FIAT 500 – LA VETTURA ANTISANZIONISTICA
In settant’anni, dal 1936 al 2006, siamo cambiati noi, è cambiata l’automobile, è
cambiato il mondo. Ma, ormai lo sappiamo fin troppo bene, non sempre in meglio.
Secondo l’Istituto di statistica, che ogni anno ci chiarisce come vive la nostra società
e in che direzione sta andando, il confine in Italia tra benessere e miseria corre sul filo
dei 1000 euro all’incirca di spesa mensile procapite: al di sopra inizia un (modesto)
benessere, al di sotto, progressivamente, si sprofonda nell’indigenza. Ben 11 milioni
di italiani sono poveri, o a rischio di esserlo, ossia sono al di sotto di questo labile ma
inesorabile spartiacque. Il che significa che venti cittadini italiani su cento, ed è un
dato in crescita, sono costretti a convivere con entrate sempre più risicate e a
risparmiare ovunque e comunque. Ben venga allora l’uscita sul mercato della vettura
massimamente economica, la vettura “low cost”, definizione tipica dei nostri tempi
che si affanna a ricoprire la realtà con un velo di cipria, e che non ama usare termini
schietti come “utilitaria”. Adesso esiste davvero, si chiama Logan, è prodotta dalla
Renault e costruita in Romania, era inizialmente destinata ai mercati poveri dell’Est,
alla Turchia, al Marocco alla Cina dov’è offerta a soli cinquemila euro. Poiché però i
tempi stanno cambiando, e anche la ricca e vecchia Europa sprofonda ogni giorno di
più nella crisi economica, ecco che la Logan arriva su mercati tradizionalmente molto
più ricchi. A gennaio 2006 è approdata anche in Italia, che si sta rapidamente
trasformando in un mercato povero, pur rimanendo snob, imprevedibile e strano. La
riprova è che per noi il prezzo non é più di 5.000 euro bensì di 7.500. Bella, no, non
lo è: ma è lunga 4,25 metri (quanto una Renault Scenic), ha un bagagliaio di oltre 500
litri, cioè enorme, consuma poco: tanto per cominciare ha avuto un successo enorme
in Francia, dove peraltro non è stato speso un euro in campagna pubblicitaria. Il
successo è stato tale che a tre mesi dal lancio della vettura le Logan usate costavano
più delle nuove (che non era più possibile acquistare per eccesso di ordini).
Ma quanto pesa il potere della suggestione…Si vende la Logan perché ormai
archetipo della vettura low cost. Così si dimentica che la Fiat 600 è venduta, senza
contare eventuali ulteriori sconti del concessionario, a 5.980 euro, anche in 72 rate.
La Daihatsu Cuore a 7.705 euro. La Chevrolet Matiz a 7750 euro. E se si può arrivare
ad ottomila euro si può scegliere tra Hyundai Atos, Tata Indica, Citroen C1, Kia
Picanto, Peugeot 107, Volkswagen Fox, ed infine la Smart Fortwo, che costa 9090
euro, ossia ha saltato il fosso (dei 9.000 euro) al di sotto del quale si può parlare di
“low cost”.
La vera vettura utilitaria sarà quella cinese, probabilmente costruita dal Gruppo
Geely, che già adesso riesce a mettere sul mercato modelli sui 3.000 / 4.000 euro. Per
un’industria cinese è molto semplice: il salario di un operaio cinese è di 95 centesimi
di dollari l’ora; un operaio americano costa 26 dollari, un operaio tedesco 36 dollari.
Resta da capire quanto sia cambiata la nostra automobile, oltre che sul fronte prezzi.
In venti anni, per esempio (dal 1983 al 2003), il ventaglio dei modelli offerti si è
incredibilmente allargato: da 576 a 2.930. Le automobili di oggi sono più grandi
(7,61 metri quadri, contro una media di 7 metri quadri venti anni fa), nonostante sia
disponibile un parcheggio (a pagamento) ogni 41 veicoli; più veloci (196,32 km/h
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contro 168 km/h), nonostante le restrizioni in materia di velocità siano più severe
oggi di allora e prevedano un massimo di 130 km/h; sono più numerose (oggi
circolano circa 45 milioni di autovetture, nel 1983 poco meno di venti milioni, la
metà), nonostante la rete stradale ed autostradale sia rimasta praticamente immutata, e
consumano nello stesso modo, anzi un po’ di più: 10,7 litri per 100 km anziché 10,4.
Questo è il progresso.
Settant’anni fa, allorché uscì, come abbiamo visto, la Fiat 500 (vedi Auto d’Epoca di
gennaio), molte cose erano diverse. Per esempio il linguaggio: si ebbe il coraggio di
definire la nuova auto “la vetturetta del lavoro e del risparmio”, “la prima vera
utilitaria italiana”, mentre oggi ci si trastulla con termini eufemistici come “low cost”
quasi risparmiare fosse una vergogna da nascondere ed occultare agli occhi del
mondo. Essere poveri, allora, era una condizione normale, comune. Metà della
popolazione attiva, nel 1936, era dedita all’agricoltura, e almeno dieci bambini su
cento morivano entro il primo anno di vita. Gli analfabeti e i semianalfabeti erano la
maggioranza. I consumi alimentari, da sempre spia del livello di vita raggiunto,
rivelano una vita difficile, ben lontana dai livelli di benessere delle altre nazioni
industrializzate. Tra il 1930 e il 1936 il consumo annuo pro-capite di carne si
aggirava sui 20/21 kg, per scendere addirittura a 18,7 nel 1937 (nel 1980 toccò i 70
kg annui). La dieta giornaliera non raggiungeva le 3000 calorie, tra il 1931 e il 1940
scese a 2641 calorie. La radio? Un oggetto di lusso, che soltanto un italiano su 61
poteva permettersi. A maggior ragione l’automobile, che si comprava un italiano ogni
150. Al censimento del 1931 il 40% delle abitazioni urbane (ossia delle abitazioni site
in centri con più di 20.000 abitanti) erano ancora senza acqua potabile; più del 60%
mancavano di latrine ad acqua; più del 90% non avevano la vasca da bagno. Ci si
riscaldava con la stufa, anche al Nord, o addirittura con la cucina economica. Lo
stipendio medio di un operaio (dati 1939) si aggirava tra le 8500 e le 11.000 lire
all’anno. Almeno duemila lire partivano per l’affitto; e il 50/60% del reddito era
destinato all’alimentazione. Non se la passavano tanto meglio neanche gli impiegati,
se nei registri Fiat era normale il caso di un impiegato, che viveva insieme alla sua
famiglia (moglie e figli) in un alloggio composto da una sola stanza; o di quello che
viveva in un alloggio di due stanze, attraversato però anche da altri inquilini per
raggiungere le loro abitazioni.
Nonostante questo ( o forse proprio per … distrarre l’opinione pubblica dai problemi
più urgenti) Mussolini, a capo del Governo dal 1922, decise di invadere l’Etiopia
nell’ottobre del 1935, per conquistare anch’egli il proprio “posto al sole”. Il 5 maggio
del 1936, dopo le vittorie di Adua, Axum, Makallé, Amba Aradan, le truppe italiane
entrarono in Addis Abeba, capitale dell’impero etiopico. Alcuni giorni più tardi il re
d’Italia Vittorio Emanuele III di Savoia assunse il titolo, per sé e per il suoi
successori, di Imperatore d’Etiopia.
La conquista dell’Impero non servì certo ad arricchire l’Italia: se mai la impoverì
ulteriormente. Un dato è rivelatore: nel solo 1938 l’Italia inviava al “suo” Impero un
quantitativo di merci pari a un valore di 2 miliardi di lire del tempo, mentre
dall’Impero importava merci pari ad un valore di appena 108.000 lire. Difficilmente
però gli italiani, stretti nella morsa propagandistica del regime, se ne resero conto.
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L’unico effetto politico di qualche rilievo di questa impresa sanguinosa, che costò
preziose vite umane da una parte e dall’altra, fu la perdita di prestigio e di credibilità
del regime mussoliniano all’estero. Nell’ottobre del 1935 la Società delle Nazioni
decise di applicare delle sanzioni economiche all’Italia, colpevole di aver aggredito la
nazione africana. Furono “le inique sanzioni” come le ribattezzò immediatamente la
stampa di regime, che ebbero come risultato immediato la riduzione della
disponibilità di fonti energetiche, per la maggior parte d’importazione, e la salita
vertiginosa del prezzo della benzina, che soffocò ulteriormente il già asfittico mercato
automobilistico italiano. “Cominciamo l’inventario dal lato più negativo –
proclamava Mussolini nel marzo 1936 all’Assemblea Nazionale delle Corporazioni –
le ricerche del petrolio nel territorio nazionale sono in corso ma finora senza
risultati apprezzabili: per sopperire al fabbisogno di combustibili liquidi contiamo
sull’idrogenazione delle ligniti, sull’alcool proveniente dai prodotti agricoli, sulla
distillazione delle rocce asfaltifere. Quanto ai combustibili solidi non potremo fare a
meno di alcune qualità di carbone pregiato destinato a speciali consumi; per tutto il
resto si consumeranno i carboni nazionali…Io calcolo che potremo, con le nostre
risorse, più l’elettrificazione delle ferrovie, più il controllo della combustione,
sostituire in un certo lasso di tempo dal 40 al 50 per cento del carbone straniero”. E’
l’autarchia, l’era dei veicoli a gassogeno, della benzina ad alcool, delle restrizioni ai
già limitati consumi. La benzina salì da due a quattro lire al litro nel giro di pochi
mesi; il mercato automobilistico interno crollò. Nell’Assemblea Generale Ordinaria
degli azionisti Fiat, riuniti nel marzo 1936, si legge che “il valore complessivo di
lavoro nel 1935 è stato notevolmente superiore a quello del 1934 ma l’incremento è
interamente dovuto alle commesse militari ed al movimento ad esse conseguente,
perché il mercato civile in genere e quello automobilistico in specie hanno invece
subito forti flessioni, che vanno accentuandosi in dipendenza soprattutto delle
restrizioni dirette o indirette poste alla circolazione degli automezzi”. Comunque il
fatturato Fiat raggiungeva il miliardo di lire, e chiudeva con un utile di oltre 39
milioni di lire, il che permetteva di distribuire agli azionisti un dividendo di 15 lire
per azione. “In quanto alla contrazione del mercato interno, dovuta come si è già
accennato al rincaro del carburante e ai maggiori gravami fiscali sull’autotrasporto
pesante, è da augurarsi che la situazione generale possa presto consentire di
rimuoverne le cause, in modo da restituire alla circolazione automobilistica in Italia
quell’impulso che è fattore di progresso in tutti i campi dell’attività economica”.
In un contesto del genere, diventava ogni giorno più chiaro che la Fiat Balilla, anche
se prima automobile italiana venduta in oltre centomila esemplari, ridiventava un
miraggio per la maggioranza dei potenziali acquirenti. Diventava cruciale portare a
termine lo sviluppo della Fiat 500, del cui studio era stato incaricato nel 1934
l’Ufficio Tecnico Motori Avio della Fiat, diretto dall’ing. Fessia. Questi ne aveva a
sua volta incaricato il giovane (29 anni) ingegner Dante Giacosa, che innanzitutto si
fermò a considerare ciò che offriva, nel campo delle utilitarie, il mercato straniero. In
Germania, già da alcuni anni, si vendevano veicoli a tre ruote con motori a due tempi;
poi vi era una DKW a quattro ruote e 600 cc di cilindrata. In Francia vi era una
Salomon Maior con motore ad un cilindro raffreddato ad acqua, di 535 cc di
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cilindrata. Soluzioni del genere, però, furono scartate a priori. Si decise di procedere
per una “vetturetta con un giusto confort, prestazioni superiori a quelle dei veicoli
tedeschi e francesi e una linea piacevole”. Si optò anche, fin da subito, per un quattro
cilindri, in posizione anteriore, con le ruote posteriori motrici. “Fatto il calcolo del
peso per tutti i gruppi componenti lo classis, conclusi – è Giacosa che parla – che
sarebbe stato possibile non superare i 250 kg. Per la carrozzeria si prevedeva un
peso di 180-200 kg. Con un peso totale di 450 kg, la vetturetta avrebbe dovuto essere
venduta al prezzo di circa 12 lire al kg contro le 17 della Balilla a tre marce. La
richiesta del Senatore sembrava proprio irragionevole (aveva chiesto una vettura dal
costo non superiore alle cinquemila lire, nda) tuttavia ci mettemmo con entusiasmo al
lavoro”.
La questione del costo a chilo, o del costo a cavallo di potenza, è tutt’altro che
trascurabile. “Auto Italiana”, in un articolo del 30 novembre 1936 in cui si cerca di
capire quale siano le ragioni della scarsa diffusione dell’auto in Italia, si diverte a
mettere a confronti i prezzi … al chilo delle autovetture italiane e straniere in
commercio. La Peugeot 201 costa 14 lire al kg, la Citroen 1600 15,5 lire, la Balilla 17
(come ricordava Giacosa), alla pari con la britannica Standard. Per venire alle
italiane: la Bianchi S9 19 lire al chilo, la Fiat 1500, 21 lire, l’Augusta, 24; l’Artena,
29, l’Aprilia, 29; la Dilambda 36,4. Ahimé, la Fiat 500 non costava 12 lire al chilo,
come sperato dal suo progettista, bensì 16,6. Un po’ meno della Opel 4 (17,5),
infinitamente meno, è ovvio, della Maybach (53 lire) o della Rolls Royce 12 cilindri
(86 lire). Anche calcolando il costo a cavallo di potenza alcune vetture straniere,
soprattutto se francesi, risultano più convenienti. Per esempio la Renault Vivastella,
era venduta a 36.000 franchi, disponeva di 85 cv, perciò costava 372 lire a cavallo; la
Peugeot 201, sempre lei, 396 lire, la Peugeot 402, 445 lire, la Citroen 1600, 452 lire.
La Fiat 500 costava 680 lire a cavallo; in proporzione, più della Fiat 1500 (480 lire),
più della Balilla (510 lire), della Bianchi S9 (500), dell’Augusta (600), dell’Aprilia
(510).
Ma riprendiamo il racconto di Giacosa. Accanto a lui lavora l’ing. Rodolfo Schaeffer,
incaricato dello studio della carrozzeria. Sono i longheroni del telaio e non l’assale,
ed è una soluzione piuttosto originale, a sostenere il motore così come un motore
d’aviazione è sostenuto dalla carlinga di un aereo. Fessia è entusiasta di questa scelta
di Giacosa “sensibile com’era a qualsiasi argomento che potesse dimostrare la
validità della decisione di far progettare una vettura in un ufficio esperto di materia
aeronautica”. Ancora Giacosa: “Fra il cruscotto e le ruote non vi era spazio
sufficiente a contenere il motore. Questo avrebbe potuto essere sistemato fra le ruote
anteriori con il suo baricentro approssimativamente nel piano verticale passante per
l’asse delle ruote, come si cominciò a fare parecchi anni dopo, ma in tal caso
sarebbe stato impossibile adottare il sistema di molleggio a ruote indipendenti
semplice ed economico che avevo scelto. Dopo vari tentativi mi parve che il miglior
compromesso fosse di sistemare il motore davanti all’asse delle ruote anteriori, una
soluzione simile a quella adottata oggi su alcune vetture a trazione anteriore”. Anche
altri tecnici avevano infatti rilevato da tempo l’inutilità dello spazio compreso tra il
radiatore e la barra paraurti, ma molti ostacoli si erano fino a quel momento frapposti
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al desiderio di sfruttare convenientemente ogni spazio disponibile. L’unica maniera
era avanzare il motore, ma nelle macchine con l’assale ciò non era semplice, perché
avrebbe costretto a tenere il motore troppo in alto. Per la Fiat 500 non soltanto si
abolì l’assale ma si studiò una linea aerodinamica (mutuata dalla sorella maggiore
1500) il che portò oltre le ruote anteriori la parte anteriore del cofano creando
automaticamente l’alloggiamento del motore. Si aggirò inoltre l’ostacolo dato dalla
presenza del radiatore collocandolo dietro e sopra al motore (questa posizione fu
modificata nelle serie successive, perché si rilevò un cattivo funzionamento della
circolazione dell’acqua). Una soluzione del genere permetteva un’ottima abitabilità
interna, ed una facile accessibilità agli organi meccanici, due vantaggi non da poco,
che si meritò l’apprezzamento dei tecnici. “Noi vediamo nella postazione del motore
della Fiat 500 una soluzione d’avanguardia che prima o poi sarà seguita da
moltissimi costruttori, perché si tratta di una disposizione che rappresenta la
naturale e logica conseguenza delle forme aventi la minima resistenza
all’avanzamento e delle possibilità derivanti dall’adozione delle sospensioni
indipendenti per le ruote anteriori” (Auto Italiana 10.08.36).
La prima prova su strada del prototipo, ancora denominato “Zero A”, si svolse il 17
ottobre 1934 sul percorso Torino – Ivrea – Biella – Cigliano – autostrada
Milano/Torino. I risultati furono buoni, ma ci vollero ancora quasi due anni di lavoro
prima di poter presentare la versione definitiva, nell’aprile del 1936. Particolare
curioso, comparve prima in Francia che in Italia. “A proposito della notizia che a
Parigi è già stata presentata la vetturetta Fiat, costruita dalla Società licenziataria
delle costruzioni Fiat in Francia, si apprende che, dovendo la Fiat servire anzitutto il
Paese con le produzioni che in questo momento hanno importanza militare, la vettura
non potrà uscire in Italia prima della fine di giugno. Ma intanto non si è voluto
ritardare la presentazione all’estero della nuova vettura italiana, che
rappresentando un grande progresso nel campo delle vetturette, riafferma oltralpe
anche in circostanze difficili il primato della tecnica italiana. Il fatto che questa
economica vetturetta Fiat esce fin d’ora in Francia costruita dalle officine di
Nanterre ed è colà venduta con immediato successo a 9.900 franchi sta ad attestare
come la nuova piccola macchina sia già stata da tempo collaudata con risultati
perfetti e come essa risponda al momento del mercato automobilistico internazione.
La vetturetta Fiat fa gli 85 km/h; non consuma che 6 litri per 100 km. Si tratta di una
vettura a due posti comodissimi, con ampio posto per il bagaglio”. Magari, proprio
ampio…non era. La vettura pesava cento kg in più rispetto a quanto si era sperato
(535 kg), era lunga 3,20 metri, e sul mercato italiano sarebbe stata venduta a 8900
lire.
Rispetto alla Fiat Zero, primo modello della casa torinese di tipo utilitario costruito in
grande serie, si trattava di un grande progresso. Per la Zero un impiegato doveva
destinare dai 50 ai 75 mesi del proprio stipendio, mentre per la Fiat 500 ne bastavano
circa dieci. Era davvero “la vetturetta del lavoro e del risparmio”, come la definì il
duce quando gli fu presentata a Villa Torlonia, il 10 giugno?
Ancora troppo dure erano le condizioni di vita per la maggioranza della popolazione
per permettere un immediato risultato di vendite. La produzione nazionale di
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autovetture nel 1936 si attestò a 36.196 unità, meno che nel 1935 (41.000), nel 1934
(41.000), nel 1933 (38.200). Di queste, circa il 30% fu destinato al mercato estero. Le
immatricolazioni sul mercato interno furono 21.154, anche in questo caso un dato
inferiore ai tre anni precedenti. Circolavano meno di 300.000 veicoli (compresi
autocarri ed autobus), per una densità di un veicolo ogni 145 italiani, un numero
molto inferiore alla produzione nel Regno Unito di un anno.
La stampa italiana attribuiva questo quadro sconsolante agli alti costi italiani di
esercizio (tassa sulla benzina, bollo di circolazione, fiscalità varie) che rendeva vano
il basso costo di acquisto ed influiva pesantemente sulla propensione all’acquisto di
larghe fasce di popolazione. Il che non era del tutto vero. Esisteva già,
precedentemente all’uscita sul mercato della Fiat 500, l’esenzione dal pagamento
della tassa di circolazione per le macchine nuove; con la nuova Fiat tale esenzione fu
portata a dodici mesi (anziché sei). Furono studiate altre agevolazioni: per esempio la
possibilità di circolare con due vetture pagando una sola tassa (un’opportunità
comunque più adatta ad un mercato ben più maturo di quello italiano, dove regnava il
problema della prima motorizzazione). Non esistevano invece agevolazioni per
quanto riguarda il costo delle assicurazioni, altissimo. Innanzitutto i contratti erano
pluriennali, talvolta decennali, e si aggiravano sulle 1500 lire di media all’anno, per
una vettura di 1500 cc di cilindrata. La stessa vettura pagava 670 lire di tassa annua di
circolazione. Per la Fiat 500 invece, dopo il primo anno di esenzione, era prevista una
tassa di 275 lire. Mantenendo gli stessi parametri, di assicurazione avrebbe dovuto
pagare circa 500 lire, ma in realtà nessuna polizza assicurativa offriva tariffe così
basse. A questi costi occorreva aggiungere quello della benzina, insostenibile fino al
21 luglio, quando fu ribassata a 3 lire al litro. L’11 settembre vi fu un ulteriore
ribasso. I prezzi della benzina miscelata (dal febbraio una disposizione stabiliva che
tutta la benzina destinata al consumo nel regno fosse miscelata col 20% di alcool, in
modo da ridurre l’importazione del petrolio e della benzina dall’estero) furono fissati
in 2,23 lire al litro per Roma, Milano, Venezia e Bologna; 2,24 per Torino, Trieste,
Firenze, Genova e Napoli, 2,26 per Bari, la Sicilia e la Sardegna. Disposizioni che
restarono sulla carta. Alla fine di settembre la benzina a Roma, Pescara e Ferrara si
pagava 2,80 al litro; e nel resto d’Italia, per esempio a Napoli, poteva arrivare fino a
3,11 lire. E’ vero che con la Fiat 500 il consumo era pari alla metà di una vettura di
media cilindrata; ma non bastava per rinsanguare e rivoluzionare l’automobilismo
italiano. La colpa, va detto chiaramente, non è sua; la Fiat 500 rimane esempio di
straordinaria intelligenza progettuale e costruttiva. “E’ una grande e nobile e
signorile e modernissima vettura d’avanguardia, vista col cannocchiale alla
rovescia” (Auto Italiana 20.06.36). Una vettura che batteva sul tempo “la vetturetta
per il popolo” promessa da Hitler alla Germania da più di due anni e ancora non
realizzata; come anticipava genialmente le centinaia di progetti presentati in Francia
al concorso per una vetturetta popolare indetto dalla Società degli Ingegneri
dell’Automobile, di cui nessuno ebbe pratica attuazione. Fu questo un concorso
dall’andamento molto simile ad un referendum che, all’incirca nello stesso periodo
(inizio 1936) la Simca e la Fiat, congiuntamente, avevano indetto per dare al nuovo
modello Fiat un nome più espressivo di “Cinq” (corrispondente ai cavalli di potenza
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fiscale in Francia) o di “500” (corrispondente alla cilindrata). Arrivarono 21.800
risposte, per complessivamente 5.000 nuove proposte di nome. Di queste la speciale
giuria incaricata di esaminarle ne scelse sette che erano: “Cinq Sec”, “Poucette”,
“Souris”, “Simcadette”, “Coccinella”, “Fantacinq”, “Pou de la route”. Piacquero così
poco che si decise di rimanere a Simca Cinq, così come in Italia si decise di restare a
“500”, proseguendo la tradizione Fiat di indicare i propri modelli con delle cifre (la
501, la 509 ecc. ). La stessa Balilla, così chiamata in ossequio al regime, era
contraddistinta anche da un numero, 508. Successe però un fatto curioso: prima
ancora che la Fiat la presentasse ufficialmente, il pubblico aveva provveduto a
battezzare la nuova vettura con il nome di “Topolino”. Fu un nome mai usato
ufficialmente dalla Fiat, e probabilmente emerso dall’animo popolare per le sue
dimensioni minuscole, tali da farla assomigliare ad un piccolo topo. Così “la 500”
divenne rapidamente “la Topolino”, ossia di genere femminile con un nome maschile.
E non c’entra nulla la traduzione italiana di “Mickey Mouse”, il celebre eroe dei
fumetti creato da Walt Disney in America sul finire degli anni venti. Infatti sul
mercato inglese la Topolino arrivò qualche mese dopo che in Italia, quando cioè già
tutti la chiamavano così. E a riprova della stranezza di questo battesimo, su un
giornale britannico del 1937 comparve una poesiola dedicata alla “new small Fiat
called Topolino – little mouse”, ed intitolata “Mouse like”, come il topo. Essa
diceva:
“Of cars with quaint new names I read
But “Little Mouse” is quaint indeed
For exercise let’s try to name
The virtues which a mouse can claim
A streamline shape, sospension low
An ideal power-weight ratio
The power to squeeze through narrow spaces
The power to grip in greasy spaces
Phenomenal acceleration
No sign of starting hesitation
As silent as well-oiled ghost
Such virtues any mouse can boast
One drawback I could name, perhaps:
A way of getting caught in traps”
(di macchine con nomi strani ne ho letti – ma Little Mouse é strano davvero – per
divertirci proviamo ad elencare – le virtù di cui un topo si può vantare – forma
aerodinamica – sospensione bassa – rapporto peso/potenza elevato – l’abilità di
guizzare nei luoghi stretti – di correre sicuro su terreno viscido – accelerazione
fenomenale – nessuna esitazione nel partire – silenzioso come uno spettro ben
lubrificato – un difetto forse si può nominare – di lasciarsi prendere in trappola).
Come si vede, l’autore mantiene nel titolo il nome all’italiana (“Topolino”) di cui
fornisce la traduzione letterale, little mouse, e non Mickey Mouse, e la divertita
elencazione delle virtù vuole essere un riconoscimento dei pregi della vettura. “E’
assurdo chiamarla così” proclamò solennemente Auto Italiana ad un mese dal lancio,
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nel luglio 1936, con la lungimiranza tipica di molti giornalisti. Talmente assurdo che
nel cuore di tutti gli italiani tale nome rimase fino a noi.
Caratteristiche della Fiat 500 (giugno 1936):
Motore: sistemato anteriormente, 4 cilindri in linea, 569 cc, alesaggio per corsa 52 x
67, rapporto di compressione 6,5:1, potenza massima 13 CV a 4000 giri/min; coppia
massima 3,3 mkg. Blocco cilindri in ghisa al fosforo-manganese con testa riportata
d’alluminio. Distribuzione a valvole laterali comandate direttamente dall’albero di
distribuzione mosso da catena silenziosa a rulli. Accensione a spinterogeno,
raffreddamento ad acqua, termosifone (circuito 4,5 litri); alimentazione: caduta,
carburatore Solex 22 HD (serbatoio 22 litri); lubrificazione forzata (coppa 1,8 kg).
Trasmissione ad albero tubolare con 2 giunti flessibili, frizione monodisco a secco
montata su mozzo elastico, cambio 4 marce + RM (III e IV sincronizzate), comando a
leva centrale, riduzione finale: coppia conica elicoidale (rapporto 8/39)
Sospensioni: anteriore a ruote indipendenti, balestra trasversale superiore, bracci
trasversali triangolari, ammortizzatori idraulici. Posteriore con assale rigido (1°
serie): balestre a 17”, bracci longitudinali, ammortizzatori idraulici; (II serie):
balestre, ammortizzatori idraulici
Ruote a disco, pneumatici: 4,00-15
Freni: a pedale, idraulico sulle quattro ruote; a mano meccanico, a nastro, sulla
trasmissione
Sterzo: vite e settore elicoidale. Diametro di sterzata: 8,7 metri
Impianto elettrico: tensione 12 V, dinamo 75W, batteria 30 Ah
Struttura: telaio in acciaio. Passo 2000 mm, carreggiata ant. 1114 mm, post. 1083
mm, lunghezza 3215 mm, larghezza 1275 mm, altezza massima 1377 mm, minima da
terra cm 14,4
Peso a vuoto 535 kg, a pieno carico 745 kg
Prestazioni: velocità massima 85 km/h, pendenza massima superabile 22%, consumo
medio carburante 6 litri / 100 km, portata 2 persone + 50 kg bagagliaio
Carrozzeria aerodinamica, cofano inclinato, montanti anteriori molto inclinati;
parafanghi avvolgenti. Carrozzeria interamente in acciaio, compreso il tetto
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Accessori: tergicristallo elettrico, specchio retrovisore, visiere parasole interne.
Tachimetro e manometro sul cruscotto. Illuminazione interna per mezzo di fanaletto
sul cruscotto, con schermo girevole, che può illuminare anche il solo cruscotto.
Indicatori di direzione a richiesta. Tutti i cristalli sono Securit
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione Museo Nazionale dell’Automobile di Torino
2006
BIBLIOGRAFIA
Repubblica Auto, 4 dicembre 2005
Auto Italiana 1936
“L’Italia dell’Impero”, di Piero Melograni, in “Guerra, dopoguerra, ricostruzione,
decollo”, Collana “Italia Moderna”, Electa Editrice, 1984
Dante Giacosa “I miei 40 anni di progettazione alla Fiat”, Automobilia, 1979
La vetturetta Fiat, 1936
“Automobile in Cifre”, Anfia, Torino (pubblicazione annuale)
9
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FIAT 500 “TOPOLINO” - Museo dell`automobile