FARE PASQUA La Settimana Santa al cuore dell’esperienza cristiana Ad ogni lettura o preghiera, tanto è grande l’emozione e il gemito di tutta la folla da risultare un fatto straordinario, non c’è nessuno, né grande né piccolo, che in quel giorno, in quelle tre ore, non pianga tanto quanto non si può nemmeno pensare, per il fatto che il Signore ha sofferto tutto quello per noi. (EGERIA, Diario di viaggio, 37, 7) Sono trascorsi più di cinquanta anni dalla restaurazione completa della Settimana Santa sotto il pontificato di Pio XII. Una grande iniziativa tesa a ricollocare le celebrazioni di questi giorni santi al centro della vita cristiana. Tale frutto del Movimento Liturgico partiva dalla consapevolezza che i riti stessi sono la scuola permanente della Chiesa chiamata a ritornare al mistero pasquale del suo Sposo e Signore per trovare grazia e vita. Un monito valido anche per noi: se vogliamo che il dono pasquale di Cristo intercetti la nostra vita, dobbiamo lasciare che i riti ci formino e ci trasformino con le loro esplicite dichiarazioni, le loro allusioni, i giochi di chiaro e scuro, di ostensione e nascondimento, dove anche il tempo, le ore, il buio e la luce possono “dire” qualcosa di quell’amore che ha spinto Dio a donare il suo Figlio. Più che impegnarsi a trasformare continuamente e nevroticamente i riti occorre lasciare che siano i riti a dare forma alla Chiesa. Uno sguardo alla celebrazione della grande settimana ci aiuta a coglierne l’unitarietà e la sua natura di percorso rituale che non può essere menomato pena la sua inefficacia. La Domenica delle Palme e della Passione del Signore Gloria e passione si incontrano e si confondono in questo giorno che apre la Settimana Santa: la comunità ecclesiale riconosce che il Messia glorioso che entra nella città santa è il Cristo che regna dalla croce per stipulare l’alleanza eterna tra Dio e il suo popolo. La festosa processione con i rami a memoria dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme è professione di fede in Cristo re e Salvatore che si avvia verso il culmine della sua missione terrena. La liturgia della Parola, culminante nella proclamazione della Passione del Signore, e i testi di preghiera della Messa intendono celebrare la Passione gloriosa di Cristo. Anche il colore rosso delle vesti, così come per il Venerdì Santo, aiuta a comprendere che non si tratta di una liturgia dagli accenti doloristici, ma della celebrazione gloriosa del dono d’amore di Cristo, modello e principio di ogni martirio. Viene da sé che questa celebrazione privata della processione o con una processione svilita e ridotta ai minimi termini risulta impoverita dal lato spirituale. Avanzando in processione i fedeli, infatti, sono coinvolti con la creazione (rami) e con tutto il loro corpo nel dare lode a colui che si avvia verso la sua morte. Non un semplice girotondo o un banale spostamento, ma un cammino gioioso, sui passi del Salvatore per condividere con lui il suo destino di morte e di gloria. I giorni feriali I giorni del lunedì, martedì e mercoledì della settimana santa sono giorni dedicati alla contemplazione del Signore Gesù, Servo di Dio sofferente, grazie all’ascolto dei canti del Servo del Signore (Is 42; 49; 50) e i racconti degli antefatti della passione di Gesù. Il Giovedì Santo mattina, a conclusione dell’itinerario quaresimale, la comunità diocesana si stringe attorno al Vescovo in cattedrale insieme ai presbiteri e ai diaconi per la messa crismale nella quale vengono benedetti gli oli necessari per l’iniziazione cristiana e gli altri sacramenti. Questo raduno ecclesiale è manifestazione eminente della Chiesa, sacramento di salvezza, ed espressione del sacerdozio battesimale di ogni cristiano. La celebrazione, infatti, inizia con la solenne processione d’ingresso al canto dell’antifona (Ap 1,6): «Gesù Cristo ha fatto di noi un regno e ci ha costituiti sacerdoti per il suo Dio e Padre». Non, dunque, una “festa di corporazione”, dedicata o riservata ai soli presbiteri, ma semmai la celebrazione di tutta la ministerialità ecclesiale che trova la sua radice in Cristo Signore, “unto” con lo Spirito di Dio (cfr. vangelo della messa, Lc 4,16‐21). La messa crismale, unica in tutto l’anno, trova nella concelebrazione una delle caratteristiche più significative: essa, infatti, è espressione della comunione dei presbiteri con il proprio Vescovo nell’unico e medesimo sacerdozio e ministero di Cristo. Il sacerdozio ministeriale riscopre così la sua identità nel servizio al sacerdozio battesimale di tutti credenti. Nel contesto di questa solenne proclamazione della ministerialità come nota caratteristica di tutta la Chiesa, i sacerdoti sono invitati a rinnovare le promesse fatte al momento dell’ordinazione esprimendo nuovamente la propria adesione all’ideale del servizio evangelico nella Chiesa. Dopo l’omelia avviene la benedizione degli oli degli infermi, dei catecumeni e dell’olio profumato denominato crisma. La benedizione dell’olio degli infermi trova ragione nel sacramento dell’unzione in cui si annuncia la salvezza di Cristo anche nell’ora della prova; la benedizione dell’olio dei catecumeni va colta in riferimento all’iniziazione cristiana e alla prassi di ungere varie volte coloro che si preparano ad entrare nella comunità dei credenti mentre si chiede per loro energia e vigore per accogliere il Vangelo, per la testimonianza coerente e per la lotta contro il male. Anche il crisma, olio profumato che richiama l’azione permeante dello Spirito, trova il suo ampio riferimento nei riti di iniziazione (Battesimo‐Cresima) fin dall’antichità e viene utilizzato anche nell’ordinazione presbiterale ed episcopale e nella dedicazione della chiesa e dell’altare. Nella preghiera il Vescovo chiede al Padre di impregnare l’olio con la forza dello Spirito affinché sia segno santo della nuova dignità dei battezzati. L’apertura del Triduo pasquale Con la celebrazione eucaristica serale “nella Cena del Signore” si apre il Triduo pasquale. Tale celebrazione fa memoria dell’istituzione dell’eucaristia, del dono del sacerdozio ministeriale e del comandamento dell’amore. In questa celebrazione l’assemblea partecipa alla comunione con il pane consacrato nella stessa messa e possibilmente anche al vino secondo il duplice invito del Signore. Durante il canto del Gloria si suonano le campane che rimarranno mute fino alla notte pasquale. Dopo la proclamazione evangelica del gesto della lavanda dei piedi ai discepoli da parte di Gesù (Gv 13,1‐15) è possibile ripetere tale gesto ad alcune persone della comunità facendo attenzione a non dargli un’importanza esagerata e a non infantilizzarlo riservandolo (solo) ai fanciulli. La celebrazione termina con la reposizione solenne del Santissimo Sacramento che dà avvio all’adorazione e al grande silenzio della Chiesa. Anche la spogliazione dell’altare richiama la sobrietà interiore ed esteriore che deve caratterizzare i credenti in questi giorni. Il Venerdì della Passione del Signore Il Venerdì Santo (primo giorno del Triduo) è il giorno in cui «Cristo nostra Pasqua è stato immolato» (1 Cor 5,7). La celebrazione liturgica si apre in totale silenzio con la prostrazione dei ministri in segno di affidamento a Dio. Dopo le letture bibliche e la proclamazione della Passione secondo Giovanni ha luogo la solenne preghiera universale dove l’assemblea intercede per la salvezza di tutto il mondo associandosi così alla grande intercessione di Cristo morente sulla croce. Il rito dell’ostensione e dell’adorazione della croce ribadisce che non si celebra il funerale di Cristo, ma l’esaltazione gloriosa della sua Passione d’amore. Per antichissima tradizione in questo giorno non si celebra l’Eucaristia nell’attesa di celebrarla nella notte pasquale. Tuttavia, è prevista la comunione eucaristica: possibilità offerta a tutti per unire la propria vita al sacrificio di Cristo. La celebrazione si chiude con un’orazione sul popolo che invoca la benedizione di Dio su coloro che hanno fatto memoria della morte di Cristo nella speranza di risorgere con lui. In forza di questa benedizione si chiede che «venga il perdono e la consolazione, si accresca la fede, si rafforzi la certezza nella redenzione eterna». Nella sobrietà e nella chiarezza delle sue sequenze rituali, la celebrazione della Passione del Signore si presenta come il momento centrale della giornata e pertanto dovrebbe recuperare la rilevanza che merita nella programmazione pastorale e nella spiritualità dei credenti. Senza nulla togliere alla Via crucis o alle rappresentazioni sacre, che spesso attirano più fedeli e a volte oscurano il valore della preghiera ecclesiale, la celebrazione liturgica della Passione rifugge atteggiamenti pietistici o interpretazioni passeggere per riproporre la morte vittoriosa di Cristo che ha portato pace e salvezza ad ogni uomo. La “madre di tutte le veglie” Mentre il Sabato Santo (secondo giorno del Triduo) trascorre nella memoria silenziosa della sepoltura di Gesù, solidale con la storia umana di tutti i tempi, e della sua discesa agli inferi quale annuncio di salvezza per ogni uomo (come attesta anche il Credo battesimale aquileiese riportato da Rufino), ci si avvia verso il culmine di tutto l’anno liturgico: la veglia pasquale, madre di tutte le liturgie cristiane. Con l’accensione del fuoco nuovo e del cero e l’ingresso in chiesa con il cero acceso si dà avvio alla Veglia: la debole fiammella del cero nella chiesa buia proclama coraggiosamente che Cristo è la luce del mondo, annuncio ribadito nel canto solenne dell’annuncio pasquale (Exsultet). Mentre l’assemblea è illuminata dalla luce del suo Signore, ripercorre nell’ascolto della Parola le grandi opere di Dio fino alla meraviglia delle meraviglie, la risurrezione di Cristo, significata dal canto solenne del Gloria e dell’Alleluia e dal suono festoso delle campane. Celebrare la morte e la risurrezione del Signore significa morire per rinascere con lui secondo la prassi iniziatica della tradizione cristiana. Questo motiva la liturgia battesimale della Veglia introdotta dalle litanie dei santi, i testimoni del Risorto, e culminante nella solenne benedizione dell’acqua e, auspicabilmente, nella celebrazione del Battesimo o, comunque, della sua memoria (per i già battezzati) attraverso l’aspersione e la professione comune della fede e degli impegni battesimali. La preghiera dei fedeli (dei battezzati!) è l’esplicitazione del sacerdozio dei credenti abilitati a intercedere presso Dio per la Chiesa e il mondo. La Veglia raggiunge l’apice nella liturgia eucaristica che non è la coda debole e stanca della celebrazione, ma il suo vertice. Per questo motivo, questa parte richiede cura e solennità nella gestione della processione offertoriale (possibilmente da parte dei nuovi cristiani), nella menzione dei neo battezzati nella preghiera eucaristica, nella comunione con il pane e il vino e nella cura del canto. La Veglia pasquale proprio perché è la madre delle celebrazioni cristiane, ne è anche il modello. Se comprendessimo il carattere “materno” e sorgivo di questa notte e di questa celebrazione, forse investiremmo maggiori energie nel prepararla, nel celebrarla e, soprattutto, nel collocarla al centro delle nostre preoccupazioni pastorali. L’ora tarda non può fare paura: celebriamo di notte perché Dio ha vegliato per il suo popolo, Cristo ha sconfitto le tenebre della morte e noi vegliamo per vincere il sonno del peccato. Nella notte sacramentale per eccellenza, attraverso il Battesimo, la Cresima e l’Eucaristia, la Pasqua di Cristo diventa la Pasqua dei cristiani. Libera dai contorni sentimentali della notte di Natale, questa liturgia davvero appartiene ai credenti e pertanto deve essere celebrata con tutta la ricchezza dei suoi linguaggi e preparata e attesa fin dall’inizio della Quaresima. Il grande giorno della risurrezione culmina nei Vespri connotati dal pellegrinaggio al fonte battesimale dove si fa grata memoria del Battesimo, prima Pasqua dei credenti. Celebrazione pasquale e spiritualità cristiana Capita purtroppo di constatare la tendenza a togliere linfa alle celebrazioni pasquali tagliando, decurtando, riducendo al minimo ciò che per sua natura è ampio, complesso (non complicato!) e variegato. Spesso il motivo si cela dietro una presunta ricerca di semplicità o di interiorità. A volte si assiste anche ad iniziative ecclesiali che si pongono in concorrenza con le celebrazioni della settimana santa (ritiri, uscite, devozioni) quasi che la liturgia da sola sia insufficiente per nutrire la fede dei cristiani. La liturgia in quanto azione interpella e coinvolge l’uomo corporalmente e lo sorprende nella percezione del dono divino. Intercettando la sensibilità umana fa sì che l’esperienza di fede non sia ridotta al concetto o alla conseguenza morale, ma sia innanzitutto parola di lode, supplica, invocazione. Celebrare degnamente la settimana santa e soprattutto il Triduo pasquale significa davvero “fare” Pasqua lasciando agire e parlare il linguaggio simbolico e rituale della tradizione liturgica. La scommessa pastorale consiste nell’investire tempo ed energie per una partecipazione piena e significativa alla celebrazione del mistero pasquale. Ciò significa saper vivere ed educare a vivere i ritmi del tempo (ad esempio, fare esperienza di veglia), lasciarsi stupire dall’alternanza tra buio e luce e tra parola e silenzio, gustare i tanti fenomeni simbolici di assenza e presenza, ostensione e nascondimento, pasto e digiuno, morte e vita. Questo è il segreto di una liturgia che coinvolga tutto l’uomo e sia davvero la partecipazione piena al mistero di Cristo Salvatore, morto e risorto, per la rinascita di ogni uomo. Loris Della Pietra 
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