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Convegno : La Famiglia un bene prezioso al centro dei cambiamenti e del welfare.
Auditorium del Lavoro – Via Rieti Roma 15.03.2007
Reddito Minimo di Inserimento : L’esperienza nella realtà calabrese.
Intervento di Luigi Sbarra Segretario Generale Cisl Calabria.
La sperimentazione dell’istituzione del Reddito Minimo di Inserimento ha rappresentato nel nostro
paese un’opportunità dalle caratteristiche fortemente innovative.
Esso infatti combinava un intervento universalistico, volto a fronteggiare le situazioni di grave
povertà economica delle famiglie mediante un’erogazione monetaria certa e definita, con un
intervento di inserimento sociale e occupazionale, volto a stimolare, coinvolgere e accompagnare i
destinatari lungo un processo di riduzione del bisogno e di fuoriuscita dalla marginalità. La
sperimentazione del RMI ha perseguito due obiettivi fondamentali:
Superare le vecchie logiche dell’assistenza economica discrezionale e frammentata e sancire un
diritto universale alla dignità e a condizioni minime di sussistenza, in linea con i più moderni
sistemi di protezione sociale presenti in molti paesi europei;
Realizzare una politica di lotta alla povertà e all’esclusione sociale, non semplicemente elargitivi,
ma attiva, orientata cioè a impegnare e valorizzare le risorse individuali e familiari degli interessi
sugli obiettivi e attività con loro concordate. Essa associa così il contributo di minimo vitale a
specifici programmi di inserimento sociale.
In Italia non esisteva fino all’introduzione del Reddito Minimo di Inserimento, (decreto legislativo
237/98 del 18 giugno), alcuna misura esplicitamente volta a combattere l’esclusione sociale. Nel
nostro paese mancava un sostegno di minimo vitale presente ad esempio in Inghilterra,
in
Germania , Francia , Irlanda.
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Va però detto che il nostro sistema nazionale di protezione sociale, (assistenza, previdenza, sanità),
operando in vari settori, permetteva di creare una serie di dispositivi, da cui si otteneva una “politica
implicita” contro l’esclusione sociale e la povertà.
A partire dagli anni novanta un ruolo determinante è stato svolto dalle “ leggi finanziarie” che
hanno legiferato su materie che riguardavano i diritti sociali di cittadinanza.
Ad esempio, sono stati definiti costi ridotti e limitati di accesso ai servizi sanitari e le relative
esenzioni. Sono stati ritoccati i relativi sostegni ai disoccupati, è stato modificato il sistema
pensionistico, ecc.
La legge finanziaria del 1998 ha avviato la sperimentazione biennale di misura integrata di
sostegno al reddito minimo di ultima istanza, definita reddito minimo di inserimento .
Alla fine del 1998, dunque, ha avuto inizio in 39 comuni italiani un biennio di prova, e per la prima
volta nel nostro paese la valutazione degli esiti della sperimentazione è stata affidata ad un istituto
indipendente, che ha lavorato a stretto contatto con il dipartimento degli Affari Sociali e con la
Commissione di indagine sull’esclusione sociale.
La legge finanziaria 2001, senza attendere i risultati della sperimentazione e il rapporto di
valutazione ha ulteriormente allargato, per un altro biennio, il numero dei Comuni in cui è inserito il
RMI (ai 39 Comuni si sono aggiunti ulteriori 267 ).
Una strategia innovativa che presenta alcuni punti fermi: occuparsi di coloro dei quali non ci si
occupa mai: bambini, famiglie, le povertà , integrazione immigrati, e cercare di implementare nella
rete dei servizi una cultura sociale inclusiva.
“Il RMI introdotto in via sperimentale è una misura di contrasto della povertà e dell’esclusione
sociale attraverso il sostegno delle condizioni economiche e sociali delle persone esposte a rischi
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della marginalità sociale ed impossibilitate a provvedere al mantenimento proprio e dei figli per
cause psichiche, fisiche e sociali” (art. 1 DL.237/98).
Particolare rilievo, accanto al trasferimento monetario, è dato agli interventi di integrazione sociale
finalizzati alla promozione delle capacità individuali e dell’autonomia economica degli individui.
“I destinatari del RMI erano i cittadini italiani, o di Paesi membri dell’Unione Europea residenti da
almeno dodici mesi in uno dei Comuni ammessi alla sperimentazione; i cittadini non appartenenti
all’Unione Europea o apolidi, dovevano risiedere in uno dei Comuni ammessi alla sperimentazione
da almeno tre anni.
Ai soggetti in età lavorativa, non occupati, ed abili al lavoro veniva richiesta la disponibilità a
frequentare corsi di formazione professionale e la disponibilità al lavoro documentata tramite
l’iscrizione all’Ufficio di Collocamento.
I destinatari dovevano essere privi di reddito o con un reddito non superiore nel 1998, a
£ 500.000 per una persona. In presenza di un nucleo familiare composto da 2 o più persone tale
soglia di reddito veniva determinata sulla base della scala di equivalenza individuata da criteri del
Ministero.
Per la scelta dei comuni la Commissione sulla Povertà si è basata sulla relazione Istat.
Importanti sono stati gli incontri con gli assessori regionali, dei comuni, con l’Anci, tutto al fine di
fare il più possibile chiarezza sulla povertà in Italia e ridurre ogni eventualità di natura speculativa.
Nei due anni di sperimentazione sono state presentate 55.522 domande di reddito minimo. Ne sono
state accolte 34.730, per complessive 85.000 persone. Nella stragrande maggioranza dei casi lo
scarto tra domanda presentate e domande accolte segnala che vi è stato un grosso sforzo di verifica
dei requisiti di accesso da parte dell’amministrazione, soprattutto nel Mezzogiorno dove i Comuni e
l’Istituto di valutazione hanno segnalato come vi fossero delle difficoltà concrete nelle verifiche e
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nei controlli, che richiedevono competenze e anche legittimazioni specifiche per poter accedere per
esempio: all’ ufficio imposte, banche, catasto, uffici postali.
Nei programmi di inserimento sociale risultavano inserite a dicembre del 2000, 37.087 persone. I
più diffusi sono quelli d’integrazione socio-relazionale.
Questi avevono come obiettivo quello di promuovere l’inserimento sociale, offrendo ai beneficiari
l’occasione di entrare a far parte di ambienti sociali positivi culturalmente stimolanti. Gli
inserimenti sono avvenuti in associazioni di volontariato, cooperative sociali, parrocchie e comunità
terapeutiche, dove gli utenti svolgevono attività di vario tipo: manutenzione degli impianti, cura del
verde, assistenza alle segreterie, ecc.
Un altro tipo di intervento consisteva nell’inserimento dei giovani e dei minori in esperienze di
rieducazione territoriale, centri di aggregazione e ludoteche.
Queste strutture sono state create in molti comuni grazie ai finanziamenti previsti dalla 285/97 sulla
adolescenza. Altri tipi di programma sono stati attività di cura e sostegno intrafamiliare, finalizzate
sia al sostegno di una genitorialità responsabile sia all’avvio di percorsi terapeutici alle donne sole
e capo famiglia.
La difficoltà ad attuare attività di inserimento lavorative è strettamente legata oltre che alle
condizioni del mercato del lavoro locale alla capacità progettuale e organizzativa degli operatori
sociali. Nei comuni più poveri spesso mancano risorse come: imprese, associazioni imprenditoriali ,
strutture cooperative , ecc. .
Come si sa la Finanziaria 2003 non ha più sostenuto e confermato il Reddito Minimo di Inserimento
determinando il blocco generalizzato dell’esperienza.
Nel punto intitolato “Il sostegno al reddito di ultima istanza”, il Patto per l’Italia scrive: “Il sistema
di sostegno al reddito verrà completato da uno strumento di ultima istanza, caratterizzato da
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elementi solidaristici e finanziato dalla fiscalità generale. La sperimentazione del Reddito minimo
di inserimento ha consentito di verificare l’impraticabilità di individuare attraverso la legge dello
Stato soggetti aventi diritto ad entrare in questa rete di sicurezza sociale. Appare perciò preferibile
realizzare il cofinanziamento, con una quota delle risorse del fondo per le politiche sociali, di
programmi regionali, approvati dall’amministrazione centrale, finalizzati a garantire un reddito
essenziale ai cittadini non assistiti da altre misure di integrazione del reddito. L’amministrazione
centrale avrà un ruolo di coordinamento e di controllo sull’andamento e sui risultati dei programmi
medesimi. L’eventuale prosecuzione dell’esperimento relativo al Reddito minimo di inserimento
dovrà essere coerente con le finalità sopra descritte e con gli obiettivi di contrasto dell’economia
sommersa”.
Tutto ciò nonostante l’ultimo rapporto dell’istituto di valutazione del RMI inviato al Ministero del
Welfare che tracciava un bilancio molto positivo della sperimentazione: oltre 17.000 famiglie sono
uscite dal tunnel della povertà, su 85.000 beneficiari 37.000 sono stati impiegati in programmi di
reinserimento sociale (in associazioni di volontariato, cooperative sociali, parrocchie). E ancora
grazie al RMI oltre 2.300 persone che non avevano completato la scuola dell’obbligo hanno
conseguito il diploma di licenza media; 800 famiglie sono rientrate dalle morosità e dagli arretrati di
pagamenti degli affitti e delle utenze. Addirittura l’istituto evidenzia che in diverse città del sud è
stata segnalata una diminuzione del fenomeno di microcriminalità ( Reggio Calabria , Vibo Valentia
, ecc. ) .
Una parte rilevante della società calabrese - oltre il 35% - è costretta a vivere in una condizione
ingiusta di disagio materiale e morale. Il reddito personale di estese categorie di lavoro diviene
sempre più inadeguato rispetto ai bisogni essenziali della vita.
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Gli indicatori economici e sociali segnalano un livello di arretramento della Regione sotto il profilo
economico , produttivo , occupazionale .
In Calabria più che altrove è concentrato il maggior numero di famiglie povere : su 718.874 mila
nuclei familiari 214.346 vivono condizioni di povertà e di disagio economico con una incidenza del
35% , anche se guardiamo alle persone residenti su 2.027.066 calabresi 619.244 vivono sono
povere.
Il Pil è tra i più bassi d’Italia , ridottissimo il tasso di occupazione , siamo in fondo alle graduatorie
nazionali per Reddito Pro-Capite , una riduzione pressoché costante della dinamica della spesa delle
famiglie , siamo la seconda regione del paese per livelli eccessivi di tassazione fiscale , il numero
dei lavoratori irregolari è oltre il 30% con una evasione fiscale altissima , come alto è il tasso di
disoccupazione che ci colloca tra i primi posti delle graduatorie nazionali ed europee.
Non solo: ma sul reddito personale, spesso insufficiente, grava in modo sempre più esteso anche il
bisogno di altre persone senza reddito alcuno, determinando così situazioni di progressivo
impoverimento familiare e sociale.
Inoltre risulta crescente il numero delle persone sole, senza reddito e senza sostegno materiale e
perciò espulse via via dal contesto sociale.
Qui più che altrove si rende necessaria , ad avviso del Sindacato , una decisa azione di riequilibrio
sociale partendo dal processo di sostanziale equità redistributiva delle risorse canalizzando
interventi finanziari nazionali , regionali , comunali e di altri soggetti privati.
L’esperienza del reddito minino di inserimento in Calabria è stata vissuta dalle comunità interessate
come una prima , parziale risposta dello Stato rispetto al problema della povertà e più precisamente:
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1) il riconoscimento di un reddito sociale, come disponibilità minima globale in favore di ogni
persona in ragione dei bisogni essenziali e della dignità della vita;
2) la possibilità di garantire alla persona una concreta opportunità di inserimento e utilità sociale
attraverso la definizione, di norma, di un percorso lavorativo e/o formativo;
3) il raccordo necessario fra prevalenti condizioni di bisogno e misure adottate in materia di
politiche attive del lavoro concordate in taluni casi prioritariamente in favore dei soggetti più deboli
nel sistema produttivo;
4) il totale decentramento e partecipazione degli Enti Locali primari ( i Comuni) nella gestione delle
risorse e nella progettazione degli interventi sociali più idonei e più utili alle comunità.
In Calabria nei primi due anni di sperimentazione del Reddito Minimo i Comuni interessati erano 5
su 39 e successivamente si sono aggiunti ulteriori 21 dei 267 quasi tutti della Provincia di Vibo
Valentia .
Le domande presentate nel 2001 sono state 16.162 e quelle accolte e finanziate 8.575.
L’esperienza , assolutamente nuova per la nostra Regione , ha realizzato difficoltà e criticità ma
anche nuove e concrete opportunità e positività.
I vincoli negativi iniziali sono stati quelli di vivere lo strumento come un’intervento di natura
assistenziale , tendenze all’utilizzo improprio delle risorse , lotta tra “poveri” , tentativi della
politica di mettere in campo gestioni di natura personale e clientelare .
Gli aspetti positivi invece sono stati rappresentati da un’impegno diretto dei destinatari
dell’intervento
nelle attività progettuali attraverso percorsi lavorativi , formazione , recupero
scolastico , assistenza agli anziani , integrazione immigrati.
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Il contesto locale ha influenzato l’andamento complessivo della sperimentazione anche perché i
Comuni hanno dovuto accollarsi il finanziamento dei costi di gestione dei programmi di
inserimento.
La sperimentazione realizzata nei 4 anni suggerisce che le Amministrazioni Locali soprattutto in
Calabria ma anche nel Mezzogiorno sono stati per lo più incapaci di fornire e monitorare
efficacemente i progetti ed i servizi di “attivazione” .
I programmi di formazione hanno registrato positivamente effetti sull’occupazione anche se le
ricadute in termini di inserimento lavorativo si sono realizzati dove esisteva un mercato del lavoro :
Rc , Vibo V. , Cutro , ecc.
L’esperienza ha fatto maturare il convincimento che tanto più numerosi sono i soggetti beneficiari
del reddito minimo di inserimento sul totale della popolazione residente , tanto più difficile è uscire
dal bisogno di ricevere il reddito minimo di inserimento stesso.
Tutto ciò denota la difficoltà da parte degli enti locali di proporre efficaci programmi di inclusione
sociale , inserimento lavorativo , recupero scolastico a fronte di una domanda sociale elevata.
Questo aspetto ripropone il dilemma delle politiche attive per il lavoro che sembrano funzionare
meglio l’addove servono meno.
Attraverso il Rmi il nostro legislatore aveva applicato , sia pure a titolo sperimentale , una misura di
sostegno ai redditi bassi che colpisce in maniera prevalente le realtà del mezzogiorno e la Calabria
in modo particolare , si era riconosciuto , infatti , il ruolo delle misure di garanzia del reddito dal
punto di vista di un generale ripensamento del welfare , partendo dal presupposto che per risolvere
il problema del lavoro possa essere necessario risolvere prima i problemi della povertà economica
con adeguati sostegni di
reddito e quelli dell’emerginazione sociale con incisive azioni di
inserimento.
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Occorre precisare , tuttavia , che non basta essere disoccupati per avere diritto al Rmi.
In sostanza occorre essere poveri e la soglia era anche molto bassa : una persona che viveva sola ed
aveva un reddito di 269 euro mensili ne era esclusa.
Sul reddito minimo di inserimento emergono due questioni centrali che richiedono un
approfondimento specifico anche nel sindacato in particolare :
1) la sperimentazione può considerarsi fallita rispetto alle intenzioni della Legge Turco?
2) Il Co-finanziamento Stato-Regioni-Comuni prospettato dal precedente Governo può risolvere le
criticità dell’assenza di risorse specie nelle Regioni che non hanno adeguata capacità impositiva e
che presentano difficoltà evidenti in materia di controlli , verifiche rispetto agli aventi diritti , esame
dei risultati delle singole azioni progettuali?
Noi pensiamo che pur in presenza di tante criticità legate all’avvio della sperimentazione il Reddito
minino ha rappresentato una risposta concreta rispetto ai bisogni ed alle attese delle fasce deboli
della società calabrese che ha visto tra i destinatari prioritari Giovani , Anziani , Famiglie Povere ,
Immigrati che ha seguito della improvvida decisione del governo di sospendere l’operatività dello
strumento è precipitata di nuovo nell’area del disagio e della esclusione sociale. E’ necessario
quindi riprendere il provvedimento , sicuramente migliorarlo , rimodularlo ,
aggiornarlo per
continuare ad avere un sostegno alle politiche ed agli interventi finalizzati a contrastare e ridurre la
povertà e l’esclusione.
Se dovesse affermarsi per il futuro la necessità di legare , in modo secco , il ripristino del
provvedimento al meccanismo del co-finanziamento diretto Stato - Regioni – Enti Locali rischiamo
paradossalmente ed incredibilmente che le Regioni in difficoltà di Sviluppo e con maggiori tassi di
Disoccupazione e che hanno enormi carichi di povertà potrebbero rimanere tagliati fuori per la
insufficienza delle risorse disponibili .
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Se la solidarietà ha ancora un valore in questo paese è necessario che lo Stato ed il Governo
Nazionale ripristini il provvedimento a favore del Rmi e
coordinamento nazionale e
centralizzato dell’intervento
continui a garantire un’azione di
verificando se a livello regionale è
possibile per esempio liberare risorse anche di provenienza comunitaria pur presenti sul terreno
della inclusione e della riduzione del disagio sociale.
A tale riguardo anche e soprattutto su sollecitazione del Sindacato Confederale è stata già presentata
in Consiglio Regionale della Calabria un proposta di Legge finalizzata alla attivazione del Reddito
Sociale di Cittadinanza per colmare sui temi della Famiglia e della Povertà lacune , distrazioni ,
insufficienze della legislazione nazionale.
E’ presente e si va sempre più rafforzando nelle strutture confederali regionali e territoriali la
consapevolezza di aprire sui temi della famiglia , povertà , non autosufficienza , reddito minimo e/o
sociale di cittadinanza , tassazione fiscale locale una stagione di confronto e di concertazione con le
istituzioni locali finalizzata a costruire risposte concrete rispetto ai bisogni ed alle attese soprattutto
delle fasce deboli della società calabrese , meridionale e dell’intero paese.
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