La valutazione delle rimanenze
(6 marzo 2013)
Sommario:
1. Premessa ............................................................................................................................................. 1
2. Aspetti civilistici: rilevazione e rappresentazione in bilancio delle rimanenze di
magazzino ............................................................................................................................................... 1
3. Aspetti civilistici: rilevazione e rappresentazione in bilancio dei lavori in corso su
ordinazione ............................................................................................................................................. 2
4. Aspetti civilistici: criteri di valutazione delle rimanenze di magazzino ............................ 3
5. Aspetti civilistici: criteri di valutazione dei lavori in corso su ordinazione ...................... 5
6. La disciplina fiscale ......................................................................................................................... 6
7. Il “caso”: commesse infra-annuali e criterio della “percentuale di completamento” .. 9
8. Il “caso”: effetti fiscali della eventuale “sovrastima” di valore delle rimanenze .......... 10
1. Premessa.
Le rimanenze di magazzino costituiscono elementi patrimoniali non destinati a essere utilizzati
durevolmente, in quanto destinati alla vendita, ovvero utilizzati nella produzione con riguardo a un solo
ciclo produttivo (cd. fattori a fecondità semplice). Di seguito sono sinteticamente delineati i criteri da
seguire per la loro rilevazione, valutazione e rappresentazione in bilancio, nonché il relativo trattamento
ai fini dell’imposizione sui redditi. Una particolare disciplina è peraltro dettata per i lavori in corso su
ordinazione (cd. lavori “su commessa”), ovverosia ai contratti stipulati per la realizzazione di un bene (o
una combinazione di beni), su specifica richiesta del committente. Concludono, infine, il seguente breve
contributo due specifici focus riferibili al coordinamento delle disposizioni civili e fiscali dettate per le
commesse di durata inferiore all’anno, nonché alla rilevanza fiscale della eventuale “sovrastima” del
valore attribuibile alle rimanenze di magazzino.
2. Aspetti civilistici: rilevazione e rappresentazione in bilancio delle rimanenze di
magazzino.
I beni materiali sono rilevabili tra le rimanenze di magazzino (quali merci, prodotti finiti, materie prime,
ecc.) solo ove si sia previamente verificato il passaggio del titolo di proprietà con il quale sono trasferiti i
rischi e i benefici agli stessi riferibili. In genere, per i beni mobili, il passaggio di proprietà si considera
avvenuto alla data di consegna o spedizione, in virtù del trasferimento dei rischi da un punto di vista
sostanziale; per i beni immobili, invece, si considera avvenuto alla data di stipulazione del contratto di
compravendita1.
L’art. 2424 del Codice civile impone di indicare nello stato patrimoniale, nell’Attivo circolante, le
rimanenze di: materie prime2, sussidiarie e di consumo3 (C.I.1); prodotti in corso di lavorazione4
e semilavorati5 (C.I.2); prodotti finiti6 e merci7 (C.I.4). La variazione di tali rimanenze, intervenuta
nel corso del singolo periodo amministrativo (esercizio), concorre a determinarne il risultato
A titolo esemplificativo, sono compresi tra le rimanenze di magazzino: i beni che si trovano presso gli stabilimenti
dell’impresa, ad esclusione di quelli ricevuti da terzi in deposito, prova, visione, lavorazione, ecc.; i beni dell’impresa presso
terzi in deposito, prova, visione, lavorazione, ecc.; i beni acquistati ma non ancora pervenuti (in quanto in viaggio), quando
l’impresa abbia comunque già acquisito il titolo di proprietà.
2 Materiali destinati a essere inclusi nei prodotti finiti.
3 Materiali utilizzati indirettamente nella produzione.
4 Materiali, parti e assiemi in fase di avanzamento, che non presentano una propria definitiva identità.
5 Parti destinate alla fabbricazione del prodotto finito, che presentano una propria definitiva identità.
6 Manufatti dell’impresa destinati alla vendita.
7 Prodotti acquistati per la rivendita.
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economico, quale componente del Valore della produzione, con riguardo ai prodotti in corso di
lavorazione, semilavorati e finiti (A.2), ovvero dei Costi della produzione, con riguardo alle
materie prime, sussidiarie, di consumo e merci (B.11)8. Nel primo caso, la variazione positiva che
emerge dal confronto tra esistenze iniziali e rimanenze finali (EI < RF) assume segno positivo;
viceversa, per quelle indicate tra i Costi della produzione, la medesima variazione assume segno
negativo. Per le società che redigono il bilancio in forma abbreviata (ex art. 2435-bis del Codice civile), le
rimanenze sono esposte all’attivo dello stato patrimoniale in un’unica voce; inoltre, viene loro concessa
la possibilità di raggruppare le voci A.2 e A.3 in un’unica voce del conto economico9.
Da ultimo, si ricorda come, in nota integrativa, debbano essere indicati i criteri applicati per la
valutazione delle rimanenze, le cause che hanno determinato variazioni nella loro consistenza e
l’ammontare degli oneri finanziari “capitalizzati” nel corso dell’esercizio10. Se il valore dei beni fungibili,
così come determinato in applicazione dei criteri della media ponderata, del FIFO o del LIFO – di cui
si dirà tra breve – differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, anche
tale differenza deve essere indicata, per categorie di beni, nella nota integrativa11.
3. Aspetti civilistici: rilevazione e rappresentazione in bilancio dei lavori in corso su
ordinazione.
I lavori in corso su ordinazione sono iscritti nello stato patrimoniale, nell’Attivo circolante, alla voce
C.I.3. Nel conto economico, i ricavi di commessa12 acquisiti a titolo definitivo sono rilevati, quali
componenti del “Valore della produzione”, alla voce A.1 “Ricavi delle vendite e delle prestazioni”,
mentre il valore della produzione eseguita nel corso dell’esercizio, al netto di quella eventualmente già
portata a ricavo, è rilevato alla voce A.3 “Variazione dei lavori in corso su ordinazione”. I costi di
Cfr. Art. 2425, voci nn.2) e 11), del Codice civile.
Con riguardo alla variazione delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti e alla variazione dei
lavori in corso su ordinazione.
10 Cfr. Art. 2427, primo comma, nn.1), 4) e 8), del Codice civile.
11 Cfr. Art. 2426, primo comma, n.10), del Codice civile.
12 Comprendono, a titolo esemplificativo, il prezzo stabilito contrattualmente, le maggiorazioni per revisione del prezzo, i
corrispettivi per beni o prestazioni aggiuntive (es. varianti), i corrispettivi aggiuntivi conseguenti a eventi i cui effetti sono
posti a carico del committente.
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2
commessa13 sostenuti nel corso dell’esercizio sono imputati alla classe B. “Costi della produzione”
del conto economico, con specifica collocazione nelle diverse voci in ragione della loro natura.
4. Aspetti civilistici: criteri di valutazione delle rimanenze di magazzino.
L’art. 2426 del Codice civile detta i criteri da seguire per la valutazione delle rimanenze. In particolare, le
rimanenze che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritte al minore tra costo di acquisto (o
di produzione) e valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato14. Il costo di
acquisto è costituito dall’ammontare dei costi, comprensivo di eventuali oneri accessori15, sostenuti per
ottenere la proprietà delle rimanenze di magazzino nel loro attuale sito e condizione. Il costo di
produzione comprende, oltre ai costi direttamente imputabili (cd. “costi diretti” 16), anche i cd. “costi
indiretti” 17, per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto, relativi al periodo di fabbricazione e
fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato18. Con gli stessi criteri possono essere
“capitalizzati” gli oneri finanziari afferenti il finanziamento della fabbricazione interna o presso terzi,
anche se il principio contabile OIC n.13 circoscrive tale “possibilità”
19
solo con riguardo ai casi in cui
un finanziamento è stato chiaramente assunto a fronte di specifiche voci che richiedono un processo
produttivo di vari anni prima di poter essere vendute (si pensi, per esempio, alla necessaria
“stagionatura” o all’invecchiamento di taluni prodotti alimentari). Per valore di realizzazione desumibile
Comprendono sia i “costi diretti”, che quota-parte dei “costi indiretti”. A titolo esemplificativo, vi rientrano: i materiali
utilizzati, la manodopera, il costo dei subappaltatori, i costi per l’impianto e lo smobilizzo del cantiere, i costi di
assicurazione, i costi di progettazione.
14 Cfr. Art. 2426, primo comma, n.9), del Codice civile che specifica che tale minor valore non può essere mantenuto nei
successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi.
15 Sono inclusi i costi di: trasporto, dogana, altri tributi e gli altri costi direttamente imputabili. Sono esclusi, invece, gli oneri
finanziari.
16 Costituiscono esempi di “costi diretti”: materiali utilizzati, manodopera, semilavorati d’acquisto, imballaggi, servizi
direttamente riferibili al processo di fabbricazione.
17 Costituiscono esempi di “costi indiretti” o “costi generali di produzione”: salari e stipendi relativi alla manodopera
indiretta, ammortamento dei cespiti destinati alla produzione, manutenzioni e riparazioni, materiali di consumo.
L’imputazione di tali costi deve essere effettuata con criteri adeguati alle specifiche caratteristiche del processo produttivo di
ogni società. In genere, sono distribuiti sui prodotti utilizzando percentuali prefissate basate su un previsto volume di costi
relativi a un livello normale di produzione, ovvero sulla base di dati consuntivi. In quest’ultimo caso, però, va tenuta
presente la capacità produttiva normale degli impianti.
18 L’art. 2426, primo comma, n.9), del Codice civile, ultimo periodo, dispone che “I costi di distribuzione non possono essere
computati nel costo di produzione”.
19 Come specificato dalla Relazione Ministeriale di commento all’art. 2426 del Codice civile: “La formula «può comprendere» non
intende attribuire ai redattori del bilancio una facoltà di scelta arbitraria, ma si riferisce alla ragionevole applicazione della discrezionalità tecnica,
in relazione alla specifica situazione produttiva, in conformità al principio generale della «rappresentazione veritiera e corretta». La discrezionalità
tecnica è da intendersi nell’identificazione dei costi da includere e di quelli da escludere ai fini della valutazione delle rimanenze di magazzino”.
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dall’andamento del mercato si intende20:
a) il costo di sostituzione, per le materie prime, sussidiarie e per i semilavorati d’acquisto che
partecipano alla fabbricazione dei prodotti finiti;
b) il valore netto di realizzo, per le merci, i prodotti finiti, i semilavorati di produzione e i prodotti in
corso di lavorazione.
Il costo di sostituzione rappresenta il costo con il quale, in normali condizioni di gestione, una
determinata voce in magazzino può essere acquistata o riprodotta. Tale costo deve essere determinato
sulla base di normali condizioni di mercato e con riguardo all’acquisto di normali quantitativi di beni.
D’altro canto, il valore netto di realizzo rappresenta il prezzo di vendita per una società in
funzionamento, al netto dei presunti costi di completamento e dei costi diretti di vendita21.
La valutazione delle rimanenze di magazzino presuppone l’individuazione e l’attribuzione alle singole
unità fisiche dei costi specificamente sostenuti per esse. Non di rado, tuttavia, tale individuazione e
attribuzione non è praticamente attuabile, a causa dell’entità delle rimanenze e della loro velocità di
rotazione. Pertanto, da un punto di vista pratico, vengono effettuate alcune assunzioni sul flusso delle
rimanenze e dei costi cui corrispondono alternativi metodi di “valutazione”. In particolare, in base al
disposto dell’art. 2426, primo comma, n.10), del Codice civile, il costo delle rimanenze può essere
determinato, oltre che a “costi specifici”, con i seguenti metodi:

costo medio ponderato, da distinguersi con riguardo alla ponderazione “per movimento” 22 o “per
periodo” 23;

primo entrato, primo uscito (FIFO), con il quale le quantità acquistate in epoche più remote sono
le prime a essere vendute, per cui in magazzino restano convenzionalmente le quantità acquistate in
epoche più recenti;

ultimo entrato, primo uscito (LIFO), con il quale le quantità acquistate in epoche più recenti sono
le prime ad essere vendute, per cui in magazzino restano convenzionalmente le quantità acquistate
in epoche più remote.
Da ultimo, si segnala una particolare metodologia di valutazione che riguarda le materie prime,
sussidiarie e di consumo che, qualora siano costantemente rinnovate e complessivamente di scarsa
Cfr. OIC n.13 - bozza per la consultazione.
Si pensi alle provvigioni, ai costi di trasporto, agli imballaggi, ecc..
22 In tal caso, il costo medio è calcolato subito dopo ogni acquisto e le vendite sono valorizzate con il costo medio calcolato
dopo l’ultimo acquisto.
23 In tal caso, il costo medio è calcolato con una ponderazione su base mensile o di altro periodo (es. trimestrale).
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4
importanza, possono essere iscritte all’attivo dello stato patrimoniale a un valore costante, a condizione,
però, che non si verifichino variazioni sensibili nella loro entità, valore e composizione24.
5. Aspetti civilistici: criteri di valutazione dei lavori in corso su ordinazione.
Con riguardo ai lavori in corso su ordinazione, oltre alla possibilità di utilizzare la metodologia di
valutazione appena descritta per le rimanenze di magazzino, l’art. 2426, primo comma, n.11), del
Codice civile, prevede la possibilità che gli stessi possano essere valutati in base ai corrispettivi maturati
con ragionevole certezza. La valutazione, dunque, può essere effettuata utilizzando due criteri:

il criterio della “percentuale di completamento”25, secondo il quale, nel rispetto del principio di
competenza economica, i costi, i ricavi e l’utile di commessa sono rilevati negli esercizi in cui i lavori
sono eseguiti;

il criterio della “commessa completata”26, secondo il quale, invece, i ricavi e l’utile di commessa
sono riconosciuti per intero nel momento in cui le opere sono ultimate e consegnate o i servizi
sono stati resi.
A differenza del criterio della “commessa completata”, quindi, il criterio della “percentuale di
completamento” prevede il riconoscimento del risultato economico netto di commessa con
l’avanzamento dei lavori. Tale criterio, infatti, si basa sull’assunto che i ricavi di commessa maturano
con ragionevole certezza e sono iscritti in bilancio man mano che i lavori sono eseguiti 27, consentendo
così di assegnare quote di risultato economico netto agli esercizi nel corso dei quali la produzione viene
realizzata. Il principio contabile OIC n.23 raccomanda l’utilizzo del criterio della “percentuale di
completamento”, nel caso di lavori di durata ultrannuale, allorquando siano rispettate le seguenti
condizioni:
1) esiste un contratto vincolante per le parti che ne definisca chiaramente le obbligazioni e, in
particolare, il diritto al corrispettivo per l’appaltatore;
2) il diritto al corrispettivo per la società che effettua i lavori matura con ragionevole certezza via via
Cfr. Art. 2426, primo comma, n.12), del Codice civile.
Cfr. Art. 2426, primo comma, n.11), del Codice civile.
26 Cfr. Art. 2426, primo comma, n.9), del Codice civile.
27 Al fine di determinare il ricavo maturato alla fine di ciascun esercizio, tale metodo richiede la stima dello “stato di
avanzamento” (o percentuale di completamento). Diversi sono i metodi che, in ragione delle specificità del caso concreto,
possono essere utilizzati: il metodo del costo sostenuto (cost to cost), il metodo delle ore lavorate, il metodo delle unità
consegnate, il metodo delle misurazioni fisiche.
24
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5
che i lavori sono eseguiti;
3) non sono presenti situazioni di incertezza relative a condizioni contrattuali o a fattori esterni di tale
entità da rendere dubbia la capacità dei contraenti di far fronte alle proprie obbligazioni;
4) il risultato della commessa può essere attendibilmente misurato.
Nei casi in cui, invece, tali condizioni non sono rispettate, occorre utilizzare il criterio della “commessa
completata”.
Con riguardo, invece, alle commesse di durata inferiore all’anno, il citato principio contabile OIC n.23
considera indifferente la scelta tra i predetti criteri di valutazione, giusta la considerazione che, in tali
casi, l’utilizzo del criterio della “commessa completata” non genera andamenti irregolari nei risultati
d’esercizio.
6. La disciplina fiscale.
La disciplina fiscale delle rimanenze di magazzino e dei lavori in corso su ordinazione è dettata dagli
artt. 92 e 93 del TUIR28.
Dispone l’art. 92 del TUIR che la variazione delle rimanenze finali, rispetto alle esistenze iniziali,
concorre a formare il reddito imponibile29. A tal fine, le rimanenze finali che non sono valutate a “costi
specifici”
30
o, come vedremo tra breve, ai sensi dell’art. 93 del TUIR (per le opere di durata
ultrannuale), sono assunte, ai fini della determinazione del reddito imponibile, “per un valore non
inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun
gruppo un valore non inferiore” a quello determinato secondo i criteri appresso indicati.
Nel primo esercizio in cui si verificano, le rimanenze sono valutate attribuendo a ciascuna unità il valore
che scaturisce dal rapporto tra il costo complessivo dei beni prodotti/acquistati nell’esercizio e la
quantità complessiva degli stessi31. Il valore così determinato va moltiplicato per la quantità dei beni che
costituiscono le giacenze di magazzino.
Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze fosse aumentata rispetto all’esercizio precedente,
tali maggiori quantità costituiscono voci distinte per esercizio di formazione (cd. “stratificazione” delle
Una peculiare disciplina è prevista dall’art. 92-bis del TUIR per le imprese operanti in particolari settori (ad es.,
raffinazione del petrolio e ricerca di idrocarburi).
29 Il riferimento è alle variazioni di beni di cui all’art. 85, comma 1, lett. a) e b), del TUIR, ossia: beni alla cui produzione o
scambio è diretta l’attività dell’impresa (lett. a); materie prime e sussidiarie, semilavorati e altri beni mobili, acquisti o prodotti
per essere impiegati nella produzione (lett. b).
30 In genere, sono valutati con tale criterio i beni infungibili.
31 Cfr. Art. 92, comma 2, del TUIR.
28
6
rimanenze). Specularmente, se negli esercizi successivi la quantità delle rimanenze fosse diminuita, tale
diminuzione va imputata agli incrementi formati nei precedenti esercizi, a partire dal più recente32. In
concreto, negli esercizi successivi al primo, le rimanenze finali sono valutate al minore tra33:

il costo, determinato utilizzando uno dei criteri consentiti (media ponderata, FIFO, LIFO a scatti e
altre varianti del LIFO);

il valore normale medio nell’ultimo mese dell’esercizio34.
Il costo al quale bisogna fare riferimento, a prescindere dal metodo utilizzato per la sua determinazione,
è definito dall’art. 110 del TUIR e comprende: a) gli oneri diretti di acquisizione o di produzione; b) gli
oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali. Per valore normale,
invece, deve farsi riferimento al “prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie
o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i
beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi” 35. Per la
determinazione di tale valore si fa riferimento, laddove possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che
ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle
tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso.
Una particolare modalità di valutazione delle rimanenze è prevista per gli esercenti attività di
commercio al minuto: per tali contribuenti, che valutano le rimanenze di merci con il cd. “metodo del
prezzo al dettaglio”, è consentito tener conto, anche ai fini fiscali, del valore così determinato, a
condizione che nella dichiarazione dei redditi (o in apposito allegato) siano illustrati i criteri e le
modalità di applicazione del citato metodo36, teso ad approssimare il costo partendo dal prezzo di
vendita, al netto del margine medio a queste riferibile.
Per i prodotti in corso di lavorazione e le opere, forniture e servizi di durata infra-annuale, l’art. 92,
comma 6, del TUIR, dispone la valutazione in base alle spese sostenute nell’esercizio. Si tratta, a ben
vedere, del già descritto criterio della “commessa completata”. Con riguardo, invece, alle opere,
forniture e servizi di durata ultrannuale, trova applicazione l’art. 93 del TUIR. Tale norma dispone il
concorso alla determinazione del reddito imponibile delle variazioni delle rimanenze di opere, forniture
Cfr. Art. 92, comma 3, del TUIR.
Cfr. Art. 92, commi 3, 4 e 5, del TUIR.
34 Precisa, al riguardo, il comma 5, ultimo periodo, dell’art. 92 del TUIR che “Il minor valore attribuito alle rimanenze in conformità
alle disposizioni del presente comma vale anche per gli esercizi successivi sempre che le rimanenze non risultino iscritte nello stato patrimoniale per
un valore superiore”.
35 Cfr. Art. 9, comma 3, del TUIR.
36 Cfr. Art. 92, comma 8, del TUIR.
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33
7
e servizi ultrannuali, rispetto alle esistenze iniziali, a condizione che:

si faccia riferimento a opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario, cioè indivisibile in
parti predeterminate;

l’esecuzione della prestazione (il tempo che intercorre tra la data di inizio dell’esecuzione delle
prestazioni e la data di consegna dei lavori) abbia una durata ultrannuale.
Invero, l’esecuzione delle opere e servizi di cui trattasi è suscettibile di generare, a seconda dei casi,
ricavi o rimanenze. Si generano ricavi se l’ammontare complessivo dei corrispettivi pattuiti è idoneo a
essere frazionato in più importi attribuibili ai singoli lotti. Si generano, invece, rimanenze se i
corrispettivi rappresentano soltanto delle liquidazioni provvisorie di quanto dovuto.
La valutazione ai fini fiscali delle opere, forniture e servizi di durata ultrannuale è effettuata imputando
a rimanenza la parte già eseguita di tali prestazioni in proporzione ai corrispettivi pattuiti37. La
valutazione di tali rimanenze è, quindi, effettuata applicando il criterio della “percentuale di
completamento”, imputando cioè a ogni esercizio interessato all’esecuzione delle opere una quota di
utile calcolata sulla base del corrispettivo complessivamente pattuito, evitando così di collocare l’intero
imponibile nell’ultimo esercizio. In pratica, alla fine di ogni esercizio occorre:
1) determinare la percentuale di avanzamento (o di completamento) del lavoro già eseguito rispetto al
totale dell’opera da eseguire;
2) moltiplicare tale percentuale per il corrispettivo pattuito;
3) attribuire il valore così ottenuto al lavoro in corso di esecuzione.
Quando il committente liquida una parte dei corrispettivi, tuttavia a titolo provvisorio e in base a
precise clausole contrattuali di stato di avanzamento, le somme versate non costituiscono ricavi
d’esercizio per l’impresa, ma sono trattati contabilmente come degli anticipi da clienti, fino al momento
in cui avverrà l’accettazione dell’opera. In tal caso, la valutazione delle opere, forniture e servizi è fatta
in base ai corrispettivi liquidati38.
Sempre in ipotesi di liquidazione parziale, i corrispettivi liquidati, invece, a titolo definitivo dal
committente sono compresi tra i ricavi e gli stessi sono esclusi dalla valorizzazione delle rimanenze
finali.
37
38
Cfr. Art. 93, comma 2, del TUIR.
Cfr. Art. 93, comma 2, ultimo periodo, del TUIR.
8
Da ultimo, si segnala che, normativamente, il contribuente interessato alla realizzazione di tali “opere” è
tenuto ad allegare alla dichiarazione dei redditi39, distintamente per ciascuna opera, fornitura o servizio,
un prospetto recante l’indicazione degli estremi del contratto, delle generalità e della residenza del
committente, della scadenza prevista, degli elementi considerati a fine esercizio in sede di valutazione,
nonché la loro collocazione nei conti dell’impresa40.
7. Il “caso”: commesse infra-annuali e criterio della “percentuale di completamento”.
Con riguardo ai lavori in corso su ordinazione, il principio contabile OIC n.23, con specifico
riferimento alle commesse di durata inferiore all’anno, fornisce all’estensore del bilancio ampia
discrezionalità circa la scelta del criterio di valutazione da adottare (criterio della “percentuale di
completamento”, oppure della “commessa completata”), giusta la considerazione che, in tali casi,
l’utilizzo del criterio della “commessa completata” non genera andamenti gravemente irregolari nei
risultati d’esercizio. Pertanto, in conseguenza della scelta per l’uno o per l’altro metodo, la
rappresentazione in bilancio varia sensibilmente:

optando per il criterio della “percentuale di completamento”, i costi, i ricavi e l’utile di commessa
sono rilevati nel corso degli esercizi in cui i lavori sono eseguiti;

optando, invece, per il criterio della “commessa completata”, i ricavi e l’utile di commessa sono
riconosciuti per intero nel momento in cui le opere sono ultimate e consegnate o i servizi resi.
Il legislatore fiscale identifica in modo preciso un differente trattamento per le opere e i servizi di durata
ultrannuale (ex art. 93 del TUIR), rispetto a quelli di durata infra-annuale (ex art. 92, comma 6, del
TUIR). Per questi ultimi, infatti, dispone che la valutazione delle rimanenze vada effettuata in base al
criterio della “commessa completata” e, quindi, sulla base delle spese sostenute nel corso dell’esercizio.
Problemi di coordinamento tra disciplina fiscale e normativa civilistica potrebbero pertanto sorgere
allorquando il contribuente avesse optato per la valutazione di tali opere secondo il criterio della
“percentuale di completamento”, mentre, come ricordato, il legislatore fiscale sembra riconoscere
esclusivamente il criterio della “commessa completata”. Al riguardo, la Direzione Regionale della
Lombardia41, in risposta a un quesito sottopostole dall’Ordine dei Dottori Commercialisti di Monza,
Ovverosia, a tenere a disposizione dell’Amministrazione finanziaria tali “prospetti” sino al termine del periodo di
accertamento dell’esercizio cui si riferisce la dichiarazione dei redditi.
40 Cfr. Art. 93, comma 6, ultimo periodo, del TUIR.
41 Cfr. DRE Lombardia prot. n.21568 del 26 febbraio 2001.
39
9
ebbe a chiarire che “il criterio dettato dal più volte citato comma 5 [criterio della “commessa completata”,
attualmente contemplato dal comma 6 dell’art. 92 del TUIR] sia un criterio inderogabile, nonostante la
diversa disposizione civilistica”. Pertanto, nelle ipotesi in cui le opere, forniture e servizi di durata non
superiore all’anno fossero valutati in bilancio in base al “criterio della percentuale di completamento”, ai
fini fiscali parrebbe invece dover assumere rilievo il solo criterio della “commessa completata”, con la
conseguenza che la differenza tra il valore civilistico e quello fiscale dovrebbe essere neutralizzata
attraverso l’iscrizione, in sede di dichiarazione dei redditi, di una variazione in diminuzione del reddito
imponibile pari alla differenza tra i predetti valori,42 seguita da una corrispondente variazione in
aumento di analogo ammontare nella successiva dichiarazione dei redditi.
8. Il “caso”: effetti fiscali della eventuale “sovrastima” di valore delle rimanenze.
Nel caso in cui le rimanenze di beni fungibili fossero esposte in bilancio per un valore superiore rispetto
a quello prescritto dall’art. 2426, primo comma, n.9), del Codice civile,43 risulterebbe, in primo luogo,
violato, oltre che lo specifico criterio di valutazione, anche il più generale e fondamentale postulato
della prudenza. Tale “plus-valutazione” potrebbe essere eventualmente giustificata – in astratto – al
verificarsi dei cd. “casi eccezionali” di cui all’art. 2423, quarto comma, del Codice civile,44 una
circostanza, però, che costituisce di fatto solo “un caso di scuola”. Si tratterebbe, infatti, dell’ipotesi in
cui, per effetto di un “caso eccezionale”, allorquando dall’applicazione del criterio di valutazione
prescritto dall’art. 2426 del Codice civile non derivasse una rappresentazione veritiera e corretta della
situazione patrimoniale e/o del risultato economico dell’impresa, si imporrebbe una deroga ai criteri di
valutazione la cui applicazione determina una siffatta distorsione dei risultati di bilancio45. In tali casi, “la
nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale,
finanziaria e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non
distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato”. Come detto, si tratta, tuttavia, di un’ipotesi del
Cfr. DRE Lombardia prot. n.21568 del 26 febbraio 2001 che, nel dettaglio, così recita: “Pertanto, qualora in bilancio le opere
infrannuali siano state valutate per un importo superiore a quello risultante dall’applicazione del criterio fiscale del costo sostenuto, risulterà
corretto annullare la differenza attraverso una variazione in diminuzione nella dichiarazione dei redditi”.
43 Che dispone l’iscrizione in bilancio al minore valore tra il costo di acquisto (o di produzione) e il valore di realizzazione
desumibile dall’andamento del mercato.
44 “[…] Se, in casi eccezionali, l’applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta,
la disposizione non deve essere applicata. La nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l’influenza sulla rappresentazione della
situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non
distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato”.
45 Cfr. Art. 2423, quarto comma, del Codice civile.
42
10
tutto “scolastica”, considerato che quella della fisiologica presenza di “plusvalori impliciti” nelle
giacenze valutate a “costo storico”, derivante dall’applicazione dei criteri di “costo convenzionale”
previsti per la valutazione delle giacenze di beni fungibili, rappresenta un fenomeno espressamente
“regolato” dallo stesso legislatore. Questi, infatti, ha disposto che, se il valore di bilancio dei beni
fungibili, così come determinato in applicazione dei criteri della media ponderata, del FIFO o del
LIFO, differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve
essere indicata, per categorie di beni, nella nota integrativa.46
Assunto, quindi, che una sovrastima in bilancio sarebbe certamente censurabile sul piano civilistico,
viene da chiedersi quali conseguenze potrebbero derivarne, invece, sul piano fiscale. In tali circostanze,
qualora a fronte di una inventariazione quantitativamente e qualitativamente corretta dei beni in
giacenza fosse loro attribuito un valore superiore al relativo “costo storico”, il maggior valore attribuito
alle rimanenze potrebbe – in linea di principio – assumere rilevanza ai fini fiscali47. Ciò sembrerebbe
desumersi dallo stesso tenore letterale dell’art. 92, comma 1, del TUIR, ove è disposto che le rimanenze
finali “sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per
natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma delle
disposizioni che seguono”. Con tale disposizione, il legislatore fiscale si è, infatti, evidentemente preoccupato
di stabilire solo un valore fiscale “minimo” da attribuire alle rimanenze.
Quanto sopra, ovviamente, nell’ipotesi in cui si trattasse di giacenze di beni fungibili correttamente
inventariate sul piano sia quantitativo, che qualitativo. In caso contrario, invece, il contribuente, oltre a
commettere comunque le gravi violazioni civilistiche sopra segnalate, si esporrebbe anche alle
presunzioni di cui al D.P.R. 441/1997, secondo le quali: “Si presumono ceduti i beni acquistati,
importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie
operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti. Tra tali luoghi rientrano anche le sedi secondarie, filiali, succursali,
dipendenze, stabilimenti, negozi, depositi ed i mezzi di trasporto nella disponibilità dell’impresa”.48
Cfr. Art. 2426, primo comma, n.10), del Codice civile.
Ferma restando, ovviamente, la possibilità che venga contestata la violazione, in tal modo perpetrata, del più generale
principio di competenza, al fine di ottenere un qualsivoglia beneficio di ordine fiscale, peraltro a fronte di una condotta
certamente censurabile sul piano civilistico e, quindi, difficilmente opponibile, nei suoi effetti tributari, all’Amministrazione
finanziaria.
48 Cfr. Art. 1, comma 1, del D.P.R. 441/1997.
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La valutazione delle rimanenze