, né se fossero state in
grado di dimostrare la loro concreta pericolosità mafiosa, idonea a condizionare le scelte e gli indirizzi
dell’Amministratore Unico.
Infatti al riguardo, come più volte affermato sia dalla giurisprudenza sia dalla dottrina, non sono sufficienti,
per fondare un’informativa prefettizia, alcuni incontri occasionali o locuzioni del tipo “si accompagna a
pregiudicati” ma è richiesto di indicare in maniera compiuta e dettagliata gli incontri avvenuti tra
imprenditori e soggetti malavitosi, riportando le generalità di quest’ultimi, la data, l’ora ed il luogo degli
incontri.
Orbene per le informative prefettizie la motivazione costituisce un momento essenziale ed imprescindibile,
che consente di individuare le ragioni della scelta e di ricostruire l’iter logico seguito dal Prefetto
nell’adozione dell’informativa, motivazione che risulta non adeguata nel caso di specie sottoposto
all’esame del Consiglio di Stato.
Avv. Luca Cianatiempo
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