In Asia si praticano sia sport legati alle tradizioni locali sia sport di origine
occidentale.
C’è uno stretto rapporto tra condizioni ambientali e sport praticati. Uno
sport nazionale è strettamente legato a una regione particolare e alle
consuetudini locali e solo con la diffusione mass mediatica può essere
esteso altrove.
Sin dall’antichità gli sport prevalenti sono le arti marziali e gli sport di
lotta, che sono evidenti conservazioni di uno sport inteso come
preparazione alle arti militari. In Asia manca l’evoluzione tipica
dell’Europa, dello sport verso il gioco di squadra, poiché sia la lotta, il
judo e le arti marziali sono sport individuali.
In Asia centrale, per spostarsi nelle zone montuose, sin dalla preistoria
veniva usata una tavola spessa, larga e piatta guidata con una fune
alla punta, simile a una slitta. In India abbiamo tracce di attività sportive
dal 1500 a.C.; in particolare il tiro con l’arco, in quanto la caccia era
necessaria per la sopravvivenza, yoga e corse su bighe. Sotto la
dominazione inglese si diffusero il cricket e l’hockey su prato.
Ritrovamenti di artefatti ed edifici antichi suggeriscono che la
civiltà cinese abbia iniziato a praticare attività atletiche che posso
essere assimilate alla moderna concezione di sport fin dal 4000
a.C.. L’attività sportiva più popolare nell’antica Cina sembra fosse
la ginnastica. Dalla ginnastica può essere fatto risalire sia lo sviluppo
delle arti marziali sia la tradizione acrobatica degli artisti del circo
tradizionale cinese. Le arti di combattimento cinesi sono
antichissime e risalgono al 2500 a.C..
Confucio, il grande maestro del pensiero cinese, vissuto tra il VI e il
V secolo a.C., invitava i giovani a praticare le arti marziali. Egli si
riferiva in particolare al tiro con l’arco, alle corse con i carri da
guerra, alla scherma e ad alcune forme di pugilato. Verso il 520
d.C. nel tempio indù di Shaolin fu elaborata una forma di
combattimento dalla quale sarebbe poi derivato il Kung fu che
darà in seguito origine a molti stili diversi. Si tratta di tecniche di
combattimento utilizzate nei paesi dell’Estremo Oriente ed in
seguito adottate da alcune religioni e filosofie orientali come
metodi per raggiungere l’armonia tra il corpo e lo spirito. Oggi le
arti marziali vengono praticate a livello sportivo. Nel judo e nel
karatè i praticanti indossano cinture di colori diversi, dal bianco al
nero in una gradazione progressiva che indica il livello di
preparazione. Oltre al judo e al karatè, le arti marziali più
conosciute sono: il kung-fu o boxe cinese, che insieme al karatè è
una delle arti marziali più praticate al mondo; lo ju-jutsu che
insegna tecniche di autodifesa; l’aikido, il tai-chi chuan e il sumo.
Praticato anche lo yoga per mettersi in perfetta unità tra corpo e
mente.
Nelle varie regioni asiatiche sono attualmente praticati, oltre a quelli
nazionali, quasi tutti gli sport occidentali. Possiamo citare come
esempio di sport universale i giochi olimpici, che nel 2008 si
svolgeranno per la prima volta a Pechino; attualmente, per citare una
disciplina, nell’hockey su prato, sport importato dall’Inghilterra, il titolo
olimpico è diviso tra India e Pakistan.
Il calcio è conosciuto in Cina da tempi antichi come Tsu-Ciu, cioè
calcio-palla. Dal 1956 si disputa ogni 4 anni la Coppa d’Asia di calcio.
Alla fine di novembre, per il Campionato del mondo di sci, sono in
programma 2 giganti in Corea del Sud.
La storia del Kung Fu è vecchia di molti secoli ed
ebbe inizio circa nel 2500 a.C. quando in Cina
regnava la dinastia Xia e vi era l'imperatore giallo
Huang Ti. Con lui si sviluppa l'agricoltura, la
medicina e si ha la prima esperienza di lotta
organizzata.
L'imperatore aveva un medico personale
chiamato Chi Po (oppure Quiba), che ha scritto il
primo trattato di medicina dove si parla già di
ginnastica interna e agopuntura.
Il primo metodo di combattimento è stato il Go Ti,
dove si affrontavano due uomini, uno armato con
una maschera di demone con corna (usate
come armi) e l'altro rimaneva a mani nude.
Il fondatore del Go Ti è stato un generale dell'esercito
Chin Yu Shu che ancora oggi è ricordato.
Si arriva così alla dinastia Han che regnò dal 206 al 220
d.C. e proprio in questo periodo ci sarà un forte
sviluppo delle arti marziali. Nasce il Chan Chan Shou
("mano lunga") inventato da Kwook Tee, di
conseguenza si abbandona il corpo a corpo per
studiare la scherma.
Sono da ricordare i maestri Hua To e Yun Chun.
Hua To inventa lo stile degli animali e l'anestesia
nell'agopuntura,fu un personaggio particolare in
quanto faceva operazioni chirurgiche che a quel tempo erano vietate in
quanto il corpo era ritenuto inviolabile. Hua To morì nel 30 a.c.
Yun Chun inventa gli esercizi interni del Tao Yn, che erano lo: stirarsi
dell'orso e il volo dell'uccello.
Nel 520 d.C. troviamo Ta Mo (Bodhidarma o Daruma) ritenuto il padre del
Kung Fu. Egli era figlio del principe indiano Suganda che fece istruire Ta
Mo con la filosofia, la religione e le arti da combattimento dal maestro
Praynatra. In questo periodo il Buddismo si divide in due rami: Mahayana
e Inayana. In Cina il Buddismo Inayana è quello che si sviluppò più
facilmente, mentre quello Mahayana viene portato da Ta Mo e si
trasformerà in Dyana (Buddismo del Diamante).
Nel suo viaggio Ta Mo arriva al monastero di Shaolin dove trova dei
monaci indeboliti dal troppo pregare, così inizia ad insegnargli la
ginnastica basata sugli animali che comprendeva circa 18/24 esercizi
chiamati Ching Ching Ta Mo. Con la pratica e la costanza i monaci si
trasformeranno in monaci-guerrieri che diventano una leggenda e
perfino l'imperatore li chiamava per risolvere casi di estrema gravità.
A Shaolin ogni monaco studiava un animale diverso,
ma nel 1500 si unificarono i vari stili Shaolin grazie a
Chuea Yuan aiutato dal monaco taoista Li Chen e dal
maestro di Kung Fu Pa Yu Feng, quest'ultimi estranei al
monastero. Vennero unificati così i cinque stili
fondamentali: tigre, serpente, leopardo, gru e drago.
Dall'840 all'846, durante la dinastia Ming c'è la
persecuzione del Buddismo e furono distrutti 4500
monasteri. Dal 1550 inizia l'invasione dal Nord con i
Manchu (Mongoli), così per ragioni difensive l'accesso
al monastero, prima infatti era difficilissimo entrarvi e se si fosse
riusciti in tale intento, potevano passare anni prima che all'allievo
fosse insegnato il Kung Fu, ed ancor più difficile era uscire dal
monastero in quanto bisognava superare prove difficilissime; fino
ad arrivare a quella che avrebbe lasciato al monaco il segno
indelebile di Shaolin sugli avambracci; questa prova consisteva nel
trasportare un braciere di 100 Kg. per molti metri cosicché sarebbero
rimasti impressi la tigre e il drago sugli avambracci.
A causa della flessibilità maggiore entrò una spia che portò alla
distruzione del monastero nel 1642/44 perché riuscì ad aprire, in una
notte, il monastero da dentro.
Solamente sette monaci riuscirono a scappare continuando il loro
lavoro di studio. I cinesi volevano riportare al potere la dinastia Ming e
per questo motivo formarono delle sette segrete come la tigre nera, il
loto bianco, la triade,... dove erano presenti i più grandi maestri di Kung
Fu.
Dal 1800 le scuole di Kung Fu furono vietate e solo dopo la seconda
guerra mondiale le riaprirono.
Il Jūjutsu, conosciuto anche come Jūjitsu, è l'arte marziale
giapponese della flessibilità. La parola Jutsu, letteralmente
metodo, arte o tecnica si associa a “jū”, flessibile, cedevole,
morbido, ad indicarne appunto la particolarità di esecuzione. Il
Jūjutsu era praticato dai bushi (guerrieri) che se ne servivano per
sconfiggere gli avversari provocandone anche la morte, a mani nude o
con armi. Lo spirito di quest’arte insegna che occorre assorbire l’energia
dell’attaccante e attraverso il controllo e l’armonia restituire la stessa
potenza.
Le origini
La lunga storia e la complessa tradizione dell’arte giapponese del
combattimento si concretizzano in una varietà di forme, metodi e armi,
ognuno dei quali costituisce una specializzazione particolare di
quest’arte. Si ritiene, in genere, che il sedicesimo e il diciassettesimo
secolo siano stati l'epoca aurea del bujutsu, le arti da combattimento
giapponese. Tutte le più antiche scuole, infatti, collegano la loro origine
La leggenda del salice
Una leggenda fa risalire la “scoperta” dei princìpi del Jūjutsu all’intuizione
avuta, molti secoli fa, dal medico Shirobei Akiyama. Egli aveva studiato le
tecniche di combattimento del suo tempo, in particolar modo le arti cinesi
legate alla pratica della medicina tradizionale orientale, senza però
ritenersi convinto del risultato. Contrariato dal suo insuccesso, per cento
giorni si ritirò in meditazione nel tempio di Daifazu a pregare il dio Tayunin
affinché potesse migliorare.
Osservò un giorno, durante una abbondante nevicata, che il peso della
neve aveva spezzato i rami degli alberi più robusti lasciandoli spogli. Posò,
allora, lo sguardo su un albero rimasto miracolosamente intatto: era un
salice, dai rami flessibili. Ogni volta che la neve minacciava di spezzarli,
questi si flettevano lasciandola cadere e riprendendo subito dopo la
posizione naturale.
L' importanza del principio della non resistenza diede origine ad una delle
scuole più antiche di Jūjutsu, la Yoshin ryu, “Scuola del Cuore del Salice
Le tecniche di base
Le tecniche seguono il principio di "JU" (elasticità,
morbidezza) ossia di "non resistenza": l'attacco
viene neutralizzato assecondando la forza
dell'avversario, evitandola mediante una
schivata o intercettandola all'origine del
movimento.
a quei tempi turbolenti di lotte sociali, da cui uscirono vittoriosi
i Tokugawa. Esistono testimonianze che riportano la pratica
del Jūjutsu già molti secoli prima del 1600, ma sotto altri nomi,
quali Kogusoku, Yawara, Tode e Kumiuchi. Come è inevitabile
per le arti orientali, anche gli influssi di altre discipline
influenzarono lo stile del Jūjutsu che risentì delle tecniche di
combattimento cinesi e dell’isola di Okinawa.
Nei secoli, il Jūjutsu si sviluppò attraverso numerose scuole,
come la wa-jutsu, la yawara, la kogu-soku, la hakuda, la
shubaku, la kempo: da alcune di queste nasceranno il Judo e l'Aikido.
In confronto, il periodo Tokugawa, con i suoi controlli rigorosi e il severo
mantenimento dell'ordine, sembrerebbe essere stato piuttosto un periodo
scoraggiante, per coloro che si interessavano all'evoluzione del bujutsu
disarmato, invece, fu un'epoca particolarmente favorevole alla tranquilla,
meticolosa raccolta e sistematizzazione di tutte le tecniche ereditate dal
passato, che vennero affinate e migliorate.
ATEMI - percussioni, portate con le mani,i piedi, i gomiti o le ginocchia
a colpire i punti vitali
GYAKU - lussazioni, leve, torsioni o slogatura delle articolazioni
NAGE - proiezioni, sbilanciamenti a terra dell'avversario
OSAE - immobilizzazioni e controllo dell'avversario, sia in piedi che a
terra
SHIME - soffocamenti e strangolamenti
Gli atemi vengono usati principalmente per indebolire l'avversario, sia
fisicamente che psicologicamente, al fine di poter eseguire l'azione
che ne consegue (proiezione, immobilizzazione ecc.) sfruttando
l’iniziale energia dell’attaccante. La pratica della tecnica si completa
ad un livello più alto con lo studio delle armi antiche dei samurai:
katana (spada lunga), kodachi (spada corta), chobo (bastone lungo)
e hanbo (bastone corto).
La pratica del Jūjutsu
Il principiante di Jūjutsu, attraverso un primo approccio fisico alla
tecnica, cercherà di cogliere i punti di forza e debolezza
dell'avversario. Uno studio più approfondito dell’arte marziale,
insegnerà all’allievo che occorre stabilire un legame sia fisico che
mentale: nell'azione dinamica di un duello, i muscoli e la mente
devono flettersi e adattarsi a circostanze perennemente variabili.
Caratteristica del Jūjutsu è il principio del JU che si riferisce alle forze
della cedevolezza, che sfruttano la forza dell'attacco dell'avversario
per sconfiggerlo. Ju è la forza flessibile, “una potenza gentile” nel senso
che la tecnica utilizzata comprende la malleabilità, cede e assorbe
per poter resistere, instaura un meccanismo di dolcezza duratura.
Come la crescita primaverile del bambù,
il “Ju” del Bushi, il guerriero giapponese,
è sempre flessibile
anche se inarrestabile come la stagione stessa.
Il principio dei Bushi giapponesi ci porta sempre a distinguere tra la forza
muscolare “chikarà” (fattori esterni) - che nelle forme marziali armate
era accresciuta anche dalle armi appunto e non solo dalla tecnica - e
l'energia intrinseca della volontà, della coordinazione mentale e
dell'estensione del ki (fattori interni). I Maestri fondatori del Jūjutsu
intendevano come principio strategico del combattimento, il controllo
dell'energia coordinata, basato sul centro d'integrazione addominale.
Questo addestramento esaltava la pratica della respirazione
addominale e gli esercizi attivi di coordinazione, anziché quegli esercizi
di meditazione e di concentrazione considerati troppo statici per i fini
del guerriero.
AI (armonia) KI (energia) DO (via) è il risultato di lunghi anni di studio
condotti dal suo fondatore, Morihei Ueshiba, nel campo delle principali
specializzazioni della tradizione marziale giapponese, conosciuta in
epoca feudale come Bujutsu.
Elegante arte di autodifesa finalizzata alla neutralizzazione mediante
bloccaggi, leve articolari e proiezioni di uno o più aggressori armati o
disarmati, l'Aikido è soprattutto sintesi ed evoluzione di antiche
tecniche mutate dal Jujutsu classico e dal Kenjutsu (la pratica della
spada), da cui trae la propria originalità ed efficacia in una serie di
movimenti basati sul principio della rotazione sferica.
L'esperienza che si raggiunge con la pratica ad alto livello porta ad
affrontare il rapporto con sé stessi e gli altri. La natura dell'uomo
conosce la violenza, l'aggressività così come la pace, l'armonia e la
collaborazione, allo stesso modo il praticante imparerà a vivere ed
esprimersi in armonia.
Le tre tecniche
Molte arti marziali per tradizione si articolano sul numero tre, per motivazioni
filosofiche e religiose; lo stesso vale per l'uomo che si può idealmente
dividere in una parte materiale (le gambe), una vitale (l'addome) ed una
spirituale (la mente). Tre sono anche i modi di lavorare dell'Aikido:
Tecniche a mani nude con le varianti in suwari-waza (in ginocchio), in
hanmi-hantachi-waza (uno in ginocchio l'altro in piedi) e in tachi-waza
(entrambi in piedi). Lavorare a mani nude rappresenta la piena libertà
di muoversi.
Tecniche di Jo (bastone): sincronizzano il movimento delle due mani,
studiano la relazione fra mani e piedi per trovare la giusta distanza di
sicurezza con il compagno.
Tecniche di Bokken (spada di legno): massima espressione del giusto
tempo d'entrata e di controllo.
Tre anche ritmi: jo, ha, kyu e le espressioni, i momenti della
lezione: aikitai, aikijo, aikiken (che verranno affrontati in un
successivo approfondimento).
L'Aikido non si vive resistendo al colpo col corpo rigido, occorre
imparare a utilizzare l'energia irradiante per andare avanti ed entrare
nello spazio avversario.
La base dell'Aikido è il contatto: questo è il punto di partenza
dell'energia irradiante. Si lavora a sfera, utilizzando tecniche che
riprendono cerchi che portano o alla chiusura - immobilizzazione o
all'apertura - proiezione. E' un gioco fra due forze che si
contrappongono e le loro risultanti; si utilizza l'energia irradiante, la
tecnica dirompente e quando si arriva al contatto la forza si sprigiona
provocando lo squilibrio del compagno. Indispensabile è entrare nel
cerchio dell'avversario e raggiungerne il centro. Il ki, l'energia vitale, è
già dentro ognuno di noi fin dalla nascita, occorre riscoprirlo, riuscire ad
usarlo spontaneamente concentrandone la direzione attraverso le
tecniche.
L'Aikido insegna ad armonizzare le energie mentali e fisiche, è un'arte
che si sviluppa quando la vivi, occorre unire anima e corpo nel
momento; non esiste azione se non si ha controllo, non si parla di
parata e contrattacco, ma di controllo ed entrata. L'Aikido non ha
guardia,per dare libertà all'attacco di esprimersi e così si
impara a controllare il centro, concatenare i cerchi e
coprire i punti deboli.
Ci spiega infatti il Maestro Gianpietro Savegnago che "la tecnica è fatta
di cose semplici al momento giusto", è una scelta di tempo e non una
condizione di forza o rigidità. Trovo energia in uno spostamento
effettuato nel giusto tempo in cui riesco a catturare l'instabilità del
compagno. E' lo stesso principio della spada: mi devo inserire con il
profilo, così riesco ad avanzare maggiormente nello spazio
dell'avversario. Anche la caduta è una forma di energia libera, occorre
sentirla e si acquisiranno sensibilità e riflesso se vista dal lato giusto;
proprio per questo non si deve pensare ho perso perché sono caduto,
anzi è il contrario, perché si sviluppa una parte importante che lavora
sulla sensazione. Non c'è gara nell'Aikido: le due parti vincono assieme.
E' un'arte impostata sul rispetto di entrambi dove si vince con il proprio
compagno. Non c'è antagonismo per scelta, esiste invece
l'accettazione del ruolo: colui che accetta di cadere e favorisce la
fusione delle tecniche portate dall'attaccante diventerà un buon
maestro perché avrà lo spirito giusto, il cuore.
Ma dov'è il cuore "spirituale" dell'uomo?
Alcuni potrebbero associarlo là dove abita il sentimento, altri vicino alla
ragione, per me il cuore è nelle mani: rappresentano la creatività,
hanno un suo minimo e un suo massimo, sono da sempre segno di
preghiera e di espressione artistica. Allora se nell'uomo persistono due
centri, quello fisico (il baricentro) e quello spirituale, il praticante di Aikido
deve cercare di farli lavorare assieme, per questo occorre sviluppare la
creatività e la fantasia. Anche per questo motivo non ci sono gare, per
non limitare il cuore. Alla fine della lezione siamo contenti in due perché
abbiamo sviluppato le tecniche assieme e non sentimenti negativi. Le tre
'parti' dell'Aikido (Aiki-do tecnica, Aiki-jo bastone e Aiki-ken spada) si
concatenano e rappresentano una sintesi delle armi il cui obiettivo è
imparare e arrivare ad una spiritualità "Koko-rò" cuore del sentimento. Si
può avere la migliore tecnica ma se non si possiede il cuore per usarla
non si arriverà mai veramente ad impadronirsi dell'arte marziale".
Il Grande Maestro Morihei Ueshiba
"Lo scopo dell'Aikido è di allenare la mente e il corpo, di formare persone oneste e
sincere."
Morihei Ueshiba (1883-1969) detto anche O Sensei, Grande Maestro,
fondatore dell'Aikido, fu l'ultimo rappresentante della famosa ed
antichissima scuola di Daito-ryu che, diretta dall'austero maestro
Sokaku Takeda che l'istruì nella misteriosa pratica dell'Aikijutsu. Si
specializzò in tutte le Arti Marziali allora esistenti studiando l'uso della
lancia, del bastone, della spada, le tecniche di combattimento a
mani nude e altre ancora presso le più importanti scuole dell'epoca,
eccellendo in ogni campo di applicazione. Compì studi religiosi ad
alto livello sulle tradizioni cinesi e giapponesi. Tutto ciò lo portò a
sviluppare un ideale d'armonia e fratellanza.
Il Maestro Gianpietro Savegnago (Shihan VII dan)
Nasce il 1° Novembre 1953 e da sempre vive in provincia di Vicenza.
Da ragazzo pratica sia la Boxe che il Kendo e nel 1972 inizia a
studiare Aikido. Nel 1974 comincia ad insegnare presso il Judo club
Marzotto di Valdagno, diffondendo l'Aikido per la prima volta nel
Veneto. La sua attività di promozione è tale che ora la provincia di
Vicenza ha la maggior densità di praticanti di Aikido, adulti e
bambini, in Italia. Nel 1976 diventa allievo diretto del Maestro
Hirokazu Kobayashi (a sua volta discepolo del fondatore dell'Aikido:
Morihei Ueshiba) e partecipa costantemente ai suoi stage in Europa,
ma non solo, dal 1980 segue anche le sue lezioni in Giappone. Oggi,
Gianpietro Savegnago, 7° dan, estende l'insegnamento della sua
scuola anche all'estero in Germania, Polonia ed Ungheria dove
tiene regolarmente stage e sono molte le scuole in contatto. Dal
1982 è consulente tecnico per la Polonia, dove i praticanti di Aikido
sono ormai più di tremila. In Italia è direttore tecnico
dell'Associazione Italiana Aikido, che conta quasi mille praticanti.
Il Tai Chi Chuan è un'antica arte marziale cinese basata
sul concetto taoista di Ying-Yang, l'eterna alleanza degli
opposti. Nato come sistema di autodifesa - Tai Chi
Chuan significa letteralmente "suprema arte di
combattimento" - si è trasformato nel corso dei secoli in
una raffinata forma di esercizio per la salute ed il
benessere anche se esistono alcune scuole che
continuano ad insegnarlo e esercitarlo anche come vero
e proprio sistema di difesa.
La pratica del Tai Chi Chuan consiste principalmente nell'esecuzione di
una serie di movimenti lenti e circolari che ricordano una danza silenziosa,
ma che in realtà mimano la lotta con un opponente immaginario.
All’interno degli stili del Tai Chi Chuan (Chen, Yang, Sun, Wu, Wod, Hao) i
più popolari sono lo Yang e il Chen. Il primo è il più praticato poiché il
Chen richiede un’esercitazione molto più complessa ed esigente. Oltre al
concetto di Yin e Yang, l’espressione che descrive questa tecnica risiede
nel concetto di "Forma", un sistema di movimenti concatenati che
vengono eseguiti in un modo lento, uniforme e senza interruzioni.
Tali movimenti possono essere eseguiti a mani nude o con il supporto di
particolari armi. Esiste anche un insieme di esercizi che vengono eseguiti
in coppia, e che prendono il nome di Tui Shous.
Lo studio del Tai Chi Chuan inizia quindi con la sequenza di movimenti
detta "forma lenta". Gradualmente si studiano i movimenti e si
introducono i principi fondamentali: si impara ad acquietare la mente, a
muovere il corpo in modo rilassato e consapevole, a calmare il respiro. La
pratica attenta e costante di queste tecniche, grazie alla loro morbidezza,
alla circolarità e alla lentezza con cui vengono eseguiti, rende il corpo più
agile e armonioso migliora la postura ed ha un effetto
benefico sul sistema nervoso e sulla circolazione.
Scopo ultimo di questa arte è stimolare
il libero fluire dell'energia vitale e così ristabilire
armonia ed equilibrio tra corpo, mente e spirito.
La storia
In Cina, gli obiettivi del benessere fisico e di una accresciuta
longevità sono stati affrontati sistematicamente sin dall’antichità, dalla
quale si sono ereditate numerose tecniche di applicazione di una antica
saggezza. La pratica di queste si può far risalire a Hwang Ti, l’Imperatore
Giallo che dominò in Cina per un secolo intero nel terzo millennio avanti
Cristo. Le sue pratiche includevano il T’u Na, esercizi di respirazione, e
degli esercizi di meditazione.
Queste esperienze furono in seguito conosciute sotto il titolo di “I Ching” il
più antico libro cinese in materia di medicina. Secoli dopo il regno di
Hwang Ti, i principi filosofici sottostanti alle tecniche sulla longevità da lui
praticate vennero articolati e elaborati dai grandi filosofi taoisti,
soprattutto nei classici di Lao Tzu (sesto secolo a.C.) e Chuang Tzu (quarto
secolo a.C.). In pratica il Taoismo, assieme al Confucianesimo e al
Buddismo divenne una delle tre grandi religioni cinesi, e l’unica fra tutte a
sostenere che l’immortalità della persona è possibile, almeno nei principi
se non proprio nella pratica, attraverso l’applicazione delle sue tecniche.
Tecniche che hanno assunto forme sempre più numerose e raffinate con
il passare dei secoli.
La filosofia del Tai Chi Chuan
Ciò che il Tai Chi Chuan offre è un ampio concetto
di salute e di longevità, secondo il quale un
organismo fiorisce soltanto se è propriamente
nutrito e curato attraverso tutto il ciclo della sua
vita. Innanzitutto occorre creare un nuovo tipo di
approccio sul quale basare il riconoscimento che la longevità non è un
valore per le persone anziane, ma per tutti senza limiti d’età. Essenziale per
l’approccio cinese è l’intuizione che l’obiettivo di una longevità in piena
salute debba essere perseguito anche da giovani e bambini.
Il modo migliore per ottenere successi in questo campo consiste nello
stabilire una disponibilità verso tali pratiche sin dalla più tenera età. Sia gli
antichi taoisti che i confuciani sottolineano l’importanza di una mente
serena per la salute ed il conseguimento di una autentica saggezza.
I benefici del Tai Chi Chuan
Il Tai Chi Chuan può essere praticato a tutte le età e per tutta la
vita. Attraverso la pratica di questa disciplina si raggiunge il
rilassamento mentale e si favorisce la concentrazione. Altri
benefici consistono nell’eliminazione dello stress, miglioramento
della mobilità articolare (i tendini si allungano e si distendono),
aumento della profondità della respirazione con una
conseguente ossigenazione del corpo in maniera ottimale,
prevenzione di molte malattie aumentando la resistenza e la forza del
corpo, prevenzione dell’osteoporosi, aiuto ad alleviare i dolori causati
da problemi alla schiena e alle spalle. Inoltre è un forte aiuto psicologico
per persone fortemente introverse producendo una graduale apertura
ed estroversione verso il mondo circostante e gli altri. Per la medicina
cinese, le malattie si sviluppano a causa di blocchi nei tragitti di
circolazione dei meridiani. Come l’agopuntura, il Tai Chi Chuan, con i
suoi movimenti morbidi e armoniosi, contribuisce a rendere più flessibili le
articolazioni, eliminando blocchi cronici e a rendendo più scorrevole
libero il flusso energetico.
Insieme ad una dieta, ai massaggi e all’agopuntura, il Tai Chi Chuan
integra l’insieme di tecniche offerte oggi dalla medicina cinese per
salvaguardare il benessere psicofisico.
Negli ultimi tempi la cultura orientale ha cercato di migliorare i risultati
ottenuti combinando queste antiche tradizioni con la medicina classica
occidentale; allo stesso tempo, in Occidente, i centri olistici e di benessere
e salute hanno incorporato tecniche della medicina cinese tradizionale,
tra cui il Tai Chi Chuan, per offrire alle persone soluzioni efficaci nella
guarigione o nel miglioramento delle patologie.
In parole semplici, il Tai Chi Chuan è costituito da una ginnastica profonda,
sana e terapeutica che conserva la salute e favorisce notevolmente
l’assetto psicofisico di ognuno.
Per ottenere questi benefici tuttavia, bisogna applicare bene quello che
insegnano i maestri: "avere disciplina, perseveranza e pazienza", cioè
praticare questa disciplina con costanza e per lungo tempo.
Gli effetti benefici delle tecniche del Tai Chi Chuan sui diversi sistemi e parti
del corpo possono essere schematizzati in questo modo:
Sistema nervoso
"Concentrare al massimo l’attenzione per un conseguente benessere del
sistema nervoso"
È noto che il sistema nervoso dirige e controlla i vari organi del corpo. Per
mezzo di reazioni condizionate e spontanee, l’uomo si adatta a qualsiasi
situazione, nonché al cambio di ambiente.
Per praticare la tecnica del Tai Chi Chuan è necessario aumentare la
capacità di concentrazione e non utilizzare la forza fisica per ottenere un
buon allenamento, e perciò un buon funzionamento delle cellule del
sistema nervoso. Il lavoro rilassato e il risveglio dell’attenzione del sistema
nervoso fa si che il cervello abbia una buona influenza e un ottimo
controllo sul resto dell’organismo.
Per questo motivo, con il Tai Chi Chuan si avrà una sensazione di pienezza
interiore e di benessere in tutto il corpo che produrrà, insieme alla non
sottovalutabile attività fisica, un miglioramento della circolazione
sanguigna e una maggior facilità nell’impostare una corretta respirazione.
Sistema cardiovascolare
"L’aria come sinonimo di benessere"
La pratica del Tai Chi Chuan dimostra che l’introduzione e l’espulsione di
una maggior quantità di aria, e quindi di ossigeno, in ogni ciclo respiratorio
favorisce il cambio di pressione all’interno del torace; in tal modo la
circolazione coronaria è più libera ed efficace; risulta aumentata la
capacità e l’elasticità dei capillari e si rinforza il processo di ossigenazione
e riduzione di anidride carbonica nel corpo.
Così migliora la nutrizione e il funzionamento del muscolo
cardiaco prevenendo l’arteriosclerosi e le diverse malattie
cardiache e cardiovascolari.
La pratica del Tai Chi Chuan
Il Tai Chi Chuan è un esercizio di autorilassamento i cui lenti movimenti
sono coordinati rispetto alla respirazione e diretti da una mente libera,
con doppio vantaggio sia per la salute fisica che spirituale. Questi esercizi
aiutano a rischiarare la mente e rafforzare il cervello. Il Tai Chi Chuan si
pone come obiettivo quello di fare entrare il praticante a conoscenza
della propria energia. La pratica durante le lezioni è “silenziosa”, non
occorre parlare ma “fare”: tutto passa infatti attraverso ciò che si fa e si
sente. È importante che il Maestro metta in condizione l’allievo di
sperimentare da solo il proprio lavoro, saranno le diverse esperienze a far
crescere l’arte marziale. La mancanza di aspettative aiuta ad ottenere i
risultati; abbandonarsi alla pratica e prendersi la responsabilità del proprio
essere con desiderio di cambiare e mettersi alla prova. Il Tai Chi Chuan
viene spesso associato ad una serie di benefici sui disturbi fisici spesso
causati dall’inadeguatezza della nostra società ma è necessario sfatare
l’ottica mistica di una pratica che resta un’arte marziale.
Letteralmente la parola Sumo significa strattonarsi l'uno con l'altro: il
fine non è quindi quello di colpire, come in altre arti marziali, ma quello
di riuscire a sbilanciare l’equilibrio di un avversario a dir poco
“mastodontico”.
In Giappone, i metodi di combattimento senza armi, ideati ed
applicati nel loro lungo periodo feudale (iniziarono ad apparire nella
dottrina marziale dal sedicesimo secolo in poi), avevano in comune fra
loro certe caratteristiche strumentali e funzionali intrinseche. Ad
esempio l’uso del corpo umano, debitamente addestrato,
condizionato e rafforzato.
Le origini
Antica forma di lotta, il Sumo ha conservato
elementi della sua lunghissima tradizione.
Prima del periodo tra il 1570 e il 1600, sembra
fosse una forma di combattimento molto
ampia che, sebbene modificata per quanto
riguardava i colpi e i calci mortali (proibiti da un decreto imperiale
durante il regno Shomu perché giudicati ineleganti),
non differisse sostanzialmente dalla lotta mongola o persino da certi stili
europei. Nel 1570 venne introdotto il ring, dohyo e le regole di base che
fissavano i ranghi, gli scopi e le tecniche fondamentali. Ancora oggi
l’organizzazione del Sumo mantiene l’antica divisione in tre gruppi dei
suoi seguaci: i lottatori, gli arbitri e i giudici.
Il Sumo ha attraversato i secoli trasformandosi da intrattenimento per gli
imperatori a forma d’arte e spettacolo nazional popolare, alla ricerca di
un equilibrio costante tra tradizione e innovazione.
I lottatori, sumotori
Si tratta di uomini insolitamente alti e poderosi, scelti per
la loro incredibile grandezza e condizionati per mezzo
dell’allenamento e di diete appropriate in modo da
raggiungere proporzioni colossali. Più pesante è il
sumotori, più basso sarà il suo centro di gravità e quindi
più difficile diventerà espellerlo dal ring. I lottatori di
Sumo mantengono il loro peso attraverso una speciale
dieta chiamata “chanko nabe”, lo stufato tradizionale a
base di riso, maiale, uova e vegetali. Nonostante le
apparenze, i sumotori non sono esclusivamente grassi
anzi, oltre a compiere regolarmente esercizi di sollevamento pesi per
aumentare la loro resistenza, sono sorprendentemente agili! A causa
dei campioni minimi di peso e altezza (5'7"e 165 libbre), alcuni si
riempiono di acqua per fare fronte alle richieste minime.
Ogni lottatore porta una tradizionale acconciatura dei capelli, chiamata
ichomage. Risale al periodo Edo del Giappone (1603-1867) e non ha una
funzione meramente decorativa, assicura infatti protezione alla testa
durante le cadute. Tutti i sumotori portano la classica cintura di seta che la
tradizione fa risalire alle imprese di Hajikami od Omi, un lottatore di tale
forza e abilità che in un torneo tenuto a Osaka mille e cento anni fa non
fece toccare a nessuno degli avversari nemmeno la corda, shimenewa,
legata intorno alla sua cintola! Prima o dopo l’incontro, i grandi campioni
sono autorizzati a portare la cintura cerimoniale, di seta riccamente
ricamata e decorata, il kesho-mawashi, la cui tradizione risale ad un altro
lottatore, il possente Akashi, che nel 1600, imbarazzato dalla propria nudità
al cospetto dell’imperatore, si avvolse in un enorme stendardo
appeso in un’asta vicina, stabilendo così inconsapevolmente
una moda che viene seguita ancora oggi.
Storicamente, queste cinture ricamate, rappresentavano
il signore feudale a cui apparteneva il lottatore, ma oggi
denotano il suo luogo di nascita, la casata, il grado e lo sponsor.
Formato da seta pesante, il mawashi è piegato in sei ed è avvolto intorno
all'inguine ed alla vita da quattro a sette volte, e rappresenta una parte
importante della tecnica del lottatore: ci sono quasi 70 modi differenti per
manovrare l’avversario attraverso prese sul mawashi.
Ogni campione è, infine, scortato da un attendente tsuyuharai, come per
i capi militari feudali, e da un portatore di spada, tachimochi.
La piramide gerarchica
I sumotori possono raggiungere diversi gradi e titoli in base all’esperienza e
alle vittorie raggiunte.
Grandi campioni:
Yokozuna
Ordini di campioni
Sankaku
Campioni: Ozeki
Campioni
minori:Sekiwake
Precampioni:
Komusubi
1° Rango, lottatori
seniores
Aspiranti al 1° Rango
Seniores del 2° Rango
Grado di Dan
Apprendisti
Maegashira
Juryo
Maku-shita
3° Sandamme
2° Jo-nidan
1° Jo-no-kuchi
Principianti: Honchu
Reclute: Maezumo
Le tecniche, kimarite
Il lottatore parte da una posizione in accosciata, Shikiri-nokamae, con il corpo appoggiato sui calcagni. Dalla guardia
si tentano le varie tecniche, basate sui principi di forza, agilità e
strategia comuni alle altre arti marziali e alle antiche forme di lotta
greco-romana.
Esistono circa duecento movimenti fondamentali, derivanti da
trentadue "tecniche di base", o combinazioni di esse:
Spinta con le sole mani, tsuki
Spinta con tutto il corpo, oshi
Presa, yori
Le diverse applicazioni si differenziano per piccoli dettagli, ad esempio
se il lottatore continua a tenere la presa mentre porta fuori il suo
avversario o se invece lo "spinge" via.
Proiezioni, ipponzeoi
Traino, utchari
Le proiezioni sfruttano la forza e la velocità dell'avversario al fine di
sbilanciarlo dalla sua posizione. I lottatori di Sumo non avendo "prese"
sulla giacca come nel Judo o nel Karate, usano solo il mawashi
(perizoma) o addirittura prese articolari strette sulle braccia per
effettuare il lancio.
Sollevamenti, tsuridashi
Le prese con sollevamento sono momenti di spettacolo imprevedibile
negli incontri di Sumo. Uomini di oltre cento chili che ne sollevano di
altrettanto pesanti!
Le tecniche si possono, a loro volta, dividere in due gruppi:
contatto fisico limitato
percuotere con le mani, tsuppari; sgambettare, hataki-komi; sferrare
colpi con le gambe, ketaguri; effettuare prese con le gambe, ashi-tori.
contatto fisico completo
sono compresi un ampio numero di colpi inferti con la testa, le braccia
e l'anca, e soprattutto le proiezioni, Utchari (come nell'immagine di
esempio) efficacissime per spiazzare l'avversario.
Gli arbitri, gyoji
L’arbitro, alla sua nomina, riceve il nome delle antiche famiglie che un
tempo rappresentavano le massime autorità nell’arte di giudicare un
lottatore di Sumo: Kimura e Shikimori. Anch’essi vestono per l’occasione
ricchi costumi che risalgono al periodo Ashikaga e il ventaglio ne indica
il livello di esperienza: si passa dall’azzurro e bianco per gli incontri tra
juryo fino ad arrivare al color porpora per quelli tra gli yokozuna. La
figura degli arbitri, sul ring, riceve il massimo rispetto di lottatori e giudici.
Il ring, dohyo
Area circolare sopraelevata, alta sessanta centimetri che un tempo era
formata da sedici balle di riso, legate a formare un diametro di quattro
metri e mezzo. Il ring è considerato dai praticanti un luogo sacro.
Composto da una speciale argilla e da uno strato di sabbia, deve
essere purificato prima di ogni torneo mediante spargimento di sale.
Anche gli arbitri, a loro volta, effettuano una cerimonia di benedizione,
per esorcizzare la malvagità.
Il torneo
Una volta annunciato il programma degli incontri, iniziano le cerimonie: i
grandi campioni compiono gli antichi riti della purificazione e della
preparazione, shikiri-naoshi. In seguito alla pubblica presentazione dei
lottatori iniziano gli incontri preliminari. La vittoria si ottiene o
estromettendo l’avversario dal ring, oppure costringendolo a toccare la
stuoia con una parte qualsiasi al di sopra del ginocchio.
“Il sogno di ogni giovane sumotori è diventare ‘Yokozuna’, un campione.
Ma la maggior parte di quei sogni
svaniranno... è un mondo molto duro”.
(Wakamatsu Oyakata, Japan Sumo Association (Nihon Sumo Kyokai).
Dalla radice sancritta yuj che significa "unione" o "vincolo", Yoga
indica l'insieme delle tecniche che consentono il congiungimento
del corpo, della mente e dell'anima con Dio (oParamatma).
Colui che segue e pratica il cammino dello Yoga
è chiamato yogi o yogin (le donne sono dette yogini).
La prima grande opera indiana che descrive e sistema le
tecniche dello Yoga è lo Yoga Sutra (Aforismi sullo Yoga),
redatto da Patanjali, che raccoglie 185 aforismi. Gli studi
tradizionali indiani identificavano Patanjali con l'omonimo
grammatico vissuto nel III secolo AC ma studi filologici più
moderni hanno postdatato la redazione dell'opera ad un‘
epoca presumibilmente altomedievale.
La diffusione di pratiche risalenti a quella tradizione in occidente,
avvenuta tra il diciannovesimo e ventunesimo secolo, come la
meditazione (dhyana), gli esercizi di controllo del respiro
(pranayama) o le asana (le celebri “posizioni” con cui lo Yoga
viene comunemente identificato tout-court), ha tralasciato quasi
sempre gli altri livelli, ed in particolare i primi due iniziali e per questo
fondamentali.
Ciò è dovuto al fatto che nella società occidentale il rapporto con lo
Yoga non è mai stato strettamente relazionato alla religione (in
particolare quindi all'unione dell'anima con Ishvara, il Signore), ma è
sempre stato inteso come una disciplina che mira al riequilibrio
psicofisico dell'uomo.
Gli otto stadi dello Yoga
Patanjali indica al praticante 8 stadi (o arti) dello Yoga, cioè gli
otto passi che conducono all'unione con il Paramatma.
Yama
Con Yama si intendono i “comandamenti morali universali”, o
astensioni. Sono i cinque "freni" su cui si fonda l'etica dello Yoga:
Ahimsa: non-violenza, astensione dall'infliggere a qualsiasi essere
vivente qualunque tipo di male, sia esso fisico, psicologico, ecc.;
Aparigraha: distacco, non-attaccamento, astensione dalla bramosia
del possedere;
Asteya: onestà, astensione dalla cupidigia, liberazione dall'avidità;
Brahmacharya: castità (intesa soprattutto come purezza morale e
sentimentale);
Sathya: verità, aderenza al vero, sincerità (soprattutto con sé stessi).
Niyama
Con Niyama si intendono le regole dell'autopurificazione.
Saucha: pulizia, salute fisica, purezza;
Santosa: appagamento, felicità della mente, l'accontentarsi;
Tapas: ardore, fervore nel lavoro, desiderio ardente di
evoluzione spirituale;
Svadhyaya: studio di sé stessi, ricerca interiore;
Ishvara Pranidhana: abbandonarsi alla Divinità, la resa al
Signore di tutte le nostre azioni.
Asana
Le āsana (in sancritto आसन) sono posizioni o posture utilizzate in alcune
forme di yoga, in particolare nello Hatgh Yoga. La funzione delle asana
è direttamente collegata alla fisiologia indiana, fondata sul sistema
sottile. Secondo tale sistema, attraverso l'assunzione di diverse posizioni
del corpo, il praticante diviene in grado di purificare i canali energetici
(Nadi), incanalare l'energia verso specifici punti del corpo ed ottenere
così un notevole beneficio psico-fisico.
Le asana conosciute sono alcune migliaia; ciascuna di essere porta un
nome derivato dalla natura (soprattutto animali), o dalla mitologia
induista.
Pranayama
Il Pranayama (controllo ritmico del respiro) è il quarto stadio dello
Yoga, secondo lo Yogasutra di Patanjali. Insieme a Pratyahara (ritiro
della mente dagli oggetti dei sensi), questi due stati dello Yoga sono
conosciuti come le ricerche interiori (antaranga sadhana) ed
insegnano come controllare la respirazione e la mente, quale mezzo
per la liberare i sensi dalla schiavitù degli oggetti di desiderio. La
parola Pranayama è formata da Prana (fiato, respiro, vita, energia,
forza) e da Ayama (lunghezza,controllo, espansione).
Il suo significato è quindi di controllo ed estensione
del respiro (energia vitale).
Pratyahara
Per Pratyahara si intende l'emancipazione della mente,
il suo ritiro dagli oggetti dei sensi. La ritrazione dei sensi si
ottiene distaccando l'attenzione dall'ambiente esterno
dirigendola verso l'interno.
Dharana
Il termine Dharana indica la capacità di cocentrazione, diventare
tutt'uno con quello che si sta facendo, con un oggetto esterno o
interno. Requisito indispensabile per i passi successivi.
Dhyana
Dhyāna è un termine sancrita che letteralmente significa meditazione.
Dalla traslitterazione della parola Dhyāna nell'ambito delle Filosofie
orientali derivano i termini Chan, in cinese e Zen, in giapponese.
Samadhi
Per Samadhi si intende uno stato di coscienza superiore: è l'unione con
Paramatma l'unione del meditante con l'oggetto meditato, l'unione
dell'anima individuale con l'Anima universale. Si può individuare con
uno stato d'essere equilibrato, raggiungimento del
benessere totale, tramite un percorso che porta
ad uno stato di profonda realizzazione.
Le tecniche insegnate dallo Yoga si fondano sulla fisiologia indiana
secondo la quale il corpo umano è attraversato da canali energetici,
le nadi, nei quali scorre il prana, l'energia universale. Le nadi sono oltre
40.000 (forse 72.000) ed irradiano tutto il corpo dell'energia
dell'universo, i tre canali più importanti sono ida, pingala e sushuma
che scorrono intorno alla spina dorsale incrociandosi in alcuni punti.
L'hockey su prato è uno sport di squadra in cui
due formazioni di 11 giocatori muniti di bastoni
ricurvi si fronteggiano con l'obiettivo di mandare
una palla di piccole dimensioni nella porta avversaria, difesa da un
portiere. È una disciplina sportiva che ha molte somiglianze con il calcio,
nonostante si usi un attrezzo per colpire la palla. Il terreno di gioco è
preferibilmente in materiale sintetico (malgrado il prato) ma di
dimensioni simili a quello del calcio.
Gli 11 giocatori possono essere sostituiti con panchina di 5 elementi — le
sostituzioni sono continue e senza limitazioni. La partita, diretta da due
arbitri, è composta da due tempi di 35 minuti con un intervallo di 10
minuti.
Le regole principali sono semplici. Per esempio, è vietato giocare la
palla con la parte tonda del bastone o alzare il bastone sopra l'altezza
delle spalle nell'esecuzione di un tiro, oppure toccare la palla con
qualsiasi parte del corpo — escluso il portiere all'interno delle propria
area di tiro.
Interessante notare che nell'hockey su prato non esiste la posizione di
fuori gioco, in modo da favorire tattiche improntate alla velocità e ai
ribaltamenti continui di fronte d'attacco.
Il buon giocatore deve possedere tre qualità tecnico-tattico-fisiche
basilari: destrezza, agilità e capacità di valutazione tattica del gioco.
Ma una caratteristica di questo sport è da ricercare in ambito
culturale. L'hockey è, infatti, un sport che si considera da veri
gentiluomini, dove le doti morali e comportamentali sono messe al
primo posto.
Origini
L'hockey su prato è un gioco che ha origini
antichissime, diffuso in tutto il mondo, anche
se poco noto in Italia.
Tracce di giochi con bastone e palla sono
attestate presso ogni civiltà. Dovunque (anche
inGrecia) sono state rinvenute sculture, dipinti, manufatti decorati
con scene raffiguranti giochi simili all'hockey. Ma è soprattutto in
Europa, Isole Britanniche e Francia in primis, che l'hockey su prato
ha trovato terreno fertile. E nell'Europa medioevale l'hockey era
assai popolare. Tra il 1863 ed il 1875, in Inghilterra, l'hockey
moderno, insieme al football e al rugby, prede forma definitiva,
con la nascita della relativa federazione.
Nel 1861 nacque il primo club di hockey e in pochissimo tempo, con
l'ingresso di tante altre formazioni, viene tracciato il primo regolamento
ufficiale di gioco.
Sotto la spinta dell'imperialismo britannico, l'hockey su prato si diffuse in
tutto il mondo e in special modo proprio nelle colonie. Infatti, è fra gli
sport attualmente più popolari in India, Pakistan, Australia e Nuova
Zelanda , nazioni che da sempre fanno parte, assieme alle europee
Germania, Olanda, Inghilterra, del vertice dell'hockey mondiale.
Olimpiadi
L'hockey su prato ha fatto la sua comparsa alle olimpiadi nel 1908 alla
IV Olimpiade di Londra. Le due edizioni successive però non
includevano questa specialità che verrà reinserita alla VII Olimpiade
di Anversa nel 1920. L'Italia ha partecipato nel 1952 e nel 1960 (quale
paese organizzatore).
Il cricket è uno sport a squadre giocato fra due gruppi di undici giocatori
ciascuno. È nato, almeno nella sua forma moderna, in Inghilterra ed è
popolare principalmente nei paesi del Commonwealth. In alcuni paesi
dell'Asia del Sud, compreso India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka, il
cricket è di gran lunga lo sport più popolare. È inoltre uno sport
importante in Inghilterra, in Galles, in Australia, Nuova Zelanda,
Sudafrica, Zimbabwe ed i Caraibi anglofoni (Indie Occidentali). La
lunghezza delle partite (possono durare dalle sei ore a giorni interi,
occasionalmente settimane), i numerosi intervalli per il pranzo e il tè e la
terminologia complicata rendono difficilmente comprensibile questo
sport agli spettatori poco esperti.
Storia
Il cricket nasce in Inghilterra del sud tra il XIV
ed il XV secolo diventando popolare
fin da subito tra le classi della borghesia
britannica. Le prime notizie di questo sport in
Italia risalgono alla fine del XVIII secolo,
quando nel 1793 a Napoli viene organizzata
una partita tra due squadre formate dagli
uomini degli equipaggi di Lord Nelson.
Ci rimane anche il nome del primo patrocinatore del cricket italiano,
un certo Maceroni, colonnello dell'esercito borbonico.
Fu comunque solo un evento isolato, infatti si dovrà attendere la fine
del XIX secolo per vedere questo sport fare la sua prima apparizione
ufficialmente in Italia.
Nel 1893, veniva fondato il Genoa Cricket and Football Club,
inizialmente composto da soli marinai inglesi che alternavano al
cricket, nella stagione invernale, il calcio. Infatti la squadra che ha
vinto nel 1898 il primo scudetto nella storia calcistica italiana era
formata per otto undicesimi da giocatori inglesi, tra cui spiccava il
mitico James Spensley, campione in entrambi questi sport, che fondò
e presiedette il club fino al 1907. Come il Genoa, anche il Milan e
l'Internazionale Torino (in seguito assorbita dal Torino Calcio) nacquero
come club di cricket, anche se nel giro di dieci anni prenderanno a
dedicarsi esclusivamente all'emergente calcio.
Come in Italia, anche se più antica, è stata la sorte di questo sport
oltreoceano. Negli USA infatti, è passato da sport
dominante prima della guerra di secessione ad
attività marginale già a fine secolo, soppiantato
dal suo derivato sintetico ed attuale sport leader
americano: il baseball.
Sebbene non della stessa portata del calcio e del rugby, anche il cricket
ha avuto una sorta di globalizzazione dopo la seconda guerra mondiale;
più precisamente con la concessione dell'indipendenza ai Dominions
britannici e la nascita del Commonwealth. Attualmente figurano come
Full Members dell'International Cricket Council dieci paesi; la fa da
padrone l'Asia con quattro paesi del subcontinente (Bangladesh, India,
Pakistan e Sri Lanka), seguono l'Africa (Sudafrica e Zimbabwe) e
l'Oceania (Australia e Nuova Zelanda) con due, per finire con Europa
(Inghilterra) ed America (Indie Occidentali) con uno. In tutti questi paesi
si gioca il Test cricket, ovvero il gioco originale con partite che possono
durare anche cinque giorni. Tuttavia è negli ultimi vent'anni, con
l'avvento della televisione nello sport e l'interessamento di due magnati
televisivi australiani, dapprima Kerry Packer proprietario della rete
terrestre Channel 9 e successivamente Rupert Murdoch padrone del
colosso satellitare Sky, che il cricket ha trovato la sua dimensione
internazionale. Le moderne esigenze televisive infatti hanno contribuito
all'affermazione dell'One-day cricket, gioco con le stesse regole del Test
ma con un numero limitato di overs per squadra
(attualmente il numero di overs è fissato a 50)
e che, nato ufficialmente negli anni sessanta, vide
il suo primo incontro internazionale (ODI)
disputarsi nel 1971 tra Australia ed Inghilterra mentre
nel 1975 si è giocata la prima World Cup.
Di questo "nuovo" cricket fa parte anche l'Italia, attualmente piazzata
intorno alla ventesima posizione mondiale, dove ha ripreso
gradualmente vigore all'inizio degli anni '60. Da principio con la
creazione di un campo nella Villa Doria-Pamphili a Roma, a cui ha
fatto seguito la nascita, a Milano, del Milan Cricket Club (in cui si è
formato anche un capitano della nazionale inglese, Ted Dexter).
Tuttavia, è solo con la nascita della Federazione Cricket Italiana il 26
novembre 1980 che il gioco ha cominciato ad essere praticato in
modo regolare e continuativo a livello nazionale. Nel 1980 nacque
appunto la squadra Villa Doria-Pamphili Cricket Club, che
successivamente cambiò nome in Capannelle Cricket Club, fondata
dai due più grandi giocatori Italiani ossia Francis
Alphonsus Jayarajah e Massimiliano Brian Da Costa.
Nel 1900 il cricket fece parte dei Giochi Olimpici.
Lo spirito del gioco
Il cricket è un gioco che deve molto della sua
unicità al fatto che dovrebbe essere giocato non
soltanto secondo le relative leggi ma anche secondo lo Spirito del
Gioco. Qualsiasi azione che è vista come contraria a questo Spirito
causa un danno al gioco stesso. La responsabilità principale di
assicurarsi che il gioco sia condotto secondo lo spirito del fair play è
dei capitani.
Questo è il preambolo che precede l'elenco delle "Leggi del cricket" e
che introduce il breve paragrafo dal titolo Lo spirito del gioco, dove si
elencano tutta una serie di regole che solitamente negli altri sport sono
"non scritte" e affidate al buon senso dei giocatori. Queste regole
comprendono, per esempio, il rispetto verso l'avversario, verso gli
umpires (arbitri) e i valori tradizionali del gioco; il divieto di indirizzare
verso un umpire e verso gli avversari parole irrispettose o
offensive (è addirittura vietato avanzare verso un umpire
con passo aggressivo); e soprattutto la condanna assoluta
di qualsiasi atto violento tra i giocatori sul campo di gioco.
La partita
La partita viene disputata tra due squadre composte di
undici elementi ciascuna. Si gioca in un campo in erba
dalla forma ovale o rettangolare e dalle dimensioni non precisate
(solitamente tutto lo spazio disponibile). Al centro del prato è
collocata una corsia, lunga venti metri e larga due, chiamata pitch,
ai cui estremi sono posti i tre paletti che formano il wickets. Le due
squadre non schierano entrambe tutti e undici i giocatori; ogni
frazione di gioco (innings), infatti, vede impegnati gli undici di una
squadra nel lanciare la palla e difendere il campo (fielder) e un
singolo avversario alla battuta dove, una volta eliminato, viene
sostituito da un compagno di squadra fino all'eliminazione del decimo
battitore.
Tra un innings e l'altro, le squadre, invertono i propri ruoli.
Scopo del gioco è quello mettere a segno più punti possibili e
di non farsi eliminare quando si è in battuta; e viceversa di
non far segnare punti e di eliminare i battitori avversari quando
questi sono al lancio. Vince chi realizza più punti.
Ruoli
Battitore
Il battitore è posizionato sulla batting crease in attesa del lancio
della palla. Ci sono diverse tecniche per colpire la palla, le più
comuni sono due: la shot o stroke, che consiste nel colpire la
palla in pieno con la mazza; e la edge o snick, andando a respingere la
palla con il bordo della mazza. A seconda di quella che è la strategia
della squadra e il tipo di lancio ricevuto, il battitore può decidere se
effettuare un colpo difensivo (al quale non fa seguito la runs), oppure un
colpo aggressivo per avere la possibilità di segnare rapidamente la runs.
I battitori entrano in campo secondo un ordine (batting order) deciso dal
capitano della squadra; i primi due battitori che scendono in campo sono
detti "openers" e generalmente sono i migliori elementi in battuta della
squadra, visto che, essendo il lanciatore più fresco e la palla ancora
nuova, dovranno affrontare i lanci più impegnativi della partita. A seguire
andranno in battuta i giocatori via via più scarsi, fino ad arrivare al
lanciatore (in genere il meno abile alla battuta).
Questo ordine può essere tuttavia cambiato, per motivi strategici, in
qualunque momento durante il corso del gioco.
Per segnare una run il battitore deve, dopo aver colpito la sfera, correre
al lato opposto del pitch contemporaneamente al suo compagno che
non ha eseguito la battuta. Entrambi i runners (il nome che assume il
battitore mentre esegue la corsa) devono toccare il terreno oltre la
popping crease con la mazza. Se il colpo è stato particolarmente forte
o difficile da recuperare per i fielders, i due runners possono provare
anche a scambiarsi nuovamente, mettendo a segno tante runs quante
ne riescono ad eseguire. Non c'è un numero massimo di runs effettuabili
in una singola battuta, ma se un fielder abbatte il wicket con la palla
mentre i runners sono fuori dalle loro posizioni (oltre la popping crease), il
battitore più vicino a questa viene eliminato.
Qualora la palla colpita finisca oltre la linea di boundary la squadra
segna automaticamente quattro runs, addirittura sei se la palla esce
senza prima toccare il terreno.
Ogni run messa a segno da un battitore contribuisce al
punteggio finale della squadra. Questo punteggio include,
inoltre, un certo numero di extra-runs che vengono
accreditate senza che ci siano battute. Queste possono
essere assegnate nei casi di byes, leg byes, no balls,
wides oppure come penalità.
Lanciatore
Il lanciatore è colui che lancia la sfera ai battitori, usando quella che è
conosciuta come "azione di bowling": il braccio non deve mai piegarsi
ma rimanere teso per tutto il lancio. Se questo non accade, il lancio è
illegale e viene dichiarato no-ball.
Il lanciatore lancia solitamente la sfera in modo che questa rimbalzi
prima di raggiungere il battitore. Deve effettuare il lancio con il proprio
piede posteriore all'interno dell'area delimitata dalle creases e con l'altro
sulla linea, altrimenti il lancio viene dichiarato no-ball. La palla deve
anche seguire una traiettoria tale che sia possibile per il battitore colpirla,
se questo non accade il lancio viene dichiarato wide
(largo).L'obiettivo primario del lanciatore è di
prendere i wickets ed eliminare così il battitore. Così
da ridurre il numero di possibilità per gli avversari di
segnare runs.
Fielder
Il compito principale dei fielder è quello di recuperare le palle battute e
limitare così il più possibile il numero di runs subite. Vengono disposti sul
campo a seconda di quella che è la tattica della squadra per far si che
il recupero e il seguente ritorno della palla nel pitch avvenga nel minor
tempo possibile.
Wicket-keeper
Il wicket-keeper è un fielder specializzato nello stare dietro il wicket del
battitore durante il gioco. Il suo lavoro primario è quello di prendere le palle
che il battitore non riesce a colpire, ed evitare che queste finiscano
nell'outfield, qualora questo succeda viene segnata una run per byes.
Data la sua posizione, subito dietro il battitore, il wicket-keeper ha buone
probabilità di essere colpito con la mazza dal battitore; per questo è anche
l'unico fielder a cui è concesso indossare particolari
protezioni, oltre a un guanto per proteggersi la mano
nella presa della palla.
Altri ruoli
Capitano
L'abilità del capitano nel decidere la strategia è cruciale
per il successo della squadra. A lui spettano molte
decisioni importanti, come l'elenco e l'ordine dei giocatori
in battuta, lo schieramento e la tattica dei fielder sul campo, come un
lanciatore deve giocare la palla, ecc. Il capitano è poi responsabile,
per i suoi giocatori, che questi non contravvengano allo Spirito del
gioco e alle Leggi del cricket.
Runner
Nel caso un battitore, ancora in grado di battere, sia però infortunato
e quindi impossibilitato ad effettuare l'eventuale run, può chiedere di
essere sostituito nella corsa da un runner.
Il giocatore che funge da runner per il battitore, è solitamente un
membro della squadra che ha già battuto in quell'inning. Il runner dovrà
indossare tutte le protezioni portate dal battitore che sostituisce nelle
corse, compresa la mazza. Naturalmente il battitore sarà il destinatario di
tutte le penalità in cui potrà incorrere il suo runner, compresa l'eventuale
eliminazione.
Sostituto
Nel One-Day cricket, era permessa una sola sostituzione durante il gioco,
e al giocatore sostituito non era più consentito rientrare in campo in un
secondo momento (era chiamato il "Super-Sub"). Però, questa nuova
regola fu abrogata, perché non è piaciuta né ai giocatori né ai
spettatori.
Nelle tutte le forme di cricket, se un giocatore rimane infortunato o
diventa indisponibile durante il match, è possibile far giocare un sostituto
al suo posto; benché questo non possa lanciare, battere, o fungere da
capitano o wicket-keeper. In questo caso il sostituto è un ruolo
provvisorio e lascia il campo una volta che il giocatore, prima
indisponibile, è pronto per ritornare in campo.
Gli strumenti di gioco
La mazza
La mazza deve essere di lunghezza non superiore a 96,5 cm mentre la
parte piatta, fatta esclusivamente di legno, non deve superare i 10,8 cm in
larghezza. La parte piatta può inoltre essere ricoperta con un materiale di
protezione o di riparazione, purché questo non superi 1,56 mm di spessore
e non sia tale da danneggiare la palla. Secondo le leggi del cricket, sia il
guanto che la mano del battitore fanno parte integrante della mazza.
La palla
La palla deve avere un peso compreso tra 155,9 g e 163 g e una
circonferenza tra 22,4 cm e 22,9 cm. Questi valori cambiano però per il
"cricket femminile" e quello "junior", dove peso e circonferenza sono
leggermente inferiori. È formata da un nucleo di sughero rivestito di
pelle tenuta insieme da sei cuciture sporgenti.
Gli arbitri possono verificare la palla in ogni momento della partita. Se
la palla viene persa o resa inadatta al gioco, gli arbitri la possono
sostituire con una che abbia lo stesso grado di usura.
I giocatori posso ripulire la palla senza però utilizzare sostanze artificiali.
La palla non può essere strofinata sul terreno. Non possono essere
eseguite operazioni che ne alterino le condizioni. La palla bagnata
deve essere asciugata con un panno o con segatura.
Il campo di gioco
Le partite di cricket si giocano in un campo in erba di forma circolare o
ovale. Non ci sono delle dimensioni precise, ma il diametro di questo
spazio varia solitamente tra 137 m e 150 m (solitamente negli stadi una
corda delimita il perimetro del campo che viene detto boundary.
Il pitch
Nonostante le notevoli dimensioni del campo gran parte delle azioni di
gioco si svolgono in uno spazio molto più piccolo detto pitch.
Il pitch è un'area rettangolare del campo che misura 3,05 m in larghezza
e 20,12 m in lunghezza, limitato alle due estremità dalle bowling creases e
ai lati da due linee immaginarie e parallele fra loro.
Al centro delle bowling creases verranno poi inseriti i paletti (stumps) che
formano il wicket.
Ci sono, sul pitch altri tipi di creases: le popping creases, parallele alle
bowling e poste davanti a queste alla distanza di 1,22 m e considerate di
lunghezza infinita; le return creases, perpendicolari alle popping e poste
a 1,32 m di distanza dalla linea immaginaria che taglia in lunghezza il
pitch; infine ci sono le due batting crease, sulla stessa linea delle popping
e sono la loro prosecuzione fino ai margini del pitch.
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