N. 04651/2014REG.PROV.COLL.
N. 06406/2011 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6406 del 2011, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Fabio Greggio, con domicilio eletto
presso Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale
dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE I n. 00978/2011,
resa tra le parti, concernente destituzione dal servizio in esito ad un procedimento
disciplinare - (ris.danni)
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno, contenente anche
appello incidentale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2011 il Pres. Pier Giorgio
Lignani e uditi per le parti l’avvocato Resta su delega di Greggio e l’avvocato dello
Stato Saulino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, all’epoca dei fatti dipendente della
Polizia di Stato con qualifica di ispettore, è stato destinatario nell’anno 2002 di un
provvedimento disciplinare di destituzione, dopo una lunga fase di sospensione
cautelare. Il provvedimento è stato annullato dal T.A.R. Veneto con sentenza n.
3535/2005, e il procedimento disciplinare non è stato rinnovato.
A seguito di questi fatti, l’amministrazione ha disposto la riammissione in servizio
dell’interessato (provvedimento 21 marzo 2006), disponendo contestualmente – in
considerazione della prolungata assenza dal servizio – che venisse previamente
sottoposto all’accertamento dell’idoneità psico-fisica ed attitudinale ai servizi
d’istituto.
Questo atto – insieme ad alcuni atti connessi - è stato impugnato dall’interessato
davanti al T.A.R. Veneto (R.G. n. 1259/2006), essenzialmente con l’argomento
che in sede di esecuzione della sentenza che aveva annullato la destituzione
l’impiegato non poteva essere assoggettato agli accertamenti in questione, essendo
questi previsti solo al momento dell’assunzione.
2. In pendenza del giudizio così introdotto davanti al T.A.R. Veneto (con
sospensiva respinta) sono stati effettuati gli accertamenti di idoneità, con esito
sfavorevole all’interessato. Con atto del 28 novembre 2006 l’amministrazione ha
dichiarato definitivamente cessato “per inidoneità” il rapporto di servizio
dell’interessato con decorrenza dal 27 ottobre 2006 (data del giudizio tecnico di
inidoneità).
Lo stesso provvedimento ha statuito riguardo alle spettanze retributive e
contributive dell’interessato, con riferimento ai vari periodi nel corso dei quali (a
motivo di sospensione cautelare, destituzione, etc.) non vi era stata prestazione del
servizio. In dettaglio, il provvedimento prevedeva la restitutio in integrum dal 20
novembre 1998 (inizio della mancata prestazione per sospensione cautelare) fino al
13 maggio 2003 (data di un precedente giudizio di inidoneità assoluta al servizio,
non impugnato).
3. L’atto sopravvenuto è stato impugnato davanti al T.A.R. Veneto con “motivi
aggiunti” al ricorso già pendente (R.G. 1259/2006) e contemporaneamente con un
ricorso autonomo, di uguale tenore (R.G. n. 388/2007).
Il T.A.R. Veneto, con sentenza n. 978/2011, ha riunito i due ricorsi; quindi ha
dichiarato inammissibile il secondo, quale inutile duplicazione dei “motivi
aggiunti” proposti relativamente al primo ricorso.
Nel merito, il T.A.R. ha così deciso:
(a) ha rigettato l’impugnazione, nella parte in cui investiva la determinazione di
sottoporre l’interessato agli accertamenti attitudinali: infatti ha osservato che «non
esiste, infatti, alcuna preclusione a che l'Amministrazione sottoponga a nuova visita attitudinale
il dipendente prima di riammetterlo in servizio dopo un periodo di lunga assenza, dal momento
che si provvede alla (re)instaurazione di un rapporto di impiego rispetto al quale ragioni di
pubblico interesse, da valutarsi discrezionalmente da parte dell'Amministrazione, possono e
debbono imporre di verificare il persistere dei requisiti occorrenti per l'espletamento del servizio
nella Polizia di Stato» e che «pertanto, l'Amministrazione dell'interno è legittimata a sottoporre
ad accertamenti psico-fisici ed attitudinali i dipendenti che, come l’odierno ricorrente, rientrano in
servizio dopo lunghi periodi di assenza»;
(b) ha rigettato altresì una distinta censura, osservando che in questa luce
correttamente gli accertamenti erano stati demandati all’apposito organo centrale
avente sede in Roma e non all’Ospedale militare del luogo di residenza;
(c) nondimeno ha giudicato illegittimo il giudizio di inidoneità pronunciato
dall’apposita commissione tecnica, per difetto di motivazione;
(d) ha esplicitamente precisato che per effetto di tale giudizio residuava
all’amministrazione il potere-dovere di rideterminarsi sulle prove psico-attitudinali
sostenute dal ricorrente;
(e) ha giudicato illegittimo il mancato riconoscimento degli arretrati retributivi e
contributivi per il periodo dal 14 maggio 2003 al 27 ottobre 2006;
(f) ha compensato le spese del giudizio.
4. L’interessato ha proposto appello a questo Consiglio, contestando la sentenza
nella parte in cui essa ha giudicato in senso a lui sfavorevole. Vale a dire nella parte
in cui ha ritenuto che l’Amministrazione abbia il potere di sottoporre agli
accertamenti psico-attitudinali il personale già in servizio (intendendosi per tale
anche chi, come l’attuale appellante, si accinga a riprendere il servizio attivo dopo
un lungo periodo di assenza, senza tuttavia che vi sia stata cessazione del rapporto
d’impiego) o comunque di farlo con le stesse modalità e gli stessi criteri dettati per
i candidati ai concorsi di ammissione all’impiego.
In particolare, la tesi dell’appellante, già sostenuta in primo grado, è che
l’Amministrazione potrebbe sottoporre i dipendenti alla verifica della (sola)
idoneità psico-fisica – peraltro con modalità diverse da quelle previste per gli
accertamenti preliminari all’assunzione in servizio - e non anche di quella
attitudinale.
5. L’Amministrazione, da parte sua, ha proposto appello incidentale relativamente
a quella parte della sentenza che ha pronunciato favorevolmente all’interessato.
In particolare, l’appellante incidentale deduce:
(a) che la sentenza ha pronunciato ultra petita, perché il vizio del difetto di
motivazione non era stato dedotto dal ricorrente; anzi quest’ultimo non aveva in
realtà contestato l’esito della verifica, né per difetto di motivazione né per altro,
limitandosi a ribadire le proprie tesi circa l’illegittimità del procedere a verifica; in
ogni caso, l’atto conclusivo era correttamente motivato per relationem agli atti della
commissione giudicatrice, dei quali peraltro il ricorrente non aveva chiesto
l’esibizione;
(b) che correttamente l’Amministrazione aveva escluso che spettassero gli arretrati
per il periodo successivo al 13 maggio 2003 (durante il quale non vi era stata
prestazione di servizio) giacché in quella data l’interessato era stato riconosciuto
permanentemente inidoneo alla prestazione del servizio, con giudizio medicolegale mai contestato anzi accettato dal dipendente, all’esito di un procedimento di
accertamento della causa di servizio per una infermità.
6. Esaminando l’appello principale dell’interessato, il Collegio si ritiene dispensato
dal replicare distintamente alle singole argomentazioni, esposte in modo prolisso e
disordinato, per lo più non pertinenti all’oggetto del contendere e riferite ad una
serie di accadimenti spesso appartenenti ad altre vicende e comunque non rilevanti
rispetto alla questione principale che è esclusivamente una questione di diritto –
peraltro correttamente individuata dal T.A.R..
7. Per mettere a fuoco la questione essenziale conviene premettere che il ricorrente
parte dal presupposto che in occasione dei controversi accertamenti egli abbia
superato positivamente le verifiche di idoneità “psico-fisica” e che pertanto il
conclusivo giudizio sfavorevole dipenda solo dalle verifiche “attitudinali”.
Partendo da tale presupposto, l’interessato deduce che nel corso del rapporto di
servizio un dipendente della P.S. può essere sottoposto solo alla verifica
dell’idoneità “psico-fisica” ma non anche di quella “attitudinale”.
La tesi dell’interessato al riguardo si sviluppa sulla base della formulazione letterale
del decreto ministeriale 30 giugno 2003, n. 198, intitolato «Regolamento concernente i
requisiti di idoneità fisica, psichica e attitudinale di cui devono essere in possesso i candidati ai
concorsi per l'accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato e gli appartenenti ai predetti
ruoli». L’art. 2 concerne specificamente gli accertamenti relativi al personale già in
servizio, esplicitamente chiarendo che possono venire disposti a discrezione
dell’amministrazione in una serie di ipotesi, fra le quali quella di «specifiche circostanze
rilevate d'ufficio dalle quali obbiettivamente emerga la necessità del suddetto giudizio» (ed è
questa la previsione normativa che, secondo giurisprudenza consolidata, legittima
la procedura di verifica anche nel caso di rientro in servizio dopo una lunga
assenza).
L’art. 2 è intitolato «Accertamento dell'idoneità fisica, psichica ed attitudinale degli
appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato» e contiene dunque (al pari dell’intitolazione
dell’intero regolamento) un esplicito richiamo a verifiche “attitudinali” (oltre che
psico-fisiche) nei confronti del personale della P.S. in servizio. Il testo dell’art. 2,
però, menziona in modo esplicito solo gli accertamenti psico-fisici; e da
quest’ultimo dettaglio l’interessato trae argomento per sostenere che l’ordinamento
“non” consente verifiche attitudinali nei confronti del personale in servizio.
In buona sostanza, una volta depurato di tutte le digressioni non pertinenti, il
ricorso dell’interessato si basa tutto su questo argomento di diritto.
8. La questione così enucleata non è nuova. E’ stata ripetutamente affrontata dalla
giurisprudenza e da ultimo ha formato oggetto del parere di una Commissione
speciale consultiva del Consiglio di Stato su quesito del Ministero dell’Interno
(parere 4 ottobre 2010, affare n. 2206/2010), che può essere utilizzato come una
compiuta “messa a punto” della questione.
Il quesito si riferiva all’interpretazione dell’art. 2 del d.m. n. 198/2003, con
riferimento all’ipotesi delle verifiche di idoneità cui sottoporre, se del caso, un
dipendente della Polizia di Stato al momento del suo rientro in servizio a seguito
dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento disciplinare di destituzione.
Il parere è argomentato con riferimento alla giurisprudenza prevalente delle
Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e contiene ulteriori considerazioni che
ne rafforzano le conclusioni.
Per quanto qui interessa, i princìpi affermati nel parere sono i seguenti:
(a) la verifica della permanenza dei requisiti di idoneità del personale della P.S. già
in servizio include legittimamente anche il profilo “attitudinale” e non solo quello
“psico-fisico”: «nulla osta ad ammettere, sul piano normativo, che l’accertamento dell’idoneità
attitudinale possa avvenire in costanza di rapporto ove sussistano peculiari condizioni»;
(b) «Quanto alle “specifiche circostanze” che possono essere, alla luce del principio del buon
andamento dell’azione amministrativa, poste a base obiettivamente della ritenuta necessità di
riesaminare l’attitudine al servizio, [può] menzionarsi... l’esistenza di un periodo lungo di
assenza dal servizio che possa avere inciso sulla concreta idoneità a prestare servizio».
9. Questo Collegio condivide pienamente le conclusioni del parere citato, non solo
e non tanto in ragione dell’autorevolezza della fonte, quanto perché sono
intrinsecamente persuasive e coerenti con il quadro normativo e con la ratio legis.
La legge fondamentale dell’ordinamento della Polizia di Stato (legge n. 121/1981),
art. 25, demanda ad apposito regolamento di definire «i requisiti psico-fisici e
attitudinali, di cui debbono essere in possesso gli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato, che
esplicano funzioni di polizia». La norma è inequivoca nell’accomunare, in unica
disciplina, i requisiti psico-fisici e quelli attitudinali, e non distingue sotto questo
profilo fra le verifiche da fare al momento dell’ingresso in carriera e quelle da fare
in costanza di rapporto.
D’altra parte, una ipotetica differenziazione – nel senso che i requisiti psico-fisici
debbano essere posseduti, e se del caso, accertati, tanto al momento dell’accesso
quanto in costanza di rapporto, mentre quelli attitudinali dovrebbero essere
sottratti a verifiche in corso di rapporto – non avrebbe alcuna base razionale. Se il
sistema contempla il potere-dovere dell’Amministrazione di verificare la
permanenza dei requisiti in corso di rapporto, non vi è ragione di distinguere fra i
requisiti psico-fisici e quelli attitudinali.
Del resto, anche il regolamento n. 198/2003, come si è visto, contiene espliciti
riferimenti alla verifica dei requisiti “attitudinali” (oltre che di quelli psico-fisici)
anche per il personale già in servizio: tali riferimenti vi sono nell’intitolazione del
decreto e in quella dell’art. 2, e pur non avendo valore normativo in senso stretto,
sono certamente rilevanti sul piano interpretativo come indici non equivoci delle
intenzioni dell’autorità emanante.
In questo contesto, il fatto che nel testo dell’art. 2 del regolamento manchi una
menzione esplicita dei requisiti “attitudinali” non è un elemento significativo che
permetta di escludere i requisiti attitudinali dalla disciplina dell’art. 2.
10. L’appellante tuttavia lamenta di essere stato sottoposto alle verifiche attitudinali
“come se fosse stato il candidato di un concorso” e dovendo sostenere le stesse
prove, ma di averlo dovuto fare individualmente, anziché contestualmente o
contemporaneamente ad altri candidati che, in effetti, non vi erano e non potevano
esservi (così, almeno, sembra doversi intendere la censura esposta in modo non
perspicuo, che parla di una “mancanza del momento collettivo).
Questa censura appare manifestamente infondata e comunque riferita ad un
profilo irrilevante, non suscettibile di assurgere a vizio di legittimità, anche perché
non si vede in che cosa consisterebbe la lesione, anche da un punto di vista
sostanziale. Su questo punto il Collegio non ritiene di doversi dilungare
ulteriormente.
Lo stesso si deve dire per la doglianza riferita al fatto che gli accertamenti sono
stati compiuti presso l’apposita struttura centrale della Polizia di Stato (Scuola
Tecnica di Polizia in Roma) anziché presso un Ospedale militare periferico.
11. Altra questione è se la “prolungata assenza” dal servizio, sia pure per causa non
imputabile al dipendente (e cioè, nella presente fattispecie al pari di quella
esaminata dal parere n. 2206/2010 del Consiglio di Stato, a motivo di una
destituzione disciplinare successivamente annullata dal giudice) rientri fra le
speciali circostanze, valutabili discrezionalmente, che possono giustificare
l’assoggettamento dell’interessato alle verifiche di idoneità al momento del rientro
in servizio.
Conviene sottolineare che la questione così posta si riferisce alla prolungata
assenza dal servizio come fatto materiale, e perciò non è pertinente il principio (sul
quale pure il ricorrente si diffonde) che per effetto dell’annullamento
giurisdizionale della destituzione il rapporto d’impiego si ristabilisce ex tunc con
piena ricostruzione della carriera ai fini giuridici e con diritto agli arretrati di
stipendio.
Fatta questa premessa, non si può che confermare la sentenza appellata, nel punto
in cui ha giudicato che la mancata prestazione di fatto del servizio per la durata di
sette anni consecutivi possa essere una ragione sufficiente per giustificare la
verifica dei requisiti idoneità al momento attuale. E va messo in evidenza che nella
presente vicenda l’Amministrazione non ha messo in dubbio (in linea di massima e
salvo l’aspetto particolare di cui si parlerà più avanti) che la cessazione dall’impiego
in caso di verifica sfavorevole produca effetto dal momento attuale, fermi restando
i diritti dell’impiegato (agli arretrati di stipendio, etc.) per il periodo anteriore, in
virtù del principio della restitutio in integrum come conseguenza dell’annullamento
della destituzione.
12. L’appello principale dell’interessato va dunque respinto.
Si passa ora all’esame dell’appello incidentale dell’Amministrazione.
13. L’Amministrazione critica la sentenza nella parte in cui ha riconosciuto nel
provvedimento impugnato (cessazione dal servizio per accertata carenza dei
requisiti di idoneità) il vizio del difetto di motivazione. L’appellante incidentale
sostiene che non era stato formulato un motivo di ricorso in questo senso e che
del resto il provvedimento era motivato per relationem sicché sarebbe stato
sufficiente acquisire gli atti del procedimento (eventualmente anche a seguito di
una richiesta di accesso dell’interessato, che non vi è stata) per conoscere la
motivazione effettiva.
Il Collegio ritiene che il motivo di appello così formulato non meriti accoglimento.
E’ vero che il ricorrente in primo grado non aveva articolato specificamente un
motivo di ricorso riferito all’assenza di motivazione; ed è anche vero che non è
stata richiesta l’esibizione degli atti del procedimento o quanto meno delle relazioni
conclusive degli organi tecnici (peraltro, la difesa dell’Amministrazione avrebbe
potuto produrli spontaneamente).
Tuttavia, le critiche del ricorrente agli atti che hanno portato al decreto di
cessazione dall’impiego erano state formulate in termini talmente estesi ed
omnicomprensivi (con riferimento persino ai più minuti ed irrilevanti dettagli del
procedimento) che il difetto di motivazione non vi si può non considerare
compreso, se non altro come implicazione logicamente necessaria.
Se questo è vero, l’Amministrazione avrebbe potuto produrre spontaneamente gli
atti che, a suo dire, costituivano la motivazione per relationem. Non avendolo fatto,
non può dolersi del fatto che quella produzione non sia stata sollecitata.
Peraltro, la sentenza non richiede un nuovo svolgimento degli esami e delle prove,
ma solo la riformulazione (motivata) del giudizio finale. Pertanto la decisione, che
qui si conferma, non pregiudica il corretto esercizio della potestà amministrativa e
della inerente discrezionalità.
14. Il secondo punto dell’appello incidentale contesta quella parte della sentenza
che ha dichiarato illegittima l’esclusione degli arretrati, etc., con riferimento al
periodo successivo al 13 maggio 2003: data nella quale la Commissione Medica
Ospedaliera di Padova ha dichiarato l’interessato «non idoneo permanentemente ed in
modo assoluto al servizio nella Polizia di Stato». Questo giudizio tecnico era stato
espresso a conclusione di un procedimento di riconoscimento della causa di
servizio, e l’interessato lo aveva sottoscritto per accettazione.
Secondo l’appellante incidentale, quel giudizio medico-legale, formalmente
accettato dall’interessato e comunque mai impugnato o altrimenti contestato nel
merito, impedisce di considerare utile il tempo decorso successivamente, anche in
sede di restitutio in integrum.
Il Collegio osserva che l’art. 38 del d.P.R. n. 686/1957 (regolamento di attuazione
del t.u. n. 3/1957 sullo stato giuridico degli impiegati dello Stato, applicabile al
personale della P.S. per quanto non diversamente disposto) disponeva che la
Commissione medica incaricata di accertare la causa di servizio si pronunciasse
altresì sulla eventuale inabilità permanente dell’impiegato a prestare servizio «al fine
di porre in grado l’amministrazione di disporre il collocamento... in quiescenza». E’ tuttavia
quanto meno discutibile che questa disposizione regolamentare consentisse
all’amministrazione di disporre la cessazione del rapporto d’impiego per inidoneità
fisica, senza l’apposito procedimento di “dispensa dal servizio” con le inerenti
formalità e garanzie, disciplinato con norme primarie; verosimilmente il
“collocamento in quiescenza” cui fa cenno l’art. 38 è l’accoglimento della domanda
dell’impiegato di essere collocato anticipatamente a riposo in ragione dell’infermità
derivante da causa di servizio; non un provvedimento a danno dell’impiegato, che
avrebbe presupposto un procedimento diverso.
A parte ciò, sta di fatto che la disposizione citata non è riprodotta nel regolamento
vigente attualmente (e al momento della pronuncia della C.M.O. del 13 maggio
2003) in materia di accertamento della causa di servizio: ossia il d.P.R. n. 461/2001.
Sta di fatto, inoltre, che a tutto concedere l’Amministrazione, avuto il verbale del
13 maggio 2003, avrebbe forse potuto avviare d’ufficio il procedimento di dispensa
dal servizio, ma non lo ha fatto né subito, né in seguito. Anzi, disponendo nel 2006
che l’interessato si sottoponesse alle verifiche di cui al d.m. n. 198/2003, ha
implicitamente rinunciato ad utilizzare il verbale del 13 maggio 2003 per dichiarare
il dipendente “permanentemente non idoneo al servizio” con ciò che ne
conseguiva. Se avesse inteso utilizzarlo, non avrebbe avuto motivo di disporre i
nuovi accertamenti. In questa prospettiva, il decreto impugnato in primo grado (28
novembre 2006) appare illogicamente contraddittorio nella parte in cui dispone la
cessazione dal servizio dal 27 ottobre 2006 (e non dal 14 maggio 2003) e nello
stesso tempo esclude il riconoscimento delle spettanze per il periodo successivo al
13 maggio 2003.
Anche sotto questo profilo, l’appello incidentale deve essere respinto.
15. In conclusione, la sentenza appellata va interamente confermata, con rigetto sia
dell’appello principale che dell’incidentale. La natura e l’esito della controversia
giustificano la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello
principale e rigetta l’appello incidentale. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno
2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere
all'oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi dell’appellante
principale manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2
della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore
Marco Lipari, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/09/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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