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specie in evoluzione Chi sono i nuovi nomadi? Sono i grandi attraversatori
di frontiere geografiche e mentali, fisiche e virtuali. Ma anche loro hanno bisogno di
radici: sono i network, creati sulla base di interessi, stili di vita o preferenze abitative.
PERSONE
Rivoluzione cosmopolita
un pianeta senza barriere. il volto buono della globalizzazione impone sempre più di dividere
la conoscenza: merito dei nuovi cittadini del mondo, i vagabondi della cultura sovranazionale
di arianna dagnino
3 Il cosmopolitismo nella sua versione avanzata è il volto buono – se
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vogliamo politically correct – della globalizzazione. È un approccio
da molti ormai ritenuto più compatibile con i tempi moderni e i
valori delle società più progredite, in opposizione alle ricorrenti e
mai sopite pulsioni nazionalistiche.
Certamente è il pane di cui si nutrono con avidità i nuovi nomadi.
Perché è il substrato politico-sociale in cui più facilmente
ritrovano i prodromi di una Cultura Globale che, sfumando ma
non annullando le culture specifiche, fa da spina dorsale e terreno
comune per le relazioni fra modi di vivere e pensare diversi.
Perché richiede per definizione che vi sia la massima apertura
nella circolazione delle idee quanto della conoscenza, condicio sine
qua non per il neonomade e il suo concetto di esistenza pluriidentitaria. E, infine, perché non può che prendere a principio
fondante l’idea che – pur con le cautele del caso – l’ospitalità deve
‡ kant nel terzo millennio
Il concetto di «cittadino globale» affonda le radici già in alcuni
rami del pensiero kantiano. Ma è nell’attuale congiuntura
storico-sociale, dice l’autore di Global Culture (http://globalculture.org/), che queste persone sembrano acquisire valore e
ricchezza. È giunto il momento per gli instancabili globe-trotter
culturali di restituire quello che hanno assorbito: «Il valore del
mio progetto consiste proprio in questo: arricchire la cultura
globale con le esperienze di coloro che l’hanno scoperta e
costruire una comunità universale. Ormai è chiaro che molte
strutture sociali da cui il mondo dipende oggi stanno diluendo
l’autorità delle istituzioni tradizionali. Dovremmo attenderci
la comparsa di nuovi gruppi in grado di ereditare il loro ruolo
agendo però in un contesto globale. Trovare un modo per
conoscere le persone più adatte a questo ruolo è importante».
‡ storia di Maia (e del suo curriculum)
Maia Usui è giapponese e, benché giovanissima (21 anni), ha
già vissuto in molte città, alcune anche problematiche, come
Lagos. Si è formata a Vienna, Tokyo e a New York, diplomandosi
all’International School di Bangkok, e ora frequenta Scienze
Politiche ed Economia presso la Harvard University. Parla
inglese, giapponese, tedesco e francese. Per il suo curriculum
variegato, la sua apertura mentale e la sua disponibilità (era
fra i volontari che hanno assistito i superstiti dello tsunami in
Thailandia), è stata insignita del Global Citizenship Award,
il premio di Cittadino Globale dell’Earcos, l’organismo che
presiede le scuole straniere in Estremo Oriente. Nel suo discorso
di ringraziamento, Maia ha sottolineato come vede la cultura
dei cittadini globali: «Diversità accompagnata da unità d’intenti.
Un’armonia culturale che nasce già da una risata comune».
prevalere sul rigetto e che lo straniero non è nemico.
Certo è che l’avvento del cosmopolitismo (e il plasmarsi del suo spin off
naturale, la Cultura Globale) non è né sarà senza resistenze. A partire
dal fatto che, nonostante i proclami, le prerogative degli Stati nazionali
sono messe sempre più a rischio persino in aspetti finora incontestati,
come la disponibilità di ciò che persiste sul «suolo patrio»: «Una volta
definitasi una Cultura Globale», avverte il professore di filosofia di
Princeton Kwame Anthony Appiah, «tutto quanto ha valore storico
per l’umanità appartiene a ognuno di noi, non alla singola cultura o
al determinato Paese. Che senso ha che nazioni che hanno magari sì e
no un secolo di vita possano pretendere che tutti gli artefatti rinvenuti
all’interno dei propri confini siano di loro esclusiva pertinenza?».
Visto così, con la lente del cosmopolitismo e alla luce di una Cultura
Globale, il concetto di «Patrimonio dell’Umanità» acquista una
valenza quasi rivoluzionaria. ‡ l’università del sapere infinito
Il sito si presenta con un grande obiettivo ottenuto in maniera
partecipativa: fare le veci di un’università della cultura globale.
«Non consegniamo diplomi alla fine del corso», dice l’ispiratrice
di Global Themes (http://www.globalthemes.org), Sha’ira
Shaykhspeara, anche perché, teoricamente, il corso non finisce
mai; il campo di studio è talmente esteso e mutevole che c’è
sempre da imparare. «Aspiriamo a creare una discussione e,
si spera, scambi di prospettive in cui ognuno sia al contempo
insegnante e studente. Una finestra su vite cui altrimenti non
avremmo accesso». Ogni settimana viene scelto un tema, che tutti
i partecipanti sparsi per il mondo (dalla Libia all’India, dalla Svezia
ad Abu Dhabi) sviluppano in base alle loro specificità culturali.
E sono sempre più numerosi quelli che s’iscrivono all’università
dove s’impara «provando a mettersi nelle scarpe di un altro».
‡ nuove vie della seta
Si definiscono «global wanderers» (vagabondi globali) questi
moderni nomadi lungo la Via della Seta; da qui il nome del loro
blog: Silk Road Nomads (http://silkroadnomads.blogspot.com).
Sono una famiglia (padre, madre e tre figli) della West Coast
americana che ha deciso di vivere a Istanbul per qualche anno.
Perché? «Sappiamo che il mondo non è solo una sequenza di
punti, linee e colori su una mappa. Vogliamo conoscere chi
siano le persone che vivono all’interno di quelle linee e vogliamo
raccontare la loro storia», spiega il capofamiglia. «Come nostra
base per i prossimi anni abbiamo scelto la Turchia, linea a
cavallo tra Oriente e Occidente». Il blog che accompagna passo
passo questa avventura transculturale formato famiglia è un
resoconto senza paraventi di quello che accade «mentre viviamo,
viaggiamo e vaghiamo sull’altro lato del mondo».
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