CRISI O MANIPOLAZIONE FINANZIARIA INTERNAZIONALE ? 1 • Excursus storico del debito • Debito dei nuclei familiari, delle imprese e degli Stati: il caso specifico dell’Italia e quello della Grecia • Vale la pena uscire dall’euro? • Chi può fallire ? Chi sono i creditori mondiali ? • Il ruolo ambiguo delle agenzie di rating • Il debito dal 1945 al 2000 ed i PAS • Il debito dal 2000 al 2012 • La crisi finanziaria internazionale minaccia l’Africa ed il franco CFA • Dalla “Primavera araba” a “Occupy Wall Street” • I mercati finanziari, strumento efficace di sviluppo ? 2 • Come uscire dalla crisi del debito ? EXCURSUS STORICO DEL DEBITO • Le tracce più antiche risalgono al 2400 a.C. • La crisi del debito di Atene sotto Solone nel 594 a.C. • Amnistia per i debitori ed i prigionieri nella stele di Rosetta • Ebrei, mussulmani e cattolici ed i prestiti • L’Inghilterra ed i banchieri fiorentini 3 LA STORIA DEL DEBITO (1) • Il debito non è un derivato della moneta, ma al centro delle relazioni sociali • Debito come aiuto reciproco • Regole religiose e convenzioni sociali • Comparsa della moneta (VII sec. a.C.) e nuove forme di indebitamento per soddisfare mercanti e sovrani • Impero Romano e Medioevo: la Chiesa proibisce l’usura 4 LA STORIA DEL DEBITO (2) • Sviluppo di rotte commerciali in Asia • Comparsa nel XIII secolo della lettera di cambio • Comparsa nel XIV secolo delle prime banche (Medici) • Banchieri, Papi e Sovrani: il debito reale è personale • Dal debito personale al debito pubblico 5 LA STORIA DEL DEBITO (3) • Moratorie dell’Inghilterra (1340, 1472) e insolvenze ripetute di Spagna e Francia • Dopo il 1815 crescita industrializzazione (ferrovie, miniere, siderurgia), abbondanza di capitali e sviluppo delle banche • Ricorso ad azioni ed obbligazioni • Le crisi finanziarie del XIX secolo, in media una per decennio: inflazione da credito, speculazione; boom dell’investimento; recessione 6 LA STORIA DEL DEBITO (4) • I capitali dell’Europa verso Turchia, Russia ed America Latina • Dipendenza dei rimborsi dei Paesi del Sud del mondo dalle loro esportazioni, condizionate dalla congiuntura dei Paesi del Nord • Crisi di indebitamento ed assoggettamento Stati debitori • Prima Guerra Mondiale ed abisso nelle finanze pubbliche europee 7 LA STORIA DEL DEBITO (5) • Consumo di massa ed indebitamento negli Stati Uniti: il crac del 1929 • Debito degli Stati periferici: nella prima metà anni 1930 America Latina ed Europa dell’Est non onorano i loro impegni • Recessione, politiche di rilancio e Seconda Guerra Mondiale fanno decollare il debito pubblico negli USA • Frammentazione in zone monetarie e sviluppo protezionismo 8 IL DEBITO DEI NUCLEI FAMILIARI (1) • Fra il 2000 ed il 2008 il debito di 10 economie sviluppate è cresciuto di 40.700 MDI di $ correnti, di cui: 1) 9.000 MDI delle imprese non finanziarie; 2) 10.800 MDI dei nuclei familiari (6.800 USA, 1.100 Gran Bretagna, 800 Spagna, …). • Fra il 2000 ed il 2006 negli USA il portafoglio dei prestiti immobiliari è passato da 4.800 a 9.800 MDI di $ (di cui 1.170 per crediti “subprime”) 9 IL DEBITO DEI NUCLEI FAMILIARI (2) • La bolla immobiliare, causa e conseguenza dell’imballarsi dei debito • L’aumento dei prezzo degli immobili ha permesso nuovamente di indebitarsi e negli Usa anche di aumentare il credito al consumo • I salari sono cresciuti meno della produttività • Sono aumentate le diseguaglianze fra ricchi e poveri 10 IL SUPERINDEBITAMENTO DEI NUCLEI FAMILIARI (1) • 229.964 pratiche di superindebitamento depositate in Francia fra settembre 2010 ed agosto 2011 (+5,5% rispetto un anno prima) • Nel 2010 l’ammontare medio era di 34.500 euro di debito pro capite, con 10 debiti per pratica • I debiti erano essenzialmente verso le banche (83%), mentre il resto per spese correnti: alloggio, energia, sanità, alimentazione, … • L’indebitamento delle famiglie evidenzia problemi di diseguaglianze e necessità di ridistribuzione degli introiti 11 IL SUPERINDEBITAMENTO DEI NUCLEI FAMILIARI (2) • Il debito bancario era principalmente per crediti al consumo (il 65% dell’indebitamento totale) • In alcuni casi consumatori irresponsabili ed accesso facilitato al credito, spesso invece a causa crisi, disoccupazione, lavori saltuari, … Profilo tipico: donna fra i 45 ed i 54 anni, separata o divorziata, disoccupata, che vive sola in alloggi di cui è affittuaria. In dieci anni sono raddoppiati coloro che hanno più di 55 anni. 12 IL SUPERINDEBITAMENTO DEI NUCLEI FAMILIARI (3) • Spesso il superindebitamento deriva da una diminuzione degli introiti • Fra i crediti al consumo i “revolving credits” crediti rinnovabili)(secondo la Banque de France implicati nell’82% dei dossier esaminati dalle commissioni di superindebitamento) sono spesso presi di mira: il volume di credito si ricostituisce secondo i rimborsi effettuati; i tassi, però, variano fra il 15% ed il 20%, soglie molto vicine ai tassi d’usura; la legge Lagarde in Francia del maggio 2011 sul credito al consumo ha limitato eccessi ed abusi ed inquadrato la 13 pubblicità. IL DEBITO DELLE IMPRESE • L’indebitamento è al centro dell’attività delle imprese: prestiti bancari, azioni ed obbligazioni • La crisi iniziata nel 2007 ha fatto cessare il finanziamento facile: i mercati azionari si sono sgonfiati ed i meccanismi d’indebitamento inceppati • Il debito è servito per incrementare dividendi, ma all’arrivo della crisi la stretta creditizia ha danneggiato le imprese, minandone la sopravvivenza 14 IL DEBITO DEGLI STATI (1) • Quando uno Stato è troppo indebitato? Il Rischio Paese (capacità di rimborso di uno Stato) • Elementi oggettivi: livello di Sostenibilità (livello massimo del debito che un Paese può rimborsare); tasso di crescita dell’economia e tasso di interesse dei prestiti; ammontare del debito; eccedenza primaria di bilancio. 15 IL DEBITO DEGLI STATI (2) • Elementi soggettivi: stimare la capacità economica e politica di un Paese di ridurre il disavanzo ed aumentare la crescita; stimare come evolve il consumo ed il risparmio in funzione della variazione di introiti e di imposte; stimare come gli scambi esteri reagiranno alla variazione dei tassi di cambio. 16 IL DEBITO DEGLI STATI (3) • Nel corso degli anni 1990 il FMI ha calcolato la parte dei debiti rimborsabile del Sud del mondo • Sovrastima delle capacità di rimborso del Sud per limitare l’annullo dei debiti che i Paesi del Nord avrebbero dovuto sopportare • Pareri diversi fra gli economisti ed impossibilità di trovare una regola universale per stimare la sostenibilità del debito 17 IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (1) • Il debito pubblico si forma perché le spese dello Stato sono maggiori delle sue entrate (il deficit pubblico) • Nei Paesi industrializzati, a partire dagli anni 1960, la spesa pubblica è cresciuta • Se anche le imposte sono cresciute, i debiti sono stati contenuti • La spesa pubblica si divide in spesa per Stato minimo (cioè per polizia, magistratura, esercito, …) e per lo Stato sociale (istruzione, sanità, …) 18 IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (2) • La spesa per lo Stato minimo è rimasta circa invariata, quello per lo Stato sociale è esplosa • L’Italia ha speso più di quanto incassava fino a prima dell’ultimo governo Andreotti. • Attorno al 1990 c’è stato pareggio a livello di saldo primario (cioè prima di defalcare gli interessi), cioè il bilancio dello Stato non ha generato un nuovo deficit • Da allora il saldo primario è stato circa in pareggio e pertanto il deficit è cresciuto per gli interessi sul debito accumulato 19 IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (3) • La crescita economica (variazione del PIL) è sempre stata abbastanza limitata ed il rapporto debito/PIL abbastanza costante • Nel biennio 2008-2009 il rapporto è cresciuto perché il PIL è crollato • Il debito pubblico totale è come l’acqua di una vasca da bagno che viene alimentata dal flusso di un rubinetto • Se guardiamo i debiti pubblici staticamente (solo la vasca da bagno), l’Italia è in condizioni pessime 20 IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (4) • Se giudichiamo i debiti pubblici dinamicamente (la velocità di crescita dell’acqua, ossia il flusso del rubinetto), la situazione italiana risulta invece migliore di quella di altri Paesi • Gli allarmi sulla situazione italiana di solito guardano solo al debito staticamente • Il debito italiano è vulnerabile: per mancanza di una moneta propria; per investimenti di operatori passivi (fra cui fondi comuni, fondi pensione, assicurazioni). 21 IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (5) • I danni provocati al debito della Gran Bretagna (che ha una propria moneta), rispetto a quello italiano, sono stati inferiori: la Banca Centrale Inglese può comprare il debito; la liquidità resta imbottigliata nel mercato britannico, il debito in sterline non cambia di entità e non si contrae la liquidità britannica. • Gli euro del debito italiano, invece, non restano necessariamente in Italia e per trattenere la liquidità il nostro Paese ha dovuto offrire rendimenti sempre maggiori (lo spread) 22 IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (6) • Il differenziale di rendimento (spread) dipende: dalla nostra liquidità (che evapora se la politica economica è considerata poco efficace); dai minori acquisti degli investitori passivi, se andiamo bene. • Fino alla primavera del 2011 il debito italiano non era considerato a rischio, rispetto a quanto si é verificato nella seconda metà dell’anno • Dal momento che il debito pubblico della zona euro non è in comune, la caduta di credibilità dell’Italia ha avuto effetti devastanti 23 IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (7) • Gli investitori passivi comprano il debito della zona euro in indici (cioè secondo i pesi dei debiti di ciascun Paese) • Il debito italiano è cresciuto meno di quello degli altri Paesi dell’area euro (perché i nostri deficit sono stati contenuti) e pertanto è stato comprato meno dagli investitori passivi • Il nostro bilancio pubblico è sanabile, ma è in discussione chi dovrà sopportarne gli oneri 24 IL CASO GRECIA (1) • Alcune tappe della sua storia recente: alla fina della 2° Guerra Mondiale il piano Marshall e la ricostruzione offrirono al Paese alcuni decenni di espansione economica; nel 1952 entrò nella NATO, vivendo nell’orbita di Washington; la sua sovranità era solo formale e la vita democratica, dominata dalle famiglie Caramanlis e Papandreu, restò caotica e violenta; in aprile 1967 i militari di Papadopulos presero il potere ed abolirono la Costituzione; nel 1974 ritornò la democrazia; 25 IL CASO GRECIA (2) il 1° gennaio 1981 (nonostante la Grecia fosse disorganizzata, la sua democrazia non consolidata e non avesse frontiere con gli altri Stati membri) entrò nella CEE, una decisione politica di portata simbolica; dal 1982 i vari governi della Grecia hanno avuto una gestione demagogica, l’aiuto europeo (che ha fatto vivere il Paese nell’illusione di finanziamenti inesauribili e consumi a credito) è stato molto generoso e, per ragioni elettorali, la spesa pubblica è aumentata molto più della crescita; nel 1992 la Grecia firmava il trattato di Maastricht che prevedeva l’adozione di una moneta unica; 26 IL CASO GRECIA (3) anche se la Grecia non rispettava nessuno dei criteri di convergenza stabiliti nel trattato ed il suo debito pubblico nel 2001 era 107% del PIL (lontano dal 60% autorizzato!), fu ammessa nella zona euro. • A causa del drammatico degrado della situazione economica e sociale in Grecia e del suo debito (ereditato dalla dittatura, legato ai Giochi Olimpici del 2004 ed a massicci acquisti di materiale militare) le sono state imposte misure che ricordano i “Piani di Aggiustamento Strutturale” (PAS) imposti ai Paesi africani negli anni 1980 27 28 29 30 31 VALE LA PENA USCIRE DALL’EURO ? (1) • Cosa succederebbe se l’Italia tornasse alla lira? gli investitori (esteri, ma anche italiani) sarebbero obbligati a sopportare almeno una parte della riduzione del debito, senza caricarla tutta sulle spalle dei contribuenti; con il risparmio (derivante da minori interessi da pagare) si potrebbero fare gli investimenti necessari per il nostro Paese; l’Italia sarebbe nuovamente libera di svalutare la propria moneta ed aiutare le imprese ad esportare. 32 VALE LA PENA USCIRE DALL’EURO ? (2) • I trattati non prevedono un’uscita dall’euro e secondo l’art. 50 del “Trattato di Lisbona”, “ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione” • Nessuna menzione viene fatta della possibilità di uscire dall’euro ma non dall’Unione Europea • Non ci sono precedenti storici a cui aggrapparsi, anche se c’è stata la dissoluzione dell’area del rublo (dopo la caduta URSS) o la crisi argentina 33 VALE LA PENA USCIRE DALL’EURO ? (3) • Tra il 1999 ed il 2002 l’Argentina (la cui sovranità monetaria era limitata e legata alla politica monetaria USA), oberata dai debiti e da una bilancia dei pagamenti negativa, decise di rompere la parità di cambio fisso del peso con il dollaro e lasciar svalutare il peso • Vantaggi di uscire dall’unione monetaria: iniziale bancarotta sul debito, anche ridenominandolo nella nuova valuta il suo peso diventerebbe insostenibile, ma poi riacquisto credibilità internazionale, libertà di spesa, …; merci esportate più competitive; recupero sovranità monetaria. 34 VALE LA PENA USCIRE DALL’EURO ? (4) • Ma ci sarebbero anche notevoli svantaggi, fra i quali: costo della bancarotta (più alta è la % di debito non ripagato, più alto è lo spread): in Italia colpirebbe i detentori del debito pubblico (banche nazionali e piccoli risparmiatori); corsa alle banche: i depositanti, per proteggere il potere d’acquisto dei loro risparmi, si affretterebbero a ritirarli e portarli all’estero, danneggiando la liquidità delle banche con possibilità di bancarotta; contagio degli altri Stati europei, in particolare i PIGS; maggiore competitività? L’Italia è fortemente dipendente dall’estero per la fornitura di materie prime (che diventerebbero più care), si richiederebbe aumento salari con rialzo dei prezzi dei prodotti esportati, oltre a ritorsione di altri Paesi euro, considerando sleale la nostra svalutazione 35 36 CHI PUO’ FALLIRE ? (1) • Un’impresa può essere insolvente, una persona super indebitata, ma uno Stato non può essere messo in liquidazione • Il fallimento dell’impresa: sua scomparsa e sanzioni verso dirigenti e soci • Per gli individui non c’è fallimento, ma per esempio in Francia ai super indebitati si può dare una seconda possibilità 37 CHI PUO’ FALLIRE ? (2) • Uno Stato può cessare i pagamenti, non rimborsare i debiti, ma non può scomparire come un’impresa • Nel XIX secolo, quando uno Stato era insolvente, si ricorreva alla tecnica della cannoniera, invadendo il Paese per proteggere i propri interessi ( clamoroso fu nel 1903 il caso del Venezuela di Cipriano Castro, Paese insolvente contro il quale Germania e Gran Bretagna (ed anche l’Italia che si accodò) inviarono le loro corazzate, imponendo un blocco navale. 38 39 CHI PUO’ FALLIRE ? (3) • Fino a metà degli anni 1980 i creditori non pagati da uno Stato si rivolgevano a tribunali, spesso sostenuti dai loro governi • Dal 2000, se un Paese ha gravi difficoltà e non riesce a far fronte ai propri impegni, Stato e creditori trattano per rinegoziare o ristrutturare il suo debito • I creditori si devono accordare secondo “clausole d’azione collettiva”, che dal 2013 saranno operative per tutti i Paesi dell’area euro 40 CHI SONO I CREDITORI MONDIALI ? (1) • 270.000 MDI di $ costituiscono (Crédit Suisse) la ricchezza globale detenuta nel mondo • La ricchezza è sempre più concentrata nelle mani di pochi, sempre più numerosi nei Paesi emergenti • Nel 2011, 30 ML di individui (molti in Cina ed India) possedevano patrimoni maggiori di 1 ML di $ • Per l’80% i milionari provengono comunque dal Nord America, dall’Europa e dal Giappone, le regioni più indebitate del mondo 41 CHI SONO I CREDITORI MONDIALI ? (2) • Il debito privato dei Paesi più ricchi rappresenta l’88% del loro PIL, mentre quello dei Paesi meno agiati non raggiunge il 20%: più si è ricchi, più ci si indebita! • Il forte sviluppo dei Paesi emergenti ha favorito la nascita di una classe media, il cui risparmio finanzia il debito dei Paesi del Nord • Meno della metà della ricchezza mondiale è immobiliare, il resto si ripartisce equamente fra depositi, titoli ed assicurazioni (patrimonio mobiliare) 42 CHI SONO I CREDITORI MONDIALI ? (3) • Le obbligazioni internazionali sono principalmente di Stati Uniti e Paesi europei, detenute totalmente da investitori istituzionali: Fondi Pensione, Fondi di Investimento, Assicurazioni • Tali investitori istituzionali nel 2010 possedevano 80.000 MDI di $ di attivi • Più della metà di debiti della zona euro è detenuta da non residenti • Fra i primi dieci creditori degli Stati Uniti, ben otto sono economie emergenti (Cina in testa) 43 • Excursus storico del debito • Debito dei nuclei familiari, delle imprese e degli Stati: il caso specifico dell’Italia • Vale la pena uscire dall’euro? • Chi può fallire ? Chi sono i creditori mondiali ? • Il ruolo ambiguo delle agenzie di rating • Il debito dal 1945 al 2000 ed i PAS • Il debito dal 2000 al 2012 • La crisi finanziaria internazionale minaccia l’Africa • Dalla “Primavera araba” a “Occupy Wall Street” • I mercati finanziari, strumento efficace di sviluppo ? • Come uscire dalla crisi del debito ? 44 RUOLO AMBIGUO DELLE AGENZIE DI RATING (1) • La crisi dei “subprime” e soprattutto quella dei debiti pubblici europei hanno messo in primo piano le agenzie di rating • Create all’inizio del XX secolo negli Stati Uniti, (Standard & Poor’s, Moody’s, Fitch, …) hanno un ruolo chiave per stabilire la credibilità di chi chiede prestiti • Dagli anni 1970 chi chiedeva prestiti (ed anche le banche d’affari) si rivolgeva a loro per rafforzare la propria reputazione 45 RUOLO AMBIGUO DELLE AGENZIE DI RATING (2) • Dall’inizio anni 1980 (governo Reagan) gli USA hanno aperto le porte al risparmio estero per finanziare i loro deficit pubblici, seguiti da altri Paesi, e le agenzie di rating hanno aumentato ulteriormente il loro potere • Spesso le agenzie di rating sono state criticate, perché: coinvolte in conflitti di interessi, essendo pagate da chi chiede prestiti; negli anni 2000 hanno avallato prodotti finanziari tossici (il caso della società Enron, fallita nel 2001); hanno grossi poteri, ma nessuna responsabilità; invece di lanciare segnali d’allarme, creano il panico. 46 IL DEBITO DAL 1945 AL 2000 (1) • Alla fine della Seconda Guerra Mondiale il debito internazionale cambiò di taglia e di natura • Accordi di Bretton Woods (1944): Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale • Dal “Gold Standard” al “Dollar Standard” • Agli inizi degli anni 1960 i Paesi in via di sviluppo (PVS) erano finanziati da flussi pubblici • 1971: inconvertibilità dei dollari in oro 47 IL DEBITO DAL 1945 AL 2000 (2) • Inizi anni 1980: il FMI si trasforma per sostenere Paesi indebitati • Choc petrolifero 1973-1974 e 1979: la manna finanziaria dei petrodollari • Prestiti in massa ai PVS e crescita debiti esteri: dai 70 MDI di $ nel 1970 ai 537 MDI di $ nel 1980 • Per imbrigliare inflazione, stretta creditizia Banca Centrale e tassi interesse alle stelle 48 IL DEBITO DAL 1945 AL 2000 (3) • Recessione al Nord e influsso negativo sulle esportazioni del Sud • Arrivo al potere di dirigenti liberali (Thatcher e Reagan), deregulation e cessazione interventi degli Stati nell’economia • 1980 -1982 numerosi Paesi latino- americani ed africani impossibilitati a rimborsare i debiti • Negoziazioni e piani di aggiustamento strutturale del FMI: svalutazioni, tagli spesa pubblica, privatizzazioni 49 IL DEBITO DAL 1945 AL 2000 (4) Le trasformazioni dei debiti dei Paesi del Sud del mondo Flussi annui lordi di entrate di capitali, in MDI di dollari correnti 50 IL DEBITO DAL 1945 AL 2000 (5) • Sempre più flussi privati per finanziare il debito a lungo termine dei Paesi del Sud • Cambiano i rapporti fra creditori e debitori e si privilegiano rendimenti rapidi • Se cresce il rischio, i titoli di credito vengono ceduti • Crisi asiatica del 1997 a causa infatuazione suscitata presso gli investitori e deregulation non controllata • Uno sguardo ai Piani di Aggiustamento Strutturali imposti dal FMI è opportuno 51 I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (1) • Negli anni 1970, con la crisi del petrolio, ci fu un notevole afflusso di petrodollari. Alla ricerca di sbocchi di mercato, furono prestati in modo molto liberale soprattutto ai Paesi africani • Il loro debito (pubblico e privato) crebbe enormemente, finanziando tanto l’economia reale quanto “cattedrali nel deserto” e spese pubbliche fuori controllo • La svolta nei tassi di interesse a metà anni 1970 fece esplodere il servizio del debito, il quale divenne la prima posta nelle spese dello Stato. Con la crisi finanziaria del Messico (1994-1995) si rischiò il fallimento del sistema finanziario internazionale 52 I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (2) • Nonostante l’ammontare dei loro debiti (quasi essenzialmente pubblici) fosse irrisorio (in valori assoluti), i Paesi africani furono obbligati a ridurre drasticamente i loro deficit, altrimenti in futuro non avrebbero più ottenuto prestiti • I PAS degli anni 1980 furono la pozione amara inflitta al paziente: taglio della spesa pubblica; licenziamenti nella funzione pubblica; riduzione dei salari; soppressione delle sovvenzioni; ….. 53 I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (3) • Per completare il quadro si impose anche: una liberalizzazione selvaggia, come obbligava il dogma neoliberale, sottoponendo economie fragili alla concorrenza internazionale; la proibizione di dazi all’importazione, misura protezionista che finanziava una buona parte della spesa pubblica. • Gli effetti di tale strategia sono oggi ben noti: le entrate dello Stato affondarono e quindi anche la capacità di rimborsare; i salari o non vennero pagati o furono onorati soltanto con forti ritardi; la funzione pubblica si indebolì per riduzione degli organici; numerose imprese furono obbligate a chiudere, minando alla base lo sviluppo dell’industrializzazione e causando un’esplosione del settore informale e della povertà. 54 I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (4) • Va anche aggiunto che: la sanità divenne a pagamento, escludendo una parte crescente della popolazione; l’educazione affondò, con conseguenze drammatiche e cumulative: i giovani di oggi hanno spesso avuto insegnanti scarsamente preparati formati in quel periodo; i PAS, invece di rilanciare l’economia, l’hanno strutturalmente indebolita: riducendo la domanda interna; favorendo l’invasione di prodotti stranieri. 55 I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (5) • Le élite locali, immobilizzate fra movimenti sociali (scioperi a ripetizione, nella funzione pubblica e nell’insegnamento) ed il diktat delle istituzioni internazionali per ottenere prestiti: furono obbligate a rinunciare ad ogni progetto politico; si posizionarono come beneficiari degli aiuti. • Essendo i budget convalidati da Washington: si indebolirono élite politiche e ruolo dei Parlamenti, condizionando scelte politiche e dibattito democratico; esplose la corruzione, tanto quella minuta (per ritardi nel pagamento dei salari) quanto quella più consistente. 56 I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (6) • Dieci anni dopo (anni 1990), riscontrando gli effetti disastrosi dei PAS in campo sociale, si tentò un ”aggiustamento strutturale dal volto umano”, sovvenzionando dall’estero un minimo di servizi sociali • Vent’anni dopo (anni 2000), restando il servizio del debito sempre molto consistente, si dovette optare per la cancellazione dei debiti • Il servizio del debito, naturalmente, diminuì, ma restarono presenti gli effetti dei PAS: diseguaglianze, povertà e voglia di emigrare dei giovani • Il tasso di crescita di un 6%-7% dell’Africa (considerato quello di decollo) è derivato esclusivamente dall’impennata del prezzo delle materie prime esportate, senza effetti indotti in termini di redistribuzione, di salari e di riduzione della povertà 57 I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (7) • Il contesto è oggi molto diverso e diverse sono anche le cause dell’indebitamento • I Paesi africani hanno una forte crescita demografica, mentre il livello d’industrializzazione resta molto scarso • Le responsabilità dei Paesi occidentali verso la situazione dell’Africa sono notevoli, ma anche le élite locali hanno fatto la loro parte: clientelismo e neopatrimonialismo sono tutt’altro che secondari nel debito africano! • I conti pubblici della Grecia sono stati truccati, ma cause similari a quelle dei Paesi africani hanno prodotto gli stessi effetti. Le politiche di austerità imposte per sanare il bilancio non potrebbero uccidere il paziente? 58 59 IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (1) • Quattro episodi dello stesso romanzo: 1)2007: la crisi del credito immobiliare statunitense, i “subprime” 2)Settembre 2008: crisi bancaria e fallimento Lehman Brothers 3)Crisi economica, recessione e massicci interventi pubblici 4)2009-2011: dal debito privato verso il debito pubblico 60 IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (2) Due interrogativi: 1) Come la crisi si è spostata da un mercato e da un continente all’altro? 2) Per quale motivo ci sono così tanti debiti che non si riesce ad assorbire? 61 IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (3) • Tutto è iniziato (negli Stati Uniti ed in Europa) con l’esplosione dei prezzi degli alloggi nel decennio precedente la crisi • L’indebitamento dei nuclei familiari (influenzato dalla crescita di valore degli immobili) è salito alle stelle • Condizioni monetarie e finanziarie favorevoli (credito a buon mercato in USA ed Europa e bassi tassi di interesse) ed il caso della “bolla Internet” 62 IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (4) • Lo sviluppo del credito al consumo negli USA per evitare la recessione • Paesi emergenti (in particolare Cina) si sono inseriti nel commercio mondiale, inondando i mercati con prodotti a bassi prezzi • Non c’è stata inflazione ed i tassi a lungo termine non sono cresciuti 63 IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (5) • Per ancorare le varie monete al dollaro e per la possibilità di investimenti liquidi e senza rischi, soprattutto verso gli Stati Uniti converge il risparmio di: Germania e Giappone, tradizionalmente esportatori di risparmio; Paesi petroliferi, che usufruiscono dell’impennata dei corsi del petrolio; Paesi del sud-est asiatico (fra cui la Cina), che dopo la crisi del 1997 perseguono uno sviluppo trainato dalle esportazioni. 64 IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (6) La cartolarizzazione I prestiti accordati dalle banche a nuclei familiari in situazione finanziaria precaria: 1)vengono trasformati in titoli di credito (come le obbligazioni degli Stati più solidi); 2)vengono ceduti ad una società ad hoc che li acquista emettendo titoli sui mercati; 3)escono dal bilancio della banca ed il rischio viene trasferito a vari investitori. 65 IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (7) • Alla vigilia della crisi, nel 2006, i crediti immobiliari “subprime” costituivano circa 1/3 dei crediti cartolarizzati • Con la cartolarizzazione il mestiere delle banche è cambiato: non accompagnano i mutuatari ma cedono il rischio • Alla nascita dell’euro c’era stata un’unione monetaria, ma non politica 66 IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (8) • Nell’area euro si è tentato di far convergere tassi di interesse a lungo termine in Paesi con diversi ritmi di crescita dei prezzi • Tassi di inflazione diversi nei Paesi della zona euro • Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna (i PIGS) per anni hanno beneficiato di tassi di interesse reali negativi (inferiori all’inflazione) che li hanno invogliati ad indebitarsi 67 IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (9) • Il deficit estero dei PIGS (non in valore assoluto ma in proporzione) è aumentato molto più di quello degli USA • Il bisogno di finanziamento è stato coperto da altri Paesi della zona euro (principalmente Germania): la zona euro era in equilibrio • Essendo i vari attori collegati fra loro, la crisi immobiliare USA del 2006 è arrivata alle banche europee, paralizzando il sistema 68 IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (10) • Crisi di liquidità, razionamento del credito e recessione economica mondiale • Per fronteggiare le inadempienze degli attori privati, i poteri pubblici si sono mobilitati • Le banche centrali hanno fornito liquidità alle banche in modo quasi illimitato • Le finanze pubbliche hanno salvato le banche ed i debiti pubblici sono andati alle stelle: nel 2011 quelli dei Paesi avanzati hanno raggiunto il 100% del PIL, 30 punti in più rispetto a 4 anni prima! 69 IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (11) • I poteri pubblici hanno preso su di sé una parte dei debiti privati eccessivi ereditati dagli anni prima della crisi, ma era necessario che: i bilanci bancari fossero effettivamente ripuliti dai crediti dubbi (titoli tossici); lo Stato ispirasse fiducia ai suoi creditori (l’indicazione dello spread). • In caso contrario il contagio si sarebbe diffuso, come nel 2009, quando la Grecia dichiarò il disastro delle sue finanze 70 IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (12) • Come si stanno comportando i vari Stati da due anni? rifilano i titoli tossici ad altri Stati, ma ogni Stato è responsabile dei propri debiti: fanno riacquistare il debito dalla Banca Centrale (Stati Uniti e Gran Bretagna); default dello Stato, ma con mercati finanziari integrati le conseguenze sono disastrose. • Invece di calmare la febbre, i piani di salvataggio proposti la attizzano, propagando il contagio • La crescita dell’indebitamento dovrebbe stimolare la messa in discussione del modello di crescita e degli effetti disastrosi provocati sull’occupazione 71 LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (1) • La crisi finanziaria mondiale sta minacciando di far precipitare, a breve scadenza, milioni di africani nella miseria ed attizzare i conflitti nel continente • La recessione in atto si sta ripercuotendo sull’Africa attraverso: caduta degli scambi commerciali; diminuzione delle rimesse degli emigranti (-6,3% a livello mondiale); contrazione degli investimenti stranieri; diminuzione degli aiuti. 72 LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (2) • Negli anni scorsi l’Africa era rimasta al riparo dalle follie finanziarie occidentali, perché le banche africane (autoctone o filiali di grandi reti): non avevano comprato o venduto titoli finanziari tossici alla base dei subprime USA; non erano nemmeno esposte, come quelle statunitensi, all’impossibilità di rimborsi di prestiti (soprattutto immobiliari). • Il continente africano era riuscito a resistere allo shock finanziario, ma i prestiti erano diventati più rari e più cari 73 LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (3) • Il flagello può invece ora colpire la crescita delle economie africane, ipotecando il futuro, poiché: nei Paesi occidentali la domanda di manufatti da parte del Sud del mondo sta diminuendo; i Paesi occidentali stanno importando meno materie prime (in particolare petrolio) a causa della recessione. • I prezzi delle materie prime agricole, invece, non dovrebbero subire grosse variazioni, ma l’Africa in particolare è sottoposta a: accaparramento di terre fertili (da parte di cittadini nazionali e soprattutto imprese straniere) per: produrre alimenti destinati all’esportazione (riso per Arabia Saudita, ortaggi per il Qatar, …); produzioni agricole per ottenere agro carburanti. 74 LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (4) • Salvo per alcuni Paesi sconvolti da conflitti, le economie africane da circa un decennio hanno continuato a crescere, guardando con un po’ di commiserazione un’Europa che si sta dibattendo in preda alla crisi dei debiti sovrani e che tante volte ha voluto darle lezioni di buona gouvernance • Oggi è l’Europa che deve passare sotto le forche caudine del FMI, sottostando a piani di austerità sempre più severi • I mercati e gli investitori non hanno fiducia nella Zona euro e potrebbe avvicinarsi il tempo nel quale saranno esperti africani ad insegnare all’Europa come non sprecare denaro 75 LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (5) • Purtroppo l’Africa attuale non è immune dalle conseguenze della crisi internazionale: la Banca Africana dello Sviluppo (BAD) ha stimato che una riduzione di un punto di crescita del PIL europeo si tradurrebbe: nella riduzione del 10% degli introiti da esportazione per l’Africa; in una riduzione di mezzo punto di crescita del PIL africano. 76 LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (6) • La crisi europea può contaminare l’Africa attraverso tre canali: il calo delle esportazioni potrebbe asfissiare i Paesi africani che dipendono dalle economie sviluppate per la vendita di minerali (Zambia, Zimbabwe, Mauritania, Guinea), di idrocarburi (Nigeria, Angola, Algeria, Libia, Sudan) o per il turismo (Tunisia, Isola Maurizio, Marocco, Senegal); una stretta creditizia sui mercati finanziari del Nord si tradurrebbe automaticamente in uno shock del credito in Africa, la cui rete bancaria in buona parte appartiene ad istituti europei; le strette di bilancio ed il rallentamento delle economie sviluppate renderebbero più rare le fonti di finanziamento per l’Africa: aiuti pubblici, investimenti esteri e rimesse degli emigranti. 77 LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (7) • Per contrastare queste disgrazie è necessario che l’Africa: si sforzi di diversificare le sue esportazioni, per non dipendere soltanto da alcune materie prime; diversifichi i mercati, giocando la carta degli scambi regionali (come si verifica già in Africa orientale); si affidi maggiormente ai Paesi emergenti (Cina, India, Brasile, …)(che oggi coprono circa il 40% del commercio africano), la cui crescita resterà più elevata di quella dei Paesi industrializzati. 78 LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (8) • Agli inizi del 2012 la Banca Mondiale ha rivisto al ribasso la prospettiva di crescita nel 2012 dell’economia mondiale (2,5%) • In un contesto difficile, solo l’Africa sub-sahariana resiste (PIL previsto del 5,3%, contro 4,9% nel 2011), mentre il Nord Africa ed il Medio Oriente sono ancora influenzati dagli effetti della “Primavera araba” • Dall’agosto 2011 la crisi dell’Europa sta contagiando i Paesi emergenti, la cui crescita sta anche rallentando per effetto delle politiche anti-inflazionistiche che hanno adottato, accrescendo i potenziali danni per gli altri Paesi del Sud del mondo • Uno sguardo alla zona africana del franco CFA è opportuna 79 IL FRANCO CFA (1) • Il franco CFA è la moneta utilizzata in due Unioni Monetarie da 14 paesi africani, ex colonie francesi (eccetto Guinea Equatoriale, ex-colonia spagnola e Guinea-Bissau, ex-colonia portoghese) • Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo, sono riuniti in “Unione Economica e Monetaria dell’Africa Occidentale” (UEMOA), • Camerun, Repubblica Centroafricana, Repubblica del Congo, Gabon, Guinea Equatoriale e Ciad, sono riuniti nella “Comunità Economica e Monetaria dell'Africa Centrale” (CEMAC). 80 81 IL FRANCO CFA (2) • Il Franco CFA fu creato come il Franco CFP il 26 dicembre del 1945, al momento della ratifica da parte della Francia degli accordi di Bretton Woods, con un cambio fisso rispetto al Franco Francese (oggi all’euro). A quei tempi la sigla indicava il franco delle Colonie Francesi Africane • Esistono oggi due nomi distinti per il franco CFA, ad evidenziare la divisione della zona in due aree monetarie: la prima ha come istituto di emissione il “Banco Centrale degli Stati dell’Africa Occidentale” (BCEAO); la seconda il “Banco degli Stati dell’Africa Centrale”(BEAC); le rispettive valute non sono intercambiabili. ,82 IL FRANCO CFA (3) • Gli accordi vincolanti i due istituti centrali con le autorità francesi sono identici e prevedono le seguenti clausole: un tipo di cambio fissato alla divisa europea (al 18.1.2009 , 100 CFA = 0,15 euro); piena convertibilità delle monete con l'euro garantita dal Tesoro francese (e non dalla Banca Centrale Europea); fondo comune di riserva di moneta estera a cui partecipano tutti i paesi del CFA (almeno il 65% delle posizioni in riserva depositate presso il Tesoro francese, che si fa garante del cambio monetario); in contropartita alla convertibilità era prevista la partecipazione delle autorità francesi nella definizione della politica monetaria della zona CFA. 83 IL FRANCO CFA (4) • Malgrado due banche centrali, la politica monetaria della zona CFA si gioca comunque a Francoforte. Quali conseguenze e quali opportunità nella crisi del debito sovrano nella zona euro? • Tre canali di trasmissione inquietano a breve termine: il commercio estero. Le esportazioni della zona verso l’Europa sono più di 1/3 del totale e la contrazione della domanda europea sta incidendo sugli introiti africani; le rimesse dei migranti, influenzate dai consumi e dalla disoccupazione record (specialmente in Spagna, 23% alla fine 2011); la restrizione ed il rincaro del credito da parte delle banche francesi, molto presenti nella zona, che compromettono lo sviluppo del settore privato. 84 IL FRANCO CFA (5) • Deprezzamento dell’euro ed elevato ammontare delle importazioni di materie prime complicano l’equilibrio macroeconomico dei Paesi della zona CFA • L’euro ha acquisito nuovo vigore ad ogni accordo sulla Grecia fra aprile 2011 e marzo 2012, ma si è deprezzato di circa il 15% rispetto al dollaro • L’ancoraggio del franco CFA all’euro ed il deposito obbligatorio dell’80% delle riserve di cambio dell’area CFA presso un conto gestito dal Tesoro francese determinano un suo deprezzamento in concomitanza con quello dell’euro 85 IL FRANCO CFA (6) • Il deprezzamento dell’euro aumenta l’entità del debito estero dei Paesi della zona CFA qualora sia in monete diverse dall’euro (dollaro, yen, yuan), appesantendo il servizio del debito • Nonostante il rallentamento economico mondiale, i prezzi delle materie prime restano elevati, in particolare quelli di prodotti per i quali l’area è importatrice netta, come il petrolio ed i cereali (per Senegal) • La crescita dei prezzi dei prodotti alimentari nel 2007-2008 ha avuto conseguenze disastrose • In considerazione della contrazione della domanda europea e del deprezzamento dell’euro, i Paesi CFA potrebbero rilanciare la propria competitività, integrandosi maggiormente a livello regionale 86 DALLA “PRIMAVERA ARABA” A “OCCUPY WALL STREET” (1) • In Tunisia ed Egitto le condizioni di vita delle popolazioni in questi ultimi anni si sono aggravate, portando a proteste sociali represse molto duramente • In Tunisia una reazione massiccia ha rapidamente assunto una dimensione politica, il popolo ha riempito le piazze, affrontando la repressione e chiedendo la partenza del dittatore Ben Alì, che ha dovuto andarsene il 14 gennaio 2011 • A partire dal 25 gennaio 2011, il movimento si è esteso all’Egitto 87 DALLA “PRIMAVERA ARABA” A “OCCUPY WALL STREET” (2) • La popolazione dell’Egitto da decenni era stata sottoposta alle contro-riforme neoliberali dettate dalla Banca Mondiale e dal FMI, combinate con il regime dittatoriale di Mubarak, alleato, come quello tunisino, con le potenze occidentali e totalmente compromesso in un’alleanza con Israele. • L’11 febbraio 2011 (un mese dopo Ben Alì) Mubarak fu obbligato ad andarsene • Altri Paesi della regione si sono mossi (Libia, Marocco, Siria, Yemen, …), la repressione è stata molto pesante ed il processo in alcuni Paesi è tuttora in corso • In Tunisia ed Egitto le attuali classi al potere stanno cercando di controllare la situazione, per evitare che sfoci in una rivoluzione sociale 88 DALLA “PRIMAVERA ARABA” A “OCCUPY WALL STREET” (3) • Il vento della ribellione ha attraversato il Mediterraneo e dal Nord Africa ha raggiunto il sud dell’Europa • In Portogallo il 12 marzo 2011 il movimento dei precari ha manifestato: centinaia di migliaia di persone sono scese in strada • Il 15 maggio 2011 la protesta raggiungeva la Spagna e rimbalzava a livello mondiale fino alla manifestazione mondiale del 15 ottobre 2011 • Dal 24 maggio 2011 il movimento colpiva la Grecia 89 DALLA “PRIMAVERA ARABA” A “OCCUPY WALL STREET” (4) • In luglio-agosto 2011 la protesta sociale ha scosso anche Israele (ma senza alcun collegamento con la causa palestinese) • In settembre 2011 il movimento ha attraversato l’Atlantico e si è esteso negli Stati Uniti • Il 15 ottobre 2011 (data definita in Spagna dal movimento degli indignati), più di un milione di persone hanno manifestato nel mondo: Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia, Giappone, Gran Bretagna (Londra) Stati Uniti (Wall Street), … 90 DALLA “PRIMAVERA ARABA” A “OCCUPY WALL STREET” (5) • 80 Paesi diversi e circa un migliaio di città hanno assistito alle sfilate di centinaia di migliaia di giovani ed adulti che protestavano contro la gestione della crisi economica internazionale • Venivano criticati i governi, che correvano in soccorso delle istituzioni private responsabili del disastro, approfittandone per rafforzare politiche neoliberali: licenziamenti, taglio delle spese pubbliche, privatizzazioni, attentati ai meccanismi di solidarietà • Dappertutto il rimborso del debito pubblico era il pretesto utilizzato dagli Stati per rafforzare l’austerità e sul banco degli accusati c’erano le banche 91 92 93 94 95 96 97 I MERCATI FINANZIARI STRUMENTO EFFICACE PER LO SVILUPPO ? (1) • Le società primitive scambiavano con il sistema del baratto • La creazione degli strumenti di credito ha consentito lo sviluppo di maggiori commerci • Le prime monete, ci ricorda Max Weber, erano senza capacità di scambio ma per regolare debiti sociali (tributi, regali ai capi, doti, ammende, sanzioni,…) • Gli Stati, acquisita legittimità dalla propria popolazione e sovranità riconosciuta dagli altri Stati, hanno mobilitato risparmio nazionale ed aiuti internazionali 98 I MERCATI FINANZIARI STRUMENTO EFFICACE PER LO SVILUPPO ? (2) • Soltanto dal XX secolo le banche dei Paesi ricchi sono istituzioni di credito professionali, prima erano influenzate dai legami personali fra banchieri e dirigenti politici • È stato questo anche il caso del Giappone e dei Paesi emergenti asiatici: 1)dapprima un intervento diretto sul settore bancario; 2)facilitazioni per l’esportazione; 3)creazione di poli di finanziamento pubblici. 99 I MERCATI FINANZIARI STRUMENTO EFFICACE PER LO SVILUPPO ? (3) • Convertendosi ad una liberalizzazione finanziaria i Paesi asiatici hanno preparato la crisi del 1997-1998: 1)i settori bancari erano stati autorizzati ad aprirsi verso l’estero, con scarso controllo dei rischi; 2)gli investitori stranieri massicciamente hanno prestato alle banche locali (in $); 3)investimenti poco produttivi e speculativi sono stati finanziati; 4)tutto è crollato quando i capitali stranieri si sono ritirati alla fine degli anni 1990. 100 I MERCATI FINANZIARI STRUMENTO EFFICACE PER LO SVILUPPO ? (4) • Fra il 2002 ed il 2007 i capitali destinati ai PVS sono passati da 154,4 MDI di $ a 1.100 MDI (al netto dei rimborsi), per ritornare a 600 MDI nel 2009 • Le Borse dei Paesi emergenti sono passate da uscite nette di capitali nel 2008 ad entrate di più di 100 MDI di $ negli anni successivi • Alcuni Paesi (Brasile, Corea del Sud, Thailandia, …) hanno introdotto controlli per limitare il va e vieni di capitali esteri • Lo sviluppo può ricorrere all’indebitamento, ma urge una regolamentazione, per evitare conseguenze economiche e sociali disastrose 101 COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (1) • Gli Stati della zona euro devono ridurre i loro deficit per controllare i debiti, ma possono farlo senza ostacolare la crescita? • Sprofondare nella crisi e non riuscire a controllare il debito pubblico, ricorrere a piani di austerità inquieta e nutre la spirale della sfiducia dei mercati • Lasciar aumentare i deficit (anche per sostenere attività depresse) significa pagare sempre più interessi sui prestiti, rischiare crisi di liquidità e solvibilità e dover fare riforme strutturali a lungo differite 102 COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (2) • È possibile conciliare sostegno all’attività, controllo della spesa pubblica e riforme strutturali per una crescita durevole? • I Paesi del Nord Europa, in avanzo verso l’estero e con finanze pubbliche quasi in equilibrio, potrebbero trascinare la crescita (effetto locomotiva) • Se il controllo delle finanze pubbliche è una priorità per i Paesi del Sud dell’Europa con deficit strutturali insostenibili, i Paesi del Nord hanno invece maggiori margini di manovra 103 COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (3) • Disindebitamento e crescita possono andare di pari passo? 1)A sinistra, visti i guai prodotti dall’indebitamento privato, si desidera una crescita che non si appoggi sul lassismo finanziario; 2)A destra la riduzione dell’indebitamento pubblico viene considerata indispensabile per rilanciare la crescita • È invece molto probabile che i prossimi anni siano caratterizzati da disindebitamento e stagnazione 104 COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (4) • È illusorio pensare che la messa in ordine delle finanze pubbliche faccia ripartire la crescita • Se i privati non spendono più, è lo Stato che deve farlo se vuole rilanciare la crescita • La Cina, che alla fine degli anni 2000 ha fortemente sostenuto la sua economia, si propone oggi di aumentare la domanda interna • Anche nei Paesi del Medio Oriente le spese pubbliche sono aumentate, come risposta alle tensioni sociali e politiche nate dalla ”primavera araba” 105 COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (5) I dirigenti europei si sono proposti di ridurre rapidamente i loro deficit di bilancio, ma: i vari Paesi si trovano in situazioni diverse; le politiche di austerità adottate in alcuni Paesi possono avere effetti cumulativi recessivi in altri fortemente collegati da scambi commerciali; l’austerità (come per la Grecia) può far crollare l’attività e gli introiti fiscali, appesantendo il debito. • Sembrerebbe più razionale riformare la tassazione, facendo ricadere il costo dell’aggiustamento su coloro che hanno approfittato degli eccessi della finanza 106 COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (6) • Non si tratta semplicemente di considerazioni etiche, ma coerenti con le cause dell’impennata del debito prima della crisi • L’uscita dalla crisi non dipende da un ipotetico ritorno della crescita, ma da un cambiamento nella ripartizione dei redditi • È necessario riparare i danni sociali e porre le basi per una crescita più compatibile con la sfida ambientale • Preliminare è trovare un’autonomia nei confronti dei mercati e regolamentare le agenzie di rating 107 COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (7) • Il debito non è la questione principale da risolvere, la sua forte crescita è legata alla crisi • In caso di recessione si ha disoccupazione, ma anche degrado dei conti pubblici per aumento spese (sussidi alla disoccupazione, …) e diminuzione introiti fiscali • Il peso reale del debito non dipende soltanto dal suo ammontare globale, ma anche dai tassi di interesse • Per ridurre i tassi basterebbe che la BCE garantisse i debiti della zona euro e s’impegnasse a comprarli nel caso di tassi elevati 108 COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (8) • La zona euro si trova sotto la scure dei mercati ed i neoliberali, in nome del debito, stanno imponendo programmi di austerità • Diventa allora indispensabile rompere con l’attuale modello neoliberista che propone l’austerità come unica soluzione , appoggiandosi su: finanza liberalizzata; libero scambio; austerità salariale; fiscalità favorevole ai più ricchi. 109 Grazie per l’attenzione. 110