ENZIMI
E
DETERMINAZIONE DELL’ATTIVITÀ ENZIMATICA
OBIETTIVI:
 Conoscere gli enzimi ed isoenzimi più importanti da un punto di vista clinicodiagnostico
 Conoscerne la distribuzione nelle cellule e nei tessuti
 Conoscerne le modificazioni indotte dalle patologie
USO DIAGNOSTICO
 INDICATORI DI FUNZIONALITÀ O DI LESIONE di cellule o tessuti
 MARCATORI DI SPECIFICI DEFICIT ENZIMATICI nelle malattie genetico-metaboliche
ENZIMI
FUNZIONE: regolano, mantenendo così l’omeostasi cellulare, tutte le reazioni
delle vie metaboliche cellulari, dipendendo, nella loro attività, oltre che dalla
concentrazione di substrato, anche da quella di altri metaboliti (precursori o
prodotti), più o meno lontani dalla via metabolica stessa
SIGNIFICATO CLINICO DELL’ATTIVITA’ DEGLI ENZIMI PRESENTI NEL SIERO
 L’uso diagnostico degli enzimi ha due contesti principali: quello di indicatori di
funzionalità o di lesione di cellule o tessuti e quello di marcatori di specifici deficit
enzimatici nelle malattie genetiche e genetico-metaboliche.
 La gran massa delle richieste di dosaggi enzimatici ha la prima motivazione.
 I dosaggi enzimatici comunemente usati a scopo diagnostico sono numericamente
limitati : solo una decina sono di impiego routinario e questi oggi costituiscono circa il
30% del carico di lavoro di un comune laboratorio di chimica clinica.
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 Siero
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 Urina
 Emolisati
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 altri materiali
Gli enzimi misurati nel siero possono trovarsi in esso:
 per esserne la sede naturale (come accade per gli enzimi della coagulazione, ossia
la protrombina, il fattore IX, il fattore VII ecc.);
 per esserne riversati da liquidi organici (enzimi pancreatici); in presenza di un
processo patologico, la quantità immessa in circolo sarà sempre maggiore (es:
amilasi e lipasi in malattie pancreatiche);
 pur essendo localizzati all’interno di cellule e tessuti specifici, e quindi presenti in
circolo in conc. molto bassa, in condizioni patologiche (danno d’organo), si ha una
fuoriuscita e un versamento negli spazi interstiziali e, quindi, nel torrente circolatorio;
nel siero, tali enzimi mostreranno una variazione di attività enzimatica rispetto a
quella avuta nella sede naturale (e saranno gradualmente eliminati dalle vie di
escrezione):
LE VARIAZIONI DELL’ATTIVITA’ ENZIMATICA NEL SIERO DI ENZIMI DI ORIGINE
CELLULARE SONO IL FONDAMENTO DELLA DIAGNOSTICA ENZIMATICA
Aumenti o diminuzioni delle attività enzimatiche sieriche sono sempre direttamente
correlati con alterazioni della funzione cellulare
Chiave per l’interpretazione dei referti di enzimologia clinica è ASSOCIARE
PARTICOLARI
ENZIMI
AGLI
ORGANI
CHE
SPECIALIZZATE, RICCHE DI QUEGLI STESSI ENZIMI:
amilasi → pancreas
ALT (GPT) → fegato
CONTENGONO
CELLULE
Determinazione attività enzimatica
L’utilizzazione clinica dei dosaggi enzimatici si basa quindi:
 sulle differenze nella concentrazione di enzimi che si osservano nei vari tessuti;
 sulla localizzazione INTRACELLULARE degli stessi;
 sulla presenza di ISOENZIMI o ISOFORME SPECIFICI per determinati tessuti o cellule
La misura degli enzimi nella gran maggioranza dei casi non avviene in termini di
MASSA, ma in termini di ATTIVITÀ. Si misura, in altri termini, la quantità di substrato che
l’enzima, contenuto nel campione da analizzare, trasforma nel prodotto per unità di
tempo
Limitazioni:
 La misura di attività si correla alla sola quantità di enzima attivo presente nel
campione esaminato
 La misura della frazione attiva non tiene conto di situazioni ambientali in condizioni di
modificare l’attività relativa dell’enzima
 In rari casi, la sequenza di reazioni usate per valutare l’attività enzimatica possono
interferire altri enzimi presenti in concentrazioni alterate nel campione esaminato
 L’attività degli enzimi dipende dal cosiddetto sito attivo, ovvero da quella parte della
proteina che con la sua composizione aminoacidica e la sua conformazione sterica
determina la specificità per il substrato
 Alcuni enzimi sono solo oloproteine (solo aa), altri contengono, oltre alla parte
proteica (apoenzima), anche sostanze non proteiche dette COFATTORI, in
mancanza dei quali non avviene la reazione catalitica. Essi possono essere:
 COENZIMI: elementi che partecipano alla reazione catalitica, ma senza essere parte
integrante dell’enzima (NADH/NAD+, NADPH/NAPD+, ATP/ADP)
 GRUPPI PROSTETICI: elementi integrati stabilmente nell’enzima e la cui rimozione ne
determinerebbe l’inattivazione (FAD/FMN, eme)
 COFATTORI METALLICI: molti enzimi necessitano della presenza di ioni metallici per
esplicare la propria attività ( Na+, K+, Ca2+, Mg2+, Zn2+)
Tutte le reazioni (bio)chimiche procedono ad una velocità definita, caratteristica
dell’enzima a parità di condizioni sperimentali
La velocità di reazione può essere:
 Indipendente dalla concentr. del substrato: Reazione di ORDINE ZERO
 Funzione diretta della concentr. del substrato: Reazione di PRIMO ORDINE
 Funzione delle concentr. di più substrati: Reazione del SECONDO ORDINE
La cinetica delle reazioni enzimatiche è descritta dall’EQUAZIONE DI MICHAELISMENTEN, che consente di definire, in enzimologia clinica, l’ambito di concentrazione del
substrato che risulta più opportuno
per effettuare le misure di determinazione
dell’attività enzimatica:
v
Vmax  S
Km  S
Equazione di Michaelis-Menten
Equazione di velocità della catalisi enzimatica, dipendente da VMAX, da Km (due costanti) e dalla [S] in quell’istante
Oltre alla integrità della molecola enzimatica, influenzano l’attività dell’enzima anche le
condizioni in cui avviene la reazione:
 Concentrazioni reagenti:
 Temperatura:
concentrazione ottimale del substrato
generalmente ci sono due valori soglia al di sotto o al di sopra dei quali l’enzima non è
attivo in maniera apprezzabile. Con l’aumento della temperatura aumenta l’attività dell’enzima fino al
raggiungimento di un picco; al di sopra di questa temperatura l’attività comincia di nuovo a decrescere
(denaturazione enzimatica)
 pH:
non sempre il pH ottimale di attività coincide con quello a cui funziona in vivo; il pH del mezzo di reazione
riveste una notevole importanza fisiologica e fisiopatologica, in quanto piccole variazioni di pH sono in
condizione di modulare l’attività dell’enzima in vivo in maniera notevole
 Presenza inibitori o catalizzatori
Condizioni ideali per la misurazione dell’attività enzimatica:
 Eccesso di substrato
 Correlazione tra [P] e quantità di enzima presente secondo una cinetica di
ORDINE ZERO
 L’attività catalitica di un enzima viene determinata misurando, in condizioni
predefinite, la velocità di scomparsa del substrato o la velocità di formazione del
prodotto, e viene espressa in termini di unità di attività;
 Unità Internazionale (UI): è la quantità di enzima che catalizza la trasformazione di
una micromole di substrato al minuto, in condizioni definite di temperatura,
concentrazione di substrato, pH:
1 UI 
1 μmole subs t. trasf conc

min
min
 Nel SI l’unità di attività enzimatica è il katal (kat), che corrisponde all’attività di un
enzima che, in condizioni standard, catalizza la trasformazione di una mole di
substrato al secondo ( 1kat = 6· 107 UI);
 La concentrazione di un enzima in soluzione deve essere comunemente espressa in
unità per millilitro (UI/ml).
Per le misure di attività enzimatica devono, dunque, essere standardizzate le seguenti
condizioni:
 Concentrazioni ottimali di substrato e di eventuali cofattori necessari alla reazione;
 Condizioni ottimali e controllate di temperature e pH;
 Sensibilità e specificità del metodo di rivelazione del prodotto o del substrato
risultante dalla reazione;
 Condizioni sperimentali per cui la velocità di reazione sia funzione della sola
concentrazione dell’enzima.
Misura dell’attività enzimatica:
 Metodi di misura in continuo: monitoraggio continuo del procedere della reazione
per un periodo di tempo predefinito, senza bloccare la reazione;
 Metodi a tempo fisso: (end point o fixed time) determinazione iniziale e finale, dopo
che la reazione è stata bloccata
I metodi più diffusi in chimica clinica sono quelli di determinazione del prodotto di
trasformazione del substrato, ad opera dell’enzima, mediante procedimenti colorimetrici
o spettrofotometrici:
Si segue nel tempo la variazione di un parametro fisico o chimico-fisico
caratteristico del prodotto, o del substrato, della reazione: assorbanza, torbidità,
diffrazione (nefelometria), fluorescenza, pH, potenziale elettrico, tensione
parziale dei gas, ecc.
TEST OTTICO SEMPLICE
deidrogenasi
A  NADH  H  

 B  NAD
Un esempio è la reazione:
Piruvato  NADH  H  LDH

 Lattato  NAD
Assorbanza Molare x 10-3
Lunghezza d’onda (nm)
TEST OTTICO ACCOPPIATO
Se nessuno dei reagenti/prodotti dà un assorbimento ottico, si accoppia alla reazione
“primaria” una seconda reazione “indicatrice”, che utilizza uno dei prodotti della
reazione precedente:
A  B enzima
 C  D
C(oD)  NADH  H  deidrogena
  si E  NAD 
Un esempio sono le reazioni:
Chetoglutarato  alanina ALT

 Glutammato  Piruvato
Piruvato  NADH LDH

 Lattato  NAD 
Creat inf osfato  ADP CPK

 Creatina ATP
ATP  Glu cos io esochinasi

 Glu cos io  6  fosfato  ADP
 6  PDH
Glu cos io  6  fosfato  NADP  G
 6fosfogluconato  NADPH  H 
A  ε cd
A
ΔA
c
 Δc 
ε d
ε d
 1UI 
1 UI  1000mUI
riferite ad 1 ml di liquido biologico
ΔA
ε  d  min
Attività enzimatica (in mUI/ml) 
ΔA  V  1000
min  ε  v  d
ΔA = variazione di assorbanza (es. del NADH a 340 nm)
1000 = fattore di conversione alle mUI
V = volume totale della miscela di reazione (in ml)
ε = coeff. estinzione molare (a 340 nm di NADH = 6,22 cm2/μmol)
v = volume campione (in ml)
d = cammino ottico della cella (in cm; generalmente 1 cm)
ISOENZIMI
Proteine, codificate da geni differenti, capaci di catalizzare una specifica reazione,
ma che presentano diverse strutture e quindi diverse proprietà molecolari (carica,
solubilità, resistenza ad agenti chimico-fisici, ecc) e talora anche diverse proprietà
funzionali, in merito a optimum di pH, affinità per il substrato, ecc, adeguandosi alle
particolarità metaboliche dei singoli tessuti.
Nel SIERO, dove agiscono enzimi provenienti da localizzazioni tissutali e cellulari
differenti, alcune attività enzimatiche sono svolte da più isoenzimi: ciò è molto
importante in chimica clinica!!!!
IMPORTANZA DI ATTRIBUIRE UN DETERMINATO SOSPETTO DIAGNOSTICO AD UN
DETERMINATO ISOENZIMA, DI CUI E’ PIU’ UTILE CALCOLARE LA SPECIFICA
ATTIVITA’ ENZIMATICA, PIUTTOSTO CHE QUELLA TOTALE, DATA DALLA SOMMA DI
TUTTI GLI ISOENZIMI
ISOFORME
ISOENZIMI
Metodi di studio degli isoenzimi
 Metodi generali
 Metodi specifici
• Metodi generali:
• Metodi specifici:
 Metodi elettroforetici
 Inibizione chimica
 Metodi cromatografici
 Inibizione fisica
 Metodi IEF
 Inibizione immunologica
Metodi immunochimici
NOMENCLATURA: fare riferimento alla migrazione elettroforetica: ordine crescente dei
numeri a partire dalla frazione dotata di maggiore velocità anodica
CLASSIFICAZIONE DEGLI ENZIMI
La Commissione per gli Enzimi (EC) dell’Unione Internazionale di Biochimica ha stabilito
la suddivisione degli enzimi, che si basa sulle caratteristiche di specificità per un
substrato e di reazione catalizzata:
 Ossidoreduttasi (deidrogenasi) (LDH, G6PDH)
 Trasferasi (AST/ALT, GGT, CK, PK)
 Idrolasi (ALP/ACP, amilasi, colinesterasi, lipasi)
 Liasi (aldolasi)
 Isomerasi (fosfoglicomutasi, fosfoesosoisomerasi)
 Ligasi (non molte quelle di interesse clinico)
LATTICO DEIDROGENASI (LDH)
 Enzima capace di catalizzare la seguente reazione:
 L’enzima, citoplasmatico, ha un PM di 134 kDa ed è ha una struttura tetramerica
costituita da quattro catene peptidiche di due tipi, H (heart) e M (muscle). I due
peptidi sono sotto controllo genetico di due diversi loci, situati rispettivamente nel
cromosomi 12 e 11. Di conseguenza sono presenti nel sangue e nei tessuti 5 diversi
isoenzimi della LD:
- LDH1 (H4)
- LDH2 (H3M)
- LDH3 (H2M2)
- LDH4 (HM3)
- LDH5 (M4)
 Tali isoenzimi hanno origini tissutali differenti: ogni forma ha un organo di origine:
 Per distinguerli, la tecnica più utilizzata è l’elettroforesi:
A: soggetto affetto da epatopatia
B: presenza di infarto del miocardio
C: soggetto normale
Infarto
miocadico
acuto
1,2,3,4,5, = ISOENZIMI LDH
 Attività elevata in ogni patologia che comporta danno o morte cellulare
 LD1 e LD2: valori elevati associati all’infarto del miocardio (in condizioni di normalità
LD2 > LD1; nell’infarto LD1 > LD2);
 LD5: rilasciata in circolo in numerose epatopatie : epatiti, cirrosi, congestione
epatica, ecc;
 LD2, LD3, LD4: livelli elevati in caso di formazioni neoplastiche voluminose e
metastatiche (dovute all’aumento di metabolismo delle cellule tumorali ed al loro
rapido turnover);
Valori di riferimento: LDH totale sierica 313-618 UI/L
N.B. ARTEFATTO DOVUTO AD EMOLISI: negli ERITROCITI la sua concentrazione è 200 volte
quella sierica.
GLUCOSIO-6-FOSFATO DEIDROGENASI (G6PDH)
 E’ l'enzima che catalizza la prima reazione della via dei pentoso fosfati:
D-glucosio 6-fosfato + NADP+ ⇄ D-glucono-1,5-lattone 6-fosfato + NADPH + H+
Glucosio + 2 NAD+ + 2 ADP + 2 Pi → 2 NADH + 2 piruvato + 2 ATP + 2 H2O + 2 H+
NADPH: riducente fondamentale in processi anabolici quali la biosintesi degli acidi grassi
e del colesterolo, ma anche come cofattore di enzimi (GP e GR) che catalizzano la
detossificazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS, come H2O2).
 E’ un dimero costituito da circa 300 aa - peso molecolare di 59 kDa
 E’ presente in alta concentrazione in: eritrociti, surrene, mammella
 E’ presente in bassa concentrazione nel cuore e muscoli
 Si conoscono più di 50 varianti strutturali dell’enzima, oltre alle forme più
comuni, chiamate tipo A e tipo B
 Il tipo A è più frequente negli individui di razza nera, il tipo B nei bianchi
Valori di riferimento: 9-14 UI/L
 La carenza di G6PDH è il più comune deficit enzimatico umano
 Sono note diverse centinaia di mutazioni del gene della G6PDH, che possono
determinare o una minore sintesi della proteina o, più frequentemente, la sintesi di
un enzima instabile o meno affine per il suo substrato
 La deficienza di G6PDH (e quindi di NADPH) e di glutatione ridotto comporta una
diminuita resistenza eritrocitaria agli stress ossidativi, sia a livello di membrana
plasmatica che di proteine interne.
 Nel globulo rosso, il NADPH serve per mantenere ridotta l’emoglobina. In caso di
stress ossidativo, l’emoglobina non riesce a mantenere il ferro come ione Fe3+, che
quindi viene ossidato a Fe2+ e l’Hb non riesce più a legare ossigeno e va incontro
all’attacco dei ROS: EMOLISI PREMATURA CAUSATA DA DANNI OSSIDATIVI.
 Inoltre, in mancanza della G6PDH (grave stress ossidativo), l’emoglobina tende a
denaturarsi e a precipitare sulla membrana eritrocitaria, formando conglomerati
riconoscibili al microscopio come corpi di Heinz.
 La carenza genetica di G6PD è nota come FAVISMO, in cui si ha
l'impossibilità di
riportare ogni volta la glutatione-perossidasi (GP) in forma ridotta (GR), cosicché
diventa difficile la detossificazione da specie reattive dell’ossigeno, da altri radicali
derivanti da farmaci usati nelle infezioni (alti livelli di ROS, come antimalarici o
sulfamidici) o anche da un agente tossico contenuto nelle fave (da cui il nome), la
divicina: EMOLISI.
 I globuli rossi demoliti sono quelli più vecchi, essendo i meno resistenti.
 E’ una malattia ereditaria, legata al cromosoma X in cui risiede il gene della G6PD,
caratterizzata da anemia emolitica, determinata dai corpi di Heinz che, aderendo alle
membrane dei globuli rossi, li rendono poco stabili.
 La crisi emolitica può durare 2-3 giorni sino ad una settimana con puntate febbrili e distruzione
di globuli rossi fino al 30-50%.
 Negli individui fabici è, quindi, opportuno astenersi dal consumo di fave e piselli, contenenti la
divicina e la convicina (sostanze ossidanti).
DOSAGGIO G6PD:
 ll dosaggio dell’enzima viene eseguito dopo isolamento, lavaggio e lisi delle
emazie;
 Prima del dosaggio è necessario eliminare leucociti e piastrine perché contengono
elevate quantità di G6PDH;
 La raccolta del campione di sangue deve essere fatta su EDTA e la determinazione
eseguita in tempi brevi perché l’enzima perde la sua attività nel giro di poche ore
(20-30% in 6 ore).
AMINOTRASFERASI (TRANSAMINASI)
Enzimi che catalizzano reazioni di transaminazione:
 La determinazione delle aminotrasferasi nel siero del sangue riveste notevole interesse
come test diagnostico di particolari affezioni, quali l’infarto del miocardio o epatiti di
varia natura.
 Le due aminotrasferasi che vengono determinate comunemente sono:
• ASPARTATO AMINOTRASFERASI, AST (o glutamico ossalacetico transaminasi, GOT)
• ALANINA AMINOTRASFERASI, ALT (o glutamico piruvico transaminasi, GPT)
ASPARTATO AMINOTRASFERASI, AST (o GOT)
 Enzima legato ai mitocondri e presente, quindi, all’interno delle cellule; la
membrana cellulare è impermeabile al suo passaggio;
 ha un’alta concentrazione nel fegato, nel cuore, negli eritrociti e nel muscolo
scheletrico;
 richiede come coenzima il piridossal-fosfato (vitamina B6), quindi aggiunta
durante il dosaggio dell’attività;
 elevati livelli di AST sono indice significativo di danno epatico (attività di migliaia
di UI/l);
 AST può essere rilasciata in caso di tessuto muscolare danneggiato da infezioni,
processi infiammatori, convulsioni, traumi da schiacciamento, folgorazioni.
Valori normali AST: 10-30 UI/L
Il dosaggio viene eseguito tramite reazioni accoppiate (e, quindi, l’attività rilevata con
il test ottico accoppiato):
ac. aspartico  ac.  - chetoglutarico GOT

 ac. ossalacetico  ac. glutammico
acido ossalacetico  NADH  malico
 deidrogena
  si acido malico  NAD
La reazione viene seguita nel tempo determinando allo spettrofotometro l’ossidazione
(e quindi la scomparsa) di NADH a 340 nm;
N.B. Attenzione agli artefatti nel campione emolizzato (campioni da mantenere in
frigo o congelati se il dosaggio non è effettuato subito dopo il prelievo)
ALANINA AMINOTRASFERASI, ALT (o GPT)
 Enzima libero nel citoplasma, con una quota minore legata ai mitocondri; anch’esso
è, quindi, presente all’interno delle cellule e la membrana cellulare è impermeabile al
suo passaggio;
 ha un’alta concentrazione nel fegato; c’è concentrazione minore nel muscolo
scheletrico, nel cuore e nel rene;
 richiede come coenzima il piridossal-fosfato (vitamina B6), quindi aggiunta durante il
dosaggio dell’attività;
 elevati livelli di ALT sono indice significativo di danno epatico (attività di migliaia di
UI/l); scarsa rilevanza per la diagnosi di altre patologie, data la minima quantità
presente in altri tessuti.
Valori normali ALT: 8-20 UI/L
Il dosaggio viene eseguito tramite reazioni accoppiate (e, quindi, l’attività rilevata
con il test ottico accoppiato):
alanina  acido  - chetoglutarico GPT

 acido piruv ico  acido glutammico
acido piruv ico  NADH  lattato
 deidrogena
  si acido lattico NAD
La
reazione
viene
seguita
nel
tempo
determinando
allo
spettrofotometro
l’ossidazione (e quindi la scomparsa) di NADH a 340 nm;
N.B. Attenzione agli artefatti nel campione emolizzato (campioni da mantenere in
frigo o congelati se il dosaggio non è effettuato subito dopo il prelievo)
γ-GLUTAMIL-TRANSPEPTIDASI (γ-GT o GGT)
 Enzima che catalizza il trasferimento di gruppi γ-glutammilici tra peptidi o singoli
aminoacidi; il legame tra tali composti e l’acido glutammico avviene tramite il
carbossile in gamma:
γ
 è una glicoproteina di membrana plasmatica, coinvolta anche nel metabolismo del
glutatione
intracellulare,
nel
trasferimento
degli
amminoacidi
attraverso
la
membrana plasmatica, nel metabolismo dei leucotrieni;
 grandi quantità di enzima sono presenti nell’epitelio tubulare renale e nel fegato
(anche pancreas ed intestino)
 L’aumento di enzima si verifica fortemente negli alcolisti, poiché l’alcool etilico
induce una sua elevata produzione nel fegato; livelli di GGT tornano normali dopo
2-3 settimane di astensione dal consumo di etanolo;
 la GGT sierica è un utile indicatore in diverse epatopatie: ittero da ostruzione delle
vie biliari, metastasi epatiche, patologie associate a colestasi intraepatica;
 aumenti di GGT sierica sono causati da agenti chimici epatotossici o da farmaci
(chemioterapici, antiepilettici);
 sebbene la GGT renale non sia mai presente nel siero, determinazioni di GGT
urinaria possono servire a valutare danni ai tubuli renali dovuti a sostanze
nefrotossiche.
Il dosaggio viene eseguito tramite metodo colorimetrico: la GGT catalizza la
transpeptidazione del gruppo γ-glutammile dalla γ-glutammil-3-carbossi-4-nitroanilide
alla glicil-glicina, con formazione di L-glutammil-glicil-glicina e liberazione di 5-ammino2-nitrobenzoato, di colore giallo, che viene misurato a 405 nm:
+
glicil-glicina
γ-glutammil-3-carbossi-4-nitroanilide
+
L—glutammil-glicil-glicina
5-ammino-2-nitrobenzoato
CREATINFOSFOCHINASI (CK o CPK)
 Enzima che catalizza la fosforilazione reversibile della creatina a fosfocreatina,
consumando ATP e liberando energia chimica (la reazione inversa libera, invece,
ATP e creatina dalla fosfocreatina):
 E’ un dimero citosolico costituito da 2 monomeri (M, muscle e B,brain, i cui geni
sono collocati su 2 cromosomi differenti), diversamente combinati a formare 3
isoenzimi:
• CK1 (BB: cervello, mai nel sangue)
• CK2 (MB: cuore (20%), siero in caso di infarto)
• CK3 (MM: muscolo scheletrico(90%), cuore(80%) e siero)
 Esistenza di sottotipi delle forme isoenzimatiche: 3 sottotipi per MM e 2 per MB: dalla
loro analisi, si valuta da quanto tempo è avvenuto il danno tissutale.
 In assenza di malattie, l’attività di CK nel siero è principalmente dovuta all’isoforma
di CK-MM
 INDICE RELATIVO DI CK: rapporto tra CK-MB (in ng/ml) ed attività totale di CK totale
(in U/ml); valori oltre la soglia
infarto.
 PRINCIPALE IMPIEGO CLINICO: diagnostica infarto miocardico acuto (entro 6 ore
compare nel siero e viene eliminata in 24-36 ore):
 CK rilasciata in circolo dopo danno muscolare di diversa origine (ischemica,
traumatica, infiammatoria);
 Aumento
di
CK
in seguito
a
danno
cerebrale, folgorazione,
traumi
schiacciamento, convulsioni, tetania, incisioni chirurgiche, ipertermia, ipotermia;
 Soggetti sedentari: 30-50 U/ml ; soggetti atletici: 500-1000 U/ml
Ampio intervallo: problema diagnostico
da
Campione:
 Non emolitico, itterico o lipemico;
 se non usato immediatamente per l’analisi, deve essere congelato;
 diversi farmaci possono provocare aumenti sensibili della CK totale: acido
aminocaproico,
danazolo,
etere
anfotericina
dietilico,
B,
carbenoxolone,
dietilstilbestrolo,
clofibrato,
alotano,
ciclopropano,
labetalolo,
lidocaina,
penicilllamina, pindololo, stanozololo, chinicina e succinolcolina;
 un aumento consistente della CK totale si osserva con l’assunzione di droghe
d’abuso, quali anfetaminici, barbiturici, etanolo, eroina, fenciclidina.
Metodo di dosaggio di CK:
• Test ottico accoppiato:
CK
fosfocreatina  ADP 
creatina  ATP
HK
glucosio  ATP 
glucosio - 6 - P  ADP
6 PDH
glucosio - 6 - P  NADP G
 6 - P - gluconato  NADPH
• Immunoinibizione: Un siero contro il monomero M inibisce l’attività di CK-MM, ma
non quella di CK-BB; la CK-MB riduce la sua attività del 50%; la presenza di CK-BB, di
adenilciclasi o di forme atipiche di CK (macro-CK) portava a valori di CK-MB
sovrastimati:
CK-MM + Anticorpo ————> CK-MM inibito
CK-MB + Anticorpo ————> 50% CK-MB inibito
 Attualmente, viene determinata la CK-MB intesa come proteina, cioè la CK-MB
“massa”, che ben correla con i livelli di attività di CK-MB, ma senza interferenze da
parte delle tre sostanze citate prima.
 I metodi di dosaggio sono immunoenzimatici a due siti (metodo ELISA “sandwich”). Si
usa un anticorpo monoclonale, immobilizzato su piastra, diretto contro un epitopo di
CK-MB, che viene quindi ancorato; un anticorpo secondario, legato a HRP, è quindi
aggiunto ed incubato per
1 ora; lavato via l’anticorpo non legato, viene infine
aggiunta una soluzione di TMB, consentendo lo sviluppo di colore blu, la cui intensità
è proporzionale alla concentrazione di CK-MB (450nm)
PIRUVATO CHINASI (PK)
 Appartenente alla classe delle transferasi, è un enzima della glicolisi che catalizza
la reazione che forma una molecola di ATP, che interviene nel metabolismo
anaerobico del glucosio:
PK
Fosfoenolpiruvato ADP 
piruvato ATP
 La carenza di questo enzima impoverisce il bagaglio energetico del globulo
rosso: la mancanza di ATP, dovuta alla deficienza di PK, è causa, infatti, di
sofferenza per il globulo rosso in quanto si verifica un’alterazione del trasporto di
Na+ e K+ attraverso la membrana cellulare;
 la determinazione dell’attività enzimatica di PK è essenziale, quindi, per il
riconoscimento di una particolare forma di anemia emolitica non sferocitica;
Valori normali PK eritrocitaria: 2-9 U/g di Hb.
 L'anemia emolitica da deficit di piruvato chinasi (PK) eritrocitaria è una malattia
metabolica caratterizzata da anemia emolitica non sferocitica di entità variabile. Il
deficit di PK è la causa più frequente di anemia emolitica non sferocitica
congenita. La prevalenza è stimata in 1/20.000 nella popolazione generale bianca;
 gli eterozigoti hanno una carenza di questo enzima intorno al 50% e non avvertono
alcuna sintomatologia;
 gli omozigoti hanno una carenza molto alta con una rimanenza di solo il 10-30% di
attività.
 In alcuni casi la carenza di questo enzima può essere acquisita.
 La piruvico chinasi aumenta nella distrofia muscolare e in particolare in quella di
Duchenne.
Metodo di dosaggio :
Alla reazione catalizzata dalla PK si accoppia una reazione ausiliaria, quella
catalizzata dalla LDH:
PK
Fosfoenolpiruv ato ADP 
piruv ato ATP
Piruv ato NADH  H LDH

 Lattato NAD
La scomparsa della fluorescenza alla luce UV indica che il NADH è stato ossidato e
che nell’emolisato è presente PK;
L’assorbanza dell’emolisato e di tutti i reagenti ad esso aggiunti viene misurata prima
e dopo l’aggiunta dell’ADP (334 nm o 340 nm). La sua diminuzione rappresenta
l’attività enzimatica della PK
FOSFATASI
 Enzimi appartenenti alla famiglia delle IDROLASI, che catalizzano la defosforilazione
dei loro substrati.
 A seconda del pH in cui possiedono attività ottimale, si distinguono due tipi di
fosfatasi: la fosfatasi acida (ACP) e la fosfatasi alcalina (ALP).
Fosfatasi acida
 Attività ottimale a pH compreso tra 4,8 e 6; localizzata principalmente nei lisosomi;
 è largamente diffusa nell’organismo, in particolare la ritroviamo nella prostata (PAP),
negli eritrociti, nelle ossa (tutte forme codificate da geni posti su cromosomi
differenti);
 il suo aumento a livello sierico può essere indicativo di tumore maligno alla prostata
o di tumore osseo (o essere un falso positivo se c’è stata lisi eritrocitaria);
 I vari isoenzimi (20)di fosfatasi acida, che si riscontrano a livello sierico e che hanno
una diversa origine, si distinguono :
 in base alla loro diversa sensibilità ai vari inibitori:
• Acido tartarico: inibisce l’enzima di origine prostatica
(sottoporre il campione a
trattamento in assenza ed in presenza di L-tartrato e misurare la differenza di attività tra i due campioni)
• Formaldeide: inibisce l’enzima di origine eritrocitaria
 usando metodi radioimmunologici (RIA)
 metodi cromogenici per la fosfatasi acida totale:
p - nitrofenilfosfato  H2O  OH- ACP

 p  nitrofenolo  HPO 4
(incolore)
2-
(giallo)
Valori normali sono considerati fino a 10 UI/L per gli uomini (la PAP deve essere <4,2 UI/L) e fino a 3 UI/L
per le donne.
Metodi di Dosaggio:
 In clinica si usa determinare comunemente la forma prostatica della ACP (PAP), per
la diagnosi di tumori e metastasi.
 Un metodo di determinazione della fosfatasi acida prostatica consiste, come visto,
nel sottoporre il campione a trattamento in assenza ed in presenza di acido tartarico
e nel misurare la differenza di attività tra i due campioni.
 Metodo della timolftaleina: la ACP, in ambiente acido (pH 6), idrolizza la timolftaleina
monofosfato liberando timolftaleina. Blocco della reazione aggiungendo una
soluzione alcalina e contemporanea comparsa di una colorazione blu che viene
determinata fotometricamente.
Campione:
• Non emolitico;
• non è stabile nel siero e la sua determinazione va eseguita rapidamente;
• il campione si stabilizza acidificandolo con acido citrico.
Fosfatasi alcalina
 La fosfatasi alcalina ha un pH ottimale compreso tra 8.5 e 10;
 principalmente legata alla membrana plasmatica;
 4 geni diversi codificano per la ALP;
 è largamente diffusa nei vari tessuti: osteoblasti dello scheletro, fegato, mucosa
gastrointestinale, milza, rene, leucociti, pancreas, placenta;
 la ALP che viene misurata nel siero è l’insieme di diversi isoenzimi: l’isoenzima
epatico, osseo, intestinale, placentare;
 possibilità di discriminare 16 isoenzimi della ALP con IEF;
 in clinica, l’aspetto più importante è discriminare la ALP epatica da quella ossea
(usando contemporaneamente altri parametri epatici come bilirubina o γ-GT);
 il valore della fosfatasi alcalina nel siero varia sensibilmente in rapporto all’età e nei
maschi il valore della ALP è più alto rispetto a quello delle femmine.
Patologie a livello del fegato:
 L’ALP ha valori elevatissimi nelle affezioni epatiche (ittero ostruttivo e tumori epatici): la via di
eliminazione normale è rappresentata dalla bile, per cui l’ostruzione delle vie biliari porta ad un
reflusso dell’enzima nell’interstizio e al suo conseguente assorbimento in circolo.
Patologie a livello del tessuto osseo:
 Sempre si hanno elevati livelli di ALP durante elevata attività osteoblastica (fisiologica- mente
alta in bambini in crescita e negli adulti durante la guarigione da fratture);
 nel morbo di Paget, metastasi ossee di carcinomi, mielomi, osteopatie metaboliche (rachitismo,
iperparatiroidismo, osteomalacia).
Placenta:
 Nel corso di una gravidanza è normale un aumento di attività dell’ isoenzima placentare; il gene
corrispondente può essere riattivato nell’adulto ed espresso in cellule tumorali (isoenzima di
Regan).
Intestino:
 Livelli elevati di ALP sono presenti in caso di colite ulcerosa ed enterite regionale (ileite terminale
o malattia di Crohn).
Diminuzioni dell’ALP nel siero possono essere dovute a:
 IPOFOSFATASIA: malattia ereditaria con mancata produzione di fosfatasi alcalina e
mancata calcificazione ossea.
 ARRESTO DELLA CRESCITA OSSEA: acondroplasia, cretinismo, deficienza della
vitamina C.
 DIMINUZIONE DI ZINCO E MAGNESIO: la fosfatasi alcalina ha bisogno di questi
elementi per funzionare (ipotiroidismo, cachessia, ecc).
 BYPASS CARDIOPOLMONARE
 ANEMIA PERNICIOSA
 IPOTIROIDISMO
Metodi di Dosaggio:
I metodi di determinazione della ALP sono numerosissimi. Un esempio è:
Metodo di Bessey, Lowry e Brock: consiste nell’idrolisi da parte della ALP del
paranitrofenilfosfato (incolore) a dare paranitrofenolo (giallo, misurato a 405-410 nm) e
fosfato.
Fosfatasi Alcaline Termostabili:
Il metodo più comune per distinguere i vari isoenzimi è il frazionamento al calore: si
misura l’attività enzimatica dopo che il campione è stato riscaldato a 56° per 15
minuti. Il valore ottenuto è confrontato con quello osservato senza preriscaldamento:
Termosensibilità:
ALP ossea > ALP epatica > ALP placentare
AMILASI (AMS)
 Enzima appartenente alla classe delle idrolasi, catalizzando l’idrolisi di legami
glicosidici nei polisaccaridi (amido, glicogeno), che si trasformano, quindi,
in
oligosaccaridi e monosaccaridi;
 E’ attivata dal Ca2+, dal Cl - e dal Br -;
 Gli anticoagulanti come l’EDTA inibiscono l’enzima perché legano il Ca2+ per cui,
per determinare l’attività amilasica sul plasma, è necessario utilizzare l’eparina;
 L’enzima si trova prevalentemente nel pancreas e nelle ghiandole salivari; modeste
quantità sono presenti nelle tube uterine, nel tessuto adiposo, nell’intestino tenue e
nel muscolo scheletrico;
 Le amilasi pancreatica e salivare sono forme enzimatiche diverse, separabili tramite
elettroforesi;
 Il siero normale contiene sia gli isoenzimi salivari (3 sottotipi) che pancreatici (3
sottotipi), e le forme prevalenti sono quelle salivari;
 L’attività dell’amilasi aumenta nel siero e nelle urine (entro 6-24 ore) in caso di
pancreatite acuta, per tornare normali in 2-7 giorni nel siero e persistendo, invece, di
più nelle urine;
 Altre cause di aumenti nel siero di amilasi possono essere un’infiammazione delle
ghiandole salivari (parotite epidemica), un’elevata esposizione a radiazioni
ionizzanti, ostruzione delle vie biliari, strozzamenti e necrosi di anse intestinali, alcuni
tipi di tumore (ovarici sierosi e polmonari).
 Tra i vari metodi di determinazione, ricordiamo quello che ricorre all’utilizzo di reazioni
enzimatiche accoppiate, in cui alla fine si determina la variazione di assorbanza del
coenzima a 340 nm:
 -amilasi
amido  H2O 

 maltosio
maltasi
maltosio  H2O 
 2 glucosio
esochinasi
glucosio  ATP 
  glucoso - 6 - fosfato
G6PDH
glucoso - 6 - fosfato  NADP  
 6 - fosfogluconato  NADPH  H
 Un altro metodo è quello di tipo cromogenico, in cui si fa avvenire l’idrolisi di substrati
artificiali nei quali a molecole di amilosio o amilopectina sono state legate sostanze
colorate; la liberazione di tali sostanze è monitorata colorimetricamente (in
commercio kit specifici).
COLINESTERASI (CHE)
Le colinesterasi sono un gruppo di enzimi in grado di idrolizzare gli esteri della colina:
ACETILCOLINA
COLINA
l’acetilcolina consente la trasmissione dell’impulso nervoso dal nervo alla fibra
muscolare. L’acetilcolinesterasi distrugge l’acetilcolina: la sua attività è, quindi,
importante per interrompere la trasmissione dell'impulso nervoso proveniente dai neuroni
colinergici.
 La acetilcolinesterasi o acetilcolina idrolasi (ACHE, tipo I) ) è la colinesterasi tipica
dei globuli rossi e delle terminazioni nervose (colinesterasi vera); l’acetilcolinesterasi
idrolizza, in maniera specifica, l’acetilcolina ed è presente negli eritrociti, polmoni,
milza, sinapsi e sostanza grigia; non viene dosata in laboratorio clinico:
acetilcolina  H2O ACHE
 ac. acetico colina
 La colinesterasi o acilcolina acilidrolasi (CHE) è la colinesterasi del siero (enzima
circolante) (tipo II, pseudocolinesterasi); è contenuta nel siero ed origina negli
epatociti. Idrolizza, in maniera meno specifica della acetilcolinesterasi, un vasto
numero di esteri della colina. Il pool circolante è costituito da 13 isoenzimi, per la
maggior parte epatici, di cui 2 acetilcolina-specifici e 11 non specifici. E’ un tipico
esempio di enzima plasmaspecifico, prodotto dal fegato per essere immesso nel
circolo, il cui livello diminuisce quando è danneggiata la capacità di sintesi epatica
delle proteine: quindi, Il livello sierico della colinesterasi è considerato espressione di
capacità protidopoietica del fegato.
 La differenza tra i suddetti enzimi sta nella preferenza di substrato; mentre
l'acetilcolinesterasi è in grado di degradare l'acetilcolina più rapidamente, la
pseudocolinesterasi è in grado di idrolizzare una gamma più ampia di esteri della
colina: ad esempio, l'acetilcolinesterasi non idrolizza la succinilcolina, miorilassante
somministrato dagli anestesisti per ottenere una rapida paralisi e facilitare le
manovre di intubazione tracheale del paziente da operare, la pseudocolinesterasi la
inattiva in pochi secondi.
 La acetilcolinesterasi delle emazie è inibita da un eccesso di acetilcolina (>0.01M),
mentre la psudocolinesterasi è attiva sia ad alte che a basse concentrazioni di
substrato;
 I composti organofosforici, come molti insetticidi, inibiscono entrambe; perciò,
l’attività di CHE è gravemente compromessa nell’avvelenamento da insetticidi, e la
misura della sua attività ne è un importante indicatore; la ACHE eritrocitaria
diminuisce più lentamente poiché l’insetticida deve attraversare la membrana;
 Valori molto bassi di CHE si hanno in caso di gravi lesioni epatiche: cirrosi, tumori,
epatiti acute necrotizzanti (perdita della capacità protidopoietica del fegato);
tuttavia, tale dosaggio è di scarso aiuto poiché l’enzima si abbassa solo dopo la
prima settimana di malattia, a diagnosi già posta.
 Assenza o mutazione della pseudocolinesterasi porta alla cosiddetta deficienza
pseudocolinesterasica, una condizione silente che appare solo quando, nelle
persone in omozigosi, sono somministrate, di solito durante interventi chirurgici, i
miorilassanti come la succinilcolina vista prima. La mancata azione dell'enzima porta
il paziente a paralisi prolungata dei muscoli dell'apparato respiratorio, rendendo
necessaria la ventilazione artificiale.
metabolizzare
Gli eterozigoti sono, invece, capaci di
la succinilcolina grazie all’attività colinesterasica dell’enzima
codificato dall’allele normale;
 Tale variante enzimatica può essere riconosciuta in laboratorio osservando l’effetto
inibitorio della dibucaina sulla reazione enzimatica (CHE normale inibita e CHE
mutata resistente); la dibucaina è uno degli anestetici locali più efficaci e ad azione
prolungata, anche se piuttosto tossico. Era usato nell’anestesia di superficie, di
infiltrazione e spinale, attualmente sostituito da analoghi prodotti meno tossici come
la Xilocaina, Mepivacaina, Bupivacaina, etc.
 Numero di dibucaina: per valutare il rischio operatorio, è essenziale determinare
questo parametro che consente di evidenziare gli individui con un normale livello
sierico di pseudocolinesterasi, ma portatori di varianti genetiche non inibite dalla
dibucaina ed in grado di provocare depressione respiratoria. Il numero di
dibucaina è la percentuale di attività CHE sierica inibita dalla dibucaina in
condizioni standard; un numero di dibucaina elevato indica un’inibizione tipica
dell’enzima normale; un numero basso è presente nei soggetti omozigoti per CHE
mutata.
In laboratorio si misura l’attività della colinesterasi in presenza ed assenza della
dibucaina e si valuta la percentuale di inibizione:
- 70/80% = soggetto omozigote normale
- 30/70% = soggetto eterozigote
- < 30% = soggetto omozigote atipico
Un aumento dei livelli di colinesterasi si riscontra in gravidanza, nei casi di sindrome
nefrosica, malattie cardiache congenite, morbo di Basedow, alcolismo, obesità
pronunciata, iperlipoproteinemia di tipo IV e malattia di Gilbert.
Metodi di dosaggio:
 Alcuni metodi prevedono la valutazione dell’incremento di acidità dovuto alla
liberazione di ac. acetico in seguito all’idrolisi dell’acetilcolina;
 I metodi titrimetrici valutano la quantità di ac. acetico che si libera durante la
reazione, titolando con una soluzione alcalina e l’impiego di un indicatore;
 I metodi colorimetrici consistono nella determinazione colorimetrica dell’ac.
acetico prodotto durante la reazione o nella determinazione dell’acetilcolina
indissociata che rimane nella miscela di reazione dopo un certo periodo di
incubazione;
 Il metodo potenziometrico prevede la valutazione della diminuzione del pH di
reazione in seguito alla produzione di ac. acetico.
LISOZIMA (LYS)
 E’ un enzima a basso peso molecolare (14,4 kDa), capace di idrolizzare il legame β1,4-glucosidico dei mucopolisaccaridi costituenti la membrana delle cellule
batteriche; ha, quindi, un compito difensivo (battericida);
 Nell’uomo questo enzima si ritrova in varie secrezioni: lacrime, saliva, urine, latte, ma
anche nei granulociti, nei monociti e nel siero;
 In condizioni non patologiche, il lisozima viene filtrato a livello del glomerulo renale e
riassorbito dal tubulo; in caso di affezioni renali (proteinurie tubulari), il lisozima viene
riscontrato nelle urine;
 C’è aumento del lisozima nelle urine in caso di nefrosi e di sindrome di rigetto dopo
trapianto renale;
 Il livello del lisozima nelle urine e nel siero aumenta anche in caso di malattie
mieloproliferative, soprattutto nella leucemia monocitica e mielomonocitica (rilascio
da parte di cellule leucemiche); i livelli di lisozima sono inferiori in caso di leucemie
mieloidi croniche e linfoidi.
Metodi di dosaggio:
 L’attività del lisozima nelle urine e nel siero può essere determinata con un metodo
turbidimetrico, misurando la diminuzione della torbidità di una sospensione di
Micrococcus lysodeikticus;
 In un altro metodo di determinazione, il Micrococcus lysodeikticus viene incorporato
su agar, dove viene messo pure il campione da analizzare. Viene misurato l’alone di
chiarificazione che eventualmente si forma intorno al pozzetto contenente
urina/siero.
ALDOLASI (ALS)
 E’ un enzima coinvolto nella glicolisi che trasforma il fruttosio-1,6-difosfato in
diidrossiacetonefosfato e gliceraldeide-3-fosfato (4° step glicolisi)(da un esoso si
producono 2 triosi);
 L’aldolasi è presente nel muscolo scheletrico, nel cervello, nel fegato e nel muscolo
cardiaco. E’ composto da due subunità, che aggregandosi formano tre differenti
isoenzimi: la forma molecolare A predomina nel muscolo scheletrico, la forma B nel
fegato, la forma C è presente nel cervello ed in altri tessuti;
 Un suo aumento a livello serico è indicativa di miopatie: distrofia muscolare di
Duchenne, dermatomiositi, polimiositi, ecc...
Metodi di dosaggio:
Il metodo di determinazione più utilizzato è quello spettrofotometrico, con la
valutazione della diminuzione dell’assorbanza dovuta all’ossidazione del NADH
misurata a 334 nm o 340 nm:
Fruttosio- 1,6 - DP Aldolasi

 gliceraldeide - 3 - fosfato  diidrossiacetone fosfato
TPI
GAP 
DAP
2 DAP  2 NADH  2 H GDH

 2 glicerolo- 1- fosfato  2 NAD
MARCATORI INFARTO MIOCARDIO
L’infarto del miocardio è oggi una delle più frequenti cause di morte tra i soggetti di
età media ed anziana. Esso è provocato dalla brusca riduzione dell’apporto di sangue
attraverso le arterie coronarie, sangue dal quale il muscolo cardiaco deve trarre il
nutrimento e soprattutto l’ossigeno di cui ha bisogno in modo più elevato di qualsiasi
altro tessuto. La riduzione dell’afflusso di sangue arterioso causa una profonda
sofferenza delle cellule miocardiche (ischemia).
La fibrocellula miocardica è particolarmente ricca di alcuni enzimi (AST, LDH, CPK), e
così il disfacimento necrotico di estese zone di miocardio ne riesce ad innalzare il
livello sierico in misura significativa.
DOLORE TORACICO
 Una delle sintomatologie più comuni per richiedere un consulto medico
 Valutazione delle caratteristiche del dolore toracico :
•
Indotto da uno sforzo fisico
•
Descritto come un senso di costrizione al petto
•
S’ irradia alle estremità
•
Non alleviato dal riposo o da farmaci vasodilatatori
 Soltanto una parte (circa il 25%) dei pazienti che presentano, quale sintomo
principale, dolore al torace avranno una diagnosi di IM.
ELETTROCARDIOGRAMMA NORMALE
R
T
U
P
Q
S
CAMBIAMENTI DELL’ECG NELL’IM
R
Elevazione del
tratto S-T
T
P
Q
S
STORIA DEI MARKERS CARDIACI
 1975: Galen descrisse l’uso degli isoenzimi CK, LDH, nella diagnosi dell’infarto del
miocardio.
 1980: Diventarono disponibili i metodi automatizzati per CK-MB (attività) e LDH-1
 1985: Furono introdotti gli studi sulle isoforme di CK-MB
 1991: Dosaggio immunoenzimatico per la Troponina T
 1992: Dosaggio immunoenzimatico per la Troponina I
MARKERS ENZIMATICI
 Lattico deidrogenasi (LDH): 5 isoenzimi, costituiti dalla combinazione delle subunità
H (heart) e M (muscle)
 Creatina chinasi (CK): 3 isoenzimi, costituiti dalla combinazione delle subunità M
(muscle) e B (brain)
 Aspartato amminotransferasi (AST o GOT)
LDH
Nell’infarto miocardico aumenta in particolare la LDH, anche se rispetto agli altri enzimi
diagnostici la LDH è più tardiva in quanto l’aumento dell’enzima si manifesta dopo
circa dodici ore dall’inizio della sintomatologia dolorosa; esso raggiunge il massimo
livello dopo circa 24-60 ore, mantenendosi sopra i valori normali fino alla settimaquindicesima
giornata
di
malattia.
Si
comprende
pertanto
come
la
sua
determinazione acquisti un particolare valore nei casi di infarto o di sospetto infarto
del miocardio che giungono all’osservazione a qualche giorno di distanza
dall’episodio.
ELETTROFORESI DEGLI ISOENZIMI LDH (normale)
LDH2 > LDH1 > LDH3 > LDH4 > LDH5
LDH2
LDH1
LDH3
Anodo (+)
LDH4
LDH5
Catodo (-)
ELETTROFORESI DEGLI ISOENZIMI LDH (anomala)
LDH1
LDH1 > LDH2
LDH2
LDH3
Anodo (+)
LDH4
LDH5
Catodo (-)
Comportamento degli isoenzimi
della LDH (A) e della CK (B)
nell’infarto acuto del miocardio.
Il tracciato con linea continua si
riferisce all’individuo sano mentre
la figura ombreggiata riguarda il
paziente infartuato.
Gli isoenzimi della creatina chinasi
 L’isoenzima MB(CK2) è presente nel miocardio. L’ interesse
clinico della determinazione dell’isoenzima MB nel siero deriva
dal fatto che esso aumenta quasi esclusivamente nell’infarto
del miocardio e può essere considerato un enzima “infarto
miocardico specifico”.
 Nei casi di infarto del miocardio l’aumento dell’isoenzima MB
è precoce; comincia ad aumentare nelle prime 4-6 ore,
raggiunge
il
massimo
rapidamente
(12-18
ore)
e,
più
rapidamente della CPK totale, torna nei limiti normali. Il ritorno
a valori normali avviene generalmente entro 48 ore e precede
quindi di 24 ore quello della CPK totale.
ISOFORME DI CK-MB
lisina C-terminale
CK-MB2 (tessuto)
carbossipeptidasi plasmatica
CK-MB1 (circolo)
 La lisina C-terminale è rimossa;
 Se il rapporto CK-MB2 / CK-MB1 supera il valore di 1,5 nelle sei ore che seguono
l’inizio dei sintomi ----> IM
 Il rapporto CK-MB2 / CK-MB1 è un marcatore precoce per la diagnosi di IM ;
 Il test ha una buona sensibilità diagnostica;
 L’uso è limitato da problemi di carattere fisiopatologico ed analitico:
 ampia
variabilità
individuale
dell’attività
basale
plasmatica
 tempi lunghi per la esecuzione della procedura analitica
della
carbossipeptidasi
Aspartato aminotrasferasi (AST)
Per molti anni l’attività della transaminasi glutammico ossalacetico (GOT), attualmente
nota come aspartato aminotransferasi, è stata determinata per la diagnosi di IMA .
I livelli oltre i valori normali entro 8-12 ore dall’esordio del dolore raggiungono il massimo
dopo 18-36 ore e scendono ai valori normali dopo 3-4 giorni. Tuttavia, poiché si
verificano innalzamenti falsamenti positivi, (con la maggior parte delle malattie
epatiche e della muscolatura scheletrica, dopo iniezioni intramuscolari, embolia
polmonare e shock), e poiché il tempo di innalzamento e discesa delle AST è
intermedio tra quello delle CPK e delle LDH, la sua ulteriore utilità nella diagnosi di IMA è
trascurabile e non viene quasi più utilizzata di routine.
MIOGLOBINA
 Proteina che lega reversibilmente l’O2 e si trova in tutti i tessuti muscolari (analogo
“strutturale” e funzionale dell’emoglobina);
 ha un basso peso molecolare rispetto all’emoglobina (17,2 kDa contro 64 kDa), e le
sue piccole dimensioni consentono la rapida fuoriuscita dalle cellule muscolari
ischemiche;
 viene liberata nel torrente circolatorio da parte di cellule miocardiche lese ed
aumenta tra 1-4 ore dalla comparsa dei sintomi; ritorna alla normalità dopo 12 ore;
 è considerato un marker sensibile ma aspecifico (presente in tutta la muscolatura,
non solo nel miocardio);
 si
rileva
mediante
un
saggio
immunologico
nefelometria/turbidimetria o in fluorescenza.
con
rivelazione
in
VARIAZIONI TEMPORALI DI MIOGLOBINA E CK-MB
CK-MB
800
60
50
40
30
20
10
0
600
400
200
0
0
8
16
24
32
40
CK-MB (m g/L)
Mioglobina (m g/L)
Mioglobina
48
Tempo (dopo i primi sintomi)
 I massimi livelli di mioglobinemia vengono raggiunti prima di quelli delle CPK.
 Per la sua bassa specificità miocardica la mioglobinemia può essere molto utile nel
diagnosticare con precocità un IMA, MA se accompagnata da altre indagini.
TROPONINE
 La contrazione muscolare è consentita dal movimento di molecole di miosina lungo i
filamenti di actina; l’interazione tra le due è consentita dal complesso delle
TROPONINE.
 Le troponine sono un complesso di proteine dell’apparato contrattile del muscolo
striato che presiedono ai processi di contrattilità muscolare, regolando l’interazione
calcio-mediata dell’actina con la miosina.
 Il complesso della troponina è presente unicamente nel muscolo striato ed è
costituita dalla troponina T, troponina I e dalla troponina C. Le diverse isoforme,
prodotte da geni distinti, presentano strutture e funzioni differenti.
 I livelli circolanti nel siero sono normalmente molto bassi, ma possono aumentare
rapidamente dopo necrosi miocardica.
 Le isoforme cardiache delle troponine T e I sono quindi indicatori molto specifici e
molto sensibili di danno miocardico.
miosina
 La troponina C è la stessa in tutti i tessuti muscolari.
 Le troponine I e T hanno delle forme specifiche per il muscolo cardiaco: cTnI e cTnT.
 Le concentrazioni in circolo di cTnI e cTnT sono, normalmente, molto basse.
 Compaiono in circolo , in un certo quantitativo, quasi simultaneamente alla CK-MB,
con un picco tra le 4-8 ore; la comparsa acuta, suggestiva di IMA, è coincidente
con la LDH, ovvero avviene in fase tardiva, e per tale motivo sono utili in diagnosi
tardive, alcuni giorni dopo l’evento acuto.
 Comparsa in circolo quasi contemporanea alla mioglobina, per cui è utile associare
il dosaggio di quest’ultima a quello di una troponina cardiaca.
MISURA DI cTnI E cTnT
 I metodi di rilevazione sono immunochimici
 Il saggio per cTnT è altamente specifico
 Numerose aziende diagnostiche commercializzano il saggio per cTnI
SCELTA DI INDICATORI
 Fino a qualche tempo fa, dosate CK e LDH, tramite elettroforesi, o, per CK-MB,
mediante saggio immunologico
 Saggio (costoso) delle troponine migliore perchè LDH è ubiquitario
 Diagnosi precoce: mioglobina, con conferma della CK-MB o, meglio, delle
troponine
Per la reazione generale:
aA+bB→cC+dD
la velocità è la variazione nel tempo di uno qualsiasi dei componenti della reazione (sia
uno dei reagenti sia uno dei prodotti); la velocità, determinata sperimentalmente, è
proporzionale, secondo la costante di velocità "specifica" K (corrispondente alla
velocità della reazione per concentrazioni unitarie: solo in quel caso, infatti, v=K), al
prodotto della concentrazione di A elevata alla m per la concentrazione di B elevata
alla n.
Gli esponenti m e n possono essere sia interi sia frazionari; rappresentano l'ordine della
reazione: m rispetto ad A, n rispetto a B; (m+n) rappresenta L'ORDINE TOTALE della
reazione.
Gli ordini di reazione possono essere dedotti solo sperimentalmente e non coincidono
necessariamente con i coefficienti stechiometrici della reazione a e b (in taluni casi
possono essere anche zero).
Reazione di ORDINE ZERO
A
B
La velocità è costante nel tempo, ad esempio se il substrato A è
presente in quantità estremamente elevata

dc
 k 'a
dt
vk
t1 / 2
a

2k
a= conc. iniziale del substrato
Reazione di PRIMO ORDINE
A
B
A
B+C
La velocità di reazione è direttamente proporzionale alla
concentrazione del substrato A

c = conc. generica
del substrato A

dc
 k c
dt
v  k c
d( a  x )
 k  (a  x )
dt
dx
a
 k  (a  x )  ln
 kt
dt
ax
a  x  a  e  kt  c t  c 0  e  kt
a
 kt
ax
a
k
log

t
a  x 2,303
2,303 log
t1/ 2
0,693

k
a = conc. iniziale del
substrato A
Reazione di SECONDO ORDINE
A +B
C
La velocità di reazione dipende dalla concentrazione di due substrati
dc
 k  c2
dt
v  k ab

dx
 k  (a  x )(b  x )
dt
b (a  x )
ab
log
k
t
a (b  x )
2,303
t1/ 2 
1
k a
Improbabile che si verifichino reazione di ordine superiore al secondo
Riassumendo......
Alcune considerazioni......
v vs [reagenti]
conoscenza di v
numero specie molecolari coinvolte
lnfluenza di pH, concentrazione dell’enzima, temperatura
 Tranne che nelle reazioni di ordine zero, la velocità delle reazioni varia nel
tempo; si farà, quindi, riferimento alla velocità iniziale, cioè alla velocità al
tempo zero, in cui la reazione è di ordine zero perché indipendente dalla
concentrazione di substrato.
Se si è in presenza di un enzima, l’equazione
v  k c
va riscritta così:
v  k  c  E
Mantenendo costante c, ovvero la concentrazione del substrato, la velocità
dipenderà solo dalla quantità di enzima
La verifica di una proporzionalità diretta tra V0 e [E] consente
di accertare l’intervento diretto dell’enzima in quella reazione
Equazione di Michaelis-Menten
Dalla reazione
v  k  c  E
si potrebbe affermare che, mantenendo costante
la [E], la velocità di reazione sia direttamente proporzionale alla concentrazione
del substrato c, ma in realtà non è così!!
Tale andamento è da giustificare con la formazione di un
COMPLESSO ENZIMA-SUBSTRATO
k1
k2
ES

ES 
E P

k 1
Nella cinetica di ogni reazione, il parametro più importante è la velocità di
formazione del prodotto:
v  k 2  ES
Tuttavia, la [ES] man mano che si forma viene trasformata in E + P, ed è
comunque difficile differenziare E da ES, per cui il suo valore rimane pressoché
costante: ASSUNZIONE DELLO STATO STAZIONARIO:
Se la prima reazione è reversibile, per la costante di dissociazione del
complesso ES si avrà:
Ks 
k 1 E S

ES
k1
.....ma ES si dissocia anche in E + P, creando dipendenza anche da k2:
k k
Km  1 2
k1
Km ha
le
dimensioni
di
una
concentrazione (M): è definita
costante di Michaelis-Menten
Maggiore dissociazione
Maggiore valore Km
Minore affinità
Quando k2 è molto più piccola di k-1, si può trascurare nella reazione e si ha:
Km 
k 1 E S

 Ks
ES
k1
Pertanto la Km può essere definita, con ottima approssimazione, come
la costante di equilibrio della reazione di dissociazione del complesso ES
Come detto, non è possibile calcolare semplicemente la Km dalla
prende in considerazione:
 Enzima totale,Et
 Complesso ES
 [E]= enzima libero = Et – ES
 Substrato S
Km 
Et  ES S
ES
Risolvendo per [ES], si avrà:

Et  S
 [ES] 
Km  S
per cui si
Come detto prima, la cinetica di una reazione dipende dalla velocità di
formazione del prodotto:
v  k 2  ES

Si considera, inoltre, che quando tutto l’enzima è saturato dal substrato, Et = [ES],
si avrà
la velocità di reazione massima, ovvero Vmax , e l’eq. precedente
diventa
v  k 2  Et   Vmax
Riarrangiando l’equazione  , con l’eq.
k  E  S
v  k 2  ES  2 t
Km  S
, si avrà:
Vmax  S
v
Km  S
Equazione di
Michaelis-Menten
Equazione di velocità della catalisi enzimatica, dipendente da VMAX, da Km
(due costanti) e dalla [S] in quell’istante
Risolvendo per Km, si ha:
V

Km  S  max  1
 v

Quando si ha che v 
Vmax
, si ha:
2
Km  S
La costante di Michaelis-Menten è uguale alla concentrazione di substrato con la
quale si ottiene una velocità di reazione pari a metà della velocità massima
Mantenendo costante la quantità di enzima e
variando la quantità di substrato entro limiti
abbastanza ampi, si osserva tale andamento
(CURVA DI SATURAZIONE)
Dal punto di vista grafico è difficile ricavare tale costante...
Occorre fare trasformazioni lineari della equazione di M-M, che
consentano di calcolare la Km con pochi punti sperimentali e senza
calcolare la Vmax
Si considera l’inverso della equazione di M-M:
1 K m  S
1 Km 1
1

che si riscrive come l’equazione di una retta:



v Vmax  S
v Vmax S Vmax
y= a · x + b
Grafico di Lineweaver-Burk
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(+) LDH - Università degli Studi della Basilicata