SALMO 92 (91)
Inno di lode del giusto
1
Salmo. Canto. Per il giorno del sabato.
2
È bello rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
3
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte,
4
sulle dieci corde e sull'arpa,
con arie sulla cetra.
5
Perché mi dai gioia, Signore, con le tue meraviglie,
esulto per l'opera delle tue mani.
6
Come sono grandi le tue opere, Signore,
quanto profondi i tuoi pensieri!
7
L'uomo insensato non li conosce
e lo stolto non li capisce:
8
se i malvagi spuntano come l'erba
e fioriscono tutti i malfattori,
è solo per la loro eterna rovina,
9
ma tu, o Signore, sei l'eccelso per sempre.
10
Ecco, i tuoi nemici, o Signore,
i tuoi nemici, ecco, periranno,
saranno dispersi tutti i malfattori.
11
Tu mi doni la forza di un bufalo,
mi hai cosparso di olio splendente.
12
I miei occhi disprezzeranno i miei nemici
e, contro quelli che mi assalgono,
i miei orecchi udranno sventure.
13
Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
14
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.
15
Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
16
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c'è malvagità.
Il Salmo è un tipico esempio di inno e si può così suddividere: invito alla lode con strumenti
musicali a corde (vv. 2-4). Il corpo dell’inno sviluppa i motivi della lode: la ricompensa dei giusti
(vv. 5-14). La conclusione è un rinnovato invito al riconoscimento della rettitudine di Dio (vv. 1516). La situazione che ha generato il Salmo potrebbe essere quella di un’istruzione impartita da un
maestro sotto forma di preghiera/canto.
Il verso 1 è la soprascritta. Nel titoletto si accostano i due termini «Salmo» e «canto» legandoli
alla celebrazione del giorno di sabato.
Invito a lodare il Signore Yhwh (vv. 2-4)
Il versetto iniziale si apre con l’aggettivo «buono» (tov) che ricorre nell’Antico Testamento 741
volte. Tre sono i suoi principali significati. Il primo è di natura etica, per esempio in rapporto alla
bontà di Yhwh come nel Sai 34,9; in questo senso «buono» è opposto a «cattivo» (Am 5,14). Il
secondo è funzionale, cioè in rapporto alla convenienza di una cosa rispetto a un’altra, per esempio
Es 14,12; Nm 14,3; ISam 27,1. Il terzo significato è estetico e rimanda alla bellezza del corpo
umano e al fascino ad essa legato (Gen 6,2; 24,16; 26,7; 2Sam 11,2; Est 2,2.3.7). Il Salmo 92 è
l’unico a iniziare con questo aggettivo, il cui valore richiama il macarismo («beato...») con cui si
aprono altri Salmi (1,1; 32,1.2; 41,2; 112,1).
La bontà del rendimento di grazie rivolto a Dio nel canto non ha sosta (v. 3): dalla mattina alla
sera fino a percorrere l’intera nottata. L’amore misericordioso (hésed) e la fedeltà ( ’emunàh) sono
gli attributi divini che vengono lodati: termini che caratterizzano l’agire divino al punto da venire
personificati nei Salmi 85 e 89.
Non è facile capire quali siano gli strumenti musicali menzionati, anche perché del primo
l’ebraico riporta la parola «dieci» che è da leggersi come uno strumento con più corde che veniva
suonato come un’arpa o qualcosa di simile. Sicuramente l’immaginario del Salterio ricorre a tali
strumenti per descrivere l’anima stessa della lode, in cui il canto e la musica si accordano per
esprimere la gioia dello spirito dell’orante.

Corpo dell’inno (vv. 5-14)
La ripetizione della particella «perché» nei vv. 5 e lo segnala la divisione in due strofe del corpo
laudativo (vv. 5-9; 10-14).
Versi 5-9: Il Signore è più forte dei malvagi. I primi due versetti (5-6) si concentrano su Yhwh.
Egli è motivo di gioia per l’orante a causa delle sue meraviglie e dell’opera delle sue mani, secondo
uno stereotipo del suo agire come Creatore (Sai 8,7; 143,5). La sequenza dei sostantivi prodigiopere/opere-pensieri pone al centro la visibilità dell’intervento divino di cui l’uomo fa esperienza:
questo amore è un dato di fatto, non è soltanto frutto di una proclamazione vaga e, perciò, gratuita.
L’insistenza su questo dato teologico sembra trovare una ragione ben precisa, perché nei vv. 7-8
l’esperienza del salmista registra un’anomalia nel piano superiore che egli intravede. La sua
esperienza, infatti, non è universale, nel senso che non è esperita da tutti i suoi simili; anzi: lo
stupido non la conosce e lo stolto non la comprende. Il primo e, soprattutto, il secondo
appartengono a quella categoria di soggetti privi del necessario comprendonio e che, proprio per
questo, necessitano dell’istruzione (Pr 3,32-35). Ma si può intendere l’accostamento di questi
soggetti accentuando la loro dimensione morale: lo stupido è l’uomo violento, mentre lo stolto è
colui che provoca imprudentemente, suscita litigi; per cui non solo non capiscono ma, ostinati, non
vogliono intendere. Infatti, il lungo v. 8 menziona esplicitamente il malvagio e i malfattori in
genere, gente cattiva che non può conoscere e apprezzare le opere meravigliose di Dio o, per dirla
con il libro della Sapienza, tentano Dio, lo mettono alla prova, sragionano su di lui e non hanno
rette intenzioni: per tali ragioni restano esclusi dalla sua presenza e dall’intimità del suo progetto
(Sap 1,1-4). Il giudizio sulla loro sorte è netto: come l’erba ha vita breve, così il rigoglio dei
malvagi è solo un fenomeno momentaneo. Alla brevità della loro vita su questa terra corrisponde, in
aggiunta, una rovina eterna.
I Salmi 37 e 73 sono accomunati con questo Salmo dalla tematica della retribuzione, in cui fa
problema il rigoglio del malvagio che, secondo la teoria classica della retribuzione, dovrebbe
soccombere e patire malattia, miseria e morte. Nel Salmo 92 questa questione, che rischia di
complicarsi come nella vicenda di Giobbe e Qoelet, è risolta con una professione di fede: «Tu... sei
l’eccelso!» (v. 9). La superiorità di Yhwh non teme il momentaneo oscuramento del suo progetto
perché egli, dall’alto della sua posizione, tutto domina. Egli è eccelso, sostantivo che ha connotazioni sia storiche che mitologiche: il più alto di tutti gli altri dèi, l’irraggiungibile, l’imbattibile (Gb
31,2; Is 33,16; Mi 6,6). Il testo di Is 57,15 esprime appieno il senso del v. 9 del nostro Salmo: «Così
parla l’Alto e l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome è santo. “In un luogo eccelso e santo io
dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e
rianimare il cuore degli oppressi”».
Versi 10-14: Il vigore del giusto. Dopo le dichiarazioni del v. 8, si riafferma la chiara convinzione
che i malvagi, qui chiamati per due volte «nemici» a conferma del profilo negativo che sin qui si è
andato tracciando, saranno eliminati e dispersi (v. 10). Continuando l’analogia con l’erba si dice che
essi saranno separati, sparpagliati, dispersi. L’immagine del bufalo (v. 11) è particolarmente
evocativa. L’orante, che recupera le proprie convinzioni di fede davanti al possibile smacco
rappresentato dai malvagi, è presentato come un bufalo nel pieno delle propria potenza muscolare,
animale indomito che non si piega ad essere utilizzato in agricoltura (Gb 39,9-12) e la cui rabbia gli
fa avere la meglio sui nemici (Nm 23,22; 24,8; Dt 33,17; Sai 22,22; Is 34,7). Possiamo dire che il
simbolo del bufalo consegna universalmente l’idea di forza e di potenza selvaggia. Nel Vicino
Oriente antico veniva adorato nelle sembianze di un animale sacro, il toro lunare, associato alla
grande Madre e, in seguito, a Mitra. Grandi bovini sono dipinti sulla porta di Ishtar: le corna
dell’animale servivano ad allontanare il male.
Non è un caso che il termine ebraico «forza», utilizzato dal salmista, sia qéren, che significa
«corno» (cfr. Sai 75,5-6; 89,18), secondo un comune immaginario attestato anche nella lingua
egizia che include tale segno, insieme al braccio e al piede, tra quelli che compongono il vocabolo
«forza».
L’unzione («mi hai cosparso di olio splendente», v. 11) tonifica il muscolo, lo rende più
splendente e pronto per la battaglia. Dalla descrizione di questa forza della natura si passa al
contesto tutto umano della sfida tra nemici (v. 12): lo sguardo lanciato contro il proprio avversario
esprime coraggio e sprezzante risentimento. Le due immagini (gli occhi e l’olio) compaiono anche
nel Salmo 23,5 in cui l’orante può tranquillamente sedere a mensa, ormai al sicuro, sotto lo sguardo
dei propri avversari resi inoffensivi. Udire la sventura del nemico significa prendere atto della
sciagura che li ha colpiti (Ez 7,5.26) e di quel ristabilimento della giustizia che è stato annunciato
nei versetti precedenti anche se non si specificano le modalità di tale ribaltamento di fronti.
Il secondo simbolo che domina il Salmo 92 è la palma (vv. 13-14). Con questa immagine si apre il
Salterio (1,3): il giusto è presentato come una pianta sempre fruttifera che non secca mai. Nel Salmo
92 l’accentuazione è non tanto sui frutti quanto sulla rigogliosità, coerentemente con l’altra
immagine, quella del bufalo. L’accostamento con l’albero di cedro che proviene dal Libano
conferma l’idea della potenza che caratterizza il giusto (Ez 31,3), il quale è fisso, ben piantato come
un albero maestro ricavato dal tronco di questa pianta (Ez 27,5). La particolarità di questi due alberi
è data dal luogo in cui sono interrati perché essi abbelliscono l’atrio del tempio. Il messaggio
sembra essere il seguente: solo se l’orante resta nello spazio della fede può godere della linfa che
dona il Signore e ricevere stabilità.
Rinnovato invito al riconoscimento della rettitudine di Dio (vv. 15-16)
Questi due versetti chiudono il compimento che, secondo il genere letterario dell’inno, dovrebbe
servire per reiterare l’invito alla lode. Qui tale invito è un po’ sfumato, anche se presente. Si
completa il ciclo vegetativo iniziato con la fioritura (vv. 13-14) perché si menzionano i frutti donati
nella vecchiaia, mentre si sottolinea nuovamente il vigore mai appassito della palma e del cedro (v.
15). L’invito alla lode, anche se non è consegnato con la solita forma verbale, è espresso
nell’infinito del verbo «annunciare» che crea un legame con il v. 3, che si apre con la medesima
forma verbale. Alla fine il salmista scopre le sue carte: non è da attribuire alla responsabilità divina
la sventura del giusto e il favore di cui gode, invece, il malvagio; il Signore è retto e lo dimostra
fortificando il giusto, rinverdendolo nella fede, inserendolo in un rapporto vitale con lui, liberandolo
dalle sabbie mobili dell’incredulità perché Yhwh è roccia (2Sam 22,2; Sai 18,3; 31,4; 62,3.7; 144).
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