DEL POPOLO
il pentagramma
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De praedictionis
et de futurus gloriosus
di Patrizia Venucci Merdžo
Gentilissimi,
ho fatto un sogno; o meglio ho vissuto oniricamente una… “profezia retrospettiva”; nel senso
che ho visto qualcosa che sarebbe dovuta succedere l’anno scorso, che non è successa ma che comunque, un bel dì, succederà! (Non so se ho reso
l’idea).
Dunque, ero l’oracolo di Delfi (anche se in
realtà stavo sulla cima del Monte Maggiore e
guardavo tutti dall’alto in basso) e con aria ispirata osservavo la lussureggiante costa liburnica,
quando ad un tratto!, a livello del loco di Tarsatica vidi un gran polverone! “Saranno Asterix e
Obelix che si ‘patuffano’ con le legioni romane?”
mi chiesi. Nix Asterix. Erano i potentati, i sapienti, i musici del loco che “a suon” di cazzotti e gomitate si contendevano il primato per i festeggiamenti del Centesimo anniversario della Società di
Concerti (la lingua batte dove il dente duole)! I
maggiorenti che tenevano la “scarsella” strillavano a più non posso: ”Tre milioni di sesterzi!...No!
Sei milioni di sesterzi!...Dieci milioniiii!!!” Un
, due, tre. Aggiudicato”! Sentenziava con gran
dignità il paludato prefetto Ober(super)snellex.
I musicologi del Centro di ricerche musicali di
Tarsatica (che non esiste ancora ma che “prevedo”, esisterà) facevano a calci e pugni per l’allestimento di una maxi mostra. ”La faccio io! Tridimensionale e con le installazioni!! - Zitto tu
(gomitata nello stomaco) che non capisci un cacchius! La faccio io. A quattro dimensioni e con
la fotosintesi clorofilliana. Sic!”. “Il catalogo in
musica
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vix ecc. Insomma i bei tempi erano tornati, e d’estate nel castrum
(in Citavecia), si tenevano le Olimpiadi musicali romane interprovinciali (leggi internazionali).
Intervallo pubblicitario secundo; sogno prophetico tertio.
Alle SEI - che al tempo di Roma erano della minoranza italiana
cinquemila papiri lo curo io!”, rivendicava con (i romani erano la maggioranza) - avevano tagliato la corrente eletbile un terzo. “Giù le zampe dal catalogo. Zeus trica (bollette non pagate), per cui i karaoke non funzionavano più,
me l’ha dato e guai a chi me lo tocca!”, ruggi- per cui le paidagoghe contrariate - facendo di necessitade virtude
va il quartus. Bernardinx Modrix sbraitava infe- - avevano rispolverato gli strumentini demodé e ragnatelosi e tutti i
rocito, battendo i pugni contro il muro dell’Aula pueri cantavano “Fra Martino campanaro” (canto avveniristico in
consiliare: “Voglio fare un documentario di tre odore di eresia), accompagnati dai flautini e dai triangolini che al
ore in cinemascopeee!”. Madamigella Matoševix punto giusto del canto sospetto facevano “din, don, dan”. Al quale si
gorgheggiava: “Dieci concerti! Dieci concerti-i- aggiungeva il lascivo refrain madrigalesco “don-don-don diri-dirii-iiiiiiii!”, mentre Madonna Manix Gotovax, con don-don-don”, di Madona mia cara di Orlandus de Lassus (che fa:
voce sepolcrale, braccia protese agli dei, decla- “madona mia cara mi volere canzon/ cantar sotto finestra lance bon
mava in estasi: “Nooo! Nooooo! Quindici sinfo- compagnon…mi ti portar becazze grosse come rognon…don.don
nici, quin-di-ci con-cev-ti sin-fo-ni-ciii!”. Aggiu- don ecc”), eseguito goliardicamente dai cori riuniti delle SMSI di
dicato! Sentenziava con sussiego il prefetto-go- Histria e Tarsatica (i quali ogni tanto si volavano a bordo di velivoli
vernatore di Liburnia-Giapidia Marcus Aureus leonardeschi nelle provincie canadesi e australiane di Roma a tener
Comadicus, in toga e drappeggi purpurei. Dulcis concerto alla diaspora juliano-liburnica. E ci facevano pure i CD su
in fundo; il dolce frutto di questo augusto e ap- tavolette di argilla. Insomma, erano pueri de mondo e globalizzati).
passionato connubio delle scienze e delle arti, di
E tutto l’aere era jucundo e pieno di din don e di campanelle che
questo…concepimento perfetto (mostra-catalogo- crescevano ..crescevano… e diventavano enooormi come quelle di
documentario, concerti), risultò un “non plus ul- Notre Dame… e il Gobbo suonava, suonava… e io volavo, volavo
tra”! Neanche i metropolitani della “metropoli” (ooh! ooh!) e nel Mare Nostrum precipitavo… e con un tuffo mi svedi Agram (che tutti verdi, si mangiavano le mani) gliavo… Fine (ingloriosa) di gloriose visioni prophetiche con relatiavrebbero fatto di meglio!
vo atterraggio nella grigia realtà.
Intervallo pubblicitario. Visione prophetica seRealtà opaca che invero è stata “infranta”, dal bailamme de “I
cunda.
Glembaj”, (non ebbi cuore né timpani di sorbirmi quasi tre ore conL’ufficio concerti (addetto pure ai panem et tinuate di pop-rock microfonato fino al parossismo), permeato di
circenses estivi) - abolito a suo tempo dal prefet- abusata satira sociale che si pretenderebbe originale, mentre in pento Gloriosus Linix - era stato ripristinato, ed era tola stanno bollendo i preparativi della attesa Tosca; con la “disintutto un gran organizzare, coordinare di concerti, volta” Francesca Patanè (ultimamente, discinta Salomè all’Opera
di cicli da camera, un via vai di bardi, cantastorie, di Roma) e, la regia (facciamo gli scongiuri) di Zlatar Frey. Binomio
contastorie, trovatori e trovieri tra i più illustri di alla nitroglicerina. (Avremo una Tosca in tanga?). Chi vivrà vedrà;
Roma e provincie, quali Brutos Ughis, Mischa To- e forse, sopravviverà.
polinius Maisky, Radus Lupus, Mstslv RostropoSibillinamente Vostra
2 musica
Mercoledì, 28 marzo 2007
IL PERSONAGGIO Vulcanica, frenetica, simpaticissima Tamara
La spiritualità popolare dell’Istria
fonte inesauribile di creatività attuale
di Helena Labus
L
a figura di Tamara Obrovac,
cantante, compositrice e autrice di testi polese, è certamente una delle più interessanti
nel firmamento musicale del nostro
paese. Dotata di un’energia inesauribile, è attiva su diversi fronti – sia
come performer con il suo Transhistria ensemble e altri complessi, sia
come autore di musiche per spettacoli teatrali e film. Come interprete, Tamara Obrovac è una delle voci
più ricche e intense sulla scena musicale della Croazia, mentre nella
sua musica troviamo elementi jazz
e un profondo legame con la musica
autoctona istriana.
Come è nato il suo amore per
la musica jazz e in che modo è
giunta all’idea di combinarla con
gli elementi del “melos” istriano?
Mi sono innamorata del jazz al
termine della Scuola media di musica (la “Ivan Matetić Ronjgov” di
Pola), dove suonavo il flauto. Ho
avuto quindi un’educazione classica che non sentivo vicina. Sono
venuta in contatto con la musica
jazz a Zagabria, dove ho intrapreso gli studi di sociologia e ho avuto
l’opportunità di vedere i primi concerti jazz. Dal momento che anche
all’epoca componevo un po’, decisi
di mettere insieme una band e di iniziare a fare della musica. Ero quasi
una piccola Joni Mitchell! (risata).
Ben presto, nei circoli musicali si è
diffusa la voce dei miei tentativi e, a
quanto pare, avevo destato la curiosità di giovani musicisti e ora colleghi quali Krunoslav Levačić, Mario Igrec, Mladen Baraković che nel
frattempo si sono fatti un nome. In
quel momento ho scoperto la vera
libertà d’espressione e un suono
completamente diverso.
A Lubiana ha anche studiato il
canto jazz?
Non è stato facile ammettere
a me stessa di non sapere, di aver
bisogno di ulteriori studi. Per giungere a questa conclusione mi ci è
voluto tanto tempo, ma infine mi
sono decisa a partire per Lubiana
e imparare. Quando si è giovani si
crede di sapere tutto, invece non è
proprio così. Ho iniziato a studiare
seriamente tutto ciò che era legato a
questo particolare stile musicale, in
quanto non è possibile progredire e
improvvisare senza avere sufficienti
conoscenze. Uno è veramente libero di variare, improvvisare e modificare soltanto nel momento in cui
possiede una buona base, altrimenti
non si fa niente. La vera libertà vuol
dire libertà di scelta. Dovevo quindi
imparare la struttura della musica,
l’armonia jazz, il ritmo e studiare
l’improvvisazione.
Anche l’improvvisazione si
studia?
Naturalmente. Si studia la creazione della linea melodica personale in contemporanea con la progressione delle armonie di base. Nel
corso degli anni ho cantato di tutto,
dal be-bop al funk e dal gospel al
blues. Sono stata alla ricerca di una
e della chitarra, nonché, in alcune
composizioni, delle ‘sopile’ e della
fisarmonica. Questo è stato il primo
passo verso il Transhistria ensemble
attuale, dove sia la chitarra che la fisarmonica sono degli strumenti melodici e armonici.
Guardandovi in concerto, uno
può notare un particolare affiatamento tra lei e i membri dell’ensemble...
Quando si è giovani si crede di
sapere tutto, invece non è proprio
così. Ho iniziato a studiare
seriamente tutto ciò che era
legato a questo particolare stile
musicale, in quanto non è possibile
progredire e improvvisare senza
avere sufficienti conoscenze
mia espressione per quasi dieci anni
e mi sono quindi fermata al jazz
moderno. Mi affascinava in particolare la musica di Miles Davis, Herbie Hancock, Keith Jarrett, cioè il
jazz strumentale. Ovviamente, non
ho trascurato neanche il jazz vocale, ma il suono del jazz strumentale
era quello che mi affascinava di più.
Dopo aver scritto una serie di composizioni di jazz moderno in lingua
inglese, a un certo punto mi sono
resa conto di non essere americana
ma istriana e che cantare in inglese
non aveva senso. Inoltre, ho iniziato
a rispettare di più la nostra tradizione, scoprendo che nella melodia del
dialetto istriano (una delle varianti
la parlo anch’io) c’è una grande ricchezza. Nel mio lavoro non ho quasi mai usato i canti popolari istriani nel senso della citazione, però ho
sempre tratto ispirazione spirituale
da questo patrimonio musicale.
Come è nato il Transhistria
ensemble?
Avevo iniziato con un piano trio
assieme a Krunoslav Levačić (batteria), Žiga Golob (contrabbasso)
più un pianista, tra cui anche Matija
Dedić che ha collaborato al secondo album “Ulika” del 1998. Come
trio jazz interpretavamo sia pezzi
d’autore in inglese che composizioni d’ispirazione istriana, ed i jazz
standard. Dopo due album, il “Triade” del 1996 e l’”Ulika”, mi sono
stufata del suono del jazz trio, in
particolare del timbro del pianoforte che essendo uno strumento temperato non ci permette di ‘colorare’
un po’ il suo suono. Nell’album seguente mi sono avvalsa del violino
Senza un tale rapporto questo
tipo di musica non si potrebbe suonare in quanto un affiatamento del
genere rappresenta i primi 50 p.c.
del suo successo. Per me è importante sentire questo particolare legame con i miei musicisti. Infatti, mi
bastano soltanto poche battute per
capire immediatamente se un musicista ‘fa per me’ oppure no. È stato così anche con gli ultimi elementi arrivati al Transhistria ensemble,
Fausto Beccalossi alla fisarmonica e
Uroš Rakovec alla chitarra. È interessante il fatto che Fausto lo abbia-
mo scoperto in parallelo Krunoslav
ed io, sentendolo suonare in due occasioni separate. A un certo punto,
ci è capitato di iniziare a parlare della stessa persona, un fisarmonicista
meraviglioso, per capire infine che
ci riferivamo ambedue a Fausto.
Posso dire che tutti insieme siamo
una grande famiglia.
Nel 2004 è stata nominata per
il BBC World Music Awards. Un
grande riconoscimento per un artista...
Certamente, perché si tratta di
un riconoscimento internazionale.
Noi eravamo nominati in due categorie – la ‘european music’ e per
il premio del pubblico, il che mi ha
reso particolarmente felice.
L’anno scorso è stato per lei
pieno di successi, ma anche molto
impegnativo. Ha scritto la colonna sonora per un film di successo (Što je muškarac bez brkova?
- Cos’ è un uomo senza baffi?), ma
ha anche dato il via a un Etno festival a Rovigno...
L’organizzazione del festival
mi è stata proposta dall’Ente Turistico di Rovigno, ma niente sarebbe stato possibile senza l’aiuto di
Vladimir Gašparović, del GIS music che è stato il produttore del festival. È stata interessante anche la
collaborazione al film, in quanto al
regista Hrvoje Hribar è subito piaciuta la mia proposta per il pezzo
portante intitolato “Daleko je...” (È
lontano...nda).
Nel 2006 avete suonato anche
negli Stati Uniti. Come è stato?
È stato molto bello, ma anche
impegnativo, e troppo breve. A Chicago siamo giunti praticamente lo
stesso giorno in cui ci dovevamo
esibire! Abbiamo suonato presso
due rinomati club rispettivamente
a New York (Joe’s pub) e Chicago
(Old house), il che è un dato di notevole rilievo nel curriculum di qualsiasi musicista. Era interessante notare che tre giorni prima di noi nel
Joe’s pub di New York si era esibita Susanne Vega, mentre due giorni
dopo c’è stata Laurie Anderson.
Cosa ne pensa della scena musicale in Croazia?
Innanzitutto, da un piccolo paese come lo è la Croazia non ci possiamo aspettare una scena differenziata in diversi generi e ipersviluppata, in quanto su un mercato così
piccolo un genere non può avere
un pubblico numeroso. Questo è il
problema principale. Personalmente, sento la mancanza di più progetti di tipo ‘crossover’, dove musicisti etno suonerebbero jazz, musicisti jazz suonerebbero etno, oppure
quelli che suonano musica classica
suonerebbero sia l’uno che l’altro
che il terzo. Questo approccio alla
musica esiste, ad esempio, in Bulgaria, dove all’Accademia per la
musica popolare si impara a suonare diversi stili.
Com è il suo ritmo quotidiano?
Micidiale. Non sono contenta se al giorno non trascorro lavorando almeno dieci ore, certe volte
anche venti. Compongo costantemente musiche per il teatro, penso
a nuovi progetti... Proprio di recente c’è stata la prima dello spettacolo
“L’orchestra Titanic” per il quale ho
scritto la colonna sonora.
Ci sono nuovi progetti in cantiere, qualche nuova collaborazione?
Con il Transhistria ensemble sto
preparando un album dal vivo tratto dal concerto tenutosi a Visignano
e sto inoltre pensando di introdurre nel suono del complesso il timbro di un quartetto d’archi. Mi sono
già messa in contatto con il quartetto ZAPP dai Paesi Bassi che, oltre a
suonare musica classica, si cimenta
anche nell’improvvisazione. Avendo collaborato l’anno scorso in un
brano con il cantautore spalatino
Tedi Spalato, si profila possibile la
realizzazione di un album di duetti.
Di recente sono stata contattata da
Edo Maajka (cantante di hip-hop) e
ho già messo insieme una canzone
da realizzare con il cantautore montenegrino Rambo Amadeus. Ma lui
non lo sa ancora! (risata).
Le succedono mai i blackout
creativi?
Questa non è una buona domanda! (risata). Comunque, per fortuna
non mi sono mai capitati e spero che
così rimanga.
Cosa la ispira a comporre?
Mi ispira a comporre la vita stessa, ma l’incentivo principale sono le
emozioni intense. Ritengo che una
creazione vera può scaturire soltanto da una forte emozione.
Cosa ascolta nel tempo libero?
Sinceramente, non ho tempo per
ascoltare musica altrui. Ho già la testa piena di musica mia. Comunque,
quando mi capita preferisco ascoltare della musica popolare che mi
colpisce per la sua verità e sincerità. Queste sono le qualità che oggigiorno mancano. Spero che prossimamente rinfrescherò un po’ la memoria ascoltando i quartetti d’archi
di Béla Bartòk.
Un sogno nel cassetto?
Un ottetto femminile che si cimenterebbe nell’improvvisazione
vocale. Una delle candidate è Björk
(risata).
musica 3
Mercoledì, 28 marzo 2007
VITA NOSTRA L’innovativo gruppo pop, caso unico in seno alla CNI
La musica, collante per eccellenza
dell’unione della CI gallesanese
di Daria Deghenghi
GALLESANO - Alla sede
della Comunità degli Italiani
di Gallesano l’immagine di un
incessante viavai di soci, attivisti, pubblico e ospiti, descrive (molto più di quanto siano
in grado di farlo le parole) la
vivacità dell’agire in comunione e un forte istinto comunitario
che qui regnano ancora sovrani,
malgrado anche questa piccola
“roccaforte” di italianità della
Bassa Istria comincia a sentire sulle proprie spalle le prime
frustrate di una spinta diametralmente opposta – quella della disgregazione – che altrove
(soprattutto in comunità nume-
decina in più), il coro si esercita una volta la settimana, canta
a quattro voci e coltiva un repertorio in prevalenza popolare con
validi spunti di musica d’autore.
Tra gli spartiti c’è “Supplicazione” di Kreutzer, brani di Nello
Milotti, canti popolari elaborati
per coro dal Maestro Luigi Donorà, diversi titoli di Beppe De
Marzi e poi un vasto repertorio
d’occasione, natalizio, che include “Amici miei” (l’“Amasing
Grace” in versione italiana) e “Il
coro della notte” di P.A.Yon.
Le apparizioni in pubblico
vanno dai tradizionali appuntamenti in sede, quelli dedicati di
Il coro misto è la sezione «storica»
della CI, quella che affonda
le radici nell’immediato Dopoguerra
e risale al 1948
I minicantanti
Le due sezioni folcloristiche (bambini e adulti),
sfoggiano costumi tipici della Gallesano del 17. esimo
secolo in balli antichi quali «el valser» e «la furlana»,
accompagnati da due strumenti altrettanto caratteristici
che sono la piva, una sorta di zampogna, ed il «simbalo»,
un tamburello che della musica di accompagnamento ai
balli detta il ritmo, mentre la piva ne «tesse» le melodie
Il coro misto
ricamente più solide) ha già fatto fior di “vittime”. Qua, come
in altre sedi sociali più piccole
dell’Istria, la musica mantiene
di fatto e di diritto il titolo di
collante par eccellenza di questo spirito di unione che permea
gli ambienti della sede sociale
facendo convergere in Comunità bambini, liceali, uomini e
donne di mezza età ma anche
anziani, fedeli ai propri gruppi
di attività tra cui s’annoverano
(ad eccezione della filodrammatica, di cui in questa sede
non tratteremo), coro misto, minicantanti, giovani cantanti pop
e folclore.
Il coro misto è la sezione
“storica” della CI, quella che
affonda radici nell’immediato Dopoguerra e risale – stando a quanto c’informano Maria
Capolicchio Dražović e Anita Hrelja – al 1948. Da allora e
fino ad oggi la corale ha avuto diversi direttori, da Daicich
e Vian dei primi anni, a Nello
Milotti negli anni settanta, Danica Benčić e Franca Moscarda
in seguito, sino al 2000 o giù di
lì, quando la compagine venne
affidata alla Maestra Maria Grazia Crnčić Brajković, docente
universitaria impegnata ancora
a dirigere la corale mista della
CI di Fasana.
Oggi fermo a quota sedici
elementi (solo fino a qualche
anno fa se ne contavano una
rito ai patroni del paese, i Santi
Pietro e Paolo, ai concerti di fine
anno e di Pasqua.
Nella missione di tramandare costumi e tradizioni del borgo,
il gruppo folcloristico non è da
meno. Le due sezioni (bambini e
adulti), dirette da Pietro Demori e
Chiara Debrevi, sfoggiano costumi
tipici della Gallesano del 17.esimo
secolo in balli ormai da “museo”
quali “el valser” e “la furlana”, accompagnati da due strumenti altrettanto caratteristici che sono la
piva, una sorta di zampogna, ed il
simbalo, un tamburello che della
musica di accompagnamento ai
balli detta il ritmo, mentre la piva
ne “tesse” le melodie.
Il piccolo coro dei minicantanti, diretto da Arabella Višković
– studentessa di cultura musicale
alla Facoltà di Filosofia di Pola,
attiva anche alla SAC “Lino Mariani” della CI polese – è composto di una decina di bambini che
frequentano la sezione locale della SEI “Giuseppina Martinuzzi” di
Pola: Jasmina, Antonella, Mattea,
Diego, Toni, Daniela e Chiara (assenti provvisoriamente Gianni e
Teuta), si produce in concerti in
sede e partecipa regolarmente al
festival “Voci Nostre” organizzato dall’Unione Italiana. Recentemente hanno brillato nell’interpretazione della canzone “Al mio
La sezione folcloristica
I giovani cantanti pop
caro angelo”, all’ultima edizione
in ordine di tempo della rassegna
“Voci Nostre” e in “L’ispettore
Maxwell” al penultimo festival.
Spigliati e veloci a tirare fuori la
battuta giusta, alla domanda sul
perché vengono tanto volentieri a
cantare in coro, rispondono prontamente: “Per perdere tempo” e
“Per non studiare”. Già. Cos’altro, se no?
Grande la passione per il canto
anche in seno alla sezione dei giovani cantanti pop, un’invenzione
della CI di Gallesano, una sezione inedita, innovativa, che forse
non si è ancora guadagnata la “dignità” di una sezione… storica e
tuttavia è degna di rispetto per il
semplice fatto che lo stimolo alla
fondazione è venuto dagli stessi
giovani e non, come avviene solitamente, dall’”alto”. A guidare il
gruppo è Martina Vojsković, studentessa diciottenne della Scuola
Media Superiore Italiana “Dante
Alighieri” di Pola, e organista alla
locale Chiesa di San Rocco. Con
Martina, c’è Clarissa, Melania e
Samanta (assenti nella foto Fabiola e Ana). Il gruppo si è ricostituito due anni fa dopo una pausa di… riflessione successiva allo
spegnimento del primo gruppo dei
giovani cantanti guidato all’epoca
da Nataša Goranović Ranković. Il
repertorio? Chiaro: Laura Pausini, Laura Pausini e ancora Laura
Pausini. Sì, lo ammettono le ragazze stesse all’unisono: “E’ ora
di chiuderla con Laura Pausini!”
Un nuovo progetto messo a punto
da Martina Vojsković prevede di
introdurre nel repertorio brani di
Anastacia, del duo russo T.a.T.u.
e famosi duetti del mondo pop. Ci
fossero ancora finanziamenti più
cospicui (per l’acquisto delle basi
almeno) sarebbe l’ideale… Chi
vuole udire, udirà…
4
musica
Mercoledì, 28 marzo 2007
Mercoledì, 28 marzo 2007
5
L’ANNIVERSARIO ...mentre imperversano patinate e reticenti celebrazioni ufficiali in onore del Maestro parmigiano...
Genio e imbarazzanti verità su Arturo Toscanini nel cinquantenario della morte
di Fabio Vidali
I
l 16 gennaio 1957, nella sua
casa di Riversale presso New
York, chiudeva gli occhi il
più celebrato personaggio mediatico musicale apparso a cavallo fra l’Ottocento e la prima metà
del Novecento: il direttore d’orchestra italiano Arturo Toscanini; un direttore d’orchestra il cui
nome contraddistingue indubitabilmente un’Era Storica della
Musica e soprattutto del Teatro
Musicale.
Toscanini giovane
In tale ricorrenza (ma già programmato certosinamente da oltre
tre anni) è scattato l’immancabile
sfruttamento pubblicitario e commerciale italiano ed internazionale
della ghiotta occasione, con il coinvolgimento massiccio di Teatri, Orchestre, Radiotelevisioni, Internet,
Case discografiche, giornali, riviste, Associazioni, Circoli, dibattiti,
in un’affolatissima gara di personaggi “grandi” e piccini, ansiosi di
mettersi in luce personalmente con
la scusa di “onorare” Toscanini.
Tale atteggiamento, del resto,
è pienamente in linea con l’attuale “civiltà dei consumi”, pronta
a “monetizzare” miopemente nell’immediato ogni scadenza utile
al mercato (ricorrenze religiose
o patriottiche, Feste di mamma,
papà, nonni, Saldi di fine stagione). Il tutto acriticamente, in uncrescendo “rossiniano” di iperboli
laudativi, esaltazioni eulogìe della più vieta ed inutile piaggeria,
eludendo anche il più timido tentativo di storicizzare ed analizzare
approfonditamente
un fenomeno di fondamentale importanza nella recente Storia della Musica mondiale (e nella
Storia del Costume).
L’apporto di Toscanini rischia, perciò, di limitarsi al lampo di una passeggera meteora che
squarcia per un attimo le tenebre,
destinate subito a richiudersi nel
buio assoluto di un cosmo senza
stelle: quello della nostra epocale mediocrità. In fondo, un alibi
pietoso per scagionarci d’ogni responsabilità per il grigiore che ci
siamo intessuti attorno, mentre si
resta inerti ad aspettare una nuova
ed inutile... cometa.
Eppure non parrebbe chiedere troppo, in questa circostanza,
desiderare si profittasse del Cinquantenario toscaniniano per delineare la portata del suo lascito,
fatto, come ogni contributo umano, di luci e di ombre; di caratteriali intemperanze e fulminanti intuizioni, di egocentrismo e
generosità. Incorniciandolo nella società un po’ bècera in cui si
trovò ad operare e a combattere,
nelle sue passioni, nelle sue deluse
illusioni.
Parma melomane
e repubblicana
Claudio Toscanini, padre di Arturo, era un modesto sarto. Viveva
nell’indomabile borgo parmense di
Oltretorrente, tanto storico quanto
povero e cadente. Vi si respirava la
passione per l’opera lirica all’unisono con gli ideali repubblicani mazziniani, confusi con spiriti vagamente libertari e anarchici. Arturo
vi nacque il 25 marzo del 1867 e
già a nove anni fu iscritto al Conservatorio di Parma dove nel 1885
si diplomò col massimo dei voti in
violoncello e composizione, ma già
dal 1880 era attivo come violoncellista nell’orchestra del Teatro Regio
dove fu battezzato, per immersione
totale, al Melodramma. Ma qual era
il Melodramma all’epoca del neofita
Arturo Toscanini? Era una specie di
“rito laico” nazionalpopolare dove
c’era spazio per tutto e per il contrario di tutto. Pulsioni nazionali e sociali e “vizi” abitudinari di nobiltà e
borghesia vi trovavano contemporaneamente ricetto sull’onda dei “do
ti petto” e dei capricci più vieti dei
cantanti che si arrogavano il ruolo
e l’investitura di “comizianti” a ciò
investiti per “grazia di dio e volontà della Nazione” talquale i regnan-
ti intronati. In Italia il Melodramma
era allora la versione aggiornata dei
“circenses” romanoimperiali.
Contrariamente a quanto avveniva nelle civiltà musicali d’oltr’Alpe, le orchestre d’opera italiane erano “stagionali” e raccogliticce, in grado unicamente di
assecondare alla meno peggio il
protagonismo dei “divi” dell’ugola
di turno e di propiziarne i “bis” o,
in peggior d’ipotesi, i “crucifige”
richiesti a furor di popolo fra una
merenda ed una bevuta. Sia in provincia che nelle capitali, i direttori
(anche quei pochi validi) si adeguavano a ciò, limitandosi a pilotare
complessi imprecisi e demotivati di
sbuffanti portatori d’acqua. La Mu-
sica era l’ultimo pensiero. Donde il
decadimento del livello della musica strumentale nel Paese del Melodramma.
Inseritosi in una di queste orchestre (non certo la migliore), il
pragmatismo corporativo di Arturo Toscanini si propose di far funzionare al meglio questo cigolante
meccanismo di suonatori, riscattandone “rivoluzionariamente” la
dignità professionale, in uno con
quella della Musica, non più “ancella tuttofare” ma protagonista di
primo piano.
Ciò divenne per Toscanini l’imperativo categorico che lo guidò inflessibilmente per tutta la vita e lo
portò, nell’ultimo trentennio della
sua giornata terrena, anche a vistose
esagerazioni. Un po’ come succede
agli ingegneri collaudatori dei bolidi di “Formula Uno” preoccupati e
paghi unicamente del funzionamento ottimale della loro macchina ed
assolutamente incuranti dell’itinerario stradale che stanno percorrendo. Come succede anche a “patiti”
dell’”alta fedeltà” delle registrazioni elettroniche che, alla lunga,
ascoltano più il “rendimento” delle
loro apparecchiature che non la musica che riproducono.
Quest’ultima
esemplificazione non sembri un paradosso. Infatti Toscanini, negli ultimi anni, visse di persona quest’estremizzazio-
ne quando si sforzò di adeguare al
“rendimento” tecnico ottimale gran
parte della sua sterminata produzione discografica pregressa.
Dell’indomaile borgo di Oltretorrente, Toscanini bevve la musicalità, ma anche l’estremismo passionale ed ideologico.
Da concertatore
a direttore
L’accenno al noto episodio del
1886 che vede per la prima volta
Toscanini accedere al podio direttoriale del Teatro Imperiale di Rio
de Janeiro nella verdiana Aida, in
improvvisata sostituzione del diret-
La “rivoluzione” assolutistica di
Toscanini aboliva il rito dei “bis”,
bloccava fuori teatro i ritardatari, rifuggiva dagli applausi a scena aperta, scimmiottava, in questi
aspetti esteriori, l’ideale wagneriano del “Teatro Tempio”. In cambio
un grandioso concerto l’occupazione italiana della città.
Varrà ricordare che, fra il 1917
ed il 1920, La Scala rimase chiusa
per mancanza di fondi. Un comitato di potenti mecenati, con a capo
il sindaco di Milano, Caldara, si di-
Introduceva il «rigore esecutivo»
perseguito fino alle sue conseguenze
più estreme, in nome d’una
dichiarata «fedeltà assoluta» alla
volontà di ogni singolo autore
interpretato. Tale «fedeltà assoluta»
non tardò a trasformarsi nella
«certezza» maniacale della propria
«infallibilità»
introduceva il “rigore esecutivo”
perseguito fino alle sue conseguenze più estreme, in nome d’una dichiarata “fedeltà assoluta” alla volontà di ogni singolo autore interpretato. Tale “fedeltà assoluta” non
tardò a trasformarsi nella “certezza” maniacale della propria “infallibilità”, tanto che Toscanini si permise sempre più spesso di “correggere” di propria mano le partiture
che interpretava (anche di Verdi e
di Puccini) con la scusa di “favorire” così la comprensione “autentica” del “vero” pensiero dell’autore, dall’autore stesso “meno felicemente espresso” di come era
capace di farlo lui. In una lettera,
Verdi si lamenta di ciò, con queste parole “Ora vi è la tirannia dei
direttori d’orchestra! Male, male!”
(18.3.1899). Ciò non toglie che
Verdi, Puccini (e l’elenco potrebbe
continure) lo lasciassero fare, ben
contenti del risultato. Ci fu peraltro
anche qualche episodio meno idilliaco, come quando (1902) Ricardi
tentò di impedire la rappresentazione del Trovatore alla Scala non
condividendo gli “aggiustamenti”
che Toscanini vi aveva apportato,
spiazzando la parte più tradizionalista del pubblico e quindi mettendo in pericolo il risultato del “botteghino”.
La «rivoluzione» assolutistica di
Toscanini aboliva il rito dei «bis»,
bloccava fuori teatro i ritardatari,
rifuggiva dagli applausi a scena
aperta, scimmiottava, in questi
aspetti esteriori, l’ideale wagneriano
del «Teatro Tempio»
tore titolare Minguez (fischiato e dimissionario) e gli valse il primo clamoroso successo in tale ruolo, non
sembri pleonastico. Infatti fotografa la situazione delle orchestre italiane dell’epoca. Italiano era infatti
il complesso scritturato per questa
tournée in Brasile a supporto d’una
notevole compagnia di canto. Toscanini partecipava come violoncellista e secondo maestro del coro,
nonché come ripassatore di spartiti
ai cantanti. Dopo Aida, Toscanini fu
riconfermato sul podio per tutta la
stagione. In Italia, solo il giornale
parmense “Riscossa” diede notizia
del singolare evento, probabilmente per legittimo orgoglio campanilistico.
Al ritorno in Italia nulla per lui
sarebbe cambiato ed avrebbe dovuto riprendere il suo posto di violoncello di fila in qualcuna delle solite orchestre d’opera, se il tenore di
quell’Aida, Figner, impressionato
per le miracolose qualità del giovane Toscanini, non lo avesse segnalato all’editrice musicale milanese Giovannina Lucca, allora impegnata nell’allestimento dell’Edmea
di Catalani al Carignano di Torino.
Inizialmente Toscanini fu scritturato come preparatore e concertatore
ma, per l’assenza del direttore designato (A. Pomè), si ritrovò nuovamente sul podio e con ottimo successo.
Il salto definitivo non s’era ancora compiuto, ma la traiettoria era
quella giusta. Continuò per circa due anni a fare il violoncellista
d’orchestra, beccandosi, fra l’altro,
una strapazzata da Verdi alle prove della prima di Otello alla Scala, perché lui solo aveva seguito le
indicazioni della partitura suonando
“piano” quando i colleghi suonava-
no “forte”. Ma già nel 1888, dopo
un periodo di direzioni in provincia,
debuttava al Dal Verme di Milano,
dirigendo con pieno successo Forza del Destino, Francesca da Rimini (Cagnoni), Promessi Sposi (Ponchielli).
La stima e l’affetto di Catalani,
la vicinanza con la Casa Lucca, i
legami con l’editore Sonzogno per
la diffusione del repertorio francese e, poco più tardi, l’infatuazione
per Wagner avvicinarono Toscanini agli ultimi superstiti della Scapigliatura Milanese (specie a Boito
che per lui fu fondamentale), con
grande disappunto del potentissimo Giulio Ricordi che ne comprese subito l’anticonformismo e
l’autoritarismo, e non mancò di
punzecchiarlo sulla sua Gazzetta
Musicale.
Apprendista
tiranno
Sono gli anni d’una attività direttoriale frenetica: Genova, Torino, Barcellona, Milano, Palermo,
Bologna. Ma determinante è l’incarico, assegnatogli dalla Municipalità di Torino, di soprintendere
alla costituzione di un’Orchestra
Comunale da impiegarsi anche nelle stagioni liriche del Teatro Regio.
E’ questa la prima volta che Toscanini realizza il sogno d’aver un’orchestra “tutta sua” e di suo gusto e
scelta, inserita in un teatro di grande prestigio: il tutto a sua piena disposizione e sotto la sua unica guida monocratica, quale responsabile
unico di ogni settore dello spettacolo, dalla scelta dei repertori dei
cantanti, ai problemi di scene, costumi regìa ecc.
Tiramolla
con La Scala
Immagine giovanile del Maestro
Nasceva così la nuova figura del
direttore d’orchestra, arbitro unico d’ogni spettacolo posto sottola
sua guida.
Toscanini concepiva solo così
il ruolo del direttore d’orchestra.
Tale riuscì a tenere per tutta la durata della sua attività. Quella del
Regio di Torino era destinata essere solo la “prima” delle orchestre
e delle organizzazioni teatrali “sue
personali”. Seguiranno la Scala, la
Filarmonica di New York, la Sinfonica di Palestina (poi d’Israele),
l’Orchestra sinfonica della N.B.C.
Per citare solo le più importanti.
Con la scomparsa di Toscanini,
le varie componenti dello spettacolo
musicale ritornarono “autonome” e
spesso l’una contro l’altra armate e
nessuno spettacolo ebbe più una sua
unica ed inconfondibile cifra.
Alla testa dell’orchestra torinese, Toscanini diresse tre successive
stagioni e, nel 1898 ben 43 concerti
nel quadro dell’Esposizione di Torino. Nel dicembre di quello stesso
anno Arrigo Boito lo faceva chiamare alla Scala.
Dura trent’anni il rapporto Toscanini-Scala, contraddistinto da
trionfi, da irati distacchi e prolungate assenze (impegni stagionali
in Argentina, New York ecc.). Ma
ogni ritorno lascia la sua testimonianza, sia nelle scelte coraggiose
di nuovi repertori, sia nell’ assetto tecnico architettonico di palcoscenico e fossa orchestrale (1908).
Nel 1913 onora alla Scala il Centenario verdiano, in tempo per darsi da fare (come mazziniano interventista) per sostenere l’entrata in
guerra dell’Italia contro gli imperi
centrali, guerra cui Toscanini mette a disposizione la sua bacchetta,
dirigendo concerti di beneficenza
a favore delle forze armate sia in
teatro che sul campo, come quando, nel 1917, diresse una banda militare sul Monte santo, sotto fuoco
nemico.
Nel 1918, a guerra vinta, Toscanini s’impegna anima e corpo per
ricostruire la nuova orchestra della Scala e dar vita all’Ente Autonomo di quel teatro con sovvenzione
comunale fissa e certa. Ma questi
impegni, che dureranno due anni,
non gli impediscono di precipitarsi
a Fiume (1919) per celebrare con
chiarò pronto a sostenere le spese
necessarie alla riapertura ed al funzionamento del teatro. Unica condizione posta fu che fosse Toscanini a
guidare il risorto teatro, con poteri
assoluti (sia in campo artistico che
amministrativo). La prima a risorgere fu l’orchestra selezionata, persona per persona, direttamente da
Toscanini, e tosto collaudata in una
tournée italiana (1920-21) rimasta
leggendaria e subito esportata negli
Stati Uniti.
La definitiva riapertura della
Scala (26.12.1921) col Falstaff di
delle orchestre, per le quali, come è
noto, proclamava necessaria la “dittatura” ed inadeguata la “democrazia”.
Inevitabile, nel suo profilo psicologico, l’adesione al fascismo
quale presunto garante di “ordine
ed efficienza” nonché di “patriottismo” (anche sciovinistico).
Risale al 1919 la sua ufficiale
opzione pubblica per il fascismo
con la candidatura elettorale nella
lista dei fascisti milanesi. Suo compagno di lista era il noto interverventista Benito Mussolini. Toscanini non fu eletto, in quanto totalizzò
solo 5.000 voti, ma fatto resta, anche se poi Toscanini rifiutò la tessera del partito fascista.
Mussolini, dal canto suo, le tentò
tutte per tenerselo amico. Lo convocò pure a Palazzo Venezia per persuaderlo, con blandizie, promesse e
minacce, senza nulla ottenere. Toscanini ormai personalità di livello
nazionale ed internazionale, dovette
solo alla sua fama se non subì ritorsioni quali la prigione ed il confino e continuò ad essere il “dittatore” della musica italiana malgrado
l’imperante regime, con buona pace
del regime stesso.
Il suo fu un antifascismo “accademico” che, praticamente “disturbò” ben poco il regime e non scese in trincea contro le sue specifiche
iniquità, quali, ad esempio l’assassinio Matteotti (1924).
Le reazioni di Toscanini furono
Toscanini studia al pianoforte
Verdi, ovviamente diretto da Toscanini, segna l’ultimo periodo scaligero del Maestro e corrisponde al
culmine di suo potere assoluto nel
mondo della Lirica italiana ed europea. Tale periodo, ricco di episodi
eclatanti e spesso anche assai burrascosi, dovrà concludersi nel 1929 e
sarà presto seguito dall’abbandono
della direzione d’opera e della stessa patria italiana.
Candida
con Mussolini
ma poi lo scarica
Della complessa personalità toscaniniana, è stato scarsamente
messo in luce il suo comportamento
politico, glissando su tutto ciò che
non appartenga alla sua tarda ma assai enfatizzata professione di “antifascismo”. Ciò non ha permesso di
delineare il nucleo di tale personalità, fondamentalmente estremistica
ed autoreferenziale.
In barba alla sua confusa formazione anarcorepubblicana, Toscanini fu soprattutto un “uomo d’ordine” teso al buon funzionamento
ed all’efficienza della società come
ben diverse quando (1931) fu aggedito e bastonato a Bologna per
essersi rifiutato di eseguire l’inno
fascista (Giovinezza) in apertura
di un concerto commemorativo
di Martucci. L’anno prima aveva
opposto analogo rifiuto a Torino e
non era successo niente. Stavolta,
toccato di persona, non volle più
dirigere in Italia e circa due anni
dopo lasciò definitivamente il Bel
Paese.
Con l’estendersi in tutta l’Europa della marea nazifascista, Toscanini appose la sua firma a documenti di condanna delle discriminazioni
razziali inviati anche direttamente a
Hitler e disertò i Festival di Bayreut
(1933) e di Salisburgo (1939).
Quante volte, però, aveva già
prima piantato teatri e rappresentazioni solo perché “beccato” da qualcuno del pubblico o dell’ambiente e
non certo per motivazioni politiche
od etiche? Moltissime. L’unico reato per lui imperdonabile era in realtà
quello di “leso Toscanini”.
Dopo la guerra, ritornò ad inaugurare la ricostruita Scala (1946)
dove diresse ancora una commemorazione di Boito (1948) ed il
Requiem di Verdi (1954). Ma quella che ormai sentiva come la sua
nuova Patria, l’America, lo reclamava, gelosa del suo ultimo respiro. In fondo, con la “One World
Award for Music”, conferitagli nel
1947, l’America ne aveva fatto un
“suo” eroe per “i suoi grandi meriti nel resistere all’oppressione, per
il progresso della libertà”. Nel 1949
l’Italia lo aveva nominato “Senatore a vita”, ma Toscanini non accettò
il laticlavio.
Il misterioso
voltafaccia
verso Smareglia
Che i rapporti interpersonali di
Toscanini con gli altri (musicisti
e non) non fossero facili né senza
pericoli di improvvise non grate
“sorprese”, non è certo una novità, né stupisce. Però, praticamente,
tutte queste sgradite “sorprese” toscaniniane partono da qualche motivazione più o meno accettabile o
plausibile, sempre tenuto conto del
suo carattere “impossibile”. Resta
invece assolutamente misterioso il
“perché” del clamoroso voltafaccia
di Toscanini nei riguardi del polesano Antonio Smareglia che Toscanini, inizialmente, stimò moltissimo come compositore al punto da
imporre e dirigere alla Scala la sua
opera Oceana (1903). Che tale giudizio di Toscanini su Smareglia non
fosse un “fuoco di paglia”, lo ribadì Toscanini stesso nel 1913 quando, invitato dalla Scala a dirigervi
il Falstaff per il centenario verdiano, così rispose: “non intendo metter piede in un teatro dove per tanti anni non viene accolta un’opera
di Smareglia”. Presa di posizione
che sortì l’effetto della prima rappresentazione scaligera dello smaregliano Abisso, diretto da Tullio
Serafin (1914). Inoltre Toscanini e
Smareglia condividevano la familiarità e l’amicizia di Arrigo Boito per il quale entrambi provavano
un’autentica venerazione. Venuto
a mancare Boito (1918), Toscanini incaricò Smareglia di completare la strumentazione del boitiano Nerone, rimasta incompiuta per
la morte dell’autore, in vista della
prima programmazione scaligera
dell’opera. Nell’appartamento di
Toscanini, Smareglia iniziò subito
questolavoro per il quale doveva
percepire un appannaggio di 1000
lire al mese. Dopo tre mesi Toscanini partì per l’America ed il lavoro
fu sospeso. Prima del rientro di Toscanini, l’esecutore testamentari di
Boito (Albertini) comunicò a Smareglia che non se ne sarebbe fatto
più nulla e liquidò a Smareglia le 3
mila lire di spettanza. Alla strumentazione ci avrebbe pensato Toscanini o un suo altro incaricato. Alla vigilia della prima di Nerone (1924)
Smareglia rilasciò un’intervista al
“Piccolo” su Nerone (senza rivendicare il suo interrotto lavoro di strumentazione) tesa ad elogiare la genialità dell’opera. Toscanini, informato dell’intervista, cercò, troppo
tardi, di impedirne la pubblicazione, se la prese come un torto personale e da allora si comportò in maniera ostile contro Smareglia, tanto
che ciò fu amaramente rilevato nel
testamento smaregliano. Su questo
voltafaccia permane il mistero. Un
mistero che non onora il ricordo di
Toscanini ma non scalfisce la portata del suo personalissimo ed irripetibile lascito musicale ed epocale. Che ormai fa parte della Storia e
storicisticamente va studiato in ogni
suo aspetto, purificato da ogni occasionale retorica celebrativa.
6 musica
Mercoledì, 28 marzo 2007
MUSICA SACRA Lo Stabat Mater è stato musicato da quattrocento compositori
Le sublimi vette pergolesiane
L
o Stabat Mater (dal latino per
Stava la Madre) è una melodia gregoriana, più precisamente una sequenza cattolica del
XIII secolo attribuita a Jacopone
da Todi (ma la questione è controversa). Fu abrogata dal Concilio di
Trento e poi reintrodotta successivamente nella liturgia solo nel 1727
da papa Benedetto XIII. Tuttavia,
anche durante il periodo di abrogazione, questo testo ebbe grande risonanza. Fu posto in musica da oltre
400 compositori, tra cui si ricordano
principalmente: Emanuele d’Astorga, Luigi Boccherini, Gaetano Donizetti, Antonin Dvorak, Franz Joseph Haydn, Giovanni Battista
Pergolesi, Lorenzo Perosi, Antonio
Porpora, Francis Poulenc, Joseph
Rheinberger, Gioachino Rossini,
Antonio Salieri, Alessandro Scarlatti, Antonio Vivaldi, Nicola Antonio
Zingarelli. Tale preghiera, che inizia
con le parole Stabat Mater dolorosa
(“Stava la Madre soffrendo”) medita sulle sofferenze di Maria, madre
di Gesù, durante la Passione e Crocifissione ed agonia di Cristo.
Un canto amatissimo
da fedeli e da musici
È importante notare che, anche se
il testo è in latino, la struttura ritmica è già quella italiana: non si hanno
sillabe lunghe e corte, ma una serie
di ottonari rimati AABCCB, con alcune rime interne. È recitata in maniera facoltativa durante la messa
dell’Addolorata (15 settembre) e le
sue parti formano gli inni latini della
stessa festa. Prima della Riforma liturgica era utilizzata nell’ufficio del
venerdì della Settimana di Passione
(Madonna dei sette dolori - venerdì
precedente la Domenica delle Palme). Ma popolarissima era soprattutto perché accompagnava il rito
della Via Crucis e la processione del
Venerdì Santo. Un canto amatissimo
dai fedeli, non meno che da intere
generazioni di musicisti colti.
Lo Stabat Mater
di Pergolesi
Quando si parla di Stabat Mater
l’associazione a Giovanni Battista
Pergolesi è inevitabile, in quanto la
sequenza gregoriana da Egli messa
in musica rappresenta uno dei brani
più sublimi e toccanti della musica
sacra in assoluto. Secondo quanto
riporta la tradizione, la commissione di un nuovo Stabat Mater - che
doveva sostituire il precedente di
Alessandro Scarlatti (considerato
antiquato) - arrivò a Giovanni Battista Pergolesi (1710 - 1736) quando
il giovane musicista era già in pre-
Giovanni Battista Pergolesi
carie condizioni di salute. Il musicista, che sarebbe morto di lì a breve per tisi, terminò la composizione
del brano mentre si trovava a vivere i suoi ultimi giorni nel convento
dei cappuccini di Pozzuoli, dove si
era ritirato per lenire il dolore del
male incurabile che lo affliggeva.
Studi recenti hanno però suffragato
altre ipotesi: intanto appare possibile che la stesura dello Stabat fosse
iniziata tempo addietro, non soltanto a Napoli, dove il musicista abitava ormai da tempo, ma anche in
concomitanza di altri lavori importanti. Ad esempio, è ipotizzato che
lo Stabat Mater venne iniziato nel
1734 al tempo della composizione
dell’Adriano in Siria (e soprattutto
degli intermezzi Livietta e Tracollo)
e soltanto terminato a Pozzuoli nel
1736 durante gli ultimi mesi della
sua vita, ed insieme all’altro capolavoro sacro del compositore, ovvero
il Salve Regina. Con lo studio dell’autografo, uno dei pochi rimasti e
riconosciuti come autentici dell’autore, si nota però una grande fretta
di scrivere, confermata da numerosi
errori, parti di viole mancanti o soltanto abbozzate, e più in generale
un certo disordine tipico di chi ha
poco tempo davanti a sé. Quest’ultimo elemento, unito anche al significativo “Finis Laus Deo” posto in
calce nell’ultima pagina, quasi un
intimo ringraziamento nei confronti del Signore per avergli concesso
tutto il tempo necessario per concludere l’opera prima di farlo passare a
miglior vita, porta doverosi dubbi e
infittisce di problematiche la vicenda. Che lo Stabat Mater fosse almeno terminato a Pozzuoli appare
quasi una verità assodata, rimane
da capire fino a che punto l’opera
fosse già iniziata. Anche perché fu
Pergolesi stesso a confidare al suo
vecchio maestro Francesco Feo, andato a trovarlo per sincerarsi del suo
stato di salute, che non aveva tempo
per riposarsi o pensare a rimettersi,
poiché l’opera andava finita, e anche in fretta. La Quaresima si avvicinava, e le scadenze si facevano incombenti. Ma c’era di più: lo Stabat
Mater viene da sempre considerato
il testamento spirituale di Pergolesi,
ed un testamento non si lascia incompleto.
L’ammirazione
del grande Bach
In una vicenda così intricata, rimangono due certezze: intanto la
bellezza pura, malinconica ma non
drammatica, che risplende tutta la
sequenza, quasi come se Pergolesi vi si fosse rispecchiato ed avesse ritrovato gli accenti più veri del
suo dolore in quel canto sincero e
profondamente sentito. In seconda
analisi, il grande successo che riportò lo Stabat fin da subito, al punto
che il grande Bach decise di farsene una copia propria, un succcesso
che commosse il mondo, come se
da quella piccola celletta la musica del compositore jesino riuscisse
a parlare a tutti. A tutti, per la sua
semplicità (non banalità) unita a
una verità ed a una varietà di stili,
ad una partecipazione, che faceva
intuire dove poteva arrivare Pergolesi se non fosse stato strappato al
mondo ancora in giovane età. È una
musica non pretenziosa, si direbbe
Masaccio
umile, dove sono eliminati ogni sorta di virtuosismo esteriore fine a sé
stesso ed ogni sorta di artificio superfluo ed inutile. Tutto sorregge il
canto ed è funzionale al risplendere
delle due voci femminili, e già dall’introduzione si delinea un clima
commovente e malinconico, la musica prende vita, forma, diventa arte
altissima e sembra quasi di scorgere il volto in lacrime della Madonna
davanti al Cristo.
La commozione
di Bellini
Altri musicisti si sono cimentati nello Stabat: Haydn, Boccherini,
Rossini, Dvorak, Penderecki, ma
nessuno - eccetto forse Rossini - è
riuscito ad eguagliare il capolavoro
pergolesiano, dove non c’è solo musica, ma vi è l’autore stesso, la sua
vita disgraziata, i suoi dolori, il suo
sorprendente ottimismo nonostante
tutto, la sua amarezza per il suo destino. Non a caso Bellini al pianoforte soleva ripetere che non poteva
suonare lo Stabat Mater pergolesiano senza fare a meno di piangere. E
lo stesso Rossini, peraltro, giunto
ormai nei suoi anni della maturità,
meditò a lungo prima di scrivere il
suo, perché riteneva l’opera di Pergolesi sublime ed irraggiungibile.
Ancora oggi lo Stabat è rappresentato nelle chiese cristiane e nei
teatri di tutto il mondo, considerato uno dei massimi capolavori della
musica sacra di tutti i tempi.
DIDATTICA Della pratica musicale nelle scuole. I laboratori musicali e i cori rivestono un ruolo
Rivalutare e dare visibilità sociale all’educazione
C
on decreto dello scrivente del 4
ottobre 2006 è stato conferito
al Prof. Luigi Berlinguer l’incarico
di presiedere un Comitato di esperti con il compito di formulare proposte per la realizzazione di iniziative finalizzate alla diffusione della
cultura della pratica musicale nelle scuole. L’attività del Comitato ha
già maturato una serie di riflessioni
atte a rilanciare le politiche del Ministero nello specifico settore, la cui
valenza educativa troppo spesso non
trova né riscontro né adeguato riconoscimento nel panorama delle attività che gli studenti sono chiamati a
svolgere. La necessità di rivalutare il
ruolo educativo della pratica musicale nasce dalla convinzione che l’essenza dell’apprendimento musicale
risieda nella creazione e non nella
replicazione. Attraverso l’esperienza del fare ognuno apprenderà a leggere e a scrivere musica, a comporla
e a improvvisarla. Si intende infatti
per improvvisazione quel gesto che
sintetizza in un unico istante/istinto
creativo le fasi che caratterizzano i
processi del comporre: conoscenza, pensiero, decisione. L’obiettivo
principale è pertanto quello, ambizioso e tale da richiedere un’inversione della tendenza culturale prevalente, di rilevare, attraverso momenti di riflessione e di proposta, le condizioni necessarie per l’inserimento
della pratica musicale a pieno titolo
nelle attività educative e didattiche
delle scuole...
La settimana
nazionale della
musica a scuola
Istituita a partire dal 1999, la
Settimana nazionale della musica a
scuola vedeva il suo momento culminante nella data del 5 maggio di
ogni anno con iniziative mirate a
coinvolgere le scuole di ogni ordine e grado e a consentire loro un
ragionato momento di visibilità rispetto alle varie esperienze realizzate. Quella prima esperienza e quelle condotte negli anni immediatamente successivi hanno dimostrato
l’esistenza di un elevatissimo grado di interesse da parte delle scuole ed un’ampia partecipazione degli
studenti che hanno colto la valenza
del loro coinvolgimento da protagonisti nel processo educativo e la
grande occasione di socializzazio-
gole scuole, ma anche un momento
di collaborazione con soggetti esterni, privati ed istituzionali, al fine di
stimolare una riflessione culturale
quanto più generalizzata sull’incidenza della musica nei processi di
formazione dei giovani. In tale cora-
sati alla diffusione della cultura della pratica musicale nelle scuole. Da
parte sua questo Ministero assumerà l’onere di ripristinare, in un giorno da individuare nella prima settimana di maggio di quest’anno, una
manifestazione nazionale che si arti-
Nell’intento di rivalorizzare il ruolo formativo, culturale
e di socializzazione dell’educazione musicale nelle
scuole, il ministro della pubblica istruzione d’Italia
Giuseppe Fioroni ha diramato un documento contenente
le disposizioni circa gli indirizzi da perseguire a tal fine,
e del quale pubblichiamo i contenuti salienti
ne derivante dalle relative attività.
... A tal fine viene istituita la settimana dal 2 all’8 maggio quale settimana dedicata alla musica ferma
restando, come culmine, la giornata
del 5 maggio... Non solo, quindi, un
momento finale di rappresentazione
delle esperienze condotte nelle sin-
lità di collaborazioni ampie, le scuole nelle quali siano presenti risorse
professionali specifiche potranno
rendersi disponibili a supportare le
iniziative adottate da altre scuole del
territorio, supporto che sarebbe auspicabile venisse fornito anche dai
soggetti esterni a vario titolo interes-
colerà in una rappresentazione degli
alunni delle scuole da svolgere nel
cortile centrale del Ministero e nella rappresentazione di un’edizione
speciale di Scuola Musicafestival
...”concertone” al quale partecipano centinaia di studenti, provenienti da ogni parte d’Italia, all’esito di
musica 7
Mercoledì, 28 marzo 2007
SCHITARRANDO Merchi e Francesco Molino, ovvero il duo violino - chitarra
L’evoluzione dal barocco al classicismo
di Alessandro Boris Amisich
G
li anni che comprendono
il periodo che va dalla seconda metà del Settecento
fino ai primissimi decenni dell’Ottocento segnano un momento di
grandi trasformazioni nella morfologia della chitarra; il popolare
strumento infatti, uscendo dalla
pratica barocca, perde i raddoppi
delle cinque corde (ora in unisono,
ora in ottava) a favore di una maggior tensione delle stesse e di una
conseguente ricerca di volumi sonori più consoni ai nuovi ambienti
della musica.
menti con sette, otto, nove e dieci
corde, tutte ad aumentare l’estensione nel basso - e dotandosi di
maggiori potenzialità per svolgere
una funzione di sostegno armonico. Ecco che così potrà meglio sorreggere l’armonia di melodie tracciate con bravura dai cantanti e dai
virtuosi di strumenti melodici.
Non subisce lo stesso travaglio
lo strumento ad arco per la semplice ragione che… l’aveva già subito in precedenza e aveva adeguato
le sue forme e le sue potenzialità
già nei secoli precedenti: in questo
scorcio di pochi decenni si limita
a perfezionare e a definire percorsi
già intrapresi.
Dalle intavolature
alla grafia musicale
moderna
Discussione entre les carulistes
et les molinistes
Lo strumento si evolve, lasciandosi alle spalle il ruolo di raffinato
sottofondo ai giochi di società dei
salotti aristocratici e si avvia nel
breve volgere di qualche decennio
a raggiungere nuovi fruitori - intesi come ascoltatori e anche come
esecutori dilettanti - nella borghesia frequentatrice dei teatri.
La metamorfosi
tecnica della chitarra
La chitarra vede aumentare le
proprie dimensioni e il proprio volume sonoro; nel frattempo comincia a cambiare anche il linguaggio
dei compositori, pur con retaggi
consistenti dell’epoca appena trascorsa. Solo nel primo Ottocento
la chitarra aggiungerà però la sesta corda al basso, ampliando così
quasi definitivamente la sua gamma sonora – a dire il vero nell’epoca romantica ci saranno anche stru-
Le prime opere per la nuova
chitarra, non più barocca ma non
ancora classica, vengono stampate
a Parigi tra il 1755 e il 1765: si va
abbandonando il sistema dell’intavolatura (ossia l’utilizzo della
rappresentazione grafica della tastiera e delle corde) per introdurre
nell’uso la grafia musicale vera e
propria, quella che noi ancor oggi
utilizziamo, con la chiave di sol,
intendendo però che i suoni reali risultano un’ottava più in basso
di ciò che la grafia stessa rappresenta.
E sia nel secondo Settecento
che nel primo Ottocento gli autori che danno impulso alla letteratura per/con chitarra provengono quasi tutti dalla pratica dello
strumento ad arco: questo implica una tipizzazione, una radicalizzazione - se vogliamo utilizzare questi termini - della prassi
compositiva: la melodia è sempre
rilevante e ben caratterizzata, la
funzione armonica e di sostegno
diventa sempre più chiara ed inequivocabile: i ruoli dello strumento melodico e di quello armonico
vengono a definirsi con estrema
chiarezza. Ciò ovviamente non
toglie la possibilità che qua e là
Charles de Marescot, immagine da “La Guitaromanie” – 1825
anche alla chitarra venga offerta monotematico (retaggi del baroc- combattute usando le chitarre come
la possibilità di cantare e dialo- co), mentre i tempi rimanenti han- vere e proprie armi. I duetti per viogare con lo strumento melodico, no dimensioni minori e carattere lino e chitarra di Molino si articoma i ruoli in genere sono (sempre più “galante” (si tratta di minuetti lano sempre in due tempi; il primo
più) rigidi: non deve quindi ap- e rondeaux ora chiamati esplicita- ha una fluenza lirica, con forti conparire paradossale che la chitarra mente con il loro nome, ora cela- notazioni espressive e patetiche e
melodizzi di più in Merchi, che è ti sotto l’indicazione di grazioso o con funzione introduttiva al secondo tempo, che è sempre una danza
settecentesco, che non in Molino, allegro).
brillante: se da una parte continuiail quale invece appartiene a una
Le innovazioni
mo a trovare ancora ben attestato il
generazione successiva.
vecchio rondo, (che però sopravvichitarristiche
I brani galanti
ve alle epoche precedenti adeguandi un violinista
do forme e caratteristiche al nuovo
di Giacomo Merchi
sentire ottocentesco), dall’altra si
Giacomo Merchi (1730-1793)
Siamo già in pieno Ottocento affermano danze tipicamente otè bresciano e dapprima suona in con la figura di Francesco Molino, tocentesche, come la polacca e la
duo col fratello Giuseppe Bernar- nato ad Ivrea nel 1768 e morto a Pa- scozzese (ecossais). I momenti in
do. Arrivato in Francia, a Rennes, rigi nel 1847. Violinista alla cappel- cui la chitarra può “cantare” sono
nel 1751, dopo una serie di tours la reale di Torino (1814-18), autore molto più ridotti, rispetto a Merchi,
concertistici in Francia e nei pae- di concerti per violino e orchestra, e la melodia quindi appare affidasi di lingua tedesca, si trasferisce si avvicina poi alla chitarra, al cui ta quasi sempre e quasi totalmena Parigi. Le sue prime opere sono linguaggio apporta innovazioni no- te al violino; se occasionalmente
per chitarra sola, per chitarra e can- tevoli. Il suo arrivo a Parigi lo vede la chitarra deve emergere (ma, se
to, per chitarra e violino. Ci lascia divenire suo malgrado caposchie- avviene, è sempre per pochissime
36 numeri d’opera ed altre compo- ra di una “fazione” chitarristica, battute), il violino addirittura presizioni senza numero. I suoi Sei (quella che appunto si chiamerà dei ferisce tacere. Nel giro di pochi deduetti a chitarra e violino con sor- molinisti) che si contrapporrà alla cenni appare evidente come i ruoli
dina raccolti nell’oeuvre XIIe si vecchia scuola, rappresentata nel- dei due strumenti abbiano percorso
articolano tutti in due o tre tempi, la capitale francese dal napoletano un’evoluzione che ha dato origine,
di cui il primo è il più consistente Ferdinando Carulli. Una rivista del- praticamente, a un vero e proprio
dal punto di vista formale, biparti- l’epoca ci rappresenta gustose … schematismo nella prassi compoto, ritornellato e sostanzialmente discussioni tra carullisti e molinisti sitiva .
basiliare nello sviluppo dell’istinto creativo e nella formazione della giovane personalità...
musicale con apposite e mirate strategie
una procedura di selezione concordata con il Ministero stesso.
Istituire laboratori
musicali e cori
Negli anni in cui più viva è stata l’attenzione del Ministero verso la
valorizzazione della pratica musicale
nelle scuole, l’iniziativa più concreta assunta č stata quella di finanziare, secondo un modello strutturato e
diffuso in modo equilibrato su tutto
il territorio nazionale, l’istituzione di
laboratori musicali in ogni provincia. L’esperienza si è rivelata molto
positiva tanto che i laboratori musicali attivati hanno, nella gran parte
dei casi, consolidato e radicato la
propria presenza nel territorio tanto
da costituire preziosi punti di riferimento per ogni ipotesi di espansione
delle esperienze realizzate... Peraltro, l’organizzazione in rete consente di allargare il terreno dei docenti
coinvolti nelle attività laboratoriali,
in modo da sopperire, almeno nel
medio periodo, all’eventuale carenza di risorse umane in possesso di
tutte le abilità richieste. La ricerca
di collaborazioni plurime non esclude ovviamente il ricorso a risorse
umane esterne alle scuole coinvolte
(docenti di strumento di altre scuole,
docenti di conservatori e istituti musicali, musicisti, ecc…), almeno fino
a quando non si creeranno le condizioni per una stabilizzazione della
specifica figura professionale;...Le
considerazioni anticipate in questa
sede hanno lo scopo di fornire il senso di prospettiva programmatica che
questo Ministero intende fornire alla
materia all’interno del complessivo
quadro degli obiettivi riguardanti
la politica scolastica... I laboratori
musicali, luogo fisico attrezzato che
costituisce spazio operativo per un
insegnamento/apprendimento della
musica che dia luogo ad un’attività espressiva, partecipata e creativa,
costituiscono il veicolo principale di
diffusione della cultura musicale ma
non il mezzo esclusivo. Esiste un’ul-
teriore possibile area che può efficacemente contribuire a realizzare
le valenze formative della musica e
precisamente quella che si esprime
nella costituzione di cori che, per
loro intrinseca natura, si prestano ad
una diffusione che non presuppone
necessariamente strutture laboratoriali... Nelle more si ravvisa l’opportunità che le scuole in condizioni di poterlo fare costituiscano cori
fin da ora.
Attività
di medio-lungo periodo
Nel ribadire l’intenzione di questo Ministero di pervenire a soluzioni strutturate della complessa materia secondo criteri di gradualità, si
ritiene opportuno indicare fin da ora
alcuni dei temi che dovranno essere
oggetto di attenzione e valutazione
nei momenti e nelle sedi opportune:
- individuazione di una specifica struttura amministrativa di riferimento all’interno dell’Amministra-
zione centrale in sede di riorganizzazione dei servizi affidata al regolamento in corso di emanazione;
- individuazione di referenti all’interno di ciascun Ufficio scolastico regionale;
- potenziamento dell’apertura
pomeridiana delle scuole, quale occasione per riservare spazi e mezzi
adeguati alla pratica musicale;
- progettazione di una Conferenza internazionale ove approfondire
e onfrontare le diverse esperienze
nel campo della didattica musicale
a scuola, sotto i profili teorici e pratici della sua rilevanza educativa e del
profondo cambiamento che essa può
introdurre nell’impianto pedagogico
italiano anche in linea con quanto
accade nei contesti di altri paesi;
- organizzazione di Convegni nazionali aperti ad un confronto con
personalità dell’arte, della scienza e
dello spettacolo, in vario modo implicate nell’esperienza musicale;
- realizzazione di eventi, a carattere nazionale o locale, per sensibi-
lizzare l’opinione pubblica sull’importanza della musica come educativo dei giovani. In tale contesto
si inserisce anche il ripristino della
Settimana nazionale della musica;
- avvio di una ricerca nazionale nelle scuole per realizzare una ricognizione delle iniziative già oggi
condotte nelle stesse, sia in maniera
autonoma sia in collaborazione con
soggetti esterni;
- incentivazione dei laboratori
musicali già esistenti con l’offerta di occasioni di confronto e visibilità....
- istituzione di centri musicali
di eccellenza che possano eventualmente assumere il coordinamento
della rete territoriale;
- sviluppo e sostegno del progetto “Rete telematica e musica
elettronica” al fine di realizzare un
felice connubio tra il fenomeno sonoro e le nuove tecnologie e di cogliere i connessi aspetti di dinamismo culturale.
(IL MINISTRO - Giuseppe Fioroni)
8 musica
Mercoledì, 28 marzo 2007
L’EVENTO Prezioso e stimolante corso pianistico del grande Konstantin Bogino
Esprimere la propria personalità
tramite la musica
Q
uando la musica diventa vita e la vita
musica, quando il rapporto tra maestro ed allievo diventa trasmissione
di sapere, scoperta di mondi e dimensioni
di pensiero e di emozioni nuovi, di creatività nella libertà, di arricchimento umano e
musicale, allora diciamo Konstantin Bogino,
il grande pianista e pedagogo russo che nel
c.m. ha tenuto un corso pianistico alla Scuola
di Musica di Fiume; seminario al quale han-
Bogino al pianoforte
no aderito parecchi allievi ed insegnanti delle SM di Fiume dell’Istria, di Zagabria, delle
Accademie dei Musica di Lubiana e quella
zagabrese riportando insegnamenti, ed impressioni di grande stimolo e crescita.
In realtà si tratta di un rapporto di grandissima apertura nel quale la dedizione e la
disponibilità dell’insegnante nei confronti di
ogni singolo giovane musicista sono assolute
in quanto “ogni bambino, ragazzo, ha il diritto di esprimere e sviluppare la propria personalità”.
Il maestro Bogino ha espresso il suo particolare apprezzamento per la strutturazione
del sistema scolastico musicale da noi che
permette ad ogni bambino, fin dalla più tenera età, di avvicinarsi alla musica e di apprendere in maniera sistematica i rudimenti, le fondamenta dell’arte pianistica, il che
è di primaria importanza in quanto basi solide rendono possibile l’ulteriore crescita del
giovane pianista. “Io tengo delle master class
in diversi paesi europei ed extraeuropei però,
devo osservare che non in tutti esiste questa
verticale, questa, piramide scolastica –livello
elementare, medio ed accademico - che consente ad ogni ragazzo di studiare musica fin
dalla prima infanzia. Il fatto che voi insegniate alla Scuola di Musica di Fiume non sminuisce affatto l’importanza e la responsabilità del vostro operare rispetto al mio”.
È singolare osservare come il Maestro
durante le lezioni instauri con grande facilità un rapporto umano immediato, aperto e
costruttivo con ogni singolo alunno. Qualche
battuta scherzosa per sdrammatizzare l’ansia
iniziale del ragazzo, dopodiché bastano poche parole, un accenno, un esempio, un’oc-
Sans Souci: un Vivaldi
innovativo e del Sonar pitoresco
I
l tredicesimo Cd del Sans
Souci è stato immesso nel
mercato discografico dalla prestigiosa etichetta Dynamic di
Genova, per la quale l’ensemble padovano ha già inciso altri
nove titoli.
Il presente che reca iltitolo “Aurei Zeffiretti”, comprende un interessante programma
di sonate e triosonate di Antonio Vivaldi per il flauto dolce
(qui impiegato in tre diverse
taglie), l’oboe e il fagotto, accompagnati dal cembalo e dall’
arciliuto.
Gli interpreti sono: Gianpaolo Capuzzo (flauto dolce), Giuseppe Nalin, (oboe), Paolo Tognon (fagotto), Pierluigi Polato
(arciliuto), Lorenzo Feder (Clavicembalo).
La durata del cd è di oltre
un’ora e porta la seguente sigla: Dynamic - CDS 538. 2007www.dynamic.it
In vendita in tutti i negozi di edizioni discografiche e presso la Jupiter Distri-
buzione di Gravellona Toce
(VB) Tel. 0323 840669 –
www.jupitercalssics.com
Altro importante prodotto
di alta tecnologia e documentazione acustico filmografica
è il DVD prodotto dal Sans
Souci con un programma di 35
minuti di film girati nella stupenda villa Pigafetta Camerini
di Mossano (VI), situata in un
ameno parco del Colli Berici.
Sono state registarte due
triosonate di A. Califano, una
di Vivaldi e una di A. Besozzi,
il tutto in una cornice rutilante
di colori, in cui compare anche
la città di Venezia come sfondo ad una conversazione storica sugli strumenti impiegati
e sui musicisti veneziani operanti nella Repubblica veneta
e in Germania. Il tutto per la
durata totale di oltre un’ora.
Le riprese sono state effettuate con tre telecamere digitali ad alta definizione e con
tecniche di montaggio, vivaci e innovative. Pubblicato
2007.
Foto di gruppo con il Maestro, gli insegnanti e gli alunni
chiata e tutto si trasforma, prende il giusto
senso, si arriva alla soluzione tecnica “che
ci voleva”, il colore del suono si trasforma,
l’espressione emerge...
Le origini italiane
del Maestro
Pochi sapranno che il Maestro Bogino ha
origini italiane; infatti il suo bisnonno musicista, che si trasferi in Russia, era torinese. Da
allora tutti i Bogino di mestiere hanno fatto i
musicisti. Konstantin Bogino appartiene alla
terza generazione di pianisti. “I miei non ave-
vano molta fantasia nella scelta della professione. Si faceva il pianista e basta. Il padre
(autore di un apprezzato metodo di studio di
pianoforte), la madre, la sorella, il cognato, la
nonna, erano tutti pianisti... quand’ero piccolo
il mio lettino stava sotto il pianoforte”.
Ricorderemo che Konstantin Bogino tiene corsi di perfezionamento in Italia, Francia, Germania, Austria, Slovenia, Giappone,
Corea e Russia. Fondatore del celebre Trio
pianistico Tschaikovski, l’artista si è esibito
nelle sale da concerto più prestigiose e nei
massimi festival mondiali, come pure a Fiume (pvm)
ANEDDOTI E AMENITÀ
Confessione
dello strumentista
O Direttore possente e misericordioso,
Abbiamo errato, e ci siamo allontanati dalla Tua bacchetta come
gregge disperso;
Troppo abbiamo seguito l'intonazione e il tempo dei nostri cuori,
Abbiamo peccato contro le Tue
indicazioni dinamiche,
Non abbiamo suonato le note
che dovevano essere suonate,
abbiamo suonato note che non
dovevano essere suonate,
e non c'è più sostegno nel nostro suono.
Ma Tu, o Direttore, abbi pietà di
noi miseri suonatori;
Soccorri chi si trova nelle difficoltà tecniche,
Ristora coloro che hanno bisogno di prove di sezione,
Risparmia coloro che hanno il
lapis a portata di mano.
Perdona i nostri errori, e confida che d'ora in poi seguiremo il
Tuo gesto,
E suoneremo insieme in perfetta
armonia. Amen.
Quando seppe a quanto ammontava la somma, Rossini ostentò meraviglia e disse: "Datemi il denaro, e
starò sul piedistallo io stesso!"
------------Un tale vuole comprare un biglietto per una rappresentazione al
Festival di Bayreuth, e protesta perché gli vogliono dare un posto in
fondo alla sala.
"Ma se è il posto migliore!", dice
l'impiegato.
"Come sarebbe a dire, il migliore?"
"Ma sì, è proprio accanto alla
porta!"
-------------Come si fa a dire quando una soprano wagneriana è morta?
I cavalli appaiono molto sollevati.
Il monumento
a Rossini
Gli amici di Rossini, lui vivente, avevano raccolto una fortuna per
fargli un monumento.
La cavalcata delle valchirie
Jacques Thibaud
Un ammiratore porse al celebre
violinista Jaques Thibault un libretto
per autografi.
"Non c'è molto spazio in questa pagina, disse Thibault, che cosa
devo scrivere?"
Un altro violinista lì presente
suggerì: "Scrivici il tuo repertorio".
(Thibaud si esibì in concerto a
Fiume negli anni Venti grazie alla
Società di Concerti)
------------Un giudice, dopo aver guardato
in faccia l'imputato, gli domanda:
"Dove l'ho vista prima d'ora?"
"L'inverno scorso ho dato lezioni di violino a suo figlio", risponde
questi.
Il giudice ricorda: "Ah, già...
Vent'anni di carcere!"
Anno III / n. I 28 marzo 2007
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Andrea Malnig
Collaboratori: Alessandro Boris Amisich, Daria Deghenghi, Helena Labus, Fabio
Vidali Foto: Daria Deghenghi
Il presente supplemento viene realizzato nell’ambito del Progetto EDIT Più in esecuzione della Convenzione MAE-UPT n.1868
del 22 dicembre 1992 Premessa 8, supportato finanziariamente dall’UI-UPT e dal Ministero Affari Esteri della Repubblica italiana.
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28. 3.2007 - EDIT Edizioni italiane