Fiscal Approfondimento
Il Focus di qualità
N. 04
28.01.2014
Interposizione: focus normativo
A cura di Alberto Nastasia
Categoria: Accertamento e riscossione
Sottocategoria: Varie
Alcuni recenti interventi della Corte di Cassazione confermano come non sia ancora completamente
sopito il dibattito dottrinario e giurisprudenziale, in ordine al campo di applicazione della previsione
normativa recata dall’art. 37, comma 3 del D.P.R. n. 600/1973, norma quest’ultima che autorizza
l’Amministrazione Finanziaria, in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio, a imputare al contribuente i
redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato - anche sulla base di presunzioni
qualificate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza - che egli ne è l’effettivo possessore per
interposta persona.
Al riguardo è bene, sin da subito, precisare che la prevalente dottrina è da sempre orientata a ritenere
che detta previsione non può che riferirsi ai soli casi di “interposizione fittizia” e non anche a quelli di
“interposizione reale”.
La posizione della giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione è certamente più oscillante,
come dimostra l’affermazione contenuta nella recente sentenza n. 449 del 10 gennaio 2013, secondo cui
il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito del quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia
di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo
anche mediante operazioni effettive e reali.
Da qui l’esigenza di approfondire i termini della questione e analizzare le ricadute che tale diversa
interpretazione è suscettibile di determinare sul piano pratico; tale indagine non può che muovere
dall’analisi della previsione normativa che sarà letta tenendo, innanzitutto, conto delle considerazioni al
riguardo espresse negli atti parlamentari.
Di seguito verranno delineate le peculiarità e gli elementi distintivi che caratterizzano le ipotesi di
interposizione fittizia e reale, segnalando le considerazioni in merito espresse dalla più autorevole
dottrina e dai giudici di legittimità.
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Genesi della
previsione
normativa.
Il punto di partenza per la presente analisi è rappresentato dalla previsione
recata dall’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, introdotta dall’art. 30 del
D.L. 2 Marzo 1989, n. 691, il quale prevede che “in sede di rettifica o di
accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono
titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni
gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta
persona”.
Prescindendo, per ragioni espositive, dall’analitico esame di tutte le iniziative
legislative che - sebbene non trasfuse in provvedimenti definitivi costituiscono, sul piano ermeneutico, un utile ausilio per la definizione
dell’ambito applicativo della norma2, si ritiene utile, in questa sede,richiamare
l’attenzione sul contenuto di talune di esse.
Si tratta, in particolare,dell’art. 6, comma 5, del disegno di legge n. 1507 del 13
marzo 1980 - successivamente espunto dal progetto che portò all’approvazione
della L. n. 516 del 1982 - il quale puniva per frode fiscale il possesso di redditi
da parte di soggetti che li facevano risultare di altrui spettanza, mediante
interposizione fittizia o facendo risultare i cespiti produttivi come appartenenti
a società costituite o utilizzate esclusivamente a tal fine.
Di interesse è anche l’art. 25 del disegno di legge n. 3705, approvato dal
Consiglio dei Ministri il 5 agosto 1988, il quale dettava una specifica disciplina
dell’“interposizione fittizia” che era concepita in rapporto di “species” a “genus”
con la “clausola generale antielusiva” contenuta nel successivo art. 31.
Quest’ultima disposizione prevedeva, al comma 1, la configurabilità
dell’elusione fiscale ogniqualvolta le parti ponessero in essere “uno o più atti
giuridici tra loro collegati al fine di rendere applicabile una disciplina tributaria
più favorevole di quella che specifiche norme impositive prevedono per la
tassazione dei medesimi risultati economici che si possono ottenere con atti
giuridici diversi da quelli posti in essere”, rimettendo all’allora Ministro delle
Finanze, la definizione delle fattispecie elusive (comma 2) e attribuendo agli
Uffici il potere di superare la “forma” giuridica degli atti “assoggettandoli allo
stesso trattamento tributario della disposizione elusa” (comma 3).
Tale disposizione non fu approvata a differenza dell’art. 25 del progetto che fu,
invece, trasfuso dapprima nel primo comma del D.L. n. 69/1989 per confluire,
successivamente, nel comma 3 dell’art. 37, del D.P.R. n. 600/1973, rimanendo
pertanto “orfana” dell’impianto sistematico in cui era stata concepita.
1
2
Convertito con la legge 27 aprile 1989, n. 254. Una puntuale ricostruzione delle vicende è offerta da P.M. TABELLINI, L’elusione della norma tributaria, Giuffrè,
2007, pagg. 165 e segg. e F. PAPARELLA, Possesso di redditi ed interposizione fittizia, Giuffrè editore, 2000,
pagg. 288 e segg.
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Con l’art. 7, comma 3, del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, il Legislatore ha poi
aggiunto il comma 4 all’art. 37 del D.P.R. n. 600/19733 prevedendo che “le
persone interposte, che provino di aver pagato imposte in relazione a redditi
successivamente imputati, a norma del comma terzo, ad altro contribuente,
possono chiederne il rimborso. L’amministrazione procede al rimborso dopo
che l’accertamento, nei confronti del soggetto interponente,è divenuto
definitivo e in misura non superiore all’imposta effettivamente percepita a
seguito di tale accertamento”4.
Passando ora ad analizzare il comma 3, dell’art. 37 del D.P.R. n. 600/1973,
ritengo utile segnalare che il profilo parso, sin da subito, maggiormente
controverso fu quello attinente il campo di applicazione della disposizione; più
in particolare, ciò su cui la dottrina si interrogò, già nelle prime fasi di concreta
applicazione della disposizione, era rappresentato dall’interrogativo, se
oggetto della norma fosse solo l’interposizione fittizia di persona o anche il
fenomeno dell’interposizione reale.
L’assenza nella disposizione di espliciti riferimenti a una o a entrambe le
distinte forme di interposizione e l’ambiguità della formulazione adottata, ci
impongono di soffermare la nostra attenzione sulle nozioni di “interposizione
fittizia” e “interposizione reale”, così come costruite dalla migliore dottrina.
L’interposizione
fittizia
Su un piano generale, si può innanzitutto osservare che la nozione di
interposizione abbraccia una dimensione assai ampia dovendosi in essa
ricomprendere qualsiasi vicenda in cui la posizione giuridica di un soggetto
viene privata, sul piano legale o sostanziale, di uno dei suoi elementi costitutivi,
per effetto di un intervento esterno.
In questo senso, è stato osservato che ad essa sono riconducibili fenomeni
estremamente eterogenei che vanno da mere attività coadiuvanti sul piano
economico e della gestione di affari, a quelle giuridiche svolte in nome e per
conto altrui fino all’attività esercitata fittiziamente, ovvero quella in cui appare
un soggetto che in realtà non compie alcuna attività sostanziale, limitandosi
3
4
Si è così giunti al vigente assetto dell’art. 37 del D.P.R. n. 600 del 1973. In relazione all’ambito di operatività di tale disposizione, la Corte di Cassazione, nella sentenza 22 gennaio 2010, n. 1166, ha affermato che “la disciplina dell’interposizione prevista dal D.P.R. n. 600/1973 art. 37, commi 3 e 4 risulta invocabile dagli interposti solo qualora provino di aver pagato imposte in relazione a redditi successivamente imputati ad altro contribuente, e comporta il diritto al rimborso di quanto indebitamente versato soltanto dopo che l’accertamento, nei confronti dell’interponente, diventi definitivo”. Nel caso di specie, è stata esclusa l’applicabilità della disciplina dell’interposizione, difettandone i relativi presupposti, nel caso in cui un contribuente – intestatario di quota di una società di persone – intenda dimostrare la sua estraneità al rapporto societario, per contestare un avviso di accertamento contenente l’imputazione proporzionale dei redditi di partecipazione, ex art. 5 del D.P.R. n. 917/1986. Conseguentemente, l’Amministrazione ha la facoltà di effettuare il rimborso dopo che l’accertamento, nei confronti del soggetto interponente, è divenuto definitivo, e in misura non superiore all’imposta effettivamente percepita a seguito dell’accertamento stesso. Informatsrl
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alla partecipazione formale a un atto i cui effetti si riferiscono a un soggetto
distinto5.
Proprio in ragione di tale multiformità, la dottrina ha ritenuto imprescindibile la
distinzione fra i fenomeni di interposizione fittizia o soggettiva, dalle ipotesi di
“interposizione reale”, inquadrando soli i primi nell’ambito della simulazione6.
È stato, infatti, osservato che la simulazione7, in ogni sua forma8, inclusa
l’interposizione fittizia, trova specifica regolamentazione nel comma 3 dell’art.
37 del D.P.R. n. 600/1973, norma che impone al fisco di ignorare le ingannevoli
apparenze e di badare non alla finzione, ma alla realtà effettuale dei fenomeni,
nella loro vera conformazione giuridica9.
In sostanza, quindi, per “interposizione fittizia” deve intendersi l’inserimento nel
rapporto giuridico di uno o più soggetti estranei che fungono da schermo per
celare le parti effettive, determinando un contesto fittizio di persone.
Il profilo caratterizzante tale figura è quindi rappresentato dalla simulazione
dell’intervento dell’interposto, in quanto chi opera realmente la contrattazione
è il soggetto interponente.
In questo senso, è stato affermato che l’interposizione fittizia altro non è se non
una
simulazione
relativa
soggettiva
che
viene
realizzata
attraverso
l’attribuzione a un soggetto - che, in realtà, è un mero nuntius-della qualifica di
destinatario dell’atto10.
5
Così MIRABELLI, Le disposizioni fiduciarie nell’art. 627 del codice civile (contributo allo studio dell’interposizione di persona) in “Rivista trim. dir. proc. civ.”, 1955, pag. 1069. A tale riguardo G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario – Parte generale, CEDAM, VIII edizione, 2012, pag. 220 pone in evidenza che “il dittico «simulazione‐dissimulazione» è un fenomeno variegato che nel diritto tributario assume una «estensione» maggiore che in diritto civile perché include anche i meri atti giuridici e persino i fatti materiali rilevanti per il diritto tributario nulla vietando di rivestire di una forma apparente atti e fatti di tale specie”. 7
In ambito civilistico il riferimento è all’art. 1414 e segg. del codice civile. Il predetto articolo, rubricato “effetti della simulazione fra le parti”, dispone che “Il contratto simulato non produce effetto tra le parti. Se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma”. 8
L’esame della giurisprudenza consente, infatti, di poter affermare che la simulazione può cadere ‐ oltre che sugli elementi che caratterizzano l’obbligazione tributaria, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo ‐ anche sulla natura del diritto oggetto del contratto. A mero titolo esemplificativo, si segnalano, tra le tante: la sentenza 16 febbraio 2010 n. 3571, relativa a un caso in cui era stato accertato che oggetto della cessione era solo il marchio e non già l’intera azienda come simulatamente fatto risultare dalle parti; la sentenza 20 ottobre 2006, n. 22587 in cui sono state avvallate le conclusioni cui era giunto l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate in ordine alla simulata rappresentazione contabile di un cespite come riferibile al patrimonio personale dell’imprenditore; ancora la sentenza 10 gennaio 2013, n. 449 (decisione sulla quale tornerò nel paragrafo dedicato alla rassegna giurisprudenziale) avente ad oggetto un caso di donazione di un bene effettuata da un genitore ai propri figli al quale è seguita la successiva rivendita del bene; la sentenza 3 maggio 2013, n. 19100 relativa alla cessione dei diritti di utilizzazione economica dell’immagine di un attore a una società appositamente costituita, nella quale le quote erano ripartite dall’indagato con la sorella, il ruolo di procuratrice, era svolto dalla moglie e le funzioni di amministratore unico erano esercitate da un’altra sorella, con il fine di ottenere la riduzione della base imponibile mediante trasformazione dei guadagni costituenti poste attive in costi deducibili come poste passive. 9
Così G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario – Parte generale, cit., pag. 221. 10
L. NANNI, L’interposizione di persona, CEDAM, 1990, pagg. 109 e segg. Informatsrl
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In buona sostanza, in tali circostanze l’accordo simulatorio interviene fra tre
soggetti:
−
il contraente effettivo o interponente;
−
il contraente effettivo o interposto;
−
la controparte contrattuale.
La persona interposta finge di intervenire nel contratto, ma non è parte
contrattuale; in sostanza essa è inattiva, passiva, senza volontà, non fa altro che
prestare il suo nome11.
In tali circostanze si realizza, infatti, un duplice rapporto: il primo fra
l’interponente e il terzo, e il secondo fra quest’ultimo e l’interposto, ma soltanto
quest’ultimo rapporto viene ritenuto valido ed efficace dalle parti.
In questo senso, l’interposizione fittizia determina uno “scollamento tra realtà
effettuale ed economica dell’operazione e l’immagine che di tale realtà viene
data a soggetti estranei all’operazione”12.
In estrema sintesi si può affermare che, nella vicenda interpositoria, di cui
all’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, è sempre lo stesso reddito che,
occultato da un soggetto (interponente), viene dichiarato da un altro soggetto
(interposto) e tassato nei suoi confronti.
In sostanza, quindi, non è il reddito che viene occultato; esso, infatti, non
scompare, ma è imputato a una “testa di paglia” che ne appare il titolare.
L’interposizione
reale
L’interposizione reale si realizza, invece, quando l’interposto agisce come
effettivo contraente, assumendo in proprio i diritti derivanti dal contratto e
impegnandosi a ritrasferirli all’interponente con un ulteriore atto che diviene
necessario in ragione dell’estraneità di quest’ultimo rispetto al rapporto
principale.
Pertanto, mentre nell’interposizione fittizia tutti i soggetti vogliono che gli
effetti del negozio si producano nei confronti di una persona diversa da quella
che appare nell’atto, nell’interposizione reale manca l’accordo simulatorio,
cosicché gli effetti del contratto stipulato si producono realmente nei confronti
del secondo.
Soltanto a seguito di un successivo negozio di trasferimento, gli effetti potranno
avere luogo a favore dell’altro soggetto.
Nell’interposizione reale, quindi, l’accordo è sempre e solo bilaterale tra
interponente e interposto, con assoluta estraneità del terzo contraente.
L’interposizione reale può assumere due distinte forme che si differenziano in
ragione della rilevanza attribuita alla volontà dell’interposto.
11
12
Così F. FERRARA, Della simulazione dei negozi giuridici, Roma, 1922, pagg. 236 e segg. Questa affermazione è stata utilizzata da A. PERINI, Operazioni soggettivamente inesistenti, interposizione fittizia e nuovo sistema penale tributario in “Diritto penale e processo” n. 11/2001, pag. 1411. Informatsrl
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La prima ricorre nelle ipotesi in cui l’interposto acquisisce un diritto da un terzo
per trasferirlo all’interponente, compiendo un atto che non presuppone alcuna
specifica qualità. In tali circostanze egli assume la veste di mandatario in nome
proprio e si ha rappresentanza indiretta.
L’altra forma di interposizione reale, si ha in tutti i casi in cui “è richiesta una
posizione prestabilita, una vocazione determinata, un diritto anteriore … la
quale presuppone nell’agente la qualità di proprietario o di creditore”13e
l’interposto riceve dall’interponente, al solo scopo di trasferirlo al terzo o di
ritrasferirlo all’interponente.
In queste circostanze si è nell’ambito dei negozi fiduciari14.
Ambito
oggettivo di
applicazione
dell’art. 37,
comma 3, del
D.P.R. n.
600/1973:
interposizione
soggettiva o
anche
interposizione
reale?
All’indomani dell’entrata in vigore della disposizione, la maggior parte della
dottrina si espresse favorevole di ritenere non ammissibile l’interpretazione
estensiva dell’ambito oggettivo di applicazione della norma, tesa ad
abbracciare anche la cosiddetta “interposizione reale”.
Ciò in quanto le ipotesi di interposizione reale, in cui dichiaratamente e
realmente la partecipazione soggettiva è arricchita dalla presenza di soggetti
affidatari di specifiche funzioni “sono tipiche e seguono le loro specifiche
discipline tributarie o sono fiscalmente trattate proprio tenendo conto
dell’inserimento, nella fattispecie, di soggetti di norma mancanti”15.
In questo senso è stato anche osservato che “l’esclusione dal campo di
applicazione della norma in rassegna dell’interposizione reale è testimoniata
dal fatto che quest’ultima riguarda, senza dubbio, situazioni caratterizzate da
una perfetta coincidenza fra realtà apparente e realtà effettiva, con la
conseguenza che unico titolare del reddito non può che essere proprio colui
che «appare» tale, sebbene questo stesso soggetto sia tenuto, successivamente,
a trasferire il reddito al dominus”16.
Secondo questa impostazione, la finalità della norma è quella di costituire il
fondamento
di
un
procedimento
amministrativo
attraverso
il
quale
l’Amministrazione Finanziaria, in qualità di terzo, può far valere l’esistenza di
una
vera
e
propria
simulazione
soggettiva,
indipendentemente
dall’accertamento giudiziale, evidenziando, in sede di motivazione dell’atto
impositivo, le argomentazioni giuridiche e di fatto utilizzate.
13
Così F. FERRARA, Della Simulazione dei negozi giuridici, Roma, 1922, cit. Per un diffuso esame del negozio fiduciario sia consentito il rinvio a F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Edizioni scientifiche italiane, X edizione, 2003, pagg. 956 e segg. 15
Così G. GAFFURI, Diritto tributario, CEDAM, VII edizione, 2012, pag. 204. 16
S. CAPOLUPO, Manuale dell’accertamento delle imposte, IPSOA, VIII edizione, 2013, pagg. 1006 e segg. 14
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Ulteriore argomento prodotto a favore della limitazione del campo di
applicazione della norma in esame alla sola interposizione fittizia, è costituito
dal contenuto della relazione al disegno di legge n. 130117, trasmessa alla
Presidenza del Senato il 1° settembre 1988.
In particolare, assumono rilievo, per i fini che ci interessano, le considerazioni
formulate sull’art. 25 del documento, la cui formulazione è identica rispetto a
quella del vigente art.37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973.
Sul punto, nel disegno di legge si afferma che “i due articoli(artt. 10 e 25, N. d. A)
sono idealmente collegati avendo di mira essenzialmente il fenomeno elusivo
che si realizza frequentemente attraverso l’interposizione fittizia di un soggetto
non residente. Va peraltro rilevato che la formulazione dell’art. 25, che
modifica l’art. 37 del D.P.R. n. 600 del 1973, assegna alla norma un ambito assai
vasto. Ed infatti la norma può applicarsi ad ogni caso di interposizione fittizia di
altro soggetto finalizzata a non far apparire il reddito dell’effettivo percettore”.
E ancora “anche sotto questo aspetto la norma ha un valore antielusivo in
quanto può servire a contrastare quelle situazioni nelle quali, attraverso
un’apparente titolarità di redditi, non corrispondente alla realtà, è possibile
sottrarsi alla progressività delle aliquote”.
Conseguentemente, l’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, riguarderebbe i
soli casi d’interposizione fittizia nel possesso del reddito trovando, pertanto,
applicazione solo laddove sia dimostrato che un soggetto (interposto fittizio) è
simulatamente titolare dei beni o delle attività che costituiscono la fonte
produttiva del reddito (ad esempio immobili, denaro, partecipazioni), con
l’intento di occultare il vero titolare giuridico di tale fonte reddituale
(interponente), che dei redditi si appropria.
In senso favorevole, invece, all’interpretazione estensiva dell’ambito oggettivo
di applicazione della norma, tesa ad abbracciare anche la cosiddetta
“interposizione reale”, si è espressa minoritaria, seppure autorevole dottrina18,
la quale ha argomentato tale posizione sulla scorta dell’osservazione, secondo
cui “la lettura riduttiva del comma 3 dell’art. 37, volta a circoscriverne la
portata nell’ambito della sola interposizione fittizia, è logicamente non
sostenibile. È vero, infatti, che lessicalmente la disposizione fa riferimento alla
«scissione», alla «non corrispondenza» tra «possessore effettivo» del reddito e
17
Il disegno di legge, recante “Disposizioni in materia tributaria per ampliare gli imponibili, contenere le elusioni e consentire gli accertamenti parziali in base agli elementi segnalati dall’anagrafe tributaria” è reperibile sul sito istituzionale del Senato della Repubblica, www.senato.it, X legislatura, 11. 18
Cfr., in particolare: G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, cit. pag. 221 e segg. il quale aggiunge “la ratio legis che sorregge il trattamento disposto dal comma 3 dell’art. 37 per l’interposizione fittizia, la quale in ultima istanza è proiezione della regola naturale secondo cui la finzione non può prevalere sulla realtà, deve valere a maggior ragione nell’ipotesi in cui il conflitto «finzione‐realtà» si manifesta in capo a un soggetto solo e non a una coppia di soggetti” e A. LOVISOLO, “Il contrasto all’interposizione «gestoria» nelle operazioni effettive e reali, ma prive di valide ragioni economiche” in “GT‐ Rivista di giurisprudenza tributaria” n. 10/2011, pag. 869 e segg. Informatsrl
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«possessore apparente» (prestanome, persona interposta, testa di legno, uomo
di paglia e chi più ne ha più ne metta) e in ipotesi di accertamento di tale
discrepanza impone all’ufficio accertatore di imputare al titolare effettivo ciò
che appare del titolare fittizio. Ma così disponendo il legislatore ha posto e
codificato un principio di maggiore estensione, che travalica i ristretti ambiti
della scissione nella titolarità e del binomio titolarità effettiva e titolarità
apparente perché se è vero che l’apparente possesso deve cedere il passo
all’effettivo possesso se sono coinvolti soggetti diversi, tale preminenza
dell’effettività sull’apparenza deve valere, a fortiori, se la discrepanza si
manifesta in capo a un soggetto solo”19.
Conseguentemente, la “ratio legis” che sorregge il trattamento disposto dal
comma 3, dell’art. 37, per l’interposizione fittizia dovrebbe, a maggior ragione,
valere in tutti i casi in cui, la posizione dell’interponente è prevalente rispetto a
quella del soggetto interposto, essendo l’esistenza e l’operatività di
quest’ultimo non sorretta da un’autonoma e significativa “business purpose”20.
La posizione
della
giurisprudenza
di legittimità
L’analisi della giurisprudenza di legittimità sul tema oggetto del presente
intervento, può certamente prendere le mosse dall’esame della sentenza della
Corte di Cassazione 3 aprile 2000, n. 397921(peraltro richiamata nella
motivazione della più recente sentenza n. 8671 del 2011), in cui si legge che
“questa norma (art. 37, comma 3 del D.P.R. n. 600/1973, N.d.A.), stabilendo
l’imputabilità al possessore effettivo dei redditi di cui appaia titolare altro
soggetto in base ad interposizione di persona, inequivocabilmente si occupa
del caso dell’interposizione fittizia in senso proprio... caratterizzata dalla
divaricazione fra situazione esteriore e situazione sostanziale, rispettivamente
riferibili
all’interposto
e
all’interponente,
non
anche
del
caso
dell’interposizione cosiddetta reale... ove la forma e la sostanza coincidono, e si
può porre soltanto un problema di validità ed efficacia dell’atto negoziale
determinativo della variazione soggettiva nella titolarità del bene”.
19
Cfr.G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, cit. Così A. LOVISOLO, “Il contrasto all’interposizione «gestoria» nelle operazioni effettive e reali, ma prive di valide ragioni economiche”, cit. 21
Commenti alla decisione sono offerti da: R. BARDINU,“Il «dividendwashing» e l’interposizione fittizia all’esame della Corte di Cassazione” in “Diritto e Pratica Tributaria” n. 6/2000, pag. 1346; G. ZOPPINI,“Annotazioni sul regime fiscale proprio delle operazioni di «dividendwashing»” in “Giurisprudenza Italiana” n. 8‐9/2000; E. DI GIACOMO, “La Cassazione conferma la non elusione per i dividendwashing” in “il fisco” n. 33/2000, pag. 10319; F. PAPARELLA, “Primi punti fermi della Cassazione sull'art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973” in “Rassegna Tributaria” n. 4/2000, pag. 1273; S. DUS, “Dividendwashing, Corte di Cassazione e profili di illegittimità della tesi del Se.C.I.T.”in “Rassegna Tributaria” n. 4/2000, pag. 1267; E. NUZZO, “Il dividendwashing tra la cessione temporanea di titoli azionari e dell’usufrutto su azioni” in “Rassegna Tributaria” n. 3/2000, pag. 921; P. PICCONE FERRAROTTI, “Sull’applicabilità dell’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 al cosiddetto dividendwashing” in “Rassegna Tributaria” n. 3/2000, pag. 933. 20
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Secondo questa impostazione, l’interposizione soggettiva- combattuta dal
legislatore, attraverso l’attribuzione all’Amministrazione Finanziaria del potere
di superare la realtà in tutti i casi in cui essa emerga come fittizia - deve essere
distinta dall’interposizione reale che si realizza ogniqualvolta si ha una realtà
giuridico/economica che, anche laddove elude gli obblighi tributari, conserva
una sua validità civilistica generale22.
In pratica, nel caso dell’interposizione fittizia, sulla base della «situazione
esteriore», il contraente dell’atto negoziale appare essere il soggetto
«interposto», mentre sulla base della «situazione sostanziale» il contribuente
dell’atto negoziale è il «soggetto interponente».
In tali circostanze, il Fisco non dovrebbe motivare riprese a tassazione sulla
base di un generico riferimento all’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, ma
procedere, come per ogni altro caso di elusione, operando rettifiche che
partano dalla norma tributaria che si assume aggirata, dall’illustrazione dei
risparmi d’imposta ottenuti e della carenza di valide ragioni economiche
diverse da quelle del risparmio fiscale.
Nella più recente sentenza 15 aprile 2011, n. 867123i giudici di legittimità,
richiamando l’esaminata sentenza del 2000, hanno affermato che il principio
dalla stessa stabilito “è rimasto fermo, e così pure la constatazione che prima
dell’introduzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis non esisteva una clausola
generale antielusiva nell’ordinamento fiscale italiano”.
Ciò sarebbe confermato, sempre secondo i giudici, dalla circostanza che i
medesimi giudici di legittimità hanno ricercato detto principio, prima
dell’entrata in vigore dell’art. 37-bis, non nella citata disposizione bensì nella
giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e nel principio, di cui all’art. 53
della Costituzione.
Il caso sottoposto al vaglio dei giudici di legittimità riguardava un ritenuto
trasferimento di reddito finalizzato, secondo l’Amministrazione Finanziaria, alla
sottrazione di materia imponibile al Fisco, in quanto entrambe le società
22
La Corte di Cassazione, in relazione alla differenza intercorrente fra interposizione fittizia e reale in ambito civilistico, ha, a più riprese, affermato che nella prima “si ha una simulazione soggettiva e l’interposto figura soltanto come acquirente, mentre gli effetti del negozio (trasferimento della proprietà) si producono a favore dell’interponente” mentre “nella interposizione reale … non esiste simulazione, in quanto l’interposto, d’accordo con l’interponente, contratta con il terzo in nome proprio ed acquista effettivamente i diritti nascenti dal contratto, salvo l’obbligo, derivante dai rapporti interni, di ritrasferire i diritti in tal modo acquistati all’interponente”.E ancora “un tipico caso d’interposizione reale è quella che si viene a configurare in forza di un mandato senza rappresentanza dove, come stabilito dall’art. 1705 del codice civile, il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato”. 23
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italiane (X) e (Z) facevano capo a un medesimo gruppo controllato da una
società estera.
In particolare, alla diminuzione artificiosa del reddito di una società
corrispondeva un incremento del reddito per l’altro soggetto giuridico; detto
incremento veniva, tuttavia, bilanciato, ai fini fiscali, da perdite pregresse.
Secondo la ricostruzione operata dall’Agenzia delle Entrate nell’atto di
accertamento, il meccanismo di traslazione del reddito si fondava
“sull’aumento del prezzo dei beni ceduti da (Y) a (Z) e di diminuzione di prezzo
dei beni ceduti da (Z) a (Y)”.
Sul punto i giudici di legittimità hanno osservato che - per espressa ammissione
dell’Ufficio - le operazioni che, secondo la tesi dell’organo accertatore, avevano
prodotto la “traslazione” del reddito dalla (Y) alla (Z) erano reali cosicché non
si era realizzata alcuna interposizione fittizia.
Conseguentemente, “giacché nell’anno di riferimento la (Y) non disponeva del
reddito traslato, che era effettivamente confluito nella casse della (Z)”,i giudici
hanno ritenuto “la motivazione della sentenza impugnata, che esclude(va) la
sussistenza di interposizione fittizia e quindi l’applicabilità della norma
contestata”, corretta.
In senso contrario muove la sentenza della Corte di Cassazione 10 giugno 2011,
n. 1278824relativa a un accertamento condotto nei confronti di tre società
localizzate in Italia, Svizzera e Germania fra loro “collegate”.
In particolare, l’Agenzia delle Entrate aveva preso in esame una serie di
operazioni di compravendita intervenute fra le tre società, tutte formalmente
esistenti e operative.
Dette operazioni -condotte, secondo l’Amministrazione Finanziaria, sotto la
gestione e l’influenza determinante del proprietario e amministratore della
società svizzera (socio delle altre due società) - avrebbero consentito di
dirottare verso la società svizzera, che non risultava svolgere alcuna attività
effettiva nel ciclo di produzione e commercializzazione di beni, una parte
24
Per un commento alla decisione cfr. A. BORGOGLIO, “Accertamento e imputazione del reddito imponibile nel caso di interposizione reale”in banca dati “fisconline”; cfr. pure, in chiave adesiva, A. LOVISOLO, “Il contrasto all’interposizione «gestoria» nelle operazioni effettive e reali, ma prive di valide ragioni economiche” in “GT – Rivista di giurisprudenza tributaria” n. 10/2011, pag. 869 il quale afferma che “la conclusione cui perviene la Suprema corte ci trova del tutto consenzienti … osservando che la previsione dell’art. 37, terzo comma è diretta a contrastare, non solo (e non tanto) il fenomeno della simulazione soggettiva («interposizione fittizia in senso stretto»), ma anche quello dell’interposizione «reale», beninteso nelle sole ipotesi in cui siano riscontrabili un acquisto e operatività dell’interposto effettivi, ma privi di una propria ragione economica, in quanto diretti al solo risparmio (o peggio ancora «raggiro») d’imposta, come è rinvenibile nelle ipotesi di «esterovestizione» e (più recentemente) come è proprio dei missing traders delle frodi carosello”.Vd. anche V. GIULIANI, “Interposizione fittizia di società. Per l’avviso basta la presunzione” su Fisco Oggi del 16 giugno 2011 su www.fiscooggi.it. Informatsrl
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consistente dei redditi della S.r.l. italiana, con l’effetto di un consistente
risparmio d’imposta determinato dal regime fiscale privilegiato di quel Paese.
Al riguardo gli Ermellini hanno, innanzitutto, osservato che l’art. 37, comma 3,
del D.P.R. n. 600/1973, che ha evidenti finalità antielusive - nel senso che mira a
impedire che, attraverso operazioni commerciali compiute mediante negozi
giuridici conformi all’ordinamento giuridico, si realizzi lo scopo di sottrarre alla
corretta tassazione, in tutto o in parte, il reddito prodotto e imputabile al
medesimo soggetto giuridico - non presuppone un comportamento fraudolento
(diretto ad aggirare il divieto imposto da una norma imperativa: art. 1344c.c.),
essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante (in quanto non
sorretto da valutazioni economiche diverse dal profilo fiscale) di un legittimo
strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale
proprio dell’operazione che costituisce il presupposto d’imposta.
Sempre secondo la Corte di Cassazione, il fenomeno della simulazione relativa
(nell’ambito del quale può trovare posto l’interposizione personale fittizia) non
esaurisce, infatti, il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo
scopo elusivo mediante operazioni effettive e reali, nelle quali difetta del tutto
l’elemento caratteristico dei negozi simulati, costituito dalla divergenza tra la
dichiarazione esterna e l’effettiva volontà dei contraenti o meglio dalla
relazione funzionale, integrante la causa unitaria, che intercorre tra il negozio
apparentemente stipulato (simulato) e quello effettivamente concluso dalle
parti (dissimulato).
Inoltre, l’assenza di valide ragioni economiche del sistema di atti negoziali “a
catena” aventi ad oggetto le cessioni di beni poste in essere dalle tre società
rappresenta, secondo la Suprema Corte, la presunzione grave, precisa e
concordante, che consente all’Amministrazione Finanziaria di attribuire alla
S.r.l. i redditi di cui appare titolare la società Svizzera.
Merita, infine, di essere menzionata la sentenza della Cassazione 10 gennaio
2013, n. 44925.
Il caso trattato dai giudici di legittimità riguarda la vendita di un terreno da
parte di contribuenti che pochi mesi prima lo avevano ricevuto in donazione
dal padre.
L’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento a
quest’ultimo, recuperando, in base all’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973,
la plusvalenza determinata dalla cessione.
Al riguardo, occorre premettere che l’art. 68, comma 2, del D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917 (T.U.I.R.) stabilisce che, per i terreni acquistati per successione o
25
Oggetto di commento da parte di: A. BORGOGLIO, Cessione a terzi del terreno preceduta da donazione ad opera di un familiare e interposizione fittizia in “il fisco” n. 4/2013, pagg. 560 e segg.; D. AMENDOLA, Plusvalenze derivanti dalla vendita di un terreno ricevuto in donazione in “il fisco” n. 40/2013, pagg. 6172 e segg. Informatsrl
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donazione, il prezzo di acquisto è assunto come il valore dichiarato nelle
relative denunce e atti registrati, o in seguito definito e liquidato, aumentato di
ogni altro costo successivo inerente.
Conseguentemente, qualora un contribuente riceva in donazione un terreno e
successivamente lo ceda, la plusvalenza tassabile deve essere determinata in
misura pari alla differenza tra il prezzo di cessione e il valore dichiarato
nell’atto di donazione, sommato degli eventuali ulteriori oneri.
In ragione delle richiamate regole di determinazione delle plusvalenze, si è
diffusa la prassi di dichiarare nell’atto di donazione un valore uguale o
comunque prossimo a quello della successiva cessione, ottenendo in tal modo
un consistente risparmio d’imposta.
Tali condotte vengono contestate dall’Amministrazione Finanziaria che accerta
la plusvalenza in capo al donante, sulla scorta del richiamo alla previsione
dell’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973.
Il ragionamento seguito in tali circostanze è il seguente: il reddito di cui risulta
apparentemente titolare il cedente del terreno, in realtà, deve essere
considerato attribuibile al donante per interposta persona.
Sul punto, la Corte di Cassazione ha ribadito nella sentenza in commento che
“in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la disciplina antielusiva
dell’interposizione, prevista dal D.P.R. n. 600, del 1973, articolo 37, comma 3,
non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del
contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di
un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del
regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta”.
Da ciò facendo discendere che “il fenomeno della simulazione relativa,
nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione personale fittizia di
persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo
attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali”.
Conclusioni
La posizione recentemente assunta dalla Corte di Cassazione, nelle sentenze
12788 del 2011 e n. 449 del 2013, in ordine alla riconducibilità di casi di
interposizione reale nell’ambito applicativo dell’art. 37, comma 3, del D.P.R. n.
600 del 1973, rende assolutamente indispensabile, per gli operatori
dell’Amministrazione Finanziaria, individuare - in relazione alle specificità del
caso concreto -quale possa essere lo strumento più idoneo per contestare le
diverse forme di abuso.
L’esame e il confronto delle argomentazioni prodotte dai giudici di legittimità
nelle sentenze 8671 e 12788, rispettivamente dell’aprile e del giugno 2011,
possono tornare utili a questo fine.
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In primis, possiamo osservare che, nella parte motivazionale della prima
sentenza, sfavorevole all’Amministrazione Finanziaria, la Suprema Corte, dopo
aver affermato che l’elemento essenziale per l’applicabilità della norma è
rappresentato dall’interposizione fittizia di persona, ha avvertito l’esigenza di
segnalare, seppure incidentalmente, l’inapplicabilità al caso specifico pure
della generale clausola antiabuso elaborata dalle Sezioni unite della
Cassazione nelle sentenze del 23 dicembre 2008.
Nella Sentenza 12788/2011 i giudici di legittimità hanno, invece, sostenuto la
necessità di non limitarsi a esaminare la rappresentazione formale dei rapporti
intervenuti fra i soggetti coinvolti nelle operazioni, ma di guardare all’effettiva
finalità che si intendeva perseguire attraverso la realizzazione delle operazioni
commerciali intervenute fra le tre società.
Quest’ultima posizione è stata più di recente confermata dalla Cassazione
nell’esaminata sentenza n. 449 del 2013.
Volendo trarre da quanto precede qualche indicazione, si può senz’altro
affermare che, la riconducibilità dell’operazione nello schema dell’art. 37,
comma 3 del D.P.R. n. 600/1973, non può che precedere, dal punto di vista
logico, il possibile ricorso alla clausola antiabuso26.
Ciò in quanto l’abuso nel diritto tributario coglie, in sostanza, tutti quei
comportamenti leciti che hanno come finalità principale quella di conseguire
un vantaggio fiscale non previsto dalla legge, ma che, comunque, il sistema
disapprova.
Resta fermo che in tutti i casi in cui il vantaggio fiscale è conseguito in
violazione di una specifica norma, si è nel campo dell’evasione. L’attigua area,
di portata illimitata, dell’abuso copre, invece, tutti quei comportamenti che
eccedono il lecito risparmio d'imposta.
Pertanto, nei casi di partecipazione plurisoggettiva, si rende in primo luogo
necessario verificare se lo schema adottato sia o meno riconducibile a quello
dell’interposizione fittizia.
Ciò può avvenire, ad esempio, attraverso la dimostrazione da parte
dell’Amministrazione Finanziaria, della partecipazione all’accordo simulatorio
non solo del soggetto interponente e di quello interposto, ma anche del terzo
contraente o ancora, in base alla prova che il prezzo è stato pagato
all’interponente dal terzo contraente, o è stato a lui immediatamente
retrocesso dal soggetto interposto.
26
Sul punto D. DEOTTO, “L’abuso del diritto non va confuso con l’evasione né con il legittimo risparmio d’imposta” in Corriere tributario n. 12/2013, pag. 951, osserva che “l’evasione si realizza anche attraverso tutte le vicende di alterazione dei fatti economici, come, ad esempio, l'interposizione fittizia (disciplinata dall’art. 37, terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973 che non è altro, una species del più ampio genere della simulazione”. Informatsrl
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In difetto di tali elementi, l’unico strumento per contestare l’operazione non
può che essere rappresentato dal ricorso all’“abuso del diritto” che tuttavia,
può essere accompagnato - secondo l’impostazione adottata dai giudici di
legittimità - dal richiamo all’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 che, in
questa connotazione deve essere inteso quale declinazione ai casi di distorta
imputazione soggettiva dell’immanente principio dell’abuso.
In questi casi spetterà, comunque, al Fisco fornire la prova che la finalità
essenziale degli atti o negozi posti in essere, è stata quella di conseguire un
vantaggio fiscale illegittimo.
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