Bene come il sale ( Bologna)
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Zizola era la più piccola tra le sue due sorelle ed era buona e bella . Il re, loro padre, aveva tre troni: uno bianco per quando
era contento, uno rosso per quando era così così ,uno nero per quando era arrabbiato.
Un giorno si sedette sul trono nero perché era in collera con le due figlie maggiori. Arrivò la più grande e alla richiesta del
padre di esprimergli l’entità dell’affetto per lui, ella rispose che gli voleva bene come il pane. Il re fece la stessa domanda alla
seconda che affermò di volergli bene come il vino. Arrivò poi Zizola con cui si svolse lo stesso dialogo e disse di voler bene al
padre come il sale.
Il re allora si infuriò con la figlia, tanto che ordinò alle guardie di portarla nel bosco e di ucciderla.
La regina, per difendere la ragazza, decise di nasconderla dentro un candeliere e poi si assicurò che venisse comprato. Ci mise
dentro fichi secchi, cioccolata e biscotticni.
Poco dopo arrivò un principe che comprò il candeliere d’argento e lo fece mettere in sala da pranzo per addobbare la tavola.
Ogni volta che il principe usciva Zizola si mangiava tutto. Così il principe, sospettoso, un giorno invece di andare via si nascose
sotto il tavolo.
La fanciulla allora uscì e incominciò a mangiare. Il principe, appena la vide, si innamorò e fece portare il candeliere nella sua
stanza e ogni giorno veniva preparata doppia porzione di cibo. I due giovani si innamorarono così tanto che il principe la volle
sposare.
Egli disse a sua madre che voleva sposare il candeliere perché non poteva svelare il segreto di Zizola. Arrivò il giorno delle
nozze e il principe era in testa al corteo con il candeliere.
Quando arrivarono davanti all’altare Zizola uscì dal suo nascondiglio e, celebrato il matrimonio, tornarono al palazzo.
Quando la regina seppe il segreto di Zizola, decise di punire il re.
Al banchetto di nozze fu invitato anche il padre di Zizola, ma per lui vennero preparati cibi senza sale.
Il re appena si mise in bocca il cibo lasciò tutto nel piatto perché era insipido, fu così che capì il significato delle parole di sua
figlia :<<Ti voglio bene come il sale!>>
Il padre si pentì di quello che aveva fatto, si mise a singhiozzare e raccontò tutta la storia alla padrona di casa.
Chiamarono Zizola e la madre e fecero festa ogni giorno.
Amor di sale ( Marche)
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C'era una volta un re che aveva tre figlie e quando rimase vedovo riversò tutto il suo amore su di loro.
Un giorno chiamò la figlia maggiore e le domandò: "Come mi ami, tu, figlia mia?" "Padre mio, ecco, ti amo come il miele", rispose lei, dopo aver
pensato un attimo a cosa ci poteva essere al mondo di più dolce. E poi chiese alla figlia secondogenita: "E tu come mi ami, figlia mia?" "Come lo
zucchero, padre mio."
Alla fine guardò anche verso la figlia più piccola, che stava timidamente un pò in disparte, e chiese anche a lei: "E tu, figlia mia, come mi ami?";
"Come il sale nelle pietanze, padre mio!" rispose lei, serenamente. Udendo queste parole, il re montò su tutte le furie e le gridò: “ Vattene da questa
casa: tu e il tuo sale!"
La ragazza prese girovagò da un paese all'altro, finché arrivò alla corte di un altro re dove trovò un modesto lavoro . Le voci sulla diligenza e sulla
modestia della ragazza che aiutava la moglie del cantiniere arrivarono veloci anche all'orecchio della regina la quale desiderò vederla e conoscerla. Fu
così che la regina cominciò a volerle bene; l'amava come se fosse sua figlia. Anche il re si meravigliava del grande affetto che la moglie portava a
questa ragazza.
Questo re aveva solo un figlio maschio. Un giorno il re dovette partire in guerra e prese con sé il figlio per abituarlo anche alla lotta, ma lo
riportarono a casa ferito. La madre piangeva lacrime amare e passava le sue notti vegliandolo, si affaticò tanto da non potere stare neanche più in
piedi. Allora chiamò la ragazza, come persona di fiducia, perché si prendesse cura di lui. Le parole della ragazza, le sue carezze, la saggezza
risvegliarono nel cuore del malato un sentimento che mai prima di allora aveva provato. Il figlio del re in breve s’innamorò di lei e la chiese in sposa.
Il giorno delle nozze arrivarono tutti gli invitati e venne imbandito un pranzo grandioso, con portate di ogni genere,da leccarsi le dita. . La sposa
stessa aveva detto ai cuochi cosa dovevano cucinare. Ma fu proprio lei, con le sue stesse mani, a cucinare parte delle pietanze per un solo ospite. Poi
ordinò ad una servetta di sua fiducia di portare in tavole le pietanze da lei cucinate a quel re che sedeva al tavolo. La servetta fece proprio come le
era stato ordinato. Tutti gli invitati cominciarono a mangiare e a divertirsi a più non posso. Solo il re invitato, cioè il padre della sposa, non riusciva a
mangiare e si meravigliava del perché tutti gli altri commensali mangiassero con tanto appetito delle pietanze che per lui non avevano gusto.
Finalmente, non potendo più trattenersi, si alzò in piedi e gridò: "Dimmi bene, re, mi hai invitato alle nozze di tuo figlio per prendermi in giro?" "Guai
a me, Maestà! Come puoi pensare una cosa simile? " "Invece no, Maestà! Perdonami, ma le pietanze di tutti gli altri commensali sono buone da
mangiare, ma le mie no!" Il re suocero si arrabbiò moltissimo e ordinò che tutti i cuochi si presentassero dinanzi a lui per rendere conto di quello che
avevano combinato, e i colpevoli sarebbero stati puniti con la morte. E sapete cos'era successo? La sposina aveva cucinato tutte le pietanze per il re,
suo padre, senza sale, ma solo con miele e zucchero. Allora la sposa si alzò e disse al re, suo suocero:
"Sono stata io a cucinare le pietanze per il re che si è arrabbiato ed ecco perché l'ho fatto: questo re è mio padre” e rivelò tutta la sua storia.
Fu così che il padre della sposa riconobbe di non aver saputo capire l'arguzia della figlia e le chiese perdono. La ragazza gli baciò la mano e gli chiese a
sua volta perdono per averlo inquietato con il suo modo di fare. Finalmente tutti ripresero a mangiare e cominciarono a divertirsi così tanto che
questo pranzo di nozze divenne famoso in tutto il mondo. E vissero tutti felici e contenti.
Il sale : un dono semplice ma prezioso
Seguendo i filari delle vigne
La camicia dell’uomo contento
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Un Re aveva un figlio unico e gli voleva bene come alla luce dei suoi occhi. Ma questo Principe era sempre scontento. Passava giornate
intere affacciato al balcone, a guardare lontano. Ma cosa ti manca? - gli chiedeva il Re. - Che cos'hai? Non lo so, padre mio, non lo so
neanch'io. Sei innamorato? Se vuoi una qualche ragazza dimmelo, e te la farò sposare, fosse la figlia del Re più potente della terra o la
più povera contadina! No, padre, non sono innamorato.E il Re a riprovare tutti i modi per distrarlo! Teatri, balli, musiche, canti; ma nulla
serviva, e dal viso del Principe di giorno in giorno scompariva il color di rosa.Il Re mise fuori un editto, e da tutte le parti del mondo venne
la gente più istruita: filosofi, dottori e professori. Gli mostrò il Principe e domandò consiglio. Quelli si ritirarono a pensare, poi tornarono
dal Re. Maestà, abbiamo pensato, abbiamo letto le stelle; ecco cosa dovete fare. Cercate un uomo che sia contento, ma contento in
tutto e per tutto, e cambiate la camicia di vostro figlio con la sua.Quel giorno stesso, il Re mandò gli ambasciatori per tutto il mondo a
cercare l'uomo contento.Gli fu condotto un prete: - Sei contento? - gli domandò il Re.- Io si, Maestà!- Bene. Ci avresti piacere a diventare
il mio vescovo?- Oh, magari, Maestà! Va' via! Fuori di qua! Cerco un uomo felice e contento del suo stato; non uno che voglia star meglio
di com'è. E il Re prese ad aspettare un altro. C'era un altro Re suo vicino, gli dissero, che era proprio felice e contento: aveva una moglie
bella e buona, un mucchio di figli, aveva vinto tutti i nemici in guerra, e il paese stava in pace. Subito, il Re pieno di speranza mandò gli
ambasciatori a chiedergli la camicia.Il Re vicino ricevette gli ambasciatori, e: - Si, si, non mi manca nulla, peccato però che quando si
hanno tante cose, poi si debba morire e lasciare tutto! Con questo pensiero, soffro tanto che non dormo alla notte!- E gli ambasciatori
pensarono bene di tornarsene indietro.Per sfogare la sua disperazione, il Re andò a caccia. Tirò a una lepre e credeva d'averla presa, ma
la lepre, zoppicando, scappò via. Il Re le tenne dietro, e s'allontanò dal seguito. In mezzo ai campi, sentì una voce d'uomo che cantava la
falulella . Il Re si fermò: " Chi canta cosi non può che essere contento! " e seguendo il canto s'infilò in una vigna, e tra i filari vide un
giovane che cantava potando le viti. - Buon di, Maestà, - disse quel giovane. - Così di buon'ora già in campagna? - Benedetto te, vuoi che
ti porti con me alla capitale? Sarai mio amico. - Ahi, ahi, Maestà, no, non ci penso nemmeno, grazie. Non mi cambierei neanche col
Papa.- Ma perché, tu, un cosi bel giovane... - Ma no, vi dico. Sono contento così e basta. " Finalmente un uomo felice! ", pensò il Re. Giovane, senti: devi farmi un piacere. - Se posso, con tutto il cuore, Maestà. - Aspetta un momento, - e il Re, che non stava più nella pelle
dalla contentezza, corse a cercare il suo seguito: - Venite! Venite! Mio figlio è salvo! Mio figlio è salvo -. E li porta da quel giovane. Benedetto giovane, - dice, - ti darò tutto quel che vuoi! Ma dammi, dammi... - Che cosa, Maestà? - Mio figlio sta per morire! Solo tu lo
puoi salvare. Vieni qua, aspetta! - e lo afferra, comincia a sbottonargli la giacca. Tutt'a un tratto si ferma, gli cascano le braccia.
L'uomo contento non aveva camicia.
Il vignaiolo contento
Il vignaiolo per noi è così
Felicità è…
GRATTULA BEDDATTULA
( Palermo)
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C’era una volta un mercante che aveva tre figlie: Rosa, Giovannina e Ninetta.
Un giorno dovette partire per un importante viaggio d’affari, così riempì la dispensa di provviste e rinchiuse le figlie
in casa. Promise alla prima che, al suo ritorno, le avrebbe portato in dono un vestito color del cielo, alla seconda un
abito color dei diamanti, mentre la terza gli chiese un ramo di datteri.
Quando il mercante era ancora in viaggio, a Rosa cadde un ditale nel pozzo. Ninetta si offrì per andare a
recuperarlo. Giunta in fondo, notò un pertugio nella parete del pozzo e, al di là, un bellissimo giardino con alberi, fiori
e frutti. La ragazza ne riempì il grembiule, quindi gridò alle sorelle di tirarla su. La storia si ripetè anche i giorni
seguenti.
Quel giardino apparteneva al Reuzzo del Portogallo che, appena si accorse dei furti, si nascose dietro una siepe per
sorprendere il ladro. Quando Ninetta si presentò per cogliere altri frutti, il Reuzzo tentò di afferrarla, ma non ci riuscì.
La ragazza non scese più nel pozzo per paura di essere arrestata come una ladra, ma in realtà il principe era rimasto
incantato dalla sua bellezza e si era innamorato di lei, senza Ninetta era malato, solo e triste.
Intanto il mercante era tornato con i doni per le figlie mentre il Re di Portogallo aveva ordinato che tutte le ragazze
del regno si presentassero al ballo di corte , in questo modo il principe avrebbe potuto incontrare la misteriosa
ragazza di cui sentiva la mancanza.
Le sorelle di Ninetta si avviarono con gioia alla festa, intanto dal ramo magico di datteri uscì una fata che procurò a
Ninetta un meraviglioso abito, gioielli e una carrozza. Anche ella, bellissima, si recò al palazzo, ballò tutta la sera con
il principe ma, al termine, fece molta attenzione a scappare in fretta, infatti non voleva rischiare di essere catturata e
arrestata. Questo avvenne per tre sere, finchè il sovrano riuscì a coglierla di sorpresa e… le ordinò di sposare suo
figlio.
Fu così che vennero celebrate le nozze tra la ragazza e il principe.
Loro restaron felici e contenti
E noi siam qui che ci freghiamo i denti.
I datteri del beldattero
(finale a sorpresa a cura di Guido Quarzo)
….“ Avete un bel giardino e buona frutta, un’orchestra che suona benino e vossia pure balla
come un ballerino ma intorno a tutto questo ci sta un muro, così alto che non si vede il
mare! Perciò mi spiace assai, ma preferisco andare!”
Il principe fu di parola e lasciò andare Ninetta, e quando lei disse ancora “ dattero beldattero”,
invece della solita carrozza, ecco comparve una nave, con le vele già spiegate al vento,
pronta a salpare.
Dattero Beldattero
Il giardino del principe
Ninetta trova un pertugio in
fondo al pozzo
IL MELO INCANTATO
C’era una volta una donna che aveva un solo figlio, di nome Vladislav che era la luce dei suoi occhi.
Un giorno la donna andò nel bosco a raccogliere lamponi e ne riempì una brocca ricolma.
Mentre tornava a casa, le accadde di incontrare una vecchia che le disse:
“Per piacere, buona donna, dammi quel vaso di lamponi. Ti sarò grata, e indicherò a tuo figlio la strada della felicità”.
La donna le diede i lamponi, la vecchia li mangiò; poi disse:
“Ricorda questo: quando tuo figlio troverà un mestiere che gli piacerà, ti riempirà di gioia, sarà utile agli altri e renderà se stesso felice”.
Ciò detto, la vecchia sparì.
La donna tornò a casa, pensando a quale mestiere sarebbe piaciuto a Vladislav.
Qualche giorno dopo incontrò un sarto e gli chiese:
“Dimmi, mastro sarto, qual è il miglior lavoro del mondo?”
“Quello del sarto, naturalmente” rispose il sarto.
Perciò la donna mandò Vladislav ad imparare l’arte del sarto.
Il ragazzo lavorò col sarto un mese, poi tornò a casa:
“Madre”, le disse, “non mi piace fare il sarto. Un sarto deve fare vestiti preziosi per i ricchi, mentre il povero contadino veste di stracci”.
“Va bene”, rispose la madre, “rimani ancora un poco a casa”.
Un giorno incontrò un ciabattino e gli chiese:
“Dimmi, mastro ciabattino, qual è il miglior lavoro del mondo secondo te?”
“Fare scarpe, naturalmente” rispose il ciabattino. E la donna mandò il figlio a imparare l’arte di far scarpe.
Vladislav lavorò un mese col ciabattino, poi tornò a casa:
“Madre”, disse, “non mi piace fare scarpe. Il ciabattino fa stivali di pelli pregiate per i ricchi, mentre il povero contadino va scalzo”.
“Va bene”, rispose la madre, “rimani ancora un poco a casa”.
Un giorno le capitò di incontrare un superbo cavaliere e gli chiese:
“Dimmi, signor cavaliere, quale pensi sia il miglior lavoro del mondo?”
“Quello dell’armaiolo, che diamine!” esclamò il cavaliere, e la donna allora mandò Vladislav a imparare l’arte dell’armaiolo. Il figlio ci rimase un mese e poi
tornò a casa:
“Madre”, disse, “non mi piace fare armi. L’armaiolo forgia armi per amici e nemici, per lui tutti sono la stessa cosa”.
Ma questa volta la madre si irritò e gli disse:
“Se nessun mestiere ti piace, torna pure a pascolare le mucche!”
e Vladislav andò a pascolare le mucche. Le sorvegliava mentre mangiavano, cantava, intagliava zufoli di canna ed era contento.
…la storia continua
Un giorno vide del fumo che saliva dai cespugli. Corse lì e vide una pietra bianca circondata dalle fiamme e sulla pietra una grossa lucertola che correva
disperatamente avanti e indietro. Vladislav le tese un bastone e la lucertola vi si arrampicò e si trasformò improvvisamente in una fata.
“Sei un bravo ragazzo”, gli disse “voglio premiarti e ti mostrerò la strada della felicità”.
La vecchia lo condusse in una profonda e scura caverna, e lì dentro Vladislav scorse due grosse ceste colme di pietre preziose. Nella prima vi erano rossi
rubini, nella seconda zaffiri blu. Davanti a loro cresceva un melo dalle mele dorate.
La vecchia disse a Vladislav: “Prendi ciò che vuoi. Se prenderai la cesta coi rubini rossi, sarai l’uomo più bello del mondo. Se prenderai la cesta colma di zaffiri
blu, sarai l’uomo più ricco del mondo. E se prenderai il melo, resterai povero, ma sarai felice, darai soddisfazione a tua madre e ti renderai utile agli altri”.
Senza esitare, Vladislav scelse il melo.
“Hai fatto bene, ragazzo mio”, gli disse la vecchia “questo non è un melo qualsiasi. Ogni mattina crescono sui suoi rami germogli d’oro e ogni sera i germogli
si tramutano in mele d’oro. E queste mele possono curare qualsiasi malattia, ma tu non devi mai curare per denaro, solo per amore!”
Vladislav piantò il melo davanti alla sua finestra e già il primo giorno guari tutti malati del villaggio. Subito i sofferenti cominciarono ad accorrere a lui dai
dintorni, e la sua fama si sparse dappertutto.
Il re di quel paese udì parlare di lui: proprio allora soffriva di una tremenda malattia. Il dottore tedesco non era riuscito a guarirlo e quello francese non aveva
fatto di meglio; in compenso il dottore turco era riuscito a rovinare quel poco di buono che i primi due avevano combinato. Perciò il re ordinò ai suoi servi di
andare da Vladislav, di sradicare il melo e portarglielo. Ed essi si affrettarono ad eseguire i suoi ordini. Che poteva fare il povero Vladislav? Andò nella foresta
per cercare la profonda, oscura caverna dove aveva ricevuto il melo rubatogli dal re e la vecchia che glielo aveva regalato. La vecchia lo stava aspettando e
già sapeva quel che era successo. Gli disse perciò:
“non ho altri meli, ma posso darti queste pere, che ti aiuteranno ad ottenere di nuovo il tuo melo. Ma ricorda: le pere blu fanno crescere il naso alla gente,
quelle gialle lo fanno rimpicciolire, le pere verdi fanno crescere le corna e quelle rosse le fanno svanire”.
Vladislav la ringraziò e si recò nei pressi del palazzo reale. Espose le belle pere blu e verdi in un cesto, proprio davanti ai cancelli del palazzo, e subito i
cortigiani andarono ad acquistarle. Anche il re ne volle. Ma subito dopo tutti i cortigiani si videro crescere nasi lunghissimi e corna grosse così.
Il re non poteva nemmeno entrare nella sala del trono perché le corna ramificate che erano spuntate sulla sua fronte urtavano nella porta.
Tutti insieme tornarono da Vladislav, avendo capito che quello era l’effetto delle sue pere fatate e gli chiesero di liberarli dall’incantesimo.
Vladislav disse che l’avrebbe fatto a patto che gli restituissero il suo melo.
Il re era molto arrabbiato, ma non ci poteva far nulla. Non poteva continuare a regnare con quelle corna, che lo avrebbero reso ridicolo agli occhi dei suoi
sudditi. E, d’altra parte, il melo non prosperava più nel giardino reale: era quasi secco, e nessuna mela era apparse sui suoi rami.
Così Vladislav diede loro le pere rosse e gialle, tolse il melo dal giardino reale e lo trapiantò a casa sua.
E quando ebbe di nuovo attecchito sotto la sua finestra, cominciarono a riapparire verdi germogli, poi si coprì di fiori e a sera era carico di mele d’oro.
Vladislav fu di nuovo in grado di curare la gente in tutto il regno. E dato che li curava per amore, rimase povero come sempre. Ma era felice, sua madre era
soddisfatta ed era utile a tanta gente.
Che cos’altro poteva desiderare?
Le mele che donano la felicità
In viaggio verso la lontana Cina
PARADISO
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e
INFERNO
Dopo una lunga e coraggiosa vita, un valoroso samurai giunse nell'aldilà e fu destinato al paradiso.
Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un'occhiata anche all'inferno.
Un angelo lo accontentò.
Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze
succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti, pallidi,
lividi e scheletriti da far pietà.
"Com'è possibile?" chiese il samurai alla sua guida.
"Con tutto quel ben di Dio davanti!"
"Ci sono posate per mangiare, solo che sono lunghe più di un metro e devono essere rigorosamente
impugnate all'estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca"
Il coraggioso samurai rabbrividì.
Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi
neppure una briciola sotto ai denti.
Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.
Qui lo attendeva una sorpresa.
Il paradiso era un salone assolutamente identico all’inferno!
Dentro l’immenso salone c’era un’infinita tavolata di gente seduta davanti ad un’identica sfilata di piatti
deliziosi.
Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi più di un metro, da impugnare
all’estremità per portarsi il cibo alla bocca.
C’era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia.
“Ma com’è possibile?”, chiese stupito il coraggioso samurai.
L’angelo sorrise:
“All’inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché così si sono
sempre comportati nella loro vita. Qui al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si
preoccupa di imboccare il proprio vicino”.
Paradiso e inferno sono nelle tue mani.
Oggi.
Tutto il mondo è paese
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Un bambino, girovagando per le vie della
città,
si chiese curioso: “ Ma qual è la strada per
la felicità?”.
Rivolse la domanda ad un vigile urbano
al quale il quesito risultò piuttosto strano.
Non aveva un’indicazione chiara per quel
bambino,
gli propose di cercare tra le fiabe di Calvino.
Fu così che si ritrovò in un mondo fatato
tra principi, re, avventure mozzafiato.
Viaggiò per mari e montagne,
attraversò paesi e campagne;
conobbe città di diverse regioni
ascoltando storie, stornelli, canzoni.
Beh, scoprì che la felicità da tutti sognata,
ovunque al mondo era assai ricercata.
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Seppe che felicità vuol dire semplicità,
ma anche altruismo e…libertà!
Parole serie, parole importanti,
un bell’insegnamento per piccoli e più
grandi.
Il messaggio gli giunse chiaro e forte
da marchigiani, friulani, siciliani, genti
d’ogni sorte.
Allora è proprio vero ciò che dice il nonno
pesarese:
“ Gira gira, tutto il mondo è paese!”
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Bene come il sale