Le certificazioni di qualità sugli impianti dentali
Si tratta di una questione in merito alla quale non è agevole, persino su internet,
trovare informazioni chiare ed esaustive. Basta digitare su google la parola “impianti
dentali certificazione”, per trovare un numero sconfinato di banner pubblicitari e
qualche studio iper- tecnico. Ma niente che sia di immediata comprensione per un
non addetto ai lavori
Ci siamo permessi di effettuare una selezione per Voi; intanto con questo lavoro e
anche con diversi allegati tecnici, materiale per centinaia di pagine, per chi volesse
approfondire. Ma siamo presuntousi: anche senza leggere tutto il materiale allegato,
Vi basterà scorrere queste pagine per mettervi in grado di farVi un idea di massima e
anche abbastanza completa su una questione molto importante come quella della
qualità negli impianti dentali. Non si poteva scrivere di meno per dire quel che serve
sapere, quindi non ci sono scuse, almeno queste pagine ve le dovete leggere e senza
discussioni. Oppure rimanete così. Inconsapevoli, prendere o lasciare.
Prima di entrare nello specifico tecnico, ci sembra doveroso avvertire il lettore che la
questione impianto ( qualità, controlli, un produttore rispetto all’altro ) è solo uno
degli aspetti ( e neanche il più importante ) che determina il successo della terapia
implantare. Fondamentale è la capacità e competenza del chirurgo implantologo
che effettua l’operazione e la sua maggior o minore osservanza di corretti protocolli
sanitari, dalla prima visita, alla compilazione del questionario anamnestico, al
corretto piano terapeutico. Un mediocre chirurgo che utilizza i migliori impianti del
mercato ha forti probabilità di vedere un fallimento della terapia implantare. Si
consideri che le statistiche sui fallimenti implantari indicano in appena il 7% i casi
dipendenti da difetti di qualunque genere dell’impianto. Si tratta di una notazione
che a maggiore ragione oggi va tenuta presente, visto il proliferare di implantologi
dell’ultima ora senza una preparazione e un esperienza specifica.
In questo lavoro tratteremo alcuni temi:
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1) Cosa significa certificazione di qualità in ambito sanitario e nello
specifico comparto degli impianti dentali.
2) Quali sono i diversi tipi di certificazione esistenti e quali differenze di
rilievo ci sono tra esse.
3) Considerato che, come vedremo, non si può produrre o
commercializzare un impianto dentale senza certificazione, su quali
basi noi abbiamo scelto gli impianti dentali che utilizziamo in
clinica ?
1) Cosa significa certificazione di qualità
La materia è assai complessa e si è evoluta con una certa velocità negli ultimi
10.- 15 anni.
Inizialmente, le verifiche avevano a che fare con test di biocompatibilità e
controlli abbastanza generici ( periodo fino agli anni 70 ). Successivamente, la
normativa è stata integrata, fino a ricomprendere gli stress test, per andare a
verificare se non solo l’impianto ma anche i suo accessori ( che servono a
collegare l’impianto con la protesi che viene costruita su di esso ) resistessero
agli stessi. Poiché sono proprio tali accessori ( e in particolare gli abutment
angolati e le viti ) ad essere i componenti più a rischio, è evidente che tali
stress test servono a minimizzare difetti strutturali di tali componenti .
IN questo lavoro tenteremo – tra le altre cose - di sfatare alcuni miti, che pure
ogni tanto circolano su internet. In realtà, tali test non vengono effettuati solo
ex ante e poi nisba. La normativa e le certificazioni di settore hanno richiesto
verifiche periodiche su tutto il processo di produzione e di controllo sulla
qualità della produzione, alle quali le aziende devono continuamente
sottoporsi. LA qualità è quindi un concetto continuamente monitorato e in
continua evoluzione.
Il sistema che vige attualmente in ambito Europeo prevede infatti una
strutturazione complessa del controllo di qualità. Anzitutto, gli impianti dentali
sono ricompresi nella più generale categoria dei “dispositivi medici”. Le
normative europee che si occupano di questi delineano un quadro di requisiti
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minimi di qualità che tali dispositivi – e in particolare gli impianti dentali debbono possedere per essere impiantati nel corpo umano ( ad esempio, gli
impianti dentali devono essere fabbricati in titanio grado 4 ) , lasciando ad
organismi tecnici la definizione dei requisiti tecnici di dettaglio che
definiscono la qualità di tali dispositivi. Questo sistema, apparentemente
arzigogolato, differisce da quello che era in vigore precedentemente, che
vedeva la normativa definire tutte le regole utili per ottenere prima
l’autorizzazione alla produzione e al commercio. Ma è molto più vantaggioso e
orientato alla tutela del paziente rispetto all’altro, perché mette in piedi un
sistema di controlli precedente e successivo alla produzione e
commercializzazione dell’impianto che con il primo sistema normativo era
impossibile attuare. Inoltre, permette veloci aggiornamenti di tutto l’impianto
delle regole e dei controlli che non si sarebbe potuto attuare modificando le
normative, anche in considerazione della veloce obsolescenza tecnica in questo
settore. La parte quindi più importante di tale struttura dei controlli è
demandata alle norme tecniche armonizzate cui la normativa rimanda e che
possono essere arricchite e aggiornate con molta più facilità.
Le norme tecniche armonizzate
Come già accennato, il fabbricante, onde dimostrare di aver soddisfatto i
requisiti essenziali di sicurezza applicabili ai suoi prodotti, deve seguire le
regole di base dettate dalle normative e può far riferimento alle norme tecniche
armonizzate per il dettaglio.
La scelta di non prevedere specifiche tecniche nei testi delle direttive
applicabili a settori dove l’avanzamento tecnologico è continuo e rapido, è
risultata vincente perché mette al riparo da una rapida obsolescenza delle
direttive stesse; se ancora oggi, a distanza di oltre quindici anni dalla sua
emanazione, la direttiva 90/385/CEE, relativa ai dispositivi medici impiantabili
attivi, risulta validamente applicabile, è perché essa non contiene alcun
parametro tecnico specifico ma solo principi e l’indicazione di metodi di
valutazione che hanno dimostrato la loro validità. Peraltro essi, da soli, non
basterebbero a garantire che chi voglia produrre tali dispositivi medici immetta
sul mercato prodotti sicuri.
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È per tale motivo che, su questi aspetti, sono elaborate e messe a disposizione
le norme tecniche.
Queste ultime sono specificazioni tecniche, elaborate da organismi riconosciuti
a svolgere attività normativa (in Europa: CEN e CENELEC), il rispetto delle
quali non è obbligatorio.
Più in particolare, ai sensi della direttiva 98/34/CE, la “norma” è una
“specificazione tecnica approvata da un organismo riconosciuto a svolgere
attività normativa per applicazione ripetuta o continua, la cui osservazione non
è obbligatoria, ed appartiene ad una delle seguenti categorie”:
• Norma Internazionale (elaborata dall’ISO o, per il settore elettrico, dall’IEC)
• Norma Europea (elaborata rispettivamente da CEN o CENELEC)
• Norma Nazionale (elaborata, in Italia, da UNI o CEI).
Tali norme sono consensuali (in quanto devono essere approvate con il
consenso di coloro che hanno partecipato ai lavori), volontarie (le parti
interessate si impongono spontaneamente di rispettarle), democratiche (tutte le
parti economico-sociali interessate possono partecipare ai lavori di
compilazione).
Esse riflettono lo stato dell’arte relativamente alle conoscenze in un
determinato settore.
Le norme tecniche diventano “armonizzate” quando sono adottate a livello
europeo, su mandato della Commissione, dai Comitati Europei di
Normalizzazione CEN o CENELEC, quest’ultimo per il settore elettrico e
pubblicate, sotto forma di elenco, nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea
(OJEU); solitamente costituiscono l’adozione in campo europeo di Norme
internazionali (ISO o IEC), talora con eventuali adattamenti.
Sia la direttiva 90/385/CEE (recepita in Italia con D. Lgs. 507/92) inerente i
dispositivi medici impiantabili attivi, che la direttiva 93/42/CEE (recepita con
D. Lgs. 46/97) relativa ai dispositivi medici, quindi, prevedono specifici e
dettagliati requisiti essenziali di efficacia e sicurezza a cui devono rispondere i
dispositivi medici; al fine di comprovare la conformità dei propri dispositivi
medici ai requisiti essenziali previsti, un fabbricante può applicare “norme”
tecniche esistenti.
E’ importante ribadire che l’applicazione delle norme tecniche da parte dei
fabbricanti è volontario, anche se auspicabile, dal momento che esse,
frequentemente aggiornate o - se del caso - riscritte rappresentano lo “stato
dell’arte” del settore; il loro rispetto quindi assicura - come espressamente
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stabilito in tutte le direttive di nuovo approccio ( per distinguerle da quelle
precedenti che richiedevano il rispetto di tutte le regole in esse dettate prima di
autorizzare il produttore alla produzione e al commercio ) - una presunzione
di conformità, che invece il fabbricante dovrà compiutamente dimostrare in
caso di non utilizzo delle norme stesse. Di fatto, questo sistema funziona, tanto
è vero che nessun fabbricante serio pensa anche solo lontanamente di poter far
a meno di queste certificazioni.
Le norme tecniche vengono usualmente suddivise in “orizzontali”, quando
sono applicabili ad ampi settori di dispositivi medici (ad esempio norme sui
metodi di sterilizzazione applicabili a diverse tipologie di dispositivi), e
“verticali” quando dettano specificazioni tecniche dirette a singoli tipologie di
dispositivi (ad esempio norme che si occupano di determinate protesi
impiantabili).
Nel momento in cui il fabbricante decide di applicare una norma tecnica per il
raggiungimento della conformità, si impegna ad applicarla integralmente,
altrimenti non può avvalersene come presunzione di conformità. Nel dossier
tecnico, il fabbricante dovrà inserire un documento nel quale, per ciascuno dei
requisiti essenziali applicabili al dispositivo, elenca le norme tecniche
applicate.
La gestione dei rischi
Un essenziale passaggio, nel processo che consente al fabbricante di giungere a
dichiarare la conformità dei prodotti, è quello inerente alla gestione dei rischi.
Pur non potendo, in questa sede, esaminare in dettaglio una materia complessa
e con una serie di specifiche metodologie di applicazione, si intende almeno
richiamare alcuni punti fondamentali di quello che è identificato nelle direttive
come un requisito essenziale di valore generale, quindi applicabile a tutti i
dispositivi.
Innanzitutto, occorre precisare che l’assoluta assenza di rischio, pur idealmente
auspicabile, non è raggiungibile per quanto riguarda i dispositivi medici;
peraltro, in considerazione del beneficio clinico per il paziente derivante
dall’utilizzo del dispositivo, si può accettare un certo livello di rischio residuo,
maggiore quanto più grande sarà il beneficio apportato (rapporto
beneficio/rischio).
Anche per la gestione dei rischi, e specificatamente di quelli connessi ai
dispositivi medici, esiste una specifica norma tecnica, la EN-ISO 14971, che
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consente al fabbricante, che decida di seguirla, di compiere tutte le fasi previste
per tale gestione, a partire dall’analisi dei rischi. Questa consiste
nell’identificazione dei pericoli connessi con l’utilizzo di un dato dispositivo e
nella quantificazione del rischio che il danno si verifichi; la quantificazione del
rischio è correlata direttamente alla probabilità dell’evento sfavorevole e alla
severità degli effetti negativi possibili, ed inversamente alla facilità di
evidenziarlo.
Per ciascun rischio analizzato e valutato il fabbricante dovrà prendere delle
misure per eliminarlo, e solo se ciò risultasse impossibile, controllarlo e
ricondurlo in quell’ambito di accettabilità cui si faceva prima cenno, adottando
misure di protezione dal rischio residuo e di segnalazione della sua esistenza.
Il fabbricante dovrà anche prestare attenzione a che le misure intraprese per la
riduzione del rischio non ne creino di nuovi, e in tal caso applicare le stesse
modalità di gestione anche ad essi.
Al fine di garantire una sempre maggior sicurezza ai dispositivi, nelle più
recenti versioni delle norme tecniche relative alla gestione del rischio, viene
rimarcata la necessità che le procedure di gestione del rischio effettuate nella
fase preliminare alla commercializzazione, quella relativa all’accertamento
della conformità, siano aggiornate, sulla base delle informazioni raccolte in
fase di commercializzazione (tale attività è obbligatoria per il fabbricante) e
relative ad incidenti o reclami da parte dell’utenza o ad altri dati ed esperienze
proprie del fabbricante.
Per la gestione del rischio esistono numerose metodologie; le principali tra esse
sono anche richiamate nella norma tecnica EN-ISO 14971; nella norma è
precisato che la gestione del rischio deve essere affidata a personale
adeguatamente formato e chiaramente identificato e che il fabbricante deve
dedicare risorse umane ed economiche adeguate a tale aspetto.
Infine si ricorda che ogni modifica significativa del dispositivo comporta di
necessità una nuova valutazione e il riavvio della procedura.
Tracciabilità dei dispositivi medici
Assai meno esplicitamente definito nel testo della direttiva, quello della
tracciabilità è un obbligo (comunque previsto dagli allegati II, IV, V e VI) che
costituisce un altro caposaldo del “nuovo approccio”.
Con tracciabilità si intende la costante possibilità per il fabbricante di
rintracciare, per qualsiasi evenienza che lo renda necessario, i dispositivi
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prodotti e di risalire altresì ai fornitori dei materiali con i quali gli stessi sono
costruiti.
In particolare prevede l'impegno del fabbricante ad istituire e ad aggiornare
regolarmente una procedura sistematica idonea a mettere in atto un sistema
appropriato per applicare le misure correttive eventualmente necessarie, fino al
ritiro di lotti di dispositivi o di tutti i dispositivi immessi in commercio. Detto
impegno comprende per il fabbricante l'obbligo di informare le Autorità
Competenti, non appena egli ne venga a conoscenza, delle situazioni previste
dall’art. 9 del D. Lgs. 46/97 e dall’art. 11 del D. Lgs. 507/92.
Si richiama quindi ancora una volta l’obbligo di istituire un sistema di
tracciabilità, posto in capo ai distributori dalla già citata direttiva sulla
sicurezza generale dei prodotti.
L’insieme di queste due previsioni garantisce che il sistema della tracciabilità
raggiunga capillarmente le ramificazioni più periferiche del sistema
distributivo e possa essere usato per ogni intervento che si renda necessario per
i prodotti.
Valutazione clinica
Tra i requisiti essenziali a carattere generale (quelli che sono applicabili a
qualsiasi dispositivo medico) vi è la previsione che il dispositivo medico
fornisca la prestazione assegnatagli dal fabbricante, e quindi sia efficace.
La dimostrazione di tale requisito essenziale è ora previsto che sia ottenuta, per
tutti i dispositivi medici, da parte del fabbricante, con una valutazione clinica.
Essa può basarsi su dati clinici pre-esistenti o sui risultati di indagini cliniche
effettuate ad hoc.
Per quanto attiene la raccolta di dati pre-esistenti, si fa rilevare che essi
possono consistere in esperienze cliniche con il dispositivo in esame, indagini
cliniche svolte con dispositivi simili o raccolte di letteratura pertinente. In ogni
caso il fabbricante non potrà effettuare una selezione indiscriminata dei dati a
lui più favorevoli, ma dovrà documentare le modalità di selezione delle fonti
utilizzate e descrivere, in una relazione, la valutazione effettuata su di esse e le
risultanze di quest’ultima.
Quali sono i diversi tipi di certificazione esistenti e quali differenze di rilievo ci
sono tra esse ?
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Il sistema legislativo italiano presenta una caratteristica fondamentale, la
metodologia del“rinvio alle Norme”, cioè un fabbricante ha la possibilità di realizzare
il proprio prodotto nell’osservanza delle Norme tecniche..
Le norme tecniche armonizzate sono norme tecniche emesse dal CEN
(Comitato Europeo di Normazione) e dal CENELEC (Comitato Europeo di
Normazione Elettrotecnica) e adottate a livello europeo.
Gli organismi nazionali sono vincolati all’adozione entro 6 mesi dalla loro
pubblicazione, e sono allo stesso tempo obbligati ad abrogare eventuali norme
nazionali contrastanti preesistenti.
Trattandosi di prescrizioni di volontaria applicazione, il legislatore
comunitario, pur manifestando un favor juris per la realizzazione dei prodotti nel
rispetto delle norme tecniche armonizzate,consente sempre, di realizzare il prodotto
attraverso soluzioni tecniche, liberamente scelte dal fabbricante diverse da quelle
indicate nelle norme armonizzate. In quest’ultimo caso, però, sarà onere del
fabbricante dimostrare la conformità del proprio prodotto ai requisiti essenziali.
Le caratteristiche essenziali di una norma tecnica sono le seguenti: Consensualità, cioè la norma deve essere approvata con il consenso di coloro che
hanno partecipato ai lavori.
- Democraticità, prescrive che tutte le parti economico/sociali interessate
possono partecipare ai lavori e, soprattutto, chiunque è messo in grado di formulare
osservazioni nell’iter che precede l’approvazione finale.
- Trasparenza, prevede che il progetto stesso a disposizione degli interessati
e le tappe fondamentali dell’iter di approvazione di un progetto di norma sono
esplicitate.
- Volontarietà, indica che le norme sono un riferimento, che le parti
interessate, si impongono spontaneamente.ù
Le norme, oltre che da numeri, sono identificate da sigle. Dalla sigla si può
capire da chi è stata elaborata la norma e qual è il livello di validità.
Le principali sigle sono:
- UNI contraddistingue tutte le norme nazionali italiane e nel caso sia l’unica sigla
presente significa che la norma è stata elaborata direttamente dalle Commissioni
dell’Ente Nazionale Italiano di Unificazione, l’organismo nazionale di formazione.
- EN
identifica le norme elaborate dal CEN (Comité Européen de Normalisation). Le
norme con la sigla EN devono essere obbligatoriamente recepite dai Paesi membri
CEN e la loro sigladi riferimento diventa, nel caso dell’Italia, UNI EN. Le norme
etichettate con questa sigla servono ad uniformare la normativa tecnica in tutta
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Europa, quindi non è consentita l’esistenza a livello nazionale di norme che non
siano in armonia con il loro contenuto.
- ISO
individua le norme elaborate dall’ISO (International Organization for
Standardization). Queste sigla indica norme che costituiscono un riferimento
applicabile in tutto il mondo. Ogni Paese può decidere se rafforzarne ulteriormente il
ruolo adottandole come proprie norme nazionali, nel qual caso in Italia la sigla
diventa UNI ISO (o UNI EN ISO se la norma è stata adottata anche a livello
europeo).
Le norme nascono su input del mercato che, avvertendo l’esigenza di un riferimento
ufficiale che regolamenti un certo aspetto, richiede all’organismo di normazione la
messa allo studio di un progetto di norma. Si avvia così un processo, che coinvolge
ambiti nazionali (norme UNI) o europei (in particolare le norme EN), articolato in
quattro fasi.
1. Messa allo studio
gli organi preposti dell’organismo di normazione elaborano uno studio di fattibilità
che mette in relazione la situazione del mercato con le necessità normative,
valutano le risorse e le competenze da coinvolgere, nonché i benefici. Se il risultato
dell’analisi è positivo si procede alla stesura del progetto di norma.
2. Stesura del documento
avviene nell’ambito dell’organo tecnico competente sull’argomento, strutturato in
gruppi di lavoro costituiti da esperti che rappresentano le parti economiche e sociali
interessate (produttori, utilizzatori, commercianti, centri di ricerca, consumatori,
pubblica amministrazione, ecc.). L’organismo di normazione svolge una funzione di
coordinamento dei lavori, mettendo a disposizione la propria struttura organizzativa,
mentre i contenuti delle norme vengono definiti dagli esperti esterni che, in ambito
europeo e internazionale, vengono nominati dai singoli Paesi. La discussione della
bozza di norma ha come obiettivo l’approvazione consensuale della struttura e dei
contenuti tecnici del progetto di norma.
3. Inchiesta pubblica
il progetto di norma approvato viene reso disponibile al mercato, mediante
comunicazione sui canali d’informazione degli organismi di normazione al fine di
raccogliere commenti e ottenere il più ampio consenso. Negli ambiti europei e
internazionali, tali commenti possono essere inoltrati al CEN e all’ISO soltanto
tramite gli organismi di normazione nazionali, che svolgono quindi attività di
interfacciamento a tali lavori con i propri Organi Tecnici.
4. Pubblicazione
la versione definitivamente concordata tiene conto delle osservazioni raccolte
durante l’inchiesta pubblica. Nel caso di norme nazionali, il progetto finale viene
esaminato dalla Commissione Centrale Tecnica (organo tecnico dell’UNI) per
approvazione, mentre a livello europeo e internazionale, viene sottoposto al voto
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degli organismi di normazione nazionali al fine di essere ratificato e pubblicato
come norma. A livello europeo ogni membro CEN ha l’obbligo di recepire le norme
EN (che diventano UNI EN in Italia) eventualmente pubblicandole nella propria
lingua, e ritirando quelle nazionali esistenti sul medesimo argomento. Tale obbligo
non esiste invece per le norme ISO che possono essere volontariamente adottate
(con la sigla UNI ISO o UNI EN ISO in Italia).
Direttiva 93/42 sui dispositivi medici
Il 14 giugno 1993 il Consiglio della Comunità Europea ha approvato la direttiva
93/42/CEE relativa ai dispositivi medici. Con questa direttiva, in seguito recepita da
tutti gli stati europei, in particolare in Italia con il decreto legge n. 46 del 24 febbraio
1997, si ha un riferimento ufficiale per l’immissione in commercio dei dispositivi
medici. La normativa pone l’accento su concetti come “qualità” e “sicurezza”, parole
d’ordine che investono ormai tutti i settori della società, in questo caso un settore
fondamentale come quello della salute.
La direttiva dà indicazioni per la gestione delle fasi di vita di un dispositivo, dalla
progettazione ai controlli post-vendita, e individua inoltre come responsabili oltre i
produttori, anche i distributori e gli utilizzatori professionali.
La normativa introduce un importante definizione di dispositivo medico: “…qualsiasi
strumento, apparecchio, impianto, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in
combinazione, compreso il software informatico impiegato per il corretto
funzionamento, e destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell’uomo a scopo
di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di
diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un
handicap; di studio, sostituzione o modifica dell’anatomia o di un processo
fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l’azione
principale, nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o
immunologici né mediante processo metabolico ma la cui funzione possa essere
coadiuvata da tali mezzi.”
La 93/42/CEE ci fornisce alcune definizioni fondamentali:
􀃐 Accessorio
prodotto destinato in modo specifico dal fabbricante ad essere utilizzato come un
dispositivo per consentirne l’utilizzazione prevista dal fabbricante stesso
􀃐 Dispositivo di diagnosi in vitro
dispositivo composto da un reagente,da un prodotto reattivo, da uno strumento, da
un apparecchio o da un sistema utilizzato da solo o in combinazione, destinato dal
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fabbricante ad essere impiegato in vitro per l’esame di campioni provenienti dal
corpo umano al fine di fornire informazioni sugli stati fisiologici o sugli stati sanitari o
di malattia o anomalia congenita.
􀃐 Dispositivi su misura
qualsiasi dispositivo fabbricato appositamente sulla base della prescrizione scritta di
un medico, sotto la responsabilità del medesimo, destinato ad essere utilizzato solo
per un determinato paziente.
􀃐 Dispositivi per indagini cliniche
dispositivo destinato ad essere messo a disposizione di un medico qualificato per lo
svolgimento di indagini cliniche
􀃐 Fabbricante
persona fisica o giuridica responsabile della progettazione, della fabbricazione,
dell’imballaggio e dell’etichettatura di un dispositivo in vista dell’immissione in
commercio a proprio nome, indipendentemente se queste operazioni sono eseguite
da questa stessa persona o da un terzo per suo conto. Gli obblighi della direttiva
valgono anche per la persona fisica o giuridica che compone, provvede
all’imballaggio, tratta, rimette a nuovo uno o più prodotti e assegna loro la
destinazione di dispositivo in vista dell’immissione in commercio a proprio nome.
􀃐 Destinazione d’uso
l’utilizzazione alla quale è destinato il dispositivo secondo le indicazioni fornite dal
fabbricante nell’etichetta, nel foglio illustrativo o nel materiale pubblicitario.
􀃐 Immissione in commercio
la prima messa a disposizione a titolo oneroso o gratuito di dispositivi, esclusi quelli
destinati alle indagini cliniche, in vista della distribuzione e utilizzazione sul mercato
comunitario, indipendentemente dal fatto che si tratti di dispositivi nuovi o rimessi a
nuovo.
􀃐 Messa in servizio
fase in cui il dispositivo è pronto per la prima utilizzazione sul mercato comunitario
secondo la sua destinazione.
I dispositivi medici possono essere distinti in tre grandi classi:
- non invasivi
- invasivi
- attivi
I dispositivi non invasivi sono quelli che non penetrano nessuna parte del corpo, né
attraversa orifizi, né la cute. Ad esempio un dispositivo non invasivo è la benda per
medicazione; al contrario uno specchietto odontoiatrico è uno strumento invasivo
poiché penetra nella cavità orale, anche se parzialmente.
I dispositivi invasivi penetrano nel corpo, anche solo parzialmente, attraverso un
orifizio o la superficie corporea (es. bisturi, ago, catetere…).Si possono classificare
anche in base alla durata del contatto tra dispositivo e paziente:
- Temporaneo: tempi molto ridotti, inferiori ai 60 minuti.
- Breve termine: non più di 30 giorni.
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- Lungo termine: tempi superiori ai 30 giorni.
A causa della varietà dei dispositivi invasivi, è stata effettuata un’ulteriore
classificazione:
- Dispositivi invasivi di tipo chirurgico: sono dispositivi che penetrano nel corpo, sia
nel contesto di un intervento chirurgico (bisturi) sia al di fuori di un’operazione (ago
di siringa);
- Strumenti chirurgici riutilizzabili: sono strumenti destinati ad uso chirurgico per
tagliare, perforare, segare, grattare, raschiare, pinzare o per procedure analoghe e
che può essere riutilizzato dopo l’effettuazione delle opportune procedure. Un
esempio tipico sono i ferri chirurgici;
- Dispositivi invasivi impiantabili: sono quelli destinati ad essere impiantati
definitivamente nel corpo umano, oppure ad essere impiantati parzialmente per un
periodo non inferiore a trenta giorni. Il complesso di azioni che partono
dall’intervento chirurgico per l’impianto del dispositivo e terminano con il trattamento
post-operatorio immediatamente seguente, vanno considerati come una procedura
chirurgica. I dispositivi attivi sono quelli che per funzionare richiedono energia,
escludendo quelli a cui viene fornita energia dal corpo umano (termometro a
mercurio) o vengano azionati dalla forza di gravità.
Si possono classificare i dispositivi attivi in:
- Dispositivi attivi terapeutici: sono quelli destinati a somministrare farmaci, ad
effettuare operazioni mediante l’uso di energia, ad esempio elettrica, per ripristinare
le funzioni biologiche o per curare una ferita o alleviare un handicap.
- Dispositivi attivi destinati alla diagnosi: a questa classe appartengono le
apparecchiature destinate alla diagnosi in vivo, ad esempio le apparecchiature
ecografiche.
Oltre i dispositivi medici non invasivi, invasivi e attivi ne esistono altri, tra i quali i
principali sono:
- Dispositivi per indagini cliniche: a questa classe quei dispositivi destinati alla
sperimentazione preliminare su alcuni pazienti, prima della messa in commercio del
dispositivo.
- Dispositivi speciali: sono una serie di dispositivi oggetto di una regolamentazione
specifica, ad esempio i dispositivi per la contraccezione oppure le attrezzature per
disinfettare e sterilizzare.
Un dispositivo medico, prima di apporre il marchio CE o di inoltrare la richiesta di
marcatura ad un Ente Notificato, deve rispondere ad alcuni requisiti essenziali:
- requisiti generali: riguardanti la sicurezza del dispositivo
- requisiti relativi alla progettazione e alla costruzione: riguardanti gli aspetti più
propriamente tecnologici.
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Il fabbricante deve dimostrare che non solo il prodotto, ma anche i processi atti a
realizzarlo sono conformi alla 93/42/CEE.
I requisiti generali che un dispositivo medico deve soddisfare possono essere
sintetizzati come segue:
- il dispositivo deve essere progettato e fabbricato in modo che la sua utilizzazione
non comprometta lo stato clinico e la sicurezza del paziente, né la sicurezza e la
salute degli utilizzatori ed eventualmente di terzi quando sia utilizzato alle condizioni
e per i fini previsti;
- le soluzioni adottate dal fabbricante per la progettazione e la costruzione del
dispositivo devono attenersi a principi di rispetto della sicurezza, tenendo conto
dello stato di progresso tecnologico generalmente riconosciuto;
- il dispositivo deve fornire le prestazioni indicate dal fabbricante;
- le caratteristiche e le prestazioni del dispositivo non devono essere alterate in
modo tale da compromettere lo stato clinico e la sicurezza dei pazienti ed
eventualmente di terzi durante la durata di vita del dispositivo indicata dal
fabbricante;
- il dispositivo deve essere progettato, fabbricato e imballato in modo tale che le sue
caratteristiche e le sue prestazioni, in considerazione dell’utilizzazione prevista, non
vengano alterate durante la conservazione e il trasporto.
I requisiti relativi alla progettazione e alla costruzione possono distinguersi in:
- caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche dei materiali;
- infezione e contaminazione microbica, relativa alla sterilità e al suo mantenimento;
- caratteristiche relative alla fabbricazione e all’ambiente;
- dispositivi con funzione di misura, relativo alla precisione e accuratezza dei
dispositivi di misura;
- protezione contro le radiazioni, riguardante le radiazioni elettromagnetiche e
ioniche;
- dispositivi collegati o dotati di una fonte di energia, relativa alle apparecchiature
elettriche,elettroniche e ai rischi a cui è sottoposto un paziente che viene curato con
un dispositivo attivo;
- informazioni fornite dal fabbricante, relativa all’etichettatura, ai manuali illustrativi e
alle istruzioni per l’uso.
La classificazione dei dispositivi medici viene fatta in base alla destinazione d’uso e
conseguentemente dal rischio che deriva dal loro impiego. Sono individuate quattro
classi, con rischio crescente. Maggiori sono i rischi, maggiori sono i requisiti che il
dispositivo medico dovrà soddisfare. L’attività dei fabbricanti, deve essere
controllata, utilizzando metodologie diverse a secondo delle classi, dagli organismi
notificati, a cui competono diverse funzioni:
- Verifica della conformità dei prodotti certificati
- Certificare il campione rappresentativo del prodotto con prove
- Valutare il sistema qualità del fabbricante
- Controllare il mantenimento in efficienza del sistema qualità.
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Le quattro classi sono dunque:
- Classe I
dispositivi a basso rischio. Le procedure di valutazione di conformità possono
essere svolte sotto la sola responsabilità del fabbricante (autocertificazione).
L’organismo notificato interviene solo per gli aspetti della fabbricazione che
riguardano il raggiungimento della sterilità dei dispositivi sterili. Rientrano in questa
classe i dispositivi medici (sterili o non sterili) che non sono invasivi o che sono
invasivi ad uso temporaneo e breve termine per orifizi naturali (cavità orale fino al
faringe, canale auricolare sino al timpano, cavità nasale) e gli strumenti chirurgici
riutilizzabili.
- Classe IIa
dispositivi a rischio medio. È richiesto l’intervento dell’organismo notificato. Questa
classe comprende dispositivi medici non invasivi (es. destinati al contatto con cute
lesa, alla canalizzazione, alla conservazione o somministrazione di liquidi),
dispositivi invasivi a breve termine per orifizi naturali del corpo diversi da quelli
indicati nel punto precedente, dispositivi invasivi chirurgici per uso temporaneo, ecc.
- Classe IIb
dispositivi a rischio medio-alto. È richiesto l’intervento dell’organismo notificato.
Rientrano in questa classe dispositivi non invasivi (es. sacche per sangue, materiali
che entrano in contatto con derma leso), dispositivi invasivi chirurgici a breve
termine (ad esempio destinati ad essere riassorbiti), dispositivi contraccettivi,
dispositivi destinati a disinfettare, pulire, idratare lenti a contatto, ecc.
- Classe III
dispositivi ad alto rischio. È richiesto l’intervento dell’organismo notificato.
Appartengono a questa classe dispositivi destinati ad entrare in contatto con organi
vitali (cuore e sistema circolatorio centrale, sistema nervoso centrale), dispositivi
impiantabili e dispositivi chirurgici a lungo termine destinati, ad esempio, a
somministrare medicinali, dispositivi fabbricati utilizzando tessuti animali, ecc.
La normativa inoltre delinea quali sono le regole necessarie per individuare la
classe di rischio del dispositivo medico:
- l’applicazione delle regole di classificazione deve basarsi sulla destinazione del
dispositivo;
- se vengono utilizzati due dispositivi in combinazione, ciascun dispositivo
dev’essere analizzato separatamente dall’altro;
- il software necessario per l’utilizzo del dispositivo rientra automaticamente nella
classe di rischio del dispositivo stesso;
- per un dispositivo destinato a essere utilizzato su più parti del corpo, la classe di
rischio viene valutata sulla parte più critica del corpo;
- se a un dispositivo si applicano più regole, tenuto conto delle prestazioni che gli
sono state assegnate dal fabbricante, si applicano le regole più rigorose che
portano alla classificazione più elevata.
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Per i dispositivi medici la certificazione per i prodotti e per le aziende può essere
svolta dagli Organismi Notificati, accreditati a livello europeo e in particolare in Italia
dal Ministero della Salute che li assegna un settore operativo, un numero di
riconoscimento e li iscrive al Registro Comunitario a Bruxelles. Gli Organismi
Notificati devono essere situati in area UE.
Sull’etichettatura e sulle istruzioni d’uso di tutti i dispositivi deve essere apposto il
marchio CE. Per le classi I sterile, IIa, IIb, III la marcatura deve essere
accompagnata dal codice dell’ente notificato. La normativa dà indicazioni precise
anche per quanto riguarda l’etichettatura, presente sul dispositivo o sulla
confezione, in quanto deve contenere tutte le informazioni necessarie per l’utilizzo e
la conservazione del dispositivo stesso.
La 93/42/CEE individua quali sono le responsabilità di tutti gli individui che entrano
a contatto con il dispositivo medico. La responsabilità del fabbricante è quella di
precisare l’indicazione d’uso e di dare ogni informazione utile a garantire un corretto
impiego. Le responsabilità dell’utilizzatore sono:
- verificare che il dispositivo medico sia idoneo all’uso che se ne intende fare: deve
essere presente la marcatura CE, l’etichetta e il foglietto illustrativo devono riportare
quanto prescritto, le indicazioni d’uso devono corrispondere all’utilizzo previsto;
- attenersi alle modalità di impiego indicate senza apportarvi personali variazioni.
2.3. Norma UNI EN ISO 14801:2008
La norma internazionale ISO 14801 (Fatigue test for endosseus dental implants)
specifica e descrive le procedure per un metodo di prova a fatica per impianti
dentali intraossei..
Questa norma è stata recepita, in lingua inglese, della comunità europea con la
denominazione EN ISO 14801:2008, la quale assume così lo status di norma
nazionale italiana.
Tale norma è stata elaborata dalla Commissione Tecnica UNI-Tecnologie
biomediche e diagnostiche, quindi è stata ratificata dal Presidente dell’UNI ed è
entrata a far parte del corpo normativo nazionale il 9 ottobre 2008.
Lo scopo di tale norma è quello di definire un metodo per eseguire test a fatica su
impianti dentali endossei, utile a comparare impianti dentali di diverse geometrie e
dimensioni; questo standard internazionale fornisce le direttive per eseguire un test
di carico funzionale nella condizione worst-case ma non risulta applicabile per
predire le performance in vivo di un impianto dentale endosseo.
I principi generali della norma prevedono l’utilizzo di dispositivi protesici
rappresentativi dei modelli presenti sul mercato. Occorre che l’impianto endosseo
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da testare sia sottoposto ai normali processi di produzione e sterilizzazione previsti
prima della commercializzazione.
Tuttavia è indicato che, se risultasse evidente che il metodo di sterilizzazione non
inficia sulle proprietà del materiale del dispositivo, la sterilizzazione potrebbe non
essere effettuata.
Dispositivi protesici composti da diverse componenti devono essere assemblati in
accordo con le indicazioni fornite dal produttore.
Nel caso in cui le parti di un dispositivo sono connesse da una vite, questa deve
essere serrata utilizzando l’attrezzatura (cacciaviti, chiavi, ecc.) fornita dal
produttore o utilizzandone una alternativa che permetta di esercitare una coppia
entro il 5% del valore indicato.
La metodologia del test a fatica descritta dalla norma prevede l’utilizzo di una
strumentazione con i seguenti requisiti:
- applicazione del carico prescritto con un errore che non ecceda il ± 5% del carico
massimo (in accordo con ISO 7500-1 e ISO 4965);
- applicazione del carico alla frequenza specificata;
- monitoraggio dei valori di carico massimi e minimi, della frequenza di applicazione
del carico e della rottura del campione;
- registrazione del numero di cicli di carico.
Per onestà intellettuale devo avvertire che tutta la trattazione finora riportata,
facilmente identificabile perché riprodotta con carattere grafico diverso, è stata
interamente presa dal rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità allegato.
A questa trattazione possiamo aggiungere solo due notazioni importanti. La
prima ha a che fare con gli standard ISO. Nel processo di accreditamento il
produttore deve rispettare contemporaneamente più standard: nel caso degli
impianti dentali sia ISO 14971 che ISO 13485 ( l’ultima versione di
quest’ultima è del 2012 ). Questi standards riguardano ovviamente diversi
aspetti del processo. Se si considera che ognuno di questi standards appare
fondamentale per ottenere poi l’autorizzazione alla commercializzazione in
diversi paesi, appare evidente che il produttore deve definire il proprio
processo di produzione in tutte le sue fasi ben prima di chiedere
l’accreditamento, e cioè quando definisce il suo progetto di produzione. In caso
contrario, non avrebbe alcuna possibilità di ottenere tali autorizzazione se non
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modificando integralmente tutto il processo, il che comporterebbe costi enormi
e non sopportabili.
Quindi il sistema della certificazione funziona davvero molto meglio così
perché obbliga i produttori a muoversi secondo uno schema che non consente
improvvisazione alcuna. Naturalmente, questo non significa che un produttore
che non è certificato in alcuni paesi non abbia qualità.
E veniamo alla seconda precisazione, strettamente legata alla prima. Come
abbiamo già detto, tali norme sono adottate anche nei singoli Paesi e una
normativa che ha un forte peso è quella della Food and Drug Administration
statunitense ( FDA ). Alcune case blasonate produttrici di impianti citano
spesso il fatto di essere certificate presso la FDA. Effettivamente, fino a
qualche anno fa, si trattava di un effettivo valore aggiunto, in quanto la FDA ha
sempre previsto sia i test di biocompatibilità che di rischio come quelli di fatica
degli impianti.
Oggi queste verifiche vengono richieste anche in Europa. Non sussistono più
differenze sostanziali tra la qualità delle due certificazioni, in quanto la
globalizzazione ha portato ad una sostanziale omogeneizzazione delle norme a
livello internazionale che ormai convergono in uno standard generale ormai
valido per tutti, con differenze tra un Paese e l’altro più legate a fattori
protezionistici che ad effettive differenze di livello qualitativo. Chiaro che
senza la certificazione della FDA non si può commercializzare impianti dentali
negli Stati Uniti.
Ma per quello che interessa al paziente, non ci sono differenze sostanziali
ormai tra una certificazione e l’altra.
A questo punto, è il caso di far capire ai nostri lettori nella pratica come
funzionano davvero questi controlli. Noi abbiamo scelto diverse case
implantari sulla base delle risposte a queste domande. Lavoriamo con Nobel
Biocare e Dentsply che sono case blasonate e non hanno certo bisogno di
molte presentazioni. MA abbiamo scelto anche due case meno famose,
BTLock e Resista, sulla base della qualità che erogano e della serietà
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professionale di coloro che le amministrano. Un imprenditore con il quale ci
siamo trovati molto bene, ad esempio è l’Ingegnere Carlo Issoglio,
amministratore e titolare della Resista. Ci ha colpito il fatto che si è reso
pienamente disponibile ad ogni richiesta di approfondimento da parte nostra;
ne è nato un interessante carteggio, denso di informazioni che non sono di
dominio pubblico e che vengono dalla Sua esperienza reale. Di seguito
riportiamo qualche passaggio di questi proficui scambi di informazioni col
Nostro, senza modificarne le caratteristiche informali, proprio perché proprio
in queste caratteristiche abbiamo riscontrato l’elemento più accattivante:
Dott. Mastinu: Caro Ingegnere, può spiegarci in termini pratici come funziona
il protocollo di certificazione per gli impianti dentali e in particolare per i
Vostri impianti ?
Ingegner Issoglio: Innanzitutto, il preambolo è che il complesso delle regole e
delle leggi alle quali dobbiamo quotidianamente attenerci fanno parte del
recepimento integrale di direttive europee molto chiare, dettagliate e severe. Oltre
a prevedere sanzioni pecuniarie molto importanti, le eventuali infrazioni
costituiscono anche e soprattutto reati nell'ambito del diritto penale.
Cercherò in questa fase di riassumere ciò che in realtà un mondo piuttosto
complesso e molto articolato. Dividerei gli argomenti in due 'capitoli'::
A) il rispetto delle normative.
B) gli aspetti che rendono interessante, competitivo e affidabile il nostro progetto
impiantare.
A) le normative attualmente in vigore in Europa e quindi in Italia in campo di
dispositivi medicali sono piuttosto complesse e soggette a continue revisioni nella
direzione di massimizzare la tutela del cittadino e anche per dettagliare le 'regole'
minime ed essenziali alle quali, qualsiasi soggetto che intenda fabbricare o
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importare dispositivi medici, si deve assolutamente assoggettare. L'organo
preposto al rispetto di queste regole è il Ministero della Sanità. Che effettua controlli
casuali.
Sostanzialmente e praticamente le aziende devono prima di tutto adeguare la
propria organizzazione amministrativa e produttiva nel rispetto della norma ISO di
riferimento che è la 13485:2012.
La nostra azienda e Certificata ISO13485:2012
Qualche chiarimento in parole più semplici:
Una Norma ISO contiene le specifiche riconosciute a livello internazionale che
standardizzano la definizione di un “oggetto” o di un “processo”. Esistono diversi
organismi di riferimento nazionali ed internazionali che definiscono gli standard per
evitare confusioni a livello tecnico e organizzativo. Per esempio DIN è quello
Tedesco, MIL è quello che regola gli standard delle Forze Armate Americane, ISO è
l’Organismo generalmente più riconosciuto a livello internazionale.
Dunque l’ISO, ad un certo punto della sua storia ha cominciato a emettere
normative che definiscono l’organizzazione e la vita di un’azienda. Queste norme si
chiamano ISO9001.
La declinazione delle norme ISO9001 per le aziende che operano nel settore
Medicale si chiama ISO13485:2012, che non è nient’altro che la ISO9001 con
riferimenti specifici ai processi tipici di un azienda del settore medicale. Ad esempio
come ci si organizza per garantire la tracciabilità del prodotto ed altro strettamente
correlato alla produzione e commercializzazione di prodotti medicali. Tuttavia, non
basta che un’azienda si legga queste norme e dica di averle adottate.
L’azienda deve scrivere un “libro” (il proprio manuale della qualità) che contiene
tutte le regole che sottostanno alla propria organizzazione prendendo spunto e
rispettando le specifiche delle norme aggiornate (nel nostro caso appunto la
13485:2012).
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Questo libro è in continua evoluzione e miglioramento, (è un obbligo della
normativa !) e definisce anche tutto il complesso della “burocrazia” necessaria a
fotografare e a tenere traccia delle azioni e dei controlli che quotidianamente
vengono svolte in un azienda. Facendo ad esempio riferimento all’aspetto della
tracciabilità del prodotto, esiste una Procedura scritta nel nostro Manuale della
Qualità che descrive tutte le azioni, le regole e la gestione delle eccezione per
garantire la tracciabilità dei nostri prodotti medicali. (lo scopo, a tutela del cittadino,
è essere in grado di sapere in ogni momento dove sia finito qualsiasi lotto della
nostra produzione.) In questa Procedura vengono anche descritti i documenti e le
modalità di compilazione che ci consentono quotidianamente di registrare tutti i
dati.
All’inizio è scoraggiante e oneroso, poi, per forza di cose, il Manuale della Qualità
diventa il filo conduttore della vita d’azienda, e mi creda, è utilissimo !
Ma passo al significato della parola “Certificazione”. Fin qui sembra che qualsiasi
diligente amministratore si legga queste norme e le introduca come regola di vita
nella propria azienda. Poi “se passa il Ministero a controllare, vedremo…”. No. Non
funziona così.
Per legge dello Stato Italiano, in recepimento delle Normative Europee, occorre che
un ente di controllo si rechi periodicamente in azienda per verificare che le norme
ISO vengano rispettate e messe in essere. L’unico baco teorico di questo sistema è
che il “controllato” (noi) paga il “controllante” e può scegliere da quale ente essere
controllato. Il vantaggio di questo sistema è che, mi creda, questi enti, privati, sono
molto preparati e rigorosi. Tanto più che ogni singolo cliente ha un potere
contrattuale molto modesto, e ogni Ente non ha nessun interesse a “chiudere un
occhio” con il rischio di rimetterci la propria reputazione.
Questi Enti, infatti, hanno potere di vita e di morte delle aziende. Senza il
Certificato non si può operare, e i loro Ispettori possono revocarlo all’istante.
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Esistono numerosi Enti di controllo (propriamente detti Enti Certificatori) ad
esempio DNV, Rina, Italcert e Cermet.>
Noi abbiamo scelto Cermet in quanto noto ed esperto del settore dentale. (Per
esempio, in Italia Sweden & Martina e Dentaurum sono Certificati da Cermet).
Fin qui ho cercato di spiegare il significato di Certificato ISO13485, che in sostanza
abilita un’azienda ad operare nel settore medicale.
Senza questo Certificato, non si può ottenere un Certificato CE di Prodotto attinente
all’ambito dell’operato aziendale. In questo caso è il Certificato CE della linea
implantare.
Le norme che regolano l’autorizzazione alla produzione ed alla vendita di impianti
seguono quasi lo stesso iter di cui sopra.
Esistono diverse Norme ISO di riferimento, e in questo caso esiste anche
Letteratura Scientifica. L’azienda prepara un “fascicolo tecnico” che descrive tutte le
caratteristiche tecniche, produttive ed evidenze scientifiche atte a garantire che
l’impianto sia “sicuro” e non provochi “danni” al paziente. Lo stesso Fascicolo
Tecnico contiene anche tutte le regole e le definizioni dei documenti di registrazione
che seguono la produzione e il controllo affinché il primo impianto prodotto sia
identico al milionesimo e quindi, come il primo, sia “sicuro” e non provochi “danni” al
paziente.
Ma non solo. Il Fascicolo tecnico, che oltre a tutto DEVE essere validato e firmato
da un comitato di clinici ed esperti, contiene le argomentazioni, le dimostrazioni e le
validazioni di tutte le scelte effettuate. Tutto. Mi creda.
Non a caso per gli impianti RESISTA, il fascicolo tecnico è costituito da… 8 kg di
carta!
Dalla virgola scritta nel bugiardino al perché si usi il Titanio di Grado 4.> >
>
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L’elenco della nostra letteratura di riferimento è lungo 7 pagine (solo i titoli).>
L’elenco delle norme e delle leggi di riferimento è lungo 2 pagine (solo i titoli).
Per tornare al Titanio, solo per fare un esempio, la scelta è riferita a “tonnellate”di
letteratura di riferimento, a numerose prove meccaniche sotto stress (sei mesi) alla
validazione clinica e… alle scelte dei nostri competitors. Però non basta. Ogni volta
che produciamo un lotto di impianti, dobbiamo associare il certificato della
composizione della colata delle barre di titanio che abbiamo usato.
Quanto descritto, ripeto, vale per tutte le scelte effettuate: la connessione, la
filettatura, il trattamento della superficie, la decontaminazione, la sterilizzazione….
Queste regole sono assolutamente le stesse seguite e rispettate da chi nel rispetto
delle leggi opera eticamente e con scrupolo. Dalla Nobel, per citare la più nota a
chiunque altro immetta sul mercato una linea implantare.
Quello che ho scritto è solo un banale e succinto riassunto. Dietro, come penso
possa aver intuito, c’è un “mondo”.
Sappia comunque che tutto ciò è oggetto di severi e periodici controlli, e, mi creda,
Cermet non avrebbe nessun interesse a “tirare dritto” sulla severità. A sua volta,
l’operato di Cermet è monitorato e controllato da un Sovraente, Accredia, il quale, in
caso di loro manifesta omissione di controllo revocherebbe immediatamente a
Cermet il “patentino” di Ente Certificatore.
Passerei ora a chiarire qualche aspetto (Punto B) strettamente attinente alle scelte
effettuate in fase di progettazione della nostra linea impiantare.
Premetto infatti, che le ispezioni e le valutazioni degli ispettori sono volte soprattutto
a salvaguardare la salute del paziente e anche dal costringerci a mettere in atto
tutto quanto possibile per prevedere qualunque evento “avverso”.
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Quindi, la Certificazione, in sé e per sé non dà garanzie sulla Ergonomicità,
Economicità e Attualità del progetto.
Cerco di spiegarmi. Se paradossalmente il “Bamboo” fosse un materiale
biocompatibile con discrete proprietà meccaniche, in linea teorica potremmo
ottenerne la Certificazione.
In realtà, non può essere così. Sul Bamboo, non esiste straccio di letteratura, e la
validazione clinica sarebbe pressoché impossibile ed economicamente
svantaggiosa. L’ho detto per citare un paradosso.
Vediamo un altro esempio: se il nostro impianto richiedesse una sequenza
obbligatoria di 35 frese, sarebbe rifiutato da qualunque implantologo, ma
comunque, forse, avrebbe il proprio certificato CE.
Di fatto, il nostro progetto ha tutte le caratteristiche di cui sopra: Ergonomicità,
Economicità e Attualità del progetto. Unitamente al rigore ed al rispetto delle regole
dettate dalle leggi.
Non sono un abile venditore, ma sono assolutamente fiero e convinto del progetto
che io e i miei collaboratori abbiamo messo a punto.
Ciascuna delle scelte tecniche effettuate in fase di progettazione è ancorata a
solide basi di validazione scientifica e clinica.
Microgeometria della superficie, Macrogeometria, Connessione e prezzo di vendita
rendono veramente economica, ergonomica e moderna la nostra linea implantare.
Anche nel processo di aggiornamento e miglioramento continuo.
Tenga presente, che ormai, abbiamo oltre 150.000 impianti posizionati in tutto il
mondo.
La nostra grande differenza con le case più blasonate, è che il nostro cliente paga
solo ciò che compra.
Nessun euro devastato inutilmente in effetti speciali da circo, se non per offrire un
prodotto seguito con scrupoli maniacali durante la produzione per garantire il
massimo della qualità e una rete di vendita/assistenza con un livello di servizio a
mio avviso medio/alto. (Purtroppo ai costi di produzione Italiani…)
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Mastinu: Grazie, può dirmi qualcosa in più sul processo di sterilizzazione degli
impianti ? Noi utilizziamo tutte le best pratics sulla sterilizzazione, ben oltre i limiti
imposti dalla Legge. Ma quando gli impianti arrivano nuovi sono imbustati e in
quella fase dobbiamo poterci fidare del produttore.
Ingegner Issoglio: ottima domanda, alla quale rispondo con immenso piacere. Si
tratta di una fase alla quale teniamo moltissimo e di cui vado particolarmente fiero:
la decontaminazione e la sterilizzazione dei nostri impianti.
Un impianto durante la sua Trasformazione da Barra di Titanio a vite, ed il
successivo imballaggio, viene a contatto con numerosi materiali e sostanze che
potrebbero potenzialmente causare infezioni o comunque rallentare o causare il
fallimento del processo di osteointegrazione.
Come si ovvia a questo problema?
Come posso garantire che ciascun pezzo sia garantito come decontaminato e
sterile nel tempo?
Sorvolo sulla descrizione dei metodi di Decontaminazione e Sterilizzazione,
altrimenti
riempirei
diverse
pagine,
Validazione dei due processi di cui sopra.
ma
mi
soffermo
sulla:
Controllo continuo e periodico dei processi per garantire che ci sia continuità nel
risultato: ossia che tutti gli impianti siano decontaminati e sterili.
Prima di immettere sul mercato il primo impianto abbiamo appunto sottoposto i
campioni ad altre “prove di tipo” per misurare posteriormente la carica batterica
presente e generatasi durante la prova.
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Per verificare e validare se il metodo di imballaggio effettivamente garantisce
l’assenza di potenziali agenti infettivi e ne salvaguarda la probabile successiva
formazione.
Tutte le prove sono risultate positive e due volte l’anno abbiamo deciso di ripeterle
per monitorare la costanza del processo, oltre ai nostri controlli che vengono
effettuati con microscopio XPM.
Questo tipo di microscopi è in grado di evidenziare qualsiasi traccia di materiale
presente sulla superficie e determinarne la composizione atomica.
Ad esempio, durante le movimentazioni nelle varie fasi di produzione si usano
guanti speciali e pinzette esclusivamente in Titanio, se così non fosse, ne
troveremmo traccia immediatamente sulla superficie.
Quindi il nostro processo di decontaminazione garantisce l’assenza di qualsiasi
traccia residua sulla superficie.
Ovviamente neanche di origine batterica !
Il processo di sterilizzazione con irraggiamento a raggi gamma, garantisce lo
“sterminio” di qualsiasi forma di vita presente sulla superfice.
Quindi, ogni lotto ha la garanzia di essere stato sottoposto ai suddetti processi, e
periodicamente inviamo campioni ad un laboratorio specializzato che effettua un
test specifico per verificare l’assenza di tracce potenzialmente inquinanti e/o
microbiche sulla superficie. Inoltre sottopone gli impianti campioni ad un test
chiamato Bio-Burden, basato sul principio di “sporcare” la superficie dell’impianto
con un numero controllato di batteri e verificare dopo un determinato lasso di tempo
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se la colonia batterica ha trovato il terreno fertile per proliferare o è rimasta così
com’era. Contando letteralmente il numero di batteri presenti e confrontarlo con il
numero originale.
Quello che ho appena descritto, in parole veramente povere, si definisce come
attività di Validazione e Controllo del Processi di Decontaminazione e
Sterilizzazione.
In teoria dovrebbero farlo tutti i fabbricanti di impianti.
In realtà noi ne andiamo particolarmente fieri, in quanto, ogni volta che eseguiamo
dei controlli sulla concorrenza (analisi eseguite da terzi indipendenti) lo stato
superficiale dei nostri impianti è decisamente migliore degli altri. Anche di alcune
case molto più blasonate di noi.
Mastinu : Grazie Ingegnere, può dirmi qualcosa sulle differenze della certificazione
in Europa e negli Stati Uniti.
Ingegner Issoglio: In riferimento all’FDA, in base alla mia esperienza, non ci sono
grandi differenze di rigore rispetto alla Certificazione Ce
Anzi, teoricamente la burocrazia Americana è molto più pragmatica: si parla
direttamente con un Tecnico FDA che pone domande e richiede documentazione in
tempo
reale.
L’unica differenza è che, tendenzialmente sono molto protettivi, quindi per un
fabbricante non-USA, richiedono garanzie un pochino più restrittive.
Ad esempio: cosa succede se il fabbricante interrompe i rapporti con il suo
distributore locale negli Stati Uniti ? Come si garantisce il consumatore Americano
da questo potenziale problema ?
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Il processo FDA poi, è decisamente più costoso e comunque richiede l’appoggio e
la consulenza di professionisti Europei che abbiano un riferimento locale negli Stati
Uniti.
Però, quando me ne sono occupato io, nella fase finale di presentazione dei
documenti, ho potuto parlare direttamente con un tecnico FDA e con lui ho avuto
modo di spiegare ed integrare la documentazione inviata. (Per onestà, gli impianti
non sono registrati FDA, mi sono riferito alla nostra unità ad ultrasuoni che invece è
FDA
Certified)
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Riteniamo di averVi fornito utili chiarimenti sulla tematica delle certificazioni
di qualità ma soprattutto sui criteri in base ai quali scegliamo i nostri fornitori.
Non abbiamo ovviamente la presunzione di aver esaurito l’argomento. Ma ora
riteniamo che qualche idea in proposito Ve la siate potuta formare.
IN allegato, troverete tutti i certificati di conformità degli impianti che
inseriamo attualmente ai pazienti nella nostra clinica.
Odontoiatrica Roma Quattro
Clinica odontoiatrica Roma Quattro
Via Tuscolana, 10/12/14 – 00182 Roma
Tel. +39 06 45504550 – Fax +39 06 45504569
P.IVA: 10022481005
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Le certificazioni di qualità sugli impianti dentali