Editoriale
Senza regole,
giuridiche e
etiche, la libertà
non è esaltata
ma soffocata
L
a libertà economica è connaturata all’essere uomo, perché ne esprime
la sua dimensione creativa,
la genialità inventiva e realizzativa, la sua forza di pensiero
e capacità di darvi attuazione.
È quindi una forma di espressione, tra le più importanti, della libertà spirituale della persona. Non per nulla, storicamente, la libertà economica è intrecciata alla libertà religiosa, da
cui discende. Che a sua volta,
è intrinsecamente legata alla libertà di pensiero, di cui ne sostanzia il contenuto.
Parlare di confini - cioè anche
di limiti - a quella che è una libertà fondamentale e primaria
della persona umana, precedente all’esistenza degli stati e
delle leggi, che semmai la riconoscono e non la concedono, è
quindi operazione delicata e
non scevra da insidie.
Perché tocca una dimensione
costitutiva della natura umana
che si esprime nello sviluppare iniziative, nella possibilità di
organizzarsi, di dar vita a realtà nuove. Per chi crede, di essere cioè copartecipi dell’azione creatrice del Creatore.
Eppure, riflettere sui «confini»
di tale libertà come ha voluto
fare il Festival dell’Economia di
Trento, giunto quest’anno alla
sua sesta edizione, che si è dato per tema conduttore proprio
«I confini della libertà economica», è esercizio di grande importanza e interesse, tanto più
in tempi come i nostri che vedono tornare alla ribalta la «voglia di Stato» interventista nell’economia, in alcuni casi con
intenti che nulla hanno a che
vedere non solo con la libertà
L’UOMO AL CENTRO
DELL’AGIRE
ECONOMICO
PIERANGELO GIOVANETTI
ma nemmeno con l’economia.
Ma è giusto riflettere su tali confini, perché anche la libertà economica - come tutte le libertà
e i diritti - non è assoluta, ma
va temperata dentro limiti e regole, non solo giuridiche ma anche etiche, che ne consentano
un esercizio adeguato per tutti, dentro una piena realizzazione dell’uomo, di ciascun uomo.
Vediamo allora quali possono
essere questi «confini» dentro
cui far crescere e sviluppare tale lievito di libertà, che può essere portatore di benessere e
di sviluppo, non solo per i singoli ma per l’intera collettività.
Innanzitutto il riferimento alla
persona, cioè alla centralità dell’uomo, anche nell’economia.
Non va mai dimenticato che alla fin fine il parametro di ogni
iniziativa, di ogni intrapresa, resta l’uomo, cioè se l’azione economica fa crescere o meno la
dimensione umana dell’individuo e della società o la fa arretrare, e se ne garantisce i confini inviolabili, innanzitutto il rispetto della vita e della dignità
umana.
Questo investe i temi
della sicurezza sui
luoghi di lavoro, dello
sfruttamento e delle tutele di chi
lavora, specie se minore, della salvaguardia dei diritti fondamentali dei
lavoratori, che sono copartecipi della «comunità di lavoro»
che è l’impresa.
Porre l’uomo al centro nell’economia vuol dire anche aver
sempre presente la responsabilità del proprio agire, pure nelle conseguenze che ciò può determinare, per esempio nei confronti dell’ambiente e dell’equilibrio bioecologico.
E avere l’uomo come riferimento anche nella dimensione economica dell’agire significa non
dimenticare quello che la Costituzione italiana chiama «funzione sociale» della proprietà e
dell’iniziativa economica, per-
l’Adige
ché «possa essere indirizzata e
coordinata a fini sociali» (articoli 41 e 42).
Indagare sui «confini» della libertà economica vuol dire pertanto avere ben presente che
essa necessita di regole per un
suo corretto funzionamento.
Sapendo benissimo che, senza
queste regole, tale libertà non
è esaltata ma soffocata, come
le forme più sciolte e estreme
di liberismo e di turbocapitalismo hanno ampiamente dimostrato fin dagli albori dell’industrializzazione.
E regole oggi, sono quelle che
la Comunità internazionale impone (o dovrebbe imporre con
sempre maggior forza), quelle
delle Autorità di regolamentazione del mercato, quelle che i
parlamenti decidono (o dovrebbero decidere) tenendo presente il bene comune superiore a
singoli interessi settoriali e individuali. Quelle che le autorità comunitarie (a volte) stabiliscono per garantire un più
equilibrato sviluppo, dentro
vincoli di mutuo aiuto.
Certo, ragionare sui «confini»
della libertà economica implica considerare anche i rischi
che questi interventi limitativi
possono mettere in atto. Per
esempio, la pretesa degli Stati
di «dirigere» l’economia, di asservirla a finalità di consenso
invece che di liberarne le energie creative, di frenarne la crescita con pastoie, lacci e lacciuoli perché ciò crea potere e
controllo, anche se sfianca e
inaridisce la forza creativa dell’impresa.
Di tutto questo si parlerà al Festival di Trento che prende inizio giovedì 2 giugno. Una preziosa occasione per capire meglio il nostro oggi, ma soprattutto per costruire futuro.
[email protected]
1
Indice
Alan
Krueger,
professore
a Princeton
L’EDITORIALE
PIERANGELO GIOVANETTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
IL FESTIVAL
Alberto
Alesina
torna a
parlare
al Festival
SECONDO...
TITO BOERI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
INNOCENZO CIPOLLETTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
LORENZO DELLAI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
Zygmunt Bauman
LE INTERVISTE AI PROTAGONISTI
Dani Rodrik,
insegna alla
J.F.Kennedy
School of
Government
della
università
di Harvard
l’Adige
Editrice: S.I.E.
Società Iniziative Editoriali spa
Direttore responsabile:
Pierangelo Giovanetti
Presidente del consiglio
di amministrazione:
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Mattiazzo Gelmi di Caporiacco
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Stampa:
S.I.E. Spa - Trento
ZYGMUNT BAUMAN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
PIPPO RANCI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ALAN KRUEGER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DANI RODRIK . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ALBERTO ALESINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIAN CARLO CASELLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
TIMOTHY HATTON . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ANGELO DEL BOCA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
SUSANNA CAMUSSO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
FRANCESCA BETTIO, ORIA GARGANO . . . . . . . . . . . . . . . .
MONICA D’ASCENZO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MARISTELLA BOTTICINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
UNA
FOTOGRAFIA DEL
ALLA SCOPERTA DELLA CITTÀ
DA
Angelo Del Boca
TRENTINO
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
NON PERDERE
GLI EVENTI, LE MOSTRE, I MUSEI
IL
12
17
20
22
26
28
30
32
37
42
46
50
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
POSTO GIUSTO PER...
Gian Carlo Caselli
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Via delle Missioni Africane, 17 – Trento
Supplemento al numero odierno de “l'Adige” - Maggio 2011
Spedizione in abbonamento
postale D. 353/03 (conv. L.
46/04) art. 1, comma 1, DCB
Trento
- MANGIARE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
- DORMIRE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
- DIVERTIRSI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
DOVE COME QUANDO
MAPPA DEI LUOGHI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
IL PROGRAMMA COMPLETO DEL FESTIVAL . . . . . . . . . . . . 77
l’Adige
Susanna Camusso
3
L’intervista
Tito Boeri: dico
sì allo Stato
regolatore,
no allo Stato
imprenditore
Tito Boeri, responsabile scientifico del Festival. Quest’anno lo Scoiattolo si occupa dei confini della
libertà economica. Nell’Index of
Economic Freedom del Wall Street Journal e della Heritage Foundation, l’Italia figura all’87° posto
su 183, Paesi, dietro al Burkina Faso. Siamo messi così male?
Non sono particolarmente entusiasta di questi indici. Sono
anzi sospettoso, perché cambiano spesso, e di molto, nel giro di un anno, e non può essere, visto che stiamo parlando di
caratteristiche strutturali di un
singolo Paese. Ma è vero che
l’Italia è molto indietro. Abbiamo il problema forte di una definizione più chiara tra l’iniziativa pubblica e quella privata.
Ci sono troppe cose sospese in
un interregno indefinito, con intersezioni forti e perverse tra i
due mondi.
Tutti o quasi, in Italia, si professano liberisti. Il governo annuncia
riforme quasi quotidianamente,
ma raramente agli annunci seguono i fatti. Siamo liberisti solo a parole?
Sì, è vero. Prendiamo il decreto
sviluppo: doveva dare il via, secondo gli annunci, a nuovi processi di liberalizzazione. In realtà, non ce n’è nemmeno uno.
Anzi, si fanno addirittura dei
passi indietro, con l’obiettivo
di rafforzare l’intervento pubblico in economia. Effettivamente, è un grosso problema per
l’Italia.
Di quali riforme ha bisogno il Paese per sbloccare questa situazione?
Se ne discute da anni, l’agenda
è nota. Abbiamo ancora troppi
servizi protetti dalla concorrenza, col risultato che sono più
costosi e penalizzano le nostre
aziende che devono esportare.
Poi, lo ribadisco, c’è la commistione di pubblico e privato nel-
BISOGNA SMANTELLARE
GLI INTRECCI
TRA ECONOMIA E POLITICA
RENZO MOSER
la governance di molte imprese, e strutture di controllo che
si sono sedimentate negli anni
e che pregiudicano la contendibilità delle imprese.
Beh, è evidente che in Italia la contendibilità delle imprese non viene vista come un punto di forza
del mercato. Tutt’altro. Lo insegna
il caso Parmalat, di cui si è scoperta, tutto a un tratto, l’importanza
strategica per il sistema Paese.
Su Parmalat si è voluto intervenire dando un pessimo segnale
ai mercati, poi però non si è
nemmeno riusciti a farlo. C’è
stata una certa goffaggine, da
parte del governo. Noi dovremmo attrarre gli investitori stranieri, ma con norme di questo
tipo, gridando al lupo al lupo,
alterando il funzionamento di
istituti come la Cassa depositi
e prestiti, paventando una nuova Iri, non facciamo altro che
scoraggiare gli investimenti dall’estero. Nel caso della Parmalat, poi, pensiamo anche ai piccoli risparmiatori e agli obbligazionisti, che grazie a Lactalis
riusciranno a recuperare fino al
65% di quanto avevano investito. Se poi spuntanto imprenditori con un serio progetto industriale, pronti a lanciare una
contro Opa, ben vengano.
Il ministro dell’Economia Giulio
Tremonti da tempo non nasconde
tentazioni interventiste, basta pensare alla Banca del Mezzogiorno.
Torneremo alle partecipazioni statali?
Il rischio c’è, anche se non si
possono spostare indietro le
lancette della storia. Ma il pericolo più grave è quello di tornare, più che all’Iri, alle Bin (le
banche di interesse nazionale,
che erano la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano e
il Banco di Roma, ndr), anche
grazie all’uso delle Fondazioni
per intervenire sugli assetti di
vertice dei nostri istituti di credito. Abbiamo sindaci che possono determinare gli equilibri
delle nostre grandi banche. Se
mi consente una battuta, Fassino, diventato sindaco di Torino, può finalmente dire: abbiamo una banca!
Con il crescente interventismo del-
l’Adige
lo Stato sembra avverarsi quello
che è stato definito come «il capitalismo di don Rodrigo», con le imprese tenute di fatto sotto ricatto.
È così?
Penso di sì. Abbiamo fatto un’indagine sull’uso del tempo dei
grandi manager, analizzando la
loro settimana tipo di lavoro.
Moltissime aziende e i loro top
manager, e stiamo parlando di
realtà di primo piano, dedicano
quantità di tempo sorprendenti ai contatti con i politici. Due
amministratori delegati sui tre
hanno incontri con esponenti
politici almeno una volta a settimana. Dedicano ai politici più
tempo che ai banchieri. Questo
la dice lunga sull’intreccio che
esiste in Italia.
La crisi finanziaria ha legittimato
questo nuovo interventismo?
No, la crisi ha legittimato la presenza di autorità più forti di regolazione del mercato, come è
in parte successo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Quella è
la direzione giusta, poiché c’è
stato un vuoto di regolamentazione e supervisione. Sì, dunque, all’intervento pubblico come regolatore, non come investitore.
Torniamo al Festival. Dia un consiglio al popolo dello Scoiattolo:
grandi star a parte, quali saranno
gli appuntamenti imperdibili?
Devo fare come un buon allenatore di calcio, non mi posso soffermare sui singoli: tutti i relatori sono di altissimo livello. Direi che la novità più accattivante è il format «Pro e Contro»: chi
parteciperà a questi confronti
potrà esprimersi sul tema dibattuto. Lo farà prima e dopo il
confronto con gli esperti, così
da capire se c’è stato un qualche valore aggiunto. Sarà un
esperimento interessante, e invito il pubblico del Festival a
partecipare.
5
L’intervento
La crisi ci ha
fatto riscoprire
le aziende
strategiche
per la nazione
U
I CONFINI SEPARANO
E AVVICINANO
INNOCENZO CIPOLLETTA
questo stanno trattando i governi dei nostri paesi assieme
alle istituzioni internazionali,
per uscire da questa crisi e per
cercare di evitare la prossima.
Ma il tema dei confini della libertà economica è anche e soprattutto un tema di fondo della teoria economica. Su questo
tema si sono cimentati da sempre tutti gli economisti. La teo-
ria economica ruota attorno ai
confini tra libertà economica e
ruolo dello Stato. Questo tema
ha travalicato il terreno della
teoria economica per arrivare
alla politica. Tutto il Novecento è stato caratterizzato dal
confronto politico e anche militare tra regimi che si richiamavano alle libertà economiche e regimi che invece propu-
gnavano un’economia dirigista,
pianificata dal governo e con
ambiti di scelta molto limitati
per i singoli cittadini.
Oggi possiamo dire che l’economia di mercato è risultata essere superiore a quella dirigista, ma tuttora esistono grandi e piccoli paesi dove le libertà economiche sono limitate. E
la crisi recente ha riproposto,
anche ai paesi occidentali, il tema dell’intervento pubblico nei
casi di fallimento del mercato.
Discutere oggi di questi temi,
significa dunque addentrarci
nelle profondità della teoria
economica, ma anche partecipare a pieno al dibattito attuale su regole e comportamenti.
E il nostro paese ci offre continui spunti di riflessione partendo da questi temi. La crisi ci ha
fatto riscoprire le aziende strategiche per la nazione, dopo un
periodo in cui era una bestemmia parlare di settori strategici. È così che abbiamo «salvato» l’Alitalia contro molte regole del buonsenso economico e
R1051406
na doppia
sfida
ha
connotato,
sin dall’inizio, il nostro
festival dell’Economia
a Trento.
Quella di essere una manifestazione che
tratti temi attuali, ma che allo
stesso tempo ci faccia riflettere su questioni di fondo, quindi su argomenti che non si esauriscono con gli eventi che li hanno sollecitati. È una sfida che
abbiamo sempre accettato, anche questa volta.
I confini della libertà economica, titolo della sesta edizione,
ci ricorda sicuramente la grande crisi finanziaria che ancora
attanaglia il mondo. Una crisi
nata dall’eccesso di libertà, dalla carenza di controlli, dalla
supposta supremazia del mercato sugli interventi delle autorità. Fin dove può spingersi la
libertà economica? Quali sono
i suoi limiti e i suoi confini? Di
Vicolo dell’Adige, 31
38122 TRENTO
Tel. 0461 260053
Fax 0461 261063
l’Adige
7
L’intervento: Innocenzo Cipolletta
renda troppo forte e potente
chi possiede un eccesso di mezzi economici. Tocca la libertà
morale e etica che impone comportamenti non necessariamente consoni con gli interessi economici. Tocca la libertà
dal bisogno per quanti non hanno mezzi per sopravvivere in
modo dignitoso. Tocca la disponibilità di risorse naturali e ambientali senza le quali non si
può vivere.
L’economia non pretende di
spiegare tutto, anche se in qualche fase della nostra storia, come la recente, essa sembrava
rappresentare una vera e propria teoria generale del genere
umano.
L’economia ha bisogno di confrontarsi con le altre scienze
umane per tracciare i suoi limiti, ma anche per arricchire i
suoi contenuti con elementi
che non necessariamente sono
economici. L’homo oeconomicus non esiste in natura. Esiste
l’uomo, la persona, che racchiude in se tutte le sfaccettature
che le diverse teorie cercano di
isolare.
Per questo, oggi è importante
discutere, ad esempio, non solo del ritorno dello Stato nel
controllo dell’economia, ma anche del rapporto che c’è tra
economia e ambiente. Siamo al-
la vigilia di un possente balzo
in avanti di intere popolazioni
che accedono per la prima volta alle soglie dello sviluppo.
Paesi come Cina, India, Brasile, Indonesia, Brasile, Turchia
e molti altri sono entrati nell’area dei paesi industriali. La
stessa Africa sub-sahariana, da
sempre considerata zona di regresso economico, sta mostrando segni di crescita e si avvia a
conoscere i primi processi di
industrializzazione. Si tratta di
fenomeni positivi, perché per
anni abbiamo sognato che i
paesi in via di sviluppo uscissero dal loro stato di privazioni e povertà. Ma sappiamo anche che le risorse del mondo
hanno un limite e che il loro uso
dovrà cambiare, per noi e per
loro. La libertà economica trova quindi un limite nella protezione ambientale. Potrà il progresso tecnico allontanare questo limite? Quali cambiamenti
dovremo accettare? Quale regime politico ci garantirà meglio da questi pericoli? È la nazione l’istituzione più adatta a
affrontare questi temi o dovremo rinunciare alla sovranità nazionale in favore di istituzioni
sovranazionali?
Questi e altri sono temi che siamo chiamati a discutere quando ci avventuriamo verso i confini delle libertà economiche e
ci dobbiamo confrontare con
altri argomenti e altre esigenze. Di questo si parlerà a Trento nel Festival dell’Economia,
dedicato ai Confini della Libertà Economica.
R0052110
pagando somme considerevoli. Ma poi ci siamo lanciati a difendere Parmalat, per tutelare
qualche produttore di latte italiano. Anche la durata di 90 anni per le concessioni agli stabilimenti balneari (misura presa
nel recente decreto legislativo
per il rilancio dell’economia) è
stata presentata come una strategia per difenderci dagli appetiti stranieri, che volevano conquistare le nostre coste!
Vere o false che siano le ragioni per l’intervento pubblico, è
certo che esso oggi non è più
condannato, ma esaltato. Vale
la pena capire fino a che punto
sia giusto e conveniente limitare la libertà economica in ragione di maggiori interessi pubblici. Di certo è opportuno che il
sistema finanziario sia messo
sotto un più stretto controllo
per evitare che produca rischi
sistemici. Come è necessario
che la libertà nel condurre politiche economiche nei paesi
sia limitata dalla necessità di
mantenere certi equilibri interni ed esterni.
Ma i confini non sono soltanto
punti di separazione e di contrapposizione. Essi sono anche
e soprattutto punti di vicinanza e di contatto. Punti di passaggio da una zona a un’altra.
La libertà economica, così importante per il funzionamento
dei paesi, tocca altre libertà altrettanto se non più importanti. Tocca la libertà politica, di
espressione e di convincimento, che possono trovare limiti
da una libertà economica che
Lavis (TN) • TEL. 0461/240040
Sarnonico (TN) • TEL. 0463/830321
Fucine (TN) • TEL. 0463/751946
l’Adige
9
L’intervento
Idee, valori
consapevolezza
sono la vera
ricchezza
di una comunità
L’
anteprima di
Trento,
con il
Premio
Nobel
Amartya Sen
e gli incontri che solo poche ore fa
hanno avuto come teatro la città di Napoli sono, per chi li vuole cogliere, degli espliciti segnali di un Festival che negli anni
è cresciuto, maturando la consapevolezza che, in fondo, ciò
che costituisce la ricchezza di
un popolo, di una comunità,
non è solo il territorio, non è
solo la sua storia, non sono solo le sue fortune, ma soprattutto sono le idee, i valori, la consapevolezza.
Sì, forse è proprio la consapevolezza che Autonomia in Trentino significa «responsabilità»
a rendere naturale l’estensione di quei - per prendere in prestito il tema scelto quest’anno
- «confini» concettuali e geografici di una manifestazione che,
per il tramite di migliaia di amici e frequentatori, attraversa il
nostro Paese da cima a fondo,
coinvolge non solo Trento e
quest’anno anche Rovereto, ma
si apre al mondo in quella grande scommessa che si cela dietro la voglia di mettersi in discussione, di cercare, di capire.
Guai a noi se non coltivassimo
il sogno di un orizzonte più vasto, se non valorizzassimo l’ambizione di guardare oltre per
scoprire i nuovi disegni del futuro. Senza questi stimoli, oggi non saremmo quella terra in
cui benessere sociale, economico e culturale hanno prosperato. Ora il Trentino può ingranare una marcia in più, rendendo il suo speciale assetto la car-
IL NOSTRO FESTIVAL
SI APRE AL MONDO
LORENZO DELLAI
Sguardi al festival (Foto Magrone); in alto, Lorenzo Dellai (Foto Muñoz)
ta per vincere sul tavolo della
competitività, puntando su conoscenza, ricerca, sulla capacità di mettere saperi e competenze a disposizione del lavo-
ro e di una migliore qualità della vita. Solo portando a sistema tutte le componenti del tessuto economico e sociale sarà
possibile conservare la nostra
l’Adige
identità in un mondo sempre
più esposto alle derive della
globalizzazione.
La conoscenza, tema che ci sta
particolarmente a cuore, rappresenta un valido compagno
di questo viaggio. Non è un caso che si stia puntando fortemente sull’ormai quasi definita Norma di attuazione che ci
conferisce una competenza statutaria specifica in materia di
Università, nella consapevolezza che l’equilibrio virtuoso fra
i sistemi dell’alta formazione,
della ricerca come pure delle
imprese ma anche della politica e delle istituzioni rappresenti la leva forse tra le più efficaci per lo sviluppo del territorio.
È ancora una volta il doppio binario che giustappone il locale al globale il tracciato lungo
il quale il Trentino deve muoversi, perché è solo in una prospettiva che valorizzi le specificità locali e al tempo stesso
attragga investitori internazionale di qualità che il nostro territorio trova la giusta collocazione nel mondo.
Ecco perché crediamo nella formula del Festival dell’Economia la cui internazionalità risiede non solo nel fatto che ad animarlo intervengano relatori da
tutto il mondo, ma anche nella
capacità di porre temi di ampio respiro e nel rigore scientifico con cui vengono affrontati e discussi. È questo, si dirà,
il compito della politica e delle istituzioni: ma appuntamenti come quello che inizierà il
prossimo 2 giugno sono una
bella occasione per rendere
questo percorso verso una responsabile consapevolezza, un
qualcosa che appartiene a tutti noi.
Lorenzo Dellai
È presidente della Provincia
Autonoma di Trento
11
C
onfini. Vecchi
e nuovi confini. I confini
della libertà
economica, il
tema del Festival, che il coordinatore
scientifico Tito Boeri presenta così: «Si procede ad erigere nuove barriere alla
libera circolazione delle persone,
anche di quelle che fuggono da
aree del pianeta dove divampano
sanguinose guerre civili o sono in
atto violente repressioni dell’opposizione interna, se non veri e
propri genocidi. Insomma, la regolamentazione e restrizione della libera iniziativa privata è tutt’altro che delegittimata e spesso
conquista nuovi traguardi suscitando l’indignazione dei pensatori liberali». È d’accordo, professor Bauman: pensa che ci stiamo
effettivamente muovendo verso
un mondo neoprotezionistico,
contraddistinto da più paura e meno libertà?
Parlerei di singulti neoprotezionistici più che di una tendenza,
e ancor meno di una tendenza
a lungo termine. La ritrattazione o quello che si definisce retrenchment, il ridimensionamento della libertà economica,
sono «reazioni viscerali», quasi riflessi incondizionati alla crisi, e ci possiamo aspettare politici che lottano gli uni contro
gli altri sulle promesse di irrobustire il controllo dell’immigrazione e di smantellare i diritti d’asilo. Ma è ben difficile
che loro, i politici, possano
mantenere le proprie promesse senza rischiare seri
guai per l’economia nazionale. Gli interessi economici non tollererebbero tale
clamorosa irresponsabilità
e in molti casi
faranno armi e
bagagli, per
trasferirsi in
Paesi più accoglienti per la
produzione di
profitti. Particolarmente in Europa, dove fronteggeremo
un’eclissi nella dimensione della popolazione a meno che le
perdite non siano compensate
VISIONI: ZYGMUNT BAUMAN
SENZA LO SHOPPING
L’UOMO MODERNO
SI SENTE ORMAI PERDUTO
PAOLO GHEZZI
dai nuovi arrivati da Paesi recentemente forzati ad entrare
nella«modernizzazione» globale, che per questa ragione hanno cominciato una intensa produzione
di
persone «ridondanti».
Un’Europa dove molti lavori
non remunerativi né attraenti, ma cruciali
per l’equilibrio dell’economia nazionale, particolarmente nel
settore dei
servizi, resterebbero vacanti se non
fossero assunti da un flusso
continuo di immigrati. Per
quanto riguarda invece la questione della mobilità e della migrazione dei capitali finanziari,
“ Anche
il rispetto
di amici
e colleghi oggi
viene mediato
dal negozio ”
12
CHI È
LA MODERNITÀ
È LIQUIDA, DICE
Nato a Poznan in Polonia nel
1925, è uno dei più noti e influenti pensatori al mondo. A
lui si deve la folgorante definizione della «modernità liquida», di cui è uno dei più
acuti osservatori. Professore
emerito di sociologia nelle
università di Leeds e Varsavia, per Laterza ha pubblicato quasi tutti i suoi libri, come:
«Dentro la globalizzazione»,
«Voglia di comunità»; «Modernità liquida» e l’ultimo «Vite che non possiamo permetterci» (conversazioni con
Citlali Rovirosa-Madrazo).
Con la casa editrice trentina
Erickson ha pubblicato il
saggio «Homo consumens».
l’Adige
industriali e commerciali, non
si riescono ad intravvedere
molti segnali di restrizioni della «libera iniziativa privata»,
menzionate da Tito Boeri. I banchieri sono, e rimarranno per
un prevedibile futuro, liberi di
muovere il denaro dove brillano le migliori chance di guadagno, e pochi o nessun governo
oserebbero impedirgli di usare
quella libertà.
Da un piano macro scendiamo al
livello personale, individuale: il
suo argomento al festival di Trento è «Consumare la libertà». Stiamo sprecando la nostra libertà?
In una società di massa composta
da consumatori, può una persona
alzarsi in piedi e decidere di stare fuori dal mainstream, dalla corrente della maggioranza?
È difficile, se non impossibile,
immaginare delle circostanze
in cui una persona non possa
fare una scelta libera, di stare
fuori dal mainstream! Il fatto è
che prendere una decisione del
genere è sempre costoso, talvolta in modo esorbitante, e
non molte persone sarebbero
disposte, o entusiaste, di farlo.
Nel caso di una società di consumatori come la nostra, le ricette per la risoluzione della
maggior parte dei problemi della vita e per la soddisfazione
della maggior parte di bisogni
umani passano attraverso i negozi, e senza entrare in alcuni
negozi, noi ci sentiamo incapaci di farcela; il livello del benessere è misurato dall’ammontare di denaro che passa di mano in mano e se quel volume
cessa di crescere o, Dio non voglia, diminuisce, si suona l’allarme rosso e la gente va nel panico, e per una buona ragione...
Noi possiamo, dopo tutto, consumare molto meno di quel che
facciamo attualmente senza
certo mettere a rischio la nostra sopravvivenza e una vita
dignitosa ma temiamo che così diventi impossibile o almeno
tremendamente difficile affrontare un sacco di problemi della vita; dopo tutto, così numerosi aspetti cruciali della vita
(e in particolare della vita decente, gratificante) oggi sono
«mediati» dallo shopping: le preoccupazioni che abbiamo riguardo la nostra posizione sociale, il rispetto dei nostri amici, vicini e colleghi di lavoro, la
vita familiare felice, la cura del-
Visioni: «Una libertà consumata»
L’EVENTO
le prospettive di vita e della felicità delle persone che amiamo... Ripeto, la decisione di non
seguire il flusso della maggioranza costa un prezzo alto ed
esige abilità che abbiamo perduto e sforzi che molte persone troverebbero indigeribili.
Nell’ottava conversazione del libro «Living on borrowed time»
(«Vite che non possiamo permetterci» - Conversazioni con Citlali
Rovirosa-Madrazo) lei parla di
amore e utopia: pensa che le nuove generazioni possono riscoprire il valore dell’utopia oppure la
Realpolitik internazionale rimane di gran lunga troppo forte?
Qual è stata la sua sensazione di
fronte alle manifestazioni di giubilo nelle strade americane dopo
l’annuncio di morte di Osama Bin
Laden?
È sempre la solita storia: noi
non siamo esseri deterministicamente condizionati, il modo
in cui ci comportiamo non è deciso in anticipo da forze a cui
non possiamo resistere; però è
altamente improbabile rompere gli schemi e girare le spalle
al mainstream, al conformismo
della maggioranza.
Per quanto riguarda l’utopia, la
parola era usata per definire lo
sforzo di rendere il mondo umano più ospitale per l’umanità,
mentre oggi noi apprendiamo
quotidianamente da tutte le
«fonti autorevoli» che il tema e
la mèta degna di ogni sforzo è
il trovare per noi stessi e per i
nostri cari e amici un posto confortevole e carino in un mondo
che non è confortevole né carino ed è altamente improbabile che lo diventi...
E visto che l’agenda politica dei
governi e le preoccupazioni
quotidiane della gente si allontanano sempre di più l’una dalle altre, sfumano le speranze
che le nostre preoccupazioni
possano essere risolte da una
«buona società», e la connessione tra le questioni private e
le politiche pubbliche diventa
ancora più difficile da afferrare. I casi in cui le ansie private
e quelle pubbliche coincidono
e vanno in corto circuito - come l’uccisione di Bin Laden,
quell’eminente simbolo di tutto ciò che è spaventoso e repellente della globalizzazione che
corre verso la follia - sono assai rari. Non c’è da meravigliarsi che abbiamo applaudito e
DOVE - All’Auditorium Santa
Chiara.
QUANDO - L’appuntamento è
per domenica 5
giugno, alle ore
17.30.
IL TEMA - I vecchi confini tra
pubblico e privato, tra merci e
persone, tra proprietà e consumo sono stati rimossi. Ma
siamo per questo più liberi?
Ne parla uno dei più originali
pensatori del nostro tempo.
CON CHI
GIUSEPPE
LATERZA
Giuseppe
Laterza
nasce a Bari
il 25 gennaio 1957. Si
laurea in
economia e
commercio
nel 1980 con Federico
Caffè. Nel 1981 entra nella casa editrice affiancando il padre Vito. Dal 1997
è presidente della società
di cui condivide le
responsabilità con il cugino Alessandro Laterza,
ad. Giuseppe Laterza è
responsabile della varia
(saggistica e università).
che ci siamo sentiti (ahimè, per
un momento soltanto) più sicuri e più felici...
Ma, professor Bauman, può l’etica (e, nel caso, una legislazione
dall’etica ispirata) mettere un limite alla tecnologia - alla biotecnologia, in particolar modo - o
l’etica può soltanto assolvere al
ruolo di sentinella che lancia l’allarme?
Se il livello di consumo determinato dalla sopravvivenza biologica/sociale è per sua stessa
natura inelastico, inestendibile e dunque relativamente stabile, i livelli necessari per gratificare altri bisogni promessi,
attesi o richiesti dal servizio reso dal consumo, a causa della
natura di tali bisogni, sono intrinsecamente indirizzati verso l’alto e crescenti. La soddi-
sfazione di questi bisogni aggiuntivi non dipende dal mantenimento di standard stabili,
ma dalla velocità e dal grado
del loro incremento. I consumatori che si rivolgono al mercato dei beni materiali per
adempiere ai loro doveri di soddisfare gli impulsi e di realizzare la propria auto-identificazione (si legga: auto-mercificazione) sono obbligati a ricercare
differenziali di valore e volume,
con questo tipo di «domanda
di consumo» che è perciò un
fattore travolgente e irresistibile di spinta verso l’alto.
Esattamente come la responsabilità etica per gli Altri non tollera alcun limite, il consumo investito del compito di dare sfogo agli impulsi morali e di soddisfarli mal sopporta ogni tipo
di limite imposto al suo estendersi. Essendo stati agganciati
all’economia consumistica, gli
impulsi morali e le responsabilità etiche sono trasformati, ironicamente, nel più spaventoso
ostacolo quando l’umanità si
trova a confrontarsi con quella che è probabilmente la più
formidabile minaccia alla sua
sopravvivenza: la minaccia che
per essere respinta esigerebbe
una quantità, forse senza precedenti nella storia, di autolimitazione volontarie e di disponibilità al sacrificio personale
di se stessi.
Come salvarsi, professore?
Una volta innescata e tenuta in
moto dall’energia morale, l’economia consumistica come limite ha solo il
cielo.
Per essere efficace nel compito che si è assunta, non può
permettersi di
rallentare la
sua andatura,
e men che meno di fare una
pausa e fermarsi.
Di conseguenza deve assumere controfattualmente,
in modo tacito se non espresso a parole, l’illimitatezza della resistenza del pianeta e l’infinitezza delle sue risorse. Dall’inizio dell’era consumistica,
aumentare la dimensione della
pagnotta è stato promosso a ri-
l’Adige
medio ovvio, quasi come un
profilattico infallibile, contro i
conflitti e i litigi intorno alla redistribuzione del pane. Efficace o no nel sospendere le ostilità, quella strategia doveva presupporre scorte infinite di farina e di lievito.
Adesso ci stiamo avvicinando
al momento in cui la falsità di
quella ipotesi e i pericoli di restarci attaccati è probabile che
diventino evidenti. Questa potrebbe essere l’occasione buona per la responsabilità morale, perché sia rifocalizzata sulla sua vocazione primaria: quella della mutua assicurazione di
sopravvivenza. In questa ri-focalizzazione, la demercificazione dell’impulso morale sembra
essere però il caposaldo tra tutte le condizioni necessarie.
Il momento della verità potrebbe essere più vicino di quel che
ci farebbero credere i debordanti scaffali dei supermercati, i siti web disseminati da popup pubblicitari e i cori degli
esperti di auto-miglioramento
e dei consulenti su come-farsidegli-amici-e-influenzare-le-persone. Il punto è come precedere/anticipare il suo arrivo con
il momento dell’auto-risveglio.
Nient’affatto un compito facile,
se ne può star certi: ci sarà bisogno niente meno che di abbracciare l’intera umanità, completa della sua dignità e del suo
benessere, così come la sopravvivenza del pianeta, la sua casa condivisa, un abbraccio guidato dall’universo degli obblighi morali….
Undici anni dopo «Modernità
liquida», ci sono
segnali di una
qualche ri-solidificazione sociale nei Paesi
occidentali? E,
al contrario, la
«modernità liquida» sta invece cominciando
negli ultimi mesi a mostrarsi
addirittura nei
Paesi nordafricani e arabi?
La «liquidità» del nostro impegno è causata in primo luogo
da quella che è sommariamente etichettata come «deregolamentazione»: la separazione del
potere (= capacità di fare le co-
“ Ci sarà
bisogno
di abbracciare
l’umanità e la
sopravvivenza
del pianeta ”
13
Visioni: «Una libertà consumata»
go, ma nessuno sa dove e in
quale momento accadrà.
Nel pianeta globalizzato, questa condizione è universale: nessuno è esente e nessuno è assicurato contro le conseguenze.
Esplosioni originate da cause
locali si riverberano attraverso
il pianeta. Molte cose devono
essere fatte per trovare una via
d’uscita da questa situazione,
ma tornare al matrimonio tra
potere e politica, che oggi sono
divorziati, è indubbiamente una
condizione sine qua non di ciò
che lei chiama «ri-solidificazione».
Fin qui, le articolate, complesse e provocatoriamente affascinanti risposte di Zygmunt Bauman alle domande dell’Adige.
Risposte spedite via mail a tambur battente - grazie alla gentile, efficiente mediazione di Riccardo Mazzeo, della casa editrice Erickson - con l’energia di un
blogger ventenne, e invece Zygmunt Bauman è un professore
emerito di 85 anni. Nel suo ultimo libro il grande sociologo, ma
ormai anche filosofo e investigatore a tutto campo - interrogato da Citlali Rovirosa-Madrazo - affronta mille e una questione, con la generosa circolarità
del suo pensiero che verrebbe
da definire «pensato». Dagli attacchi terroristici alle banche,
dalla biotecnologia al bosone
di Higgs,dal protocollo di Kyoto al capitalismo, dalle comunità alla democrazia, dalla disoccupazione all’etnocentrismo,
dai genocidi a internet, dalla libertà alla paura, dalla povertà
alla sessualità, dallo Stato alla
violenza, al welfare state.
Nelle sue conclusioni, Citlali Rovirosa-Madrazo fotografa bene
l’importanza di quel che a noi
provinciali vien da chiamare il
«baumanesimo» - neologismo
che ovviamente inorridirebbe
lo stesso Bauman - a dire la pervasività estesa del suo riflettere. «In un senso molto paradossale, la responsabilità morale è
per Bauman l’unico motivo di
scrivere: egli è un non credente che si rivolge a un lettore etico, un pensatore sociale che respinge l’idea di un essere soprannaturale, ma è anche un uomo dotato di una compassione,
di una integrità morale e di un
impegno verso l’umanità che fa
invidia a qualsiasi uomo di dogmi, religiosi o secolari».
R0052015
se) dalla politica (=capacità di
decidere quali cose devono essere fatte) e la risultante assenza o debolezza dell’istituzione,
oppure in altre parole l’inadeguatezza degli strumenti rispetto ai compiti; anche, dal «policentrismo» dell’agire su un pianeta integrato da una densa rete di interdipendenze. Per metterla in modo blando: in condizioni di «liquidità» ogni cosa può
succedere eppure niente può
essere fatto con fiducia e certezza. L’incertezza è il risultato, che combina le sensazioni
di ignoranza (=non sappiamo
che cosa succederà), impotenza (=non possiamo evitare che
succeda) e diffusa, poco specificata paura: non-ancorati eppure disperatamente alla ricerca di ancoraggio.
Vivere in condizioni liquide-moderne può essere paragonato a
camminare su un campo minato: tutti sanno che un’esplosione potrebbe verificarsi in qualsiasi momento e in qualsiasi luo-
l’Adige
15
I
l professor Pippo Ranci da anni è tra le pochissime voci italiane
che cercano di affrontare il «problema nucleare» con una certa razionalità, pesando i pro e i
contro e cercando di
evitare qualsiasi lettura ideologica. Lavoro non facile, il suo, soprattutto dopo la
tragedia di Fukushima e in vista del referendum del 12 e 13
giugno prossimo. Ranci è stato
il primo presidente della Autorità per l’energia elettrica e il
gas, dal 1996 al 2003, insegna
politica economica all’Università Cattolica di Milano ed è direttore della Florence school of
regulation presso il Robert
Schuman Centre, Istituto universitario europeo di Firenze.
Al Festival dell’Economia naturalmente parlerà di nucleare
(sabato 4 giugno, Facoltà di
scienze cognitive di Rovereto,
ore 18) in uno degli appuntamenti che si annunciano di maggior richiamo.
Professor Pippo Ranci, ad un recente convegno sul nucleare lei
concluse così il suo intervento:
«Certo un progetto nucleare è meglio che non fare niente». Vuole
spiegare questa tesi anche al pubblico che la seguirà al Festival dell’Economia di Trento?
Temo la paralisi delle decisioni. Dal «no» ad una scelta deve
scaturire la proposta di una
scelta diversa, il confronto politico deve essere tra progetti
alternativi, altrimenti c’è un
danno per il Paese.
Lei ha più volte detto che creare
le condizioni
per una convenienza in Italia
«richiede uno
sforzo straordinario di coordinamento tra imprese e pubbliche amministrazioni e di coinvolgimento e
persuasione
delle popolazioni». Ma ritiene
che in Italia sia
davvero possibile un obiettivo tanto ambizioso, soprattutto in
questi anni di estreme contrapposizioni?
Non è un’operazione impossibile ma prenderebbe tempo e
Dialoghi: PIPPO RANCI
SE DICIAMO «NO»
AL NUCLEARE
SERVE UN’ALTERNATIVA
PAOLO MICHELETTO
danaro in misura tale da far dubitare che sia economica. Dopo
Fukushima è ancora più difficile, per i maggiori timori della
popolazione ed anche per una
lezione che deve essere ben
appresa. La lezione giapponese, se non è
troppo presto
per individuarla, è che anche
le misure di
precauzione
sono soggette
alla probabilità di non essere applicate;
che quindi la
sicurezza non
può essere definita solo in termini tecnici ma
deve essere riferita anche all’imperfezione dell’organizzazione
sociale. E la lezione viene da una
società mediamente ben orga-
“ Dopo
Fukushima
è tutto
più difficile,
il rischio zero
non esiste ”
CHI È
L’EX PRESIDENTE
DELL’AUTHORITY
È professore fuori ruolo di
Politica economica all’Università Cattolica del Sacro
Cuore, dove insegna Etica
della finanza ed Economia
dell’energia. È stato presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, vicepresidente del Council of European Energy Regulators
(CEER). È stato tra i fondatori dell’Istituto per la Ricerca
Sociale (IRS) di Milano, di cui
è stato presidente e direttore
di ricerca. Collabora con «lavoce.info». Ha pubblicato articoli e volumi su economia
italiana, politica monetaria,
settore noprofit e politiche industriali.
l’Adige
nizzata, quindi vale a maggior
ragione per società più fragili.
L’argomento più forte contro il
nucleare, secondo me, è proprio la pericolosità della sua
proliferazione nel mondo (incluso il possibile uso militare,
ma non solo quello). È illusorio
pensare di poter sviluppare il
nucleare nei paesi industrializzati e ben ordinati ed evitare
che se ne dotino anche gli altri.
Nella scelta del nucleare si intrecciano questioni di sicurezza e di
convivenza economica. Ma è giusto alla fine privilegiare uno dei
due aspetti?
Qualsiasi scelta deve tener conto di entrambi gli aspetti. Viene
da dire: prima la sicurezza. Ma
quando vai a definire i livelli di
sicurezza scopri che la sicurezza assoluta non esiste e che nel
definire la sicurezza accettabile non puoi non tener conto di
quanto costa, in termini non solo monetari ma di rinuncia ad
altri benefici: come potremmo
fissare la sicurezza stradale al
livello di zero morti?
È vero tra l’altro che un eventuale investimento in Italia avrebbe
un «ritorno» economico molto meno importante di altre realtà mondiali?
Probabile, visto che bisogna
creare un sistema autorizzativo e di controlli, superare l’avversione diffusa tra le amministrazioni regionali e locali e la
popolazione, e tutto questo rallenta la costruzione e da un lato fa lievitare il costo dell’impianto, che rappresenta i due
terzi del costo del chilowattora. Costa meno aggiungere una
centrale in un paese in cui il settore è già stabilito e collaudato.
Professore, lei pensa che sia possibile arrivare ad una linea unitaria a livello europeo, posto che come lei giustamente ha scritto un’eventuale catastrofe colpisce
tutti, e non solo il paese che ha costruito la centrale in questione?
Auspicabile certamente, possibile anche ma non so quanto
tempo ci vuole, e qui il tempo è
tutto. La linea unitaria non può
essere una decisione a maggioranza per il sì o per il no; deve
fissare regole comuni a due livelli. Il primo è la sicurezza dell’esistente: qui l’Europa può rafforzare gli standard che già esistono, ad esempio vietando il
prolungamento in vita degli impianti che non offrano
17
Dialoghi: «No Nukes»
L’EVENTO
DOVE - A Rovereto, presso la
facoltà di Scienze
cognitive,
corso
Bettini
84.
QUANDO - Appuntamento
per le 18.
IL TEMA - Pippo Ranci, Stefano Saglia e Carlo Scarpa parlano sul tema «No Nukes?»:
come decidere il futuro energetico del Paese dopo il disastro nucleare di Fukushima
che ha messo in ginocchio il
Giappone?
impedimento ai processi) ma
la decisione se andare a votare si prende una volta sola.
Tutti noi abbiamo ancora negli occhi le terribili immagini della tragedia della centrale di Fukushima. Possibile pensare in futuro ad
un mondo senza questo incubo
(cioè senza nucleare oppure con
un nucleare senza rischi)?
Un futuro senza rischi non esiste. Un futuro senza nucleare
sì, anche se non in tempi brevi.
Il problema è quali altri rischi
esso comporta, ad esempio in
termini di riscaldamento globale.
Il dibattito sul nucleare ha rallentato l’attenzione dell’opinione
pubblica e gli investimenti dall’impegno su altre fonti di energia, ad iniziare da quelle alternative?
Non mi pare. L’impegno per le
energie alternative non è troppo debole, è mal gestito. Gli incentivi sono fissati irrazionalmente: si premia in misura eccessiva la posa di pannelli fotovoltaici anche su terreni di
agricoltura pregiata e si trascura di promuovere (o imporre)
il semplice pannello per l’acqua calda sul tetto degli edifici, che ha un effetto enormemente maggiore per ogni euro
speso. Si trascura la diffusione
delle conoscenze. La pubblica
amministrazione non dà il buon
esempio con i suoi edifici. Dove l’impegno è ancora insufficiente è per l’efficienza energetica: non altre fonti ma minori
consumi.
Ultima domanda, professore: un
mondo «ideale» che compie il massimo sforzo sulle fonti alternative
e rinnovabili, potrebbe mai rinunciare al nucleare?
Sì, potrebbe, ma sarebbe sbagliato puntare all’eliminazione
immediata che non si realizzerebbe comunque. Si rischierebbe di avviare il mondo ad una
fase transitoria più pericolosa,
con gli impianti più efficienti
costretti a chiudere e quelli meno efficienti ancora in funzione
perché difesi dai governi locali. Va privilegiata la sicurezza,
non l’ideologia.
[email protected]
G1051835
il livello di sicurezza di quelli
recenti e stabilendo per sé e
proponendo per il resto del
mondo le sanzioni per chi non
segue le norme di sicurezza
concordate in sede di Agenzia
atomica mondiale, quelle che
la Tepco giapponese non ha applicato. Il secondo è la strategia per il futuro, imponendo per
gli impianti livelli di sicurezza
crescenti nel tempo e mettendo in comune lo sforzo per la
gestione delle scorie radioattive (comprese quelle di origine
diversa dalle centrali).
Lei ha scritto: dopo l’attentato
dell’11 settembre nessuno ha messo in discussione il trasporto aereo. Così non va messa in discussione l’energia nucleare: ma con
quali priorità, dal punto di vista
della sicurezza?
Non ho detto che non va messa in discussione l’energia nucleare: certo che va messa. Ho
detto che non la si può eliminare di colpo, come non si può
chiudere il trasporto aereo: bisogna fare un piano di progressiva riduzione del rischio.
Professore, cosa pensa del dibattito politico e sociale (e della sua
pochezza) che si sta sviluppando
in Italia in vista del referendum
di giugno?
Un referendum esige una scelta secca e non può costruire
una politica, può solo dare un
segnale e porre una limitazione a chi ha la responsabilità di
formulare le politiche. Per di
più oggi i quesiti referendari riguardano tre temi molto diversi (nucleare, acqua e legittimo
l’Adige
19
D
opo l’uccisione
di
Osama Bin
Laden la popolarità di
Barack Obama è tornata alle stelle.
C’è chi dice
che abbia già messo «in cassaforte» il secondo mandato da
presidente Usa. Obama capitalizza l’eliminazione di Osama
ma, per mesi, ha dovuto fare i
conti anche con il «fuoco amico». A fare opinione negli Stati
Uniti sono anche i conduttori
di show televisivi. Nel 2009 Jay
Leno disse che dal presidente
non ci si dovevano aspettare
decisioni rapide («Ci ha messo
cinque mesi per scegliere il cane per le figlie»). E gli osservatori, soprattutto di parte repubblicana, e soprattutto tramite
Fox News, si sono concentrati
sulla grande scommessa, tutta
interna: la rivoluzione del sistema sanitario, approvata dal
Congresso. Ne abbiamo parlato con Alan Krueger, docente
di economia e affari pubblici all’Università di Princeton, un
passato da assistant secretary
per la politica economica e capo-economista del Dipartimento del Tesoro degli Usa, ricercatore per l’Office of Population Research e per il Centro
della salute e il benessere dell’Università di Princeton. Ci ha
dato un’anticipazione di ciò che
dirà a Trento, ospite del Festival dell’Economia.
A che punto è la riforma del sistema sanitario americano?
La riforma della sanità, una
riforma storica, è stata approvata dal
Congresso ed
è stata firmata
dal presidente
Obama
nel
marzo dello
scorso anno.
In questo momento il Governo si sta
occupando
della fase di
implementazione. Alcune parti della normativa sono già in atto - mi riferisco ad esempio al credito
d’imposta per aiutare le piccole imprese a garantire l’assicu-
20
Focus: ALAN KRUEGER
LA SANITÀ PER TUTTI
DI BARACK OBAMA
È UNA SVOLTA STORICA
ANDREA TOMASI
razione sanitaria ai dipendenti
- mentre altre parti della riforma prevedono un’applicazione
più lenta: l’obbligo di assicurazione sanitaria per tutti i cittadini scatterà
nel 2014.
Può spiegare
quali sono i
punti centrali
della riforma,
partendo magari dai due pilastri su cui si basa: i programmi
Medicare e Medicaid?
Medicare è il
programma di
assicurazione
sanitaria per
le persone che
hanno più di 65 anni. Medicaid
è il programma governativo di
assicurazione sanitaria per le
persone che hanno un basso
reddito. La storica legge di ri-
forma della sanità darà molto.
Forse la cosa più importante
sarà l’obbligo per tutti i cittadini di acquisire un’assicurazione sanitaria. In caso contrario scatteranno delle penali.
Con la legge di riforma si daranno sussidi all’assicurazione sulla salute, riducendo il costo di
Medicare e aumentando altre
entrate. Questa riforma garantirà sovvenzioni direttamente
ai cittadini e alle piccole aziende, in modo che queste provvedano alla copertura delle spese assicurative.
Negli Stati Uniti 45 milioni di cittadini non hanno assicurazione
sanitaria. Quella promossa dall’Amministrazione Obama appare come una rivoluzione. Ma questo cambiamento è veramente necessario e, soprattutto, è veramente possibile?
I non assicurati sono principalmente persone povere, che non
si possono permettere la spe-
l’Adige
sa per l’assicurazione sanitaria. Ma fra i non assicurati ci sono anche giovani, soggetti sani, che vanno avanti senza assicurazione, pur potendosi permettere di sostenerne le spese.
Nei mesi scorsi, nel dibattito congressuale, il piano del presidente
Obama è stato «radiografato». È
stato detto che porterà ad una moltiplicazione dei costi del sistema
sanitario. C’è il «rischio collasso»?
La riforma del sistema sanitario nazionale produce due effetti che nessuno può mettere
in dubbio. Innanzitutto permette a 25 milioni di cittadini di godere di servizi alla salute di cui
prima non godevano. Lo fa rendendo possibile la copertura
assicurativa grazie all’introduzione di sussidi: uscite che vengono sostenute con un aumento delle tasse nei confronti delle fasce più ricche della popolazione. Poi c’è da dire che la
riforma razionalizza il sistema
Medicare, finora troppo generoso. Riduce sprechi e rimborsi delle strutture ospedaliere.
Si calcola infatti che in dieci anni il Governo federale risparmierà circa 100 miliardi di dollari. Presenterò questo dato
proprio a Trento, al Festival dell’Economia: l’estensione della
copertura assicurativa sarà finanziata in parte dall’aumento
delle tasse (principalmente si
tratterà di un aumento dello 0,9
per cento di tasse per le persone aderenti a Medicare che guadagnano più di 250 mila dollari all’anno) e in parte da una riduzione della spesa medica non
indispensabile. Penso che ci sia
un maggior rischio di collasso
del nostro sistema sanitario,
principalmente privato, se noi
non facciamo nulla per frenare
la crescita dei costi.
Il primo step è il taglio dei costi,
d’accordo. Ma, visto il quadro economico, l’obiettivo di Obama non
è un miraggio?
Penso che sia raggiungibile.
L’economia è in ripresa. Dieci
anni sono un periodo di tempo
lungo. E noi stiamo parlando di
riduzione della crescita dei costi, non di riduzione del livello
assoluto dei costi.
Negli Anni Novanta Hillary Clinton fallì nel suo tentativo di riforma. Al Congresso incassò una
sconfitta. Fu l’inizio della fine dell’era Clinton. Obama, oggi, cosa
rischia?
Focus: «La sanità di Obama»
stampa concentra la sua attenzione sugli atti normativi volti
alla regolazione del mercato finanziario. Il faro è quindi puntato più sull’economia in generale e sugli atti di contenimento che sulla riforma sanitaria.
A fare pressing sulla Casa Bianca
c’è sempre Fox News.
Sì. Fox News continua nella sua
battaglia, ma si tratta di una posizione estrema.
Ma Fox è molto popolare.
Sì. È assai popolare. Diciamo
che non è il canale televisivo
che seguo di più... Non c’è dubbio che abbia molto pubblico.
Dà comunque una chiara idea
di come la pensa una parte del
popolo americano.
Nel 1993 le lobby contrarie alla
riforma promossero uno spot televisivo. Protagonisti erano Harry e Louise, una finta coppia di
«americani medi». Nello spot, alquanto convincente, si diceva che
la riforma era troppo costosa. Cosa direbbero oggi Harry e Louise?
A dire la verità, c’è anche una
pubblicità nella quale gli stessi Harry e Louise supportano
la riforma sanitaria, passata al
congresso. Questo l’ho trovato su Wikipedia: «Nel nuovo
spot - che assomiglia molto al
primo, a parte il fatto che Harry ha più capelli grigi e Louise
è un po’ in carne, la coppia plaude ai progressi fatti con la riforma promossa a Washington.
Harry dice alla sua finta moglie
nella sua finta cucina: “Sembra
che finalmente abbiamo la nostra riforma sanitaria”. “Era
ora”, risponde Louise».
Nel 2009 la Casa Bianca disse che
il deficit si sarebbe rivelato più
elevato del previsto. Oggi com’è
il quadro?
La recessione e i tagli alle tasse fatti da Bush hanno causato
l’incremento del deficit. Adesso è circa il 10% del Pil.
Lo scorso febbraio il giudice federale Robert Vinson ha bocciato
l’Obama Care. Ha detto che la regola che impone di dotarsi di
un’assicurazione sanitaria entro
il 2014 è anticostituzionale. E così sarebbe incostituzionale anche
la parte che punisce (trattenendo
i fondi federali) gli Stati che non
partecipano al programma Medicare.
Sì. Bisogna però dire che su
quest’argomento le corti inferiori si sono divise. La questione della costituzionalità della
riforma sarà risolta con una decisione della Corte Suprema.
Nel 2009 Bob Lichter (George Rason University) disse che Barack
Obama aveva ormai perso la sua
immunità di fronte al popolo americano. Disse che non era più
un’icona mediatica. Lei cosa ne
pensa?
Essere presidente degli Stati
Uniti è forse il mestiere più difficile del mondo. È inevitabile
che il presidente venga criticato e giudicato con il senno di
poi, ma io credo che il presidente rimanga popolare e che abbia preso delle decisioni molto
difficili che si riveleranno essere le giuste scelte per il Paese.
R1051408
Il presidente Obama sta avendo successo laddove l’amministrazione Clinton ha fallito. Sono molto orgoglioso di aver fatto parte del gruppo che ha promosso entrambe le esperienze
di riforma.Teniamo conto del
fatto che la legge ha superato
l’imbuto del Congresso. I Repubblicani non hanno armi per
fermarla. Ora le critiche si concentrano sui metodi di applicazione.
Qual è la reazione delle lobby delle industrie farmaceutiche e delle cliniche private?
Penso che ci sia un diffuso riconoscimento del fatto che la
riforma è necessaria nelle politiche di assistenza sanitaria, anche se ci sono opinioni contrastanti sul metodo da utilizzare.
Le critiche, dopo la sconfitta di
Osama Bin Laden, sono diminuite molto. Anche gli avversari più agguerriti del presidente
Obama hanno dovuto riconoscere che si è trattato di un
grande successo. Poi oggi la
l’Adige
21
S
u Dani Rodrik, e
di Dani Rodrik,
in rete, si trovano parecchie cose interessanti, e
anche controverse, soprattutto a proposito
delle sue idee
anti-globalizzazione e neo-protezionistiche.
Nato nel 1957 a Istanbul, discendente di una famiglia di ebrei
sefarditi che fuggirono verso
l’impero ottomano dalla penisola iberica cinque secoli fa durante l’inquisizione spagnola,
Rodrik è noto anche per motivi extra-accademici, in quanto
ha sposato la figlia dell’ex generale Cetin Dogan, il presunto leader dei numerosi alti ufficiali arrestati di recente con
l’accusa di aver partecipato a
un progettato golpe militare in
Turchia nel 2003.
Rodrik, che ha studiato a Harvard e Princeton, svolge il ruolo di «Rafiq Hariri Professor of
International Political Economy» alla John F. Kennedy School of Government, di Harvard.
Tra i premi, ha ricevuto nel 2002
il Leontief, per i progressi sulla frontiera del pensiero economico, da parte del Global Development and Environment Institute. Infine, è annoverato tra
i 100 più influenti economisti al
mondo, oggi, secondo la classifica di IDEAS/RePEc.
Professor Rodrik, il tema che le è
stato assegnato è enorme, anzi
smisurato: «Il futuro della globalizzazione». Ma si può davvero tro-
Visioni: DANI RODRIK
È RISCHIOSO SPINGERE
SULLA GLOBALIZZAZIONE
ESASPERATA DEI MERCATI
PAOLO GHEZZI
vare un equilibrio virtuoso tra la
capacità penetrativa globale dei
mercati e il tentativo di restaurare, almeno in parte, le prerogative degli Stati-nazione?
Io penso che abbiamo bisogno
di una nuova narrativa, o almeno di una trama, per raccontare la globalizzazione. Per troppo tempo ci siamo raccontati
una storia semplice ma fuor-
viante: che la globalizzazione
economica è una conseguenza
inevitabile del cambiamento
tecnologico e che non c’è nulla che possiamo fare al riguardo, tranne adeguare alla globalizzazione le nostre istituzioni,
nazionali e internazionali. E se
nel corso di questo processo ci
capita addosso uno tsunami finanziario, peccato, non c’è
niente da fare. Sarebbe ora che
bilanciassimo in modo diverso
le nostre priorità e che cominciassimo ad adeguare i nostri
ambiziosi progetti sulla globalizzazione a ciò che le nostre
istituzioni possono sopportare. I mercati hanno bisogno di
solidi meccanismi di regolazione e governance per poter funzionare bene ed essere percepiti come legittimi. Questi meccanismi, a loro volta, necessitano di essere fondati su una
politica democratica e responsabile. Si tratta di meccanismi
che oggi operano prevalentemente a livello nazionale.
L’esperienza dell’Unione europea mostra le difficoltà di creare un sistema autenticamente
transnazionale di governance
democratica, anche tra un numero relativamente piccolo di
Paesi con analoga mentalità.
Dato che il mondo è (e rimarrà) diviso in differenti entità politiche, dobbiamo capire che è
pericoloso spingere troppo in
là la liberalizzazione globale dei
mercati.
Che cosa pensa della crisi libica e
in generale dei Paesi nordafricani in queste settimane: è anche u-
Cucina tipica
Trentina
Ampio giardino
immerso nel verde
G1052034
22
l’Adige
Visioni: «Il futuro della globalizzazione»
na questione di sviluppo economico, o si tratta solo di politica? E
quale ruolo dovrebbe giocare
l’Unione europea?
Io vedo la rivolta araba prevalentemente in termini politici.
O, per essere più precisi, queste insorgenze sono state la conseguenza di istituzioni politicogovernative che sono rimaste
indietro rispetto alla crescita
delle economie nazionali. Tunisia ed Egitto hanno vissuto le loro rivoluzioni non perché non
avevano creato opportunità
economiche, ma perché le classi media e medio-bassa hanno
finalmente cercato di avere una
voce politica e di mettere fine ai
nepotismi politici. E così hanno
dato l’esempio ad altri Paesi della regione, di come si potessero rovesciare dei regimi autoritari scendendo nelle strade.
Lei conosce bene la Turchia, professor Rodrik: quanto tempo ci vorrà ancora per un ingresso di Ankara nell’Unione europea?
Credo che nessuno oggi pensi
che la Turchia possa entrare nell’Ue in tempi brevi. Anche prima della crisi dell’Eurozona, la
probabilità che accadesse aveva fatto grandi passi indietro. In
parte è stato il risultato dell’atteggiamento dei francesi e dei
tedeschi. Ma anche dell’atteggiamento del premier turco Erdogan, il cui maggiore interesse è stato quello di usare l’Unione europea come sbarramento
e protezione nei confronti dei
militari, che da lungo tempo sono ostili a gruppi politici che
percepiscono come non-seco-
L’EVENTO
lari. E adesso che Erdogan ha
vinto la sua battaglia, è molto
meno interessato all’Ue. In aggiunta, il regime politico turco
sta diventando progressivamente più autoritario, con gravi violazioni delle norme di legge e
delle libertà dei media. E dunque ho perso la fiducia che la
Turchia possa diventare un
membro a pieno titolo dell’Ue
nell’arco della mia vita.
Perché la ripresa della crescita dopo la Grande Crisi è così lenta in
molti Paesi europei, Italia inclusa?
Io direi che è una combinazione del debito che incombe e dei
problemi di competitività. Il mix
varia da Paese a Paese, ma l’unica eccezione è la Germania. Come Paese con un surplus di export che è riuscito a ridurre il
costo unitario del lavoro, la Germania non soffre né dell’uno né
dell’altro dei due problemi.
Lei è tra gli economisti che hanno
firmato la lettera ai ministri dell’economia del G20, per la cosiddetta tassa di Robin Hood sulle
transazioni finanziarie. Si farà mai?
Vorrei dire di sì. Ma sfortunatamente, tutto l’entusiasmo che
era nato sulla global financial
transaction tax sembra essere
in larga misura evaporato. Spero di sbagliarmi.
DOVE - Presso il
palazzo della
Provincia,
in
piazza Dante,
nella sala Depero.
QUANDO - Dani
Rodrik parlerà
alle 17.30 di giovedì 2 giugno.
IL TEMA - Non possiamo dare
per scontato il futuro della
globalizzazione a meno di
non prendere sul serio le lezioni della storia. Una sana
globalizzazione si fonda sul
delicato equilibrio tra l’orizzonte complessivo del mercato globale e le prerogative
degli Stati-nazione. Se si
spinge troppo verso una o
l’altra direzione si ottiene instabilità e perdita di legittimità. Negli ultimi tempi la bilancia s’è spostata troppo verso
le esigenze del mercato globale.
CON CHI
TITO BOERI
Sarà Tito Boeri, responsabile scientifico
del Festival
dell’Economia,
l’interlocutore
di Dani Rodrik, primo appunta-mento per il
Festival dell’Economia
2011.
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l’Adige
23
Gli eventi dello Scoiattolo
a lunedì 30 maggio a domenica 5 giugno, per tutta la durata del Festival
dell’Economia, la seguitissima
trasmissione mattutina di Rai
Radio3 «Prima pagina» sarà trasmessa da Trento. A condurla
dalle 7.15 fino alle 8.40 sarà il direttore dell’Adige Pierangelo Giovanetti, in collegamento dagli
studi Rai di via Perini. Come di
consueto, nella prima parte della trasmissione dalle 7.15 fino
alle 8 sarà dato spazio alla rassegna stampa quotidiana e alla
lettura delle principali notizie
della giornata. Nella seconda
parte, dalle 8 alle 8.40, seguirà
il collegamento in diretta con gli
ascoltatori da tutta Italia per le
domande e gli interventi sui temi di attualità, a cui il direttore
Giovanetti darà risposta. La decisione di Rai Radio3 di trasmettere da Trento proprio nella settimana dell’Economia è finalizzata a dare spazio anche alle notizie che giungono dal Festival,
presentando agli ascoltatori di
PRIMA PAGINA DI RADIO3
IN DIRETTA DAL FESTIVAL
tutta Italia i principali eventi in
corso in città, e i dibattiti di maggior spicco.
Tutti possono intervenire in diretta, telefonando al numero
verde 800 050 333. La trasmissione «Prima Pagina», curata dalla giornalista Paola De Monte, da
molti anni vanta un successo indiscusso fra le trasmissioni radiofoniche, ed ha proprio il suo
punto di forza nell’offrire al pubblico uno spazio civile di confronto. La formula vincente è
proprio questa: mettere a disposizione degli ascoltatori pubblico un luogo in cui non si urla e
non si zittiscono le persone, ma
si cerca di confrontarsi intelligentemente anche sui temi più
difficili e conflittuali senza alzare la voce o rifugiarsi negli slogan. Con la passione delle proprie opinioni ma senza irridere
quelle altrui. Dimostrando che
non è questione soltanto di toni o di linguaggio, ma di cultura, e di volontà di fare un’informazione diversa da quella a cui
purtroppo siamo assuefatti.
Il mantenimento negli anni di un
pubblico affezionato e fedele dimostra che nel nostro paese è
possibile ancora conquistarsi
uno spazio di ascolto importante anche per una rete come Rai
Radio Tre (diretta da Marino Sinibaldi, nella foto), che nei suoi
60 anni di trasmissioni si è imposta come la radio Italiana della cultura e dell’informazione di
alta qualità. Ogni anno sulle frequenze del «Terzo Programma
della Radio Italiana», come fu annunciata agli ascoltatori nel suo
primo collegamento il 1° ottobre 1950, vengono trasmessi
centinaia di concerti musicali
(solo nell’estate scorsa sono stati 250), pomeriggi librari, trasmissioni di scienza e geopolitica, dirette sui festival letterari e culturali.
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T
remonti ha
tagliato poco
o nulla, Berlusconi dovrebbe chiedere a
Galan di dimettersi. E il
premio Nobel,
Paul
Krugman, che invita Obama ad
aumentare le tasse per i ricchi
ed elogia appena può le politiche espansive, è pericoloso.
Alberto Alesina è abituato a parlare chiaro e se queste sono le
premesse, la sua conferenza al
Festival di Trento si preannuncia intrigante. Il professore di
Harvard, numero uno tra quegli
influenti «madmen», come li
chiama il keynesiano Krugman,
sostenitori dell’«austerità espansiva», sembra provarci gusto ad
andare controcorrente ed avventurarsi sulle salite più difficili - forse perché è un alpinista
- sfidando anche il senso comune e la cultura dominante.
Lo ha fatto l’anno scorso con il
libro «L’Italia fatta in casa», scritto con Andrea Ichino (edizioni
Mondadori), presentato al Festival, con cui ha messo in evidenza benefici e soprattutto costi del modello familiare italiano. E si ripete quest’anno promettendo di smentire la convinzione che tagliare la spesa pubblica, soprattutto alla vigilia del
voto, non sia una buona idea se
si vuole essere rieletti.
Lui infatti sostiene il contrario,
alla luce dello studio di 107 episodi di consolidamento fiscale
nei paesi Ocse, dal quale emerge che in molti Paesi - non tutti
- gli elettori ai
quali sono stati chiesti sacrifici hanno premiato i politici
che invece di
fare le cicale
hanno pensato
prima di tutto
a tenere i conti in ordine.
C’è anche l’Italia nell’indagine ma, come
ammette Alesina, da noi è
sempre molto
più complicato capire cosa determina la caduta o la rielezione di una maggioranza di governo.
Professor Alesina, lei ha studiato
Alla frontiera: ALBERTO ALESINA
TAGLIARE LA SPESA
E VINCERE LE ELEZIONI?
SI PUÒ FARE
LUISA MARIA PATRUNO
come le riduzioni anche drastiche
dei deficit pubblici dal ’75 ad oggi in molti Paesi Ocse non abbiano penalizzato sempre i governi
che le hanno attuate. Anzi, spesso
sono stati rieletti. Come è possibile che le misure «lacrime e
sangue» vengano premiate dagli elettori?
Primo, perché
gli elettori sanno che senza
quelle misure
cosiddette lacrime e sangue
(un termine
che non mi
piace) la situazione sarebbe
anche peggiore. Per esempio un
ripudio del debito, crisi finanziaria, tassa patrimoniale, fuga
di capitali. Se i rischi di non far
nulla sono spiegati bene agli
“ I tagli
di Tremonti
sono stati
modesti,
il minimo
necessario ”
26
CHI È
PROFESSORE
AD HARVARD
È Nathaniel Ropes Professor
di Political Economics presso
l’Università di Harvard e direttore del NBER Program in Political Economics. È membro
di numerosi centri di ricerca.
Nel 2006 ha ricevuto il Munich CES Prize in Economics
e nel 2005 la laurea honoris
causa della Normal University di Beijing. Collabora con
«Vox» e «Corriere della Sera».
È autore di numerosi libri, tra
i quali Europe and the Euro
(con F. Giavazzi), University
Chicago Press and NBER
(2010), L’Italia fatta in casa
(con A. Ichino), Mondadori
(2009), La crisi (con F. Giavazzi), Il Saggiatore (2008).
l’Adige
elettori questi ultimi capiscono.
Secondo perché spesso le misure «lacrime e sangue» richiedono sacrifici a gruppi che erano
privilegiati in passato (ad esempio impiegati pubblici con salari cresciuti più che nel settore
privato, categorie superprotette etc.) e possono essere distribuiti senza colpire i meno abbienti.
Ci fa qualche esempio di governi
e Paesi in cui questo è accaduto?
Danimarca e Irlanda negli anni
Ottanta, Canada e Svezia negli
Anni Novanta.
L’Italia è tra i casi studiati? Qual
è stato il comportamento degli
elettori italiani di fronte ai governi fiscalmente rigorosi?
Sì, lo è. Ma lei sa meglio di me
che la politica italiana è imprevedibile. I governi cadono e si
rifanno per motivi che spesso
hanno ben poco a che fare con
l’andamento del deficit.
Pensa che si possa sostenere che
esistano differenze culturali o storiche che rendono ad esempio più
facile per i tedeschi accettare il rigore di Frau Merkel che non per
gli italiani i tagli di Tremonti?
Tremonti non ha fatto grandi tagli. Sono stati modesti. Il minimo necessario per non far cadere l’Italia in un circolo vizioso di crisi finanziaria. Credo che
bisogna smettere di pensare che
noi italiani «siamo diversi» e
quindi non possiamo adottare
politiche fiscali rigorose. O questo atteggiamento cambia o siamo sulla via di Grecia e Portogallo.
L’argomento è attualissimo visto
che il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, è nel mirino dei suoi
colleghi perché sostiene che «non
c’è crescita senza rigore» e il ministro Galan lo ha attaccato dicendo che così fa perdere le elezioni. Insomma, nemmeno la situazione disastrata dei conti pubblici per cui secondo la Banca d’Italia per il pareggio di bilancio entro il 2014 servirà una manovra
correttiva di oltre 35 miliardi basta per convincere la politica a fare scelte sgradite nel breve periodo ma necessarie nel medio e lungo periodo. C’è un modo per fare
accettare decisioni impopolari?
Parlare chiaro agli Italiani, colpire categorie privilegiate e aver
un messaggio coerente. Non si
può un giorno dire che tutto va
ben ed il giorno dopo che ci vuole un altro aggiustamento.
Alla frontiera: «Tagli alla spesa e voto»
L’EVENTO
QUANDO - Appuntamento
per venerdì 3
giugno,
alle
17.30.
DOVE - Alla Sala
Filarmonica.
IL TEMA - Non c’è un automatismo tra i tagli alla spesa pubblica e il rigore di bilancio e la
sconfitta elettorale.
nanza pubblica. Nonostante un
deficit al 10 per cento del Pil,
nel primo trimestre del 2011 la
crescita americana è stata deludente. Che cosa vogliamo, un
deficit al 15 per cento del Pil? È
assolutamente sbagliato credere che in questo momento la
crescita in Italia necessiti più
deficit, come per esempio Mario Monti ha spiegato benissimo sul Corriere il primo maggio.
In Italia la pressione fiscale è già
molto alta e sul lato della spesa è
difficile immaginare dove il ministro Tremonti avrà il coraggio di
tagliare ancora, visto che sono già
stati congelati i contratti del pubblico impiego, le assunzioni, gli
enti locali sono in affanno e non
c’è l’intenzione di fare riforme
strutturali a breve. Secondo lei,
quali strade restano per una
manvora da 35 miliardi? Pensa
che alla fine sarà adottata la patrimoniale?
La patrimoniale sarebbe una dichiarazione di sconfitta gravissima. Dimostra che non siamo
capaci di ridurre la spesa. L’Inghilterra lo sta facendo, la Spa-
gna anche. Perché noi no? O
l’Italia esce da questa rassegnazione del nulla può cambiare o
siamo veramente a terra. E poi
la patrimoniale non servirà: se
non si fermano le dinamiche
della spesa fra 5 anni saremo di
nuovo con un’altra patrimoniale. Della patrimoniale temo le
conseguenze «politico simboliche» ovvero una dichiarazione
di sconfitta contro la spesa pubblica.
Lei ha spesso elogiato la Germania per come ha affrontato la crisi del 2008, sapendo unire rigore
e crescita. L’Eurostat ha annunciato che il debito pubblico tedesco
ha raggiunto nel 2010 i 2.080 miliardi di euro, scavalcando quello italiano, ed è cresciuto in rapporto al Pil dal 73,5% del 2009
all’83,2% del 2010 soprattutto a
causa del salvataggio dei suoi istituti bancari e del contributo per
la crisi dei Pigs. Quale impatto
avrà l’aumento del debito pubblico tedesco sulla crescità della
Germania e sulla politica economica e fiscale dell’Europa?
Il debito pubblico è salito dappertutto. La Germania se lo poteva permettere perché aveva
i bilanci in ordine prima della
crisi. Ora rimetterà i suoi conti
a posto. L’incognita sono le sue
banche, non tanto il debito.
Il premio Nobel Paul Krugman, in
un intervento sul New York Times,
ha sostenuto che Obama dovrebbe aumentare le tasse per ridurre il deficit perché oggi sono più
basse rispetto ad altri Paesi e si
dovrebbe ammettere che i tagli
alle tasse per i più ricchi sono
stati un errore. Non pensa che anche gli americani potrebbero digerire un aumento delle tasse sui
ricchi in questo momento?
Paul Krugman ha torto. Proporrebbe di aumentare la spesa
pubblica anche in Grecia se potesse. Non l’ho mai sentito essere contro una politica espansiva. Il suo messaggio, che purtroppo è ascoltato da molti lettori americani, è dannoso perché fa sottovalutare ai suoi lettori i rischi del debito americano. Paul Krugman è uno dei pochissimi economisti che vorrebbe ancora più stimolo. Sarebbe
bene che anche il pubblico italiano lo capisse che la posizione di Krugman è assolutamente estrema e fuori dalla conventional wisdom.
Il prestito concesso due anni fa
dall’amministrazione Obama per
salvare Chrysler e migliaia di posti di lavoro sembrava un’aberrazione negli Stati Uniti, per l’inaudita «ingerenza» dello Stato, ma
si è visto che è servito e ora la casa automobilistica ha annunciato
di essere pronta a rimborsarlo integralmente. Questo stile più «europeo» introdotto da Obama non
potrebbe fare bene all’economia
e alla società americana?
Il fatto che i prestiti siano restituiti non è una prova che fosse
la decisione giusta. Se le case
automobilistiche si fossero rimaneggiate e ridotte di dimensioni le risorse liberate sarebbero potute essere impiegate in
modo più produttivo in altri settori. La distruzione creativa.
[email protected]
R1051407
C’è stata troppa confusione nelle dichiarazioni del governo negli ultimi due anni sullo stato
dell’economia italiana. La dichiarazione del ministro Galan
è grave. Il premier avrebbe dovuto esigere le sue dimissioni.
Paesi «salvati» come la Grecia,
l’Irlanda e il Portogallo hanno fatto piani di risanamento pesanti,
di forti sacrifici interni, ma i mercati non sembrano averli premiati visto l’aumento degli spread. Il
rigore non basta?
I mercati si sono svegliati tardi.
Non avrebbero dovuto prestare tutti quei soldi a paesi come
Grecia e Portogallo. Ora sono
preoccupati (a ragione) di possibili ripudi o ristrutturazioni.
Lei presterebbe a una persona
che per anni e anni ha falsificato i suoi bilanci come faceva la
Grecia? Il problema non è che
oggi i mercati chiedono un premio al rischio, il problema è che
non lo chiedevano prima, e si
sono svegliati all’improvviso ed
hanno reagito tutti insieme come un’orda.
Va bene cercare di rimettere a posto i conti. Ma nel breve periodo
l’austerità non rischia di frenare
troppo la ripresa della crescita?
La crescita è minacciata molto
di più da crisi fiscali, ripudi, fallimenti di banche: tutte cose
che succederebbero senza aggiustamenti fiscali. L’incertezza sul futuro fiscale preoccupa
gli operatori che non investono. Negli Stati Uniti le imprese
sono piene di profitti ma non investono in parte perché sono
preoccupate dallo stato della fi-
PER UNA MAGGIORE
SICUREZZA.
PER COMUNICARE
MEGLIO.
IL TEMPO
È PREZIOSO.
l’Adige
27
N
on c’è libertà senza legalità. Senza quel «rispetto delle
regole,
uguali per
tutti, che
costituiscono la piattaforma assolutamente imprescindibile sulla quale si
costruisce quel percorso in diritti e uguaglianza che rendono
i cittadini effettivamente persone libere». Questa è la legalità.
La base della libertà, spiega Gian
Carlo Caselli, Procuratore capo
della Repubblica di Torino da
tre anni, dopo una carriera lunga quarant’anni che l’ha visto
occuparsi di tante pagine buie
d’Italia.
Ma lavorare per difenderla, per
garantirla, è sempre più complicato. Una corsa ricca di ostacoli, che spesso sono fuori dallo
Stato, ma - mette in guardia il
magistrato - «a volte purtroppo
anche al suo interno. Basta guardare a questa epocale riforma
della giustizia, che è più che altro una riforma dei magistrati.
L’obiettivo vero è togliere loro
strumenti, ridurre il loro spazio
di intervento, mortificare la loro autonomia e indipendenza,
perché i potenti possano impunemente violare la legge. Non
sono affermazioni a vanvera. Si
basano sul pacchetto che costituisce questa riforma. Quando
si dice che l’azione penale dev’essere esercitata in base ai criteri stabiliti da una legge ordinaria, si dice che è la maggio-
Testimoni del tempo: GIAN CARLO CASELLI
DI FRONTE ALLE MAFIE
NON ESISTONO
DELLE «ISOLE FELICI»
LEONARDO PONTALTI
ranza politica del momento quale che sia il suo colore, non
è certo questo il problema - ha
il potere di stabilire chi e che cosa indagare e chi e che cosa lasciare impunito. Ovvero, la fine
dell’uguaglianza dei cittadini di
fronte alla legge. La fine di ogni
possibilità di una giustizia giusta».
Sono riflessioni amare. Eccessiva-
mente pessimistiche?
Il nostro è ancora un paese - e
dico purtroppo, perché io amo
il nostro paese, e il purtroppo è
sincero. Assolutamente sincero
- ancora caratterizzato da corruzione, collusione con la mafia, mala amministrazione, malasanità, tutte faccende di malaffare nelle quali spesso e volentieri sono coinvolti anche
pezzi - senza generalizzare, ma
pezzi, anche consistenti - della
politica. Se fosse questa politica a poter condizionare l’attività della magistratura, sarebbe
come consegnare il pollaio alla
volpe. Veramente assurdo, micidiale.
E le minacce manifeste, dichiaratamente al di fuori dello Stato?
Quelle cioè portate dall’illegalità
diffusa, dalla criminalità organizzata? Dovrebbero rappresentare
limiti alla libertà, eppure in vaste
zone d’Italia, c’è chi - paradossalmente - per godere di libertà, servizi, tutele, si affida proprio alla
criminalità.
È stato detto, ed è vero, che la
legalità è il potere dei senza potere. Un motivo in più per combattere le mafie, perché esse si
nutrono, ed ingrassano, anche
grazie al mancato soddisfacimento di diritti fondamentali dei
cittadini. Che i mafiosi presenti
sul territorio trasformano in favori, elargiti in cambio di complicità e appoggio».
Complicità e appoggio che la criminalità cerca, e trova - ci dicono
le cronache, anche recentissime non solo nelle zone per così dire
d’origine. Anche in Trentino gli alL1052102
28
l’Adige
Testimoni del tempo: «Quale libertà senza legalità?»
larmi sul rischio infiltrazioni sono
sempre più frequenti.
Premetto che non conosco sufficientemente la situazione del
Trentino, per poter fornire risposte precise. Ma anche prescindendo da ogni realtà specifica non si può non sottolineare come sia illusorio pensare
che possa esistere un Italia una
qualche isola felice. L’espansività oltre i tradizionali confini è
nel dna delle mafie, quel dna che
si chiama riciclaggio, per poter
effettivamente godere dei proventi frutto della loro attività illecita. E dove si va a riciclare?
Dove di denaro ne circola, e
quello «sporco» può meglio mimetizzarsi. Le zone ricche sono
dunque per la criminalità organizzata un po’ come il miele per
le api, e stupirsi della presenza
delle mafie anche nel Centro e
al Nord è un po’ come stupirsi
che la pioggia bagni. Non ha senso.
Qui a Trento, al Festival, incontrerà tanti giovani. Quali sono i consigli che da difensore della legalità si sente di dare, a tutti loro e ai
futuri magistrati?
Credo innanzitutto che dai giovani si debba soprattutto apprendere, anche perché sono
convinto tra loro siano tanti una minoranza forse, ma quella che conta di più - quelli che
non accettano di lasciarsi «drogare» dalle facili suggestioni televisive. E penso che con i nostri giovani sia d’importanza decisiva riflettere sulla nostra Costituzione democratica, che
scolpisce principi, valori e dirit-
ti che hanno consentito - nei decenni passati e tuttt’ora garantisce - quella crescita in diritti
ed uguaglianza che essa stessa
non si limita ad affermare, ma a
tutelare con efficaci strumenti.
Un esempio per tutti: la Carta
prevede il diritto alla salute dei
lavoratori, alla sicurezza sui posti di lavoro. E una magistratura autonoma e indipendente principale strumento di presidio dei diritti previsto dalla Costituzione - può garantirli in maniera estremamente significativa, come testimoniano i processi Thyssen e Eternit.
Una magistratura ed un sistema
giustizia previste come garanzia,
ma che è spesso sotto attacco da
parte della politica, e criticata dai
cittadini per la sua lentezza, ed
inefficienza.
La giustizia in Italia non è un servizio, ma un disservizio. I processi non finiscono mai e non si
fa niente di niente per migliorare la situazione. Eppure basterebbero alcune riforme, possibili a costo zero, come l’abolizione di un grado d’appello. Basterebbe volerle fare. Del resto,
tuttavia se la giustizia non funziona, i cittadini saranno inevitabilmente sempre più arrabbiati e non si mobiliteranno mai
in difesa dell’indipendenza della magistratura qualora fosse
aggredita. Ed è quello che sta
accadendo, con questa sedicente riforma che ha in realtà il vero obiettivo di umiliare i magistrati, tagliare loro le unghie,
perché certi potenti non siano
chiamati a rispondere delle lo-
L’EVENTO
DOVE - Il procuratore capo Caselli parlerà al
Teatro Sociale,
a Trento.
QUANDO - L’incontro è fissato
per le 21 di venerdì 3 giugno.
IL TEMA - Nel nostro paese ci
sentiamo liberi. Ma questa libertà si scontra – in ampie zone dell’Italia – con l’illegalità
diffusa: non solo quella delle
associazioni a delinquere ma
anche quella meno visibile
ma non per questo meno pericolosa della corruzione, del
clientelismo, del lavoro nero.
ro eventuali azioni contro la legge, come tutti gli altri cittadini.
Per questo ha parlato in passato
di «inefficienza efficiente»?
Il sistema è in sé inefficiente. Ma
funzionale ad un’aggressione all’indipendenza della magistratura. Tira la volata ad ogni attacco. Eppure, paradossalmente secondo le statistiche elaborate dalla Commissione europea per la giustizia (Cepej), confrontando la situazione dei paesi del Consiglio d’Europa siamo
tra i primi come produttività.
Ma la realtà è che siamo al disastro, tra procedure che sono
percorsi ad ostacoli e magistrati distribuiti sul territorio secondo leggi vecchie di un secolo. È
qui che bisogna intervenire, al-
trimenti stupirsi della situazione è come provare meraviglia
per la criminalità che si espande: è come stupirsi che la pioggia bagni.
Questo per le critiche da parte dei
cittadini. E da parte della politica?
Il nostro paese è fuori dagli standard di tutte le democrazie occidentali in quanto ad aggressioni, pressioni, bastonate mediatiche ai magistrati quando
hanno la sfortuna di imbattersi
in certi interessi che rifiutano
di sottostare ai principi di legalità. Ovunque altrove ci si siede
a processo, sempre rispettando la giurisdizione e accettandola come cardine delle regole
di convivenza della democrazia. Un esempio per tutti: Bill
Clinton, allora l’uomo più potente del mondo, ha dovuto subire sei, sette processi. In uno
di questi è stato costretto a fornire un campione organico di sé
perché il suo dna potesse essere confrontato con la macchia
che una diligente, scrupolosa
ragazzina aveva conservato su
un suo abito. Una umiliazione,
per lui, costretto a causa di un
processo ad inghiottire quantità industriali di bile. Eppure mai
nessuno gli ha sentito dire mai
soltanto mezza parola contro i
suoi giudici, perché in un paese civile la giurisdizione si accetta, non si combatte, e tutti i
cittadini sono uguali di fronte
alla legge. Tutti, senza eccezione. E il consenso elettorale, per
quanto forte, non può rappresentare un’eccezione a questo
principio di legalità.
L1051802
l’Adige
29
Visioni: «Immigrazione e confini»
L
a recente crisi
tra Francia e Italia, a causa degli
immigrati tunisini approdati con
l’intenzione di
raggiungere i parenti in Francia
ha sollevato un
vasto dibattito sull’accordo di
Schengen. C’è davvero bisogno,
professor Hatton, di cambiare le
regole europee sull’immigrazione e le politiche sull’asilo politico?
È una questione molto difficile. Uno dei nodi cruciali in ogni
situazione del genere è se i migranti debbano essere trattati
come richiedenti asilo. Se così
fosse, dovrebbero essere applicate le procedure per le richieste d’asilo. Però i tunisini non
sembrano poter rivendicare un
forte diritto all’asilo politico,
visto che il loro Paese è stato
recentemente liberato dall’oppressione, almeno in linea di
principio. Se non sono rifugiati, lo status di questi migranti
è meno chiaro. Mi risulta che il
governo italiano li ha dotati di
permessi temporanei di residenza e chiaramente, in situazioni come queste c’è il rischio
che i migranti si muovano attraverso i confini nazionali. E
dato che ci sono circostanze in
cui un Paese come la Francia
può chiudere le sue frontiere,
tali azioni sembrano minare lo
spirito di Schengen. Nella mia
visione, è importante non dare
incentivi a un Paese affinché
ammetta immigrati che non
vorrebbe che rimanessero, ma
TIMOTHY J. HATTON
PER L’ITALIA LAMPEDUSA
NON PUÒ ESSERE UN ALIBI
PAOLO GHEZZI
che si aspetta che migrino ulteriormente. E dunque, per preservare l’integrità di Schengen
penso che l’unica reale possibilità sia quella di adottare misure per tenere i migranti nel
Paese in cui sono arrivati finché siano stati regolarizzati o i
loro visti siano scaduti e vengano assistiti nel ritorno.
Il ministro Maroni ha accusato
l’Unione europea di essere «indifferente» ai problemi dell’Italia con
i suoi confini sud-mediterranei:
ha ragione quando dice che l’Europa perde il suo stesso significato se è muta e inefficace in materia di immigrazione?
Se pensiamo ai rifugiati, il problema sarebbe coperto dalla direttiva di protezione temporanea che l’Ue ha emesso nel pe-
riodo d’emergenza conseguente alla crisi del Kosovo. Essa garantisce una condivisione del
carico attraverso un «bilanciamento di sforzi», quando un
Paese si trova ad affrontare un
afflusso immediato che non riesce a gestire. La direttiva è nata in seguito al massiccio ingresso di kosovari in Macedonia. Ma l’Italia non è la Macedonia, e la proporzione dell’immigrazione è minore. È una bella
questione se la direttiva di protezione temporanea debba essere invocata: la Commissione
Ue è stata finora riluttante ad
utilizzarla liberamente, probabilmente per due ragioni. La prima è che, mentre le strutture
di Lampedusa possono essere
state travolte, l’Italia ha sufficiente capacità sulla sua terraferma per gestire un simile volume di rifugiati. Ma, più importante, in assenza di una formula di condivisione del carico, è
che è difficile costruire un consenso sulla base di contributi
volontari. Abbiamo bisogno di
un complesso più formale di
criteri di condivisione, che però non può essere elaborato a
tempi brevi.
In generale, le organizzazioni internazionali hanno reale influenza sulle scelte politiche dei singoli Stati che, essendo più a ridosso
dei problemi, tendono a dare risposte egoistiche o autodifensive?
C’è una tensione crescente tra
le politiche dei singoli Stati verso i rifugiati e quanti fuggono
dai conflitti, e quelle che sono
state adottate a livello comuni-
EUROFER snc Zona Ind.le 38082 CIMEGO (TN) www.eurofer.it [email protected]
30
l’Adige
R1052021
ATTESTATO DI DENUNCIA DELL’ATTIVITÀ DI CENTRO DI TRASFORMAZIONE N. 081/09
Visioni: «Immigrazione e confini»
Timothy J. Hatton insegna in
Inghilterra e Australia: parla alle
11 del 5 giugno, Palazzo Geremia
la stessa cosa accadrebbe se la
situazione egiziana degenerasse in anarchia. Ma anche se
qualche forma di ordine fosse
restaurato in questi Paesi, il
contrasto alla fuga attraverso il
Mediterraneo non sarebbe certo la priorità numero 1 per i loro governi. In questo caso vedremmo probabilmente aumentare la pressione sulle coste meridionali dell’Europa da parte
di coloro che fuggono da qualche altro luogo dell’Africa. Una
lezione dei primi anni Novanta
è stata la caduta della cortina
di ferro che ha portato inizialmente a un’inondazione di cittadini dell’Est europeo, ma ha
creato anche un corridoio fin
dentro l’Europa occidentale per
i migranti dall’Asia e da altri
continenti. Gente che è stata
spesso aiutata da trafficanti di
esseri umani, e una volta installate queste reti, è difficile smantellarle.
Quant’è problematico tracciare
una chiara distinzione tra «migranti economici» e persone che
hanno il diritto di essere riconosciute meritevoli di asilo?
La distinzione deriva dalle norme internazionali. La convenzione dei rifugiati li definisce come persone che hanno «un fondato timore di persecuzione».
Questo concetto include cause
determinate da persecuzioni
politiche o religiose ma non fenomeni di fuga da violenza generalizzata (a meno che i migranti non siano perseguitati
come individui). Ma dato che la
definizione è in qualche misura soggettiva, resta aperta a differenti interpretazioni. Come
hanno riconosciuto sia l’Unhcr
(alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati) sia la
maggioranza dei governi europei, ciò a cui abbiamo assistito
è una «migrazione mista». Coloro che cercano rifugio spesso
lo fanno per una varietà di motivi: normalmente vengono da
Paesi poveri in cui gli abusi nel
campo dei diritti civili sono endemici, ma i casi di persecuzione individuali sono difficili da
provare. Ciò nonostante, i governi hanno migliorato le loro
capacità nel gestire le domande di asilo, e così sono state sviluppate delle pratiche operative, anche se non sempre sono
capaci di distinguere le situa-
zioni nel modo auspicabile.
L’Europa può imparare qualcosa
dalle norme e dalle esperienze di
Stati Uniti e Australia per quanto
riguarda l’immigrazione?
Il caso che conosco meglio è
quello dell’Australia, che nel
2001 ha approvato misure che
hanno escluso le isole esterne
(Christmas Island e Ashmore
Reef) dalle aree destinate alla
richiesta di asilo, hanno spedito alcuni richiedenti verso le
isole del Pacifico (specificatamente Nauru) e hanno introdotto un severo regime detentivo
per i boatpeople. Un sistema che
è stato battezzato «soluzione
del Pacifico», mentre l’Australia ha sviluppato anche una cooperazione con l’Indonesia per
provare a impedire la partenza
delle barche. Per sette anni gli
arrivi si sono bloccati, ma di recente sono ripresi. Qui c’è un
ovvio parallelo con Lampedusa. Ma si potrebbe ideare
un’analoga «soluzione mediterranea»? Penso di no, per tre ragioni: 1) non c’è posto nel Mediterraneo fuori dall’Ue per parcheggiare i boatpeople; 2) i numeri sono molto più grandi di
quelli delle acque australiane;
3) una simile politica sarebbe
incoerente con le attuali norme
in vigore nell’Unione europea.
Cinque anni fa, professor Hatton,
lei ha scritto un libro sulla migrazione globale e l’economia mondiale. Qualcosa da aggiungere?
I trend a lungo termine restano
gli stessi. Sto scrivendo invece
un altro libro più breve, proprio
su rifugiati e richiedenti asilo.
G1052044
tario attraverso le tre tappe del
processo di armonizzazione
(Tampere, l’Aja e Stoccolma). I
cittadini della maggior parte dei
Paesi europei sono ben disposti a garantire un porto sicuro
ai migranti che ne hanno bisogno. Ma i singoli Paesi sono incentivati ad assicurare che quel
porto sicuro non è sul loro territorio. Non sorprende che i
Paesi chiamati ad affrontare il
più grande volume di domande
di asilo abbiano adottato tendenzialmente le politiche più
dure. L’effetto dell’armonizzazione è livellare queste differenze, con il risultato che i carichi
dei rifugiati diventano più diseguali, anziché meno. E così, abbiamo bisogno di un meccanismo per raggiungere una distribuzione più equa di rifugiati.
L’Ufficio europeo di sostegno
per l’asilo, istituito a Malta, non
garantisce questa equa redistribuzione, dato che è un’agenzia
di coordinamento e consultazione priva di reali poteri.
Che cosa pensa della crisi libica:
è un’emergenza locale o è parte
di un «movimento» destinato a
mettere sottosopra l’Africa settentrionale e a causare nuove ondate di emigrazione?
Io penso che il flusso di boatpeople non si interromperà molto presto. La vera questione è
se si trasformerà in un esodo di
scala molto maggiore di quella
attuale. Chiaramente se lo stallo armato in Libia si trasformasse in una vera e propria guerra
civile, allora ci potremmo aspettare dei flussi molto maggiori;
l’Adige
31
C
on un lungo e
appassionato lavoro di
ricerca è arrivato a sbattere in faccia all’Italia verità
scomode. Di
più: nascoste. Nascoste fino a quando lui
stesso le ha fatte pubblicare,
ottenendo un vasto favore di
pubblico ma anche molte critiche, a tratti pure feroci. Come
quella volta che ingaggiò uno
scontro furioso (e vinto) addirittura con Indro Montanelli.
Tutto questo rappresenta Angelo Del Boca.
Superati da poco gli 86 anni,
piemontese di Novara, ex partigiano, Del Boca è il massimo
studioso del colonialismo italiano. Fu il primo a scrivere (e
dimostrare) delle atrocità compiute dai militari italiani durante la conquista della Libia e dell’Etiopia: pagine di cui il nostro
Paese non può andare orgoglioso, ma alle quali Angelo Del Boca ha dedicato buona parte della sua carriera di giornalista, di
professore universitario e di
storico. Ancora oggi attivissimo, i media nazionali in questi
giorni lo interpellano con regolarità: del resto, Del Boca è uno
dei maggiori viaggiatori nei paesi nordafricani di recente attraversati dalle rivolte popolari,
anche se la maggiore curiosità
si sofferma spesso sui rapporti e sulle conoscenze nei confronti del colonnello Gheddafi.
In un’intervista è stato lo stesso Del Boca a rivelare che il rais
ha letto i libri
dello scrittore,
soprattutto
quelli dedicati
agli italiani in
Libia: la «confidenza» arrivò
al termine di
una lunga intervista, realizzata naturalmente in una
tenda di Gheddafi. Del Boca
parla con trasporto di quell’esperienza,
anche perché il colonnello non
si risparmiò: «Fu un momento
straordinario», ripete ora Del
Boca.
Prima l’Algeria, poi in serie la
32
Focus: ANGELO DEL BOCA
L’AFRICA IN RIVOLTA
MA L’ITALIA SBAGLIA
A FARE LA GUERRA
PAOLO MICHELETTO
Tunisia, l’Egitto e quindi la Libia. Insomma, gli ultimi mesi
hanno visto l’infiammarsi della rivolta araba. Lei è rimasto
sorpreso o si aspettava una tale sollevazione di popolo
in questi paesi?
No, la rivolta
non era prevista. Tutti sono
rimasti sorpresi, alcuni
addirittura imbarazzati come nel caso
dei francesi,
che addirittura avevano in
viaggio il ministro degli Esteri in Algeria proprio quando è
scoppiata la rivolta. Certo, si
tratta di rivolte molto diverse:
in Algeria si è verificata una ribellione molto dura per alcuni
CHI È
LO STORICO
DEL COLONIALISMO
Narratore, saggista, storico
del colonialismo italiano, direttore di «I sentieri della ricerca», è stato inviato speciale in Africa e in Medio Oriente. Ha pubblicato numerosi libri sulle guerre di aggressione del fascismo di Mussolini,
in Libia e in Africa Orientale e
romanzi. Tra le opere: Italiani, brava gente?, Neri Pozza
(2005), La scelta, Neri Pozza
(2006), A un passo dalla forca, Baldini Castoldi Dalai
(2007), Il mio Novecento, Neri Pozza (2008), La guerra in
Etiopia. L’ultima impresa del
colonialismo,
Longanesi
(2010), Gheddafi, Laterza
(2010).
l’Adige
giorni ma poi i governanti sono riusciti a controllare il movimento e a padroneggiarlo. Ma
quanto è accaduto in Tunisia e
in Egitto è stato sbalorditivo:
nessuno si aspettava di vedere quelle immagini della gente
scesa in piazza contro Mubarak, anche perché ripeto che
non c’erano stati molti segnali
che potessero anticipare tali fenomeni.
E qual è il bilancio di questi
movimenti, secondo lei che
l’Africa l’ha studiata a lungo?
A distanza di qualche mese direi che sono rimaste tante belle promesse: la promessa di elezioni libere, la promessa di cambiare il governo e altro. Ahimè,
si deve dire che l’esercito ha
controllato e catturato la sommossa: finora il godimento maggiore l’hanno avuto i generali.
Quindi dobbiamo ripensare
l’idea di una sommossa del tutto spontanea, almeno in Egitto.
Cosa si aspetta per l’immediato futuro? Si può ipotizzare un
lento ma progressivo avvicinamento dei paesi nordafricani all’Europa, dal punto di vista dei diritti umani e del progresso economico e sociale?
No, non credo che ci sarà un
cambiamento radicale. Soprattutto in Marocco e in Algeria, i
governanti spaventati da questo ciclone che ha invaso il
Nord Africa si sono affrettati a
fare promesse, che non so se
potranno essere mantenute. In
Egitto invece si va verso le elezioni e sto a guardare, vedremo chi vincerà e chi andrà al
potere: io ho il sospetto che
l’esercito avrà lo stesso valore
di prima e non penso che gli
Stati Uniti abbandoneranno lo
storico alleato militare. Ancora diversa la situazione in Tunisia, dove sono già stati cambiati tre governi senza arrivare a qualche risultato. Anche in
questo caso a luglio ci dovrebbero essere le elezioni, che però potrebbero essere rinviate.
Certo, politicamente è stato
compiuto qualche passo in
avanti, non fosse altro per il fatto che non ci sono più i dittatori al governo, ma non è cambiato molto dal punto di vista
del benessere generale. Sono
ancora tutti molto poveri, lo vediamo dai barconi che arrivano ogni giorno nel nostro paese.
Focus: «La rivolta araba»
L’EVENTO
Immagino che la rivolta contro Gheddafi l’abbia sorpresa
ancora più delle altre. Del resto, la Libia ha una situazione
unica rispetto agli altri paesi
mediterranei dell’Africa e poi
il colonnello sembrava saldo
al potere. In quarant’anni era
sempre stato in grado di dominare la scena, e pensare che
le situazioni pericolose per lui
non sono mancate. Quindi, cosa vuole dire della ribellione
contro Gheddafi?
Quella mi ha sorpreso particolarmente. Vede, in Tunisia ma
anche in Egitto e Tunisia sono
state le rivolte del pane, della
miseria, della fame, della mancanza di lavoro. Insomma, abbiamo visto sulle nostre coste
come arrivano... Ma in Libia la
situazione è ben diversa: si tratta di un paese dove il reddito
medio pro capite è di 15-16 mila euro, quindi molto alto. E poi
non c’erano state negli ultimi
tempi manifestazioni contro il
governo, anzi non si erano proprio mai verificate. Quindi ha
colpito che almeno una parte
della Libia, la Cirenaica, si sia
ribellata e abbia cacciato i rappresentanti di Gheddafi e in un
certo senso abbia creato una
nuova repubblica, con un comitato provvisorio che però oggi ha ricevuto il riconoscimento anche da parte dell’Italia e
quindi è qualcosa di serio.
Lei ha studiato a fondo Gheddafi. Anzi, l’ha conosciuto personalmente. E il suo giudizio
è ben diverso da quello che
oggi va per la maggiore, in Occidente.
Intendiamo, il personaggio è
certamente poliedrico, con i
suoi lati positivi e negativi. Ho
scritto la sua biografia ed è vero che l’ho conosciuto bene:
sono stato nella sua tenda, l’ultima volta per due ore e un
quarto. Ho potuto valutarne la
sua cultura, le cognizioni e le
sua capacità. Alla luce dei miei
elementi di conoscenza è chiaro che non mi associo né a coloro che dicono che il personaggio è un pericoloso criminale e quindi chiudono la partita nei suoi confronti, né a chi
parla di guerra giusta contro il
Colonnello. Si tratta di una
guerra di dubbie verità, altro
che guerra giusta, e quindi sono molto cauto nel parlare di
un conflitto che andava soste-
DOVE - Al Castello del Buonconsiglio.
QUANDO - Appuntamento alle 17,30.
IL TEMA - La
grande rivolta
araba: la prima metà del 2011
è stata segnata da sollevamenti di massa in numerosi
paesi arabi, tutti accomunati
dalla richiesta di maggiore
democrazia e un minor peso
delle oligarchie e più meritocrazia nella selezione della
classe dirigente.
nuto e intrapreso a tutti i costi.
Come giudica l’atteggiamento
tenuto da Silvio Berlusconi,
che ha più volte incontrato il
rais?
Partiamo dall’accordo di Bengasi, firmato nel 2008. Si tratta
di un’intesa giusta dal punto di
vista storico, perché rimediava ad un torto molto grave fatto dall’Italia a tutta la Libia.
L’Italia ha dominato il paese per
più di 30 anni, è stata protagonista di violenze che hanno
portato a centomila morti, un
numero incredibile se si pensa
che allora la Libia di abitanti
ne aveva ottocentomila. Quella dell’Italia è stata una guerra
di conquista e di riconquista,
che ha visto anche la creazione di campi di concentramento dove noi abbiamo portato
centomila persone, delle quali quarantamila sono morte a
causa degli stenti subiti. Peraltro ricordo che si arrivò a quell’accordo non solo per l’intervento di Berlusconi, ma anche
per iniziativa dei governi precedenti, ad iniziare da quelli
guidati da Dini e D’Alema. Di
fatto il centrosinistra pose le
basi per quella firma.
Quindi l’Italia doveva saldare
il suo debito.
Vero, ma quell’accordo privilegia solo la parte commerciale
dei rapporti tra l’Italia e la Libia. Però la parte storica è stata lasciata completamente al
buio e dal punto di vista politico Berlusconi doveva usare
una maggiore cautela: si sapeva anche nel 2008 che Gheddafi era un dittatore, che non rispettava i diritti umani, non
c’era bisogno di attendere la rivolta. Io l’avevo anche sugge-
rito in questi tempi, ma ora
quell’accordo lo abbiamo, anche se leggo della volontà dell’Italia di annullare un’intesa
che però non possiamo cancellare da soli, visto che è stata
firmata da due parti. In questo
momento stiamo facendo la
guerra (perché la facciamo in
maniera assoluta, con basi militari e aerei che vanno a bombardare) ad un paese con il
quale siamo legati da un accordo di pace e cooperazione. Mi
sembra una contraddizione interessante. In questo modo non
possiamo che essere accusati
di neo-colonialismo: torniamo
indietro di 100 anni, quando invademmo la Libia dopo aver
mandato l’ultimatum al governo di Ankara.
Personalmente cosa prova
quando vede le immagini
drammatiche di decine di profughi e immigrati mentre cercano di raggiungere le coste
italiane?
Provo una grande tristezza. Io
quella gente la conosco bene,
pensi che ho iniziato a viaggiare in Medio Oriente e in Africa
negli anni Cinquanta e da allora non ho mai smesso. Conosco bene la loro povertà ma anche la loro fortissima ansia di
cambiare le cose, di migliorare la condizione generale di ciascuno, di avere una vita diversa. È fuori di dubbio che creano delle difficoltà ma sembra
che nessuno abbia presente il
fatto che l’Africa si sta allargando in maniera incredibile. Stiamo parlando di 800 milioni di
persone, che però entro la fine
del secolo diventeranno due
miliardi, vale a dire come la popolazione della Cina e dell’In-
l’Adige
dia messe insieme. Per forza
dovremo aspettarci delle invasioni, che poi avvengano in maniera normale o più violenta lo
vedremo nei prossimi anni.
Su Gheddafi però mi lasci dire
un’altra cosa.
Prego.
Per settimane non si sono più
avute notizie sul suo conto. Io
però gli ho fatto mandare un
messaggio di condoglianze per
la morte del figlio e dei nipotini. L’ho fatto tramite il vescovo di Tripoli, monsignor Martinelli, che è un caro amico ed
è stato molto gentile nel portare il messaggio a lui direttamente. Mi sono sentito in dovere di
assumere questa iniziativa perché prima di tutto Gheddafi è
un padre e un essere umano e
noi dobbiamo trattarlo come
tale e non come una bestia, come invece in molti hanno tentato di fare in questi ultimi tempi.
Al Festival dell’Economia di
Trento il suo intervento verrà ascoltato anche da molti giovani. Lei che ha scritto 55 libri, cosa si sente di dire ad un
giovane laureato che vuole fare della ricerca storica la propria professione?
Il mestiere dello storico e quello del giornalista sono strettamente intrecciati. Sotto molti
aspetti il metodo di lavoro da
seguire è simile. Si tratta di mestieri che esigono una grande
dedizione, pensi che io a 86 anni lavoro ancora 7-8 ore al giorno. Faccio lavoro di raccolta di
documenti e materiale vario,
ormai ho un archivio smisurato con migliaia di ritagli che mi
risultano sempre utilissimi. A
chi vuol fare il giornalista dico
che si tratta di una vita dura
ma che può dare grandissime
soddisfazioni, e questo è il
compenso migliore per chi lavora duramente.
Lei si sente più giornalista o
scrittore?
L’uno e l’altro. Mi è sempre piaciuto fare il giornalista, perché
la notizia è importante darla
per primi e meglio degli altri,
ma ormai il mio lavoro giornaliero è quello dello storico, non
fosse altro perché dei miei 55
libri, almeno 40 sono a sfondo
storico.
Arrivederci a Trento, allora.
Certo, vediamoci a Trento.
[email protected]
33
Il Festival on line
arà più che mai internet il
grande protagonista della
sesta edizione del Festival
dell’Economia.
La quintessenza della new economy è rappresentata dalla
multimedialità: non si potevano, dunque, ignorare fenomeni come quelli rappresentati,
per esempio, dai social network e del lavoro a distanza.
«Negli incontri – assicura il direttore scientifico del Festival,
Tito Boeri – ci sarà sempre un
riferimento all’online. Le persone che continuano ad ignorare le sue potenzialità, enormi, commettono un grave errore. Non essere in linea vuol
dire perdere senza giocare».
Internet ha rivoluzionato non
solo il mondo delle aziende,
ma anche quello della comunicazione. La possibilità di immettere subito in circuito notizie, filmati, contributi audio
significa permettere a coloro
che non potranno assistere fisicamente ai dibattiti di segui-
LO SCOIATTOLO NELLA RETE
re comunque al meglio la manifestazione. Come già successo in passato, www.ladige.it
dedicherà molto spazio agli
eventi festivalieri.
Il materiale che, in real time,
uscirà sul nostro portale avrà
un’ottima visibilità. Nel 2010
la vetrina virtuale dell’Adige è
stata vista da oltre 4 milioni e
mezzo di internauti, per la precisione 4.654.000. Nei primi 5
mesi del 2011 – rispetto al medesimo periodo di un anno fa
– i contatti hanno subìto un’ulteriore impennata. In forte crescita, inoltre, gli accessi provenienti dall’estero. Nel corso
del Festival, parte della redazione dell’Adige online si tra-
sferirà, insieme ai giornalisti e
ai deejay di Radio Dolomiti, in
una struttura allestita in piazza Italia, pieno centro storico
cittadino. In sintonia con la filosofia che sta alla base del
successo di www.ladige.it si farà parlare la gente. I relatori e
la gente comune. All’esterno
delle sale e nelle zone limitrofe si darà voce al popolo dello
Scoiattolo.
La voce e l’immagine, in realtà, poiché si farà ampio ricorso alla web-tv. La televisione
marchiata l’Adige nell’edizione 2010 è riuscita ad assicurarsi le interviste – decine di migliaia i clic da esse ricevuti - a
due big del giornalismo italiano: Milena Gabanelli (Report)
e Beppe Severgnini (Corriere
della Sera).
L’iniziativa è piaciuta. Spazio,
poi, ai forum, ai blog dei cronisti e degli editorialisti dell’Adige, alle gallerie fotografiche tematiche, agli angoli delle curiosità.
G1052009
S
Seguite il Festival su www.ladige.it
l’Adige
35
C
Dialoghi: SUSANNA CAMUSSO
IL LAVORO TORNA
AL CENTRO
DELLA POLITICA
preso il posto nel dibattito pubblico che gli compete? E l’Italia
dei contratti separati, della disoccupazione giovanile, della
precarietà, fa eccezione o no?
A queste domande risponde Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, che interviene al Festival domenica 5 giugno (Castello del Buonconsiglio,
ore 11, con Pietro Garibaldi).
Segretaria Camusso, non passa giorno senza che le autorità cinesi siano chiamate a fronteggiare richieste di migliori
condizioni di lavoro, negli Usa
i dati sulla disoccupazione influenzano la borsa, a Cuba si
«privatizzano» i posti di lavoro pubblici. È possibile governare processi tanto diversi a
livello planetario?
La prima riflessione da fare è
che il lavoro è tornato al centro delle politiche di molti governi. In questo c’è l’idea di considerare finita la stagione della
finanza creativa, della ricchezza e delle disuguaglianze come
conseguenza diretta del liberismo e del lavoro progressivamente più povero. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno scelto
di rilanciare l’industria. La Cina si trova a fare i conti con i
temi della protezione sociale e
dell’invecchiamento della popolazione, oltre che con l’aumento dei salari. I paesi del Maghreb fondano la rivoluzione
dei gelsomini sulla rivendicazione di democrazia e lavoro,
anche perché i flussi migratori
non rappresentano più una risposta sufficiente. Insomma, il
tema delle regole della globalizzazione, negato fino a venti,
dieci anni fa, è entrato prepotentemente nella crisi, ma questo non esclude il rischio che
alla fine possa prevalere la
scuola di pensiero di chi, una
volta superata la crisi, voglia ricominciare come se non ci fosse mai stata. La crisi, oltre a rivalutare il lavoro, ha evidenziato anche un altro aspetto: la fine del mito del consumo infinito, come pure la conferma che
le risorse non sono infinite. Servono, allora, regole planetarie,
un’idea di crescita differente,
un nuovo equilibrio tra beni e
welfare, assistenza e cura delle persone, qualità dei servizi.
Se questo è ciò che serve bisogna combattere lo schema che
G1052050
on la crisi
economica
planetaria
degli ultimi
tre anni, il lavoro sembra
tornato al
centro del dibattito pubblico. Un ritorno inatteso, come quello di un lontano cugino
delle cui gesta tutti in famiglia
avevano sentito parlare, ma che
nessuno sapeva bene dove fosse finito. Sì, perché durante il
boom della globalizzazione, all’inizio del nuovo millennio, la
questione lavoro sembrava svanita, risolta, sorpassata.
Ci pensava infatti l’economia e
la crescita impetuosa, a risolvere tutto, creando sempre
nuovi posti di lavoro che avrebbero soppiantato quelli perduti sotto i colpi delle delocalizzazioni. E a chi denunciava le
condizioni spesso incerte, talvolta addirittura misere, di questi impieghi, in Oriente come in
Occidente, la risposta era sempre la stessa: sarà anche precario e malpagato, ma è pur sempre un lavoro.
Poi è arrivato l’11 settembre
dell’economia, il Grande Crollo della finanza nel 2007. Da allora il lavoro è diventato il barometro della ripresa. Così dappertutto – dall’America alla Cina, passando per il Vecchio
Continente e l’Africa - si fanno
i conti con le contraddizioni politiche e sociali di ciascun mercato del lavoro. Ma è proprio
così? Il lavoro si è davvero ri-
l’Adige
37
Dialoghi: «Stato, mercato e protezione sociale»
La vicenda Fiat ha risollevato anche drammaticamente la questione del rapporto tra competitività
delle imprese e diritti sanciti dal
contratto nazionale di lavoro. A
Pomigliano e Mirafiori si sono scelte le deroghe che la Cgil considera inaccettabili. Come recuperare relazioni industriali che sappiano sostenere la crescita dell’Italia?
Le deroghe negli accordi separati Fiat determinano l’esclusione delle organizzazioni sindacali non firmatarie, la limitazione dell’esercizio del diritto
di sciopero, la riduzione del
trattamento di malattie. Misure che fanno pensare più ad un
ritorno alle caserme che a moderni luoghi di lavoro. Le deroghe sono una strada sbagliata
ed ingiusta perché rendono incerto il contratto nazionale di
lavoro e quindi le regole generali del lavoro. La scelta di Con-
findustria, ovvero di Federmeccanica, di inseguire la Fiat dimostra come il lavoro sia visto
esclusivamente come un costo
da abbattere e non come una
risorsa di qualità per l’innovazione. Invece il nostro paese ha
bisogno di una idea di futuro
che si fondi su una crescita del
paese a partire dal lavoro, che
investa su innovazione e ricerca dei prodotti e dei servizi. E
questo richiede qualità del lavoro.
Sono tante le sfide che il sindacato deve affrontare in Italia. La divisione tra Cgil, Cisl e Uil, ha detto il presidente Napolitano, rischia
di essere un ostacolo insormontabile alla definizione di soluzioni
concrete. Riallacciare il dialogo è
un imperativo?
Certo che l’unità sindacale è un
imperativo. Sindacati divisi
vuol dire lavoratori più deboli.
Il richiamo del Presidente della Repubblica, quindi, è importantissimo. Certo oggi le distanze sono molto profonde. Ci dividono una diversa valutazione della fase che stiamo attraversando, così come ci divide
il giudizio sulle politiche del governo, l’esclusione del pluralismo sindacale nella rappresentanza previsto dagli accordi separati Fiat, un’idea diversa della contrattazione, la perdita di
autonomia che consegue l’aver
consegnato al governo e alle
controparti imprenditoriali lo
strumento degli accordi sindacali. Difficile, quindi, pensare
che differenze così si recuperino su basi volontarie. Per que-
sto abbiamo proposto di ripartire dalle regole: elezioni e generalizzazione delle rsu, certificazione della rappresentanza,
partecipazione e decisione dei
lavoratori nelle scelte.
Anche per il sindacato l’orizzonte europeo è sempre più decisivo.
Oggi siete attrezzati a svolgere la
vostra funzione a livello comunitario?
Il sindacato europeo, che ha appena celebrato il suo 12° congresso, soffre della relazione
tra politiche nazionali e politiche sopranazionali, soprattutto in questa stagione dove
l’idea di un’integrazione di Europa sociale e politica appare
sempre più lontana e si rafforza l’Europa della banca centrale e delle sue politiche monetarie. In questa fase, invece, è necessaria una maggiore forza ed
efficacia da parte del sindacato europeo. A partire dalla contestazione del Patto di stabilità dell’Unione europea che, così come è costruito, individua
ancora una volta nel pubblico
la voce di spesa da tagliare e
nel privato l’unica via per la crescita. Quanto al fronte del radicamento sindacale, quella del
sindacato italiano rappresenta
un’esperienza diversa dagli altri sindacati europei ed è tra i
più radicati in Europa. Una differenza sostanziale rispetto invece all’esperienza tedesca anche se in Germania le politiche
di investimento e di contrasto
alla crisi, oltre quelle legate al
mercato del lavoro, vanno guardate con estremo interesse.
G1052024
vuole il lavoro sottoposto al
dumping tra paesi. Per questo
ha importanza la campagna dell’Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO) per un lavoro dignitoso e va superata un’altra pratica fallimentare del liberismo,
quella della precarietà. Va rimesso al centro il lavoro, insieme al suo portato di qualità,
certezza e diritti. Nella società
della conoscenza la sfida non è
più dettata dalla quantità e dai
processi produttivi ma da quali prodotti e dalla loro qualità.
Il che presuppone dare centralità alla ricerca, all’innovazione, alla creatività da coniugare
con formazione e lavoro che sia
esso stesso di qualità. E se il lavoro deve ritornare al centro
anche la redistribuzione del
reddito deve restituirgli quanto in questi anni si è spostato
sulla rendita.
Ed in Italia, qual è lo stato dell’arte del confronto tra Governo, imprenditori e sindacati sull’assetto
da dare al mercato del lavoro? A
quando una seria riforma degli
ammortizzatori sociali per difendere i giovani? Oggi il futuro del
Paese, le nuove generazioni, arranca tra impieghi precari e tutele minime.
In Italia possiamo dire che il governo non conosce la parola
confronto. Qualsiasi critica viene vista come il tentativo di demonizzare l’operato dell’esecutivo. Non è un caso che lo stesso Programma nazionale di riforma non preveda il lavoro e
gli ammortizzatori sociali tra le
«riforme» da fare.
l’Adige
39
T
ra le novità
dell’edizione
di quest’anno del Festival dell’Economia, la più
attesa è costituita senza
dubbio dall’inedito format «Pro e contro».
Il primo dei tre appuntamenti
in programma affronta una questione da sempre molto controversa: bisogna legalizzare e tassare la prostituzione? Ne discuteranno Francesca Bettio, docente presso l’università di Siena, e Oria Gargano, presidente
di «Be free», l’una a favore della legalizzazione, l’altra contraria. Vediamo, nelle due interviste che seguono, come argomentano le rispettive posizioni.
PRO I Francesca Bettio
Pro e contro: FRANCESCA BETTIO, ORIA GARGANO
roibire e reprimere la prostituzione è un errore.
Non solo perché, come
tutti i proibizionismi, è criminogeno, cioè creando un crimine ne alimenta altri. Ma anche
perché nega alla radice la possibilità di autodeterminazione
delle donne.
Una scelta di legalizzazione e
LAURA GALASSI
regolazione della prostituzione come lavoro darebbe dignità e tutela alle prostitute; e, come hanno mostrato varie espe- ha contribuito a fondare no le tasse ed erano influenti,
rienze - dalla Germania all’Olan- (www.ingenere.it)
alcune erano compagne di uoda alla Nuova Zelanda - una vol- Che cosa non le piace del model- mini che hanno fatto la storia.
ta portato il mercato del sesso lo «criminogeno» svedese?
Prostituirsi era uno dei percorsotto la luce del sole è più faci- In Svezia la prostituzione è equi- si che offriva una qualche
le intervenire sugli abusi e lo parata alla violenza dell’uomo emancipazione. Anche gli stusfruttamento
sulla donna e le prostitute ven- di antropologici identificano
Francesca Bettio insegna eco- gono viste solo come vittime, aspetti di emancipazione nelnomia all’Univerguardando in par- l’attività di prostituzione. L’ansità di Siena. Fa
ticolare al feno- tropologa Paola Tabet l’ha stuparte del Comitameno della tratta. diato in Nigeria. La sua tesi printo editoriale di riQuesto può esse- cipale è che esiste un contiviste nazionali e
re un modo di ve- nuum di scambi che coinvolgointernazionali e
dere la prostitu- no servizi sessuali da una parha una lunga
zione ma negare te e contropartite economiche
esperienza di coluna componente dall’altra. Anche il contratto
laborazione
di libera scelta a matrimoniale di tipo tradizioscientifica con la
chi fa questo me- nale può essere collocato in
Commissione Eustiere è contro questo tipo di scambi. In un
ropea. Attualquello che ci dico- passato non troppo remoto, inmente coordina il Francesca Bettio
no le scienze so- fatti, il contratto matrimoniale
Network europeo
ciali come la sto- concedeva al marito veri e proEgge (Network of Experts on ria, l’economia e l’antropolo- pri «diritti sull’intera persona»
della moglie, dal diritto sui fiGender and Employment Is- gia.
sues) composto da 33 esperti Quali insegnamenti danno queste gli, a quello sul lavoro fino alle
decisioni su come lei doveva
nazionali, e lavora nella reda- discipline sulla prostituzione?
zione del portale Ingenere che Le prostitute ad Atene pagava- vestire o comportarsi. La sto-
P
42
PROSTITUZIONE
TRA VIOLENZA
ED EMANCIPAZIONE
l’Adige
ria della prostituzione, d’altro
canto, ha spesso visto il tentativo di circoscrivere lo scambio fra sesso e denaro a «cose»,
i servizi sessuali ai quali il cliente ha diritto dietro compenso
ed entro chiari limiti. Definire i
termini dello scambio conferisce alle donne un potere contrattuale, ma tutto questo viene negato dal modello svedese
che vede sempre e solo violenza maschile. Certo il rischio della violenza o dello sfruttamento c’è nella prostituzione, ma è
proprio per questo che serve
un mercato alla luce del sole
con regole e controlli chiari.
I rapporti pubblicati dopo qualche anno dall’applicazione della
nuova legge in Svezia parlano però di una diminuzione del fenomeno.
Il modello svedese è attivo da
dieci anni. Secondo le fonti ufficiali nel 2000 in Svezia si contavano circa tremila prostitute
mentre ora ce ne sarebbero un
migliaio. È possibile, e sicuramente il governo svedese vanta questi dati come una vittoria, ma qualche punto di domanda rimane. In Svezia, come
altrove, l’attenzione maggiore
è andata alla manifestazione più
visibile del fenomeno, la prostituzione di strada, che era comunque in diminuzione, mentre i conteggi sono più incerti
su quella al chiuso, per non parlare di quella via internet. Daniela Danna, una nota esperta
di politiche sulla prostituzione,
ha raccontato come a Stoccolma i fondi per l’assistenza e il
recupero delle prostitute siano
stati riallocati per le operazioni di polizia e di monitoraggio
conseguenti all’adozione del
modello criminogeno. Ciò ha
contribuito a ridurre i segmenti più visibili della prostituzione, ma non a costo zero per
l’erario, nemmeno in presenza
di numeri limitati come quelli
svedesi.
La Svezia scommette sulla possibilità che se tutti gli Stati adottassero questo modello, la prostituzione alla fine scomparirebbe. E se questa fosse un’utopia? Avremmo incoraggiato una
repressione costosa di un fenomeno che alle donne non ha
portato sempre e solo svantaggi. E il costo di inseguire questa utopia potrebbe non essere trascurabile in paesi dove i
Pro e Contro: «Legalizzare la prostituzione»
L’EVENTO
numeri della prostituzione non
sono piccoli come in Svezia.
Cosa ne pensa invece del modello
tedesco? Equiparare la prostituzione ad un lavoro qualsiasi è una
soluzione allo sfruttamento?
In Germania l’utilizzo dello Zoning, la creazione di zone off limits per la prostituzione e altre
dove la prostituzione è ammessa, presenta dei vantaggi per la
popolazione oltreché per le prostitute. Queste pagano le tasse
con le quali si possono finanziare servizi sul territorio, da misure di sicurezza, ad interventi
di riabilitazione urbana nelle zone «ammesse», a servizi sanitari di prevenzione. Laddove però le autorità locali esercitano
molto discrezionalmente la facoltà di «Zoning», ciò può favorire una forte sperequazione fra
un mercato «alto» e uno «basso». In Germania, per esempio,
lo Zoning funziona a Berlino ma
non a Monaco, con la conseguenza che le aree regolamentate finiscono con l’ospitare la
parte migliore del mercato e il
resto confluisce in un segmento meno monitorato e più a rischio di sfruttamento. Questo è
certamente un punto di debolezza del modello tedesco.
Lo Zoning potrebbe funzionare in
Italia?
Lo Zoning è stato introdotto in
maniera sperimentale anche a
Venezia all’inizio del 2000. Al di
là dei giudizi che si possono dare sull’esito di questa esperienza, una simile sperimentazione
ha un prezzo a livello locale e il
costo non è compensato dalla
raccolta di tasse. Se si vuole riflettere su un possibile modello al quale l’Italia potrebbe ispirarsi va valutata anche la recente esperienza della Nuova Zelanda. Qui si è puntato sulla
completa liberalizzazione del
mercato della prostituzione, anche per evitare la segmentazione che si è creata in Germania.
La legge del 2003 ha stabilito, ad
esempio, che non vi sono limiti territoriali all’esercizio della
prostituzione, che le case di piacere non devono chiedere una
licenza particolare o che adescare il cliente in luoghi pubblici non è un crimine. La versione delle autorità neozelandesi
è che il modello ha funzionato,
ma non mancano le voci critiche secondo cui la completa liberalizzazione comporta meno
DOVE - Presso il palazzo della
Provincia di piazza Dante, nella Sala Depero.
QUANDO - L’incontro è fissato
per le 12 di venerdì 3 giugno.
IL TEMA - Nel nostro ordinamento la prostituzione è consentita, ma non regolata, ed è
punito lo sfruttamento. In Europa esistono una serie di modelli diversi per regolare il fenomeno: agli estremi vi sono
il modello tedesco dove la prostituzione (se scelta da chi la
pratica) è un lavoro, e quello
svedese, nel quale la prostituzione è equiparata a violenza.
controlli e rende quindi più difficile identificare gli abusi. La
mia personale convinzione è
che non esista un modello perfetto e che la soluzione vada tarata sulla realtà specifica di un
paese. In Italia l’esperimento
dello Zoning potrebbe rappresentare un compromesso da cui
partire. Soprattutto avverto il
bisogno di un dibattito «laico»
sulla prostituzione in cui si guardi al problema astraendo dai
propri personali moralismi.
È possibile parlare di prostituzione senza giudicarla una professione immorale?
Spesso la prostituzione è avvertita come immorale perché ha
a che fare con i tabù oltre che
con l’etica. I servizi sessuali
coinvolgono parti del corpo
considerate tabù, ma questo
succede anche in altri tipi di lavoro. Si pensi per esempio alle
persone pagate per sottoporsi
ad un esame come la colonscopia nell’ambito della ricerca medica. Questo tipo di mestiere
può non piacere a tutti, ma pochi lo considererebbero immorale. Il confronto con altri mestieri chiarisce ulteriormente il
nodo della moralità. Si pensi a
guardie di sicurezza alle quali
sia concessa licenza di uccidere, o ai mercenari in una guerra. Uccidere è immorale ma in
alcuni lavori o in alcune situazioni viene ritenuto «legittimo».
Perché invece la prostituzione
dovrebbe rappresentare sempre e comunque un atto illegale?
Cosa ne pensa del disegno di legge Carfagna per combattere la prostituzione?
Il disegno di legge Carfagna è caduto nel dimenticatoio in parallelo con le note vicende che hanno coinvolto il premier. L’obiettivo era di sanzionare sia le prostitute che i clienti, a differenza
che in Svezia dove solo i clienti
sono passibili di sanzioni. Il risultato netto però era il rischio
più che concreto che la prostituzione venisse spostata dalla
strada al chiuso e che il provvedimento colpisse soprattutto la
prostituzione migrante, quella
più esposta al pericolo del traffico di essere umani. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha effettuato una
l’Adige
ricerca intervistando donne che
hanno chiesto assistenza per
uscire dal giro del traffico di esseri umani. I dati permettono di
analizzare quanto spesso siano
violati una serie di «diritti» fondamentali nell’ambito della prostituzione gestita dai trafficanti: la scelta per la prostituta di
quali servizi sessuali offrire, la
sua libertà di spostarsi, la facoltà di imporre il preservativo,
l’accesso a cure mediche e il diritto all’integrità fisica. In un mio
studio su questa indagine ho accertato che la probabilità che
questi diritti vengano negati è
più alta per chi esercita in luoghi chiusi, fatta eccezione per i
night club e le agenzie di escort.
Quello che succede al chiuso in
sostanza è peggio di quello che
succede all’aperto. Con il decreto Carfagna, quindi, la prostituzione si sarebbe vista meno ma
le prostitute sarebbero state
maggiormente a rischio di abusi.
Tassare la prostituzione come avviene in Germania è un reale beneficio per lo Stato?
L’unica stima sul gettito per l’Italia di cui mi sia giunta notizia
parla di una cifra relativamente
modesta, 80 milioni l’anno. Per
quanto modesta la cifra permetterebbe di finanziare maggiori
tutele alle prostitute e alla popolazione delle zone interessate.
In conclusione, perché è a favore
della legalizzazione della prostituzione?
Sono a favore della legalizzazione perché non credo all’utopia
dell’abolizionismo, mentre credo che quando qualcosa viene
portato alla luce del sole sia più
facile controllarne i risvolti negativi rispetto a qualcosa che si
relega sotto il tappeto. Inoltre
non credo all’equazione prostituzione uguale violenza cosi come non posso credere all’equazione famiglia uguale violenza,
nonostante che la maggior parte degli abusi sulle donne avvengano tra le mura domestiche. La
storia economica ha mostrato
che il proibizionismo tende ad
alimentare il mercato illegale,
mentre l’antiproibizionismo aiuta la legalità, come per l’alcol.
Lo stesso rapporto ufficiale sul
modello svedese ammette tra
le righe il rischio che la criminalizzazione possa spingere i
clienti a rivolgersi a canali illegali.
43
Pro e Contro: «Legalizzare la prostituzione»
CONTRO I Oria Gargano
all’esperienza sul campo
con le prostitute, quando
si dedica la propria vita
ad aiutarle ad uscire dal tunnel
dello sfruttamento, si capisce
che solo una minima parte di
chi finisce sul marciapiede lo
fa per scelta. Soprattutto si capisce che gli uomini che mettono la freccia ed accostano l’auto vicino ad una prostituta, hanno una visione totalmente sballata del rapporto tra uomo e
donna. La femmina per loro è
un oggetto sessuale da possedere, il rapporto tra cliente e
prostituta è quello della prevaricazione.
Questi modelli vengono poi rafforzati dai mass media, che attraverso la pubblicità trasmettono modelli valoriali sbilanciati verso il potere maschile sulla donna.
Oria Gargano è stata responsa-
D
Oria Gargano
G1051921
bile, fino al 2006, della struttura romana di aiuto alle vittime
di tratta gestita dall’associazione Differenza Donna, seguendo
più di cento progetti di reinserimento sociale per donne costrette alla prostituzione. Nel
2007 si è allontanata dall’associazione e, coadiuvata da altre
collaboratrici, ha fondato la
Cooperativa sociale Be Free.
Da anni lei opera a stretto contatto con le donne vittime di tratta.
Come ha influito il suo lavoro sul
suo modo di considerare la prostituzione?
Con il mio lavoro a Be Free mi
trovo a stretto contatto con le
modalità di vita delle donne
prostitute e con l’universo sconosciuto dei clienti. Tutto quello che facciamo va a sostegno
delle donne trafficate e vittime
di violenze; spesso infatti il progetto migratorio si mescola con
quello prostitutorio. Queste
donne non si devono presentare come delle scriteriate che
nel loro Paese hanno seguito il
primo pifferaio magico che passa. Spesso i loro sfruttatori propongono, mentendo, un progetto diverso. Quello che cerchiamo di fare, quindi, è togliere il
focus dalle donne e spostarlo
sul cliente: secondo le stime più
recenti, in Italia gli uomini che
vanno con le prostitute sono 10
milioni, ma sicuramente questo è un valore sottostimato.
Da dove si parte per cercare di risolvere il problema della prosti-
44
l’Adige
tuzione?
Facendo questo lavoro io mi sono subito chiesta: quale è la motivazione che sta dietro l’istituzione della prostituzione nei secoli? Perché storicamente è nata la prostituzione? Solo così si
riesce a capire l’essenza di questo fenomeno. Innanzitutto bisogna sfatare il mito per cui
questo sia il più antico mestiere del mondo, quello probabilmente è l’ostetrica. E poi all’inizio i primitivi non avevano capito il nesso tra il sesso e la paternità e comunque non c’era
necessità di stabilire il ruolo
della prostituta. Con il tempo
poi le donne sono diventate il
vessillo del decoro della famiglia e i loro comportamenti sessuali andavano normati. Per difendere la donna dallo stupro
e per proteggere quella che veniva considerata proprietà del
marito, sono state quindi create le prostitute. Il primo bordello è stato istituito nel IV secolo avanti Cristo da Solone.
Pro e Contro: «Legalizzare la prostituzione»
sone con una vita affettiva e lavorativa «normale». Detto questo in Svezia si è deciso di proibire l’acquisto dei servizi di sottomissione sessuale. Hanno fatto questa scelta e secondo i report che sono stati preparati
per valutare questo modello di
approccio alla prostituzione, la
cultura del rispetto per l’universo femminile è migliorata.
Perché è contraria alla legalizzazione della prostituzione?
Il fatto è che se si legalizza la
prostituzione, si finisce per isti-
tuzionalizzare un ruolo di subalternità femminile e questo
diventerebbe un caposaldo
non solo legislativo ma anche
culturale. Si rafforzerebbe quindi un modello sbagliato. Per
questo in Svezia, oltre a criminalizzare la prostituzione, si è
aggiunta una campagna dissuasiva per spiegare agli uomini
che andare con le prostitute è
tutto tranne che «figo». E comunque in Olanda i bordelli
stanno chiudendo perché la liberalizzazione non ha impedi-
to la tratta: molte ragazze che
sono passate dalle windows poi
sono finite nella mia associazione.
Esiste la prostituzione per scelta?
La prostituzione nella maggior
parte dei casi non è una scelta,
perché per molte donne, soprattutto quelle immigrate, non
c’è una vera alternativa se non
quella di morire di fame. Le cortigiane del Seicento veneziano
non esistono più e sul piano
della narrazione sociale dei media il potere femminile in questo momento non potrebbe essere più distante da una forma
di autodeterminazione. Le prostitute offrono servizi ai potenti, ma non acquistano potere e
questo si nota anche nella pubblicità. Ciò che dobbiamo fare
è ridefinire l’acquisto di servizi di sottomissione sessuale come pratica di potere di un genere sull’altro, come riprova
estrema di un sistema valoriale costruito sull’immaginario
erotico maschile e basato sulla negazione del valore della relazione paritaria e libera tra uomini e donne. Cerchiamo di rimettere la storia vera al centro
di questa orribile questione,
cerchiamo di rimettere il focus
sugli uomini che comprano le
donne o che reputano normale comprarle, cerchiamo di elaborare altri racconti ed altre
rappresentazioni del corpo delle donne, che oggi è più che mai
«luogo pubblico», parafrasando il titolo di un bel libro di Barbara Duden.
SEDE:
Via degli Artigiani, 34
38057 - PERGINE VALSUGANA (TN)
Tel. 0461 509040
Fax 0461 509020
LABORATORI:
Via degli Artigiani, 34
Via delle Spone, 36/L
Cirè Alto
38057 - PERGINE VALSUGANA (TN)
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www.laboratoriotrentino.it
l’Adige
G1051916
Che influenza hanno avuto le
vicende legate al premier Silvio Berlusconi e alle sue feste
ad Arcore, sulla visione popolare della prostituzione?
Le vicende di Berlusconi hanno messo il focus sulla prostituzione come via di emancipazione e sui benefici che ne ricavano gli uomini potenti. La
cosa curiosa in tutta questa storia è che sia agli schieramenti
politici sia alle persone nei bar,
non interessa tanto capire se
veramente Berlusconi credeva
che Ruby fosse la nipote di Mubarak, ma si chiedono se sia lecito o meno avere rapporti sessuali a pagamento, per di più
con una minorenne. La gente
ora si domanda se la prostituzione sia veramente un portato del potere o meno.
Il modello svedese, in cui la
prostituzione viene considerata un crimine, è la risposta
giusta al problema?
L’European Women’s Lobby si
sta riunendo per lanciare la
campagna «Europe free from
prostitution». Io in realtà non
sarei per l’abolizionismo, ma
dall’altra sono fermamente contraria alla legalizzazione. Io credo che annoverare la prostituzione tra le forme di violenza
sulle donne come accade in
Svezia non sia giusto, ma che
dovremmo comunque chiederci qualcosa rispetto alla relazione tra sessi in Italia. Con la
mia associazione abbiamo fatto molte interviste alle ragazze vittime di abusi e da queste
è emerso che i clienti sono per-
45
«Donne, uomini, economia. Quali confini?»
P
iù donne nei
cda. La proposta di legge al
vaglio del Parlamento non è
solo una questione di giustizia sociale.
Aumentare la
presenza femminile a livelli decisionali significa infatti contribuire alla migliore efficienza
delle aziende nazionali e quindi allo sviluppo del Paese.
Oltre alla fuga dei cervelli all’estero infatti, l’Italia ha a che
fare con la «clausura» delle donne istruite: le università sfornano più laureate ma poi, magicamente, nei luoghi di potere ci
sono solo uomini. Dove finiscono questi talenti?
Monica D’Ascenzo cerca di
spiegare l’importanza di investire sul capitale intellettuale
femminile per aumentare il Pil
e uscire dalla crisi economica.
Nata a Milano ma di sangue
abruzzese, dopo la laurea in
Storia della lingua italiana
D’Ascenzo è diventata giornalista, realizzando il suo sogno
d’infanzia. Dopo un’esperienza
a BloombergTv a Londra, è tornata a Milano ed è approdata
alla redazione finanza del quotidiano Il Sole 24 Ore. Ha pubblicato «Cinque anni di private
equity in Italia» (2005, Egea),
«Sms» (2006, L’Airone Editrice)
e «Donne sull’orlo della crisi
economica» (2009, Rizzoli).
A che punto siamo con l’approvazione della legge per l’introduzione delle quote rosa nei Cda delle
aziende?
Il decreto legge sulle quote rosa nei cda è passato dalla Camera a dicembre, ma Confindustria ha chiesto dei cambiamenti: una maggiore gradualità, proponendo una quota del 20% al
primo rinnovo del board e del
30% al secondo e al terzo rinnovo, e pene meno severe, togliendo la decadenza immediata e sostituendola con un richiamo della Consob e in seguito
con una multa. Il governo ha
poi presentato un emendamento per un’ulteriore gradualità,
partendo da un 10%. Ora manca solo il bollino dell’esecutivo
per il via libera che dovrebbe
arrivare dopo le elezioni.
Come valuta questa legge? Non
crede che le quote siano una forzatura?
46
Confronti: MONICA D’ASCENZO
VI SPIEGO PERCHÉ
SERVONO LE QUOTE ROSA
LAURA GALASSI
Questa legge è una cosa positiva per l’Italia, ma bisogna anche ammettere che è molto
blanda se si pensa, per esempio, che in Norvegia le quote
sono state introdotte al 40% in
tre anni, in Spagna al 40% entro
il 2015 e in Francia sempre al
40% entro il 2017. In linea di
principio io sono contraria alle quote, ma in Italia le cose si
muovono così lentamente che
ci vogliono delle azioni positive per dare una svolta. Basta
pensare che il 60% dei laureati
è donna, ma non c’è corrispondenza di queste percentuali a
livelli manageriali. Ciò significa che i talenti si sono persi per
strada. E il problema è che in
questo non ci perdono solo le
donne, ma tutto il Paese. La famiglia e lo Stato, infatti, hanno
investito nell’educazione di
soggetti che poi non la sfrutta-
Monica D’Ascenzo
l’Adige
no, non c’è restituzione di conoscenze e di Pil alla comunità. Per le donne accade come
per la fuga dei cervelli: queste
però non scappano, ma si chiudono in casa.
C’è una relazione tra parità di genere e sviluppo economico?
L’Ocse ha appena dichiarato
che economicamente ci riprenderemo dalla crisi, ovvero torneremo ai livelli del 2007, nel
2014: un percorso faticoso, in
cui stiamo perdendo la spinta
importante delle donne. Inoltre la Banca d’Italia ha testimoniato che se si raggiungesse la
parità di genere a livello di occupazione, il Pil aumenterebbe
del 7%. In Italia, però, le discriminazioni sessuali non vengono lette come una questione
economica, ma di femminismo,
che non esiste più. E intanto in
Ruanda la banca nazionale è
guidata da una donna mentre
nelle prime dieci banche italiane non c’è neanche un Ceo donna.
Che differenza farebbero più donne sedute nei cda aziendali?
Aumenterebbero l’efficienza
dei board: non per una questione di competenze ma perché
potrebbero portare quella differenza di estrazione e di esperienze che in un gruppo sono
positive. Per il mio libro ho
commissionato una ricerca ad
hoc alla McKinsey, che ha dimostrato come la redditività
nelle aziende quotate italiane
che hanno almeno un 1% di
donne nel cda è maggiore. La
presenza top manager donna
ha una ricaduta anche sull’efficienza dell’organizzazione
aziendale, soprattutto in termini di flessibilità del lavoro. Se
le riunioni, invece che alle 19,
si facessero alle 15 sarebbe più
facile conciliare la vita lavorativa con quella famigliare. In sostanza, più donne in posizioni
di potere significano cambiamenti positivi anche per le altre donne che si trovano in
azienda. E comunque la questione della conciliazione non
è solo un discorso femminile:
se si aprono gli asili nido, è un
bene sia per la mamma sia per
il papà.
Nella corsa alle posizioni di potere le donne si autoescludono?
Alle giovani studentesse mancano dei modelli femminili di
riferimento e questo è stato
Confronti: «Donne, uomini, economia. Quali confini?»
Dall’alto, Lorenza Lei, Marina Berlusconi, Luisa Todini, Jonella Ligresti
questi cambiamenti.
Per arrivare in alto, alle donne
viene ancora chiesto di assumere
degli atteggiamenti maschili?
Non è detto che per arrivare in
alto ci si debba maschilizzare.
Il tempo delle virago è finito, la
spinta dal basso oggi è forte e
quindi le donne sono consapevoli di non voler rinunciare alla famiglia per il lavoro, sono
più complete e non abdicano
alla loro femminilità. Questo io
l’ho notato anche nell’abbiglia-
mento: non esiste più il tailleur
pantaloni-giacca ma le top manager non rinunciano ai tacchi,
alle borse all’ultima moda e al
vestitino. Sicuramente quelle
che si siederebbero nei cda sono donne con le «contropalle»,
che hanno fatto carriera in ambienti maschili e che sono abituate alle discriminazioni. Un
avvocatessa di finanza, ad
esempio, mi ha raccontato che
spesso nelle riunioni le veniva
chiesto un caffè perché veniva
scambiata per una cameriera.
Ma lei ha imparato a rispondere a tono ed ammutolire i suoi
colleghi.
Con più donne nelle stanze dei
bottoni, aumenterà la rivalità femminile?
L’obiezione che viene posta davanti alla femminilizzazione di
luoghi a maggioranza maschile è che le donne sono nemiche
delle donne. Questo oggi non è
più vero. Magari una volta la rivalità femminile c’era, perché i
posti a disposizione erano pochi. Ora invece c’è molta solidarietà verticale, con le più anziane che, memori di quanta fatica hanno fatto per arrivare dove sono, aiutano le giovani a superare i soprusi con il loro mentoring. A livello orizzontale c’è
una condivisione del male comune che porta ad una forte alleanza.
Bastano le quote per sanare le disparità di genere a livello decisionale?
Le quote non sono la panacea
della discriminazione anche
perché non possono essere imposte dovunque. Quindi, anche
in politica, le donne dovrebbero auto-imporsi delle quote,
cioè cominciare a votare altre
donne. Sarebbe un cambiamento dal basso fortissimo. Il problema è che le donne non hanno ancora preso coscienza del
loro potere. Gestiscono l’80%
delle spese in Italia e se cominciassero ad evitare i prodotti
che nella pubblicità non rispettano l’immagine femminile, le
cose cambierebbero.
G1052043
dimostrato da ricerche eseguite nelle facoltà di economia. Ci
sono più ragazzi che vogliono
fare gli imprenditori perché loro hanno dei modelli e dicono
«da grande voglio essere come
Marchionne o Passera». Le donne, invece, quando vengono interrogate sui loro modelli, citano due uomini come esempi da
seguire, e solo al terzo posto la
Marcegaglia. È una questione
di crescita culturale: in Germania il fatto di avere Angela Merkel come cancelliere fa capire
alle donne che la politica è un
mondo che fa anche per loro.
Le quote quindi serviranno a cambiare la mentalità diffusa, compresa quella degli uomini.
Le quote servono a far abituare gli uomini dei cda alla presenza femminile. Ad esempio,
adesso nel cda Fiat sono tutti
uomini, ma se al primo rinnovo dovranno entrare tre donne
per legge, Marchionne dovrà
sopportare di sedersi accanto
a una di loro. E qualcosa nei
comportamenti dei cda cambierà. Come è successo per il
gruppo Intesa San Paolo, dove
nel cda, fino all’arrivo di Elsa
Fornero, nessuno osava fare domande. Lei ha dato il via ed ora
è il dibattito è diventato di uso
comune, tanto che il presidente Giovanni Bazoli ha ammesso di essere stato contagiato
dalla Fornero, di aver preso la
sua abitudine di intervenire. Lei
ha rotto un tabù e sono tanti i
piccoli meccanismi che le donne possono cambiare, magari
pure gli uomini apprezzeranno
l’Adige
47
Il colloquio al Quirinale
l grande successo che il
pubblico dello Scoiattolo ha garantito nelle scorse edizione al Festival dell’Economia di Trento, si aggiunge
quest’anno un importante riconoscimento istituzionale. La
manifestazione ha ottenuto il
plauso del Capo dello Stato:
Giorgio Napolitano ha infatti concesso l’alto Patronato della Presidenza della Repubblica alla
sesta edizione Festival.
A illustrare a Napolitano formula e contenuti della nuova edizione sono stati gli stessi organizzatori, ricevuti per un colloquio al Quirinale. Il presidente
della Provincia autonoma di
Trento, Lorenzo Dellai, il presidente dell’Università di Trento, Innocenzo Cipolletta, il professor Tito Boeri, coordinatore
scientifico del Festival, e l’editore Giuseppe Laterza hanno anticipato al Capo dello Stato il
programma del Festival, con
particolare attenzione alle due
«anteprime» in programma nei
IL PATRONATO DI NAPOLITANO
giorni scorsi: l’appuntamento
con il premio Nobel indiano
Amartya Sen, e la «trasferta» a
Napoli sul tema «Il sommerso
e l’economia da salvare», che
ha proiettato quest’anno lo Scoiattolo al di fuori dei confini provinciali.
Iniziative lodate da Napolitano,
che ha parlato per oltre un’ora
con gli organizzatori: il Trentino, ha detto il presidente Napolitano, è una terra che conosco molto bene e della quale
apprezzo la realtà istituzionale, sociale ed economica. È, insomma, è il luogo ideale per
ospitare un Festival che vuole
indagare le tematiche economiche non disgiungendole dai
problemi della convivenza e
della solidarietà.
Parole che fanno ben sperare
per una presenza di Napolitano, in qualità di ospite d’onore, alla prossima edizione del
Festival, nel 2012. «È molto probabile che ci sarà», ha detto Dellai.
G1051915
A
Il Capo dello Stato invitato al Festival
Concessionaria Ufficiale
Riva del Garda Via S. Nazzaro, 58 Tel. 0464.521097
Trento Via Lamar di Gardolo, 16 Tel. 0461.990472
w w w. c a t t o i a u t o . c o m
48
Bolzano Via Galvani, 25 Tel. 0471.502134
l’Adige
50°
1959-2009
7 ANNI DI GARANZIA
CON FINANZIAMENTO
PERSONALIZZATO
I grandi eventi in diretta
i ritorna in piazza, a Trento, in questa grande occasione che il Festival dell’Economia riesce a rappresentare, ogni anno grazie ai temi
scelti sui quali discutere e riflettere.
Radio Dolomiti seguirà in diretta anche l’edizione 2011; il programma, le persone e i contenuti di un appuntamento che si
preannuncia ancora una volta
di grande interesse.
Dal cuore del centro storico della città capoluogo l’emittente
trentina, leader per ascolti, produrrà molte ore in diretta con
l’obiettivo di dare spazio all’intero programma del Festival ma
anche, nel solco della tradizione di Radio Dolomiti, ad una
molteplicità di voci che inevitabilmente si svilupperanno attorno al calendario dello Scoiattolo.
Certamente l’attenzione sarà
destinata al programma ufficiale, ed ai molti appuntamenti
previsti, unitamente ai relatori
in agenda, ma poi la linea guida di Radio Dolomiti sarà quella di aprire il microfono anche
alle tante realtà, magari non
presenti nel programma ufficiale, che si affiancheranno a vario titolo al Festival dell’Economia.
La radio infatti, più di ogni altro strumento, permette in maniera diretta immediata e senza filtri di promuovere il dialogo e di dare voce alle molteplici componenti della società ed
in questo senso, con la direzione di Corrado Tononi (nella foto),
S
In diretta tutti i giorni da piazza Cesare Battisti
ASCOLTANDO IL FESTIVAL
CON RADIO DOLOMITI
assieme a tutto lo staff, Radio
Dolomiti ha particolarmente
rafforzato il rapporto con il territorio trentino, aprendo costanti e continui momenti di intervento da parte di persone
singole, associazioni, enti,
aziende. Il Festival dell’econo-
mia sarà un occasione in più,
concentrata in pochi giorni, per
far entrare in diretta tantissime
persone e permettere un confronto corretto etico e completo.
L’economia è animata e determinata da importanti istituzio-
ni e realtà che la trattano, la gestiscono, la influenzano ma di
fatto l’economia vera è anche
quella vissuta giornalmente da
ogni persona indipendentemente dal ruolo e posizione sociale occupato nella vita.
Temi questi che sino a pochi
anni fa erano chiusi, «riservati» ad esperti e professionisti.
Oggi non è più così.
La kermesse trentina riesce,
come ha dimostrato nelle precedenti edizioni, ad avvicinare
moltissime persone.
Radio Dolomiti cercherà di amplificare al massimo le varie voci e le posizioni di ognuno, offrendo la possibilità di intrecciare il pensiero di esperti ai
massimi livelli nazionali e internazionali con le sensazioni,
emozioni e percezioni dell’opinione pubblica.
Un tassello del completo meccanismo editoriale del Gruppo
Gelmi, che unito, agli approfondimenti della parte cartacea del
quotidiano L’Adige ed all’immediatezza del sito www.ladige.it
offrirà agli ascoltatori, ai lettori ed ai naviganti un informazione completa e dettagliata.
La postazione fissa di Radio
Dolomiti nel cuore di Trento accoglierà dunque ospiti e giornalisti, gente comune ed esperti e permetterà di realizzare interviste e momenti di dibattito
e commenti ogni giorno dal
mattino al tardo pomeriggio.
Saremo dunque presenti, nei
giorni del Festival, in piazza Cesare Battisti, in diretta dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 19.
G1051922
CENTRO
ASSISTENZA
AUTORIZZATO
DISTRIBUZIONE
RICAMBI ORIGINALI
RIPARAZIONE E VENDITA
ELETTROUTENSILI
TRENTO - Via Don Lorenzo Guetti, 26
Tel. 0461/822278 - Fax 0461/1725565
E-mail: [email protected]
l’Adige
49
«Norme sociali, religioni e libertà economica»
L’
econom i a
della
religione
è
una disciplina molto recente, ma esplora un ambito,
il collegamento tra le norme sociali imposte dalla fede e le variabili economiche, terribilmente affascinante.
Le prescrizioni imposte dalla
religione, infatti, come l’obbligo di scolarizzazione dei bambini deciso dalle gerarchie ecclesiastiche ebraiche dopo la
definitiva distruzione del tempio di Gerusalemme, possono
realmente cambiare il corso
della storia. La presenza di
ebrei nelle posizioni di potere
della finanza e dell’economia
si spiegano infatti con la norma decisa nel 70 d.C, punto di
partenza per un vantaggio competitivo insperato.
Maristella Botticini è professoressa di Economia e direttore
del centro di ricerca Igier dell’Università Bocconi di Milano.
Ha iniziato la sua carriera accademica presso la Boston University negli Stati Uniti. I suoi
interessi di ricerca vertono
principalmente sulla storia economica, la microeconomia e
l’analisi economica delle istituzioni. Tra le sue pubblicazioni vi sono articoli su riviste
scientifiche internazionali. La
Princeton University Press a
breve pubblicherà due suoi libri: The Chosen Few: How Education Shaped Jewish History,
70 - 1492 e Price of Love: Marriage Markets in Comparative
Perspective.
Qual è il rapporto tra economia e religione?
Potrebbe sembrare strano studiare il legame che intercorre
tra economia e religione, anche se in discipline come la sociologia è da secoli che le due
materie vengono affrontate assieme. L’economia della religione è un ambito molto recente:
per molto tempo, l’economia
si è occupata di cose importanti come l’inflazione e i mercati,
mentre si è tenuta distante da
un ambito con cui sembrava
non avere molto da spartire.
Invece il legame tra i due mondi è più profondo di quanto si
50
Passato Presente: MARISTELLA BOTTICINI
COSÌ LE RELIGIONI
INFLUENZANO L’ECONOMIA
LAURA GALASSI
Maristella Botticini
pensi: la religione, in questo caso, viene studiata come uno dei
valori culturali della società,
sotto due diversi approcci. Il
primo si occupa di come i comportamenti dettati dalle religio-
ni possano influenzare le scelte economiche; il secondo di
come le variabili economiche
possano influenzare la scelta
di legarsi ad una certa religione. A ciò è importante aggiungere una prospettiva storica: i
problemi legati alla religione
che vediamo oggi, si capiscono molto meglio se si impugna
un cannocchiale storico.
Di che cosa parlerà nel suo intervento al Festival di Trento?
A Trento porterò due, tre esempi che dimostrano come l’appartenenza religiosa sia importante anche economicamente.
Tra questi, quello certamente
più positivo è quello ebraico.
Durante le mie ricerche, svolte in collaborazione con un professore di Tel Aviv, ho preso in
esame la storia economica degli ebrei negli ultimi duemila
anni per cercare di capire co-
l’Adige
me si fosse sviluppata la «predisposizione» del popolo ebraico ad occupare posizioni di comando nel mondo del commercio e della finanza. Ed è lì che
è emerso il legame con la religione. La svolta economica della religione ebraica è stata nel
70 d.C., con la distruzione del
tempio di Gerusalemme. Prima
gli ebrei non erano diversi dagli altri fedeli: analfabeti e profondamente legati ai sacrifici
che si facevano nel tempio. Dopo quella data, però, i sacrifici
sono scomparsi e paradossalmente quello che al momento
è stato vissuto come una tragedia, si è rivelato qualcosa di
utile per il futuro.
In che modo la religione ebraica ha influito sulla riuscita economica del suo popolo?
Nelle regole imposte dall’ebraismo è subentrato l’obbligo dei
genitori di mandare i figli nella
sinagoga per imparare a leggere le sacre scritture, ma una
volta imparato a leggere, questa facoltà si può benissimo applicare a qualsiasi ambito, commercio compreso. È così che
una regola puramente religiosa ha dato vita ad un vantaggio
per entrare in determinate professioni, perché nessun altro
codice civile imponeva l’istruzione obbligatoria. Ecco quindi che se oggi si fa una fotografia del mondo, si nota che gli
ebrei abbondano in quelle attività che richiedono un elevato tasso di scolarizzazione. Se
però a un campione di cento
persone chiedo: perché gli
ebrei sono più ricchi della maggior parte della popolazione?,
la risposta standard che otterrò sarà che questa ricchezza è
dovuta al fatto che in passato
agli ebrei era vietato possedere la terra e che contemporaneamente ai cristiani era vietato prestare denaro ad interesse. Il fatto è che la proibizione
di possedere la terra non si riscontra nei duemila anni di storia ebraica.
Non è vero quindi nemmeno
che gli ebrei si sono arricchiti solamente grazie ad una
proibizione della Chiesa cattolica, quella di prestare denaro ad interesse?
È vero che la Chiesa proibiva
l’usura ma non è altrettanto vero che i cristiani hanno rispettato questo divieto. Inoltre, se
Passato Presente: «Norme sociali, religioni e libertà economica»
gli ebrei arrivati in Europa tra
il IX e l’XI secolo fossero stati
dei contadini ignoranti, di sicuro non avrebbero potuto trasformarsi in banchieri. La verità è che quando il popolo
ebraico arrivò da noi, erano già
dei mercanti istruiti proprio in
conseguenza della norma sociale imposta dalla loro religione. Solo in quest’ottica si può
parlare del fatto che i dettami
del cattolicesimo hanno avvantaggiato economicamente gli
ebrei. Stessa storia per i cristiani protestanti, che praticamente si sono comportati da ebrei
moderni: anche il loro culto
prescrive infatti di saper leggere la Bibbia autonomamente.
Ciò che voglio sottolineare è il
fatto che ciò che accade nella
sfera religiosa può avere inaspettati effetti sulla sfera economica e l’esempio degli ebrei
potrebbe essere applicato anche ai Paesi in via di sviluppo.
Se tra le norme religiose ci fosse una regola che impone
l’istruzione, economicamente
si noterebbero dei cambiamenti positivi.
Perché l’India da anni sta combattendo contro l’usanza millenaria della dote?
Se oggi apro un giornale in India, leggerò che una delle ragioni per cui la situazione della donna è arretrata è la dote,
ovvero il lascito che la famiglia
della sposa paga alla famiglia
dello sposo per contrarre il matrimonio. Questa istituzione
esisteva già ai tempi degli antichi babilonesi ed era legata
al fatto che, una volta maritate, le figlie femmine uscivano
dalla casa di origine per legarsi alla famiglia dello sposo. Non
era un’istituzione discriminatoria: al contrario il valore della dote spesso corrispondeva
all’eredità che sarebbe toccata al figlio maschio. Questo trasferimento di ricchezza in epoca antica era di proprietà della sposa quindi se il matrimonio terminava, la donna aveva
qualcosa con cui continuare a
vivere dignitosamente. Dal
punto di vista economico quindi la dote non dovrebbe influenzare in modo negativo
l’economia. La stortura in India, dove veramente le donne
vengono anche uccise per la
questione della dote, è il fatto
che i diritti di proprietà non appartengono alla sposa ma al
marito.
Che effetti economici può avere la progressiva secolarizzazione della società?
Larry Iannaccone ha portato
avanti degli studi che evidenziano come negli Stati con una
religione monopolista, la partecipazione alla vita religiosa
è più bassa rispetto a dove esiste una competizione religiosa. Negli Usa ad esempio, il pro-
liferare di diversi credi costituisce uno stimolo per partecipare attivamente. Da questo
punto di vista la secolarizzazione della società quindi sarà
più probabile in uno stato con
religione monopolistica. Ovviamente la progressiva laicizzazione della società ha delle ripercussioni anche dal punto di
vista economico ma ancora
nessuno studioso ha esplorato questo ambito. Luigi Zingales, Paola Sapienza e Luigi Guiso però hanno studiato il legame tra l’appartenenza religiosa e il trust, inteso come fiducia nel prossimo e dalla loro ricerca è emerso che alcune religioni incentivano più di altre
questo sentimento.
Come valuta economicamente la finanza islamica, basata
sui dettami del Corano?
La finanza islamica è un ambito di studio estremamente interessante. È incredibile come
si possa reggere un mercato
senza prestare denaro ad interesse, quindi senza concepire
il prezzo del denaro ed impegnandosi ad investire in progetti socialmente utili. Stabilendo queste prescrizioni,
l’Islam è riuscito a sviluppare
altri strumenti alternativi di finanza. Comunque ci sono ancora tantissime domande aperte nell’ambito dell’economia
delle religioni; gli economisti
dovrebbero imparare dalle altre discipline, la storia, l’antropologia e la sociologia, e cominciare ad attuare veramente la
multi-disciplinarità».
R1052001
38068 Rovereto (TN) - Viale Caproni 11E/6 - Tel. 0464 437449 - Fax 0464 400022
web: www.carmecsnc.co
om - e-mail: [email protected]
l’Adige
51
Gli eventi dello Scoiattolo
nche quest’anno il Festival dell’economia propone, per i più giovani tra i
moltissimi amici dello Scoiattolo, una serie di eventi e di iniziatove che accompagneranno
le giornate della manifestazione.
Cominciamo dai «Laboratori di
confine (e oltre)», nel cortile
di palazzo Thun: «trafficamenti» creativi con materiali industriali di recupero, a cura della cooperativa sociale (informazioni al numero 0463600168). Si parte giovedì 3 giungo (ore 9.30-12.30 e 14.30-18)
con il laboratorio «Confini mobili: piccoli mondi tra fili» (inventare lo spazio di una cornice di legno con spago e filo); il
4 giugno è la volta di «A forma
di vento: libere creazioni volteggianti», il 5 giugno di «Cuore
Cyber: gioielli alieni e altre gigiate spaziali» (ore 10-12.30). I
gruppi sono a numero chiuso
e l’età consigliata è 5-11 anni. I
bambini più piccoli possono
IN
PIAZZA
PER I PIÙ PICCOLI
partecipare solo se accompagnati. Sempre il 5 giugno e sempre nel cortile di palazzo Thun
è in programma, dalle 15.30 alle 17, «Fagioli», a cura di Teatri
soffiati & Finisterrae Teatri: dalla celebre fiaba inglese «Jack e
il fagiolo magico» due cantastorie ricordano quali sono le vere ricchezze della vita. Spettacolo per bambini dai 3 ai 10 anni.
Trasferiamoci in piazza Fiera,
con i laboratori per bambini e
ragazzi all’interno di «L’Altraeconomia in piazza» (per info e
prenotazioni: [email protected], 0461-499685;
dal 3 al 5 giugno direttamente
presso la piazzetta): il 3 giugno
«Con le mani nella terra! Per
pollicini verdi: i profumi dell’orto», proposta di Ecosportello, a cura di Nadia Nicoletti,
per bambini dai 4 anni; il 4 e 5
giugno «Dai fili di lana e cotone al braccialetto», proposta
di Barycentro, a cura dell’Associazione Cachisauga.
G1052028
A
IL FESTIVAL
l’Adige
53
DA NON
PERDERE
in Trentino
hi arriva a Trento in questo momento storico non
può che osservare un
grande fermento di cantieri, di
gru, di impalcature edilizie.
Questi, infatti, sono anni importanti dal punto di vista del cambiamento urbano, durante i
quali stanno mutando sia l’immagine della città, sia la distribuzione sociale dei suoi abitanti.
Non che questa sia una cosa
inaudita: è un fenomeno che interessa ciclicamente tutte le città. Se è vero, infatti, che esse
sono costantemente in mutamento, essendo il frutto di una
stratificazione incessante di
lenta costruzione, è anche vero che esistono dei momenti
nella loro storia nei quali tali
mutamenti avvengono con
maggiore intensità. Un particolare contesto politico, una nuova situazione economica, il fiorire di nuove epoche artistiche,
l’incremento o la diminuzione
demografica: ecco alcuni fattori che – spesso combinati – hanno la forza di accelerare le lente stratificazioni attraverso le
quali la città cresce. Creando
anche lacerazioni e discontinuità. Aprendo, in ogni caso, una
nuova stagione.
Anche la città di Trento ha vissuto alcuni momenti di grande
cambiamento: fin dalla costruzione del castrum romano nel
I secolo avanti Cristo in quella
selvaggia valle percorsa dalle
ampie anse dell’Adige e che generò quella «Tridentum» che in
pochi decenni sarà apostrofata dall’imperatore Claudio Augusto in persona come uno
«splendidum municipium».
Da quel «dramma nella storia»
che rappresenta la sua fondazione, la città di Trento ha avuto altre significative rivoluzioni architettoniche ed urbanistiche. Fra le mutazioni più importanti va sicuramente annoverata la costruzione della turrita e
compatta città medievale chiu-
C
54
SCOPRIAMO LA CITTÀ
TRA STORIA E ARCHISTAR
ALESSANDRO FRANCESCHINI
sa dalle mura duecentesche,
con una forma «a foggia di cuore».
Un altro momento di grande
sviluppo coincise con la costruzione della città rinascimentale grazie all’opera del principevescovo Bernardo Clesio e al
genio di molti artisti provenienti da tutta Italia e chiamati nel
capoluogo per preparare la città ad ospitare quel Concilio che
la renderà famosa nel mondo.
L’industrializzazione, l’arrivo
della strada ferrata con la con-
seguente deviazione (e regimazione) dell’Adige lontano dalla
città, aprirono la strada alla dispersione urbana che da un nucleo compatto dove le mura dividevano lo spazio urbano da
quello territoriale, si trasformerà in poco più di cent’anni in
un’ampia regione urbanizzata
estesa per molti chilometri dal
sobborgo di Mattarello a sud fino al Comune di Lavìs a nord.
Tra i principi-vescovi e le archistar.
All’inizio di questo millennio la
città di Trento torna ad essere
protagonista di progetti e di ripensamenti urbanistici. Una fase di grande espansione, iniziata negli anni Sessanta, è giunta
al capolinea. I grandi comparti
industriali di cui la città si era
dotata a partire dagli anni Trenta sono entrati in crisi lasciando dismesse ampie porzioni di
città. Inoltre, la fine della Guerra fredda e il mutamento del
quadro politico europeo, ha reso meno strategica la presenza
militare a Trento, con la conseguente chiusura di gran parte
delle caserme militari presenti
nel tessuto urbano fin dalla fi-
l’Adige
ne dell’Ottocento. Sia nel caso
delle ex-caserme che in quello
degli ex-aree industriali, si tratta di aree molto preziose dal
punto di vista urbanistico. Nate fuori dalla città, si sono trovate ben presto circondate dalle espansioni disordinate e subitanee in cui Trento è crescita negli ultimi decenni. Aree che
oggi possono essere considerate strategiche per il futuro del
capoluogo.
Ma non si tratta solo di fenomeni di natura urbanistica, politica ed economica. Trento è cambiata anche dal punto di vista
sociale. La fondazione dell’Università, nel 1963, ha emancipato un tessuto sociale culturalmente fermo al Concilio tridentino e lo ha proiettato, nel giro
di quarant’anni, ad essere parte di una città che punta sull’innovazione, avendo fatto del
«terziario avanzato» una delle
principali risorse economiche.
In questo complicato e stimolante contesto sociale, culturale, urbanistico ed economico è
maturato lo sviluppo e il mutamento della città di Trento iniziato nei primi anni del duemila e che tuttora prosegue in un
clima sospeso tra l’obiettivo di
avere grandi visioni e la necessità di rispondere alle piccole
esigenze di mutamento che le
città da sempre vivono. Le due
varianti al Piano Regolatore Generale che si sono succedute
tra il 2004 e il 2005 contengono
la «vision» del Comune esplicitata da un’equipe di docenti
universitari (Renato Bocchi, Alberto Mioni e Bruno Zanon) ma
soprattutto dal contributo dell’urbanista catalano Joan Busquets. Proprio quest’ultimo è
stato l’indiscusso protagonista
della stagione del dibattito sulle trasformazioni di Trento, animando l’opinione pubblica con
la proposta d’interramento del
tratto urbano della rete ferroviaria.
Un fenomeno nuovo per la cit-
DA NON
PERDERE
in Trentino
hi arriva a Trento in questo momento storico non
può che osservare un
grande fermento di cantieri, di
gru, di impalcature edilizie.
Questi, infatti, sono anni importanti dal punto di vista del cambiamento urbano, durante i
quali stanno mutando sia l’immagine della città, sia la distribuzione sociale dei suoi abitanti.
Non che questa sia una cosa
inaudita: è un fenomeno che interessa ciclicamente tutte le città. Se è vero, infatti, che esse
sono costantemente in mutamento, essendo il frutto di una
stratificazione incessante di
lenta costruzione, è anche vero che esistono dei momenti
nella loro storia nei quali tali
mutamenti avvengono con
maggiore intensità. Un particolare contesto politico, una nuova situazione economica, il fiorire di nuove epoche artistiche,
l’incremento o la diminuzione
demografica: ecco alcuni fattori che – spesso combinati – hanno la forza di accelerare le lente stratificazioni attraverso le
quali la città cresce. Creando
anche lacerazioni e discontinuità. Aprendo, in ogni caso, una
nuova stagione.
Anche la città di Trento ha vissuto alcuni momenti di grande
cambiamento: fin dalla costruzione del castrum romano nel
I secolo avanti Cristo in quella
selvaggia valle percorsa dalle
ampie anse dell’Adige e che generò quella «Tridentum» che in
pochi decenni sarà apostrofata dall’imperatore Claudio Augusto in persona come uno
«splendidum municipium».
Da quel «dramma nella storia»
che rappresenta la sua fondazione, la città di Trento ha avuto altre significative rivoluzioni architettoniche ed urbanistiche. Fra le mutazioni più importanti va sicuramente annoverata la costruzione della turrita e
compatta città medievale chiu-
C
54
SCOPRIAMO LA CITTÀ
TRA STORIA E ARCHISTAR
ALESSANDRO FRANCESCHINI
sa dalle mura duecentesche,
con una forma «a foggia di cuore».
Un altro momento di grande
sviluppo coincise con la costruzione della città rinascimentale grazie all’opera del principevescovo Bernardo Clesio e al
genio di molti artisti provenienti da tutta Italia e chiamati nel
capoluogo per preparare la città ad ospitare quel Concilio che
la renderà famosa nel mondo.
L’industrializzazione, l’arrivo
della strada ferrata con la con-
seguente deviazione (e regimazione) dell’Adige lontano dalla
città, aprirono la strada alla dispersione urbana che da un nucleo compatto dove le mura dividevano lo spazio urbano da
quello territoriale, si trasformerà in poco più di cent’anni in
un’ampia regione urbanizzata
estesa per molti chilometri dal
sobborgo di Mattarello a sud fino al Comune di Lavìs a nord.
Tra i principi-vescovi e le archistar.
All’inizio di questo millennio la
città di Trento torna ad essere
protagonista di progetti e di ripensamenti urbanistici. Una fase di grande espansione, iniziata negli anni Sessanta, è giunta
al capolinea. I grandi comparti
industriali di cui la città si era
dotata a partire dagli anni Trenta sono entrati in crisi lasciando dismesse ampie porzioni di
città. Inoltre, la fine della Guerra fredda e il mutamento del
quadro politico europeo, ha reso meno strategica la presenza
militare a Trento, con la conseguente chiusura di gran parte
delle caserme militari presenti
nel tessuto urbano fin dalla fi-
l’Adige
ne dell’Ottocento. Sia nel caso
delle ex-caserme che in quello
degli ex-aree industriali, si tratta di aree molto preziose dal
punto di vista urbanistico. Nate fuori dalla città, si sono trovate ben presto circondate dalle espansioni disordinate e subitanee in cui Trento è crescita negli ultimi decenni. Aree che
oggi possono essere considerate strategiche per il futuro del
capoluogo.
Ma non si tratta solo di fenomeni di natura urbanistica, politica ed economica. Trento è cambiata anche dal punto di vista
sociale. La fondazione dell’Università, nel 1963, ha emancipato un tessuto sociale culturalmente fermo al Concilio tridentino e lo ha proiettato, nel giro
di quarant’anni, ad essere parte di una città che punta sull’innovazione, avendo fatto del
«terziario avanzato» una delle
principali risorse economiche.
In questo complicato e stimolante contesto sociale, culturale, urbanistico ed economico è
maturato lo sviluppo e il mutamento della città di Trento iniziato nei primi anni del duemila e che tuttora prosegue in un
clima sospeso tra l’obiettivo di
avere grandi visioni e la necessità di rispondere alle piccole
esigenze di mutamento che le
città da sempre vivono. Le due
varianti al Piano Regolatore Generale che si sono succedute
tra il 2004 e il 2005 contengono
la «vision» del Comune esplicitata da un’equipe di docenti
universitari (Renato Bocchi, Alberto Mioni e Bruno Zanon) ma
soprattutto dal contributo dell’urbanista catalano Joan Busquets. Proprio quest’ultimo è
stato l’indiscusso protagonista
della stagione del dibattito sulle trasformazioni di Trento, animando l’opinione pubblica con
la proposta d’interramento del
tratto urbano della rete ferroviaria.
Un fenomeno nuovo per la cit-
Alla scoperta della città
tà di Trento è l’arrivo di molti
progettisti appartenenti allo
stars-system dell’architettura
mondiale. Si è iniziato proprio
con il catalano Joan Busquets
chiamato dal Comune di Trento per redigere il Piano Regolatore Generale. Poi è stato il turno di Renzo Piano, genovese,
chiamato a redigere il progetto della ex-Michelin. Lo svizzero Mario Botta frequenta il
Trentino da circa vent’anni, grazie alla progettazione e costruzione della sede roveretana del
Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (Mart). A lui l’Università di
Trento ha affidato prima il progetto della Facoltà di Giurisprudenza e successivamente il progetto della Nuova Biblioteca
d’Ateneo. Sempre per l’Università lavora l’equipe Ishimoto
Architectural & Engineering
che progetta la Facoltà di Lettere e i Poli universitari sulla
colline a est della città. Poco
fuori dal centro storico lavora
Pierluigi Nicolin, vincitore di un
concorso internazionale, che
realizza il nuovo Polo Giudiziario sul sedime del Carcere austro-ungarico. C’è poi da segnalare la presenza dell’architetto
milanese Vittorio Gregotti che
sta progettando, per conto di
privati, un grande intervento
sulle aree dismesse di Trento
Nord.
è collocato su un’area che si sviluppa in direzione nord-sud fra
la linea ferroviaria Trento-Verona ed il fiume Adige. Si tratta
di un’area storicamente collocata lontana dalla città e proprio per questa sua “marginalità” è diventata oggetto di pianificazione solo a partire dall’inizio del Novecento. Contestualmente alla chiusura della
fabbrica – costruita nel 1924 e
che ebbe il massimo sviluppo
negli anni Settanta con 1770
operai ed infine dismessa nel
1999 – vengono avviate delle
trattative per la trasformazione dell’area mentre il Comune
di Trento sviluppa alcuni docu-
menti di indirizzo per una trasformazione consapevole del
comparto. L’intero lotto viene
acquistato da «Iniziative Urbane», una società costituita da
una partnership pubblico-privato. In questo modo l’amministrazione promuove un’iniziativa i cui protagonisti sono perlopiù privati con l’obiettivo di
ottenere un riscontro o un beneficio pubblico. L’accordo viene raggiunto con una notevole
cessione di potenziale edificatorio alla società in cambio della costruzione e del passaggio
a proprietà pubblica di un nuovo parco e di un grande spazio
espositivo.
Il Museo della Scienza.
Il Museo della Scienza del Trentino rappresenta una delle funzioni più importanti all’intero
dell’area ex-Michelin, e risulta
collocato nella parte nord del
nuovo quartiere previsto sull’area. L’architettura si colloca
alla testa del principale asse pedonale che metterà in stretta
relazione le attività di maggiore pregio ed interesse pubblico dell’area. Si trova inoltre a
stretto contatto con il nuovo
parco pubblico e con Palazzo
delle Albere, con il quale cercherà una proficua relazione.
L’idea nasce dalla ricerca di una
giusta mediazione tra bisogno
di flessibilità e risposta, precisa e coerente nelle forme, ai
contenuti scientifici del proget-
G1052111
Il quartiere ex Michelin.
Il grande cantiere che chiude il
lato ovest della città è costituito dal quartiere ex-Michelin ed
La società Iniziative Urbane incarica per la progettazione dell’intera area l’architetto genovese Renzo Piano. Il progetto
elaborato dalla Renzo Piano
Building Workshop prevede la
trasformazione urbana dell’ex
area industriale della Michelin
in una zona residenziale. Il progetto si prefigge, in primo luogo, proprio la ricucitura dell’area con il tessuto cittadino
esistente ed il recupero del rapporto con l’ambiente fluviale,
attraverso una migliore fruizione delle sue risorse naturali. In
secondo luogo, il progetto ha
come obiettivo quello di rendere urbani luoghi che, per ragioni sociali e culturali, sono divenuti marginali rispetto alla città.
l’Adige
55
Alla scoperta della città
tà di Trento è l’arrivo di molti
progettisti appartenenti allo
stars-system dell’architettura
mondiale. Si è iniziato proprio
con il catalano Joan Busquets
chiamato dal Comune di Trento per redigere il Piano Regolatore Generale. Poi è stato il turno di Renzo Piano, genovese,
chiamato a redigere il progetto della ex-Michelin. Lo svizzero Mario Botta frequenta il
Trentino da circa vent’anni, grazie alla progettazione e costruzione della sede roveretana del
Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (Mart). A lui l’Università di
Trento ha affidato prima il progetto della Facoltà di Giurisprudenza e successivamente il progetto della Nuova Biblioteca
d’Ateneo. Sempre per l’Università lavora l’equipe Ishimoto
Architectural & Engineering
che progetta la Facoltà di Lettere e i Poli universitari sulla
colline a est della città. Poco
fuori dal centro storico lavora
Pierluigi Nicolin, vincitore di un
concorso internazionale, che
realizza il nuovo Polo Giudiziario sul sedime del Carcere austro-ungarico. C’è poi da segnalare la presenza dell’architetto
milanese Vittorio Gregotti che
sta progettando, per conto di
privati, un grande intervento
sulle aree dismesse di Trento
Nord.
è collocato su un’area che si sviluppa in direzione nord-sud fra
la linea ferroviaria Trento-Verona ed il fiume Adige. Si tratta
di un’area storicamente collocata lontana dalla città e proprio per questa sua “marginalità” è diventata oggetto di pianificazione solo a partire dall’inizio del Novecento. Contestualmente alla chiusura della
fabbrica – costruita nel 1924 e
che ebbe il massimo sviluppo
negli anni Settanta con 1770
operai ed infine dismessa nel
1999 – vengono avviate delle
trattative per la trasformazione dell’area mentre il Comune
di Trento sviluppa alcuni docu-
menti di indirizzo per una trasformazione consapevole del
comparto. L’intero lotto viene
acquistato da «Iniziative Urbane», una società costituita da
una partnership pubblico-privato. In questo modo l’amministrazione promuove un’iniziativa i cui protagonisti sono perlopiù privati con l’obiettivo di
ottenere un riscontro o un beneficio pubblico. L’accordo viene raggiunto con una notevole
cessione di potenziale edificatorio alla società in cambio della costruzione e del passaggio
a proprietà pubblica di un nuovo parco e di un grande spazio
espositivo.
Il Museo della Scienza.
Il Museo della Scienza del Trentino rappresenta una delle funzioni più importanti all’intero
dell’area ex-Michelin, e risulta
collocato nella parte nord del
nuovo quartiere previsto sull’area. L’architettura si colloca
alla testa del principale asse pedonale che metterà in stretta
relazione le attività di maggiore pregio ed interesse pubblico dell’area. Si trova inoltre a
stretto contatto con il nuovo
parco pubblico e con Palazzo
delle Albere, con il quale cercherà una proficua relazione.
L’idea nasce dalla ricerca di una
giusta mediazione tra bisogno
di flessibilità e risposta, precisa e coerente nelle forme, ai
contenuti scientifici del proget-
G1052111
Il quartiere ex Michelin.
Il grande cantiere che chiude il
lato ovest della città è costituito dal quartiere ex-Michelin ed
La società Iniziative Urbane incarica per la progettazione dell’intera area l’architetto genovese Renzo Piano. Il progetto
elaborato dalla Renzo Piano
Building Workshop prevede la
trasformazione urbana dell’ex
area industriale della Michelin
in una zona residenziale. Il progetto si prefigge, in primo luogo, proprio la ricucitura dell’area con il tessuto cittadino
esistente ed il recupero del rapporto con l’ambiente fluviale,
attraverso una migliore fruizione delle sue risorse naturali. In
secondo luogo, il progetto ha
come obiettivo quello di rendere urbani luoghi che, per ragioni sociali e culturali, sono divenuti marginali rispetto alla città.
l’Adige
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Alla scoperta della città
to culturale.
Un museo in cui i grandi temi
del percorso espositivo siano
riconoscibili anche nella forma
e nei volumi mantenendo al
tempo stesso un ampia flessibilità di allestimento degli spazi, tipica di un museo di nuova
generazione.
La forma architettonica nasce
quindi, oltre che dall’interpretazione volumetrica dei contenuti scientifici del museo, anche dai rapporti con il contesto: il nuovo quartiere, il parco, il fiume, Palazzo delle Albere.
Il nuovo polo giudiziario.
Nel 2002 la Provincia autonoma di Trento e lo Stato italiano
firmano un Programma Quadro
che prevede la costruzione della nuova casa circondariale in
località Spini di Gardolo. Questa nuova costruzione consentirà di ampliare il Palazzo di Giustizia esistente sull’area del Carcere, splendido esempio di architettura carceraria austro-ungarica, destinato purtroppo alla demolizione.
Nel 2005 viene promosso un
Concorso internazionale di progettazione per il nuovo Polo
Giudiziario di Trento che ha visto vincitore il progetto elaborato dal gruppo guidato da Pierluigi Nicolin.
La proposta di Nicolin intende
sviluppare con il Nuovo Polo
Giudiziario una nuova centralità per tutto il settore urbano
nord-est di Trento. L’obiettivo
urbano in via di ridefinizione,
caratterizzato dall’ampia curva della cinta ferroviaria della
linea del Brennero che il «Progetto per Trento» di Joan Busquets prevedeva essere riconvertita in boulevard. La soluzione sviluppata differenzia i
«fronti» a seconda del contesto
su cui questi si affacciano, mediante una modulazione dei
prospetti su strada ed un accorto dialogo con lo spazio
pubblico. A mediare l’impatto
materico dell’intero intervento concorre l’introduzione di
elementi trasparenti, intervallati da facciate in materiali di finitura opaca in pietra.
è di configurare il nuovo complesso come una cittadella
aperta, permeabile all’ambiente esterno, in modo che le funzioni istituzionali possano integrarsi con la vita cittadina.
Tutto ciò interpretando un contesto caratterizzato dall’ubicazione dell’area a ridosso del
tracciato delle mura del Centro
Storico e tenendo in considerazione i vincoli per la conservazione dell’edificio storico-monumentale di epoca asburgica.
In sostanza si tratta di aprire il
recinto istituzionale esistente
– attualmente composto da un
grande sbarramento murario
che rende l’interno impenetrabile, e realizzare uno spazio permeabile, attraversato e utilizzato da più fruitori: addetti, funzionari, professionisti, utenti
del polo giudiziario ma anche
cittadini comuni, studenti del-
G
G
Facoltà di Lettere e Filosofia.
La nuova sede della Facoltà di
Lettere e Filosofia in corso di
realizzazione in via Tommaso
Gar sta sorgendo su un’area di
proprietà dell’Università che
rappresentava, da anni, un
«vuoto urbano» in attesa di
un’identità. Si tratta di un’area
molto prossima al Centro Storico, rimasta senza una precisa funzione per alcuni anni e
quindi utilizzata come parcheggio. Il progetto definitivo della
nuova sede della Facoltà, realizzato da Ishimoto Europe, è
stato consegnato alla fine del
2003. La nuova sede della Facoltà di Lettere è collocata in
un’area di transizione tra la città consolidata ed un contesto
La Facoltà di Giurisprudenza.
La nuova Facoltà di Giurisprudenza, progettata dall’architetto Mario Botta, non rappresenta esattamente un edificio exnovo, ma il completamento di
un’ala dell’edificio storico di
Giurisprudenza.
Un intervento teso a «ricucire»
una parte del tessuto urbano
che presentava trame ancora
incerte. La costruzione si pone
come uno dei tasselli che vanno a costituire via Verdi come
l’asse universitario per eccellenza della città e che dovrebbe essere completato con la costruzione della Biblioteca universitaria. L’intervento di Botta mira a consolidare il fronte
urbano che scorre lungo via Antonio Rosmini creando di fatto
una «quinta» architettonica che
completa il lato est della strada.
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G
le scuole attigue, abitanti di
questa parte della città di Trento.
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l’Adige
57
Alla scoperta della città
Formalmente l’architettura è costruita assecondando le funzioni che va a contenere: uno spazio foyer adibito a sala studio al
piano terra, una grande sala conferenze al primo piano e alcuni
studioli per i docenti nel sottotetto. Il piano terra è chiuso solamente da vetri. Le possenti colonne sorreggono quindi un parallelepipedo irregolare completamente rivestito in pietra ammonitica rossa di Trento.
gettazione esecutiva ed il Comune non ha ancora rilasciato l’autorizzazione edilizia. Il progetto di Mario Botta prevede
un’opera imponente, una volta
realizzata sarà una delle biblioteche più grandi d’Europa.
Il progetto dell’architetto svizzero cerca di consolidare l’asse
universitario di via Verdi creando – come egli stesso descrive
– «un “dialogo” a distanza con il
Duomo». L’elemento forte dell’architettura serve per completare il viale d’accesso al Duomo
creando un unico fronte urbano che dalla cattedrale arriva fino al Fiume Adige. La Biblioteca andrà poi ad interagire con
la nuova città che si sta costruendo nell’area ex-Michelin
(il nuovo quartiere progettato
da Renzo Piano) e con il nuovo
Museo della Scienza. Si verrà così a creare un nuovo polo urbano, una sorta di edificio/snodo
dove con il tempo queste funzioni richiameranno anche servizi e pubblici esercizi.
La Biblioteca d’Ateneo.
L’asse universitario che insiste
su via Verdi e che comprende la
Facoltà di Sociologia, quella di
Giurisprudenza, la nuova Facoltà di Lettere e Filosofia e gli uffici amministrativi dentro il Mulino Vittoria sta per essere completato con la costruzione della Biblioteca d’Ateneo che dovrebbe sorgere sull’area di Piazzale Sanseverino, attualmente
destinato a parcheggio. Il condizionale è d’obbligo perché
l’edificio è ancora in fase di pro-
Il Gruppo Aquafil, fondato nel 1969 ad Arco, rappresenta una delle realtà industriali più importanti dell’intera Provincia Autonoma di
Trento. I suoi 13 stabilimenti, dislocati in Italia e all’estero, dimostrano la capacità sia di mantenere i legami con il territorio d'origine,
che di internazionalizzarsi per meglio seguire i mercati finali.
Il Gruppo Aquafil opera principalmente nella produzione e lavorazione della poliammide 6 ed è suddiviso in tre Business Unit: BCF,
che si occupa della produzione di filo per pavimentazione tessile, settore nel quale è il primo player in Europa e secondo nel mondo,
NTF, che realizza fili sintetici per abbigliamento
ed Engineering Plastics (EP), che produce polimeri per lo stampaggio ad iniezione, utilizzati in
vari settori industriali (automotive, elettrico/eletG1052131
tronico, ecc) . Inoltre dal 2008 è stata creata
una nuova Businness Unit, denominata Energy &
Recycling, trasversale alle attività produttive di
tutto il gruppo e volta alla promozione del temi
legati alla sostenibilità, tra cui il riciclo e l’utilizzo di energie da fonti rinnovabili o a basso
impatto ambientale.
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58
l’Adige
Da ritagliare sull’Adige e completare
L’
Il «Giocone dell’Informazione»
LE VIGNETTE FATTE DAI LETTORI
GIUSEPPE FIN
pubblico sui temi che vengono
trattati durante il Festival. Spesso le persone non hanno voce
e tramite questa vignetta tutti
avranno modo di dire la loro
opinione». Un sondaggio, quin-
di, atipico per capire in diretta
cosa pensano i visitatori della
sesta edizione del Festival di
Economia.
Domenica 5 giugno, tra tutte le
vignette consegnate, il pubbli-
AL BRITISH INSTITUTES
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NON SOLO INGLESE!!
FRANCESE • SPAGNOLO
TEDESCO • RUSSO • ITALIANO
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l’Adige
co sceglierà i trenta lavori più
divertenti che saranno poi premiati. «Noi - ci dice Ida - le leggeremo tutte al pubblico ed in
maniera democratica, senza
una giuria ma attraverso l’applausometro si decreteranno
le migliori vignette».
Sotto il grande tendone di piazza Duomo al lavoro ci saranno
anche i giovani vignettisti dello Studio d’Arte Andromeda,
che per l’occasione riceveranno tramite e-mail vignette sul
festival provenienti da artisti di
tutto il mondo che saranno poi
stampante ed esposte ai visitatori. «È un concorso - afferma
Romano Oss presidente di Studio Andromeda - per far partecipare in maniera divertente le
persone da tutto il mondo e
creare, in questo modo, interazione con i visitatori presenti
all’evento».
Le occasioni di divertimento
nel Festival dell’Economia non
si fermano a questo perché proprio nei giorni dell’evento la
coppia Zap&Ida porterà a Trento la loro nuovissima agenda
«tiraMISU’» che i visitatori potranno acquistare e per chi lo
desidera, dichiarando una propria perversione o libidine,
avrà come dedica una vignetta
personalizzata. Da parte invece dello Studio d’Arte Andromeda quest’anno arriverà il primo libro contenente, in 96 pagine, tutte le vignette prodotte
nei cinque anni passati e che a
loro modo, rappresentano la
storia del Festival dell’Economia.
British Institutes è la più grande scuola di lingua inglese operante in Italia da più di 25 anni,
presente con oltre 200 sedi su tutto il territorio
nazionale.
Alcune offerte:
• Corsi per bambini e studenti di tutte le età
• Corsi individuali e collettivi per adulti
• Nelle scuole: attività di lettorato; preparazione alle certificazioni europee e sessioni d’esame tutto l’anno presso la nostra sede.
• In azienda: percorsi personalizzati impostati
sull’apprendimento delle 4 abilità linguistiche
di base, con particolare attenzione alla comunicazione.
G1052019
attualità economica ma
non solo: al Festival dell’Economia anche quest’anno immancabile il divertentissimo spazio «Matite al lavoro (nero)» assieme alla celebre coppia Zap&Ida, con vignette in presa diretta sulle conferenze, il disegnatore Giuliano
Rossetti, il ritrattista Giacinto
Gaudenzi, il caricaturista Umberto Rigotti, il vignettista dell’Adige Rudi Patauner e i molti
giovani umoristi dello studio
Andromeda.
Piazza Duomo si trasformerà in
un vero e proprio salotto del festival con incontri ed informazioni nel segno di una satira
pungente che riguarderà l’argomento principe dell’evento,
«I confini della libertà economica», ma non solo, con un’infinità di vignette e caricature.
Obiettivo di quest’anno sarà
quello di coinvolgere il più possibile i partecipanti. Se infatti
le vignette servono principalmente per divertire, al Festival
dell’Economia diventeranno anche uno strumento di opinione
per dare voce al grande pubblico. Con il «Giocone dell’informazione» messo in campo da
Zap&Ida le persone potranno
partecipare ad un concorso
completando con le proprie
battute le vignette che verranno pubblicate ogni giorno sulle pagine dell’Adige e che dovranno essere ritagliate e consegnate al campo base di piazza Duomo. «Con questo gioco spiega la vignettista Ida - vogliamo far sentire più coinvolto il
59
DA NON
PERDERE
in Trentino
er chi volesse accompagnare le giornate del Festival con una visita ad
una galleria d’arte o ad un museo ecco un carrellata, certamente non esaustiva, delle principali offerte espositive della
provincia. Chi ama la fotografia di montagna, ad esempio,
può visitare il Museo tridentino
di scienze naturali (in via Calepina 14) dove è allestita «Rivers
of Ice», una mostra fotografica
di David Breashears. Nel corso
degli ultimi quattro anni, questo fotografo ha compiuto otto
spedizioni di ricerca sulle montagne più alte del mondo per riprendere immagini corrispondenti ai primi storici documenti fotografici scattati in quelle
stesse aree. Alle Gallerie di Piedicastello – un museo davvero
unico ricavato dentro due gallerie autostradali dismesse – è
possibile vedere la mostra fotografica di Romano Cagnoni: «La
guerra negli occhi». L’esposizione mette in luce la guerra vista
con gli occhi di uno dei fotoreporter contemporanei italiani
più importanti. Oltre cento fotografie, scattate in posti diversi, che testimoniano come la
guerra sia, sempre, dolore, disperazione, miseria. Da segnalare anche l’esposizione «Trento
Under Construction», fotografie
di Paolo Sandri sulla città in trasformazione.
Presso il Castello del Buonconsiglio (in Via B. Clesio) è possibile apprezzare la residenza di
principi vescovi di Trento dalla seconda metà del XIII secolo
fino alla secolarizzazione del
principato (1803). Nel 1973 il
Buonconsiglio diviene Museo
Provinciale d’Arte; dal 1992 è
denominato Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali, al quale fanno capo anche i castelli di Beseno, Stenico e Thun. Quest’ultimo, inaugurato lo scorso anno
dopo un lungo restauro, rappresenta una splendida resi-
P
62
MUSEI, MOSTRE E ALTRO
DURANTE IL FESTIVAL
ALESSANDRO FRANCESCHINI
denza nobiliare con una ricca
collezione di beni mobili. A San
Michele all’Adige si trova il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina che raccoglie un’ampia collezione di oggetti e di
pratiche – implementata dall’antropologo Giuseppe Šebesta – che descrive il sistema
agrosilvopastorale della montagna alpina. Presso il Museo
dell’Aeronautica Gianni Caproni
(in via Lidorno a Trento) è possibile vedere il più antico museo aeronautico al mondo. La
sua fondazione risale agli anni
Venti ad opera di Gianni Caproni (1886 – 1957) e della moglie
Timina Guasti. L’esposizione di
questi giorni, «La sfida del volo»,
propone al pubblico, per la prima volta, alcuni degli aeromobili più significativi delle collezioni del museo: quattro aeroplani e un elicottero esposti all’interno di un rinnovato percorso di visita.
Per chi vuole approfondire la
storia archeologia della città di
Trento è invitato a fare una visita al S.A.S.S. - Spazio Archeologico sotterraneo del Sas (in Piazza Cesare Battisti). Una strada
lastricata, le fondamenta delle
case, tracce di affreschi, i mosaici che adornavano le sale,
un pozzo: sotto la città di Trento, sotto il suo centro, vi è la
sua “matrice” storica, l’antica
Tridentum romana, lo «splendidum municipium», come la
definì l’imperatore Claudio.
Presso la Cappella Vantini di Palazzo Thun (Via Orne 1) è invece possibile vedere la mostra
«Tullio Garbari, il miracolo del colore». Cappella Vantini, antica
cappella di palazzo Thun ideata e realizzata nel corso del
quarto decennio dell’Ottocento, si trasforma, grazie all’intervento di restauro in uno spazio
raccolto e prezioso nel centro
di Trento in cui ospitare piccole mostre di assoluta qualità.
Un luogo intimo, per alcuni
aspetti ancora sacro, cornice
ideale per accogliere le opere
di Tullio Garbari.
Per gli amanti dell’archeologia
lacuale si consiglia il Museo delle palafitte del lago di Ledro (in
via Lungolago 1, Molina di Ledro). Sulle sponde del lago di
Ledro, accanto alle tracce dell’antico insediamento palafitticolo, questo museo espone una
selezione di reperti preistorici,
l’Adige
testimonianze preziose della civiltà dell’età del Bronzo (22001350 a.C.). Per rimanere in tema, al Museo Ladin de Fascia (a
Vigo di Fassa) si possono vedere le collezioni etnografiche dell’Istituto, frutto di vent’anni di
ricerche, ordinate secondo precisi criteri logici e dedicate ai
diversi aspetti della civiltà ladina: la preistoria, le attività
produttive, l’organizzazione
istituzionale, le forme della ritualità civile e religiosa, le credenze e le tradizioni, le dinamiche storiche fino alla trasformazione segnata dall’avvento
dell’alpinismo e del turismo.
Presso il Centro per l’archeologia e la storia antica della Valle
di Non, ovvero il Museo Retico
di Sanzeno (in Via Nazionale 50)
è possibile osservare un’area
particolarmente significativa
per la storia dell’archeologia in
Valle di Non. Qui infatti, negli
anni Venti e Cinquanta del secolo scorso, sono stati effettuati i primi, importanti scavi archeologici che hanno portato
Sanzeno e la Valle di Non alla
notorietà scientifica internazionale.
Presso Castel Pergine, Pergine
Valsugana, si può godere della
mostra en plein air di Graziano
Pompili, «Ort». Le sculture si trovano nel percorso tra le due cinta murarie e nel giardino interno. Altre opere in metallo sono
ambientate nelle sale interne
del maniero medievale. Il progetto, di carattere antologico,
prevede inoltre l’esposizione
di alcuni disegni e quadri.
Per chi si reca a Rovereto si consiglia una visita al Museo Storico Italiano della Guerra (in via
Castelbarco 7) e della mostra
«Fiume! Scene, volti, parole di una
rivoluzione immaginata. 19191920» che racconta gli eventi
del 1919 quando, all’indomani
della fine della Grande Guerra,
attorno a Fiume si raccolsero
da tutta Italia intellettuali, soldati, militanti rivoluzionari,
Da non perdere in Trentino
tografica del territorio gardesano
(sec. XIV – XIX)». Si tratta di un
«racconto cartografico» che segue le linee e i colori disegnati
su antiche carte geografiche
dalle mani di autori noti e ignoti. Dialoga con queste particolarissime carte un «viaggio» fotografico nell’oggi, realizzato
da Pierluigi Faggion: scorci di
grande suggestione ripropongono il fascino immutato del
paesaggio gardesano. In Val di
Sella, presso Borgo Valsugana,
merita una visita ad Arte Sella.
Incontri Internazionali Arte Natura.
Si tratta di una manifestazione
internazionale di arte contemporanea nata nel 1986, che si
svolge all’aperto nei prati, nei
boschi della Val di Sella. L’opera è seguita giorno per giorno
nel suo crescere e l’intervento
dell’artista deve esprimere il
rapporto con la natura basato
sul rispetto, traendo da essa
ispirazione e stimolo.
A Trento sono attive anche alcune vivaci gallerie d’arte. Presso la Galleria Arte Boccanera Contemporanea (via Milano a Trento) è possibile vedere la mostra
«Affinità elettive». L’esposizione, mettendo a confronto quattro giovani emergenti (Elena
Monzo, Pierluca Cetera, Valentina Miorandi, Stefano Abbiati)
con quattro maestri storici Ali-
ghiero Boetti, Bill Viola, Emilio
Isgrò, Giuseppe Penone) intende evidenziare la migrazione di
motivi, di ipotesi, di composizioni tra l’ieri e l’oggi, tra energie antiche e nuovi quesiti.
Presso lo Spazio Pretto a Trento (in piazza San Benedetto) sono esposte le fotografie di Matteo Fedrizzi.
Con questo lavoro dal titolo:
«Madrid.Wiederaufbau3.» questo
fotografo di origini trentine,
prosegue la progettualità per
l’anno 2011, rivolta al tema del
paesaggio urbano. Allo Studio
d’Arte Raffaelli (in via Marchetti, 17) è possibile apprezzare
una mostra di Federico Lanaro
«Super-natural!». La mostra segue il concetto del super-naturale che ha caratterizzato la
produzione dell’artista nell’ultimo anno. Sono esposte due
recenti serie di lavori, riflessioni sul comportamento umano,
sulle gioie e le inquietudini dello stare in gruppo, sulla convivenza e la sopravvivenza.
G1051845
uomini e donne, decisi a rifiutare il dettato di Londra e a dare vita ad un’esperienza che
esaltasse l’identità italiana della città. Sempre in questo museo è ospitata la mostra
«Paesaggi di guerra. Il Trentino
nel 1919: le rovine e la ricostruzione». Una mostra fotografica,
ricca di immagini inedite nei
luoghi che tra il 1915 e il 1918
furono sconvolti dai bombardamenti e dai combattimenti.
Presso il Mart, il Museo di arte
moderna e contemporanea di
Trento e Rovereto (in Corso
Bettini, 43) è possibile osservare, oltre alla collezione permanente, la mostra «La rivoluzione
dello sguardo. Capolavori impressionisti e post-impressionisti dal
Musée d’Orsay». Sempre a Rovereto, presso la Casa d’arte futurista Depero (Via Portici) si può
godere di una esposizione delle opere di Fortunato Depero.
Alla suggestiva Rocca di Riva del
Garda è allestita la mostra «Il lago di carta. Rappresentazione car-
l’Adige
63
Gli eventi dello Scoiattolo
l Festival non vive solo di dotte relazioni e confronti tra illustri relatori. Nei giorni dello Scoiattolo, infatti, Trento si
trasforma: la città sembra diventare un grande campus, e la
«febbre» arancione contagia tutti. Grandi e piccini. È anche per
questo che, accanto al programma «scientifico», si è sviluppata negli anni una serie di
iniziative, eventi, manifestazioni che accompagnano il pubblico del Festival in queste giornate così piene.
Partiamo dal cuore della città:
piazza Duomo ospita, come di
consueto, il campo base del Festival. È il centro dove si ottengono tutte le informazioni, dove si acquistano i gadget dello
Scoiattolo, e da dove si possono seguire gli incontri in diretta.
Qui saranno al lavoro i vignettisti dello Studio d’Arte Andromeda, Giuliano, Zap&Ida, il ritrattista Giacinto Gaudenzi, il caricaturista Umberto Rigotti e Rudi Patauner. Lo faranno con una
nuova formula: «Matite al lavoro (nero)». Zap&Ida propongono anche quest’anno il «giocone
dell’informazione»: i visitatori
potranno partecipare ad un
concorso completando, con
una interpretazione personale,
una vignetta.
Piazza Duomo ospita un altro
punto fisso del Festival, consacrato dal successo degli anni
scorsi: la libreria del Festival,
con il contributo delle librerie
della città. In tre bar della piazza (Caffè Duomo 34, Caffè Italia
e Caffè Portici) si svolgeranno
inoltre i caffè dell’economia, dove il pubblico potrà incontrare
i relatori del Festival.
Da una piazza all’altra: piazza
Fieraospita
gli
spazi
dell’«Altraeconomia»: ci sono gli
stand di alcuni dei protagonisti dell’economia solidale trentina, l’Ecosportello «Fa’ la Cosa
Giusta» e il «Bioristoro».
In programma ci sono molti incontri, come «Pulire … naturalmente!», un laboratorio per
adulti, o «Liberi dal mercato. Consumare meno e vivere meglio»,
con la partecipazione di Enrico
Giovannini, presidente dell’Istat.
Ci saranno anche una Ciclofficina per riparare insieme la bicicletta e una lezione aperta di
Franco Ulcigrai sull’economia
alla scuola Waldorf ovvero ma-
I
IL FESTIVAL
IN
PIAZZA
LA FEBBRE ARANCIONE
CONTAGIA LA CITTÀ
l’Adige
tematica per i ragazzi di 12 anni. Come ogni anno funzionerà
il Bicigrill del Festival.
In piazza Cesare Battisti troviamo la postazione di Radio Dolomiti, che garantirà le dirette dai
grandi eventi: le mostre di ExpoFestival («Linguaggi e territori» - ASPART, Galleristi trentini
a Palazzo Trentini; «Nigeria una
terra che perde, una terra che
brucia» - Amnesty International
a Palazzo Saracini Cresseri; «Fare Green - Habitech, Trentino
Sviluppo e Comune di Trento a
Palazzo Roccabruna, e nelle vie
del centro storico si potranno
vedere sette progetti che coniugano arte, scienza, sostenibilità e innovazione).
Spazio anche per chi ama il cinema: sono in programma presso il Cinema Astra e presso la
Sala Fondazione Caritro (questi ultimi proposti a cura della
Cooperativa Mandacarù) cinque film di importanti registi
che hanno trattato temi attinenti all’argomento del Festival:
«The Social Network», di David
Fincher, «Il gioiellino», di Andrea
Molaioli, «Wall Street: il denaro
non dorme mai», di Oliver Stone, «Grandi speranze», di Massimo D’Anolfi e«Logorama», di
François Alaux, Hervé de Crécy, Ludovic Houplain.
Due, infine, gli spettacoli in calendario: uno a Trento, «La febbre del denaro», viaggio letterario a cura di Alfonso Masi, e uno
a Rovereto, «-Spr+eco», di Andrea Segrè in scena con Federico Taddia con immagini di
Francesco Tullio Altan.
Spazio agli approfondimenti
economici con il format
«Confronti», con una serie di incontri di un’ora circa, dedicati
a un tema e con il coinvolgimento di alcune realtà locali e nazionali, e al termine dei quali ci
sarà spazio per le domande del
pubblico.
La Provincia di Trento, da parte sua, propone un punto tecnico di informazione e riflessione sull’economia locale: in piazza Duomo, si potrà assistere alle conversazioni e ai confronti
di «La tenda aperta». Saranno 15
le conversazioni, animate dalle parti sociali, e toccheranno
argomenti diversi, raggruppati in quattro tematiche: «Fuori
dal tunnel?», «Equità e Inclusione», «Acceleratori del sistema»,
«Sulle ali dell’innovazione».
65
dei Mocheni al burro fuso.
LE DUE SPADE
Storico ristorante stellato nel
cuore dell’antica Tridentum. Una
bomboniera, ideale per una cenetta romantica a lume di candela. Cucina stagionale raffinatissima con proposte di carne e pesce. Lo chef Federico Parolari
consiglia: sfogliatine di gamberi
d’acqua dolce con crema ai formaggi di malga. Ricca la carta dei
vini e dei distillati.
Giorno di chiusura domenica
TRATTORIA DUE MORI
DOVE
MANGIARE
Giuseppe Casagrande
VIA DON ARCANGELO RIZZI, TEL. 0461-234343
Giorno di chiusura domenica e lunedì a mezzogiorno
SCRIGNO DEL DUOMO
Ristorante e wine-bar con giardino che si affaccia su una delle
piazze più belle d’Italia e d’Europa. Propone una cucina raffinata
che coniuga tradizione e innovazione. Inappuntabile il servizio.
Lo chef pluristellato Alfredo
Chiocchetti seduce i buongustai
con le sue creazioni. Eccellente
la cantina con una carta vini che
vanta oltre 800 etichette nazionali e internazionali.
PIAZZA DUOMO, TEL. 0461-220030
Giorno di chiusura il lunedì; sempre aperto il winebar
RISTORANTE DA GUIDO
Il Ristorante Osteria «Da Guido»
(ex Chiesa) sorge a due passi dal
Castello del Buonconsiglio ed è
ubicato all’interno del parco San
Marco al piano terra del settecentesco Palazzo Wolkenstein.
Nuova gestione, nuova filosofia e
nuove proposte gastronomiche
legate al territorio e alle stagioni.
Cucina regionale con menu della
tradizione in un ambiente di
grande fascino.
PARCO SAN MARCO, TELEFONO 0461-262418
Giorno di chiusura la domenica
BIRRERIA FORST
L’antica birreria Forst di Via Oss
Mazzurana è uno dei locali storici della città. Franco Oppici propone i piatti della tradizione trentino-tirolese: dalla carne salada
al goulasch con polenta e formaggi di malga, dagli strangolapreti al filetto al pepe verde, dalle grigliate allo strudel. Richiestissimio il «Piatto Forst» con canederli al sugo, crauti, carrè di
maiale, arrosto di vitello e würstel. Cortesia e professionalità la
nota distintiva del locale.
VIA OSS MAZZURANA 38 TEL. 0461- 235590.
Giorno di chiusura: lunedì.
RISTORANTE AL VO’
Antica osteria del centro storico:
sorge nell’omonimo vicolo là do-
VIA DEGLI ORTI, TEL. 0461-984400
ve un tempo scorreva l’Adige.
Francesco Antoniolli propone
con rigore i piatti della tradizione trentina: trippe, strangolapreti, canederli, tortel di patate,
smacafam, baccalà con la polenta di Storo. Cucina schietta e genuina. Meditata la carta dei vini
e dei distillati.
VIA SAN MARCO, 11, TEL. 0461-984251
Giorno di chiusura lunedì
VICOLO DEL VO’, TEL. 0461-985374
Giorno di chiusura domenica
TRATTORIA AL PAROL
TRE GAROFANI
Antica trattoria del centro storico. Sorge in via Mazzini ed è il regno di Giovanna Linardi e di Niko Marzari, che propongono una
cucina innovativa: non più canederli e trippe (come ad inizio Novecento), ma raffinati piatti di pesce, carne e verdure. Una delizia
la terrina di polipo con pomodoro, capperi e olive. Da applausi
anche il cosciotto d’agnello arrotolato e ripieno di asparagi con
patate rosolate. Quanto mai ricca la carta dei vini con una selezione delle migliori etichette.
VIA MAZZINI, 33, TEL. 0461-237543
Giorno di chiusura: la domenica
TRATTORIA AL TINO
Antica trattoria del centro storico cittadino. Elio Tonetta prende
per la gola i buongustai che amano la cucina tradizionale trentina
con pochi piatti, semplici, schietti e genuini. Piatti consigliati: canederlotti al Puzzone di Moena e
carne salada con i fagioli. Nella
carta dei vini privilegiate le etichette trentine.
Nata alla fine del Quattrocento in
un rione (la Contrada di San Martino) disseminato di locande e
osterie storiche, l’antica trattoria «Due Mori» di via San Marco
— riportata agli antichi splendori da Fabio Dalpalù — continua a
tenere alto il prestigio della cucina trentina. Una cucina semplice,
schietta, genuina, ancorata al
territorio, ma «rivisitata» con un
tocco di fantasia e originalità.
Piatto consigliato: tortelloni alle
mele. Ricca la carta dei vini e dei
distillati.
Una graziosa trattoria alle porte
della città sulla collina di Povo a
due passi dalla cittadella universitaria di Mesiano. Lo chef Antonio Meraglia, pugliese d’origine,
propone soprattutto cucina di
mare in chiave mediterranea:
dall’insalata calda di polpo con
cozze gratinate agli spaghetti al
nero di seppia, dalla zuppetta di
pesce ai gamberoni sgusciati con
le verdure di stagione.
VIA MESIANO, 40, POVO DI TRENTO
Giorno di chiusura domenica
VILLA MADRUZZO
Antica residenza del principe vescovo Emanuele Madruzzo, la
villa sorge sulla collina di Cognola. Splendide le sale, raffinata la
cucina proposta dal patron Battista Polonioli. Piatti stagionali di
carne e di pesce in un connubio
di amorosi sensi tra creatività e
tradizione. Piatto consigliato: filetto di cervo al Teroldego con
confettura di mirtillo rosso. Ricca la carta dei vini e dei distillati.
VIA PONTE ALTO, 26, COGNOLA, TEL. 0461986220
VIA SANTISSIMA TRINITÀ, TEL. 0461-984109
Giorno di chiusura domenica
RISTORANTE ORSO GRIGIO
Il ristorante (con giardino) sorge
nel cuore della città all’ombra
delle storiche mura che proteggevano l’antica Tridentum. Fabio
«Barba» Decarli propone i piatti
tipici della tradizione trentina:
canederlotti, strangolapreti, orzet, formai rostì con la polenta di
Storo. Ricca la carta dei vini. Piatto consigliato: i rufioi della Valle
l’Adige
Giorno di chiusura domenica
MASO CANTANGHEL DA LUCIA
È uno dei templi della gastronomina trentina. Lucia Gius propone una cucina casalinga, rispettosa delle tradizioni trentine e
fatta di materie prime genuine legate allo scorrere delle stagioni.
Il menu varia di giorno in giorno
secondo l’estro della patronne e
le disponibilità del mercato. Da
non perdere, in questo periodo,
il risotto con gli asparagi di Zambana e, come chicca finale, il gelato alla crema di nocciole spolverato di cacao amaro.
VIA MADONNINA, 33, CIVEZZANO, TEL. 0461858714
Giorni di chiusura sabato e domenica
LOCANDA MARGON
Il ristorante-gourmet della famiglia Lunelli sorge su una splendida balconata che domina la Valle dell’Adige. Prende il nome dalla vicina Villa Margon, splendido
complesso cinquecentesco sede
di rappresentanza delle cantine
Ferrari. La Locanda Margon offre
una duplice proposta: il «Salotto
Gourmet» per gli appassionati
della cucina d’autore, e la «Veranda» per chi non vuole rinunciare
alla qualità in occasione di un
pranzo di lavoro. Alfio Ghezzi,
fresco di laurea (leggi «stella» Michelin), ripropone i piatti della
tradizione rivisitandoli con quel
tocco di genialità e creatività che
è prerogativa dei grandi chef.
Molto apprezzato è il «menu bollicine» in onore della casa spumantistica Ferrari, proprietaria
dell’immobile.
VIA MARGONE 15 RAVINA, TEL. 0461-349401
Giorni di chiusura domenica sera e martedì tutto il giorno
MAS DELA FAM
Ricavato da un antico rustico risalente al 1800, posto su una collinetta che domina la Valle dell’Adige tra Ravina e Romagnano,
il «Mas dela Fam» non è solo un
semplice ristorante, ma una
struttura poliedrica che è anche
osteria, speck stube, wine bar e
sala meeting. Titolare è Luca Boscheri che ha coronato un sogno
lungo 40 anni quando suo padre
Franco acquistò lo stabile, distrutto da un incendio, con l’idea
di riportarlo in vita come locale
pubblico. Dislocato su tre piani,
il «Mas dela Fam» si propone come luogo d’incontro, dove cultura del cibo e del buon bere si fondono con le tradizioni. Sontuosa
la carta dei vini.
VIA STELLA 18, RAVINA DI TRENTO, TEL. 0461349114
Sempre aperto a pranzo e cena
67
TRENTO
HOTEL ACCADEMIA Si trova nel cuore del centro storico, a pochi passi da Piazza del
Duomo. La disponibilità è di 40
stanze, di cui 4 Junior suite e 3
Superior. La sistemazione in camera doppia con prima colazione costa 165 euro (105 la singola).
TEL. 0461 233600
Vicolo Colico 4
e.mail: [email protected]
GRAND HOTEL TRENTO Praticamente di fronte alla stazione dei treni, è raggiungibile
facilmente in macchina; a cinque minuti da piazza del Duomo.
Prezzi minimi a partire da 65 euro in doppia e 110 in singola.
TEL. 0461 271715
Via Alfieri 1
e.mail:
[email protected]
HOTEL BUONCONSIGLIO
È uno tra gli alberghi più nuovi.
È vicino alla stazione dei treni e
vicino al centro storico. Per camera e prima colazione, il listino riporta prezzi a partire da 98
euro (doppia) e 78 (singola).
TEL. 0461 272888
Vicolo Romagnosi 14
e.mail: [email protected]
AQUILA D’ORO TEL. 0461 825300
Corso Alpini 1
e.mail: [email protected]
SPORTING TRENTO go con sole 16 stanze. Il costo
per notte per persona oscilla tra
i 98 ed i 120 in euro nella singola e tra 76 ed i 100 per persona
nella doppia.
TEL. 0461 986282
Via Belenzani 76
e.mail: [email protected]
ALBERMONACO È vicinissimo al centro storico
ma praticamente di fianco al Castello del Buonconsiglio. È dotato di un centro fitness. Prezzi minimi fra i 63 ed i 95 euro con prima colazione.
TEL. 0461 983060
Via Torre d’Augusto 25
e.mail: [email protected]
HOTEL AMERICA È poco lontano dalla stazione e
dal centro; parcheggio convenzionato. Stanza e colazione fra
72 (singola) ed i 112 (doppia) euro.
Di recente costruzione, ha 41 camere e 79 posti letto. Si trova
fuori dal centro storico della città che si può raggiungere sia a
piedi sia con i mezzi pubblici.
Tariffe base con prima colazione da 90 a 110 (doppia) euro.
TEL. 0461 391215
Via Sanseverino 125
e.mail:
[email protected]
GARNÌ VILLA FONTANA Costruito da non molti anni, il
garnì si trova in posizione tranquilla, facilmente raggiungibile
in auto. Il centro dista poco più
di dieci minuti a piedi. Tra i 47
(a persona in stanza doppia) ed
i 65 euro il prezzo base con prima colazione.
TEL. 0461 829800
Via F.lli Fontana 11
e.mail: [email protected]
TEL. 0461 983010
Via Torre verde 52
e.mail: [email protected]
HOTEL EVEREST È comodo per chi arriva in auto-
G1052002
Centralissimo, in via Belenzani,
a ridosso di Piazza del Duomo.
Recentemente rinnovato. È un
piccolo ma confortevole alber-
DOVE
DORMIRE
mobile a Trento, e in una posizione assolutamente tranquilla,
nonostante la relativa vicinanza
al centro storico. Tra i 47 (a persona in stanza doppia) ed i 65
euro il prezzo base con prima
colazione.
68
l’Adige
HOTEL VENEZIA Si affaccia su piazza Duomo: da
alcune delle sue stanze si ammirano direttamente la cattedrale
e la fontana del Nettuno. Il prezzo per persona (prima colazione inclusa) parte da 76 (in doppia) e 55 euro (singola).
TEL. 0461 234559
Via Belenzani 70
e.mail: [email protected]
AGRITUR LE GIARE
Si trova nella periferia sud della
città, immerso nel verde e lontano dai rumori del traffico. Dispone di 3 appartamenti per un totale di 8 posti letto. Con la prima
colazione, il pernottamento costa fra i 45 ed i 50 euro.
TEL. 346 7202903
Via Fersina 30
e.mail: [email protected]
CASA POMPERMAIER
È un Bed & breakfast che si trova in città, anche se fuori dal
centro storico. Dispone di 3 camere e mette a disposizione gratuitamente le biciclette, comodissime per spostarsi in città,
soprattutto durante le giornate
del Festival dell’economia. Tra i
70 (doppia) e i 40 euro (singola)
il costo per una notte.
TEL. 0461 822190
Via Lavisotto 39
e.mail: [email protected]
OSTELLO DELLA GIOVENTÙ
Si trova in via Torre Vanga, a
fianco della stazione delle autocorriere ed a cento metri da
quella dei treni ed all’ingresso
del centro storico.
mo) fra i 65 (singola) ed i 95 euro (la stanza).
Ha 32 camere. La singola costa
26 euro, la doppia 21,5 (18,5 la
tripla).
TEL. 0461 986220
TEL. 0461 263484
Loc. Ponte Alto 26
e.mail: [email protected]
NEI DINTORNI
HOTEL ADIGE Si trova a Mattarello, 5 chilometri a sud di Trento. I collegamenti con l’autobus sono buoni. Singola a partire dai 59 euro e la
doppia a partire da 69.
TEL. 0461 944545
Via Pomeranos 2
e.mail: [email protected]
ALPINE MUGON Si trova in Vason, sul monte Bondone. Dispone di un attrezzato
centro benessere. Ci sono offerte settimanali a partire da 300
euro. Per una notte servono almeno 50 euro.
TEL. 0461 939063 – 0461 947116
Strada per Vason 118 – 38123
Vason - M. Bondone
DOVE
DORMIRE
e.mail: [email protected]
CAPITOL Si trova a Gardolo. Ha 44 camere. Con la prima colazione, la tariffa parte da 40 e 50 euro.
TEL. 0461 993232
Via Soprassasso 32
e.mail: [email protected]
VILLA MADRUZZO Sorge a Cognola, sulla collina di
Trento, a circa 5 chilometri dal
centro. Ha un parcheggio privato ed è circondato da un parco.
Ha 50 camere. Pernottamento e
prima colazione costano (mini-
HOTEL VELA L’albergo sorge poco fuori la città, non lontano dal casello nord
dell’autostrada e raggiungibile
comunque anche con i mezzi
pubblici. Dormire e fare colazione costa tra i 44 ed i 55 euro a
persona al giorno.
TEL. 0461 827200
Via Ss. Cosma e Damiano 21
e.mail: [email protected]
AERHOTEL Sorge a Trento sud, dispone di
un ampio parcheggio. Ha 20
stanze. I prezzi oscillano fra i 40
ed i 55 euro con prima colazione.
TEL. 0461 944999
Via Lidorno 3
e.mail [email protected]
Sorge in mezzo alla campagna a
sud di Trento, nel sobborgo di
Romagnano. Dispone di 8 stanze, 4 appartamenti e servizio ristorazione. Prezzi minimi fra i 30
(in tripla) ed i 45 euro (singola)
per un minimo di 3 notti con la
prima colazione.
TEL. 0461 349204
Via di Malebis, 1A Romagnano
e.mail: [email protected]
LOCANDA DEL BEL SORRISO
È collegata alla storica dimora
barocca del XVII secolo Villa Bertagnolli (B&B). È immersa nel
verde della strada delle Novaline, 7 km a sud di Trento. A partire da 35 euro a testa in doppia.
TEL. 0461 942212
Strada delle Novaline 42
e.mail [email protected]
ALTRE INFORMAZIONI
Altri indirizzi sono disponibili
presso l’Apt Trento e Monte
Bondone. Tel 0461-216000; [email protected]
(www.apt.trento.it)
L1051806
Via Torre Vanga 11
e.mail: [email protected]
AGRITUR PRÀ SEC’
l’Adige
69
MARCHIODI
L’ANGOLO DELL’APERITIVO
Per un aperitivo accompagnato
da un ricchissimo buffet. Orario:
07.30 - 14.30 / 18.30 - 21.30.
Chiusura: domenica.
BAR FIORENTINA
È il più noto happy hour universitario (però di martedì, dalle 18
alle 21): birra media a 2 euro,
spritz a 1,50 euro (piccolo).
Orario 7 – 21 Chiusura: domenica
Via Calepina, 2
TEL. 0461-236147
CAFFÈ ITALIA
Aperitivo in centro città con
spettacolare vista su piazza Duomo.
Orario 6.30 – 21.30
Piazza Duomo, 7
TEL 0461-985265
CAFFÈ VERDI
Aperitivo rilassante. Il locale è
dotato di postazione internet.
Orari: 7-24, chiuso il sabato
Via Verdi, 31
TEL 0461-261912
CAFFÈ CARDUCCI
RANDRÈ
Giovanile e alla moda, l’ideale
per il rito dell’aperitivo, orario:
07.30-24. Domenica chiuso
Dal primo caffè all’ultimo drink,
anche all’aperto. Orari: 07.3002.00 Chiusura: domenica.
Via del Suffragio, 27
TEL. 0461-232064 OK
Corso III Novembre 43
TEL: 0461-390696 OK
CAFFÈ CITTÀ
OSTERIA S. MARTINO
Numerosi tavolini esterni, spaziosa sala interna, per una pausa
all’insegna del relax.
Orario 7-21. Chiusura: lunedì.
Sfiziose proposte alimentari in
un ambiente «vero». Orario : 8 –
21 Chiusura: domenica – sabato
a pranzo
Piazza C. Battisti, 10
TEL. 0461-230265
Largo Carducci, 18
TEL. 0461-982164
Via S. Martino n. 42
IL SIMPOSIO
PASI
L’ideale per un aperitivo all’aria
aperta a ridosso del Duomo. Orario: 6.30- 00.30. Domenica chiuso.
Piazza Pasi, 2
TEL. 0461-982301
OSTERIA DELLA MAL’OMBRA
Un ambiente raccolto in cui la parola «fretta» è abolita. Ricca carta vini, grappe, rum, whisky e
molto altro. Orario: 8-1.00. Chiusura: domenica.
CAFFÈ ROSSINI
fet a 5 euro. Orario 7.30 - 24
Largo Carducci, 25
TEL. 0461-235261
Piazza Fiera, 13
TEL: 0461-986255
ENOTECHE, PUB, BIRRERIE
BIRRERIA PEDAVENA
Ambiente spazioso (600 posti a
sedere all’interno, 180 all’esterno) dove gustare specialità trentine e tirolesi accompagnate da
Gustosi piatti della cucina nazionale, aperitivi, cocktail e una ricca carta vini. Orario 8 – 14.30 / 18
– 1.30 . Chiusura: domenica e sabato a pranzo
Via Rosmini, 19
TEL: 0461-261848
G1052112
Affollato e ottimo per un aperitivo in compagnia; happy hour
dalle 18.00 alle 21: spritz con buf-
DOVE
DIVERTIRSI
Piazza Battisti, 4
TEL. 0461-235795
birra prodotta artigianalmente.
Orario : 8.30 – 00.30, prefestivi fino all’1. Chiusura: martedì.
l’Adige
71
musica e allegria nel post serata. Apertura: lun-ven 19.30-1.00;
sab 18 - 01.00.
BOSTON
Atmosfera da tipico American
Bar, punto d’incontro per abbondanti colazioni, sfiziose pause pranzo e gustose fast food. Si
può trascorrere qualche ora ingannando il tempo impegnandosi con i tavoli da biliardo. Orari
7-24. Chiusura: domenica.
Via S. Francesco, 8 - Trento
TEL: 0461-238069
Via Sanseverino, 27 Trento
LA CANTINOTA
DOVE
DIVERTIRSI
Ristorante pianobar, uno dei
punti di ritrovo storici del centro città. Orari: 12-15 e 17-24.
Via San Marco, 22-24 Trento
TEL. 0461- 238527
FEELING BAR
Per una serata a base di cocktail
e whisky. Orario: 9.30-24. Chiuso
la domenica.
Piazza Garzetti, 14 Trento
TEL. 0461/980235
PER I PIÙ GOLOSI...
GRADO 12
OLD BAR & FOOD
PASTICCERIA VIENNESE
Degustazione, sommelier, vendita prodotti e bottiglie da
asporto. Ampia scelta di vini, da
tutta Italia e dal mondo, di liquori e distillati e di altri prodotti
enogastronomici. Orari: 9-13 e
15.30-20. Chiusura domenica e
lunedì mattina.
Un’idea dinamica con degustazioni, buon gusto e le migliori
etichette dei vini nazionali e regionali e 7 spine di birra, spazio
alla musica e alle arti visuali.
Orari: 10-16 e 18-02.Chiuso la domenica.
Orario: 6.30-22.
Via Largo Carducci, 12
TEL: 0461-982496
LIVE CLUB
COCKTAIL&WINE BAR
Via Roggia Grande 8, Trento
TETLEY’S PIZZERIA - PUB
Per gli amanti del genere «british». Sei birre alla spina, puro
stile inglese, relax e musica. Orari: 18-24. Chiuso: domenica.
Via degli Orti, 1 Trento.
TEL. 0461 233477
EXSENSE FASHION CAFE
Resta aperto fino a tarda notte,
passando per uno stuzzicante
pranzo, uno sfizioso aperitivo,
Corso 3 novembre, 2 Trento
TEL. 0461 236490
PASTICCERIA BERTELLI
Orario: 8-12.30 e 15-19. Domenica: 8.30-12.30.
Via Oriola, 29 Trento
TEL. 0461 984765
PASTICCERIA SAN VIGILIO
Orario aperture 7-19.
G1052054
Via San Vigilio, 10 Trento
TEL. 0461-230096
l’Adige
73
l’Adige
75
BIBLIOTECA COMUNALE
PALAZZO PROVINCIA
TEATRO SOCIALE
PALAZZO BASSETTI
CASTELLO BUONCONSIGLIO
PALAZZO THUN
PALAZZO GEREMIA
SEDE OCSE
FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA
PALAZZO CALEPINI
FACOLTA’ DI ECONOMIA
FACOLTÀ DI SOCIOLOGIA
SALA FILARMONICA
AUDITORIUM SANTA CHIARA
GIOVEDÌ 2 GIUGNO
15 INAUGURAZIONE
CASTELLO
DEL BUONCONSIGLIO
Alessandro Andreatta, Tito Boeri,
Innocenzo Cipolletta, Lorenzo Dellai,
Giuseppe Laterza, Roberto
Napoletano, Corrado Passera
A seguire «In memoriam»: proiezioni
di brani dell’intervento di Tommaso
Padoa-Schioppa alla prima edizione
del Festival dell’Economia nel 2006
con un ricordo di Fabrizio
Saccomanni
17.30 VISIONI
PALAZZO DELLA PROVINCIA
Dani Rodrik con Tito Boeri
IL FUTURO DELLA GLOBALIZZAZIONE
Non possiamo dare per scontato il
futuro della globalizzazione a meno di
non prendere sul serio le lezioni della
storia. Una sana globalizzazione si
fonda sul delicato equilibrio tra
l’orizzonte complessivo del mercato
globale e le prerogative degli Statinazione. Se si spinge troppo verso
l’una o l’altra direzione si ottiene
instabilità e perdita di legittimità. Negli
ultimi tempi la bilancia s’è spostata
troppo verso le esigenze del mercato
globale, una situazione che ha
bisogno di essere riequilibrata.
18.30 INCONTRI CON L’AUTORE
PALAZZO GEREMIA
Monica D’Ascenzo, con Corrado
Passera e Anna Maria Tarantola.
FATTI PIÙ IN LÀ. DONNE AL VERTICE
DELLE AZIENDE. LE QUOTE ROSA NEI
CDA.
21 TESTIMONI DEL TEMPO
TEATRO SOCIALE
Enrico Bondi con Marco Onado
IL CASO PARMALAT
VENERDÌ 3 GIUGNO
10 LE PAROLE CHIAVE
FACOLTÀ DI ECONOMIA
Gianmarco Ottaviano
LIBERO SCAMBIO
10 INCONTRI CON L’AUTORE
BIBLIOTECA COMUNALE
Luca De Meo
DA 0 A 500
10 CONFRONTI
PALAZZO CALEPINI FOND.
CARITRO
Audrey Gaughran (Amnesty
International)
LA CRISI DEI DIRITTI NELL’ECONOMIA
GLOBALIZZATA
10.30 PASSATO PRESENTE
CASTELLO BUONCONSIGLIO
Maristella Botticini
NORME SOCIALI, RELIGIONI
E LIBERTÀ ECONOMICA
11 DIALOGHI
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
Franco Bassanini, Gianni Dragoni,
Fausto Panunzi
CASSA DEPOSITI E PRESTITI: UNA
NUOVA IRI?
IL PROGRAMMA
DEL FESTIVAL
11 DIALOGHI
PALAZZO GEREMIA
Enrico Giovannini, Matteo Motterlini,
Giuseppe Mussari, Marco Onado
LIBERI SE INFORMATI
11 CONFRONTI
SALA FILARMONICA
Giuliano Giubilei, Francesco Greco,
Ivan Lo Bello, Sergio Rizzo, Valerio
Zappalà
LE BANCHE DATI DELLE CAMERE DI
COMMERCIO COME STRUMENTO
CONTRO LA CRIMINALITÀ
ECONOMICA
11 CONFRONTI
EX CONVENTO AGOSTINIANI
SEDE OCSE
Sergio Arzeni, Bruno Dallago, Aart De
Geus, Joachim Möller
PRODUTTIVITÀ E LAVORO: IL RUOLO
DELLE ISTITUZIONI, DEL SINDACATO
E DELL’IMPRESA NELL’ATTUALE CRISI
ECONOMICA
12 PRO E CONTRO
PALAZZO DELLA PROVINCIA
SALA DEPERO
Alberto Orioli, Roberta Carlini. Pro:
Francesca Bettio; contro Oria
Gargano
BISOGNA LEGALIZZARE E TASSARE
LA PROSTITUZIONE?
12 INCONTRI CON L’AUTORE
BIBLIOTECA COMUNALE
Paolo Legrenzi, con Maurizio Ferraris
e Luigi Mittone
I SOLDI IN TESTA. PSICOECONOMIA
DELLA VITA QUOTIDIANA
15 FOCUS
CASTELLO
DEL BUONCONSIGLIO
Jürgen Von Hagen
L’EUROPA E LA CRISI DEL
DEBITO PUBBLICO
15 INCONTRI CON L’AUTORE
PALAZZO GEREMIA
Pascal Salin
RITORNARE AL CAPITALISMO
15 INCONTRI DEL SOLE 24 ORE
FONDAZIONE BRUNO KESSLER
Alberto Orioli, Alessandro De Nicola,
Valerio Onida, Nicola Rossi
LIBERTÀ D’IMPRESA: COSA NON VA
NELL’ARTICOLO 41 DELLA
COSTITUZIONE?
15 CONFRONTI
PALAZZO CALEPINI SALA
FOND. CARITRO
Alessandro Olivi, Claudio Siciliotti,
Donatella Treu, Ilaria Vescovi
INCENTIVI, CONTRIBUTI E LIBERA
CONCORRENZA
16 FOCUS
TEATRO SOCIALE
Roberto Maroni
LE POLITICHE DELL’IMMIGRAZIONE
16 FOCUS
FACOLTÀ DI ECONOMIA
Lucrezia Reichlin
COSA FANNO I BANCHIERI
16.30 INTERSEZIONI
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
Michele Salvati, Loredana Sciolla
TRA SOCIETÀ CIVILE E SOCIETÀ
POLITICA IN ITALIA
16.30 INCONTRI CON L’AUTORE
PALAZZO GEREMIA
Daniel S. Hamermesh
BEAUTY PAYS
17 CONFRONTI
FACOLTÀ DI SOCIOLOGIA AULA
KESSLER
Vittorio Agnoletto, Michele Curto,
Emilio De Capitani, Oliviero Forti,
Maria Grazia Giammarinaro, Claudia
Merlino
IMMIGRAZIONE E LOTTA AL TRAFFICO
DI ESSERI UMANI TRA DIRITTI,
SICUREZZA E MERCATO DEL LAVORO
17 IL CAFFÈ DELL’ECONOMIA
CAFFÈ DUOMO, PIAZZA
DUOMO
IL PUBBLICO INCONTRA I RELATORI
DEL FESTIVAL AL BAR
17.30 ALLA FRONTIERA
SALA FILARMONICA
Alberto Alesina
È POSSIBILE TAGLIARE LA SPESA ED
ESSERE RIELETTI?
17.30 FOCUS
CASTELLO DEL
BUONCONSIGLIO
Angelo Del Boca
LA GRANDE RIVOLTA ARABA
18 FOCUS
PALAZZO DELLA PROVINCIA
SALA DEPERO
Alan Krueger
OBAMACARE: COME FUNZIONA
REALMENTE LA RIFORMA SANITARIA
NEGLI STATI UNITI?
18.30 FOCUS
FONDAZIONE KESSLER
Michael Burda
DIETRO IL MIRACOLO TEDESCO
18.30 INTERSEZIONI
TEATRO SOCIALE
Federico Rampini
LA LIBERTÀ DEGLI ALTRI
18.30 INCONTRI CON L’AUTORE
PALAZZO GEREMIA
Raffaele Cantone, Gianluca Di Feo
con Innocenzo Cipolletta e Ivan Lo
Bello
I GATTOPARDI. UOMINI D’ONORE E
COLLETTI BIANCHI: LA
METAMORFOSI DELLE MAFIE
NELL’ITALIA DI OGGI
21 TESTIMONI DEL TEMPO
TEATRO SOCIALE
l’Adige
Gian Carlo Caselli
QUALE LIBERTÀ SENZA LEGALITÀ?
SABATO 4 GIUGNO
9.30 CONFRONTI
PALAZZO THUN TORRE
MIRANA
COMPRAR CASA IN SICUREZZA:
I CONSIGLI DEI NOTAI
10 LE PAROLE CHIAVE
FACOLTÀ DI ECONOMIA
Alessandra Fogli
NORME SOCIALI
10 INCONTRI CON L’AUTORE
FONDAZIONE BRUNO KESSLER
Christian Caliandro, Pierluigi Sacco
ITALIA RELOADED. COME RIDARE LA
CARICA AL PAESE
10 CONFRONTI
PALAZZO BASSETTI - SEDE
BTB
Isabella Bossi Fedrigotti, Paolo
Collini, Francesco Lamanda, Marcello
Messori
DOPO LA CRISI ECONOMICA, QUALI
SONO LE PROFESSIONI DEL FUTURO?
10 CONFRONTI
PALAZZO CALEPINI FOND.
CARITRO
Rossella Panarese, Francesca Bettio,
Margaret Radin
CORPO E DENARO. MERCATI
AL CONFINE
10.30 INTERSEZIONI
CASTELLO DEL
BUONCONSIGLIO
Nadia Urbinati
CHE COSA LIMITA IL POTERE
DEI POLITICI?
11 FOCUS
PALAZZO GEREMIA
Sarah Smith
A COSA SERVE LA “BIG SOCIETY”?
11 CONFRONTI
SALA FILARMONICA
Federico Rampini
CONFINI DIVERSI. IL FATTORE DONNA
DELL’ECONOMIA CHE VERRÀ – NUOVE
REGOLE, NUOVE RESPONSABILITÀ
11.30 CONFRONTI
FACOLTÀ DI SOCIOLOGIA AULA
KESSLER
Andrea Boitani, Luigi Campiglio,
Enrico Castrovilli, Roberto Fini,
Armando Massarenti, Roberto
Tamborini, Ignazio Visco
LA CULTURA ECONOMICA COME
ESERCIZIO DI LIBERTÀ
12 PRO E CONTRO
PALAZZO DELLA PROVINCIA
SALA DEPERO
Con Alberto Orioli, Daniele Checchi.
Pro: Gustavo Piga; contro: Gianfranco
Cerea
È GIUSTO ALZARE LE TASSE
UNIVERSITARIE?
12 INCONTRI CON L’AUTORE
FONDAZIONE BRUNO KESSLER
Marco Revelli
POVERI, NOI. CON ANTONELLA
RAMPINO, SALVATORE ROSSI
77
IL PROGRAMMA
DEL FESTIVAL
15 CONFRONTI
PALAZZO GEREMIA
Nunzia Penelope, Antonio Bernardi,
Cipriana Dall’Orto, Monica
D’Ascenzo, Loretta Napoleoni,
Alessandra Perrazzelli, Paola Profeta
DONNE, UOMINI, ECONOMIA. QUALI
CONFINI? A CURA DI VODAFONE
16 FOCUS
TEATRO SOCIALE
Emma Bonino, Timothy J. Hatton
I NUOVI CONFINI DELL’EUROPA
16.30 PASSATO PRESENTE
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
Fabrizio Zilibotti
DALLA CINA IMPERIALE ALL’IMPERO
FINANZIARIO
16.30 INCONTRI CON L’AUTORE
BIBLIOTECA COMUNALE
Piero Bevilacqua
IL GRANDE SACCHEGGIO. L’ETÀ DEL
CAPITALISMO DISTRUTTIVO
Roberta Carlini
L’ECONOMIA DEL NOI. L’ITALIA CHE
CONDIVIDE
17 DIALOGHI
SALA FILARMONICA
Roger Abravanel, Tullio Jappelli,
Fiorella Kostoris
VALUTAZIONE E MERITO NEL
SISTEMA PUBBLICO DELLA RICERCA
17 CONFRONTI
FACOLTÀ DI SOCIOLOGIA AULA
KESSLER
Pierfrancesco Camussone, Alberto
Daprà, Roberto De Laurentis,
Maurizio Franzini, Clara Fresca
Fantoni, Alessandro Olivi, Giordano
Tamanini
LE SOCIETÀ ICT PUBBLICHE AL
SERVIZIO DEL «SISTEMA PAESE»:
TRA PROMOZIONE DELLA SOCIETÀ
DELL’INFORMAZIONE NEI TERRITORI
E SVILUPPO DELL’INNOVAZIONE
NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
17 IL CAFFÈ DELL’ECONOMIA
CAFFÈ PASI PIAZZA DUOMO
IL PUBBLICO INCONTRA I RELATORI
DEL FESTIVAL AL BAR
17.30 PASSATO PRESENTE
CASTELLO DEL
R1052103
15 ALLA FRONTIERA
CASTELLO DEL
BUONCONSIGLIO
Daniel S. Hamermesh
LIBERTÀ DAL LAVORO
15 INTERSEZIONI
FACOLTÀ DI ECONOMIA
Giulio Napolitano
GLI STATI EUROPEI NELLA CRISI: DAL
SALVATAGGIO AL “DIMAGRIMENTO”
15 PRO E CONTRO
ROVERETO: MART SALA
CONFERENZE
Carlo Scarpa. Pro: Ugo
Mattei. Contro: Antonio Massarutto
LA GESTIONE DELL’ACQUA DEVE
ESSERE TOTALMENTE PUBBLICA?
15 INCONTRI CON L’AUTORE
BIBLIOTECA COMUNALE
Riccardo Cappello
IL CAPPIO. PERCHÉ GLI ORDINI
PROFESSIONALI SOFFOCANO
L’ECONOMIA ITALIANA
15 INCONTRI DEL SOLE 24 ORE
FONDAZIONE BRUNO KESSLER
Alessandro Plateroti, Donato
Masciandaro, Marco Onado, Luca
Peyrano
LA YALTA DELLE BORSE: IL MONDO
DEI MERCATI DIVISO IN DUE. PIÙ O
MENO LIBERTÀ?
PROGETTIAMO
E ALLESTIAMO
IL TUO NEGOZIO
CHIAVI IN MANO
Attrezzature per l’allestimento completo
di negozi e supermercati,
dall’impianto frigorifero singolo o centralizzato
al cartellino porta - prezzi.
- Teleassistenza
- Tavoli, lavelli, armadi e accessori inox
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l’Adige
BUONCONSIGLIO
George J. Borjas
IL CONTAGIO DEI CERVELLI OLTRE
FRONTIERA
18 VISIONI
PALAZZO DELLA PROVINCIA
SALA DEPERO
Esther Duflo
RIPENSARE LA LOTTA ALLA POVERTÀ
18 DIALOGHI
ROVERETO - UNIVERSITÀ
SCIENZE COGNITIVE
Pippo Ranci Ortigosa, Stefano Saglia,
Carlo Scarpa
NO NUKES? I RISCHI DEL NUCLEARE
18.30 INTERSEZIONI
PALAZZO GEREMIA
Renata Salecl
PIÙ SCELTA EQUIVALE A PIÙ
LIBERTÀ?
18.30 INCONTRI CON L’AUTORE
BIBLIOTECA COMUNALE
Francesco Daveri con don Virginio
Colmegna
STRANIERI IN CASA NOSTRA.
IMMIGRATI E ITALIANI TRA LAVORO E
LEGALITÀ
21 TESTIMONI DEL TEMPO
TEATRO SOCIALE
Václav Havel
LA LIBERTÀ NELLA TRANSIZIONE
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l`Adige - 29 maggio 2011 - Festival Economia 2011