“Le spigolatrici” di Jean Francois Millet
Millet è di origini contadine e nelle sue opere la vita dei campi è analizzata in tutte le
sue fasi e in ogni momento della giornata, dall'alba al tramonto, passando per la
calda, prediletta luce meridiana. Millet la esalta sia quando è animata della presenza
dell'uomo sia quando essa si offre come puro paesaggio. È un continuo racconto in
cui di volta in volta sono protagonisti gli zappatori, i piantatori di patate, i contadini che
lavorano nei vigneti, la pastorella che, all'ombra di un albero, fa la maglia mentre il
cane vigila sul gregge. O ancora le scene corali della fienagione e della mietitura. Il
ritrovarsi composto per il pranzo e il riposo abbandonato all'ombra dei covoni.
L'opera mostra tre contadine intente a spigolare, dopo la mietitura, esercitando
un "diritto" concesso ai più poveri. " Le tre donne, rappresentate chine sulla terra,
mentre si dedicano alla raccolta delle poche spighe rimaste sul terreno, che
simboleggiano la classe povera della società sono comunque figure eroiche,
monumentali, che compiono quotidianamente antichi rituali e in loro si rivela tutta la
dignità del ceto a cui appartengono. I colori dai toni dorati, simili al colore della
terra e del grano, fanno pensare all’afa e al calore estivo sotto il quale le
spigolatrici erano costrette a lavorare.
A dispetto delle mani e delle fattezze grossolane e bruciate dal sole, le tre donne
chine nel loro massacrante lavoro creano una figura ritmica che attraversa il dipinto
come un fregio classico.
“Le spigolatrici” di Jean Francois Millet
“L’Angelus” di Jean Francois Millet
Coerente all'interesse mostrato da Millet per la vita rurale, quest' opera ci mostra
uno splendido spaccato del ruolo giocato dalla religione nella vita dei
contadini. Secondo l' autore: "L' Angelus" è il titolo dell' opera, ma l' angelus
è anche quella preghiera che si recita al mattino e alla sera, dopo il rintocco
della campana.
E' il quadro più celebre di Millet, che ne compendia le aspirazioni morali e
letterarie: un realismo ancora romantico e una visione della realtà contadina
evocata per piani larghi e sintetici, di una solennità grave seppure sommessa.
Raffigura un agricoltore e la moglie al tramonto con le teste chine mentre
una campana suona l'Angelus serale. La scelta di usare un solo colore in varie
tonalità, si riallaccia, insieme alla grande importanza data alla luce, al desiderio
dell'autore di comunicare il senso del divino della scena.
La religiosità e la semplice eloquenza che il dipinto sprigiona catturarono
l'immaginario collettivo e per questo ne vennero ricavate innumerevoli stampe.
“L’Angelus” di Jean Francois Millet
“Andando al lavoro”
di Jean Fancois MIllet
Millet dice: "Per i pittori realisti la verità
artistica coincide con la verità sociale”.
Così Millet prende a soggetto della
sua pittura il lavoro manuale e
attraverso una resa sobria, esatta e
corposa fa dei contadini gli eroi di una
nuova epopea".
Il quadro venne dipinto da Millet subito
dopo il suo trasferimento da Parigi a
Barbizon. Il ragazzo e la ragazza si
avviano al lavoro alle prime luci
dell'alba, lui con un forcone e lei con
una cesta per le patate sulla testa, che
porta come un enorme cappello.
Stagliati contro il cielo hanno
un'espressione serena. L'insieme
della composizione trasmette la
sensazione dell'aria aperta e dello
spazio della campagna.
“Vagone di terza classe” di Honorè Daumier
Honoré Daumier denuncia sia i vizi borghesi sia la drammatica condizione del proletariato urbano, che
era una classe nata proprio nell’Ottocento, con l’avvento delle varie lotte sociali e lo sviluppo industriale.
Daumier utilizza la sua bravura di illustratore satirico e disegnatore, per realizzare numerose vignette e
caricature di uomini politici o ricchi signori, in modo da denunciare le loro corruzioni ed i loro malaffari. Come
pittore, cerca di dare spazio alla realtà dei più umili e dei più poveri per sottolineare la drammaticità umana, di
queste persone in modo da smuovere un po’ le coscienze dei governanti. In alcune opere per sottolineare con più
forza questi miseri personaggi e la loro condizione sociale, ne deforma i visi, o ne accentua l’espressività
attraverso l’uso di forti contrasti chiaroscurali.
Lo stile di Honoré Daumier ha fatto della propria arte uno strumento di lotta politica. Questo dipinto del 1862,
denuncia le condizioni sociali delle classi più povere. E’ la rappresentazione di una condizione sociale umile e
poco presa in considerazione dallo Stato.
Vagone di terza classe" rappresenta, infatti, vecchi e bambini ammassati in un vagone di terza classe,
appunto, i cui volti sono volutamente deformati e grotteschi.
I volti sembrano quasi delle maschere, ma non hanno alcun intento derisore, anzi, da esse trapela un’amara
verità, un profondo senso di compassione per la miseria e per le sofferenze di questi poveri cittadini.
Le figure vengono ritratte con lo sguardo perso nel vuoto, evidentemente rassegnate al loro destino di povertà e
sofferenza. Ma oltre ai lavoratori, dei quali si intercetta idealmente la fatica, i borghesi si mostrano, in netta
contrapposizione con le altre figure, con la loro arroganza e malevolenza, sottolineando così il netto divario
tra deboli (donne e bambini stanchi) e potenti (ricchi imprenditori), concetto metaforico e reale che emerge
dal dipinto.
L'artista non presta tanta cura nella realizzazione formale e stende il colore in maniera poco uniforme. È lo stile
più adatto a sottolineare gli scarsi mezzi e la mestizia di questa gente che viaggia stipata in un vagone affollato.
La vecchia contadina, che tiene un paniere tra le mani nodose, la giovane che allatta il neonato (destinata
lei stessa ad invecchiare anzitempo a causa del duro lavoro nei campi), il ragazzo addormentato,
sembrano non avere futuro né speranza. Il disegno non abbozza i contorni, ne accentua le forme poco
eleganti, in modo diverso dallo stile curato e finito insegnato nelle accademie, e destinato a soggetti eroici.
“Vagone di terza classe” di Honorè Daumier
“La lavandaia” di Honorè Duamier
La Lavandaia di Daumier, rivela la sua
disagiata condizione sociale che il lavoro
duro e ripetitivo rende ancor più difficile.
La donna si trascina a fatica sugli alti
gradini della scala di pietra che sale dalla
Senna. Porta un pesante fardello di panni
che ha lavato per la ricca borghesia
cittadina. La lavandaia dà una mano alla
bimba che l’ha accompagnata al lavoro. La
luce accecante del tardo pomeriggio lascia
la figura nell’ombra, senza volto, in
momento di struggente tristezza e di
rassegnazione mista a tenerezza.
La bimba che stringe una mestola tra le
mani, sembra già destinata a perpetuare il
lavoro della madre.
Sullo sfondo, la composizione è chiusa
dalle case di un luminoso quartiere
parigino, la cui fattura, rimasta incompiuta,
conferisce alla scena una dimensione del
tutto simbolica.
Telemaco Signorini
Nacque a Firenze nel 1835 figlio di un pittore della corte del Granduca. Dopo aver frequentato i corsi di
disegno dal nudo all'Accademia di Belle Arti fiorentina inizia a frequentare il caffè Michelangelo. Nel 1859
parte volontario e partecipa come artigliere al comando di Garibaldi, nella Seconda Guerra
d’Indipendenza. Al ritorno dalla guerra, nel 1860, sperimenta con un metodo scientificamente analitico per
la resa pittorica dei valori cromatici e luminosi, dipingendo dal vero nella campagna di Montelupo e a La
Spezia e ritornando sui luoghi delle battaglie dell'anno precedente.
Nel 1861 a Parigi, conosce personalmente l'anziano Corot e si interessa alla pittura di paesaggio. Nel 1865
si impegna con energia anche nel tema sociale, col dipinto famoso del "Salone delle agitate in S. Bonifazio",
ambientato in un manicomio di Firenze. Signorini soggiorna più volte a Parigi e a Londra a partire dal 1873.
Muore nel 1901.
“La sala delle agitate” di Telemaco Signorini
Il soggetto rappresenta un reparto psichiatrico femminile dell‘Ospedale di San Bonifacio di Firenze, il
termine 'agitate' del titolo in particolare indicava le malate di mente in preda ad una forte eccitazione. Il
crudo realismo dell'opera è enfatizzato dall'impostazione obliqua della prospettiva, dall'ampiezza e l'altezza
dello stanzone, dai forti contrasti chiaroscurali in cui le anonime figure si stagliano sulla nuda parete di
fondo. L'opera richiama il metodo scientifico sostenuto dal Naturalismo: il pittore dipinge il nudo e bianco
stanzone senza sentimentalismi, senza nessuna partecipazione drammatica ed emotiva. Al tempo stesso, la
scelta del soggetto può avere un forte significato di denuncia sociale.
“La sala delle agitate” di Telemaco Signorini
“Vanga e latte” di Teofilo Patini
La famiglia raffigurata in Vanga e latte è formata dalle figure essenziali di padre, madre e figlio, ritratte in
aperta campagna: l'uomo è intento a vangare il terreno mentre la donna, interrotto
momentaneamente il lavoro, si siede a terra ed allatta il figlio neonato.
Sul terreno giacciono gli oggetti che compongono il quadro e descrivono simbolicamente la vita della
famiglia: la culla e l'ombrello posto a ripararla, il basto, la piccola botte, il cencio rosso e, sulla destra, la
giacca, il cappello e il piatto di polenta con le due posate di legno; anche il cielo, visto dal basso,
sembra poggiare pesantemente sulla terra, generosa solo di sterpi e stoppie.
Le figure sono disposte lungo una fuga prospettica verso l'infinito, segnata sul piano di terra delle gambe
della donna, dal piede d'appoggio del contadino e dalla vanga conficcata sul terreno, sul piano superiore
dalla linea che parte dal gomito levato dell'uomo e che cade all'estremità destra del dipinto, formando con la
direttrice precedente un angolo acuto.
L'impostazione rigorosamente prospettica del dipinto, che degrada dalle nitide nature morte dal primo piano
alle zolle che increspano il terreno e alla costa montana segnata delle prime nevi, riserva quasi metà della
tela al cielo, che conferisce alla scena la limpidezza del primo mattino.
Patini dà volume alle figure attraverso il colore, che assorbe in sé la luce. La pennellata è ampia, con lievi
chiaroscuri, come nelle gambe del bimbo, e punti in cui il colore si rapprendre e diventa materico, come
nelle stoppie in primo piano.
L’opera offre un'interpretazione rigorosamente oggettiva della realtà, che assume valore storico: una storia
"minore" di piccoli eventi quotidiani, raccontata dai protagonisti che Patini (essendo socialista) conosce
bene.
“Vanga e latte” di Teofilo Patini
Teofilo Patini
Patini visse intensamente anche il periodo culminante dell’unificazione nazionale e della reazione violenta che l’accompagnò,
militando fra i Cacciatori del Gran Sasso voluti da Garibaldi. La successiva repressione del brigantaggio lo vide impegnato nelle
file della Guardia Nazionale Mobile con il grado di sergente, dopo che da volontario si arruolò nel contingente fornito dal suo
paese. Da profondo e puro socialista qual era dipinse quadri ritraenti la civiltà contadina abruzzese di fine ‘800 e primi del
secolo scorso, mettendo in rilievo la condizione di povertà della regione e la capacità di resistenza e di sacrificio della
popolazione; la pittura fu, oltre che la sua profonda passione, il megafono con il quale urlava al mondo le misere condizioni del
suo popolo. In particolare, tre sue opere ebbero una forte connotazione politica e per questo, idealmente, vengono considerate
come facenti parte di una "trilogia sociale": Vanga e latte, L'erede e Bestie da soma.
“L’erede” di Teofilo Patini
“Bestie da soma” di Teofilo Patini
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realismo, macchiaioli