1/4 - 2009
L’utopia
È una meta sull’orizzonte: bella, stupenda, dolcissima …
Mi piace. Vorrei abbracciarla: mi avvicino di un passo,
si allontana di un passo; mi avvicino di due passi e si
allontana di due; mi avvicino di tre, si allontana di tre;
di quattro, di quattro …
Ma a che serve l’utopia?
A farci camminare nell’amore che non stanca … e
a continuare a sognare.
… nei nostri cuori …
Qualeducazione
L’utopia è stupenda.
73
Sped. in A.P. 45% - Art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - DCO/DC-CS/133/2003 Valida dal 17-03-2003
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Per un dialogo libero in Europa - Trimestrale internazionale di Pedagogia
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Periodicità trimestrale - Anno XXVII - N. 1-4 (gennaio-dicembre 2009) - Fascicolo N. 73
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Signorini, Andrei Simic, Concetta Sirna, J.J.
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Tigano, Rosanna Tirelli, Enrica Todeschini,
Giuseppe Trebisacce, Mario Truscello, Pierre
Vayer, Giovanni Villarossa, Claudio Volpi (†),
Giorgio Vuoso, Giuseppe Zago, I. Zamberlan,
Antonino Zichichi, Corrado Ziglio.
SOMMARIO - Fascicolo 73/2009
EDITORIALE
Essere onesti oggi nella società liquida
di Giuseppe Serio...................................................................................................... pag.
3
STUDI
L’educazione del cittadino responsabile:
pensieri e proposte di Mario Mencarelli
di Sira Serenella Macchietti....................................................................................
7
EDUCAZIONE SENZA FRONTIERE
La fondazione pragmatica dell’etica
di Michele Borrelli....................................................................................................
18
RICERCA ED INNOVAZIONE EDUCATIVA E DIDATTICA
Giovani, politica e volontariato: un percorso educativo
alla ricerca di un senso per il vivere sociale
di Antonia Rosetto Ajello.........................................................................................
29
Alla ricerca del cittadino perduto. Percorsi ludici
di solidarietà, giustizia, legalità
di Lucrezia Piraino..................................................................................................
44
AUTONOMIA, DIRIGENZA, PROGETTUALITÀ
La “Scuola Gelmini” in un focus group dell’UCIIM
di Giovanni Villarossa.............................................................................................
54
Costituzione e cittadinanza
di Giuseppe Serio.....................................................................................................
57
RUBRICA APERTA
Dichiarazione di speranza
di Vincenzo Pucci.....................................................................................................
73
Paolo di Tarso, educatore e maestro
di Teobaldo Guzzo....................................................................................................
76
NOTIZIARIO .........................................................................................................
»
83
RECENSIONI . ......................................................................................................
»
99
SCHEDE . ...............................................................................................................
» 102
Editoriale
Essere onesti oggi nella società liquida
di
Giuseppe Serio
1. L’onestà è la persona che è il luogo dove gli archetipi sono impressi nella profondità dell’anima e, forse, anche
dell’immaginazione. È il luogo dell’incantesimo, dell’utopia che, se l’incontri, te ne innamori come succede quando l’uomo incontra la donna della sua
vita o viceversa.
L’onesto è “l’onestà in persona” che
agisce in conformità della legge dello
stato o, per i credenti, della coscienza in
cui è riflesso il volto di Dio. La legge, secondo Simone Weil, è propaganda prepolitica, non politica, perché guarda al
soprannaturale come obiettivo da realizzare. Invece, chi si abbandona al partito (privo di spirito e di grazia) “è obnubilato dalla propaganda e dal pensiero
del partito”1 Secondo Weil, urge un’opzione politica immediata, alimentata
dall’idea metafisica della Giustizia.
Ciascuno crede di contare qualcosa, dice Jung, “solo in virtù dell’essenza che incarniamo”; se l’uomo non incarna l’onestà concretamente la vita è
sprecata, nel senso che non appartiene
ai luoghi dell’anima.
L’onesto vive in ubbidienza alla legge dello stato se non evade le tasse, non
trasgredisce le regole, rispetta il codice
condiviso, quello etico o quello della coscienza. Ciò significa che la legge dello stato deve aprirsi al Diritto esisten-
te prima dello stato, cioè, deve aprirsi
“alla verità della giustizia nel senso platonico assoluto del termine”2.
Che significa che il compito precipuo
dello Stato è – oppure dovrebbe essere – quello di realizzare la giustizia soprannaturale nel naturale e nel sociale?. Come opportunamente commenta
Hanna Barbara Gerl-Falkovitz “la legge diventa efficacia storica di un obbligo soprannaturale”3 e, in tal modo, si
carica anche di forza morale.
Dunque, l’obiettivo del soprannaturale è il naturale, il luogo in cui ci ritroviamo ora,il mondo. L’utopia è il soprannaturale. La politica, invece, rischia di idolatrare il mondo in quanto
laTerra è una “grande bestia senz’anima”4 e, dal punto di vista del soprannaturale, occorrono giudici più che politici (che non sono i filosofi della Repubblica di Platone)
2. I Latini rapportavano l’onestà
all’onore, al decoro, al senso della bellezza della persona. Secondo loro, il disonesto è senza dignità, senza valore.
Ma oggi, l’analisi del valore umano è diversa. La bellezza della persona si colloca nei luoghi materiali, non in quelli
dell’onore. Chi ubbidisce alla coscienza
o non agisce in contrasto con la legge
morale e rispetta i Comandamenti, cerQUALEDUCAZIONE • 3
tamente è una persona che costruisce il
muro che la separa dalla corruzione.
È onesto chi accoglie l’altro di cui
non ha paura se sul suo “volto” scorge riflesso quello di Dio. “Chi cammina nella
Giustizia / ed è leale nel parlare, / chi
rigetta un guadagno frutto di angherie,
/ scuote le mani per non accettare regali, / si tura gli orecchi per non udire fatti di sangue, / chiude gli occhi per non
vedere il male”5, costui “abiterà in alto”,
vicino al Signore dell’universo.
Continueranno ad abitare in basso
i malfattori, quelli che non hanno lavorato onestamente, non hanno corrisposto il giusto salario al lavoratore; hanno
imbrogliato la gente per arricchirsi! Restano in basso anche quelli che si servono della Politica per i loro bisogni, non
per realizzare il “bene comune”; quelli
che usano l’Economia per dominare le
persone emarginate.
Il fariseo ubbidisce alla Grande Bestia perché non capisce che essere virtuosi per essa non vale niente come
quando l’agire politico non è guidato
dalla coscienza o non s’ispira alla cultura morale e nemmeno sogna l’utopia,
il non ancora.
Il mio conterraneo, Corrado Alvaro,
diceva che “la disperazione più grande
che possa impadronirsi di una società è
il dubbio che vivere onestamente sia inutile“6. Infatti, a partire dalla Calabria,
nel nostro Paese, una crescente massa
di malfattori la pensa così.
L’agire politico, quando è onesto,
rassomiglia all’aurora che preannuncia la luce e rende trasparente l’onestà
delle persone che si nutrono di valori
condivisi e danno vita alla persona che
è un valore in fieri.
Com’è noto, gli anni ’80 si sono conclusi traumaticamente per l’Italia poli4 • QUALEDUCAZIONE
tica che sembrava sprofondata nel malaffare. Tutti credevano che la casta fosse tramontata per sempre. Invece, no.
Dopo tangentopoli, è arrivato calciopoli; dopo sono arrivate montagne
di scandali con le mafie sempre in prima fila …
La gente comune sembra smarrita,
confusa, disorientata. Il mondo sembra
navigare senza bussola, senza meta;
specialmente la gente comune, non comprende; non sa spiegarsi perché rubano proprio quelli che dovrebbero dare
il buon esempio; rubano le persone che
dovrebbero orientare la vita della gente
comune che sbalordisce quando i telegiornali celebrano le scandalose notizie
di una quotidianità disgustosa.
Chi ha scelto di rimanere lontano
dai centri del potere sa che deve faticare per non essere coinvolto dai corrotti
che stanno sempre in agguato come le
sentinelle del male.
L’uomo comune – in questo tempo –
legge sui giornali la denuncia dei redditi dei potenti e resta ammutolito, con
lo sguardo fisso sulle cifre che parlano
con l’eloquenza dei fatti! Il commento
è sempre lo stesso: ma che ne fanno di
tanti soldi?
E poi pensano alle loro difficoltà
per pagare le ormai famose bollette
di fine mese o per portare a tavola il
“pane quotidiano” ai figli o per comprare i libri e farli studiare per vederli,
poi, partire da casa e andare lontano
a lavorare vivendo, onestamente, sempre lontani dalla famiglia, dalla casa
dove hanno sofferto e imparato a vivere onestamente …
La gente non capisce. Vive onestamente e ha in premio il figlio che diventa medico e deve andarsene a lavorare in un ospedale del Veneto; diven-
ta professore e resta a casa come precario a vita…
Questa è la cultura della lagna dei
sud non del sud italiano; ho in mente la
cultura della proposta che è necessario
potenziare sostenendo il movimento di
pensiero che re-interpreta il valore della vita e considera il lavoro come lo strumento decoroso per costruzire il bene comune che, in tempi generazionali, potrebbe sicuramente sconfiggere lo strumento ignobile usato dai corruttori.
Per fortuna, in ogni paese del mondo, vi sono persone forti e coraggiose
che sognano l’utopia, il bene comune,
appunto. Spetta a loro impegnarsi politicamente, nei vari settori dove la Politica può avvicinarci all’utopia. La Politica potrebbe diventare il luogo in cui
sia possibile promuovere le opere di misericordia.
Vi sono tanti altri punti di vista che
certamente si porranno all’ attenzione
della gente. Ritengo che le opere strutturali siano in grado di promuovere solo
beni di consumo, necessari, anzi indispensabili per fortificare l’onestà della persona a cui non bastano solo essi
per crescere in dignità; ma è importante produrre i beni dell’intelligenza che
sono la ricchezza inesauribile che spegne l’indifferenza.
Note
Hanna Barbara Gerl-Falkpvitz, L’utopia di Simone Weil fra politica e mistica, in «Vita e Pensiero», n. 1/2009, p. 100.
2
Id., p. 103.
3
Ivi.
4
Id., p. 104.
5
Isaia, 33, 13-16
6
Il corsivo è mio.
1
Convegno internazionale “Educare all’onestà, oggi”: Nicola Gratteri ascolta le motivazioni
dell’Impegno per la pace lette dal sindaco, dott. Carlo Lomonaco, Praia a Mare 23.05.09
QUALEDUCAZIONE • 5
Studi
rubrica diretta da GIUSEPPE SERIO
Le rubriche di questo fascicolo, Studi ed Autonomia, si occupano dell’ educazione del cittadino in due prospettive diverse: la prima si richiama al pensiero di un maestro della Pedagogia, Mario Mencarelli, e la seconda si rivolge al mondo della scuola e, indirettamente, anche a quello della famiglia.
Qui pubblichiamo lo studio di Sira Serenella Macchietti (Università di Siena, allieva di
Mencarelli, nostra gradita collaboratrice) nella prospettiva delle proposte con cui il suo
Maestro ha “contribuito alla formazione e all’affermazione di cittadini responsabili”, soprattutto “capaci di costruire una comunità di persone”.
Mencarelli era ottimista; aveva fiducia nell’educazione (se è veramente tale) che è la premessa fondamentale per la costruzione della Democrazia e, dunque, della Giustizia, fondamento della pace. La scuola è il luogo privilegiato per educarsi alla Democrazia. Ricordo che mentre andavano a segno i Programmi didattici del 1985, venne a Praia a Mare con
Franco Frabboni e Claudio Volpi su mio invito per parlare e presentare ai maestri di questo territorio i Programmi la cui idea centrale riguarda l’educazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi della nostra Costituzione. Bene ha fatto la Macchietti, a richiamare l’editoriale pubblicato in quell’anno su la sua rivista.
Molto interessato all’umanesimo pedagogico del Dewey, vicinissimo al pensiero di Maritain,
Mencarelli sceglie l’umanesimo integrale che garantisce il pieno sviluppo dell’uomo. Perciò
Sira Serenella Macchietti, propone l’educazione alla cittadinanza come obiettivo generale
dell’educazione della persona il cui valore, afferma, “è sostanza della democrazia”. Bene, a
questo punto è preferibile leggere lo studio della Macchietti sul tema dell’educazione democratica nel pensiero e nell’opera del Mencarelli perché il panorama che dischiude (pensiero
creativo, atteggiamento del perdono, umanesimo cristiano) è un contributo notevole offerto
ai lettori di Qualeducazione tra cui vi sono tanti dirigenti e docenti che quest’anno dovranno affrontare sperimentalmente ciò che nell’opera di Mario Mencarelli è stata ed era idea
di “Educazione civica” nella scuola.
In questo fascicolo, anche la Rubrica diretta dal prof. Franco Blezza affronta, sia pure da
altre angolazioni, il tema trattato dalla prof.ssa Macchietti. Il contributo di Antonia Rosetto Ajello – intitolato “Giovani, Politica e Volontariato: un percorso educativo alla ricerca di un senso per il vivere civile” (p. 29) – affronta il tema stesso con riferimento ai giovani e al loro impegno in politica o nel volontariato; quello di Lucrezia Piraino (p. 44) – intitolato “Alla ricerca del cittadino perduto. Percorsi ludici di solidarietà, giustizia, legalità”
– lo affronta nella prospettiva sociale.
Complessivamente, la rivista offre al lettore una panoramica complessa e necessaria per
continuare l’impegno da offrire ai giovani che si candidano alla cittadinanza attiva. Certo, l’offerta non è semplice perché si chiede ai docenti un impegno professionale in grado di
realizzare i percorsi didattici ed educativi che formino uomini e cittadini veramente onesti in ogni senso.
6 • QUALEDUCAZIONE
L’educazione del cittadino responsabile:
pensieri e proposte di Mario Mencarelli
di
Sira Serenella Macchietti
In questa stagione della nostra storia
in cui è molto viva l’attenzione per l’educazione alla cittadinanza, per la natura
e il significato della democrazia, sembra
opportuno un confronto con le proposte
offerte da Mario Mencarelli per contribuire alla formazione e all’affermazione di cittadini responsabili, capaci di costruire una comunità di persone e di impegnarsi per coniugare «la libertà con la
verità», mirando al bene comune.
Questo contributo intende ripercorrere l’itinerario formativo di Mario
Mencarelli e il correlativo maturarsi
dell’ideale di democrazia per presentare anche la genesi e lo sviluppo delle
sue riflessioni e delle sue proposte relative all’educazione alla cittadinanza, pertanto sarà organizzato tenendo
presenti questi ‘momenti’ dell’esistenza del pedagogista senese: quello della
ricerca, quello della proposta e quello
del perdono.
Il tempo della ricerca*
La coscienza democratica di Mario
Mencarelli è maturata lentamente, è
legata alla sua sensibilità umana e cri-
Il testo che segue è stato pubblicato con il titolo Etica, religione, cittadinanza nel volume di
Aa.Vv., Democrazia ed educazione. La formazione
del cittadino responsabile nella pedagogia di Mario Mencarelli, a cura di S.S. Macchietti, GESP,
Città di Castello (PG), 2009, pp. 43-58.
*
stiana, è stata orientata da alcune letture pedagogiche ed è stata favorita dalle
sue esperienze esistenziali e magistrali,
tra le quali una particolarmente importante è stata quella effettuata in parrocchia. A questo proposito Renato Lucatti,
collega ed amico del giovane Mencarelli, rievocando gli anni in cui entrambi
si preparavano per sostenere il concorso magistrale, riferendosi al loro studio
ed accennando alle difficoltà che incontravano per orientarsi tra le varie correnti pedagogiche così scrive: «alle nostre spalle, però, deboli e scarni òmeri
di principianti, avevamo un’esperienza particolare e originale, modesta ma
salda, concreta e vissuta: l’esperienza
dell’azione cattolica»1.
Il promotore e animatore di questa
esperienza era un giovane sacerdote,
Don Ottorino Borgogni, che aveva fondato l’Azione Cattolica ad Asciano. Questo sacerdote ai suoi ‘cento ragazzi’, che
partecipavano alla vita dell’associazione, proponeva «ricreazione e preghiera: ricreazione a misura dell’età e delle
preferenze; preghiera in comune» e tutti
erano impegnati «nel campetto del pallone dietro la Collegiata, nel cortile adiacente alla chiesa, nelle due modestissime stanze della parrocchia (compresa la
camera del cappellano), nell’“oratorio”».
Riflettendo su questa esperienza, Renato Lucatti conclude il suo discorso con
questa affermazione: «Tutti avevamo
appreso un metodo di formazione nuoQUALEDUCAZIONE • 7
va: la pedagogia dell’educarsi, dell’autoeducazione. Solidali l’uno per l’altro,
senza preclusioni né esclusioni, rispettosi verso i superiori, fiduciosi nella Provvidenza, attori e spettatori delle nostre
iniziative, fondati nella fede. Una base
sicura che il tempo rafforzò pur in ambienti diversi, qualche anno dopo, lontani da questa minuscola e maiuscola
cerchia parrocchiale: quando cioè, vinto il concorso magistrale, la sorte ci portò altrove a fare il nostro dovere d’insegnanti e d’uomini. Non superiori agli
altri, ma al servizio degli altri. Essere
“maestri” voleva dire allora compiere la
propria missione»2.
In coerenza con questo impegno si
pone quello testimoniato dal giovane
maestro Mencarelli fin dai primi anni
d’insegnamento nei confronti dei suoi
alunni durante la seconda guerra mondiale, quando, non essendo sempre possibile fare lezione a causa dell’occupazione delle aule scolastiche da parte
degli sfollati e dei militari e dei bombardamenti, accoglieva i suoi ragazzi
a casa sua per non abbandonarli e per
consentire loro di concretizzare, almeno parzialmente, il diritto di apprendere…. La stessa premura del giovane maestro per i suoi alunni, la fiducia
che riponeva in loro, nella loro volontà
di ‘imparare’, di ‘conoscere’ e di collaborare tra loro si configura come una testimonianza del suo amore per tutte le
creature e dell’intuizione del significato
dell’animazione agli effetti della crescita personale e sociale3.
La scoperta della vocazione pedagogica
Agli effetti della sua maturazione democratica e pedagogica di Mario
8 • QUALEDUCAZIONE
Mencarelli è stata estremamente importante la lettura delle opere di Giuseppe Lombardo Radice che stimolò ed
alimentò la sua vocazione educativa.
Anche a questo proposito è significativa la testimonianza di Renato Lucatti che così si esprime: «erano gli anni
1946-’47. Leggevamo insieme Lombardo-Radice, il suo volume “Lezioni di didattica”» e «dire leggevamo è poco: meditavamo pagina per pagina, rigo per
rigo, fermandoci a tutti i punti… e anche alle virgole per commentarne, integrarne, svilupparne i contenuti sulla scorta dei nostri precedenti bagagli
e di scuola e di esperienza: di tanto in
tanto, infatti, facevamo brevi supplenze sulle cattedre delle scuolette comunali. Meditavamo “Lezioni di didattica”, dunque. La lettura della seconda
metà del volume “Ricordi di esperienza magistrale” ci entusiasmava. Ci vedevamo, e ci identificavamo, entusiasti
come siamo a vent’anni, con i pionieri
della scuola, con gli antesignani che il
Lombardo-Radice proponeva d’imitare:
maestri d’avanguardia»4.
Di fatto la lettura delle ‘cronache’
che ancora supplente il giovane Mencarelli scriveva nei suoi registri consente
di rilevare che era già viva in lui la volontà di proporsi coraggiosamente come
‘maestro d’avanguardia’, premuroso nei
confronti dei suoi alunni e desideroso
di educarli al senso della responsabilità sociale e civile oltre che morale… «al
quale nessuno può sottrarsi»5.
In quelle stesse cronache è possibile intravedere il suo desiderio di democrazia e di pace che con entusiasmo giovanile espresse direttamente e vivacemente in occasione della morte del Presidente degli Stati Uniti F. Delano Roosewelt, avvenuta il 5 maggio del 1945.
In quella cronaca infatti Mario Mencarelli scrive: «Ho oggi illustrato ai miei
alunni gli importanti avvenimenti politici e bellici che hanno portato alla liberazione da parte dei nostri eroici Patrioti di tutta l’Italia del nord dai tedeschi. Ho messo in evidenza come lo spirito che animava i promotori del nostro
Risorgimento è sempre vivo nell’animo
degli italiani, come il sangue che scorreva nelle loro vene scorre ancora nelle
vene della maggior parte degli italiani, i
quali hanno saputo da soli liberarsi dal
giogo loro imposto da una cricca di traditori e vigliacchi che non sono riusciti
ad altro che a macchiare la nostra gloriosa e amata bandiera con la soppressione di ogni libertà. Ma oggi la nostra
bandiera può nuovamente sventolare,
pura da ogni macchia, segno della riconquistata libertà, simbolo dei diritti e
dei doveri di ogni cittadino, può lasciarsi accarezzare dalle leggiere brezze, può
accettare il bacio dei raggi del sole. Gli
italiani hanno ritrovato se stessi, hanno
ritrovato, con la loro tenacia, con il loro
eroico spirito di sacrificio, la libertà, la
libertà della nostra nazione!....».
E l’11 maggio 1945 prosegue: «Finalmente l’idea che aveva cercato di avvelenare tutta l’Europa è stata calpestata
e ridotta all’impotenza dai gloriosi eserciti alleati che, con la loro mirabile condotta di guerra, sono rimasti alfine vittoriosi. Prepariamoci ad affrontare con
serenità la ricostruzione morale e materiale della nostra Patria, costretta a
vivere una tragedia tremenda da parte
di una cricca di malvagi traditori».
Emergono da quanto scritto dal giovane maestro la fiducia nel nostro popolo, la considerazione positiva e non priva di entusiasmo per il Risorgimento,
l’amore per la Patria e per la sua ban-
diera e la certezza nella possibilità degli italiani, i quali avevano «ritrovato se
stessi», di riconquistare «la libertà della nostra Nazione». A questa certezza
si univa l’invito a ricostruire la nostra
Patria e indirettamente ad impegnarsi
per educare e per educarsi alla democrazia e alla libertà.
Questo invito ci consente di pensare
che Mario Mencarelli era già convinto
del fatto che la democrazia non è soltanto un bene acquisito da difendere
ma una realtà da costruire e che ognuno è chiamato a costruirla… costruendosi come cittadino responsabile e democratico. All’educazione Mario Mencarelli chiedeva quindi di aiutare l’uomo a conoscersi ed a conoscere, per costruirsi e per costruire la democrazia
con la certezza che educare significa essenzialmente aiutare l’essere umano a
sentirsi responsabile della propria vita
e di quella comunitaria.
L’incontro con la persona
La fiducia nell’educazione testimoniata da Mario Mencarelli nella sua
giovinezza sembra porsi in un rapporto di coerenza con il clima culturale e
sociale che si respirava negli anni in
cui egli effettuò le sue prime esperienze magistrali, che era caratterizzato da
un grande fervore educativo, il quale
«sollecitava […] il suo bisogno di agire e di testimoniare la propria presenza nel mondo».
Questo clima culturale infatti sembrava permettergli di soddisfare il suo
diritto all’affermazione di sé, alla definizione di un progetto di vita e di impegno educativo, volto a rispondere a una
profonda esigenza di redenzione sociale
e ad operare per la crescita della comuQUALEDUCAZIONE • 9
nità, per renderla capace di evitare depressioni, emarginazioni, alienazioni e
strumentalizzazioni.
Come molti generosi giovani degli
anni ’50 del secolo scorso, era fermamente convinto di dover operare per
l’affermazione della giustizia, della libertà e della pace e per promuovere il
progresso, civiltà e cultura6.
Giova ricordare a questo proposito che durante i suoi studi universitari Mario Mencarelli si era confrontato
con il Dewey7 ed in particolare con il suo
umanesimo che apprezzava per la valenza culturale del suo concetto di democrazia intesa come causa ed effetto
della libertà, della cultura, della scienza, le quali si incrementano vicendevolmente.
Il respiro culturale, la valorizzazione dell’uomo come soggetto di azione e
quindi l’attenzione per tutte le implicazioni sull’organizzazione della scuola e sulla didattica8 affascinarono il giovane Mencarelli, il quale «nelle pagine del Dewey e nella sua scuola trovava […] alcune risposte alle domande»
che si poneva intorno all’essere umano
e «al suo rapporto con la cultura e con
la società».
Tuttavia l’umanesimo deweyano
non lo soddisfaceva pienamente perché
come altri umanesimi contemporanei
(ad esempio quello esistenziale e quello
marxista), si irretiva nella problematica
umana senza poterne «in qualche modo
superare la precarietà e la contingenza9,
e non teneva presente […] tutto l’uomo
e la possibilità di andare oltre la ricerca delle “certezze” provvisorie»10.
Nel corso degli anni ’50 Mencarelli,
grazie anche all’incontro con la comunità pietralbina11 e in particolare con
Marco Agosti, «con il Maestro che egli
10 • QUALEDUCAZIONE
attendeva, i cui scritti e la cui azione
potevano orientarlo nella ricerca delle risposte alle domande, che ormai da
anni di poneva intorno al senso dell’esistere ed all’educazione», si avvicinò alla
prospettiva dell’umanesimo integrale… cioè di un ideale altissimo sorretto dalla certezza che «la premura per il
popolo si fa autentica quando scaturisce da un’assidua premura nei riguardi della persona singola, di tutte le singole persone»12.
In un certo senso si può affermare
che il Nostro scoprì e trovò il deus absconditus cioè la persona umana «posta ad unire la dimora terrestre con i
valori eterni».
Quindi le sue letture cambiarono e si
moltiplicarono, si intensificarono i suoi
studi e il suo impegno sociale e gradualmente «egli conquistò una nuova concezione delle finalità dell’educazione, che
faceva direttamente derivare dei poteri
e dei diritti della persona»13.
Il tempo della ‘proposta’
L’attenzione per l’educazione del
cittadino democratico è costantemente
presente nella riflessione pedagogica di
Mencarelli, anche se nella sua ampia
produzione scientifica non sono molte
le pagine dedicate a questa questione14,
che è stata frequentemente affrontata
da numerosi pedagogisti del Novecento15. In realtà per comprendere la sua
concezione dell’educazione ‘civica’ giova
confrontarsi non soltanto con gli scritti
specifici su questo tema. È infatti indispensabile tener presente l’unitarietà
del suo pensiero, il suo itinerario culturale ed esistenziale e la coerenza della
sua vita con la sua visione dell’uomo e
con la sua ricerca….
È inoltre opportuno ricordare che
a suo avviso l’affermazione della democrazia «implica, come fondamento e
come méta ad un tempo, lo sviluppo pieno della persona umana», il cui valore
«è sostanza di democrazia»16.
Pertanto Mencarelli affidava all’educazione il compito di impegnarsi per
tradurre «i principi di democrazia» in
formazione delle coscienze e alla scuola chiedeva di proporre una cultura civica capace di consentire alla persona
di conquistare la capacità «di vivere
con sincera partecipazione la vita comunitaria».
Significativo è a questo proposito un
suo ampio saggio pubblicato nel 1969,
intitolato Prospettive pedagogiche e didattiche dell’educazione civica17 in cui
sottolinea «la correlazione esistente tra
l’affermarsi della democrazia, la democratizzazione della vita scolastica e l’affermarsi delle istanze di una specifica
formazione del cittadino»18.
A più di dieci anni di distanza dall’introduzione dell’educazione civica nella
scuola italiana19 le difficoltà per comprenderne la natura disciplinare erano
ancora molte e sollecitarono Mario Mencarelli, che in questo contributo propose una profonda riflessione pedagogica
sull’epistemologia di questa nuova materia, sostenendo che essa, «pur traendo […] sollecitazioni e contributi da ogni
altra materia…», ha «una sua essenza
singolare»20.
Nel suo saggio preliminarmente
prese in esame l’evoluzione dei concetti e delle ragioni che stanno alla base
dell’educazione civica e i pedagogisti
del Novecento, richiamandosi alle loro
diverse concezioni della democrazia e
della cittadinanza, sottolineando i limiti di quella ‘sociale’ proposta dal Dewey
e condividendo quella di J. Maritain21,
che «mira a cogliere il valore primigenio delle persone».
Per Mencarelli infatti come per il filosofo francese, «l’energia motrice» della
democrazia «è di struttura spirituale»
e «la democrazia vive del “sacro valore
della verità”».
Pertanto «“l’educazione dell’uomo
deve tener conto del gruppo sociale e
preparare il fanciullo ad avervi la sua
parte. Formare l’uomo a condurre una
vita normale, utile ed operante nella comunità, in altri termini guidare lo sviluppo della persona umana nella sfera sociale svegliando ed affermando il
senso della sua libertà, come quello dei
suoi obblighi e delle sue responsabilità,
è uno scopo essenziale dell’educazione”.
Ma non il primo, né il principale. Il primo è lo sviluppo interiore della persona,
il suo progresso personale, nel quale è
il cuore del progresso sociale»22.
In coerenza con la certezza che l’azione educativa non può non tenere presenti le esigenze e i diritti della persona,
affermava anche che l’educatore è chiamato a conoscere, «la natura dell’uomo
nella sua origine, nel suo fine, nella sua
creaturalità e quindi nel suo rapporto
con Dio».
Sosteneva inoltre, condividendo il
pensiero dello Spranger, che gli ideali e i valori, i contenuti dell’educazione in generale e dell’educazione civica in particolare sono necessari «per
aiutare l’uomo ad essere “uomo di coscienza”, […] cioè capace di una “presa di posizione”»23, la quale è la parola
d’ordine nel mondo spirituale. Come il
pedagogista tedesco, affermava anche
che la «particolare normatività che distingue l’essere umano da tutti gli altri esseri è la facoltà di accettare e di
QUALEDUCAZIONE • 11
respingere, che si potenzia fino a diventare dovere».
Collocandosi in questa prospettiva
rifletteva anche sul rapporto autoritàlibertà, ricordando il pensiero del Kilpatrick24 e dello Spranger25 cioè di autori
di pedagogia d’ispirazione nettamente
diversa per dimostrare, facendo tesoro
delle loro riflessioni, che soltanto nella
prospettiva culturale è possibile cogliere il significato dei concetti di libertà e
di pluralismo.
Infatti a suo avviso, i due pedagogisti, ponendosi in prospettive diverse,
consentono di «individuare l’ampiezza
del segmento sul quale si è collocata,
nell’epoca moderna e contemporanea, la
discussione sulla libertà…» i cui termini possono tuttavia ordinarsi nel «concetto di pluralità, affermatosi ormai nel
mondo ideologico non meno che in quello politico. È il concetto cui si accompagnano naturalmente, per reciproca coessenzialità, i concetti del dialogo, della tolleranza, dell’educazione alla pace
e così via».
Pertanto il Nostro apprezza «la funzione dialettica che la pluralità è in
grado di esercitare nell’ambito della
vita organizzata», senza dimenticare
che l’esercizio di questa dialettica «si
svolge, in efficacia, proporzionalmente
all’educazione» e senza tacere che essa
nella pratica educativa «impone cautele e attenzioni per evitare che l’educazione stessa si trasformi in propaganda
deteriore e quindi in ammaestramento
e comunque in condizionamento negativo della libertà individuale»26.
Rifiuta tuttavia la neutralità dell’educazione, affermando la certezza che la
libertà umana è la fondamentale forza
portante del progresso individuale e sociale e che lo spontaneismo non assicura
12 • QUALEDUCAZIONE
un’apprezzabile educazione alla libertà,
la quale «implica sempre una capacità
di scelta, una capacità e una precisa volontà di prender posizione, un’intenzionalità, un potere autodecisionale pronto, tempestivo e illuminato».
La spontaneità è l’anima di questi
abiti «ma non può esaurirsi in se stessa» e la conquista della libertà postula
la conquista della cultura, la riflessione sulle esperienze, la consapevolezza
e la coscienza del loro significato, il possesso di una visione dell’uomo, del suo
valore e del suo esistere, della capacità
e della volontà di rispettare se stessi e
gli altri, della libertà, della sincerità,
dell’onestà, della tolleranza, della comprensione, della generosità e dell’umiltà che «fanno capo alla comprensione e
alla difesa della dignità umana». Queste
conquiste «procedono dal tirocinio della
vita sociale, intesa anche nella concretezza della situazione scolastica e ambientale»27, ed esigono un accostamento tra l’educazione civica, l’educazione
alla cittadinanza attiva e democratica
e quella morale.
Pertanto l’educazione alla democrazia ed alla cittadinanza attiva viene a
configurarsi come un processo che mira
alla conquista di capacità, di sensibilità, di disponibilità etica ed intellettuale
e di valori, che fa leva sulla creatività,
sul potenziale educativo che ogni essere umano custodisce ed ha il diritto di
‘attuare’ e di testimoniare. Va quindi
oltre la formazione del cittadino di una
nazione e «non può risolversi nella definizione di una “solidarietà” fra concittadini, ma deve cercare efficacia e successo (anche nella pratica della tolleranza,
del dialogo, dell’educazione alla pace) in
una prospettiva internazionale»28.
Il tempo del ‘perdono’
Mario Mencarelli nel corso del tempo
è rimasto sempre fedele alla convinzione che l’educazione del cittadino è strettamente legata alla concezione che si ha
dell’uomo e che «sarà l’educazione a liberare il mondo e a dare significato ad
ogni impresa di riforma sociale ed economica: potrà esserlo proprio per il contributo insostituibile che è destinata a
dare alla costruzione di un solido connettivo democratico, capace di nutrire
la libertà e di evitare il generarsi e il
diffondersi di germi patogeni (dall’ignoranza alla miseria alla mortificazione
della dignità umana)»29.
Tuttavia all’inizio degli anni ’80 del
secolo scorso denunciava l’assenza di un
impegno condiviso e di un’azione educativa efficace ed incisiva e quindi capace
di educare cittadini responsabili.
Infatti in un Editoriale di «Prospettiva EP» del 1985 si esprimeva in questi termini: «C’è bisogno di una diffusa presa di coscienza della necessità di
crescere e di vivere come cittadini, che,
con squisito senso della partecipazione
democratica e del suo profondo valore
umano e umanizzante, sanno prender
posizione davanti agli eventi, hanno la
ferma disponibilità a non limitare la
propria iniziativa al reagire, hanno la
convinzione profonda che la vita democratica attende da ciascuno una capacità proattiva, cioè di progettazione originale e operativa»30.
Affermava inoltre che «l’impresa non
può essere affidata soltanto alla scuola:
ne sono coinvolte, in questo tempo che
ha accreditato il policentrismo educativo, tutte le “agenzie” extra-scolastiche,
a cominciare dalla famiglia e dalle associazioni, dai partiti politici ai sindacati
fino alle “scuole parallele” (che dispongono di canali penetranti ed incisivi)»31.
Ognuna di queste ‘agenzie’ «ha una
sua funzione e una sua responsabilità
nella progettazione e nella costruzione
del futuro, visto in particolare sotto l’ottica della educazione civica»32.
Soltanto una condivisa responsabilità educativa secondo Mencarelli può
consentire di ricomprendere il significato della democrazia, la cui crisi è legata alla caduta della tensione axiologica, alla disattenzione per l’uomo ed
anche alla mancanza del coraggio di
educare.
Agli educatori pertanto suggeriva
di appoggiare il proprio lavoro «a due
forze: il bisogno di significato che anima la persona e la tensione axiologica
che caratterizza la democrazia» ed alla
scuola chiedeva di tener vive nella coscienza degli alunni queste domande:
«Quale significato ha per me vivere in
democrazia? Perché crediamo nella democrazia?»33.
Queste domande, a suo avviso, potevano essere capaci di sollecitare e sostenere la volontà di soddisfare il bisogno di significato proprio di ogni essere umano e quindi «dar fondatezza alle
prese di coscienza e alle prese di posizione del soggetto stesso»34.
Democrazia, cultura e creatività
Mario Mencarelli negli ultimi anni
della sua vita era solito rilevare i rischi del relativismo (che non è produttore di vis democratica) e della caduta
della democrazia legata ad una profonda crisi antropologica, la quale ostacolava l’affermazione «del pensiero critico, come espressione di un Io autonomo, consapevole della propria capaciQUALEDUCAZIONE • 13
tà» di dare «fondatezza ai valori culturali e ai valori etici, ai valori sociali e
ai valori civici»35.
Pertanto rivolgeva l’attenzione alla
scuola, facendo appello al suo dovere di
onorare la sua natura culturale, chiedendole di coltivare l’educabilità ed il
potenziale di umanità che ogni uomo
custodisce ed attende di attuare, riaffermando la certezza che il valore della
persona «è sostanza di democrazia».
In questa prospettiva si colloca il
suo ultimo libro, intitolato Nuovi impegni della scuola elementare36 e pubblicato nel luglio del 1987 ad un mese di
distanza dalla sua scomparsa, in cui il
Nostro ribadì e legittimò ulteriormente il rapporto che esiste tra democrazia
ed educazione e sottolineò il significato del legame che nella scuola intercorre tra l’esperienza curricolare e l’esperienza democratica, affermando che è lo
stesso legame «delineato da altri pedagogisti (da Hessen a Maritain) tra cultura e libertà».
A suo avviso «l’educazione democratica è il contenuto, il fine, il metodo della vita scolastica» e, a questo proposito, Mencarelli ricordava che «la democrazia non tollera analfabetismi e non
tollera un cognitivismo esclusivamente strumentale; non tollera individualismo e non tollera collettivismo; non
tollera abdicazioni e non tollera prevaricazioni».
Era infatti convinto che lo stesso
termine democrazia manifesta un’esigenzialità che «impone di chiedersi ad
ogni istante, nella scuola e fuori della
scuola, che cosa è la libertà, che cosa
è la giustizia; che cosa sono il bene comune, l’eguaglianza, la solidarietà; e il
dialogo, la tolleranza, la collaborazione, l’autogoverno».
14 • QUALEDUCAZIONE
Inoltre Mencarelli affermava che «la
tematica della creatività e del pensiero critico è coessenziale alla educazione
democratica»37. A questo proposito giova ricordare che per il Nostro il concetto di creatività ha una particolare valenza etica: sollecita ad «autenticare incessantemente significati e valori», ad
interrogarsi sul senso della vita, a soddisfare quell’ansia metafisica e quel bisogno di Verità rivelata, che «ognuno di
noi si porta dentro»: e può favorire una
conoscenza di fede, la quale ha una particolare forza ‘liberatrice’ perché si alimenta di amore e di speranza.
In coerenza con questa certezza e con
la convinzione che «l’esperienza religiosa ha sempre nutrito la cultura umana
ed ha sollecitato l’uomo, pur con gli errori che sono stati compiuti», verso la
conquista della sua piena umanizzazione Mencarelli ha richiamato vigorosamente, collocandosi in una prospettiva
rigorosamente culturale, l’attenzione
sull’importanza dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola.
Era infatti convinto del fatto che la
cultura umana trae respiro dalla solidarietà in cui le diverse conoscenze
(quella razionale, quella ricostruita su
documenti, quella elaborata per sperimentazione, quella data dalla intuizione… e quella di fede) danno corpo alla
cultura umana e contribuiscono, nella
loro solidarietà e nella loro singolarità, alla promozione di processi di ‘civilizzazione’ concorrendo così a dar contenuto e significato all’impegno di ‘essere civili’38.
A questa convinzione si collega la
certezza che la libertà «non è nell’agnosticismo analfabeta e qualunquista, che
nella vita democratica non reca tensioni
creative di amore e di solidarietà con-
sapevole e progettata in termini di trascendimento»39.
«Attualizzare i caratteri della persona»
A conclusione delle riflessioni fatte
sulle proposte di Mencarelli in rapporto all’educazione alla cittadinanza sembra possibile affermare che a suo avviso il cittadino democratico è l’uomo che
ha attualizzato i caratteri della persona, che ha una visione alta dell’etica e
che è capace di perdono.
A questo proposito è opportuno precisare che per il pedagogista senese,
come per il suo maestro Marco Agosti, l’uomo è persona quando «non solo
è conscio di sé, della propria vocazione (conscius sui); ma è pure conscio
del proprio tempo (conscius sui temporis); è padrone di sé (compos sui); è capace di auto-disciplina e di auto-cultura (auctor sui); è capace di donarsi
sul piano dell’azione utilizzando tutti i
suoi talenti (largitor sui), è capace, nella mediazione, nella orazione, nel raccoglimento interiore, di vivere in unione con Dio (adorator Dei)»40 e quindi di
‘perdonare’.
Inoltre è perfino doveroso ricordare che Mario Mencarelli nel corso della
sua esistenza ha offerto con semplicità
e schiettezza esemplari testimonianze
di ‘perdono’, di com-prensione e di compassione.
Significativa è, a questo proposito,
una sua lettera del 31 dicembre 1985,
in cui, rivolgendosi ad un collega, così
si esprime «desidero dirti con molta decisione che io non ho mai avuto “qualcosa contro”: contro nessuno. E se c’è
una cosa di cui soffro, da molto tempo,
è la difficoltà grande (intenzionalmen-
te non parlo di impossibilità, perché la
speranza è tanto più necessaria quanto
più gravi sono i problemi), di comporre
divisioni e contrasti…». «E la sofferenza è tanto più grande perché è difficile
comprenderci anche tra pedagogisti di
ispirazione cattolica, che, più di altri e
per definizione, credono nel colloquio e
nella solidarietà, proprio in vista della
ricerca del vero e del giusto».
Tuttavia concludeva la sua lettera esprimendo la speranza che il ‘colloquio’ e il ‘perdono’ avrebbero potuto
consentire di consolidare «gli elementi generativi di un nuovo clima di colleganza, di amicizia, di efficace progettazione» e «di pace vera, cercata, voluta e amata…».
Si trattava di una speranza illuminata dalla certezza che «l’occhio umano/
ascende verso l’alto/e un orizzonte immenso/gli rivela/la Pace» e che «solo col
cuore può comprendersi l’essenza della
Divinità, come l’essenza, che è dovunque» e che «a tutto dà forma e il moto
certo che conduce a porto»41.
note
1
Cfr. R. Lucatti, Mario … e io, in «Prospettiva
EP», n. 2-3, apr.-sett. 1998, p. 164.
2
Ibidem.
3
Mario Mencarelli dimostrò di possedere capacità di animazione anche nello sport infatti «negli anni ’50 era già attivo membro del consiglio
direttivo della Società Sportiva “Virtus”, fondata
nel lontano 1923». Sotto la sua presidenza la ‘Virtus’, che si era ricostruita ‘eccellentemente’ dopo
il periodo bellico, iniziò a partecipare ai campionati della F.I.G.C. ed ottenne notevoli successi.
Cfr. R. Lucatti, Mario … e io, in «Prospettiva EP»,
n. 2-3, cit., p. 164.
4
Ivi, p. 163.
5
Cfr. N. Bellugi, Mario Mencarelli: crescita culturale e pedagogica di un maestro nella provincia
senese del secondo dopoguerra (p. 356) e C. Palazzini, Le intuizioni giovanili di Mario Mencarelli
QUALEDUCAZIONE • 15
(pp. 416-427) e A. Lisi, Dalle intuizioni giovanili alla pedagogia della creatività di Mario Mencarelli (pp. 400-415), in Aa.Vv., Mario Mencarelli per una pedagogia di frontiera, a cura di S.S.
Macchietti, Bulzoni Ed., Roma, 1998, cfr. inoltre
J. Maccioni, Mario Mencarelli maestro, in «Prospettiva EP», n. 2-3, cit., pp. 169-175;
6
Cfr. S.S. Macchietti, La vocazione personalistica di Mario Mencarelli, in Aa.Vv., Mario Mencarelli per una pedagogia di frontiera, a cura di S.S.
Macchietti, cit., pp. 21-22.
7
Mario Mencarelli si è laureato in pedagogia nel
1951, discutendo la tesi Metodologia, naturalismo
ed umanesimo in J. Dewey – relatore Ernesto Codignola – presso la Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Firenze.
8
Cfr. S.S. Macchietti, La vocazione personalistica di Mario Mencarelli, in Aa.Vv., Mario Mencarelli per una pedagogia di frontiera, a cura di S.S.
Macchietti, cit., p. 22.
9
Cfr. M. Mencarelli, La didattica nella scuola
dell’obbligo, La Scuola, Brescia, 19674, p. II.
10
Cfr. S.S. Macchietti, La vocazione personalistica di Mario Mencarelli, in Aa.Vv., Mario Mencarelli per una pedagogia di frontiera, a cura di
S.S. Macchietti, cit., p. 23.
11
Si trattava di una comunità formata da giovani maestri particolarmente partecipi degli ideali dell’educazione cristiana, che si era raccolta
intorno alla rivista «Scuola Italiana Moderna» e
che era nata nel 1950 da un impegno di apostolato educativo con «un programma di studio comprendente questi tre punti: 1) svolgere organicamente una pedagogia fondata sul valore cristiano; 2) conoscere e valutare il pensiero pedagogico straniero d’oggi; 3) sviluppare una larga, coerente e rinnovatrice attività sperimentale» (cfr.
Aa.Vv., Pedagogia della persona, La Scuola, Brescia, 1952, p. 5).
12
Cfr. M. Mencarelli, Problemi di pedagogia scolastica, La Scuola, Brescia, 1962, p. 18.
13
Cfr. S.S. Macchietti, La vocazione personalistica di Mario Mencarelli, in Aa.Vv., Mario Mencarelli per una pedagogia di frontiera, a cura di
S.S. Macchietti, cit., pp. 24-25.
14
M. Mencarelli, Prospettive pedagogiche e didattiche dell’educazione civica, in M. Mencarelli, G.
Bellagamba, P. Pasotti, G. Petracchi, L’educazione civica nella scuola italiana: storia, problemi e
metodi, A.I.M.C., Roma, 1969, pp. 145-198; M.
Mencarelli, Educazione alla democrazia e creatività, in «Scuola Materna», LXIII, n. 15, maggio 1976, p. 915; Id., Mappa lessicale dei rapporti fra educazione e democrazia. 1., in «Scuola Italiana Moderna», LXXXVI, n. 5, novembre 1976,
16 • QUALEDUCAZIONE
pp. 12-14; Id., Mappa lessicale dei rapporti fra
educazione e democrazia. 2., in «Scuola Italiana
Moderna», LXXXVI, n. 7, gennaio 1977, pp. 1618; Id., Mappa lessicale dei rapporti fra educazione e democrazia. 3., in «Scuola Italiana Moderna», LXXXVI, n. 10, febbraio 1977, pp. 16-18;
Id., Mappa lessicale dei rapporti fra educazione
e democrazia. 4., in «Scuola Italiana Moderna»,
LXXXVI, n. 11, marzo 1977, pp. 16-18; Id., Mappa lessicale dei rapporti fra educazione e democrazia. 5., in «Scuola Italiana Moderna», LXXXVI,
n. 13, aprile 1977, pp. 14-16; Id., Mappa lessicale
dei rapporti fra educazione e democrazia. 6., in
«Scuola Italiana Moderna», LXXXVI, n. 14, aprile 1977, pp. 15-16; Id., Educazione democrazia società educante (Editoriale), in «Prospettiva EP»,
n. 5-6, sett.-dic. 1980, pp. 1-3; Aa.Vv., Educazione permanente e democrazia, a cura di M. Mencarelli, Giunti & Lisciani, Teramo, 1983 (Educazione nuova; 46); M. Mencarelli, La scuola di
base per l’educazione dell’uomo e del cittadino, in
Aa.Vv., La scuola di base per l’educazione dell’uomo e del cittadino, Atti del XIII Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici
(Roma, 5-9 dicembre 1984), AIMC, Roma, 1985,
pp. 83-110; Id., Un problema sempre più urgente
(Editoriale) e La scuola di base per l’educazione
dell’uomo e del cittadino, in «Prospettiva EP», n.
4, lug.-ago. 1985, pp. 1-2 e pp. 3-28; Id., Convivenza democratica e bene comune (L’impegno primario dei Nuovi Programmi), in «Scuola Italiana
Moderna», XCVI, n. 13, aprile 1987, pp. 6-8; Id.,
Convivenza democratica e rispetto delle sorgenti
di vita (L’impegno primario dei Nuovi Programmi), in «Scuola Italiana Moderna», XCVI, n. 15,
maggio 1987, pp. 6-8; Id., Valori religiosi e convivenza democratica (L’impegno primario dei Nuovi
Programmi), in «Scuola Italiana Moderna», XCVI,
n. 17, giugno 1987, pp. 17-19.
15
Cfr. ad esempio Aa.Vv., L’educazione etico-politica, Atti XXII Convegno di Scholé (Brescia, 1921 settembre 1983), La Scuola, Brescia, 1984; A.
Danese, Riscoprire la politica. Storia e prospettive, Città Nuova, Roma, 1989; A. Danese, Cittadini
responsabili. Questioni di etica politica, Edizioni
Dehoniane, Roma, 1992; C. Nanni, L’esigenza di
un’educazione alla legalità. Quale legalità? Quale educazione?, in «Orientamenti Pedagogici», n.
40, 1993, 1 (pp. 9-28); S.S. Macchietti, Per educare ‘cittadini responsabili, in «Prospettiva EP»,
n. 1, gen.-mar. 1995 (pp. 49-66); Aa.Vv., L’educazione alla legalità, Atti XXXII Convegno di Scholé (Brescia, 7-9 settembre 1993), La Scuola, Brescia, 1994; Aa.Vv., Educazione civica e cultura costituzionale, a cura di L. Corradini, G. Refrigeri,
Il Mulino, Bologna, 1999; M. Santerini, Educare alla cittadinanza. La pedagogia e le sfide della globalizzazione, Carocci, Roma, 2001; Aa.Vv.,
Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea. Saggi in onore di Luciano Corradini, a cura
di S. Chistolini, Armando, Roma, 2006.
16
Cfr. G. Lazzati, Introduzione, in A. Baroni, Per
la formazione sociale civile e politica della gioventù, Editrice Studium, Roma, 1948, pp. 5-6.
17
Questo contributo è stato pubblicato nel volume M. Mencarelli, G. Bellagamba, P. Pasotti, G.
Petracchi, L’educazione civica nella scuola italiana: storia problemi e metodi, cit., pp. 145-198.
Il contributo di M. Mencarelli è stato riproposto
nel volume di Aa.Vv., Epistemologia e didattica. Saperi scientifici e saperi scolastici, a cura di
S.S. Macchietti e E. Damiano, Bulzoni Ed., Roma,
1999, pp. 241-300.
18
Ivi, p. 148.
19
D.P.R. n. 585, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 143 del 17 giugno 1958.
20
Cfr. M. Mencarelli, Prospettive pedagogiche e
didattiche dell’educazione civica, cit., p. 146.
21
Cfr. J. Maritain, L’educazione al bivio, La Scuola, Brescia, 1951.
22
Cfr. M. Mencarelli, Prospettive pedagogiche e
didattiche dell’educazione civica, cit., p. 154.
23
Ivi, p. 156.
24
Mario Mencarelli rileva che il pedagogista americano «si muove nel quadro di una filosofia del divenire, che assume il mutamento come una legge
e postula quindi un’educazione, anche nell’ambito delle necessità civiche, capace di adattarsi alle
novità o addirittura di produrle» e di consentire
all’uomo di denunciare convenzioni, abitudini,
formalismi e di testimoniare il vigore del ‘pensiero creativo’ come forza generatrice di «nuovi
atteggiamenti, anticonformistici, sia sul piano
della vita morale che sul piano della vita civica» (Ivi, p. 156).
25
Mario Mencarelli in particolare ricorda che lo
Spranger affermava la necessità di «educare l’uo-
mo ad essere il legislatore di se stesso e a considerare la propria coscienza come una sorgente normativa, donde la regola e la legge si dispiegano
in dimensione oggettiva e ben alla larga dalle secche dell’egoismo e dell’opportunismo», sostenendo che l’educazione aiuta a far scaturire nell’essere umano «la più alta normativa che gli è propria» (Ivi, p. 155).
26
Ivi, p. 157.
27
Ivi, p. 166.
28
Ivi, p. 158.
29
Cfr. M. Mencarelli, Educazione democrazia società educante (Editoriale), in «Prospettiva EP»,
n. 5-6, cit., p. 3.
30
Cfr. M. Mencarelli, Un problema sempre più
urgente (Editoriale), in «Prospettiva EP», n. 4,
cit., p. 1.
31
Ibidem.
32
Ivi, p. 2.
33
Cfr. M. Mencarelli, La scuola di base per l’educazione dell’uomo e del cittadino, in «Prospettiva
EP», n. 4, cit., pp. 23-24. Questo contributo è il testo della relazione tenuta dall’Autore al Congresso Nazionale dell’A.I.M.C. nel dicembre 1984.
34
Ivi, p. 27.
35
Ibidem.
36
Cfr. M. Mencarelli, Nuovi impegni della scuola
elementare, La Scuola, Brescia, 1987.
37
Ivi, p. 16.
38
Cfr. M. Mencarelli, Valori religiosi e convivenza democratica, in «Scuola Italiana Moderna», n.
17, 1° luglio 1987, pp. 17-19.
39
Ivi, p. 19.
40
M. Agosti, Premesse e contributi alla elaborazione di una pedagogia integrale secondo il personalismo cristiano, in Aa.Vv., La pedagogia cristiana, Atti del I Convegno di Scholé (Gargnano, 9-11 settembre 1954), La Scuola, Brescia,
1955, p. 247.
41
I versi sono tratti da due poesie inedite scritte
da M. Mencarelli negli anni ’50 del secolo scorso,
intitolate Arcobaleno e Dio.
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QUALEDUCAZIONE • 17
Educazione
senza frontiere
rubrica diretta da MICHELE BORRELLI
La fondazione pragmatica dell’etica
di
Michele Borrelli
Con la differenziazione kantiana
della ragione in teoretica, pratica ed
estetica si porta definitivamente a conclusione il concetto metafisico-sostanzialistico di razionalità che si riallaccia alla lunga tradizione filosofica del
pensiero occidentale1. In Kant, infatti,
emerge, per la prima volta, un concetto completamente nuovo di ragione; un
concetto che esprime un’idea procedurale di razionalità; un’idea non più obbligata ad interpretazioni ontologico-sostanzialistiche del mondo e riferita, per
un verso, alla ricerca delle condizioni
di possibilità della conoscenza in generale, e, per altro verso, alla ricerca delle condizioni di possibilità della legittimazione e fondazione di norme morali
o etiche in particolare.
Accanto al rilevante ambito oggettivante (o empiristico) della ragione,
in Kant sono presenti, allora, in modo
esplicito e sistematico, due dimensioni non meno importanti e fondamentali di conoscenza: la dimensione pratica
o morale e la dimensione estetica della ragione2. Ovviamente, da prospettiva odierna, la domanda centrale non è
solo il recupero e il dispiegamento complementare, accanto all’ambito oggettivante, di queste altre due dimensioni della ragione, ma anche e soprattutto la possibile ricostituzione dell’uni18 • QUALEDUCAZIONE
tarietà di una ragione che Kant aveva suddiviso in tre parti e che non riuscì più a ricomporre3. Se è pur vero che
(con Kant) abbiamo bisogno di una lettura in chiave non più sostanzialistica ma procedurale della ragione, è anche vero che il discorso attuale reclama
una lettura (postsoggettivistica e postcoscienzialistica) che sia, al contempo,
anche capace di garantire alla ragione
la sua capacità critica a salvaguardia
della sua intrinseca funzione liberatrice o emancipativa.
In Habermas e Apel, il recupero di
questa funzione liberatrice e critica della ragione, si articola in riferimento al
linguaggio come metaistituzione da cui
far dipendere le istituzioni sociali e le
norme ad esse legate. Ciò include un distaccamento non solo da una sociologia
come scienza “neutrale”, in verità tutta
situata nell’interesse tecnico della conoscenza, ma anche da una sociologia
come scienza storica dello spirito in prospettiva solo ermeneutica. Se accettiamo la prospettiva semiotica elaborata
da Habermas e Apel4, diventa necessario prendere le distanze da una scienza situata esclusivamente su un terreno avalutativo a svantaggio dei suoi potenziali critici5; la scienza avrebbe, invece, il compito di indagare le strutture
della vita sociale, tenendo fermo l’insie-
me delle tre sfere esperienziali6. È pur
vero che, in prospettiva postmoderna,
l’indagine sulle forme di vita (Lebensformen), di cui parla Wittgenstein, non
segue più regole di sintesi coscienziale
(Kant), quanto, piuttosto, regole grammaticali, relativamente ai giochi linguistici di determinati contesti storici,
ma è anche vero – se seguiamo la pragmatica universale di Habermas e quella
trascendentale di Apel – che quel che si
cerca, a partire dal linguaggio, è sempre e comunque l’integrazione tra riproduzione simbolica e riproduzione materiale, oggi tanto più importante quanto
più diventa fondamentale arginare lo
squilibrio che si è instaurato tra l’ambito della produzione simbolica (riproduzione culturale, integrazione sociale
e socializzazione) e l’ambito della riproduzione materiale (razionalizzazione
tecno-strumentale). Lo sviluppo della
razionalità sistemica o tecnico-scientifica si compie, sempre ancora, per lo più
e sempre più, a spese di quello della razionalità comunicativa, dell’interazione
e dell’intersoggettività.
Riprendendo, quindi, anche se da
prospettive diverse, alcuni presupposti
centrali del concetto kantiano di ragione, Habermas e Apel reclamano nelle
loro articolate impostazioni pragmatiche, di contro ad un imporsi quasi naturale ed automatico dell’egemonia delle scienze nomologiche dello spiegare
(sapere tecnico), quelle forme di sapere rigorose e razionali e anche d’ordine normativo ed etico, non meno fondamentali per la conoscenza e l’organizzazione delle istituzioni sociali, che
riguardano il mondo della quotidianità
o della vita sociale in generale. Queste
forme esperienziali sono, come si diceva
sopra, l’ambito pratico (morale) e l’am-
bito estetico (arte) della ragione, ambiti che formano la base della ragione comunicativa e della sua etica7. In altri
termini: se l’esistenza umana e della
società non possono porsi esternamente all’ambito dell’agire strumentale (interesse tecnico della ragione), dall’altro,
è altrettanto impossibile che esse possano porsi al di fuori della dimensione
simbolica, ossia al di fuori dell’ambito
dei valori e delle norme morali che sono
dati con l’interesse pratico della ragione. Se il primo è importante in quanto
assicura le condizioni della riproduzione strumentale o tecnica, quindi la vita
materiale della società (o dell’umanità),
quest’ultimo è importante in quanto assicura le condizioni della riproduzione
simbolica, cioè l’intesa su norme e valori comuni capaci di orientare l’agire
umano; assicura, cioè, le condizioni di
possibilità della convivenza civile e democratica. Entrambe le due forme di sapere sono necessarie non tanto perché
in nessuna società si potrà fare a meno
dell’una o dell’altra forma, ma anche e
soprattutto perché dipenderà dal loro
intreccio il grado della funzione liberatrice che la ragione potrà assumere nei
contesti storici contingenti nei quali si
dispiegano le condizioni di possibilità
dello sviluppo della convivenza civile e
del progresso dei popoli.
Nonostante l’evidente importanza
che assume la sfera simbolico-comunicativa per la sopravvivenza della società, punto centrale delle dispute e delle
contestazioni, che accendono oggi le varie correnti di pensiero, è proprio l’intesa simbolica o linguistica. Quel che
filosoficamente, nell’epoca presente, si
mettono in discussione sono proprio le
condizioni di possibilità dell’unitarietà
del linguaggio, dell’unitarietà della posQUALEDUCAZIONE • 19
sibile intesa e del suo senso. Unitarietà
alla quale viene contrapposta l’alterità
dei giochi linguistici (a partire da alcuni spunti di Wittgenstein) e non solo:
all’unità di significato va sostituendosi, vieppiù, soprattutto nelle correnti
orientate ad una radicalizzazione della contingenza storica, la pluralità dei
significati8.
Le dispute tra universalisti, relativisti, neostrutturalisti e contestualisti
si incentrano, attualmente, su ciò che
si presumerebbe essere la casa comune,
cioè il linguaggio come mezzo di ogni
possibile intesa, o meglio: il linguaggio
come mezzo attraverso cui poter parlare ancora di conoscenza e verità, senza
cadere nella ragione sostanziale della
metafisica tradizionale.
Nella svolta pragmatico-linguistica,
se seguiamo l’approccio di Habermas e
Apel, non è più il soggetto trascendentale, autonomamente agente, a produrre, kantianamente, il mondo, ma è il linguaggio (sulla scia della svolta linguistica a partire da Heidegger) a dischiuderlo, a portarlo allo scoperto e a costituirsi come unico strumento di comprensione. Il linguaggio è ritenuto l’istanza
di oltrepassamento di quel rapporto descartiano-kantiano tra soggetto e oggetto in cui non solo domina incontrastato
il soggetto (conoscente) sull’oggetto (da
conoscere), ma al quale viene anche ricondotta ogni conoscenza. L’etica della
comunicazione o del discorso presuppone l’intersoggettività trascendentale del pensiero che in quanto tale non è
solipsisticamente autarchico, piuttosto
reclama una comunità della comunicazione quale comunità discorsiva ideale.
Ne consegue che il paradigma di fondazione trascendentalpragmatica dell’etica della comunicazione non è più l’Io
20 • QUALEDUCAZIONE
penso, ma l’intersoggetto nel quadro di
una comunità discorsiva (Apel)9.
Oggi, diversamente dall’impostazione rigida descartiana-kantiana e fenomenologico-trascendentale husserliana,
dire linguaggio significa dire comunicazione intersoggettività. Nel linguaggio, infatti, tutti i soggetti appartenenti ad una comunità linguistica, mettono a confronto se stessi e le proprie
pretese di validità. In esso, tutti i soggetti possono, nel senso di Humboldt,
rinnovare e mantenere in vita la stessa comunità.
Ma è possibile pensare ancora in termini di linguaggio? O meglio: è possibile
pensare in termini di un linguaggio comune che ha le sue norme, le sue regole
da tutti condivise e accettate? È ancora
pensabile l’idea humboldtiana dell’unità nella molteplicità? C’è ancora un intendersi su qualcosa attraverso il dialogo? Se diamo uno sguardo più attento
alla situazione odierna, possiamo constatare che, nonostante dalle correnti
che si contendono la discussione, il linguaggio sia riconosciuto come la casa comune (o nel senso di Heidegger la casa
dell’essere), si va da un contestualismo
come critica totale alla metafisica (Rorty/Lyotard), sulla scia di Heidegger, ad
un postcontestualismo radicale (Derrida) in cui la stessa nozione di critica è
ritenuta priva di senso; dall’abbandono
totale del problema di principio (Marquard) alla metafisica della negatività
o dialettica negativa di Adorno. Quel
che si esige, oggi, in gran parte della
discussione soprattutto postmoderna,
non è la priorità (metafisica) dell’unità
sulla pluralità, ma la priorità (metafisica?) della pluralità sull’unità. Ciò crea
tutta una serie di domande. È possibile ancora parlare di conoscenza ogget-
tiva e unitarietà della scienza? Di comprensione intersoggettiva? Di norme e
regole condivisibili? Di un linguaggio
comune? Di una possibile intesa nel
dialogo? Se confrontiamo i presupposti
che si collocano a monte delle dispute,
le risposte seguono, ovviamente, più argomentazioni e logiche tutt’altro che riconducibili ad una base d’intesa comune e vincolatività accettata e condivisa
unanimemente. Notiamo, in verità, sia
argomentazioni e logiche d’ordine linguistico-oggettivistico (Putnam) sia argomentazioni e logiche d’ordine linguistico-relativistico (Quine, Rorty). Le prime rinviano ad una realtà indipendente
e, pertanto, non escludono, per principio, la possibilità di sviluppare – a lungo
raggio – teorie capaci di cogliere la realtà nell’interezza delle sue manifestazioni. Le seconde partono dall’assunto
che ogni descrizione della realtà riflette
una determinata costruzione storica e
tendono ad escludere, per principio, che
si possa dare la possibilità di cogliere la
realtà nella sua interezza10.
Il problema è chiaramente costituito dai presupposti che formano la base
di partenza delle impostazioni. In altri
termini, i presupposti a monte delle impostazioni, interessano e definiscono, al
contempo, le logiche delle scienze: da un
lato il carattere nomologico delle scienze naturali, dall’altro il carattere storico ed ermeneutico delle scienze umane
e sociali. Per superare questo antagonismo metodologico, tanto Habermas
quanto Apel rinnovano l’analisi del linguaggio presumendo la complementarità tra il modello metodologico empiricoanalitico e il modello metodologico ermeneutico11. L’indagine relativa al mondo della vita (Lebenswelt), da Dilthey a
Husserl, presuppone, per Habermas e
Apel, non l’irrigidimento su un concetto
empirico di scienza, ma un intreccio di
più metodologie. Allo spiegare bisogna
affiancare il comprendere delle scienze
ermeneutiche12.
Habermas e Apel, pur muovendosi, quindi, su basi dichiaratamente
postmetafisiche, non rinunciano a quella che, a partire da Kant, può essere
definita l’istanza critica o il substratus
emancipativo della ragione. In questa
istanza si presume che la ragione non è
neutrale, ma ha, invece, una sua funzione liberatrice e il suo compito mira, in
ultima istanza, ad emancipare i soggetti
da tutte le costrizioni superabili in vista
di una società conforme quanto più possibile al modello dell’intesa linguistica.
Se così fosse, si potrebbe anche presumere che la stessa ragione includa una
vincolatività etica. Habermas e Apel,
anche se percorrono vie nel frattempo
diverse, assegnano alla ragione (comunicativa) questa funzione etica.
Habermas vede il compito della
pragmatica universale nell’identificazione e ricostruzione delle condizioni
universali dell’intesa possibile, ovverosia nella ricostruzione dei presupposti
generali dell’agire comunicativo. Ma,
a differenza di Apel, non situa questa
identificazione all’interno di un approccio trascendental-fondazionalista, bensì
all’interno di un modello di scienza ricostruttivo, ripiegando, così, su un approccio fallibilistico di teoria che, prendendo comunque congedo dai sistemi metafisici classici, nulla concede a concetti
postmoderni di dissoluzione o decostruzione della ragione. Per Habermas, la
ricostruzione dei presupposti dei processi d’intesa non può essere ricondotta
ad approcci trascendental-aprioristici di
tipo kantiano, poiché essa non è di naQUALEDUCAZIONE • 21
tura tipicamente filosofico-aprioristica,
ma parte, invece, da casistiche empiriche e soggiace, similmente alle ipotesi
metodologiche delle scienze empiriche,
ad uno statuto ipotetico e fallibilistico.
Ciò significa, però, che la ricostruzione,
diversamente da concezioni trascendental-fondamentalistiche, potrebbe essere falsificata qualora si partisse da presupposti diversi13.
Se teniamo fermo lo status ipotetico
dell’approccio habermasiano, la logica
del discorso non avrà possibilità di trasformarsi né in logica formale (in logica che dà le regole della formulazione e
trasformazione di asserzioni con valori
di verità costanti), né in logica trascendentale (che studia, cioè, le categorie rilevanti per la costituzione degli oggetti
di possibili esperienze); essa, invece, resterà comunque logica pragmatica. La
validità del/nel discorso si dà, cioè, nello scambio di argomenti e controargomenti; in questo scambio di argomenti
si tratterà di verità discorsiva; di una
verità (comunque provvisoria) che non
troverà appoggio solido in una validità
logico-deduttiva, né potrà essere evinta
esclusivamente dall’esperienza in senso oggettivante.
Apel, diversamente dalla svolta fallibilistica dell’ultimo Habermas, cerca,
invece, la risposta liberatrice della ragione attraverso l’a priori della comunicazione intersoggettiva o dei partecipanti al discorso, ovverosia nei presupposti che vincolano l’etica del discorso;
ponendo, quindi, il problema della validità e vincolatività etiche o di norme
non in una concezione ermeneutica neutrale o fallibilistica, ma in una concezione trascendentale, ossia in una concezione che premette, sempre già, una
fondazione normativa data con l’a priori
22 • QUALEDUCAZIONE
della comunità argomentativa o comunicativa, data, cioè, aprioristicamente
col discorso e nel discorso.
Chiunque entra in un’argomentazione e si presenta come membro corresponsabile per la ricerca della verità di
un enunciato o della correzione di una
norma o avanza una pretesa di validità, deve presupporre non solo una capacità di dialogo ma anche una capacità di corresponsabilità dialogica quali
istanze normativo-trascendentali. Attraverso la riflessione trascendentale
è possibile individuare i presupposti a
priori della situazione argomentativa14.
Questi presupposti contengono sempre
già le norme etiche procedurali fondamentali e configurano una responsabilità che agisce come parametro normativo per tutte le pretese di validità.
Tali norme fondamentali del discorso
(primordiale) aprono l’accesso alla soluzione discorsivo-consensuale di tutte
le pretese discutibili di validità riconosciute inconfutabili nell’argomentare e
rappresentano la soluzione normativa
necessaria anche per tutti i conflitti di
opinione e di interesse nel mondo della vita. In altri termini: chiunque entra
in un’argomentazione deve fare appello
alle norme fondamentali se vuole stabilire quale opinione sia quella vera o
quale pretesa di parte sia moralmente
legittima. Tali condizioni costituiscono
i presupposti trascendentali dell’argomentazione: non vi è discorso pratico disgiunto da tali regole normative.
L’etica della comunicazione difende, pertanto, l’idea che tutte le persone siano interlocutori validi che possono partecipare attraverso il dialogo
alla ricerca della verità e alla migliore
analisi e alla più adeguata soluzione
del problema di volta in volta accetta-
bile nelle condizioni più prossime alla
simmetria.
Come è facile notare, non solo Apel
non si attiene a logiche casistiche legate alla contingenza di giochi linguistici determinati, suscettibili di falsificazioni sul piano empirico, ma chiarisce,
anche, come la fondazione normativa è
già avvenuta nell’a priori della comunità comunicativa, nell’etica che è condizione di ogni discorso serio e vincola
ogni discorso serio. Praticamente, prima ancora che le scienze sociali potessero costituirsi come istanza normativa o etica, presumevano questo piano normativo o etico. Ciò è dimostrato,
non da ultimo, dal fatto che anche le
semplici operazioni nomologiche delle
scienze avalutative presumono, a monte, un’istanza di comprensione dialogica di senso e di legittimazione della validità che è data anticipatamente con
l’a priori della comunità comunicativa
o argomentativa, con l’eticità che vincola il discorso serio15.
Il problema della validità e della fondazione etica o di norme non è, allora,
questione risolvibile all’interno di ambiti metodici o risultato di procedure di
deduzione, ma si estende, piuttosto, alla
filosofia teoretica in generale e interessa la stessa possibilità di una filosofia
critica. Quel che si cerca è come organizzare socialmente la comunicazione
e l’interazione di cittadini-soggetti e di
mettere in atto la ragione comunicativa o discorsiva. La questione è doppia:
da un lato il problema dell’organizzazione della comunicazione interessa la
struttura della società e le possibilità,
in essa riposte, di una comunicazione
libera da dominio, dall’altro è chiamata in causa la riflessione trascendentale sulle condizioni di possibilità di fon-
dazione dell’etica della comunicazione
e di una sua possibile applicazione sul
piano storico-contingente. Per quel che
riguarda l’aspetto pratico o storico della questione, è indubbio che la realizzazione dell’etica della comunicazione
presuppone un ordinamento democratico. Si può presupporre, anzi, che ordinamento democratico e etica discorsiva o della comunicazione vanno di pari
passo. Non vi è, cioè, l’una cosa senza
l’altra. Ciò spiega, non da ultimo, il fatto che, sul piano storico, l’etica della comunicazione o del discorso è costretta a
fare i conti col problema degli interessi
legati al potere di determinati contesti
storici; è costretta a scontrarsi, se così
vogliamo, con la razionalità strategica dell’interazione umana16. Sul piano
pratico della questione diventa, quindi,
necessario istituire un rapporto di responsabilità o corresponsabilità tra razionalità strategica o del sistema (sociale) e razionalità comunicativa i cui fondamenti affondano nella razionalità comunicativa e cioè nel consenso mediato
dai presupposti dell’etica che vincola il
discorso. Ciò, però, come si può notare,
non può avvenire senza riferimento ad
idee che con Kant potremmo definire regolative. Senza, cioè, un’idea emancipativa o di trasformazione, senza l’orientamento alla vincolatività etica che costituisce il discorso serio, nemmeno è
possibile pensare in termini di realizzazione dell’etica della comunicazione.
Se si segue l’impostazione apeliana,
ogni argomentare si trova necessariamente all’interno dell’a priori del logos
del linguaggio. Nessuno può argomentare fuori dall’argomentazione, come
nessuno può discutere fuori dal discorso17. Non ci sono argomentazioni con
le quali dimostrare che le conseguenze
QUALEDUCAZIONE • 23
relativistiche susseguenti a posizioni
strettamente storicistiche, sul modello
di Heidegger e Gadamer o sul modello
dei modi sociali di vivere di Wittgenstein, possano scalfire il terreno solido su cui si elevano le pretese di validità del discorso. Anche il relativista più
convinto e lo scettico più radicale non
possono dubitare che al discorso argomentativo appartengono, di principio,
alcune pretese inaggirabili: la pretesa
di senso, la pretesa di comprensibilità,
la pretesa oggettiva di verità (riferita al
mondo esterno), la pretesa soggettiva di
veridicità (riferita al mondo interno), la
pretesa intersoggettiva morale-normativa di giustezza (riferita al mondo sociale). Qual pur sia il relativismo e lo
scetticismo che si ritiene giusto seguire,
ogni argomentante, quindi anche l’argomentante scettico e il relativista, si
troveranno sempre già nei presupposti
etici dell’argomentare discorsivo se intendono sostenere seriamente le loro posizioni relativistiche o scettiche.
In ogni argomentazione seria, siamo in presenza di un duplice a priori
(etico) della comunicazione: da un lato,
l’appartenenza ad una comunità reale
di comunicazione, dall’altro, l’appartenenza, anticipata controfattualmente,
ad una comunità ideale di comunicazione. Col duplice a priori della comunicazione si entra nel vivo dell’argomentazione trascendentalpragmatica della
fondazione (ultima) e dell’etica del discorso ad essa legata.
Nel senso dell’impostazione di Apel,
non si tratta di percorrere una idea sostanziale di moralità o di etica e di cadere nelle ontologie o metafisiche tradizionali; si tratta, piuttosto, di non perdere di vista il riferimento a condizioni
ideali di comunicazione. L’orientarsi,
24 • QUALEDUCAZIONE
cioè, al superamento di tutte le distorsioni e di tutti i privilegi, di tutte quelle restrizioni (pragmatiche) che si oppongono all’idea della comunicazione
contrastandone l’attuazione del principio etico, presume questa istanza controfattuale, ideale di comunicazione. Il
processo di liberazione dell’eticità intrinseca al discorso (ideale) è anche presupposto normativo, orientativo del discorso in seno alla comunità comunicativa reale.
Si può notare che l’etica della comunicazione intersoggettiva o del discorso,
pur non seguendo linee sostanziali, non
percorre logiche postmoderne secondo
le quali la validità dei principi è solo
contestuale (Rorty), solo contingente e
mai universale. Le considerazioni sopra
esposte dimostrano, invece, che ogni discorso argomentativo premette un’etica
della comunicazione e questa, a sua volta, una razionalità non riducibile solo
a razionalità strategica, quale forma di
razionalità mezzo-scopo, o a razionalità scientifica sul modello descartiano di
relazione soggetto-oggetto. L’etica della comunicazione si dispiega, piuttosto,
come razionalità dialogica che, nell’intreccio del doppio a priori di comunità
comunicativa reale e comunità comunicativa ideale, dispiega il suo potenziale
critico di liberazione e di emancipazione
nella corresponsabilità e nell’interesse
di tutti i comunicanti18.
Bibliografia:
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a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2004;
Karl-Otto Apel, Cambiamento di paradigma. La
ricostruzione trascendentalermeneutica della filosofia moderna, a cura, traduzione e
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Karl-Otto Apel, Ermeneutica e filosofia trascendentale in Wittgenstein, Heidegger, Gadamer,
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Filosofia trascendentalpragmatica – Transzendentalpragmatische Philosophie (Scritti
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fondazione ultima di filosofia e scienza. Introduzione al pensiero di Karl-Otto Apel, Cosenza: Pellegrini Editore, 2008;
Michele Borrelli, «La trasformazione apeliana
della filosofia moderna», in topologik, n. 1,
Pellegrini, Cosenza, 2007, pp. 9-15;
Michele Borrelli, «L’utopia del linguaggio e il senso (pedagogico) della critica», in topologik, n.
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Michele Borrelli, «Ethique et émancipation chez
Karl-Otto Apel», in M. Charmillot, C. Dayer,
M. Schurmans (direction de) Connaissance
et émancipation. Dualismes, tensions, politique, “Logiques Sociales” - Série Sociologie de
la connaissance, dirigée par Francis Farrugia, Paris: Harmattan, 2008, pp. 59-80 (uscito anche in topologik, n.2, Cosenza: Pellegrini Editore, 2007,  pp. 29-46).
Michele Borrelli, «Aporetik als Grundform moralischer und ethischer Diskurse», in topologik,
n. 3, Pellegrini, Cosenza, 2008, pp.28-38;
Michele Borrelli, «Die Dreiteilung der Vernunft
bei Kant als transzendental-dialektische
Grundlegung von Pädagogik», Jörg Ruhloff/
Johannes Bellmann et alii (Hrsg.), Perspektiven Allgemeiner Pädagogik. Dietrich Benner
zum 65. Geburtstag, Weinheim und Basel:
Beltz, 2006;
Michele Borrelli (a cura e traduzione di), Pedagogia Critica, Pellegrini, Cosenza 2004;
Dietrich Benner, Michele Borrelli, Frieda
Heyting, Christopher Winch (Hrsg.), Kritik in
der Pädagogik – Versuche über das Kritische
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Conformism and Critique in Liberal Society,
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Michele Borrelli, «The Utopianisation of Critique:
the Tension between Education Conceived as
a Utopian Concept and as one Grounded in
Empirical Reality», in Conformism and Critique in Liberal Society, Journal of Philosophy of Education, cit., pp. 122-134;
Michele Borrelli, «Aporetik als Grundform moralischer und ethischer Diskurse», in Dietrich
Benner (Hrsg.), Bildungsstandards. Instrumente zur Qualitätssicherung im Bildungswesen. Chancen und Grenzen, Beispiele und
Perspektiven, Paderborn: Verlag Ferdinand
Schöningh, 2007, pp. 157-168;
Michele Borrelli, «La svolta ermeneutica in filosofia nel pensiero di Karl-Otto Apel», in topologik, n. 4, Cosenza: Pellegrini Editore,
2008, pp. 12-21;
Michele Borrelli, «La filosofia trascendentale
dell’intersoggettività. Cenni introduttivi al discorso filosofico di Karl-Otto Apel», in Quaderni Interdisciplinari. Metodologia delle scienze
sociali, vol. 1, a cura di M. Borrelli, Cosenza:
Pellegrini, 1998, pp. 9-23;
Jürgen Habermas, «Der Universalitätsanpruch
der Hermeneutik», in Hermeneutik und Dialektik I. Festschrift für H.-G.Gadamer, (Hrsg.
von R. Bubner/K.Cramer/R.Wiehl), Tübingen
1970, pp. 73-104;
Jürgen Habermas Theorie des kommunikativen Handelns, I, II, Suhrkamp, Frankfurt am
Main, 1981;
Martin Heidegger, Sein und Zeit, Niemeyer Verlag, Tübingen, 1993;
Martin Heidegger, Was ist Metaphysik?, Klostermann, Frankfurt am Main, 1992;
Hans-Georg Gadamer, Wahrheit und Methode.
Gründzüge einer philosophischen Hermeneutik, J.C.B. Mohr, Tübingen, 6a ed. 1990;
Ludwig Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford, 1958.
Note
Cfr. M. Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, Pellegrini,
Cosenza 2005, 2a ed. Cosenza, 2008. Su questo
passaggio cfr. anche M. Borrelli, «Die Dreiteilung der Vernunft bei Kant als transzendentaldialektische Grundlegung von Pädagogik», in J.
Ruhloff, J. Bellmann, et alii (Hrsg.), Perspektiven
Allgemeiner Pädagogik. Dietrich Benner zum 65.
1
QUALEDUCAZIONE • 25
Geburtstag, Weinheim und Basel: Beltz, 2006,
pp. 113-123.
2
Ai diversi aspetti della ragione kantiana corrispondono diversi tipi di educazione: un’educazione teoretica, un’educazione pratica e un’educazione estetica. Questa tripartizione nulla toglie,
anzi rafforza l’obiettivo pedagogico che l’educazione è educare alla ragione critica, differenziata da
un lato, ma unitaria dall’altro, perché le funzioni convergono poi, e comunque, nell’una e stessa ragione: la ragione umana. Col che, la ricerca
delle condizioni di possibilità della teoria pedagogica o della scienza pedagogica, se si preferisce
quest’ultimo termine, non è giunta alla fine, ma
è all’inizio della sua riflessione. Il punto iniziale potrebbe essere la critica della critica. Questo
punto è stato discusso nel lavoro internazionale
Pedagogia Critica, a cura e traduzione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza 2004 (in versione tedesca: D. Benner, M. Borrelli, F. Heyting, C. Winch
(Hrsg.), Kritik in der Pädagogik – Versuche über
das Kritische in Erziehung und Erziehungswissenschaft, Zeitschrift für Pädagogik, n. 46. Beiheft, Beltz, Weinheim, Basel, Berlin 2003; e in
versione inglese: F. Heyting, C. Winch (edited
by), Conformism and Critique in Liberal Society, Journal of Philosophy of Education, Blackwell
Publishing, 2005.
3
Cfr. M. Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, cit., «Delineamento del problema: la tripartizione kantiana
della ragione e la conseguente impossibilità di
fondare filosofia e scienza», pp. 15-26.
4
Cfr. K.-O. Apel, Ermeneutica e filosofia trascendentale in Wittgenstein, Heidegger, Gadamer,
Apel, a cura, traduzione e presentazione di M.
Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2006, soprattutto
cap. 1, pp. 45 e sgg., cap. 4, pp. 217 e sgg.
5
Cfr. M. Borrelli, «The Utopianisation of Critique:
the Tension between Education Conceived as a
Utopian Concept and as one Grounded in Empirical Reality», in Conformism and Critique in
Liberal Society, Journal of Philosophy of Education, cit., pp. 122-134.
6
La fondazione della pedagogia (come scienza)
premette la dialettica o complementarità tra
esperienze/conoscenze empiriche (o metodiche) ed
esperienze/conoscenze extrametodiche. A monte
di questa dialettica, bisogna però porre l’inaggirabile prestruttura di un comprendere e spiegare sempre già precostituiti, ma non per questo indiscutibili o ininterrogabili. Nondimeno ogni discussione e interrogazione, ovviamente, avviene
(nel senso di Gadamer) nel linguaggio, heideggerianamente all’interno di una prestruttura che a
26 • QUALEDUCAZIONE
sua volta precede ogni nostro tentativo di articolazione. Il circolo vizioso può essere “oltrepassato” nel senso di una semantica riflessiva, apelianamente, come riflessione “controfattuale” in cui
le convenzioni (semiotiche) di comprensione realstrategica sono riferite al contempo a condizioni
(semiotiche) ideali di ricerca del senso (nel nostro
caso: del senso pedagogico). Questo approccio trascendental-discorsivo, nell’ottica di una pedagogia come ontologia dialettica della società, è da
me ritenuto un punto di riferimento non solo formale, ma anche sostanziale per ogni riflessione
sulla fondazione della pedagogia, sia essa riferita
alla teoria sia essa riferita alla prassi.
7
M. Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione
apeliana dell’etica kantiana, cit, «Terza lettera:
L’etica del discorso», pp. 87-108.
8
Cfr. M. Borrelli, «Aporetik als Grundform moralischer und ethischer Diskurse», in D. Benner
(Hrsg.), Bildungsstandards. Instrumente zur
Qualitätssicherung im Bildungswesen. Chancen
und Grenzen, Beispiele und Perspektiven, Paderborn: Verlag Ferdinand Schöningh, 2007, pp.
157-168.
9
K.-O. Apel, Cambiamento di paradigma. La
ricostruzione trascendentalermeneutica della filosofia moderna, a cura, traduzione e presentazione
di M. Borrelli, Cosenza: Pellegrini, 2005.
10
M. Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione
apeliana dell’etica kantiana, cit., «Quinta lettera:
Il problema della verità e il rapporto con l’etica
(verità come idea regolativa)», pp.125-134.
11
M. Borrelli, «La pragmatica trascendentale e
la complementarità  delle metodologie», in K.-O.
Apel, Lezioni di Aachen e altri scritti, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Cosenza:
Pellegrini, 2004, pp. 17-37.
12
M. Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione
apeliana dell’etica kantiana, cit., «Seconda lettera: La fondazione trascendentalpragmatica delle
scienze sociali e dell’ermeneutica», pp. 53-84.
13
M. Borrelli, «L’aporetica come struttura di fondo dell’etica del discorso? Oltre la detrascendentalizzazione di Habermas e Wellmer», in Filosofia trascendentalpragmatica – Transzendentalpragmatische Philosophie - Scritti in onore di
Karl-Otto Apel per il suo 85° compleanno, a cura
di M.Borrelli/ M.Kettner, Cosenza: Pellegrini Editore, 2007, pp. 51-64.
14
M. Borrelli, «La svolta ermeneutica in filosofia
nel pensiero di Karl-Otto Apel», in topologik, n. 4,
Collana di Studi Internazionali di Scienze Filosofiche e Pedagogiche, a cura di M. Borrelli/F.Caputo, Cosenza: Pellegrini Editore, 2008, pp. 12-21.
15
Cfr. M. Borrelli, «La filosofia trascendentale
dell’intersoggettività. Cenni introduttivi al discorso filosofico di Karl-Otto Apel», in Quaderni
Interdisciplinari. Metodologia delle scienze sociali, vol. 1, a cura di M. Borrelli, Cosenza: Pellegrini, 1998, pp. 9-23.
16
Cfr. M. Borrelli, «Ethique et émancipation
chez Karl-Otto Apel», in M. Charmillot, C. Dayer, M. Schurmans (direction de) Connaissance
et émancipation. Dualismes, tensions, politique,
“Logiques Sociales” - Série Sociologie de la connaissance, dirigée par Francis Farrugia, Paris: Harmattan, 2008, pp. 59-80 (uscito anche
in topologik, n.2, Collana di Studi Internazionali di Scienze Filosofiche e Pedagogiche, a cura di
M.Borrelli/F.Caputo, Cosenza: Pellegrini Editore, 2007,  pp. 29-46).
17
Si veda, a questo proposito, M. Borrelli, Ermeneutica trascendentale e fondazione ultima di fi-
losofia e scienza. Introduzione al pensiero di KarlOtto Apel, Cosenza: Pellegrini Editore, 2008.
18
M. Borrelli, «L’etica del discorso e i suoi presupposti emancipativi», in K.-O. Apel, Lezioni di Aachen e altri scritti, cit., pp. 39-64. Cfr. anche M.
Borrelli, Lettere a Kant, cit. “…Apel parla di interesse strategico perché siamo sempre e comunque
situati all’interno di costrizioni dovute a contingenze che determinano le nostre scelte, le nostre
decisioni, i nostri ruoli, ma ognuno di noi possiede
anche responsabilità verso tutti gli esseri umani,
verso l’umanità nel suo insieme (si tratta in questo caso, e non c’è nulla da aggiungere o da spiegare, di responsabilità non per i miei interessi
privati o di quelli della mia comunità, ma di corresponsabilità etica globale o planetaria)”. «Prima
lettera: La trasformazione trascendentalpragmatica della filosofia kantiana», p. 48.
ACTA PAEDAGOGICA
Collana diretta da Giuseppe Serio
1 – aa.vv.
EDUCAZIONE ALLA PACE.
UN PROGETTO PER LA SCUOLA
DEGLI ANNI ’80.
(1981) Roma, Città nuova
(esaurito)
2 – aa.vv.
I VALORI SOCIO-POLITICI NELLA VITA
GIOVANILE E NELLE ISTITUZIONI
EDUCATIVE DEL NOSTRO TEMPO.
A cura di Filomena Serio.
(1983) 272 p. £. 25.000
(esaurito)
3 – aa.vv.
EDUCAZIONE ALLA GIUSTIZIA.
A cura di F. Fusca, E. Esposito, F. Serio.
(1984) 219 p. £. 22.000
(esaurito)
4 – aa.vv.
I DIRITTI UMANI.
PRESENTE E FUTURO DELL’UOMO.
A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.
(1986) 291 p. £. 25.000
(10 copie)
5 – aa.vv.
EDUCAZIONE E DEMOCRAZIA
TRA CRISI E INNOVAZIONE.
A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.
(1988) 192 p. £. 25.000
(30 copie)
6 – aa.vv.
DOVE VA LA SCIENZA?
EDUCAZIONE ALLA CONOSCENZA
E ALLA RESPONSABILITÀ.
A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.
(1990) 236 p. £. 25.000
(200 copie)
7 – aa.vv.
EDUCAZIONE ALLA SALUTE
TRA PREVENZIONE
E ORIENTAMENTO.
A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.
(1992) 184 p. £. 20.000
(esaurito)
8 – aa.vv.
EDUCAZIONE AL LAVORO
NELL’EUROPA DEGLI ANNI ’90.
A cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti,
G. Serio. (1992) 172 p. £. 20.000 (esaurito)
9 – aa.vv.
POPOLI CULTURE STATI
A cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti,
G. Serio (1994) 330 p. £. 35.000 (25 copie)
10 – aa.vv.
L’UOMO NOMADE.
UNA METAFORA DEL NOSTRO TEMPO
A cura di A. Pieretti
(90 copie)
11 – aa.vv.
LA NONVIOLENZA. UNA PROPOSTA
EDUCATIVA PER IL TERZO MILLENNIO
A cura di G. Serio-V. Pucci (1998) 296 p.
£. 40.000
(poche copie)
12 – aa.vv.
PEDAGOGIA ITALIANA ED EUROPEA
per la giustizia, la pace, il diritto
dei Popoli alla libertà
(in corso di stampa)
13 – aa.vv.
PEDAGOGIA E CULTURA PER EDUCARE
Saggi in onore di Giuseppe Serio
A cura di L. Corradini (2006) 320 p. E 25,00
QUALEDUCAZIONE • 27
Ricerca ed innovazione
educativa e didattica rubrica diretta da FRANCO BLEZZA
con la collaborazione di Antonia Rosetto Ajello
È noto come il territorio sia oggi frontiera essenziale per l’educazione, come costituisca per
essa sempre più una sfida ad individuare strategie e strumenti nuovi ed efficaci che la mettano in condizione di elaborare risposte significative ai problemi che da ogni parte ci sollecitano, riscattandola dalla subordinazione a quell’agenzia educativa che nell’immaginario
(più che nella realtà) conserva un ruolo di netta priorità: la scuola. La pedagogia è chiamata
ormai da decenni a confrontarsi con questa sfida: ne possiede molti degli strumenti concettuali, sa ben utilizzare le indicazioni che provengono da un gran numero di scienze “sorelle”
(psicologia, sociologia, antropologia, filosofia, didattica ecc.). Tuttavia sembra ancora spesso faticare ad elaborare un proprio specifico, che tuttavia risulta essenziale, come da anni si
dice in questa rubrica ed è ferma convinzione dei curatori di questo numero, che possa fornire agli educatori e ai pedagogisti la cornice di senso e la forza identitaria per ben operare
in una corretta relazione con altri professionisti. Questo specifico viene costruito nel dialogo
tra la teoria e la prassi, nel confronto tra i costrutti teorici e l’azione educativa. È noto come
proprio dallo sforzo di ricerca e di pensiero che nasce dal confronto con la prassi emerga poi
il materiale per ulteriori approfondimenti, chiarificazioni, re-interpretazioni, ri-sistemazioni del tessuto teoretico della disciplina e dei temi per essa essenziali: è successo per l’educazione degli adulti, per la pedagogia della marginalità, sta accadendo con la pedagogia del
lavoro, probabilmente accadrà anche per l’educazione alla cittadinanza ecc.
***
In questo numero si attinge all’esperienza di un percorso di educazione alla cittadinanza attiva che ha puntato a far esperire ai ragazzi di alcune scuole superiori di Messina momenti e consapevolezze di partecipazione, di investimento personale nella relazione con l’altro,
di accostamento ai principi e ai valori dell’azione volontaria e dell’azione politica. Viviamo
in una società che spesso sembra valorizzare solo la ricerca del vantaggio personale, a qualunque costo, come unica strada per un maggiore benessere individuale, dato che il bene comune sembra porsi fuori dal nostro raggio di possibilità. In questa superficiale ed implicita promessa, però, è evidente che la società mente perché la frammentazione/frantumazione dei legami sociali, la chiusura entro la propria sfera privata (spesso con l’unica “finestra
sul mondo” offerta dalla televisione) aumenta l’insicurezza e svuota di senso la vita. Allora
succede che dal territorio, più che entro le istituzioni, nascano momenti di laboratorio, spazi
di riflessione che vengono offerti ai ragazzi, tentando anche di allargare alle scuole l’offerta
di un’elaborazione, di suggerimenti metodologici per promuovere, insieme alla crescita culturale degli alunni, lo sviluppo del loro senso di appartenenza e di responsabilità rispetto
ad una società che ne riconosce il valore, l’importanza, la specificità. L’esperienza che qui si
racconta è stata, in particolare, promossa dal Centro Servizi per il Volontariato di Messina
ed esposta da Antonia Rosetto Ajello, docente LUMSA di Pedagogia Sociale ed Educazione degli adulti, e che salutiamo come neo-corresponsabile nella cura della Rubrica, nel suo
saggio sul tema Giovani, politica e volontariato: un percorso educativo alla ricerca di un
senso per il vivere sociale. Lucrezia Piraino, dottore di ricerca in Metodologia della Filosofia e impegnata nella Filosofia Morale, porta al complementare il discorso con il saggio Alla
ricerca del cittadino perduto - Percorsi ludici di solidarietà, giustizia, legalità.
28 • QUALEDUCAZIONE
Giovani, politica e volontariato:
un percorso educativo alla ricerca
di un senso per il vivere sociale
di
Antonia Rosetto Ajello
1. L’educazione, la partecipazione e la cittadinanza nella società
dell’apparire
Le nostre democrazie vivono oggi un
momento di fermento evolutivo, attraversate da nuove sensibilità e da vecchi timori.
I mass media fanno irrompere continuamente nella sfera privata, senza
alcuna valida mediazione o riflessione, problemi drammatici, semplificati
e spettacolarizzati, difficili da interpretare nella loro complessità che, dunque,
sono destinati ad essere percepiti come
distanti dalla possibilità di una risposta
di ampio respiro, sia individuale che sociale. Spettatori confusi e inerti di una
storia sociale che si presenta loro come
densa di pericoli e priva di speranze,
tutti coloro che non hanno gli strumenti concettuali per collocarsi attivamente
nel flusso degli eventi … usano il telecomando, nuova metafora della pseudolibertà del cittadino di oggi.
Il telecomando concede l’accesso ad
un mondo virtuale e spesso futile, nel
quale l’impotenza non è più percepibile e cessa temporaneamente di essere
fonte di disagio: se ti va, puoi anche far
finta di partecipare … alla trasmissione. Consente di sognare che il mondo
sia leggero e colorato e di chiudere gli
occhi su una realtà che, anche appena
fuori dalla porta di casa, diventa impegnativa, inquietante e talvolta incomprensibile.
La televisione fornisce a costo zero
modelli di pensiero e di comportamento, attraverso le mode e i tormentoni e,
esaltando la paradossalità, aiuta a sentirsi sufficientemente normali; costruisce e propone un linguaggio semplificato e oggetti di desiderio (materiali)
immediati ed elementari; canalizza su
quelli le energie e aiuta a distogliere
l’attenzione dalla sofferenza che ci circonda, e dall’impegno mentale ed etico
che essa reclama.
Se a questo si aggiungono le crescenti difficoltà e inadeguatezze della formazione scolastica, legate ad una crisi
del ruolo di questa istituzione nella società, si comprende come adolescenza
e gioventù siano complessivamente diventate età a rischio di spaesamento e
di comportamenti disadattivi: distruttivi o autodistruttivi, passivi e gregari
o aggressivi.
È storicamente recente il riconoscimento formale delle specificità e del
ruolo sociale di queste età della vita,
cui però non si riesce ancora a far corrispondere lo sviluppo di adeguati spazi di espressione e di partecipazione
autentica. Contemporaneamente, il ritrarsi di una parte del mondo adulto,
anch’esso spesso confuso e spaesato, dal
QUALEDUCAZIONE • 29
proprio ruolo educativo lascia queste generazioni prive di sostegno nel loro processo di crescita sia verso l’autonomia
che verso l’integrazione attiva e critica
nella cultura e nella società.
Questo disagio attira l’attenzione
solo nel momento in cui si verificano
episodi violenti o particolarmente provocatori, che mettono sotto stress il presunto ordine sociale. Passa invece sotto silenzio la lucida consapevolezza che
gli adolescenti hanno dell’inadeguatez
za degli adulti, dell’insignificanza delle
istituzioni (sperimentata in primo luogo proprio nella vita scolastica) e della
politica dei partiti: consapevolezza che
spesso si trasforma in cinismo, disillusione e chiusura nella sfera privata.
I giovani vedono, ciò che vedono non
gli piace e si estraniano. Finiscono col
non essere in grado di percepire, come
d’altra parte molti adulti, la differenza
tra i giochi di potere nei Palazzi e la politica, intesa come progettualità sociale
e pubblica, in grado di fornire ai cittadini di tutte le età una cornice di senso, modelli di aggregazione e di risoluzione dei conflitti.
Ma il nostro modello di società sta
gradualmente cambiando.
È sempre vero il detto per cui fa più
rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Il distacco dei cittadini dalla politica dei palazzi non significa e non può significare fine della democrazia. La società civile si organizza attraverso la cittadinanza attiva e
il volontariato, e riscopre (o tenta di ricostruire) la solidarietà, la responsabilità e la partecipazione. Nascono qui
nuove sperimentazioni volte a sconfiggere la coltre spessa che rende difficoltoso l’affermarsi di una politica partecipativa e ad aprire varchi per una de30 • QUALEDUCAZIONE
mocrazia sempre più inclusiva, basata
sul riconoscimento reciproco e sulla solidarietà tra estranei.
Anche l’esperienza dei laboratori
promossi e coordinati dal Cesv di Messina fin dal 2003 è il frutto di una collaborazione tra la scuola e il mondo della cittadinanza attiva: loro obiettivo è
la costruzione di un processo educativo volto a promuovere la partecipazione dei giovani alla vita politica e sociale, a partire dal territorio in cui vivono.
Si tratta di formazione al volontariato,
nella misura in cui ci si pone nella cornice espressa dalla Carta dei valori del
volontariato1, i cui Principi fondanti
evidenziano proprio la molteplicità delle forme in cui si realizza l’intreccio tra
azione solidale e cittadinanza attiva.
Si parla spesso di rendere i giovani
protagonisti del loro/nostro presente, di
aiutarli ad uscire da una condizione di
marginalità cronica, in una società che
è stata più volte definita gerontocentrica: ma questo significa anzitutto costruire nuove agorà, luoghi terzi nei quali
l’immaginario degli adulti e quello dei
giovani, con le loro evidenti differenze, possano incontrarsi e co-fecondarsi per dar vita a nuovo pensiero e nuova azione. Questo comporta, da parte
degli adulti, tentare il superamento di
alcune delle vecchie forme comunicative alle quali sono stati socializzati, per
adottare un approccio autenticamente
sperimentale2, aperto al nuovo: comporta anche, da parte dei giovani, lo sforzo di accostarsi a universi simbolici cui
non sono avvezzi, tollerando la fatica
dell’impegno.
2. Verso un nuovo modello di cittadinanza
Oggi la cittadinanza in generale è
vista come maggiormente connessa,
rispetto al passato, alla responsabilità
attiva del soggetto: non più semplicemente legata al mero fatto di esser nato
in un luogo o da un “cittadino”, essa è
sempre più frutto di una scelta: quella
di aderire ad un dato nucleo di valori,
promuovendone la vitalità e lo sviluppo. Questo è il risultato della rilevanza che ha oggi la maggiore mobilità sul
pianeta, la maggiore possibilità di spostarsi per raggiungere società che non
solo riscattino dalla miseria e dal pericolo, ma anche offrano maggiori possibilità di riconoscimento e di espressione
delle proprie potenzialità. Ma l’esercizio
di questo secondo tipo di cittadinanza,
così come delle più ampie cittadinanze
europea3 e planetaria4, dipende molto più che nel passato dal possesso, da
parte dei singoli, di competenze personali e sociali più mature. Le conquiste
fatte in termini di libertà individuale
e diritti civili costituiscono la base per
ogni autentica scelta etica: bisogna educare nelle giovani generazioni la capacità di conoscere, comprendere, giudicare e scegliere5.
La nuova linea del potere oggi corre tra chi è in grado di accedere alla
riflessione e alla comprensione critica
della propria situazione e dei problemi
che coinvolgono la comunità di appartenenza, e chi invece subisce da «utente» le «informazioni» e le decisioni altrui e trascina la propria vita cercando
solo nella sfera privata spazi di espressione e di libertà. Costoro si illudono di
essere liberi ed invece si trovano in una
condizione di schiavitù che non ha pre-
cedenti nel passato, perché non è percepibile né in segni fisici (catene o marchi) né in segni sociali (appartenenza a
caste e classi sociali). L’emancipazione
di costoro, come forma di autentica liberazione, passa dunque attraverso la
conquista degli strumenti tipici del pensiero critico e creativo, insieme alle abilità comunicative e dialogiche.
Le giovani generazioni sono le più
vulnerabili, perché dipendono dagli
adulti per l’orientamento nella vita sociale e politica e subiscono pesantemente gli effetti del disorientamento
di questi ultimi e della loro resa rispetto al compito di scegliere anche per chi
ancora non ha gli strumenti per farlo,
aiutando questi ultimi a costruirsi/conquistarsi tali strumenti6.
La cultura di massa, in questo senso,
disorienta più di quanto non orienti.
Sembra, infatti, che vi sia una netta corrispondenza tra i “valori” da essa
diffusi e quelli assunti come punto di
riferimento da molti giovani che mettono in atto comportamenti distruttivi
o autodistruttivi7. Costoro interiorizzano, portandoli alle estreme conseguenze, i modelli consumistico/edonistici in
auge: quei modelli che vedono l’uomo di
successo come fisicamente prestante, in
possesso di determinati status symbol,
spesso in grado e soprattutto disposto
a utilizzare ogni mezzo per la propria
affermazione. Questi giovani seguono
pedissequamente i modelli offerti da
certa cultura di massa riguardo al tipo
di gratificazione da ricercare e le azioni
che è legittimo mettere in atto per procurarsela: mal tollerano la frustrazione di divergere per qualche aspetto dal
modello “vincente”.
Restano maggiormente condizionati da tali modelli quei ragazzi che non
QUALEDUCAZIONE • 31
hanno la possibilità di accedere ad esperienze o a chiavi di lettura della realtà diverse e più articolate, perciò coloro che appartengono a nuclei familiari
più problematici o meno comunicativamente e culturalmente significativi (indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza) e coloro che appartengono
a gruppi di pari deprivati sotto il profilo
culturale e semiotico (anche in questo
caso si tratta di casi che possono attraversare i diversi ceti).
La possibilità di accedere ad esperienze relazionali significative sia con
adulti che nel gruppo dei pari è, invece,
non solo un importante elemento di prevenzione di numerose forme di disagio e
di rafforzamento della personalità, ma
anche un fattore importante di crescita personale e sociale8. Da una ricerca
condotta da Mario Pollo risulta chiaramente che “i giovani in cui compare un
sistema di valori che può essere definito come quello dell’armonia interiore e
dell’alterità solidale, in quanto evidenzia la condivisione dei valori dell’eguaglianza, della giustizia sociale, dell’armonia interiore, del rispetto di sé, della
libertà di pensiero e di azione, dell’apertura mentale e della tolleranza e la negazione dei valori del potere sociale e
della ricchezza materiale, sono quelli
più immuni dall’esperienza del disagio
e della devianza”9.
Un tale sistema di valori e le esperienze in grado di promuoverlo riducono non solo il rischio di aggressività, ma anche “il mal sottile della disforia”10, che, come ricorda Anna Marina
Mariani, è una forma di depressione:
“il ritiro depressivo di fronte alle scelte
decisive”. Come fenomeno sociale invisibile esso non desta allarme, tuttavia
è bene tener presente che “la mancan32 • QUALEDUCAZIONE
za di desideri e la demotivazione nascono da chiari elementi di cui però non è
semplice prevedere le conseguenze a
lungo termine, ma siamo certi che positive non saranno”11.
E non lo saranno né nello sviluppo
della storia personale né sullo sviluppo
del ruolo che la persona è chiamata poi
a svolgere in quanto cittadino responsabile, in vista di una società più inclusiva e democratica.
3. La progettazione e la partecipazione: in che modo contribuisco a
scrivere la storia?
Una chiave di lettura importante è,
dunque, il legame tra il sistema di valori di riferimento e la percezione della
propria soggettività attiva.
Nell’esperienza formativa da noi
condotta abbiamo riscontrato nella
maggioranza dei ragazzi una certa distanza dai valori pubblici ed una decisa
enfasi sui valori privati12. Questa nuova
generazione ha difficoltà a percepire in
che modo la vita comune è legata alla
propria vita e viceversa: ciascuno percepisce più la separazione che la comunanza rispetto ai propri simili e questo
aumenta sia il senso di impotenza e di
insicurezza che le difficoltà di autentica progettazione esistenziale e partecipazione politica.
Per comprendere come mai così tanti
giovani vivono queste difficoltà (inconsapevolmente, finché non vivono un certo percorso educativo), dobbiamo partire dal modo in cui la nostra società si
rapporta al futuro. Un tratto saliente
dell’attuale socio-cultura occidentale
è l’appiattimento sul presente. Per decenni abbiamo vissuto come se l’umani-
tà non avesse futuro, e così facendo abbiamo posto le basi di un perverso meccanismo di «profezia che si autoadempie», logorando le sue effettive possibilità di futuro.
In questo senso, più che altro, i giovani, come al solito, sono acutamente consapevoli dell’aria che tira, come
emerge dalla già citata ricerca condotta da Mario Pollo13. L’angoscia o l’“insicurezza ansiosa verso il futuro”14 sono
senz’altro alla base di un disagio giovanile che solo in alcuni casi viene apertamente manifestato, ma che incide in
ogni caso sul benessere e sulla capacità di affrontare le sfide che la crescita
pone. Essa si traduce poi in incapacità
di elaborare un progetto di vita, cosicché ci si limita a perseguire obiettivi limitati e parziali, senza inserirli in un
sogno da realizzare.
Anche in questo caso c’è da chiedersi: è un limite di questa generazione o
è un limite della nostra società? È possibile che i giovani, ormai resi cinici e
privi di speranza nel futuro da ciò che
vedono accadere nel mondo, avendo ormai perso la fiducia nella capacità degli adulti di incidere sulla realtà, abbiano acquisito un atteggiamento disilluso
nei confronti di un futuro migliore e, per
questo motivo, non riescano più ad avere un atteggiamento progettuale?
Per pensare progettualmente il proprio futuro occorre avere fiducia nel fatto che esso possa essere migliore e che
questo possa anche essere frutto della
mia azione personale. Se, al contrario,
vedo il futuro come una realtà al di fuori del mio raggio di azione, nelle mani
di forze centrifughe (egoistiche) e incontrollabili (anche per effetto della delegittimazione dei sistemi sociali e politici
di regole), all’interno di quale cornice di
riferimento e di quale immagine ipotizzabile di realtà posso progettare?
I giovani, in questo caso, avrebbero introiettato fin troppo bene la globalizzazione e i suoi miti, e questo può
essere considerato un ulteriore fattore
di disagio, che attraversa tutte le classi sociali. Non il loro non averla capita,
ma il loro averla compresa fino in fondo, considerandola, come si vuole che
la considerino, un destino: un destino
che schiaccia la singolarità e la rende
banale, a meno che non riesca ad essere in qualche modo eccessiva.
Coerentemente, essi ritengono ancora (tranne nei casi più gravi) di potere
progettare nella sfera privata: si assiste infatti ad un loro ripiegamento sulla
famiglia e sulla ricerca di un lavoro che
dia sicurezza15. Certo, sanno che anche
nella sfera privata il futuro è ben lungi dall’essere certo, ma in questo ambito ancora osano tentare di perseguire intenzionalmente qualche obiettivo.
Quando il loro pensiero si volge alla società manifestano invece la convinzione
che, per quanto abbiano in mente come
la vorrebbero, e siano in questo ben più
pratici delle generazioni precedenti, la
realizzazione delle loro idee sia al di fuori del loro raggio di azione. Nella ricerca
condotta da Mario Pollo la maggioranza dei giovani risulta convinta che in
futuro la società italiana sarà peggiore
di quella attuale, soprattutto per quanto riguarda la solidarietà, la libertà, la
giustizia e il benessere16. Anche questa
potrebbe diventare una profezia che si
autoadempie.
Ma perché pensano di non poter fare
nulla? Perché non hanno fiducia nella
politica e credono che l’economia abbia in realtà molto maggiore potere: e
quest’ultima è caratterizzata dal prevaQUALEDUCAZIONE • 33
lere degli interessi dei singoli su quelli
della collettività. Hanno cioè una visione chiarissima dei tratti specifici della
globalizzazione ma non hanno gli strumenti per leggerla come un processo (e
non come un destino), un modo di gestire il potere e le relazioni che può essere modificato.
Ciò che turba di più è il loro senso
di impotenza, che dovrebbe portarci a
considerare come la nostra civiltà stia
rischiando di neutralizzare la spinta
innovativa che può venire dei giovani, ma contemporaneamente anche la
capacità di pensiero e di azione di coloro che domani dovrebbero governare
il mondo17.
Anche nel corso dei laboratori sulla cittadinanza attiva condotti a Messina18 sono emersi - insieme alla confusione sui valori, alla mancanza di coordinate di riferimento per distinguere tra valori pubblici e valori privati e
all’assenza diffusa di riferimento a valori pubblici - la difficoltà a comprendere la portata politica di alcuni comportamenti, l’atteggiamento cinico nei confronti del cambiamento, la visione stereotipata del volontariato, la ripulsa o
l’indifferenza nei confronti della politica, lo sguardo pieno di cinica compassione nei confronti di queste formatrici
che parlavano con sguardo luminoso di
volontariato e cittadinanza attiva.
Poi è emersa la causa di questi atteggiamenti. Sentono parlare di queste
cose anche a scuola, ma non hanno corrispondenza con nessuna loro esperienza di vita. La partecipazione è una parola. Una studentessa ci ha detto: «È una
parola che gli insegnanti usano quando
vogliono che facciamo quello che ci dicono». Cioè è una parola usata, spesso in
buona fede, da insegnanti che però poi
34 • QUALEDUCAZIONE
la neutralizzano conducendo il gioco in
maniera unidirezionale.
Guai, in questi casi a confondere le
parole con le cose! Non si può insegnare la partecipazione con metodi tradizionali/direttivi. I giovani confondono
spesso partecipazione ed informazione:
e questo è ancora più grave se pensiamo che rispetto al mondo dell’informazione hanno un ruolo di meri «fruitori»,
che alla fine produce in loro indifferenza e assuefazione.
Questi giovani sono indubbiamente diversi da quelli del passato – gli insegnanti lo dicono sempre – ma sono
senz’altro molto intelligenti e hanno
ben chiara la realtà in cui vivono. È
quella realtà che non riesce a proporre
loro nuovi modi di conoscere di entrare in relazione. È in atto un processo di
adultizzazione precoce dei bambini e dei
ragazzi, dovuto anche all’influenza dei
mass media: fa parte di questo processo anche un cinismo precoce? una precoce disillusione?
Pare che ancora più negativa sia la
visione dei giovani riguardo al futuro
dell’umanità. Pensano inevitabile lo
scoppio di una nuova guerra mondiale,
irrisolvibile il problema della fame nel
mondo …19 Come dargli torto? Si moltiplicano le forze apparentemente fuori controllo, da quelle globali a quelle
che agiscono nel campo dell’ingegneria
genetica, destinate a modificare l’umanità in un modo inconcepibile e non
preordinato. Pare che la progettualità
sia caduta in disuso soprattutto laddove sarebbe più importante. La politica
non è vista semplicemente come sporca, come superficialmente potrebbe apparire, essa è considerata ancora più
drammaticamente inutile20. Come possiamo poi credibilmente parlar loro di
progettazione esistenziale, di progettazione sociale?
Noi adulti spesso non abbiamo un
progetto per loro, in molti casi non abbiamo un progetto per noi stessi e nella
stragrande maggioranza dei casi ostentiamo indifferenza e impotenza nei confronti del futuro dell’umanità. Non siamo in grado di testimoniare il prenderci
cura e vorremmo che loro lo facessero.
Ci stupiamo che siano concentrati
solo sul presente, che siano convinti che
l’unica cosa di fare sia acchiappare qui e
ora tutto ciò che possono. Non sono loro
che lo pensano «per loro natura», è tutta
la civiltà che gli abbiamo messo a disposizione che glielo urla costantemente.
Per riuscire a promuovere un’educazione all’impegno, alla speranza, al futuro, occorre assumere da subito comportamenti credibili, mostrare coi fatti che un altro mondo e un altro futuro
sono realmente possibili, anzi, sono in
costruzione.
Il primo sforzo dobbiamo farlo su noi
stessi, in quanto adulti e in quanto educatori. Solo se ci interroghiamo su noi
stessi, sulla nostra visione del mondo e
delle relazioni, possiamo continuare a
crescere e dare qualcosa ai nostri giovani interlocutori. Naturalmente questo non significa confondere i ruoli. La
corretta distanza è legata anche alla diversa responsabilità nel processo. Sbagliato è dunque, l’atteggiamento di quegli adulti/educatori che, nell’illusione
di poter così parlare meglio ai giovani,
cercano di annullare o negare la distanza generazionale. Questa distanza esiste ed è chiaramente percepita dal ragazzo che, nel caso in cui l’adulto operi maldestramente per neutralizzarla,
percepisce solo l’incapacità di quest’ultimo di agirla correttamente.
Al contrario, essa è il veicolo attraverso cui può realizzarsi anche l’educazione intergenerazionale e in molte
civiltà essa è simbolizzata e ritualizzata, proprio per essere meglio gestita:
garantisce la continuità e apre spazi al
cambiamento. L’annullamento delle differenze invece fa venir meno le regole
entro cui tale cambiamento dovrebbe
verificarsi e crea confusione e conflitti
pericolosi (soprattutto perché disorientanti). I conflitti agiti all’interno di una
chiara distanza generazionale costituiscono una componente naturale ed inevitabile della dinamica evolutiva di una
società: è giusto che gli adulti si facciano mettere in discussione dai giovani,
così come essi non devono astenersi dal
mettere in discussione le opinioni e le
convinzioni dei giovani, quando questo
è importante.
Gli adulti che non vivono il conflitto con i propri figli o educandi (e vanno incontro a tutte le loro richieste o li
“lasciano liberi”) abdicano al loro compito, violano per primi le regole del gioco e dello scambio entro cui solo si può
realizzare la crescita dei giovani verso
la libertà e l’autonomia
È piuttosto lo spazio del conflitto
e del confronto che si configura anche
come spazio della comunicazione e della creazione, in un momento in cui tutti abbiamo bisogno di apprendere nuove forme di convivenza, che rispondano
alle esigenze di una società che non ha
precedenti nella storia umana21.
4. L’esperienza dei laboratori “cittadini si diventa” a Messina
Narriamo ora brevemente le tappe
salienti dell’esperienza condotta a MesQUALEDUCAZIONE • 35
sina. Il primo incontro con gli insegnanti delle scuole interessate al progetto e
con molti operatori sociali si è svolto a
fine Gennaio 2006 e in quell’occasione
è stata elaborata una proposta di intervento che prendeva le mosse da una ricerca condotta dal Cesv negli anni passati sui bisogni di partecipazione dei ragazzi messinesi.
Divisi in gruppi abbiamo preso in
esame alcuni nodi problematici della
promozione dell’educazione alla cittadinanza, alla solidarietà, alla responsabilità sociale. Erano i punti che sono
stati discussi nei paragrafi precedenti.
I dati incoraggianti emersi dalla ricerca erano la fiducia espressa dai ragazzi nei confronti di alcune istituzioni (a
fronte di una sfiducia generalizzata nelle altre): il volontariato, la chiesa, le forze dell’ordine.
Pur restringendo l’ambito della propria partecipazione alla cerchia amicale, è emerso che essi considerano però
la scuola un significativo luogo di appartenenza.
In quell’occasione ci chiedevamo:
siamo di fronte a giovani iper-realisti o
privi di orizzonti di riferimento? Sono i
nuovi conservatori o sono spaesati?
A volergli proporre un cambiamento, dicevamo, occorre essere molto credibili e coerenti, altrimenti rischiamo di
bruciare un’altra opportunità. Questa
criticità è emersa tutte le volte in cui
le scuole hanno solo aperto le proprie
porte ai laboratori senza coinvolgersi in
alcun altro modo nel processo educativo in atto: i laboratori in quei casi sono
stati molto graditi ma hanno avuto un
carattere del tutto episodico.
Soddisfazioni molto diverse hanno
provato i ragazzi che hanno potuto vivere questa esperienza in continuità
36 • QUALEDUCAZIONE
con altre affini o che avevano sviluppato
nella pratica scolastica quotidiana l’abitudine all’analisi e alla riflessione22.
Ci siamo detti in quel primo incontro come un modo importante per vincere l’incertezza sia far loro sperimentare
una libertà responsabile, aiutandoli nel
contempo a tessere reti, creare legami,
costruire fiducia; metterli in condizione di cogliere e sperimentare il nesso
che c’è tra le proprie azioni e la qualità
delle relazioni nel loro mondo-della-vita: sia per quanto riguarda la responsabilità sociale – collegata al ben-essere proprio ma soprattutto a quello dei
soggetti più deboli – che per quanto riguarda la legalità, intesa non come difesa del bene privato, ma come tutela
di una normativa comune, condivisa, a
protezione di membri della comunità –
a partire dai più deboli.
Abbiamo perciò definito il nostro
compito formativo, che consisteva esattamente nel lavorare con i giovani per
promuovere questo genere di esperienza, di percorso formativo, in grado di
farli sperimentare in situazioni democratiche e partecipate23, in modo anche
da aiutarli a costruire modelli comportamentali e chiavi interpretative dei fenomeni utilizzabili nell’agorà sociale.
Per garantire continuità abbiamo
fin da subito programmato un incontro
di restituzione con gli insegnanti a fine
percorso, per fare un bilancio dell’esperienza. L’incontro si è puntualmente
realizzato il 15 dicembre 2006, anche
se non con la partecipazione che auspicavamo da parte dei docenti delle scuole che hanno aderito all’iniziativa. I risultati sono stati discussi con i presenti
e le conclusioni e le proposte sono state
condivise con convinzione da tutti.
Nel corso dei laboratori abbiamo la-
vorato sui temi concordati, attraverso
giochi e attività che potessero costituire lo sfondo esperienziale comune su cui
innestare la riflessione. I ragazzi hanno
apprezzato molto la dimensione ludica
anche se non in tutti i casi sono stati capaci di mettersi veramente in gioco.
Nei gruppi abbiamo riscontrato tutta la gamma di comportamenti che sono
prevedibili in questi casi. Più motivati coloro per cui l’esperienza si inseriva
in un loro percorso già avviato a livello
personale o come classe; spesso passivi,
superficiali o perfino provocatori altri,
cui questa esperienza era stata offerta
e che l’avevano colta non tanto come occasione di crescita e di confronto quanto come occasione per mettere insieme
qualche credito o evitare qualche lezione. Più tranquilli gli studenti del liceo
(più tranquilli, anche se non per questo
più partecipi), più “turbolenti” gli studenti dei tecnici.
Consideriamo un successo tutte le
volte che siamo riuscite ad accrescere
la consapevolezza di chi era già predisposto e tutte le volte che siamo riuscite ad attirare l’attenzione e a suscitare la discussione (pertinente) di chi era
impegnato ad ignorarci.
A volte abbiamo anche dovuto provocare, per attirare l’attenzione, rilanciare le sfide, ma da quello sono nate anche discussioni che forse hanno lasciato un segno. Forse.
I punti su cui abbiamo insistito di
più in questi laboratori sono stati:
1. La conoscenza di sé e del proprio
modo di entrare in relazione con l’altro
(riflessività).
2. La riflessione sulle forme di oppressione che spesso viviamo, anche
quelle nascoste nel rapporto con gli amici, quelle che nascono semplicemente da
una distorsione nella relazione e nella
comunicazione che noi non percepiamo; ma anche la riflessione sul nostro
modo di viverle.
3. La relazione di aiuto come relazione di condivisione, nella quale chi
aiuta e chi è aiutato mettono in comune la loro umanità e insieme cercano di
ridurre un disagio che ferisce la società
nel suo complesso.
In altre parole abbiamo cercato di
smontare la visione buonista e semplicistica del volontariato, come aiuto unidirezionale, per sostituirla con una visione più ricca e realistica: il volontariato
come cittadinanza attiva, come azione
che aiuta tutti i protagonisti e aiuta a
costruire una società dove vivere è più
bello e più agevole per tutti.
Negli anni successivi abbiamo approfondito il metodo, coinvolgendo sempre gli insegnanti nei momenti dell’ideazione e della valutazione, con risultati che hanno seguito l’andamento descritto.
Solo, nel 2008 abbiamo introdotto
come novità la presenza attiva all’interno dei laboratori di volontari delle
associazioni messinesi che hanno offerto la loro disponibilità. L’intento è stato quello di dare concretezza alla figura del volontario, come del semplice cittadino che “adempiuti i propri doveri”,
sceglie di mettere a disposizione della
collettività il suo tempo, il suo lavoro,
la sua creatività.
Anche in questo caso i risultati sono
stati complessivamente positivi, anche
se hanno sollevato il problema di formare i volontari alla comunicazione con i
giovani: tale problema non si pone naturalmente con le associazioni che hanno il lavoro con i giovani tra i loro obiettivi di fondo, ma è rilevante negli altri
QUALEDUCAZIONE • 37
casi, anche perché riguarda tout court
la capacità delle associazioni di diventare realtà capaci non solo di attrarre
i giovani, ma anche di essere per loro
luoghi in cui vale la pena di spendere
parte della propria vita. Anche in questo caso occorre spesso spostarsi da una
visione adulto-centrica per dare effettivamente spazio ai giovani e all’espressione della loro diversità.
5. Analisi dei risultati e delle criticità
Comincerei con alcune osservazioni sui risultati più positivi raggiunti
dal nostro intervento, così come sono
emersi anche dalla valutazione da parte dei ragazzi.
In primo luogo porrei la complessificazione del loro modo di intendere
il volontariato, non più come un’azione unidirezionale di supporto a favore
dei soggetti più svantaggiati, in fondo
considerati senza speranza di autonomia. Questo è un aspetto importante
dell’azione volontaria, ma non l’unico.
Se è vero che bisogna saper supportare
chi non può, in alcun modo, vivere degnamente senza la solidarietà degli altri e senza il sostegno della comunità,
è anche vero che la vita di ciascuno di
noi e la vita della comunità di cui facciamo parte nel suo complesso richiede
che ciascuno sappia investire generosamente in esse una parte del proprio
tempo, della propria intelligenza, del
proprio cuore e della propria creatività.
In fondo è il ragionamento che troviamo
alla base del concetto di capitale sociale ed è anche il fondamento della relazione tra pedagogia e politica che alcuni autori considerano essenziale all’at38 • QUALEDUCAZIONE
tuazione effettiva del sistema di integrazione socio-sanitario previsto dalla
nuova normativa24.
Un altro risultato positivo piuttosto
generalizzato è stato il fatto che molti sono stati i ragazzi che hanno preso
consapevolezza dell’inadeguatezza di
modalità comportamentali che precedentemente davano per scontate. Hanno messo in discussione alcuni stereotipi e hanno vissuto alcune situazioni
dalla parte del soggetto in difficoltà. Si
è trattato, dunque, di un ampliamento
della propria esperienza di sé e della relazione con l’altro, di un modo di sperimentarsi come soggetti attivi o passivi,
di prendere coscienza di alcune proprie
emozioni ecc. Hanno avuto anche l’opportunità di valutare, sia pure nell’ambito di un’esperienza di poche ore, come
alcuni valori cui inizialmente non avevano pensato, fossero in realtà per loro
e per i loro compagni più preziosi di altri, che certamente erano più inerenti
la loro sfera privata/amicale, ma diventavano insufficienti se considerati senza
prendere in considerazione gli altri: ad
esempio, l’amicizia o la famiglia senza
la libertà o la solidarietà o la giustizia
ecc. (senza le quali è ben difficile che
esse possano essere tutelate e vissute
adeguatamente).
Per molti dei ragazzi coinvolti, questi laboratori sono stati semplicemente un’occasione per riflettere su aspetti
di sé o della vita sociale su cui non avevano mai riflettuto. Quasi tutti hanno
detto di aver apprezzato molto questa
opportunità.
Naturalmente in cinque o sette incontri non era possibile operare efficacemente il passaggio dall’abitudine
alla fruizione passiva della lezione (cui
tutt’al più si “reagisce” distraendosi,
facendo confusione o facendosi i fatti
propri) alla condivisione dell’attività
di lavoro e di ricerca. Qualche gruppo,
dunque, ha partecipato parzialmente,
pur non disdegnando completamente
le tematiche o le attività: la tendenza
al chiasso improduttivo (presente solo
in un caso), o la difficoltà di attenzione
è stata forse legata ad una consolidata
incapacità di autodisciplina, o alla desuetudine a cogliere il nesso tra le loro
modalità di partecipazione e la riuscita dell’attività di apprendimento. Qualche altro gruppo ha disciplinatamente
partecipato alle attività, pur mantenendo la maggior parte dei suoi membri un discreto livello di scetticismo rispetto al contenuto cui facevano riferimento. Questo scetticismo era l’altra
faccia della loro sfiducia nei confronti
della politica, nei confronti della possibilità di una effettiva partecipazione
alle scelte che li riguardano. Evidentemente mancava anche la possibilità di
trovare una corrispondenza tra quanto
proposto e il resto della loro esperienza “pubblica”.
E talvolta non era solo sfiducia nei
confronti del loro contesto di appartenenza attuale (la scuola, la città, il villaggio ecc.), ma una sorta di mancanza
di speranza tout court. Questi ragazzi,
però, sollecitati ad autovalutare la propria partecipazione ai laboratori, sono
stati in grado di rilevarne la sostanziale modestia e anche di cogliere il nesso tra la loro scarsa partecipazione e la
scarsa soddisfazione che avevano tratto dall’esperienza. Nelle relazioni umane, infatti, riceve di più chi è disposto a
dare, e a rischiare, di più: la loro eccessiva e prematura prudenza è una colpa
che grava sulle spalle di noi adulti.
Occorre allora farli passare dalla sfe-
ra dei valori “privati” a quella dei valori
“pubblici”, e far nascere in loro la passione per il “prendersi cura” di sé, degli
altri e dei beni comuni: e questo è possibile farlo solo attrezzandoli nell’arte
del confronto e del dialogo, creando occasioni di confronto strutturato e semistrutturato tra di loro e con altri gruppi. Come educare al dialogo e alla partecipazione democratica se prendono in
considerazione solo gli stretti appartenenti al proprio gruppo al punto da far
fallire, come è accaduto, alcuni giochi
senza riuscire a trarne soddisfazione
perché “non hanno pensato” alla possibilità di “mettere in comune le proprie
risorse” con ragazzi appartenenti a diversi “gruppi classe”?
Questo avvalora la convinzione che
un intervento educativo che voglia essere autenticamente efficace non può più
limitarsi ad avere come luogo di azione l’istituzione scolastica (che pure va
sostenuta)25. Vanno sviluppate le occasioni in cui far crescere la speranza dei
ragazzi, facendo loro sperimentare il
successo nelle situazioni comunitarie,
aumentando il loro senso di potere rispetto alla possibilità di intervenire per
migliorare le condizioni problematiche,
ampliando la loro capacità di incidere e
di partecipare effettivamente a processi
decisionali26. Questo è il motivo per cui
nel progettare la prosecuzione di queste
attività abbiamo deciso di “investire” su
un maggiore rapporto con le istituzioni
e di lavorare più sui territori, facendo
incontrare giovani appartenenti a scuole e a gruppi giovanili diversi, per promuovere interventi che favoriscano la
partecipazione dei giovani alla definizione e all’attuazione dell’agenda delle Politiche giovanili. Contemporaneamente, abbiamo pensato che sia giunQUALEDUCAZIONE • 39
to il momento di lavorare sulle abilità
sociali e politiche dei nostri giovani attraverso un loro lavoro di ricerca-intervento sul territorio.
Questo comporta la necessità di perseguire una molteplicità di obiettivi che
sono in parte educativi e in parte anche
squisitamente didattici. Naturalmente
va sviluppata ulteriormente la riflessività: è importante comprendere chi siamo per riuscire anche ad immaginare
che ruolo possiamo avere in una costruzione attiva della nostra relazione con
l’altro. Esperienza e riflessione, è stato il nostro schema di lavoro, ma, se la
prima è apparsa spesso piuttosto “monocolore”, riguardo alla seconda è risultato evidente che nella maggior parte
dei casi mancava l’esercizio. Sono più
abituati ad ascoltare che a rielaborare
e a riflettere.
La riflessione può essere invece sviluppata in molti modi: attraverso la
discussione, il confronto su problemi
aperti; o attraverso la narrazione, il
confronto tra il nostro vissuto e quello
degli altri: la letteratura, la filosofia, la
poesia, l’arte, il cinema, il teatro, possono costituire strumenti utili in tutti
e due i casi.
Vivere in un mondo in cui molti
aspetti dell’umanità sono iper-spettacolarizzati, in cui le immagini sono offerte in una brutale immediatezza e velocità, gioca senz’altro contro lo sviluppo della comprensione empatica della
sofferenza dell’altro e rischia spesso di
produrre assuefazione, se non vengono messe in atto altre modalità di elaborazione/espressione dei vissuti e dei
sentimenti.
La narrazione, narrarsi e familiarizzare con forme narrative orali e scritte, nelle quali lo sfondo non offuschi la
40 • QUALEDUCAZIONE
centralità del soggetto con la sua complessità, consente di dar senso alle sensazioni, alle emozioni, di avvicinarsi ai
vissuti dell’altro cogliendone analogie e
differenze rispetto ai propri, di entrare
in contatto con la diversità senza che
questa venga inopportunamente confusa con l’incomunicabilità. Occorre ricordare che l’incomunicabilità è dovuta a incapacità (dunque corrisponde ad
un’area di sviluppo educativo e co-educativo) e non ad impossibilità.
I laboratori di cittadinanza attiva
sono luoghi nei quali tali capacità possono essere sviluppate, anche per ricostruire insieme un progetto partecipato, significati condivisi circa la gestione
dei beni comuni (siano essi materiali o
immateriali).
Un altro aspetto su cui abbiamo lavorato è stato il senso delle regole, attraverso il gioco. D’altra parte ogni gioco riesce (“funziona”) solo se si rispettano le regole. Nella nostra società le regole non sono benvolute. Nessuno sembra più voler dettare le regole e nessuno sembra volerle rispettare. Dobbiamo imparare a sospettare di chi ricopre
un ruolo di responsabilità e non accetta il rischio e l’impopolarità di far rispettare le regole, perché costui si sta
sottraendo al compito di creare le condizioni di sicurezza in cui cresce la libertà, e dobbiamo imparare a ritenere
importante la capacità di rispettare le
regole, perché queste sono la condizione della libertà, non semplicemente un
vincolo ad essa.
Occorre però lavorare sulla legalità
attraverso la partecipazione. È più facile rispettare le regole se è chiaro quali queste siano, se esse sono condivise e
se ne comprende il senso, se è evidente che il loro rispetto è socialmente ap-
prezzato. Legalità, rispetto e reciprocità camminano insieme.
Nel gruppo più turbolento con cui
abbiamo lavorato, i ragazzi più vivaci,
naturalmente anche molto intelligenti,
ritenevano le regole un legaccio per la
loro “libertà”: la libertà di giocare con la
vita, il rifiuto di prendere qualcosa sul
serio, la critica a noi adulti per il nostro
voler contenere la loro “giocosità” («l’importante è che sappiamo scherzare»), il
rifiuto di prendere sul serio qualcosa, il
gioco omertoso di interrompere con risatine e rumoracci chi invece voleva intervenire nella discussione per esprimere seriamente il proprio punto di vista
su quello che si diceva (era come se la
norma implicita che si voleva imporre
fosse: proibito pensare e collaborare con
chi vuole farci pensare).
È facile intuire come possa essere difficile anche per gli insegnati far
breccia rispetto a questi ragazzi-bambini-adulti. A noi, per esempio, è stato
utile mantenere il clima dello scambio
tra pari, ma dando loro il «lei», come
tra «ricercatori»27, ignorando le proteste proprio del “capo-popolo” che sosteneva: «ma siamo tutti un gruppo di
amici!». Questo ostacolava anche il loro
tentativo di nascondersi dietro il ruolo
di intoccabili, perché piccoli, studenti,
giovani da comprendere28. Così come è
stato utile anche rispondere ad alcune
loro provocazioni alzando il tiro e provocandoli a nostra volta, senza scendere di livello ma destabilizzandoli con
un atteggiamento per loro inatteso e
più “avanzato” del loro. A quel punto
hanno mostrato la propria fragilità e
hanno tirato fuori motivazioni per un
comportamento socialmente più “moderato”, anche se ancora una volta basato più su consuetudini e stereotipi che
non su scelte effettivamente razionali e
meditate. Il lavoro avrebbe potuto essere proseguito proprio a partire da quel
processo di spaesamento, moltiplicando i punti di vista da cui comprendere
la situazione e dunque i punti di analisi per giungere alla fine ad una scelta
consapevole di carattere morale29. Ma
questo richiedeva, appunto, oltre a tempi più lunghi, anche un clima molto più
collaborativo con la scuola che ci ospitava, che invece ha solo offerto questa
opportunità (gratuita) ai propri alunni, perdendo l’opportunità di inserirla
in un progetto educativo di più ampio
respiro, magari autogestito.
Ciò che risultava evidente in quel
gruppo era che non vi era abitudine al
lavoro e, perciò, non vi era senso delle
regole: specularmente non vi era, nei ragazzi che volevano partecipare attivamente ai laboratori, la capacità di porre un freno ai disturbatori, di difendere i propri spazi di partecipazione. Su
queste cose occorre lavorare quotidianamente, perché è anche attraverso questo lavoro che si previene il “bullismo” e
si educa alla cittadinanza responsabile.
La mancanza di capacità di rispettare
le regole è sempre associata a mancanza di rispetto per se stessi e per gli altri e a volte dipende da una resa degli
adulti in tal senso. In queste condizioni
prevale la logica del branco ed è molto
difficile che si creino le condizioni affinché si realizzi uno scambio efficace dei
propri vissuti e delle proprie emozioni:
abbiamo già detto che la regola implicita è proibito pensare ed è anche proibito aprirsi all’altro, per quella sorta di
ritrosia che vige in certe subculture e
che è una combinazione di riserbo, paura e, per l’appunto, omertà. D’altra parte, per aprirsi all’altro, mostrandosi in
QUALEDUCAZIONE • 41
tal modo vulnerabili, è necessario che il
clima sia reso affidabile da un insieme
di regole condivise che garantiscano dal
rischio di perdere realmente, profondamente, la nostra identità.
Con loro abbiamo lavorato anche su
rispetto delle regole e trasgressione. In
fondo, anche il loro “disturbatore” dettava loro delle regole, e loro obbedivano: ma lo facevano perché ritenevano
che fossero giuste? che fossero quelle che anche loro desideravano? che li
aiutassero ad essere come desideravano e a fare ciò che volevano veramente fare? Cosa vuol dire trasgredire? In
quel clima e in quella situazione chi trasgrediva e rispetto a quali regole? Con
quali finalità?
È anche un po’ inquietante che, a
fronte di questo genere di comportamento, questi stessi soggetti, che non
sanno rispettare le regole della partecipazione, facciano espresso riferimento a valori come disciplina, rispetto, patriottismo, unità della nazione.
A dimostrazione del fatto che tutta
la loro prepotenza scaturisce in buona
parte da insoddisfazione nei confronti
delle risposte che ricevono dagli adulti, il brainstorming su forza e potere e
il teatro dell’oppresso sono riusciti molto bene: anche la discussione di quella
giornata di lavoro è stata molto animata
e vi hanno partecipato quasi tutti, anche le pochissime ragazze presenti, generalmente silenziose o al più complici
ridanciane degli “scalmanati”. Li ha interessati anche la rielaborazione di alcuni concetti alla luce di quello di relazione. La sensazione è quella di enormi
energie sprecate, perché disorientate.
I ragazzi di oggi sono forse precocemente adultizzati e smaliziati, sotto alcuni punti di vista: forse molti tendono
42 • QUALEDUCAZIONE
a riempire il tempo perchè non sanno
come viverlo e si gettano tra gli “amici”
perché non sanno stare soli. Sono molto
proiettati sulla loro sfera privata (ma è
tutta la società che lo è) e talvolta non
capiscono cosa c’entra con loro la politica. Se li vogliamo liberi ma cittadini
responsabili e partecipativi dobbiamo
lavorare su questi punti.
È quello che abbiamo pensato di fare
nei laboratori finora realizzati e, supportati dagli elementi di valutazione,
è la direzione che seguiremo nel proseguimento dell’attività: sperando però
in un rafforzamento delle alleanze tra
istituzioni e associazioni, in funzione
di un accrescimento della significatività pedagogica dei nostri interventi e del
rafforzamento complessivo di una legittimazione della partecipazione giovanile da parte della società.
NOTE
http://www.fivol.it/cartavalori/carta_valori.
html
2
Per l’approccio da noi adottato si rinvia all’articolo di Lucrezia Piraino, Alla ricerca del cittadino perduto.
3
J. Habermas, L’Occidente diviso, Laterza, Roma-Bari 2004.
4
E. Balducci, L’uomo planetario, Giunti, Firenze 2005.
5
C. Di Agresti (a cura di), Cittadini del mondo. Educare alla mondialità, Edizioni Studium,
Roma, 1999. M. Santerini, Educare alla cittadinanza. La pedagogia e le sfide della globalizzazione, Carocci, Roma 2004.
6
A. Polmonari, Gli adolescenti. Né adulti, né bambini alla ricerca della propria identità, Il Mulino, Bologna 2001.
7
F. Blezza, Per un intervento pedagogico-professionale nelle stragi dei week-end, «Qualeducazione», 70, pp. 47-60.
8
P. Bertolini, L. Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, La Nuova Italia, Firenze 1993.
1
9
M. Pollo, Manuale di pedagogia sociale, Angeli,
Milano 2004, p. 104.
10
A.M. Mariani, I giovani-adulti. L’educazione
che non c’è più, la formazione che non c’è ancora,
Unicopli, Milano 2000, p. 10.
11
Ivi, pp. 10-11.
12
Quando abbiamo chiesto loro di presentarsi
facendo riferimento anche ad un valore molti
hanno menzionato l’amicizia e la famiglia, con
un buon distacco troviamo menzionato l’amore. Libertà, giustizia, pace, solidarietà ecc. sono
emersi solo molto di rado nelle autopresentazioni. Sono poi riapparsi dopo la lettura dei primi
dodici articoli della nostra Costituzione. Poi,
nel gioco dell’asta dei valori questi ultimi sono
stati acquistati ai prezzi più alti e dal maggior
numero dei soggetti, dimostrando così che essi
non sono punti di riferimento costanti solo perché generalmente non sono presenti come significativi nella loro rappresentazione di sé-nelmondo-con-gli-altri.
13
M. Pollo, I labirinti del tempo, Franco Angeli,
Milano, 2000.
14
M. Pollo, Manuale di pedagogia sociale, cit.,
p. 110.
15
cfr. M. Pollo, I labirinti del tempo, cit. Anche
questo è in sintonia con il ripiegamento sulla sfera privata da parte del cittadino globale, ed anche con l’invasione della sfera pubblica da parte degli interessi privati che caratterizza la nostra società.
16
Ibidem.
17
“L’immagine che rende bene l’atteggiamento
dei giovani verso il futuro sociale è quello dello
spettatore disincantato e passivo”, M. Pollo, Manuale di pedagogia sociale, cit., p. 110.
18
Negli anni scolastici 2005-2006, 2006-2007,
2007-2008.
19
cfr. M. Pollo, I labirinti del tempo, cit.
20
Anche qui i giovani hanno semplicemente colto con immediatezza quell’insignificanza della
politica, intesa come incapacità di dare risposta
alle domande importanti per l’uomo, che Bauman
analizza nel suo testo La solitudine del cittadino
globale, Feltrinelli, Milano 2000.
21
Cfr. F. Blezza, La pedagogia sociale. Che cos’è,
di cosa si occupa, quali strumenti impiega, Li-
guori, Napoli 2005. Si veda in particolare il par.
La democrazia liberale odierna come metodo,
pp. 67 segg.
22
Significativa, in tal senso l’esperienza del Liceo
Psicopedagogico “Ainis”, le cui studentesse ci hanno ringraziato emozionate dicendo che avevano
vissuto nelle esperienze promosse nei laboratori
il significato reale delle cose che avevano studiato con la docente di Pedagogia.
23
Uno sperimentare accompagnato costantemente dalla riflessione.
24
R. Franchini, Costruire la comunità-che-cura.
Pedagogia e didattica nei servizi di aiuto alla
persona, Angeli, Milano, 2001. A. Rosetto Ajello,
Dalla piramide al batterio. Pedagogia del lavoro e delle risorse umane per la Pubblica Amministrazione, FrancoAngeli, Milano 2009.
25
cfr. I. Lizzola, Aver cura della vita. L’educazione nella prova: la sofferenza, il congedo, il nuovo
inizio, Città Aperta, Enna 2002, p. 43.
26
G. Mazzoli-M. Braida (a cura di), Nuove Gener
Azioni. I servizi per i giovani nella provincia di
Ferrara: una ricerca con gli studenti della scuola
superiore, Provincia di Ferrara, 2000.
27
Naturalmente, ci era utile anche perché, data
la brevità del tempo a disposizione, ci aiutava ad
evitare i classici atteggiamenti che nelle classi si
sviluppano nei confronti delle “supplenti”, che ci
avrebbero fatto perdere l’opportunità di stabilire con loro un rapporto significativo. Lo spiazzamento prodotto ci ha dato modo di assumere più
facilmente, anche se non sempre proficuamente,
una posizione dalla quale potevamo essere noi a
proporre le regole di comportamento per le relazioni reciproche, in un clima di giocosità di cui fosse però chiaro il contesto: essa non era finalizzata
al passatempo o al mero godimento personale, ma
alla ricerca e alla crescita nello scambio.
28
Questo atteggiamento fa parte oggi di quella rivendicazione del «diritto all’accudimento»
di cui parla anche Lizzola, Aver cura della vita,
cit. p. 41.
29
cfr. M.C. Nussbaum, Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea, Carocci, Roma 2006. M. Pellerey, L’agire
educativo. La pratica pedagogica tra modernità
e post-modernità, LAS, Roma, 1998.
QUALEDUCAZIONE • 43
Alla ricerca del cittadino perduto
Percorsi ludici di solidarietà, giustizia, legalità
di
Lucrezia Piraino
«La comunicazione con altri non può essere trascendente
che come vita pericolosa, come un bel rischio da cogliere».
E. Lévinas
«La sfera politica sorge direttamente dall’agire-insieme, dal
condividere parole e azioni. Così, l’azione non solo è
intimamente connessa con la parte del mondo comune a noi
tutti, ma è la sola attività che lo costituisce».
H. Arendt
1. L’avventura del mondo
Che cosa significa oggi, nell’epoca
della “solitudine del cittadino globale”1,
educare alla cittadinanza? Come riconvertire lo spazio estetico, autoreferenziale e solitario della città postmoderna in uno spazio pubblico, dinamico e
partecipato?
Come svelare le seduzioni della “città telematica”2, spesso vissuta dai giovani come territorio virtuale in cui la
partecipazione alla vita politica è confusa con la passiva fruizione di spettacoli televisivi?
Come far loro sperimentare il piacere positivo di creare spazio politico con
la sola potenzialità insita nella capacità di agire e di esprimere le loro opinioni pubblicamente – alla maniera degli
antichi ateniesi nella loro α̉γορά – se i
luoghi che favoriscono quel tipo di apparizione e di discorso che li interessa
– cioè che sta tra di loro e costruisce la
loro casa comune – sono sempre più ristretti, o addirittura inesistenti?
Come creare luoghi concreti in cui le
44 • QUALEDUCAZIONE
prassi dialogiche e le abilità comunicative si trasformino in legami significativi, in azioni condivise ed in pratiche
di democrazia?
Come fare appassionare le giovani generazioni e spingerle a partecipare all’avventura inebriante e pericolosa della fiducia nel mondo, ed a quella
travolgente della scoperta, dello stupore, del fascino per la dimensione pubblica, quando troppo spesso il loro «essere-insieme è casuale e fortuito: un esser vicine di monadi, chiuse nelle bolle
invisibili, ma inespugnabili, delle loro
rispettive realtà virtuali»3 ; e quando la
politica strictu sensu è da loro non senza motivo interpretata come una mera
gestione di potere?
Infine, come si possono educare i giovani alla cittadinanza, alla partecipazione attiva ed alla politica, resistendo
alla tentazione dell’indottrinamento ed
al pericolo del relativismo radicale?4
Questi e molti altri interrogativi
hanno dato l’avvio ed hanno costantemente accompagnato il nostro percorso di ricerca, intrapreso con i ragazzi
di dodici scuole diverse, distribuite nel
territorio della città di Messina e della
sua provincia.
Queste e molte altre questioni sono
rimaste aperte, irrisolte, e forse volutamente non concluse alla fine del nostro
percorso di ricerca.
Queste e molte altre domande irrisolte ci hanno fornito un’unica ed inequivocabile certezza, basata sulla forse fin troppo ovvia constatazione che,
direbbe Paul Valéry, se «L’uomo, questa avventura./ Non è altro che questo/
[…] Ma, in ogni caso è una prova, una
scommessa, un tentativo – possibilità,
ecc. Avventura»5, allora qualsiasi fenomeno umano, in quanto tale, è mobile,
fluido, variabile, ed al contempo inspiegabilmente sfuggente, vitale e potentemente vero, e dunque non può mai fornire né a chi lo vive né tanto meno a chi
lo osserva una risposta univoca e trasparente, perché «se la risposta fosse
possibile […] la vita non avrebbe ombra»6, aggiungerebbe idealmente il poeta ebreo Edmond Jabès.
Spesso, dunque, pur seguendo un canovaccio di attività dalla trama per noi
chiara e prestabilita, abbiamo lavorato
nelle ombre delle domande, tra i chiaroscuri furtivi dei pensieri e le sfumature
colorate dei sentimenti – sia i nostri che
quelli dei nostri giovani interlocutori –
aperti sempre all’inatteso, immancabilmente pronto a squarciare il suono del
silenzio, e costantemente vigili, in attesa di frugare segretamente in quel momento sommamente ambiguo in cui le
innumerevoli domande mute si trasformano in comunicazione, e la comunicazione diventa poi gesto politico.
Questa, quindi, la iniziale motivazione dei nostri laboratori sull’educazione
alla cittadinanza ed al volontariato.
Laboratori pensati e concertati al
plurale, in un team di lavoro che si è
nutrito della passione per la ricerca e
dell’amore per i giovani, e che ha tratto
da quelle che il filosofo Miguel Benasayag – in un libro scritto a quattro mani
con lo psicoanalista Gérard Schmit – ha
definito le “passioni gioiose”, la linfa vitale per accogliere questa intricata ma
avvincente sfida della educazione dei
giovani alla politica, perché «sono queste passioni che dischiudono nuove dimensioni della vita, al di là della nostra
piccola vita individuale»7.
E sono queste passioni che, circolando in modo virtuoso, riescono a comunicarsi nell’educazione ed a diffondersi
nel tessuto sociale, propagandosi al di
là delle semplici parole, riuscendo così
ad innestare dinamiche di maturazione
interiore e di progresso politico. «Si tratta di evitare il cammino della tristezza,
quello di un sapere normalizzatore che
imprigiona l’altro nella sua etichetta»:
in tal modo – continuano Benasayag e
Schmit – si può «avviare un lavoro globale di scoperta e di sviluppo di possibilità, di potenze»8.
In questo nostro ottimistico e forse
troppo fiducioso progetto ci siamo trovati, per un verso, dinanzi alla diffusa difficoltà a discernere tra la enorme
quantità di stimoli reiterati, pressanti,
complessi e multiformi a cui i giovani
sono esposti nella nostra società. Stimoli che li rendono semplici fruitori passivi
e meri consumatori della realtà: emblematico di questa situazione è l’impoverimento del loro linguaggio, accompagnato dalla loro incapacità ad uscire dalla
loro sfera sentimentale ed emotiva.
Per altro verso, abbiamo constatato
la crisi delle agenzie educative – la famiglia e la scuola in particolare – che con
QUALEDUCAZIONE • 45
fatica riescono a riassorbire, metabolizzare e proporre soluzioni immediate che
rispondano efficacemente ai continui
cambiamenti della società attuale.
Forti dell’idea di come oggi non sia
più certamente possibile appellarsi allo
schema educativo che vuole nell’educazione civica la soluzione a questi difficili problemi, ci è quindi sembrato opportuno ricomprendere i contenuti – pur
imprescindibili – di questa disciplina
(che non possono non tenere conto – ad
esempio – della nostra Costituzione e
della storia della nostra democrazia),
per leggerli però in una chiave nuova:
con una metodologia attiva e creativa.
Soprattutto tenendo conto del fatto che l’educazione alla cittadinanza,
oggi, non può che essere orientata «verso un approccio di tipo socioculturale,
in cui il cognitivo si costruisce principalmente attraverso la relazione interpersonale»9.
L’educazione alla cittadinanza è
quindi una esperienza multimensionale e multidisciplinare che tocca integralmente tutti i soggetti in essa coinvolti e
li mette in questione sia nella relazione
intrapersonale che in quella interpersonale soprattutto in considerazione del
fatto che «solo in una visione integrata
della formazione della persona, dal punto di vista cognitivo, affettivo e conativo,
si può sperare di limitare i rischi, in cui
l’educazione civica si trova stretta, di indottrinamento e di relativismo».
2. Il laboratorio: tra educazione civica e pratica politica
Nel tentativo di «stringere il nodo,
nell’insegnamento, tra dimensione cognitiva e dimensione affettiva»10, ab46 • QUALEDUCAZIONE
biamo cercato di attuare un categorico
ed importante passaggio dall’educazione civica alla pratica politica. Abbiamo
perciò attivato la nostra azione educativa a partire da documenti importanti
per la nostra identità politica: i Principi Fondamentali della Costituzione e la
Carta dei valori del volontariato, tentando comunque di realizzare la nostra
buona prassi democratica in uno spazio
delimitato: quello del laboratorio.
Il laboratorio ha costituito la nostra
piccola α̉γορά, la nostra piccola piazza:
un luogo in cui non soltanto si sono messe in gioco le nostre nozioni, ma si sono
soprattutto palesati e chiariti i vissuti
dei nostri giovani attori politici. In tale
territorio straordinario si è finalmente
innescata una feconda correlazione tra
la dimensione della morale, l’ambito del
diritto e la sfera della politica.
È infatti fuor di dubbio che «nell’educazione alla cittadinanza, in particolare,
pena la sua inefficacia, si deve realizzare
una circolarità tra capacità autoriflessiva, autonomia e capacità di fare scelte,
senso di responsabilità e azione. Esperienza personale, aspetti morali e dimensione intellettuale sono indivisibili. Tra
esperienza e riflessione critica finalizzata
alla coscienza morale si crea una dialettica in cui viene integrata la dimensione
della decisione e dell’impegno»11.
Nell’edificare assieme ai ragazzi
questo piccolo cantiere politico, ci siamo più o meno consapevolmente proiettati nelle fragilità delle relazioni giovanili. Ci siamo anche imbattuti nella frustrazione derivante dall’inadeguatezza
del nostro linguaggio – molte volte decisamente incapace di corrispondere ai
loro problemi –, ma abbiamo anche lottato contro la fiacchezza dei loro cauti
silenzi, e, da ultimo, ci siamo trovati
ad assorbire il frequente scacco dell’inconciliabilità delle diverse prospettive
emerse nelle – spesso animate – discussioni in aula.
Ma proprio nell’ottica di misurare i
nostri limiti e quelli dei nostri più giovani interlocutori, ci siamo mossi nella convinta necessità di raccogliere il
rischio, il tentativo – forse l’azzardo –
di riabituarli al pensiero critico ed alla
partecipazione attiva alla politica, in
modo da ampliare la loro consapevolezza individuale, la loro autonomia personale e la loro dimensione relazionale,
intersoggettiva e sociale.
Le nostre azioni educative non sono
state coltivate nella semplice speranza
di ricondurre i giovani a se stessi, quanto, invece, hanno ubbidito alla urgenza
per noi stringente di metterli alla prova
sul campo ostico e poco pacificato della
cultura dei legami: erosi – questi ultimi
– dall’individualismo liberale tipico della società occidentale contemporanea, a
sua volta irrimediabilmente segnata da
una “cultura di separazione”12.
Insistono ancora Benasayag e Schmit: «la grande sfida lanciata alla nostra civiltà è quindi quella di promuovere spazi e forme di socializzazione
animati dal desiderio, pratiche concrete che riescano ad avere la meglio sugli
appetiti individualistici e sulle minacce che ne derivano. Educare alla cultura e alla civiltà significava – e significa
ancora – creare legami sociali e legami
di pensiero»13.
In questo orizzonte concettuale abbiamo tentato di stimolare praticamente
nei ragazzi la concreta possibilità di essere tra i personaggi principali delle loro
piccole storie individuali, ed abbiamo
fatto in modo di pungolare, come il tafano di socratica memoria, il loro orgoglio
sociale, troppo spesso intorpidito, anchilosato e privo di domande, perché pieno
di risposte prevedibili, collaudate, date
per scontate, ed assorbite acriticamente
dai loro quotidiani contesti di vita.
Più in generale, abbiamo cercato di
“spiare” dalla serratura della loro identità, per così dire, “politicamente bloccata”, piena di soluzioni facili e di opinioni preconfezionate, nate già morte a
causa delle spinte fagocitanti e dispersive messe in atto nella società attuale,
per cercare di aprire le loro finestre interiori, e far passare – prima attraverso gli spifferi, poi attraverso le entrate
principali – “il vento del pensiero”14, che
dapprima raffredda, producendo il vuoto dai pregiudizi, ma poi riscalda, grazie alla prorompente e discreta compagnia delle idee.
Abbiamo sperato e lottato per abituarli ad assumere posizioni critiche
e costruttive nei confronti dei diversi
contesti in cui si trovano a vivere ed a
sperimentarsi, a partire da una rielaborazione dei problemi mai eterodiretta e quanto più possibile personale. Abbiamo tentato di sollecitare in loro quel
tipo di collaborazione tra riflessione critica e creativa che il filosofo Mattew Lipman ha definito come “pensiero d’eccellenza”, «un pensiero autocorrettivo,
attento al contesto, guidato da criteri,
e che perviene a un giudizio»15.
In tale contesto ermeneutico e metodologico il laboratorio, la classe, intesi come “comunità di ricerca” che utilizza il pensiero critico e creativo, possono
«usare la discussione non soltanto per
approfondire riflessioni, ma in una dimensione prettamente politica. La specificità consiste nel servirsi del pensiero
critico e creativo maturato nella comunità per affrontare il pluralismo cultuQUALEDUCAZIONE • 47
rale delle nostre società; in questo caso
la classe serve da “mediatrice” tra la famiglia e la società, o tra le differenti posizioni politiche, per ridurre le tensioni e
giungere a un consenso. In questo senso,
essa rappresenta “la dimensione sociale
di una pratica democratica”»16.
Così, ci siamo trovati spesso dinanzi
alla necessità di dover discutere di concetti apparentemente obsoleti e stanchi, ormai destituiti di significato e di
portata valoriale (quali, ad esempio le
idee di giustizia, di libertà, di solidarietà, di partecipazione e di volontariato),
per tentare – attraverso la metodica dei
giochi d’aula – di reinventarli dall’inizio
e di ricrearne un nuovo significato.
Un senso vivo, dinamico, in evoluzione continua, esaminato interiormente e contemporaneamente affrontato in pubblico, in modo da non farlo sprofondare negli abissi melmosi di
una capricciosa intimità, perché, sostiene Zygmunt Baumann, «per rendere
l’α̉γορά adatta a individui autonomi e
a una società autonoma occorre fermare
al tempo stesso la sua privatizzazione e
la sua politicizzazione. Occorre recuperare l’arte di tradurre il privato in pubblico. Occorre far ripartire (nell’α̉γορά,
non nei seminari di filosofia) il discorso interrotto del bene comune, il quale
rende l’autonomia individuale non solo
realizzabile, ma degna di essere perseguita con ogni sforzo»17.
I giochi ci hanno dunque faticosamente restituito non una esperienza
ideale di questi concetti, ma – se si potesse dire – una loro “idea esperienziale”, calata nella pratica quotidiana di
vita, e concepita per far “pensare in situazione”, per fare trovare i ragazzi in
un ambito esterno al loro sé, in un luogo in cui la sfera privata e la dimensio48 • QUALEDUCAZIONE
ne pubblica diventano le cifre esteriori, i segni tangibili e concreti deputati
a raccogliere un’unica e compiuta tensione politica.
Questi primi gesti di conquista della propria sfera individuale e di contestuale maturazione del mondo in comune, armonizzati con esperienze ludiche
apparentemente inutili e certamente
inusuali, hanno fornito ai più curiosi
un pretesto per ricucire relazioni, ed
al contempo prepararsi sia fisicamente
che mentalmente ad un orizzonte pubblico di discussione, in una disposizione
interiore autenticamente relazionale,
intersoggettiva, accogliente e sinceramente ospitale verso le diverse opinioni espresse sul terreno comune dell’incontro dialogico con gli altri.
3. Il gioco, metafora del mondo
Questo percorso di ricerca si è avvalso quindi anche di pratiche ludiche
innovative e forse un po’ provocatorie. Concepite in forma di divertimento, queste attività cercavano proprio di
“disvertere”, di volgere altrove l’attenzione dei ragazzi, per distrarli, ovvero
trarli fuori dalle loro spesso accartocciate sfere individuali, in modo da ricrearli dall’interno e da metterli così in relazione con gli altri. «È questo il senso
del di-vertimento implicato nell’attività
ludica: giocando si soggiorna nel mondo mantenendosi nella prossimità di
un’originaria beata tensione caratterizzata da un’identità comunicativa»18.
Contro il pregiudizio tutto occidentale che vede nel gioco «“la cosa non seria”, “non vincolante”, la momentanea
distensione dalla tensione esistenziale, “pausa” e “ricreazione”, passatem-
po delle ore di ozio, trastullo e divertita
inconseguenza»19, ci è sembrato utile –
anche sulla scorta della riflessione ontologica di Eugen Fink – considerare il
gioco come una possibilità educativa non
predeterminata, aperta a tutte le soluzioni, perché intrinsecamente dischiusa
all’umano: «giocando l’uomo non rimane
in sé, nel chiuso cerchio dell’intimità della sua anima – egli esce piuttosto estatico da se stesso in un atto cosmico e interpreta il senso di tutto il mondo»20.
Ma questo “atto cosmico” non è affatto confinato nelle sfere astratte della
metafisica, poiché è un atto reale, anzi,
piuttosto, è un atto di reale appropriazione del mondo: «giocare – continua
Fink – è un’azione di vita reale dell’uomo reale»21.
Vista in tal senso, l’azione del giocare può alimentare la sfera politica,
in quanto crea comunità: «il mondo del
gioco, lo dice lo stesso Fink, è un “concetto fondamentale; tra i suoi caratteri specifici più rilevanti vi è quello di creare
e custodire relazioni: “ogni gioco, anche
il gioco ostinato del fanciullo più solitario, ha un orizzonte di coinvolgimento
degli altri esseri umani”; esso “è la più
forte potenza vincolante, è fondatore di
comunità”»22.
Ci siamo dunque offerti ai nostri ragazzi nello spazio largo, arioso – e per
loro spesso imbarazzante – dei giochi
d’aula, in un tempo ed in luogo straordinari, e ci siamo ludicamente impegnati con loro nel Gioco dei quadrati, proposto per abituarli a riflettere sul ruolo
dell’interdipendenza e della solidarietà
nella costruzione del bene comune e della sfera politica.
Abbiamo mercanteggiato la libertà,
la legalità, l’amore, la pace, l’ambiente, l’amicizia, l’uguaglianza, la patria,
ed anche più di uno scarno e spiazzante
“non so” nell’Asta dei valori, costruita
in modo tale da farli appassionare e riflettere sin dalle loro “viscere” – direbbe
Maria Zambrano – sul concetto di “valore” – altrimenti visto come una fonte
di restrizioni e di obbligazioni imposte
dall’alto – e sulla sua effettiva ricaduta nelle loro vite.
Li abbiamo scossi con il Gioco del
cieco e della guida: attività in cui dopo
una prima difficoltà di adattamento alla
nuova situazione, dettata dal senso di
estremo disagio e di tensione dovuto
alla dipendenza da altri, hanno dovuto giocoforza imparare a dosare la relazione di aiuto all’insegna della necessità di guardare il mondo con una “mentalità allargata” – suggerirebbe Kant –,
cioè aperta a pensare dal punto di vista
dell’altro, per costruire con questo altro
un comune terreno di incontro, basato
sulla fiducia, sul riconoscimento e sulla reciprocità.
Ma è soprattutto con il Teatro dell’oppresso che abbiamo avuto le più deludenti e le più entusiasmanti risposte alle
nostre intenzionali provocazioni.
Indubbiamente, se, in generale, il
teatro si nutre «del gioco del vedere e
dell’esser visti»23, e «la relazione teatrale […] trova la sua garanzia nella divisione e la distanza tra le parti, ma ha il
suo fondamento nella condivisione di un
linguaggio»24, in particolare, la pratica
di questo metodo sperimentato dal brasiliano Augusto Boal e ripreso da noi nei
nostri laboratori, ha avuto la finalità di
proporre la possibilità «di utilizzare gli
strumenti teatrali per analizzare e trasformare la realtà»25, anche attraverso
l’uso di un linguaggio non verbale.
Grazie a questo metodo “aperto”,
agile, e sempre “in divenire”, per mezzo
QUALEDUCAZIONE • 49
del quale si invitavano i nostri riottosi
ed inibiti giovani attori a rappresentare plasticamente le loro oppressioni in
modo da liberarsene (soprattutto per
mezzo delle tecniche del “teatro-immagine” e del “teatro-forum”), si è ricercata la possibilità di una educazione
alla pace ed alla nonviolenza a partire
dall’assunto che – dice Boal – «la prova
dell’azione di liberazione, fatta in scena,
chiarifica (a livello razionale ed emotivo) i problemi e stimola ad agire di conseguenza nella vita quotidiana»26.
Dunque, forse solo grazie alla creatività propria del gioco, attività apparentemente inutile ma sommamente densa
di significato, si può resistere alle spinte desolanti ed infeconde di quello che
Nietzsche ha più volte definito “il deserto che avanza”.
«Oggi, per essere al servizio della vita» – si aggiunge con Benasayag
e Schmit – «è necessario praticare un
certo grado di resistenza. Resistere significa anche opporsi e scontrarsi, ma
non dimentichiamo che, prima di tutto,
resistere è creare»27.
E non abbiamo mancato di ricordare
che la caparbietà nel resistere, l’urgenza di trasformare la realtà sociale, la capacità di opporsi e di scontrarsi con un
potere politico che troppo spesso è stato esercitato come violenza sono state
l’anima di quel tipo di creatività politica, alimentata dall’unione paradossale
tra lotta e nonviolenza, che con il suo
sciopero alla rovescia28 Danilo Dolci ha
lasciato come vitale e sincera espressione di «come qualsiasi forma di autentico progresso e l’evoluzione intera
non possano prescindere dall’esistenza
di interazioni creative opportunamente
valorizzate»29.
Dunque, nel piccolo dei nostri labo50 • QUALEDUCAZIONE
ratori, per mezzo di queste “pratiche ludiche”, apparentemente senza una immediata finalità concreta vista in termini di obiettivi spendibili ed immediatamente vantaggiosi, si è cercato di sollecitare nei ragazzi il bisogno di prendere
il proprio posto nei loro diversi contesti
di vita e nei loro territori, e si è tentato
di stimolarli a spendere creativamente i loro talenti e le loro potenzialità a
partire da scelte partecipate, ponderate, libere e responsabili.
Tutto questo è stato pensato in armonia con l’idea che essere cittadini è
vivere in uno spazio ampio e dinamico,
in continua trasformazione. È anche
abitare un luogo in cui si ha l’occasione
di apprendere un modo di pensare e di
agire democratico, in cui i valori sono
vissuti, messi in discussione, e trasformati da questa discussione.
Educare alla cittadinanza, allora, è
educare alla concittadinanza: una dimensione – quest’ultima – «in cui gli
interessi di ogni cittadino sono quelli
degli altri concittadini»30.
Una dimensione in cui il potere non
è subito nella sua forma pervertita come
la cinica gestione di favori o di posti di
lavoro: mentalità comune ormai tra i
giovani che spegne la loro fiducia nel
cambiamento.
A tale proposito, Hannah Arendt, che
ha analizzato dettagliatamente i meccanismi perversi della violenza posta al
servizio del potere nello stato totalitario,
a proposito della necessità di fornire ai
suoi contemporanei gli strumenti concettuali con cui ripensare ad un tipo di
potere realmente politico, ha affermato
che «il potere è realizzato solo dove parole
e azioni si sostengono a vicenda, dove le
parole non sono vuote e i gesti non sono
brutali, dove le parole non sono usate per
nascondere le intenzioni ma per rivelare
realtà, e i gesti non sono usati per violare e per distruggere, ma per stabilire relazioni e creare nuove realtà»31.
Grazie al Gioco della forza, abbiamo imparato, quindi, come il potere,
nella cittadinanza attiva, sia agito, e
sia anche interpretato come possibilità
donata a ciascuno di esprimere le proprie opinioni. Abbiamo visto come esso
– fuor di retorica – possa essere una opportunità per cambiare qualcosa nella
quotidianità dei propri contesti di vita,
laddove può anche essere vissuto come
una semplice e stimolante «potenzialità
implicita nell’essere-insieme»32, grazie
alla quale si «mantiene in vita la sfera
pubblica»33, e la si ricrea, rinnovandola sempre di nuovo.
La concittadinanza, quindi, coinvolge direttamente la responsabilità del
singolo nei confronti dei propri simili, soprattutto a partire da una cultura
fondata sulla solidarietà sociale e sulla legalità, e non sulla ricerca di una
astratta uguaglianza.
È per questi motivi che non abbiamo
ragionato con i ragazzi a partire dalle rigide posizioni di un astratto legalismo,
ma ci siamo confrontati su problematiche concrete, realmente sentite, e spesso sollecitate proprio da loro.
Con loro abbiamo visto La scorciatoia, un cortometraggio di un regista
messinese a partire dal quale abbiamo
affrontato – ad esempio – la difficile
tematica del bullismo, che è stato esaminato alla luce dei loro vissuti e dei
loro diversi contesti di vita. Grazie agli
spunti offerti dalla visione di questo
breve film abbiamo discusso del valore dei legami tra i giovani, oggi sempre
più fluidi, più “liquidi” – direbbe Baumann – e sempre più schiacciati e resi
fragili dal mito della libertà individuale e dell’autonomia.
Abbiamo anche analizzato il valore
del tempo, soffermandoci in particolare
sulla qualità “piena” del tempo racchiusa nei legami veramente significativi. A
tale proposito abbiamo rievocato quella
dimensione “calda” dei legami che preludono all’aristotelica philia politichè.
Abbiamo ricordato come in Aristotele
l’amicizia, che ha come motivo il bene e
come aspirazione la virtù, sia una virtù
«assolutamente necessaria alla vita»34,
soprattutto quando diventa il punto di
svolta, il passaggio dall’etica alla politica. Questo genere di philia rappresenta infatti la chiave di accesso ad un tipo
di giustizia profondamente umana, che,
poiché è coltivata nel rispetto dell’amico, amato dinamicamente nella sua piena simmetria e nella sua totale distanza, contribuisce a creare la comunanza
politica: «Sembra poi […] che l’amicizia
e la giustizia abbiano i medesimi oggetti
e risiedano nella medesime persone. Infatti, si ritiene comunemente che in ogni
comunità ci sia una forma di giustizia,
ma anche di amicizia; certo è che si attribuisce il nome di amici ai compagni
di navigazione e ai compagni d’arme, e
parimenti anche a quelli che si trovano
in tutti gli altri tipi di comunità. Quanto
(più) si estende il rapporto comunitario,
altrettanto si estende l’amicizia, giacché tanto si estende anche la giustizia.
E il proverbio “le cose degli amici sono
comuni” ha ragione, perché l’amicizia
consiste in una comunanza»35.
4. Il volontariato e la sfida della cittadinanza attiva
Alla luce di questi discorsi si è rifletQUALEDUCAZIONE • 51
tuto con i ragazzi sul fatto che la cittadinanza è prima di tutto un incontro, poi
un diritto, e – infine – un valore.
Valore che si esprime a pieno nel legame tra cittadinanza e volontariato.
Ed è con l’analisi comune della Carta dei valori del volontariato che si è
compreso come il primo gesto “pieno” di
cittadinanza attiva non sia tanto quello del – pur importante ma episodico
– atto del voto, quanto, invece sia racchiuso nella smisurata quantità di piccoli gesti quotidiani attraverso i quali
si ha la possibilità di spendersi personalmente in organizzazioni che hanno
lo scopo e la funzione di far accrescere
il benessere della società.
Abbiamo lavorato sulla “elevata intensità emotiva” che alimenta ed incentiva la scelta personale dell’impegno nel
volontariato, ma ne abbiamo soprattutto messo in luce il valore etico e sociale.
Ben precisando che è vero il fatto per cui
«attraverso la semplice mossa di aderire
ad un gruppo di volontariato, la persona
mette alla prova se stessa, in un’attività
che è al tempo stesso strumentale (serve a qualcosa di concreto, intende produrre risultati effettivi) ed espressiva (è
una forma di concretizzazione di valori e
sensibilità personali)»36, ma che è altrettanto indubbio che chiudere la comprensione del volontariato agli spunti emotivi rischia di farne disperdere la imprescindibile dimensione associativa, vera
spinta per la sua continuità nel tempo
e per il suo ruolo di animatore di progresso sociale.
In tal senso abbiamo sottolineato
come il volontariato sia «uno spazio vuoto che potenzialmente può essere riempito dalla cittadinanza attiva»37, e come
rappresenti la sfera «della cittadinanza
massima»38, dimensione creativa con cui
52 • QUALEDUCAZIONE
si possono inventare nuove modalità di
interazione con lo Stato, che non può e
non deve essere più visto come semplice
erogatore di servizi.
Grazie all’impegno nel volontariato,
quindi, il cittadino può armonizzare
rappresentanza e partecipazione: due
ruoli a cui – oggi più di ieri – è chiamato
a rispondere, cercando di «cogliere e
creare le opportunità di partecipazione
senza rinunciare allo stesso tempo
all’esercizio della rappresentanza»39.
Educare alla cittadinanza attiva per
mezzo del volontariato ha significato riorientare il nostro dovere di educatori
verso la necessità di smuovere le acque
torbide dell’indifferenza e della rassegnazione dei ragazzi e quelle ancora più
cupe della nostra stanchezza, lottando
contro il loro incivismo e le loro dinamiche di esclusione sociale, e cercando
di aiutarli a «comprendere il carattere
dialettico della vita di una società democratica e i conflitti di interesse, per
apprezzare la dimensione politica non
meno di quella privata»40.
In tale contesto, abbiamo voluto riflettere sull’esperienza dell’incontro
con l’altro, sottolineando il dovere di
responsabilità – cioè responsorialità –,
ovvero risposta concreta nei confronti di
questo altro. Ed abbiamo altresì cercato
di riposizionare i giovani nel loro ruolo di cittadini attivi, tenendo ben presente che «il ruolo del cittadino nella
democrazia non sarà allora solo quello
di controllare e limitare i poteri dello
Stato nei suoi confronti, difendendo la
sua libertà di scegliere e di consumare,
ma di produrre egli stesso potere»41, di
creare relazione, e di vivere con libertà
nella relazione.
In tale orizzonte metodologico, abbiamo tentato di lavorare su una stra-
na e per noi difficile commistione tra
attività e passività. Una passività attiva, ispirata alla epochè husserliana, che
prevede la sospensione e l’“interruzione” del giudizio. Una “messa in parentesi” delle nostre precomprensioni e dei
nostri vissuti intessuta per mezzo della trama dell’umiltà, dell’attesa, dell’attenzione, e dell’ascolto dei giovani, per
fare largo ai loro problemi, ai loro disagi, ma anche ai loro stimoli ed alle loro
motivazioni, liberandoci – proprio noi
formatori – dai pregiudizi e dalle insidie
di quella che Simone Weil ha definito
una “immaginazione che ci colma”.
Un tipo di immaginazione troppo attiva, che «lavora continuamente a chiudere tutte le fessure dove la grazia potrebbe passare»42, e che troppo facilmente preclude ed ostacola il dono, l’avventura, il rischio, la meraviglia e lo stupore dell’incontro con l’Altro.
Note
1
Cfr. Z. Baumann, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000.
2
Z. Baumann, Le sfide dell’etica, Feltrinelli, Milano 1993, p. 182.
3
Ivi, p. 183.
4
Cfr. M. Santerini, Educare alla cittadinanza.
La pedagogia e le sfide della globalizzazione, Carocci, Roma 2001, p. 130.
5
P. Valéry, principi d’anarchia pura e applicata,
Guerini e Associati, Milano 1990, p. 176.
6
E. Jabes, Il libro delle interrogazioni, II Il libro
di Yukel, III Il ritorno al libro, Marietti, Genova 1988, p. 151.
7
M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni
tristi, Feltrinelli, Milano 2004, p. 117.
8
Ivi, p. 90.
9
M. Santerini, Educare alla cittadinanza, cit.,
p. 175.
10
E. Damiano, L’azione didattica. Per una teoria
dell’insegnamento, Damiano, Roma 1993, p. 47.
11
M. Santerini, Educare alla cittadinanza, cit.,
p. 174.
12
Ivi, p. 49.
13
M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, cit., p. 63.
14
Cfr., H. Arendt, La vita della mente, il Mulino, Bologna 1987.
15
M. Santerini, Educare alla cittadinanza, cit.,
p. 143.
16
Ivi, p. 146.
17
Z. Baumann, La solitudine del cittadino globale, cit., p. 111.
18
F. Giacchetta, Gioco e trascendenza. Dal divertimento alla relazione teologica, Cittadella Editrice, Assisi 2005, p. 216.
19
E. Fink, Il gioco come simbolo del mondo, Hopeful Monster editore, Firenze 1991, p. 10.
20
Ivi, p. 21.
21
Ivi, p. 55.
22
F. Giacchetta, Gioco e trascendenza. Dal divertimento alla relazione teologica, cit., p. 266.
23
P. Giacchè, L’altra visione dell’altro. Una equazione tra antropologia e teatro, edizioni l’ancora,
Napoli 2004, p. 116.
24
Ivi, p. 156.
25
A. Boal, Il poliziotto e la maschera. Giochi, esercizi e tecniche del teatro dell’oppresso, edizioni la
meridiana, Molfetta (Bari) 1993, p. 23.
26
Ivi, p. 24.
27
M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, cit., p. 125.
28
G. Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo biografico di Danilo Dolci, Libreria Dante e Descartes, Napoli 2000, p. 9.
29
Ivi, p. 20.
30
Cfr. P. Nepi, Verso una cittadinanza plurale,
in AA. VV. Educamondo, Fondazione Apostolica
Actuositatem, Roma 2005, pp. 62-63.
31
H. Arendt, Vita Activa. La condizione umana,
Bompiani, Milano 1964, p. 146.
32
Ivi, p. 148.
33
Ivi, p. 147.
34
Aristotele, Etica Nicomachea, VIII,1,1155°, 4.
35
Aristotele, Etica Nicomachea, VIII 9, 1159b,
25-32.
36
C. Ranci, Il volontariato. I volti della solidarietà, il Mulino, Bologna 2006, p. 80.
37
Intervista di F. Maggio a G. Arena, Le parole
che cambiano. Cittadino, in Vita non profit, dic.
2006, p. 46.
38
Ivi, p. 47.
39
J. Roman, La démocratie des individus, Calmann-Lévy, Paris 1998, p. 129.
40
M. Santerini, Educare alla cittadinanza, cit.,
p. 71.
41
Ivi, p. 53.
42
S. Weil, L’ombra e la grazia. Investigazioni spirituali, Rusconi, Milano 1985, p. 30.
QUALEDUCAZIONE • 53
Autonomia, dirigenza,
progettualità
rubrica diretta da GIOVANNI VILLAROSSA
Un seminario nazionale per i quadri dirigenti dell’UCIIM, tenutosi a Roma dal 18 al 19
aprile 2009, sul tema La “scuola Gelmini” a un anno dal concepimento: nodi e problemi, ha
focalizzato la propria attenzione sulla impostazione della scuola voluta dal ministro Gelmini ed ha espresso il proprio orientamento.
La Rubrica, inoltre, ospita un contributo d’attualità organizzativa del curricolo scolastico preparato dal nostro direttore, sul tema: “Costituzione e democrazia”, orientativo per
le scuole che hanno presentato progetti sperimentali sullo stesso tema per l’anno scolastico 2009/10.
La “Scuola Gelmini” in un focus group
dell’UCIIM
di
Giovanni Villarossa
Nel n. 71 di Qualeducazione furono pubblicati suggerimenti e proposte
desunti dagli esiti di un seminario nazionale UCIIM sul tema Parliamo di
scuola: problemi prioritari per l’agenda del nuovo governo,svoltosi a Roma
il 10 maggio 2008.
Quest’anno, il 18 il 19 aprile, l’UCIIM ha continuato la sua analisi sulla scuola attuale con il seminario La
“scuola Gelmini” a un anno dal concepimento: nodi e problemi, coinvolgendo
attivamente i partecipanti in un focus
group teso a confrontare “i suggerimenti e le proposte” ucimine con la “scuola Gelmini”.
Infatti, sono state inviate preventivamente ai partecipanti dieci domande
con l’invito a sceglierne, in sede di seminario, cinque da “focalizzare”.
Ecco le dieci domande:
1. Ci avviamo verso l’attuazione del54 • QUALEDUCAZIONE
la riforma Moratti, ma con un secondo ciclo articolato in licei, istituti tecnici, istituti professionali e sistema
dell’istruzione e formazione professionale. Siete d’accordo con questo assetto ordinamentale?
1.1 Era preferibile quello originariamente previsto dalla riforma Moratti?
2. Condividete l’idea che l’obbligo di
istruzione possa essere assolto anche
nel sistema dell’istruzione e formazione professionale?
3. È giusto dare importanza alla valutazione del comportamento degli studenti?
3.1 Le modalità previste per la valutazione del comportamento sono adeguate alle esigenze educative?
3.2 Sarà una misura sufficiente per
arginare i fenomeni di violenza e di
bullismo?
4. È stato giusto ripristinare il voto
numerico nel primo ciclo di istruzione?
4.1 Contribuirà alla chiarezza della
valutazione?
4.2 Tenderà a semplificare i rapporti tra scuola e famiglie?
5. Per i libri di testo è stata introdotta un’adozione pluriennale e fra poco
sarà necessario adottare libri almeno
in parte scaricabili da internet. Vi sentite pronti a modificare in questo senso
il vostro metodo didattico?
6. Condividete l’impostazione delle
nuove indicazioni didattiche (Indicazioni Fioroni per il primo ciclo e Indicazioni Moratti per il secondo ciclo)?
6.1 Ritenete possibile la loro coesistenza all’interno dello stesso sistema
scolastico?
7. Bisogna prestare attenzione alle
competenze degli alunni. Vi sentite
preparati a questo cambiamento didattico?
7.1 Lo avete già attuato?
8. Condividete l’introduzione dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione?
8.1 Ritenete adeguate le modalità di
attuazione di questo insegnamento?
9. Condividete la proposta Israel di
formazione iniziale dei docenti?
9.1 E il loro sviluppo professionale?
10. Le scuole possono diventare fondazioni. Condividete?
10.1 Ritenete che le fondazioni possano snaturare le finalità “costituzionali” delle scuole?
All’inizio dell’attivazione del focus
group (fase metaplan) i partecipanti
hanno trovato le dieci domande, stampate a gruppi di due, su cinque manifesti affissi alle pareti della sala dell’incontro. Per individuare la prevalenza
delle questioni da approfondire ogni
partecipante ha avuto a disposizione
cinque bollini adesivi di colore marrone da applicare accanto a cinque domande ritenute degne di maggiore attenzione.
Le questioni che hanno riportato un
maggior numero di “preferenze” da parte dei presenti al focus group sono state le seguenti:
– “È giusto dare importanza alla
valutazione del comportamento degli
studenti?”, che ha riportato il 62 % di
preferenze;
– “È stato giusto ripristinare il voto
numerico nel primo ciclo di istruzione?”,
che ha riportato il 46% di preferenze;
– “Bisogna prestare attenzione alle
competenze degli alunni. Vi sentite preparati a questo cambiamento didattico?”, che ha riportato il 44% di preferenze;
– “Condividete l’introduzione dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione?”, che ha riportato il 43% di preferenze;
– “Condividete l’idea che l’obbligo
di istruzione possa essere assolto anche
nel sistema dell’istruzione e formazione
professionale?”, che ha riportato il 35%
di preferenze.
I partecipanti, poi, disponendo di
cinque bollini verdi e di cinque bollini
rossi, hanno potuto condividere o meno
le risposte (si o no) alle cinque domande o gruppo di domande scelte, applicando i bollini adesivi verdi per il si e i
rossi per il no.
I risultati sono stati i seguenti:
Alla prima delle domande prescelte
“È giusto dare importanza alla valutazione del comportamento degli studenti? il 100 % ha risposto si, ma alla domanda collegata “Le modalità previste
QUALEDUCAZIONE • 55
per la valutazione del comportamento
sono adeguate alle esigenze educative?”
il 32 % ha risposto no. Così come alla
ulteriore domanda collegata, “Sarà una
misura sufficiente per arginare i fenomeni di violenza e di bullismo?” ha risposto no il 50%.
Alla domanda “È stato giusto ripristinare il voto numerico nel primo ciclo
di istruzione?” ha risposto si il 28 % ,
mentre ha risposto no il 60% , confortato dal 30% di no alla domanda collegata
“Contribuirà alla chiarezza della valutazione?” e dal 42% di no alla ulteriore
domanda collegata “Tenderà a semplificare i rapporti tra scuola e famiglie?”.
Alla domanda “Bisogna prestare attenzione alle competenze degli alunni.
Vi sentite preparati a questo cambiamento didattico?” il 95 % ha detto si,
ma soltanto il 25% ha risposto affermativamente alla domanda collegata “Lo
avete già attuato?”.
Alla domanda “Condividete l’introduzione dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione?” il 100% ha ri-
sposto si, però il 55% ha risposto no alla
domanda collegata “Ritenete adeguate
le modalità di attuazione di questo insegnamento?”
Alla domanda “Condividete l’idea
che l’obbligo di istruzione possa essere
assolto anche nel sistema dell’istruzione e formazione professionale?” il 93%
ha risposto si.
È seguita la fase di focalizzazione.
Le questioni risultate prevalenti sono
divenute oggetto di approfondimento e
ciascun partecipante, invitato dal conduttore, ha giustificato le proprie scelte. Il confronto è risultato vivace e costruttivo.
Nella fase conclusiva è stato evidenziato come il focus group sia riuscito ad
offrire l’opportunità di cogliere aspetti interessanti e significativi delle questioni maggiormente dibattute nella
scuola, oggi, e di esprimere, attraverso
la scelta delle questioni da approfondire e delle risposte agli interrogativi,
l’orientamento dei quadri direttivi ucimini presenti.
Praia a Mare 22.05.09, 1ª sessione del convegno internazionale
Educare all’onestà, oggi, nella famiglia, nella scuola, nelle istituzioni;
da sinistra: C. Lomonaco, L. Corradini, A. Pieretti, S.S. Macchietti, G. Serio, G. Malgeri
56 • QUALEDUCAZIONE
Costituzione e cittadinanza
Aiutare i giovani a star bene nella scuola:
percorsi didattici, idee, opportunità
di
Giuseppe Serio
Parte introduttiva
1. L’idea di formare l’uomo e il cittadino si riferisce all’ambito socio-culturale territoriale in cui opera la scuola; destinatari sono i giovani (alunni/studenti) indigeni e migranti che partecipano
all’attività di formazione e alle esercitazioni previste nel piano didattico
di cui al punto successivo. Ogni classe, anche con il sostegno di volontari,
tra cui i genitori, sceglie d’impegnarsi
a realizzare il Progetto realizzando gli
obiettivi indicati nel Piano delle offerte
formative (Pof).
Prevenire l’illegalità è possibile educando i giovani alla cittadinanza attiva facendo capire loro le cause che ne
impediscono la realizzazione. Il fenomeno della trasgressione della legge
è molto diffuso nei luoghi del degrado,
del disagio e dell’emarginazione socioeconomica dove l’unica regola, appunto, è la trasgressione.
La scuola può offrire un contributo
educativo promovendo le opportunità
che consentono ai giovani di scegliere
i momenti della loro crescita integrale.
Il Pof propone dei percorsi per promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo lo spirito della Costituzione italiana.
2. Oggi, spesso, famiglia e scuola si
chiudono a riccio nell’illusione di difendersi dalla violenza: questa è una forma sterile di difesa; il guscio è un inuti-
le muro difensivo, non il ponte da cui si
accede alla società. Per reagire in modo
giusto alla illegalità occorre rendere
concreta la comunicazione interpersonale e interculturale sperimentando il
sistema dinamico che può trasformarsi in centro sociale di apprendistato della vita.
Tra famiglia, scuola e vita sociale è
necessario costruire ponti demolendo i
muri delle divisioni socio-culturali sostituendoli con l’amicizia fondata sulla dignità (denominatore comune dei
popoli). È opportuno chiedere ad ogni
amministrazione comunale di istituire un Centro di aggregazione giovanile organizzato come “luogo privilegiato
dell’incontro primario” che, in un certo senso, prepara i ragazzi a vivere nei
luoghi non strutturati (quartiere, bar,
sala giochi ecc.) che sono gli spazi della socializzazione autonoma.
È possibile prevenire la devianza
mediante la terapia dell’ascolto attivo
che è il presupposto necessario per costruire un ambiente sociale come luogo
di comunione, non di comunanza (che
lambisce, ma non penetra la persona).
La comunione fra le persone – giovani
o adulte che siano – implica la fecondità connettiva dell’amicizia o del rispetto reciproco che trasforma in energia
per la persona che è, a sua volta, luogo d’incontro delle coscienze. Se manca
quest’energia, manca il dialogo.
3. I risultati attesi (cittadini d’EuroQUALEDUCAZIONE • 57
pa - persone dialoganti). Il giovane che
non sa dialogare è povero di amicizia,
non è trasparente, non è in comunione
con i suoi compagni. La comunicazione
fervida salda l’amicizia nella coscienza
delle persone. Come si diventa amici?
Lo sviluppo della personalità si svolge
sullo sfondo del dialogo che è possibile
se le persone sono disponibili ed aperte. L’analfabeta (cioè, chi non sa decodificare i messaggi del proprio tempo)
non vive la vita nella pienezza del suo
valore perché non sa partecipare attivamente alla vita sociale.
Alcuni giovani, però, non parlano
se sanno di non essere ascoltati. In famiglia o a scuola, non parlano proprio
per questo motivo: manca loro la terapia dell’ascolto attivo. Nemmeno l’adulto si confida se sa di non essere ascoltato, se non c’è comunione, cioè, amicizia
tra lui e l’altro. Insomma, quanto più il
giovane si sente estraneo alla comunità in cui si trova a vivere, tanto più si
espone al rischio della solitudine emotiva da cui si accede alla devianza invece che alla comunità delle persone
(che incoraggia gli alunni a parlare con
gli altri di sé).
Essere cittadino, nella famiglia, nella scuola e nella società, significa parlare in modo creativo. Il parlare a scuola è
un evento impersonale, un fatto estraneo
alla vita sociale; in famiglia non è sempre confidenziale. I giovani, per esempio, a scuola parlano quando devono essere interrogati; cioè, parlano in modo
formale, secondo ritmi mensili o trimestrali. Anche in famiglia non sempre il
loro parlare è schietto. Il parlare per i
giovani non è sempre un momento creativo o di partecipazione attiva.
In tal senso, né la famiglia né la
scuola li aiuta a crescere nel sapere. Chi
58 • QUALEDUCAZIONE
ama la verità, ama la vita, esprime con
gioia di vivere stando insieme agli altri (fratelli, sorelle, compagni di scuola,
amici) che incontra nella società interculturale interagendo con spirito di collaborazione e secondo la propria vocazione. La comunione tra le persone consente alla verità di penetrare nelle coscienze e di interagire in virtù dei ponti
comunicativi – lingue, linguaggi – adeguati alle opportunità formative.
L’amicizia tra le persone è apertura
alla vita, spazio democratico dello stare
insieme nella diversità a livello globale e glocale, nel rispetto delle leggi dello Stato, della coscienza etica. Le attività previste dal Pof vengono proposte
a ciascuna squadra di giovani (maschi,
femmine, indigeni, migranti) per essere sperimentate a livello di socializzazione secondo le Indicazioni dei percorsi di cui appresso.
Il coordinamento è affidato al docente formatore. Nella fase preparatoria,
mese di settembre, iniziano le attività
didattiche dopo il percorso formativo dei
docenti di ciascuna classe. Il corso – coniugato con le attività incluse nel Pof –
sarà organizzato dalla in un seminario
di 10 ore (con il corredo di schede e testi scelti per essere proposti ai giovani
come oggetto di analisi sociologica della trasgressione. I destinatari del progetto devono soprattutto capire le cause della trasgressione delle leggi e delle regole che sono poste a fondamento
della società democratica.
Completare il Curricolo
1. Con l’entrata in vigore del Decreto che introduce nel curricolo della
scuola italiana la nuova disciplina de-
nominata Costituzione e cittadinanza
si è voluto offrire ai docenti della scuola d’ogni ordine e grado uno strumento
che legittimi e irradi sull’intero curricolo le linee guida preparate dalla Commissione nominata dal Ministro Mariastella Gelmini.
Le linee guida intendono valorizzare l’esistente oltre che specificare le tematiche di riferimento: cultura costituzionale, cultura della cittadinanza, convivenza civile1. Il comportamento degli
alunni non è disgiunto dalla socializzazione effettiva. La nuova norma evita
il modello degli obiettivi “declinando le
competenze in sotto-competenze e proponendo la conoscenza di quanto è statuito nella Costituzione con riferimento
agli articoli specificati nella nota a piè
di pagina. Lo studente, perciò, è tenuto
a prendere coscienza di tali elementi di
garanzia della libertà, dell’uguaglianza, dei diritti civili di ciascuno e tutti
La presa di coscienza dei valori costituzionali è il fondamento concreto della vita civile.
Pur nella necessaria essenzializzazione dei contenuti, Corradini propone che i docenti si facciano carico delle
“emergenze” corrispondenti agli articoli
della nostra Costituzione riportati nella
nota. Più avanti chiarirò come sia possibile realizzarle indicando alcune attività di educazione alla cittadinanza attiva, nel rispetto delle differenze socioculturali, religiose, etniche ecc
Il giovane (alunno, studente) deve
imparare a conoscere anche le carte internazionali2 al fine di stabilire le regole
della convivenza e della solidarietà e per
condividere i valori universali al fine di
contrastare la sopraffazione, l’illegalità, la violenza con il dialogo.
Nel I e nel II ciclo di istruzione, le co-
noscenze e le competenze relative alla
convivenza civile e alla cittadinanza
sono acquisite mediante la nuova disciplina che la Commissione ministeriale ha proposto di denominare Cittadinanza e Costituzione3 individuandola
nell’area storico-geografica, storico-sociale, oggetto di specifica valutazione.
Nella scuola dell’infanzia la dimensione si realizza nel campo di esperienza
Il sé e l’altro4.
L’art. 2 del Decreto disciplina, conseguentemente, i diritti/doveri degli studenti della scuola secondaria di I e II
grado e il loro comportamento (voto di
condotta) anche in relazione alle attività svolte dalla scuola in tal senso. Nel I
ciclo (scuola primaria e secondaria di I
grado) il voto è espresso in forma di giudizio mentre nella scuola secondaria di
II grado è espresso in decimi5.
Prima del giudizio e della valutazione occorre realizzare ovviamente l’impegno della scuola che a tal fine previene l’illegalità educando i giovani alla
cittadinanza attiva dopo aver fatto capire loro le cause che ne impediscono la
realizzazione.
La scuola può offrire il suo contributo promovendo le opportunità che
consentono ai giovani di scegliere. tra
i momenti della loro crescita integrale,
i percorsi che promuovono la formazione dell’uomo e del cittadino secondo lo
spirito della Costituzione italiana.
2. Le attività didattiche e i corrispondenti percorsi, aiutano – e abituano – i giovani a vivere la legalità nella
vita quotidiana ordinaria della scuola,
soprattutto con azioni concrete, li aiutano a star bene con se stessi, con i loro
amici in una società che stia meglio (Luciano Corradini6); la scuola può aiutare
gli alunni a vivere nella legalità orienQUALEDUCAZIONE • 59
tandoli a scegliere le opportunità della
vita scolastica (ed extrascolastica).
I percorsi didattici, servono anche
per esercitarli a capire la differenza tra
illegale (ciò che è in contrasto con la legge), legale (ciò che è conforme alla legge
dello stato) e morale (ciò che è conforme
alla coscienza). I giovani, per esempio,
in una o più delle 33 ore previste dalla
legge, si esercitano a svolgere attività
di servizio civico (in collaborazione con
i vigili urbani locali o il Servizio civile).
Ciò consente di spiegare ai loro coetanei
le infrazioni commesse da chi va in moto
senza casco e non si ferma al semaforo
con il segnale rosso o non rispetta li limiti di velocità e le regole della società democratica. Chi le infrange, forse,
pensa di vivere nella sfera del privato7,
non in quella delle persone. In questi
casi, gli studenti non devono mica comminare multe ai trasgressori, ma dialogare con essi. Il loro compito – a casa, a
scuola, nella società – consiste nel mettersi in dialogo con chi, purtroppo, assume sostanze stupefacenti inciampando
in errori madornali. Costoro non devono essere emarginati, ma coinvolti amichevolmente nel dialogo affinché capiscano che, quando dicono che la vita è
la loro e se la gestiscono come vogliono,
se si rompono la testa o se vanno in astinenza, l’ospedale è il contributo del cittadino che paga le tasse per assicurare
questi ed altri servizi sociali8.
Violare la legge non è un fatto privato, ma sociale. Il giovane che vuole vivere nel paese dei balocchi, promessogli
dagli spacciatori, deve imparare a capire che i balocchi sono suoi nemici perché
drogandosi diventa una belva che uccide e si uccide (lungo le strade del sabato
sera). Per questa e altre ragioni, occorre
mobilitare le coscienze dei giovani sce60 • QUALEDUCAZIONE
gliendo itinerari di studio e d’impegno
sociale adeguati agli obbiettivi del Pof e
promuovendo lo sviluppo della dignità
di tutti e di ciascuno che è la vera difesa contro la criminalità.
3. Amici si può essere … dialogando, non litigare… L’amicizia è una terapia naturale per recuperare soggetti
a rischio o nell’emarginazione. Specialmente oggi che la famiglia e la scuola si
chiudono a riccio nell’illusione di difendersi dalla violenza e dalla trasgressione (bullismo). La chiusura è una forma
sterile di difesa che somiglia al guscio,
al muro, non al ponte con cui si accede
alla vita sociale rispettandone le regole, sapendo che ciascuno appartiene alla
società nazionale (italianità), internazionale (Europa), mondiale (globale).
La suddetta appartenenza si interseca
con il pluralismo interculturale postulando l’esigenza dell’ integrazione ed il
rispetto della diversità.
Per reagire in modo giusto al fenomeno sociale dell’illegalità imperversante occorre rendere concreta la comunicazione interpersonale sperimentando il sistema psico-dinamico che, gradatamente, si trasforma in apprendistato
della legalità. Tra famiglia, scuola e vita
sociale è necessario costruire ponti, demolire la miriade di muri (divisioni socio-culturali) sostituendoli con l’amicizia, cioè sul denominatore comune che
unisce persone e popoli diversi per il colore, lingua, condizione economica, cultura, ma tous ègaux per dignità.
In ogni scuola si potrebbe istituire il
Centro di aggregazione giovanile organizzato come “luogo privilegiato dell’incontro primario” che, in un certo senso,
prepara i ragazzi a vivere nei luoghi non
strutturati (quartiere, bar, strada, sala
giochi ecc.) che sono gli spazi della loro
socializzazione autonoma. Negli spazi non strutturati nascono e si consolidano le amicizie, quelle buone e quelle
per niente buone. I ragazzi arrivano a
scuola con il carico delle loro esperienze acquisite nei luoghi non strutturati.
Nei confronti di questi spazi, il Centro
ha il compito di svolgere la duplice funzione di consolidare le esperienze positive, prevenire o neutralizzare quelle
negative9.
Credo che sia possibile recuperare
i soggetti che la famiglia involontariamente predispone alle esperienze negative; credo che si possa prevenire la devianza mediante la terapia dell’ascolto
attivo che è il presupposto per costruire
un ambiente sociale come luogo di comunione (non di comunanza che lambisce, non penetra nell’interiorità della
persona. La comunione fra le persone
– giovani o adulti – implica la fecondità connettiva dell’amicizia o del rispetto reciproco e della solidarietà che trasforma in energia per la persona; tale
energia, a sua volta, si apre all’incontro
delle coscienze. Se manca tale energia,
manca anche il dialogo.
Le esercitazioni fondamentali a cui
sono chiamati i giovani che frequentano il Centro di aggregazione sono incentrate sul dialogo senza del quale non
si può realizzare il rapporto d’amicizia
rischiando di essere incapaci di comunicare, vivere con gli altri, osservare le
“regole” e rispettare i “valori” della Costituzione. I risultati attesi (cittadini
d’Europa in dialogo) riguardano il giovane che dialoga; quello che non sa dialogare è povero di amicizia, non è trasparente, nemmeno in comunione con i
suoi compagni di scuola. La comunicazione fervida salda l’amicizia nella coscienza. Lo sviluppo del giovane si svol-
ge sullo sfondo del dialogo (che è possibile se le persone sono aperte). L’analfabeta (cioè, chi non sa decodificare i
messaggi del suo tempo) non vive la vita
nella pienezza del suo valore, non partecipa attivamente alla società. Alcuni
giovani non parlano, non dialogano se
sanno di non essere ascoltati. In famiglia e a scuola, alcuni non parlano per
questo motivo: manca loro la terapia
dell’ascolto attivo da parte dei professori e, a volte, anche dei genitori.
Nemmeno l’adulto si confida se sa
di non essere ascoltato, se non c’è comunione, amicizia tra lui e l’altro. Insomma, quanto più il giovane si sente
estraneo alla comunità in cui si trova
a vivere – famiglia, scuola, associazioni ecc. – tanto più si espone al rischio
della solitudine emotiva da cui, spesso,
si accede alla devianza invece che alla
comunità delle persone che incoraggia
gli alunni – in generale, tutti – a parlare con gli altri di sé. Allora, che significa essere cittadino? Significa essere famiglia in famiglia; essere scuola a scuola; essere società globale nel mondo. La
scuola, inoltre, è chiamata a guidare gli
alunni ad educarsi alle regole della cittadinanza attiva. Oggi, né la famiglia
né la scuola aiutano i ragazzi a crescere
forti nelle attività per contrastare, per
esempio, la sopraffazione a danno dei
più deboli o la rinunzia agli atteggiamenti di tacita accettazione delle prepotenze prima a scuola, poi, nella vita. Chi
ama la verità, ama la vita e si esprime
con gioia stando insieme agli altri (fratelli, compagni di scuola, amici) che incontra nella società inter-culturale interagendo con spirito di collaborazione,
secondo la proprie vocazione. La comunione tra le persone consente di penetrare nelle coscienze e interagire in virtù
QUALEDUCAZIONE • 61
di ponti comunicativi (lingue, linguaggi adeguati alle opportunità formative).
L’amicizia tra le persone è apertura alla
vita, spazio democratico, opportunità di
stare insieme nella diversità – a livello
globale e locale – nel rispetto delle leggi dello Stato e della coscienza.
Le attività previste dal Pof, proposte
a ragazzo indigeno o migrante, abitante
in città o in paese, devono essere sperimentate a livello di socializzazione secondo percorsi disegnati da una corretta strategia didattica. Il coordinamento
delle attività medesime può essere affidato al docente (nella primaria, quello prevalente). Nella fase preparatoria,
mese di settembre, iniziano le attività
didattiche per costituire il “Centro di
aggregazione giovanile” e, dopo il corso di formazione dei docenti facilitatori, il consiglio di classe prepara il piano annuale delle 33 ore della nuova disciplina – Costituzione e cittadinanza
– cercando di collegarla con le altre discipline del curricolo in modo che l’ora
mensile sia l’occasione per irradiare “le
linee guida della nuova disciplina”, nel
resto del curricolo, allo scopo di attuare concretamente gli obiettivi previsti
dalle linee direttive indicate della Commissione ministeriale10.
La didattica – quando è ispirata dal
dialogo – diventa lo strumento regolatore degli scambi interculturali e delle
opinioni personali;l’impiego del dialogo
è anche confronto delle convinzioni personali oltre che una proposta di soluzione dei problemi riguardanti i valori non
condivisi e/o condivisi solo in parte da
gruppi etnico-religiosi che trasformano
la diversità in risorsa.
Il corso di formazione dei docenti
prevalenti – coniugato con le attività incluse nel Pof – è organizzato dalla scuo62 • QUALEDUCAZIONE
la (seminario di 10 ore) con il corredo
di schede e testi scelti per proporli agli
studenti come oggetto d’analisi sociologica della trasgressione al fine di capire
le cause della violazione di leggi e regole
poste a fondamento della società.
Le finalità del corso riguardano la
capacità e possibilità che i docenti devono possedere per realizzare la democrazia scolastica (senza scimmiottare quella in cui si preparano a vivere come cittadini). Allora, vivere democraticamente nella scuola, significa interagire nella
classe, rispettare le opinioni e i punti di
vista degli altri, soprattutto dei diversi,
esercitare consapevolmente la responsabilità personale, saper interpretare il
clima emotivo della classe e della scuola; sostenere “i compagni di scuola più
deboli” dal punto di vista del profitto e
del comportamento, partecipare alle attività di volontariato.
4. Le scelte tematiche dei percorsi
didattici possono essere suddivise per
argomento: a) rispetto della legalità e
promozione della cittadinanza attiva
mediante attività pratiche; b) promozione del dialogo interpersonale e interculturale in senso trasversale; c) incontri
nei luoghi della socializzazione; d) esercitazioni di volontariato nel II ciclo.
Al fine di stimolare la fantasia didattica dei docenti, propongo alcune attività per realizzare percorsi didattici da
inserire nel Pof (33 ore) e in quello pluriennale (13 anni) per complessive 329
ore che sono sufficienti per arrivare alla
maturità con idee chiare in merito a Costituzione e Cittadinanza attiva. Preliminarmente, è necessaria una lettura individuale della Costituzione assegnando ad ogni studente una riflessione
scritta sugli articoli più significativi e
universali; per esempio: che cosa signi-
fica per te l’affermazione che la Repubblica è fondata sul lavoro? In particolare
è opportuno leggere in classe gli articoli citati nella nota 1 a p. 2. Successivamente, occorre svolgere le seguenti attività didattiche coinvolgendo di volta in
volta i docenti delle macroaree indicate negli esempi.a) Proteggere i beni culturali-ambientali presenti nel territorio
dopo averli catalogati e classificati secondo criteri artistici, estetici e paesaggistici. b) Interventi per organizzare e
gestire gli spazi destinati agli studenti
nel territorio comunale o nel quartiere
e svolgere attività esterne (nella scuola
dell’infanzia e in quella primaria è possibile esercitare bambini e ragazzi ad
essere utenti della strada attraversandola sulle “strisce pedonali”, rispettando la segnaletica verticale e orizzontale mettendo in atto comportamenti responsabili nel senso del rispetto della
vita propria e degli altri ecc. c) Capre
le energie alternative (quale funzione,
quale difesa, quale tutela). d) Conoscenza del codice della strada, esercitazioni pratiche. e) Alimentazione, benessere e norme igieniche (quale stile di vita;
breve relazione scientifica sui fenomeni
dell’ effetto serra, della desertificazione,
del consumismo sregolato, della povertà
delle persone e della fame nel mondo. e)
Iniziative (possibili ed opportune degli
studenti). f) Le energie inesauribili del
mondo (l’intelligenza, l’amore, l’aria, la
solidarietà in contrasto con le energie
esauribili (il petrolio, il denaro e gli altri beni negoziabili).
Tra gli adempimenti necessari per
l’avvio delle attività, è necessario mettere al primo posto la vita che non è
un bene negoziabile (come la casa, la
macchina, l’assegno di c/c ecc.); è preferibile che la scuola incentri la sua
attività didattica seguendo questi
percorsi:educare alla prevenzione della microcriminalità mediante lo svolgimento di attività proposte al fine di
contrastare la trasgressione che, in un
particolare e delicato periodo della vita,
sembra essere un’attrazione inspiegabile per i giovani della società contemporanea; educare alla legalità, alla solidarietà, alle esperienze interculturali
al fine di promuovere la crescita di cittadini attivi.
Questi sono dei percorsi didattici per
attuare il curricolo nei seguenti punti:
contrastare la dispersione scolastica,
prevenire le devianze, realizzare il primo livello di preparazione al mondo del
lavoro; potenziare le conoscenze in ambito scientifico, tecnologico, economico
esercitando gli studenti nell’inventare
iniziative per il rispetto dell’ ambiente;
attivare laboratori con cui gli stessi sperimentano gli strumenti didattici (teatro, cinema, stage professionalizzanti,
bollettino d’informazione per le famiglie degli alunni, coinvolgendo docenti
e genitori e Associazioni di volontariato
nelle attività inserite nel Pof.
5. Il Piano delle attività didattiche
si propone di contrastare soprattutto
la dispersione scolastica creando percorsi d’integrazione e partecipazione
attiva degli alunni ai percorsi didattici. Per esempio: dalla strada alla scuola per svolgere attività di prevenzione
delle tossico-dipendenze al fine di contrastare la dispersione scolastica e rinforzare l’apprendimento. A questo scopo, conviene far maturare negli alunni
alcune esperienze educativo/ formative
consistenti nella preparazione e messa
in scena di una rappresentazione teatrale (o cortometraggio) capace di stimolare l’apprendimento di contenuti
QUALEDUCAZIONE • 63
ostici e diversi da quelli previsti dalle
Indicazioni Nazionali (Fioroni) in maniera dinamica e tale da prevenire il
nozionismo formale e la noia della vita
scolastica quotidiana.
Il percorso prevede la partecipazione
sia di alunni diversamente abili che di
alunni stranieri, presenti nella comunità: ciò allo scopo di creare una rete solidale in grado di abbattere ogni tipo di
pregiudizio. Si tratta di esperienza da
proporre ai ragazzi coinvolgendo anche
le loro famiglie e i loro docenti mediante l’impiego di docenti che provvedono
alla progettazione esecutiva e alla realizzazione dell’intervento stesso.
Dalla scuola al lavoro con particolare attenzione allo sviluppo pre-professionale e a interventi idonei alla formazione. Gli studenti degli istituti professionali – per esempio – possono essere
coinvolti sui temi della Promozione, management e animazione turistica necessari per lo sviluppo di strategie d’intervento nei confronti di soggetti con particolare vocazione turistica. La formazione prevede incontri nelle classi, con
operatori turistici qualificati (esperienze di stage in alternanza scuola-lavoro)
presso le strutture turistiche dell’area
interessata. Dalla scuola all’arte – impegnando docenti di Arte e, trasversalmente, anche altri – per aiutare gli
alunni a cogliere il senso universale della creatività dell’uomo.
Benessere, malessere esistenziale,
prevenzione
1. Gli studenti del triennio (licei e
istituti secondari di II grado) possono
seguire un percorso formativo per la
conoscere le problematiche inerenti al
64 • QUALEDUCAZIONE
sociale, con particolare riguardo al sostegno di ragazzi svantaggiati. Il collegio dei docenti dovrebbe prevedere un
Centro di Orientamento scolastico per
la scelta della professione individuando
nei giovani le attitudini e le potenzialità al fine di orientarli nelle scelte di lavoro al gone di formare management,
promuovere animazione nel territorio
e sviluppare strategie d’intervento. Gli
studenti, guidati in semplici esperienze di stage presso le strutture turistiche
locali, si preparano concretamente nella prospettiva del lavoro futuro.
In base alle esigenze del territorio
in cui si trova ad operare la scuola, la
prima fase di svolgimento dei percorso
didattico potrebbe iniziare nel mese di
settembre dell’anno scolastico. Il gruppo docenti provvede alla elaborazione
esecutiva del Pof approvato (anche in
funzione di nuove e particolari esigenze emerse successivamente) e alla scelta di collaboratori per l’avvio delle attività: coordinatore delle attività didattiche; addetto alla segreteria del Pof, responsabile del percorso didattico.
Il Coordinatore ha la supervisione su
tutte le attività che saranno realizzate,
cura le relazioni di lavoro con i partner e con le Istituzioni, con il supporto dell’addetto alla segreteria, convoca
e presiede gli incontri di informazione,
divulgazione, monitoraggio. Al dirigente scolastico spetta il compito di verifica
e valutazione finale dei risultati.
L’addetto alla segreteria, in collaborazione con il Coordinatore, provvede a predisporre e compilare i i documenti relativi al funzionamento e alle
relazioni intermedie e finali sullo svolgimento dell’intero percorso. Inoltre,
provvede all’organizzazione degli incontri di informazione, divulgazione,
monitoraggio, verifica e valutazione
dei risultati.
In ciascuna scuola, in sede di riunione del Collegio dei docenti, il percorso
da realizzare è illustrato dal Responsabile del coordinamento di tutte le attività all’interno della scuola. Il Dirigente
scolastico e i docenti provvedono ad inserire nel Pof le attività previste e gli
obiettivi da raggiungere. D’intesa con
il dirigente scolastico, i docenti, sulla
base delle loro competenze specifiche,
vengono prescelti dal dirigente scolastico che convoca la riunione dei genitori nel corso della quale illustra le attività da realizzare. I partecipanti sono
invitati a candidarsi al ruolo di Referenti familiari.
2. La seconda fase è il Corso di formazione della durata di 10 ore di lezioni in aula, oltre il tirocinio. Gli alunni
sono invitati a collaborare alla realizzazione delle singole parti del percorso in base alle capacità e inclinazioni
di ciascuno. La candidatura è espressa
in forma scritta (compilazione del formulario da restituire entro una settimana al Segretario del corso). L’equipe
sceglie i soggetti da coinvolgere dando
la preferenza ai ragazzi svantaggiati e
a rischio. Ovviamente, le attività coinvolgono l’intera classe e sono realizzate
nel corso delle ordinarie attività didattiche. Sono invitati a partecipare tutti gli alunni per consentire l’accesso a
giovani con particolari capacità e propensioni e per inserire il maggior numero possibile di ragazzi svantaggiati.
Saranno, altresì, individuati e, possibilmente, coinvolti i ragazzi che, negli
anni precedenti, hanno abbandonato la
frequenza della scuola o non sono mai
stati iscritti (figli di immigrati). Le prime due fasi sono propedeutiche ed iden-
tiche per tutte le scuole. A partire dalla terza fase, le operazioni sono distinte come segue.
3. Prevenire la micro-criminalità è
un metodo valido e concreto per educare i giovani alla cittadinanza attiva; ma
è anche importante capire che è impossibile che le istituzioni compiano il “miracolo” di trasformare al meglio la vita
sociale in un breve arco di tempo. Credo che occorra conoscere soprattutto le
cause che ne impediscono la realizzazione. Le istituzioni devono concorrere
a scoprire le cause del disorientamento
dei giovani, conoscere le radici della microcriminalità, capire il fenomeno, sapere chi, in che modo, oggi, produce illegalità nella famiglia, nella scuola, nella società. In breve, occorre prima scoprire ciò che favorisce l’insorgere della
criminalità che, addirittura, impiega finanche i bambini in attività delinquenziali; programmare ciò che si può fare
(nella famiglia, nella scuola, nelle associazioni giovanili, in parrocchia) negli ambienti educativi in cui sia ancora
possibile l’intervento preventivo. I bulli – per esempio – sono gli eredi di genitori che vivono nel degrado o nel disagio o nell’emarginazione socio-economica (ambienti a rischio). Sono aggressivi, rissosi; vivono alla giornata, come i
loro genitori, in quartieri-ghetto. L’unica regola della loro vita è la trasgressione (non pagano il biglietto dell’auto, rubano nei locali pubblici, si ubriacano, fumano, fanno a botte, si drogano, salgono
sul marciapiedi con i motorscooter…).
Purtroppo, sono una categoria in crescita; nell’ultimo quinquennio sono diventati il doppio. Nei primi 5 anni del
2000, gli under 18 – condannati – sono
il triplo rispetto agli anni ’90. In alcune regioni (Lazio, Calabria, Campania,
QUALEDUCAZIONE • 65
Puglia, Sicilia) uno su cinque non frequenta la scuola dell’obbligo!
Secondo me, se si lavorasse di meno
nella produzione di cose superflue, di
più nelle attività di redenzione si favorirebbe la ripresa del dialogo interpersonale. Gli alunni hanno bisogno di
scoprire i beni naturali per gestire con
prudenza quelli industriali, rinnegare
il postulato dei bisogni effimeri (dogma
del benessere materiale) e il consumismo sregolato. E se sono avviati gradatamente a questa trasformazione culturale, saranno in grado di cambiare rotta, incrementare le forze sociali, scegliere la società solidale.
Scuola e famiglia certamente possono contribuire a formare i futuri cittadini a condizione che l’una partecipi attivamente al processo formativo dei figli e l’altra arricchisca gradatamente i
docenti di doti professionali eccellenti11.
La famiglia può liberarsi gradatamente
dall’individualismo, dall’arrivismo, dalla chiusura intimistica, dalla latitanza delle opportunità educative, dall’uso
sbagliato dei media, dalla paura della criminalità, della droga… La criminalità – purtroppo – recluta i ragazzi
negli ambienti a rischio per avviarli a
esperienze trasgressive offrendo denaro per vivere alla giornata illudendosi
di diventare felici...non sapendo che la
felicità è una conquista faticosa; che le
loro esperienze negative diventano ferite profonde nella coscienza. Le loro ferite non sono un fatto privato, ma sociale. Il ragazzo che guida la moto senza
casco o che si buca o che non rispetta
le regole del codice stradale e, ancora,
non rispetta quelle della società democratica, non è uno che vive nella sfera
privata, ma è uno che vive – negativamente – in quella pubblica.
66 • QUALEDUCAZIONE
Violare la legge non è un fatto privato. Il giovane che vuole vivere nel paese dei balocchi, promessogli dagli spacciatori, non sa che i balocchi sono suoi
nemici e che drogandosi diventa una
belva che vive in modo sregolato tanto
da pretendere tutto e subito. Il drogato
come l’ubriaco, non solo si uccide, ma
uccide. Per questa ragione (e tante altre
ancora) occorre mobilitare le coscienze
dei genitori, dei docenti, dei sacerdoti, degli educatori al fine di recuperare
nella famiglia, nella scuola, nella chiesa e in tutte le agenzie educative il valore autentico dell’uomo, la sua dignità (che è nel cuore della maggioranza
delle persone).
4. Il malessere esistenziale dell’uomo contemporaneo, nonostante il livello di benessere materiale in cui vive, è
dovuto – soprattutto – alla perdita di dignità. La voglia di denaro è soddisfatta in ambienti dove il !denaro” è inteso come valore invece che come mezzo
strumentale per la vita. La famiglia è
il primo ambiente sociale in cui potrebbe avere inizio il processo educativo di
soggetti che sono nello stadio dello sviluppo che dovrebbe svolgersi – mi scuso
per il secondo obbligatorio condizionale – sullo sfondo della trama di rapporti interpersonali tra soggetti che fanno
parte dello stesso gruppo parentale. I
rapporti psico-dinamici sono disturbati da incomprensione (tra genitori e figli) o da litigi causati quasi sempre da
carenza di denaro o da assenza di stima
reciproca o da frustrazioni dovute all’incapacità di instaurare rapporti fondati
sul rispetto della dignità.
Oggi, generalmente, la famiglia si
chiude in sé stessa nell’illusione di difendersi dalla violenza ed anche dalla
corruzione (promessa di denaro a chi
si presta ad espletare attività illegali).
Questa forma di difesa è sbagliata. Vi ricorre qualche volta anche la scuola che,
spesso, si chiude nel soo guscio invece di
farsi ponte e comunica con gli altri.
Per reagire in modo giusto alla violenza e all’illegalità, occorre rendere solido il sistema psico-dinamico del nucleo
familiare. Il tipo di famiglia a riccio ha
poche capacità di difesa evidenziando
il dato negativo della sindrome della
chiusura. Purtroppo, c’è anche la famiglia diseducativa, costituita da soggetti della malavita, luogo di socializzazione di comportamenti mafiosi. I bambini,
come si sa, sono una mente assorbente e socializzano facilmente i comportamenti di persone con cui si trovano
a vivere i loro genitori. In questo caso,
se i figli non frequentano la scuola e
restano in famiglia, i genitori li impiegano in attività illegali e, in tal modo,
consolidano un tipo di apprendimento
degenerativo che li prepara ad essere e
a comportarsi nella vita sociale come i
loro genitori.
In un certo senso, lo Stato, potrebbe rompere questi circuiti degenerativi rendendo obbligatoria la frequenza
della scuola dell’infanzia per prevenire
i danni che derivano dalla permanenza dei bambini che vivono in ambiti familiari contagiati dal virus della criminalità; ambienti degradati che alimentano la dispersione scolastica e, in un
certo senso, anche la micro-criminalità. Per incominciare a far scemare tali
fenomeni malavitosi, occorre istituire
un Osservatorio locale sulla micro-criminalità e sull’illegalità; un altro sulla
dispersione scolastica ed un terzo sulla tossicodipendenza; il C. I. C (Centro
d’informazione e consulenza) è una sorta di Osservatorio che funziona come
sportello di consulenza nelle scuole secondarie. Le suddette strutture costituiscono il Centro operativo della Task
force (costituita da esperti, formatori,
equipe psico-socio-medico-pedagogica)
per giovani disagiati, tossici, bulli ecc.
in grado di promuovere sane opportunità educative.
5. Nei luoghi non strutturati nascono e si consolidano le amicizie, quelle
buone e quelle non buone. Perciò, la frequenza della scuola – statale o paritaria
– è uno strumento di prevenzione della
devianza in generale. Si sa che a scuola, i ragazzi che la frequentano, vi arrivano con il carico delle loro esperienze
acquisite nella famiglia, nella parrocchia, nelle associazioni) e nei luoghi non
strutturati. Nei confronti degli uni e degli altri, gli Osservatori e il Centro d’informazione hanno l’importante compito
di svolgere una duplice funzione consistente nel consolidare le esperienze positive e neutralizzare gradatamente – o
prevenire – quelle negative.
La scuola, in tal modo, può recuperare i soggetti che la famiglia, volontariamente o no predispone alle esperienze negative della vita; inoltre, può prevenire la devianza mediante la terapia
dell’ascolto attivo che è un presupposto
necessario per costruire un ambiente sociale, come luogo di comunione, non di
comunanza che lambisce, ma non penetra la persona. La comunione implica la
fecondità connettiva dell’amore, energia
per la persona, che, a sua volta, è punto d’incontro delle coscienze. Se manca
quest’energia, manca il dialogo, cioè,
il processo educativo. Senza il dialogo,
non si può realizzare un rapporto interpersonale autentico che impedisce di
rimanere analfabeta, cioè, di rischiare
di diventare un’isola nell’universo delQUALEDUCAZIONE • 67
le persone; chi non dialoga non è in comunione con gli altri, è senza vita sociale… La comunione è amicizia; strumento per comunicare con il mondo; è
comunicazione fervida perchè salda la
verità nella coscienza della persona. Lo
sviluppo dell’alunno si svolge sullo sfondo del dialogo educativo che è possibile
se le persone sono disponibili, aperte,
umili: l’analfabeta non sa decodificare
i messaggi del suo tempo, non sa vivere la vita nella pienezza del suo valore.
Insomma, chi non parla, non è in comunione con gli altri.
A scuola l’alunno non parla se sa di
non essere ascoltato. Gli manca la terapia dell’ascolto attivo. Nemmeno l’adulto si confida se sa di non essere ascoltato, se non c’è comunione, cioè amicizia, tra lui e l’altro. Insomma, quanto
più il soggetto, giovane o adulto che sia,
si sente estraneo alla comunità in cui
si trova a vivere tanto più si espone al
rischio della solitudine da cui si accede
poi al rischio della devianza.
Fuori dalla comunità scolastica o familiare o associativa, l’alunno è debole, è più esposto al rischio … Ma se vi
sta dentro, se si sente a suo agio, diventa forte nell’energia dell’amore, bravo
nell’apprendimento, libero nel pensiero… Il sistema scolastico non sempre si
predispone ad essere comunità di persone dialoganti; non sempre incoraggia
l’alunno a parlare con gli altri di sé. Il
parlare a scuola è un evento impersonale, un fatto estraneo alla vita. A scuola i
giovani parlano se sono interrogati; parlano in modo informale, secondo ritmi
mensili, trimestrali, quadrimestrali. Il
loro parlare non è un momento di gioia, di creatività, di scoperta della verità condivisa. In questo senso, la scuola
non aiuta il giovane a crescere nell’inte68 • QUALEDUCAZIONE
riorità che lo fortifica nella vita sociale
oltre che in quella privata. Chi ama la
verità, ama la vita esprimendo l’amore nella gioia di vivere, stare insieme,
partecipare al lavoro con spirito di collaborazione.
Il dialogo, dunque, è l’opposto
dell’isolamento (che alimenta la cultura della morte ricorrendo alla droga,
all’alcol, alla violenza); è una forma di
prevenzione della devianza, della comunione che non è la comunanza tra
appartenenti a famiglia, scuola, gruppi sociali. La comunione consente alla
verità, al bello, al bene di penetrare nelle coscienze. L’amicizia tra le persone è
un’apertura, un preambolo della gioia
di vivere come persona, non come individuo, schiavo del materialismo sregolato e del bisogno di denaro ad ogni costo, anche a costo della Giustizia che è
il fondamento della pace. L’educazione
al dialogo fiorisce nella famiglia, cresce
nella scuola, matura nelle istituzioni
sociali. Per questo, credo, sia necessario creare una rete di referenti che, nei
luoghi predetti, operi senza confusione
di compiti, con lo scopo di irradiare nella vita dei figli, prima, e degli studenti,
poi, il senso civico. Sembra un’utopia;
ma l’utopia è “il non ancora”, sempre
possibile volendolo.
La rete dei referenti
1. I referenti familiari per la promozione della cultura civica nella famiglia
e i referenti scolastici per aiutare a realizzare l’Educazione civica nella scuola hanno bisogno, naturalmente, di un
breve corso di formazione con esperti
nel settore della consulenza. I referenti
– scelti tra quanti si preparano, ciascu-
no secondo il suo ruolo assegnatogli dalla Task force dei formatori nei corsi di
qualificazione gestiti dallo Staff con metodi coniugati a modelli formativi (6 incontri di 2 ore). Gli operatori /referenti
da formare sono: a) i Referenti familiari (2 per ogni classe di ciascuna scuola;
Referenti scolastici (2 per ogni classe);
Referenti professionali (1 per ogni comune o quartiere).
La formazione dei referenti familiari
è a cura della task force che prepara il
percorso in ogni comune – o quartiere o
rione – ed è riferita alle scuole aderenti. Il corso è costituito dai genitori che
accettano di essere guidati a comprendere le tematiche prescelte (legalità,
tossicodipendenze, cittadinanza attiva
ecc). È previsto il tirocinio per genitori
che scelgono di impegnarsi in attività
di volontariato per la prevenzione delle tossicodipendenze e/o della microcriminalità.
2. Formazione dei referenti scolastici
Al corso biennale di formazione partecipano docenti che scelgono di raggiungere adeguati livelli di esercizio
della professionalità docente nei “Centri di eccellenza”, cioè nelle strutture
di alta formazione in cui si acquisiscono competenze professionali che consentano di elaborare profili educativi e
obiettivi generali e specifici adeguati al
contesto socio-culturale in cui si trovano
ad operare, con particolare riferimento
ai soggetti a rischio. Ai referenti viene
chiesto di incrementare adeguatamente le relazioni con i genitori degli alunni a rischio; concordare con essi strategie compensative; consolidare, sviluppare gli apprendimenti trasformandoli in
progetti integrativi del curricolo; acquisire abilità nella valutazione degli alun-
ni; assumere funzioni di coordinamento
nei confronti dei colleghi.
A tal fine saranno predisposte delle
dispense – preparate da esperti – con
indicazioni esemplari da partecipare ai
colleghi del collegio di ciascuna scuola.
In particolare, i docenti della scuola secondaria sono guidati a svolgere attività mirate all’orientamento al lavoro e/o
al proseguimento degli studi superiori.
Il percorso che riguarda la formazione
degli insegnanti referenti prevede 20 incontri della durata di 3 ore di cui 1 riservata alle esercitazioni pratiche (maturare in itinere le attività da svolgere)
finalizzate all’azione preventiva.
L’obiettivo finale consiste nel garantire alle famiglie e alla scuola un servizio di qualità che è indispensabile per
contare su risorse adeguate e suòòe capacità dei docenti referenti. Il percorso
punta non solo sulla formazione iniziale, sulla progettualità e atonomia didattica della scuola organizzata come impresa culturale.
I dirigenti scolastici individuano i
percorsi di formazione manageriale, a
livello di tirocinio e di cultura generale.
La formazione referenti è una forma di
collaudo delle abilità acquisite nei corsi
di perfezionamento universitario oltre
che una formazione continua per promuovere negli alunni l’apprendimento
che dura lungo tutto l’arco della vita.
Gli strumenti didattici sono molti e
vanno dai piani di studio personalizzati al Pof che il corso rielabora a livello
collegiale (programmazione didattica
predisposta dagli insegnanti di ciascuna classe o sezione di scuola dell’infanzia tenendo conto degli alunni a rischio.
Il corso prepara a individuare e creare
un piano teorico e operativo favorevole al recupero di alunni a rischio al fine
QUALEDUCAZIONE • 69
di leggere le realtà per costruire le griglie di interpretazione dell’ ambiente
in cui si trova ad operare la scuola. In
tal modo, si tiene conto dell’apporto dei
docenti facilitatori che, ciascuno secondo le proprie competenze. media i processi interagendo opportunamente con
gli alunni e facilitando la formazione in
servizio dei docenti.
La proposta serve a guidare i docenti
referenti nel lavoro d’impostazione dei
percorsi didattici che, nella molteplicità
dei contributi disponibili, tengano conto anche della diversità delle situazioni oltre che della necessità di tendere
all’ipotesi costruttiva. Ciò impegna anche a operare in situazioni nuove, a capire perché una cosa non ha funzionato
e a trovarne una via d’uscita. Il docente
referente diventa il supporter dei docenti
che, in vari modi e tempi, entrano direttamente o indirettamente nel contesto
dell’offerta educativa. Ogni ipotesi progettuale, se non vuole essere puramente teorica, deve avere la possibilità di
essere realizzata: ciò è possibile se essa
s’incardina nella realtà in cui opera la
scuola che valuta le risorse, i tempi, le
strategie di attuazione e individua chiaramente le finalità da raggiungere.
L’autonomia scolastica accelera la
tendenza ad operare per progetti e per
obbiettivi. Il compito di progettare il Pof
è affidato ai docenti che mettono in atto
risorse e competenze professionali assumendosi la responsabilità del lavoro didattico, conseguendo livelli di qualità
verificabili ecc.
I soggetti dell’analisi sono gli alunni a rischio di cui bisogna raccogliere le
informazioni riguardanti le loro capacità, lo stile d’apprendimento, le aspettative, la qualità del luogo di provenienza socio-culturale, le esperienze scola70 • QUALEDUCAZIONE
stiche ed extra-scolastiche; la qualità
della famiglia (stile educativo, aspettative nei confronti della scuola, status
socio-economico); le risorse della scuola
(attrezzature, materiali, professionalità dei docenti ecc.)
È necessario anche verificare le risorse dell’alunno, il codice linguistico,
lo stato di salute; conoscere il territorio, gli obiettivi che può raggiungere a
breve, medio, lungo termine nell’ambito cognitivo, operativo, socio-affettivo;
fissare gli obiettivi cognitivi ed operativi (tassonomie); raggiungere le finalità educative, privilegiare metodi e criteri di verifica e di valutazione che il docente deve acquisire per svolgere bene
il suo non facile lavoro. La riflessione
sulla sua scarsa produttività, a fronte
delle risorse e delle energie utilizzate,
sollecitano l’individuazione di nuovi modelli con cui proporre agli alunni nuovi
saperi per la vita accessibili a ognuno
e, soprattutto, spendibili e trasferibili
in contesti sociali diversi.
Note
Le conoscenze specifiche che l’alunno deve apprendere riguardano i principi della Costituzione repubblicana e in particolare il diritto inviolabile di ognuno (art. 2); il riconoscimento della
pari dignità sociale (art 3); il dovere di contribuire concretamente al miglioramento della qualità della vita sociale (art. 4); la fruizione della libertà religiosa (art. 8) e delle varie forme di libertà (artt. 13-21.
2
La Dichiarazione dei Diritti del fanciullo, la
convenzione internazionale dei Diritti dell’infanzia, la Dichiarazione universale dei Diritti
Umani in forma specifica agli anziani, disabili, diversi ecc.
3
Cfr. Giuseppe Serio, Etica Politica e amore per
la vita, Cosenza, Pellegrini 2002, cap IV, paragrafo 4 p. ?
4
Art. I del Decreto Legge agosto 2008 elaborato
con il contributo della Commissione Ministeria1
le nominata dal Ministro Maria Stella Gelmini.
Nell’ambito del monte ore complessivo già previsto per le aree storico-geografiche-sociali alla nuova disciplina sono assegnate 33 ore annue (art. 1,
secondo comma) attribuite alle risorse umane già
disponibili con la legislazione vigente.
5
Sia il giudizio che il voto concorrono alla valutazione complessiva dell’alunno/studente “e, nei
casi più gravi, possono determinare” la non ammissione all’anno scolastico successivo o all’esame conclusivo del ciclo.
6
Luciano Corradini in Aa. Vv. L. Corradini, A.
Pieretti, G. Serio (a cura di) Educazione alla salute tra prevenzione e orientamento Cosenza Editore Pellegrini1992, p. 19.
7
Luciano Corradini, op. cit p. 20 e seguenti.
8
Ibidem.
La Circolare Ministeriale dell’11.10.95 n. 325,
relativa alle attività di prevenzione, di educazione
alla salute e di lotta contro l’insuccesso scolastico,
predisposta dal sottosegretario Luciano Corradini e firmata dal ministro Giancarlo Lombardi, ha
fornito una visione più ampia e flessibile dei CIC
(Centri di informazione e consulenza), previsti
dalla legge 162/1990. Essi sono stati definiti anche come “Centri di innovazione creativa.
10
La Commissione è stata coordinata da Luciano Corradini.
11
Giuseppe Serio, Docente o professionista? La
formazione iniziale e in servizio, Cosenza, Pellegrini 2006; cfr anche il suo articolo, su questo argomento, pubblicato sul sito dell’Aspei e sul Bollettino dell’Associazione Pedagogica n. 139, Roma
Armando 2008.
9
QUALEDUCAZIONE • 71
Rubrica aperta
– Spazio dedicato al consenso, al dissenso, alla critica costruttiva –
rubrica diretta da VINCENZO PUCCI
Dopo diciassette anni, ripubblichiamo questa dichiarazione (Convegno ottobre 1992 Popoli Culture Stati). Perché lo proponiamo ai lettori e perché proprio ora?
Si può rispondere in tanti modi alla domanda; preferisco darne una, nonostante tutto, nonostante la crisi finanziaria mondiale, la crisi del mercato drogato, non è certo crisi dei poveri che continua da secoli ad aumentare. La dichiarazione di speranza, per un cattolico
come l’autore del manifesto, è la risorsa trasmessaci da Abramo di chi spera contro ogni
speranza, di chi chiede al Signore di poter “imparare a vivere da povero” perché ci sia un
futuro dignitoso per tutti (Nota del Direttore)
Il curatore ospita un bel testo di Teobaldo (Theodobald = valoroso nel suo popolo) Guzzo
che parla di un «pedagogista» sui generis, Paolo di Tarso, l’inviato speciale di Gesù nella
New York di duemila anni fa, Roma, caput mundi. Folgorato sulla via di Damasco, Saul,
guardiano dell’ortodossìa e del legalismo degli scribi e dei farisei, diventa Paolo, cioè il formidabile mediatore culturale, il portavoce del Messìa (Χριστός) grazie alla sua conoscenza
delle due lingue internazionali del tempo, grazie anche alla sua complessa anima e cultura: cittadino di Roma e figlio di Israele. “Tenendo conto della sua matrice giudaica, della
sua lingua greca, della sua prerogativa di civis romanus, Paolo è l’uomo delle tre culture”.
Egli è magister [che fa essere di più] che si fa minister [si sente di meno e serve]. Il politicamente corretto non lo riguarda. “Accompagna la predicazione della parola con la testimonianza della vita”; oltre che educatore[edŭcat-edūcit] e maestro, è doppiamente testimone,
cioè testimone e martire. La pedagogìa-prassi paolina è di straordinaria attualità, perché
nasce da un costante ascolto e da un’attenta messa in atto della Parola di Dio. La conflittualità dialettica e pedagogica, è una permanente interazione dialogica; da qui scaturisce
la chiaroveggenza visionaria e profetica, la concreta utopia nazarena (= Ευαγγέλιον), l’autorevolezza che valica i secoli e i millenni e fermenta nei cuori e nella vita delle generazioni che si succedono nel tempo e nello spazio. Paolo (nell’ep. Agli Efesini 4, 31) ammonisce
ad “estirpare in mezzo voi ogni asprezza, animosità, collera, clamore, maldicenza,ogni cattiveria”; sembra che abbia scritto queste parole, dopo aver guardato esterrefatto per qualche istante una delle tante trasmissioni in cui marionette e burattini, che diventano belve
feroci, esprimono la fogna del sentire umano, salendo alla ribalta come effimeri e lugubri
eroi di un’ umanità profanata e disperata, senza Dio. Senza correzione (παιδεία) e senza
ammonizione (νουθεσία) la famiglia la scuola la società possono solo finire nell’abisso del
nulla... Altro che “liberazione”! Siamo grati a Teobaldo Guzzo per queste stimolanti note
e restiamo in attesa di notizie sul lavoro in corso di Rita Ferragina: «San Paolo a scuola.
Alla scuola di San Paolo». Grazie.
72 • QUALEDUCAZIONE
Dichiarazione di speranza
(28/10/1992)
Stiamo rotolando verso il 3° millennio. Le piccole e grandi “Potenze”, dopo
aver saccheggiato i continenti, scoprono di avere in seno spaventose sacche di
miseria e di emarginazione. Che fare?
Noi, “Superciviltà dell’Opulenza”, dobbiamo imparare a vivere da poveri
(per condividere… il superfluo con chi
è privo del necessario). Finalmente capiamo il significato, l’urgenza e la praticabilità delle Beatitudini. Dopo 80 generazioni, il Discorso della Montagna ci
appare il più concreto, equo, efficace, il
più completo Manifesto per la Liberazione della Persona e dei Popoli. L’unica
Rivoluzione che manterrà le Promesse. I “ricchi epuloni” continuano a pretendere diritti e privilegi di primogenitura. I “poveri Lazzaro”, dopo l’esproprio (etnico-sociale) planetario, ad opera delle “culture superiori”continuano
a morire di fame, di malattie, d’ignoranza, di guerre; senza diritti, da sempre. Ricordiamoci dei doveri. Abbiamo,
innanzitutto: 1) il dovere di sperare e
d’insegnare a sperare a una generazione senza padri e e senza maestri (e perfino senza madri), ma, in compenso, c’è
il Padre e il Maestro e c’è, tenerissima, la Madre. La speranza non è una
virtù passiva, “una forma mistificata di
disperazione” ma “la tigre rannicchiata
che balza solo quando è il momento”(ci
suggerisce Erich Fromm); abbiamo anche: 2) il dovere di alfabetizzare e di
educare miliardi di creature senza voce.
L’analfabeta, come cieco e muto, è impedito nello sviluppo, è indifeso contro
ogni colonizzazione. Resta incompiuto,
sub-umano. Dice Paulo Freire: “Falar,
por exemplo, en democracia e silenciar o
povo è uma farsa. Falar en humanismo
e negar os homens è uma mentira”. Il
grande compito degli oppressi è quello
di liberare sé stessi e gli oppressori. Il
sistema educativo Paulo Freire può fare
miracoli nel nostro ed altrui terzomondo; abbiamo, quindi: 3) il dovere di lottare per i diritti di tutti contro lo sfruttamento, le ingiustizie, la violenza polimorfa, contro la droga e l’AIDS (SIDA)
… contro l’asfittico spazio-tempo in cui
ci recludonoMass Production ( la produzione di massa) Mass Consumption
( il consum[ism]o di massa) Mass Media (i mezzi di comunicazione di massa) e forse anche Mass Selection (selezione naturale di massa) dell’ingegneria genetica, per pianificare i Superbabies [= i futuri Ǖbermenschen] voluti
dall’Establishment, secondo la denuncia (un grido d’allarme che rischia di
annegare “in un mare d’indifferenza”)
di Jacques Testart, inventore della FIVET; abbiamo, perciò: 4) il dovere di vigilare sulla politica senza radici e senza ali: sul mercante proteiforme, sullo
scientista asettico, sul tecnocrate luciferino, che, associati, restano impassibili di fronte alle cupe trenodie dei popoli affamati, del pianeta martoriato,
dei conflitti fratricidi (“ogni guerra è
una guerra civile”). Le previsioni di Orwell e Marcuse non sono state del tutto
smentite o scongiurate; abbiamo, dunque: 5) il dovere di salvare il futuro, nel
QUALEDUCAZIONE • 73
presente cronòtopo, proteggendo lavoro
e dignità, identità e speranza di moltitudini anonime e disperate, senza più
differire: il parassitismo dei popoli ricchi è un protervo crescente suicidio. O
ci si salva insieme, o si affonda insieme. La follia e ferocia inaudite, nella vicina Jugoslavia, sono un terribile
monito. Ma lo sforzo congiunto di tutti
i popoli può interrompere la desertificazione della Terra e dell’Uomo, può arrestare la marea necropompa che sale.
Dovremmo – fermandoci al mero raziocinio – disperare, ma per fortuna (per
Grazia di Dio) contro la “cultura” di
morte che ha invaso ogni ambito eticosemantico (famiglia/scuola/società) non
è mai venuta meno la Resistenza biòfila, la Cultura della Vita che sempre si
abbevera e si disseta all’inesausta Bergpredigt (Sermo montanus: il Discorso
della Montagna). Ci sono “atleti” della
speranza come Chiara Lubich e Bruno
Hussar che c’indicano la strada, percorrendo inediti cammini di pace, con
la fede matura che si nutre di carità ed
alimenta verità e giustizia, preparando la “Civiltà dell’Amore («Caritas numquam excidit» [1Cor 13,8]).
(A) Bruno Hussar “accende”, nel
1970, l’esperienza di NEVÈ SHALOM
(= Wahat Al-Salam = Dimora della Pace
[cfr Is 32,18]), in Israele, e ci mostra
cosa può essere la politica, cioè Polis Civitas (= i cittadini) animata da Ruah (=
lo Spirito di Dio). Una specie di “ Field
… Work in Progress”, ingenuo e affascinante, che costruisce salde strutture di pace nella mente e nel cuore [una
mente robusta e un cuore tenero, preciserebbe M. Luther King]. L’ École Instrument de Paix (E.I.P.) ci conferma
che occorre «desarmer l’esprit pour desarmer la main».
74 • QUALEDUCAZIONE
(B) Chiara Lubich lancia, il
29/5/1991, il PROGETTO ARACELI
(dall’omonima cittadella focolarina nei
pressi di Sâo Paulo, in Brasile). Qui,
dove trascinano il loro assurdo calvario i “meninos de rua” e dove imperversano le necrofile “pegas” [= corridas …
de carros] viene proposta l’economia di
comunione , cioè imprese che mettono
a disposizione dei più bisognosi gli utili
che ricavano, alla ricerca non del Profitto in sé ma del Benessere di tutti. Il Brasile, gigante sudamericano, può essere
un grandioso laboratorio del presentefuturo dell’Uomo, se aiutato a liberarsi
dai tanti “benefattori”, interni ed esteri, che gli rubano il cibo, la ricchezza e
il genio, mantenendolo letteralmente
schiavo (e schiavo di un cliché). Come
spesso capita al Sud del mondo, compreso il nostro.
Questi due paradigmi di Prassi utopiana sono complementari: (a) la convivenza fraterna di NEVÈ SHALOM e
(b) l’economìa di comunione di ARACELI esprimono la plurima e unitaria azione della “sapientia cordis”, che sgorga
dalla “stultitia Dei”.
Il motore che le muove è la Carità, l’
energia inesauribile, che sa che il Dono
è la forma più gratificante… d’investimento e che il Per-dono (e la con-divisione) è la condotta più naturale della Famiglia umana, dis-infestata da ideologie
letali e da fideismi fanatici e fasulli. Se
applicate con rigore dappertutto, Nevè
Shalom & Araceli, possono rinnovare
il mondo: esse sono la prova della perenne validità e fecondità del Vangelo,
che s’incarna nella realtà quotidiana e
la illumina e riscalda, la umanizza e la
semplifica, senza essere semplicistica.
È questa, dunque, la terza via. Perché
non sperimentarla? “ Abbiamo bisogno
di testimoni piuttosto che di maestri” .
Di Maîtres à penser (che hanno guastato la testa e inaridito il cuore) ne abbiamo avuti fin troppi. Non si deve sprecare più tempo e denaro nella chiacchiera
e nella rissa permanenti.
Dedichiamo il tempo (dei Popoli)
e le risorse (della Terra) ad operare
secondo l’esempio di Chiara e Bruno.
E l’oasi di pace conquisterà il deserto
(in senso reale e metaforico), ne farà
un giardino…
Dopo la svolta epocale del 1989, non
facciamo sfumare lo stato nascente di
un Movimento che può mutare radicalmente la storia e la vita degli uomini: la
Ri-nascita della Fede e della Speranza,
le due ancelle della Carità (nonostante la babele di pseudoreligioni e di condotte e rituali pagani).
All’angusto miraggio del Supermarket che compra e vende uomini e merci, noi preferiamo l’accesso alla Mensa
d’Agàpe, frugale e gioiosa, di persone libere, di fratelli, di apòlidi … cosmopoliti! La Politica mondiale, se non moltiplica Nevè Shalom, è un camuffato gattopardismo, un pernicioso trasformismo.
L’attività umana sulla Terra, se non
pratica l’economia di comunione, resta
una forma più o meno larvata di rapina
planetaria ad opera di oligarchie e monopòli senza volto nei confronti di folle
sterminate di poveri e diseredati, [che
sono divenuti tali, perché espulsi con la
violenza dall’originaria comunione dei
beni (Gen. 1, 28-30)].
Chiara Lubich e Bruno Hussar sono
pionieri delle «minoranze abramitiche»
che attraversano, provvidenziali, le intercapèdini del Tempo (il Kairòs) e trasfomano la Storia.
Prima della Pienezza dei Tempi, le
Visioni, rielaborate dalla fantasia, hanno prodotto le mitologie. Ma Cristo Risorto non è un mito e l’Evangelo non è
utopismo, bensì Fede che si fa Prassi,
questa, sì, che rinnova la Terra!
Non vi chiediamo di sottoscrivere
(però ne saremmo felici!) ma di considerare seriamente la presente Dichiarazione come legittima Weltanschauung, come reale possibilità, come nostro … destino! L’Apocalisse [= Rivelazione] è dietro l’angolo (“Spiritus ubi
vult spirat…”); se non indossiamo, per
alleviarlo, il dolore del mondo, ne saremo travolti e annientati. Siamo in tempo per rimediare? Il DISCORSO DELLA MONTAGNA (che opera nella Politica di Nevè Shalom e nell’Economia di
Araceli) sia l’imperativo categorico … è
la nostra speranza.
Impedonati nella reciproca diffidenza, catafratti dal cinismo e dall’indifferenza che ci circonda, non riusciamo a
liberarci dal tafàno della noia e del dolore. «Organizziamo la Speranza»: milioni di anonimi volontari già costruiscono il futuro, a dispetto dei “Grandi”
che cercano di distruggerlo.
Ecco perché chiudiamo questa nostra
dichiarazione – e fondata proposta – di
speranza con una invocazione che implode nel cuore dei popoli da millenni:
“μαράνα θά [Domine noster, veni ]”.
Tortora / Praia a Mare, 28/10/1992
(Vincenzo Pucci)
QUALEDUCAZIONE • 75
L’attualità della sua eredità pedagogica
Paolo di Tarso, educatore e maestro
di
Teobaldo Guzzo
«L’apostolo Paolo, figura eccelsa
e pressoché inimitabile, ma comunque stimolante, sta davanti a noi come
esempio di totale dedizione al Signore
e alla sua Chiesa, oltre che di grande
apertura all’umanità e alle sue culture.
È giusto dunque che gli riserviamo un
posto particolare […] per comprendere
ciò che egli ha da dire anche a noi, cristiani d’oggi» (Benedetto XVI, Udienza del 2 luglio 2008). E Paolo, è indubbio, ha davvero molto da dirci, oltre che
per aver messo al centro della sua vita
Gesù Cristo, anche per il grande lascito
di varia umanità, di cui tutti, nel tempo che viviamo, siamo chiamati a farne tesoro.
Paolo di Tarso fu essenzialmente un
operatore della parola. Così ce lo presenta Mons. Pietro Rossano, curando
nel 1997 per le Edizioni San Paolo, la
pubblicazione delle sue lettere. In lui,
aggiunge, «si incontrano e si fondono
due grandi civiltà della parola, quella
greca e quella ebraica» ( “Introduzione generale”, § 4. “La parola e la predicazione”).
Dalla parola di Paolo (del dopo
l’evento di Damasco) nascono la
predicazione di Cristo, la comunicazione dell’annuncio salvifico, l’educazione
ai valori umani ed ai principi etici universali. Predicare, comunicare, educare: sono le tre azioni principali legate
alla parola, che in Paolo trovano piena
e feconda concretizzazione.
76 • QUALEDUCAZIONE
Paolo parla, dunque. Ma Paolo soprattutto scrive, in un tempo in cui la
scrittura non era diffusa e le conoscenze
venivano tramandate oralmente dal padre ai figli, dagli anziani ai giovani.
In questo speciale anno celebrativo –
dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009 –
che Papa Benedetto XVI ha consacrato
a San Paolo, nel bimillenario della sua
nascita, rileggiamo in chiave educativa le Lettere scritte dall’Apostolo delle
Genti per prendere più consapevolezza
del suo pensiero pedagogico, in particolare, e per attualizzare oggi, in maniera davvero feconda, il suo insegnamento rivolto ai giovani nel loro rapporto
con gli adulti e ai figli nel loro rapporto
con i genitori.
Paolo, l’educatore
Paolo, dunque, è stato anche un educatore. Maestro di umanità, di virtù, di
valori. Magister nel senso più autentico del termine.
Gli Atti degli Apostoli tramandano
che nelle primitive comunità cristiane
ci sono dei “maestri”, cioè persone dedite all’insegnamento e prima ancora
impegnate nello studio. «C’erano nella
Chiesa di Antiochia profeti e maestri:
Barnaba, Simone detto Niger, Lucio di
Cirene, Manaèn, compagno di infanzia
di Erode il tetrarca, e Saulo» (Atti 13,1).
Saulo, menzionato con il nome greco, è
il convertito, che, dopo il battesimo ricevuto a Damasco (At 9, 189), si presenta
con il nome romano di Paolo.
Nella Lettera ai Romani (12,6),
l’Apostolo delle Genti ammonisce che
«chi insegna, si dedichi all’insegnamento, chi esorta, si dedichi all’esortazione».
Ognuno cioè attenda al compito per il
quale è stato chiamato. L’insegnamento al tempo di Paolo nasce dallo studio
delle Scritture. E lo studio della Parola di Dio a Paolo non è servito soltanto
per rafforzare la sua cultura personale, quindi per consolidare la sua fede,
ma anche per contribuire a far maturare l’intera personalità dell’uomo nuovo,
che si era manifestato in lui.
Paolo quindi rimane un eccellente
maestro (didaskaloi), che continua nel
presente ad istruire, ammaestrare, guidare, orientare.
Il corpus delle sue Lettere (con le sette proprie e con le altre sette riconducibili al suo impegno missionario, perché scritte dai suoi più stretti collaboratori), ci consegna una eredità pedagogica, per davvero ricca di significati
profondi, che interpella anche la scuola
d’oggi. Quelle stesse sollecitazioni educative rivolte da Paolo all’uomo del suo
tempo, rimangono, dopo duemila anni,
di pregnante attualità anche per l’uomo del nostro tempo.
San Paolo è eccellente interprete del
pensiero cristiano. È insieme teologo e
filosofo. Famoso il suo discorso nell’Areopago di Atene (At 17, 16-34) rivolto ad
un attento uditorio di filosofi epicurei,
che esaltavano la cultura dell’effimero
e del piacere, e stoici, con la loro visione panteistica del mondo.
Con le ammonizioni, le esortazioni,
le indicazioni, ha dimostrato di essere
anche un valente pedagogo. Passione
per l’uomo, quale immenso capolavoro
di Dio, ma anche attenzione per i suoi
problemi comportamentali nella quotidianità dell’agire.
Accompagna la predicazione della
parola con la testimonianza della vita.
Un esempio da seguire, un modello da
imitare. I paradigmi fondamentali del
suo credo pedagogico sono la conoscenza
e l’ascolto. Ascoltare la voce dello Spirito e conoscere una Persona, Cristo il
Risorto. Non quindi una dottrina o una
teoria, sebbene affascinanti e coinvolgenti, ma una Persona.
Paolo, l’uomo dell’ascolto e del dialogo
Ma in Paolo prevale anche l’ascolto
degli altri, ovvero delle presunte ragioni dei pagani (i cosiddetti “gentili”), e la
conoscenza dei fatti, delle circostanze,
degli eventi per portarli a sostegno dei
suoi convincimenti. Ascoltare e conoscere sono per Paolo azioni fondamentali, sono i paradigmi del suo insegnamento, ch’è tutt’uno con l’evangelizzazione compita nell’arco di una dozzina
d’anni, presumibilmente dal 45 d.C. in
avanti.
Con la conoscenza e l’ascolto, in Paolo è presente anche l’incontro con l’altro, il dialogo con gli altri.
Ad Atene con il discorso all’Areopago, Paolo apre al diverso, allo scettico,
alla cultura dominante nella città greca. Incontra gli altri, che non sono ancora cristiani, non per strapparli alla
loro cultura ed imporne una nuova, diversa, antitetica rispetto alla loro, ma
per discutere, argomentare, colloquiare. Paolo adotta i loro punti di vista sui
quali innesterà, contemporaneamente
QUALEDUCAZIONE • 77
ma senza forzature, la vera e propria
azione di cambiamento.
Paolo dialoga con le culture del suo
tempo, dialoga con i collaboratori, primo tra tutti con Tito e Timoteo, ai quali indirizza tre lettere; dialoga ovunque
con la gente comune, pagana soprattutto, da convertire al cristianesimo.
Tenendo conto della sua matrice
giudaica, della sua lingua greca, della
sua prerogativa di civis romanus, Paolo è l’uomo delle tre culture. Gli Atti degli Apostoli riferiscono dell’incontro di
Paolo con i giovani a Efeso e dell’insegnamento «a tutti quelli, giudei e greci,
che abitavano in Asia nella scuola di Tiranno» (19,9), un noto retore della città.
E l’insegnamento «durò per due anni»
(At 19,10), nelle ore più calde della giornata. Instancabile educatore, dunque.
Con la sua parola, Paolo ammonisce,
esorta, insegna. Annunciando il Vangelo, parla nelle sinagoghe dei giudei e
nelle piazze delle città pagane. Paolo,
è bene sottolinearlo, non soltanto parla, come era d’uso nella tradizione orale del suo tempo, ma scrive. Soprattutto scrive, non a singole persone, ma ad
intere comunità.
Seconda ai Corinzi
12,14
Non spetta ai figli
mettere da parte per i
genitori, ma ai genitori
per i figli
78 • QUALEDUCAZIONE
Colossesi
3, 20-21
Figli! Obbedite ai vostri
genitori in tutto, perché
è gradito nel Signore.
Padri! Non provocate i
vostri figli, perché non si
perdano di coraggio
Il messaggio pedagogico di San Paolo non poggia, quindi, soltanto sulla tradizione (parádosis), cioè sulla trasmissione verbale di un annuncio codificato
nel racconto degli evangelisti (Paolo non
ha mai incontrato direttamente Gesù
Cristo), ma viene anche rafforzato dalla sapienza (sophia), dalla intelligenza
di argomentare per iscritto le verità del
Vangelo, sia per gli iniziati (i pagani da
convertire), sia per i più progrediti nella
fede, che hanno già conosciuto la bontà
misericordiosa di Dio. La tradizione e
l’intelligenza sapienziale stanno, quindi, alla base del suo insegnamento, che
è rivolto soprattutto a consolidare forti
legami tra le generazioni.
Paolo, il maestro
Nel seguente quadro sinottico i riferimenti specifici al rapporto educativo
tra i genitori ed i figli, così come vengono enunciati nelle Lettere inviate ai
Corinzi (la seconda), alle comunità di
Colossi e di Efeso, al suo collaboratore Timoteo.
Efesini
6, 1-4
Figli, obbedite ai vostri
genitori nel Signore,
perché ciò è giusto.
Onora tuo padre e
tua madre, è il primo
comandamento con
promessa, affinché te ne
venga del bene e viva a
lungo sulla terra.
E voi, padri, non
esasperate i vostri
figli, ma educateli,
correggendoli ed
esortandoli nel Signore
Prima a Timoteo
5, 1-8
Un uomo anziano non lo
riprendere duramente,
ma esortalo come fosse
tuo padre, i giovani
come fossero tuoi
fratelli, le donne anziane
come madri, le giovani
come sorelle […] i figli
imparino ad esercitare
la pietà verso la loro
famiglia e a rendere il
contraccambio ai loro
genitori, perché questo
è gradito davanti a Dio.
Nella seconda Lettera ai Corinzi, che
può essere datata tra il 55-56, Paolo si
sofferma sul tema del “sostentamento”,
considerato non solo da punto di vista
materiale, ma anche morale. Da Paolo
sono i genitori ad essere invitati a sostenere i figli e non viceversa. I padri
non esauriscono giammai i loro compiti genitoriali, che sono compiti di guida, di sostegno, di incoraggiamento. I
figli debbono intervenire solo quando i
genitori si trovino in gravi difficoltà. Il
sostegno è soprattutto di natura umana, etica, valoriale. I genitori debbono
offrire modelli di comportamenti, indicazioni operative di sostegno, orientamenti di condotta. E la famiglia, oggi,
non rimane la prima, grande agenzia
educativa?
La Lettera ai Colossesi (scritta dalla
prigionia di Roma tra il 60-61) contiene
una doppia esortazione educativa.
La prima è rivolta ai figli, i quali, in
modo categorico, sono chiamati ad ubbidire ai genitori. L’ubbidienza paolina
non contiene una azione di cieca sottomissione, ma soltanto una condivisione
di scelte con il proprio genitore, quindi
una assunzione di reciproca responsabilità. Il tutto dovrà essere gradito, cioè
ben- accetto, al Signore.
L’ubbidienza che Paolo raccomanda ai giovani nei confronti dei genitori non è di tipo servile, ma (è il caso di
dire) filiale, di reciproco affetto, di contrapposta stima, di scambievole aiuto,
giacché anche gli adulti hanno qualcosa da apprendere da una corretta relazione genitori-figli.
L’ubbidienza, ai tempi di Paolo come
al presente che viviamo, non è imposizione, è soprattutto condizione di equilibrio tra la libertà individuale dei figli
e la necessaria autorità dei genitori. Si
ubbidisce non sotto la paura di eventuali punizioni o, viceversa, con la prospettiva di una ricompensa, bensì come bisogno interiore per rafforzare la propria
personalità. Oggi con Simone Weil, la
grande filosofa del novecento, potremmo dire che «l’ubbidienza è un bisogno
vitale dell’anima umana […]; essendo
un nutrimento necessario all’anima,
chiunque ne sia definitivamente privo, è malato […]». Due belle definizioni
di ubbidienza che già in Paolo, or sono
duemila anni, trovano i più antichi e
nobili riferimenti filosofici.
La seconda esortazione educativa,
contenuta nella Lettera ai Colossesi, è
rivolta ai padri. Il “non provocate” sta
per il “non esasperate”, che presuppone il dialogo tra le generazioni, tra quella dei padri e quella dei figli, tra quella
degli adulti e quella dei giovani. A sua
volta il dialogo favorisce, anzi richiede
e pretende il confronto, quindi offre la
disponibilità a rivedere le proprie posizioni; rifugge dal concetto di autorità,
privilegiando invece il concetto di autorevolezza.
Nonostante le enunciazioni teoriche, il principio oppositivo tra autorità-autorevolezza è uno dei cardini su
cui poggia anche la pedagogia contemporanea. Oggi c’è crisi di autorevolezza, mentre si registra un abbondante
esercizio di autorità. Se si dovesse abusare dell’autorità, il giovane non viene
aiutato a crescere con la conseguenza
di un suo blocco psicologico dinnanzi
alle prime difficoltà della vita. Il verso
“non si perdano di coraggio” è l’equivalente del “non scoraggiate”. Lo scoraggiamento porta dritto dritto al disinteresse ed elimina, peggio annulla, tutti
le gratificazioni che sono essenzialmente di natura morale.
QUALEDUCAZIONE • 79
Argomenta Mons Pietro Rossano:
«Dei principi educativi è scelto il più
appariscente: non irritate i vostri figli,
perché non si scoraggiano. Non è specificato in che cosa il ragazzo possa perdere la fiducia, probabilmente nella convivenza familiare. Il verso può essere
interpretato anche così: col suo atteggiamento puntiglioso e vessatorio, che
non lascia respiro, il padre scoraggia il
figlio, ingenerando in lui sfiducia e apatia. Paolo vuole che i genitori ricorrano
alla risorsa più inesauribile dell’animo
giovanile, la buona volontà e lo spirito
di iniziativa» (nota a Col. 3,21, in Lettere di San Paolo, Edizioni San Paolo, 1988).
Non va dimenticata la circostanza
che «le riunioni cristiane (le ekklesìai),
come attestano le Lettere paoline, avvenivano in case private» (Benedetto
XVI, Udienza del 2 luglio 9008). La casa
è, quindi, per Paolo il luogo naturale
dell’incontro (forse anche dello scontro,
dialettico ovviamente) tra i padri e i figli, lo spazio entro il quale far circolare ammonizioni, esortazioni, raccomandazioni. Non va trascurato nemmeno il
contesto culturale e morale in cui avveniva la predicazione di Paolo. Le comunità, poiché erano segnate dal paganesimo e soggette a divisioni (1 Cor, 5 e seguenti), potevano anche costituire motivi di momentanee divisioni tra gli appartenenti alla stessa famiglia.
La Lettera agli Efesini (scritta tra il
61 e il 62, di poco inferiore alla lettera
ai Colossesi) appartiene al gruppo delle cosiddette “Lettere dalla prigionia”.
Le Lettere ai Colossesi e agli Efesini
si possono considerare “gemelle” (Benedetto XVI, Udienza del 14 gennaio
2009), perché scritte quasi nello stesso periodo.
80 • QUALEDUCAZIONE
Nei versetti 1-4 del capitolo sesto
di Efesini, ritorna il richiamo all’obbedienza dei figli nei confronti dei genitori da praticare nel nome del Signore, un’esortazione con la quale Paolo
sottolinea l’obbedienza di figli di Cristo, che si ottiene già con la grazia del
battesimo.
«La necessità di cordiali rapporti
tra i padri ed i figli si fonda sul quarto
comandamento del Decalogo – “Onora
tuo padre e tua madre” – […] e trova la
sua ragion d’essere nel Signore», annota Mons. Pietro Rossano, per il quale
«l’aggettivo primo non è inteso nel senso che sia il primo della seconda serie,
né che sia il più eccellente di tutti, ma
sottolinea la sua importanza nella vita
sociale […] ai genitori è raccomandato di educare nel Signore la prole»( cft.
nota Ef 6 1-3 in Lettere di San Paolo,
citato). L’ammonizione “non esasperate” – quasi identica al «non scoraggiate»
della Lettera ai Colossesi – è posta in
modo diretto, anche se con la negazione “non”, «L’esasperazione – continua
Mons. Rossano – provoca l’ira, che sfocia in bestemmie e oltraggi». Torna qui
la necessità del dialogo, dell’incontro,
delle relazioni tra le persone.
E in un versetto precedente (4, 31),
Paolo ammoniva gli Efesini di «estirpare di mezzo a voi ogni asprezza, animosità, collera, clamore, maldicenza, ogni
cattiveria».
Nella prima Lettera a Timoteo,
scritta tra il 65-66 (appartiene al gruppo delle cosiddette “Lettere pastorali”,
cioè inviate a singoli figure di pastori
della Chiesa, in particolare a Timoteo
(due) e a Tito (una), entrambi stretti
collaboratori di Paolo), si rinviene altra
utile attuale indicazione educativa.
Nei versetti 5, 1-8, l’invito è rivolto
agli anziani ed ai giovani. Gli uni e gli
altri membri della stessa famiglia. Gli
anziani sono i padri e la madre, i fratelli e le sorelle sono i figli. In questi versetti Paolo riprende il valore del quarto comandamento, già esaminato nella
Lettera agli Efesini (6, 1-3). L’ammonimento di Paolo non è solo morale, ma
questa volta anche materiale. Ai genitori in difficoltà va restituito, ovvero contraccambiato il bene ricevuto da piccoli.
Questo scambio di doni per Paolo non
va inteso come compassione, commiserazione, compatimento, bensì come pietas romana, come riconoscimento, presa d’atto, attuazione dei doveri dei figli
verso i genitori.
La compassione diventa, allora, compassione, cioè capacità di condivisione,
di partecipazione, di relazionarsi l’uno
con l’altro. «Se dunque c’è un appello
pressante in Cristo, un incoraggiamento ispirato dall’amore, una comunione
di spirito, un cuore compassionevole,
ricolmatemi di gioia andando d’accordo, praticando la stessa carità con unanimità d’intenti, nutrendo i medesimi
sentimenti» (Ef 2,2)
La grande eredità pedagogica di
Paolo
Ed è indubbio che anche l’educazione per essere valida, efficace e produttiva, deve togliere di mezzo la durezza del
cuore, la casualità dei gesti, l’estemporaneità degli interventi, insomma tutto
ciò che possa d’essere d’ostacolo alla crescita umana dei figli. I quali per essere
educati –nel senso di educati bene-, debbono essere continuamente destinatari
di esortazioni e di orientamenti.
«Correzione (paideia) ed ammonizio-
ni (nuthesia), commenta sempre Mons.
Pietro Rossano (cft. Nota Ef 6,4) sono
vocaboli particolarmente forti nel linguaggio biblico. La paideia è la disciplina che usa tutti i mezzi [per riportare i
figli sulla retta via]; la nuthesia indica
l’esortazione, l’ammonimento fatto a parole. Il binomio paideia-nuthesia riesuma, conclude Rossano, l’opera educativa
del pedagogo delle scuole greco-romane,
che però deve essere temperata nel Signore. Anche per l’educazione dei figli
il modello da imitare è Cristo».
Nella Lettera agli Ebrei (attribuita
a Paolo solo a partire dal secondo secolo
dopo Cristo) , al versetto 12,11, si legge che “ogni correzione sul momento, è
vero, appare causa non di gioia, ma di
dolore, ma più tardi porta in cambio un
frutto pacifico di giustizia”, ovvero le
opere buone, che procurano gioia, pace
e serenità ad una vita retta e santa. Chi
ti vuol bene, recita un vecchio adagio
popolare dei nostri giorni, ti fa piangere, chi ti vuol male, viceversa, ti fa ridere. Questa sottile filosofia di vita, trova
i sui più lontani addentellati culturali
nell’ammonizione di Paolo, riportata nel
citato versetto della Lettera agli Ebrei.
E la correzione non va intesa come costrizione (fare o non fare una cosa), ma
come aiuto a non rimanere imbrigliati
nell’errore, a risollevarsi e a riprendere la giusta via.
Paolo, un modello da imitare
Quale conclusione si può, allora, trarre da questi brevi cenni tratti dall’epistolario paolino sul tema
dell’educazione?
San Paolo rimane per davvero un
modello educativo da riscoprire. Un
QUALEDUCAZIONE • 81
apostolo del nostro tempo. Per Rita
Ferragina, docente di Filosofia, che,
nell’istituto in cui insegna – il Liceo Statale ad indirizzo Pedagogico “De Nobili” di Catanzaro –, sta curando un progetto extracurricolare, dal titolo “San
Paolo a scuola. Alla scuola di San Paolo”, «l’Apostolo delle genti si presenta
ai ragazzi come esempio di fortezza, di
costanza, di coraggio, di perseveranza.
Tocca alla scuola riconoscere queste virtù, che sono umane e laiche insieme,
anche come obiettivi da privilegiare in
ogni iniziativa volta alla crescita della persona umana. San Paolo a scuola
rappresenta una risorsa per qualificare quel complesso cammino di costruzione della persona, di quella meravigliosa creatura umana, che rappresenta, come ha scritto il grande pedagogista Comenio del seicento, l’immagine
dell’ “Increata Trinità”».
Paolo, quindi, un faro di luce, che rischiara le tetre ombre del disagio che
vive oggi la scuola. Nelle esortazioni rivolte ai Filippesi, l’Apostolo delle Genti ammonisce: «Tutto quello che è vero,
quello che è nobile, quello che è giusto,
quello che è puro, quello che è amabile,
quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò
che merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete
imparato, ricevuto, ascoltato e veduto
in me, mettetele in pratica» (Fil 4, 8-9).
E tutto ciò, annota Papa Benedetto XVI
(Udienza del 2 luglio 2008) «non fa che
riprendere una concezione prettamente umanistica, propria della sapienza
filosofica stoica».
E l’educazione al vero, al bene, al bello non è forse il cardine di quel pensiero
pedagogico, che affonda le sue radici nella matrice personalistica cristiana sviluppatasi nel corso del secolo scorso?
La dott.ssa Serena Brunelli ed il sindaco di Praia consegnano l’Impegno per la pace
al dott. Nicola Gratteri, della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.
82 • QUALEDUCAZIONE
Notiziario - Convegni
1. COSTITUZIONE E CITTADINANZA
ATTIVA
L’incontro è stato promosso dalla nostra
rivista. in ricordo di Francesco D’Alessandro, Giuseppe Guzzo, Goffredo Jusi, Franco Lo giudice, Mario Valentini autentici costruttori di educazione civica in Calabria.
Il convegno si è svolto nella sala della
cultura dell’Editore Pellegrini secondo il
seguente programma:
9.01.09 ore 15, 30, coordinatore Giuseppe Serio, Direttore di Qualeducazione, che
si è soffermato sull’importanza di creare
uno spazio alla nuova (non) disciplina. È
intervenuta la prof.ssa Sira Serenella Macchietti, Università di Siena, che ha svolto il
tema Per costruirsi come cittadini responsabili … Successivamente ha parlato
il prof. Giuseppe Trebisacce dell’Università
della Calabria, che ha ricordato la sua collaborazione al Centro studi e ricerche della
fondazione Serio soffermandosi sulle tematiche relative al valore della Costituzione e
della cittadinanza affondate in vari seminari svoltisi a Praia a Mare.
Cittadinanza e Costituzione sono due parole “forti” adottate dalla recente normativa scolastica italiana (a livello internazionale si parla di civic education. Come interpretarle? Come connetterle, cioè, alle aree
concettuali a cui rinviano? Come innestarle nell’organismo istituzionale di una scuola che si trasforma continuamente in modo imprevedibile? Come insegnarne i contenuti nell’ambito dell’attività didattica?
Come aiutare bambini, alunni, studenti ad
apprendere, accogliere critica-mente nel
pensiero, praticare, negli atteggiamenti e
nei comportamenti i valori, i diritti, i doveri connessi con gli ordinamenti, a livello
glocale e globale?
Infine, come far acquisire le competen-
rubrica diretta da FILOMENA SERIO
ze che, in sedi autorevoli, sono considerate “competenza/chiave della cittadinanza
attiva”?
Il punto di partenza delle proposte di lavoro per le scuole, è l’art 1 della L 30.10.08,
n. 169 che annuncia l’attivazione di “azioni
di sensibilizzazione e formazione del personale, finalizzate all’acquisizione, nel I e II
ciclo, le conoscenze e le competenze relative a Cittadinanza e Costituzione, nel monte ore complessivo previsto per le stesse”.
È in corso “una sperimentazione nazionale” che verifica le modalità con le quali la
nuova norma produce al meglio i suoi effetti formativi. L’art 1 precisa che “iniziative
analoghe sono avviate nella scuola dell’infanzia” e aggiunge che l’art. 1bis prevede
che “siano attivate iniziative per lo studio
degli statuti regionali”.
I sondaggi rivelano un’altissima percentuale di gradimento dell’ iniziativa (anche
le rappresentanze degli insegnanti, degli
studenti e dei genitori hanno espresso nelle audizioni parlamentari un ampio consenso pur sotto-lineando la complessità
della “non disciplina in questione”).
Fra gli studiosi si nota un motivato consenso alla valorizzazione di questo insegnamento, ritenuto fondamentale per le
sorti del Paese, anche se non mancano posizioni differenziate nelle soluzioni didattiche ipotizzate.
In risposta all’emergenza educativa, si
auspicano proposte introdotte per vie amministrativa e legislativa, come è accaduto con l’educazione alla salute e all’educazione stradale. Si tratta di “educazioni” che
però non si sono mai conquistate uno spazio nel curricolo. Alle ore 18,00 si sono svolti alcuni interventi e, alle ore 19,30 Serio
ha sospeso i lavori.
Il 10 01.09 ore 15,30 si è aperta la seconda sessione coordinata dal prof. Giusep-
QUALEDUCAZIONE • 83
pe Spadafora, Università della Calabria, il
quale ha richiamato il pensiero del Dewy
che ha introdotto nella scuola degli States l’educazione alla democrazia intesa come educazione alla coesistenza pacifica fra
le culture. Successivamente, è intervenuto il prof. Michele Borrelli, Università della Calabria, che ha incentrato il problema
della cittadinanza sull’etica del comportamento e sulla lotta alla criminalità. Infine,
ha svolto una sua documentata relazione il
prof. Claudio De Luca, Università della Basilicata . Ha concluso gli interventi il dirigente scolastico dott. a Maria Rosalba Lupia, Segretaria Nazionale dell’Aspei che ha
richiamato le ragioni didattiche della sperimentazione della nuova disciplina introdotta nella scuola dal Ministro Gelmini.
2. Santa Maria del Cedro (CS) – Il seminario di formazione ed informazione organizzato dal dirigente scolastico prof.ssa
Maria Grazia Cianciulli, tenutosi nei locali dell’Istituto Comprensivo “Paolo Borsellino”, sabato 21 febbraio c.a. , è da considerarsi , a parere di chi scrive, un evento molto interessante in un momento nel quale
la Scuola Italiana si trova al centro del dibattito politico che dovrà servire, ce lo auguriamo tutti, a trovare soluzioni a vecchi,
reiterati problemi e assumere linee guida strutturali fondative interfacciate, in
ogni caso, col rapidissimo cambiamento socio-economico e culturale che ha carattere
trans-nazionale.
Se il mondo è cambiato, (ed è nel bene e
nel male cambiato, mettiamocelo in testa!),
cambierà in qualche modo anche la Scuola
che ha sempre vissuto macroscopici ritardi
legati alla lentezza delle procedure a loro
volta ancorate ad alternate filosofie scarsamente prospettiche.
È necessario quindi avere un quadro
chiaro delle condizioni sia interne che
esterne al pianeta scuola, soggette al rapido mutamento, per non abdicare al fondamentale ruolo che devono esercitare, oggi, i
cittadini di ogni regione, gli uomini di pen-
84 • QUALEDUCAZIONE
siero, tutte le istituzioni propense a ripristinare il “senso perduto” che risiede nella
parola “Educazione”.
Ci devono, in ogni caso, far riflettere le
argomentazioni affrontate dai rispettivi
relatori e che di seguito vengono elencati:
Prof. Raffaele Nasti (Referente d’Area del
Trinity College London): ”Il Quadro Comune del Riferimento Europeo delle Lingue e
delle Certificazioni” ; Prof. Giuseppe Serio
(Presidente ASPEI – Direttore “Qualeducazione” – “Cittadinanza e Costituzione” ;
Dott.Prof. Luigi Troccoli (Dirigente Tecnico MIUR – Giornalista - “Riforma Gelmini – “Attualità e Prospettive” ; Dott. Prof.
Bruno Gallo (Fenomenologo – Giornalista: “La Valutazione: Vecchi e Nuovi Criteri” ; Dott. Prof. Angela Liguoro (Dirigente Scolastico – Presidente A.E.D.E. Campania: “Prospettive del Curricolo Integrato per le Esigenze dell’Alunno Contemporaneo nel Quadro della Nuova Normativa
Gelmini” ; Dott. Prof. Franco Blaiotta (Dirigente Scolastico – Sindaco di Castrovillari – “La Formazione sullo Scenario Europeo” ; Dott. Pino Assalone – Segretario Provinciale CGIL Scuola: “Dimensionamento
Scolastico, Nuovi Assetti Organizzativi e
Docente Unico Scuola Primaria”.
I temi trattati: cittadinanza e costituzione, riforma Gelmini, educazione e valutazione, problemi curricolari, la formazione
nel quadro europeo, il dimensionamento
scolastico, racchiudano, in gran parte, tutto ciò che è inerente alla vita del sistema
scolastico italiano di ogni ordine e grado.
Le problematiche sopra evidenziate non
sono affatto nuove, ma oggi si inseriscono
in un contesto storico di profonda crisi economica, morale e culturale che non solo sta
attraversando il nostro Paese ma va allargandosi anche e soprattutto nei paesi più
“ricchi” del mondo!
Se, come si dice, “Tutti i mali non vengono per nuocere”, dalla conclamata crisi
dei “Valori” esistente si potrà passare alla attuazione di un “progetto educativo” del
quale la “Nuova Scuola” sia la colonna portante della vita della nostra Nazione.
Ciò che lascia ben sperare in un futuro
migliore del nostro sistema scolastico, e
quindi della società, è la presenza di tantissimi soggetti come la Dirigente Scolastica Maria Grazia Cianciulli e come la ricca schiera di docenti che amano la scuola,
che amano stare accanto ai giovani studenti che sono il vero capitale umano su cui investire le nostre risorse.
A conclusione delle mie brevi riflessioni
sopra esposte aggiungo anche che la coordinatrice del Progetto “FORMAINFORMA”,
la Dirigente – Giornalista M.G.Cianciulli,
ha invitato presso l’Istituto, per la esposizione di novità editoriali, le case editrici: Loffredo;La Scuola; Bulgarini; Simone;
Palumbo; Raffaello; Mondadori Education;
Capitello; Atlas; La Terza; Sei; Principato; Hoepli; Medusa; Armando; Clitt; Sellerio; Zanichelli; Loescher; Cambridge; RCS;
Nuova Italia; Fabbri;Bompiani; Sansoni;
Etas; Hachette; Oxford; Tramontana; Calderoni; Edinumen.
I Maestri del Dipartimento Musicale
dell’Istituto, al termine del seminario, hanno allietato con le loro musiche i presenti in sala.
Bruno Gallo
3. Muri da abbattere e … da
proteggere
Sciopero generale a Gerusalemme Est e
in tutta la Cisgiordania con adesione pressoché totale della popolazione. Si tratta
della protesta indetta da “The Civic Coalition for the Defense of Palestinians’ Rights
in Jerusalem” relativa all’ordinanza del
Comune di Gerusalemme che prevede la
demolizione, nel quartiere di Silwan, di
88 edifici palestinesi abitati da 130 famiglie per un totale di circa 2000 persone, che
verranno espropriate senza nessuna possibilità di appello. La motivazione addotta e`che trattasi di edifici costruiti abusivamente; in realta` la maggior parte degli
edifici era gia` presente nel 1967 quando il
quartiere fu annesso allo stato di Israele.
Intorno a questa zona sono sorti negli ultimi 10 anni diversi insediamenti ebraici.
È prevista la realizzazione su quest’area
del “parco archeologico di re David” che secondo la tradizione biblica ospitò il re e dove sono situati il tunnel di Hezekiah, la piscina di Siloan, la sorgente di Ghon e condotto di Warren. Per l’esproprio non è prevista nessuna forma di risarcimento né in
forma specifica né in forma monetaria.
Dal 2005, data della prima ordinanza di
sgombero temporaneamente non applicata
per le pressioni internazionali, tutti i tentativi di mediazione con l’autorità municipale sono stati vani.
L’opera di demolizione delle prime case
è iniziata due mesi fa. Ma piu’ in generale,
la demolizione di case abitate da palestinesi a Gerusalemme est e’ una prassi frequente che continua a presentarsi impunita. Pax Christi Italia, presente sul territorio in occasione dell’1 marzo - Un Ponte
per Betlemme, quinto anniversario della
posa della prima lastra del muro di apartheid che fa di Betlehem una prigione a cielo aperto, denuncia:
a) l’ennesima ingiustizia verso la popolazione palestinese dall’inizio dell’occupazione;
b) la violazione del “diritto ad un tenore
di vita sufficiente a garantire la salute... con particolare riguardo all’abitazione” (dichiarazione universale dei diritti umani, art 25)
condivide la forma nonviolenta della resistenza messa in atto dal comitato organizzatore ed esprime la propria solidarietà nei
confronti di chi lotta per difendere i propri
diritti e la stessa dignità. Chiede:
– all’autorita` municipale di rivedere le
disposizioni precedenti e di accogliere
positivamente le proposte di mediazione avanzate dal comitato;
– agli enti locali dell’Unione europea di
sostenere le ragioni della popolazione
colpita dal provvedimento;
– alla comunità europea di farsi carico
della grave situazione venutasi a creare con l’occupazione dei territori pale-
QUALEDUCAZIONE • 85
stinesi intervenendo in maniera incisiva e tutela dei diritti di tutti.
Auspica che le comunità religiose presenti sul territorio mettano in atto strategie comuni per promuovere nella gente
la consapevolezza che la costruzione della
pace, assolutamente legata alla giustizia,
richiede l’ostinato impegno di tutti (Pax
Christi Italia 2.03.09)
4. L’Associazione Pedagogica Italiana è una delle più antiche e prestigiose associazioni culturali italiane. Fondata
a Firenze negli anni Cinquanta da Giovanni Calò, insigne pedagogista del tempo, annovera tra i suoi soci gli studiosi della Pedagogia di fama a livello nazionale e internazionale. Attualmente è presieduta dalla
prof.ssa Concetta Sirna, ordinario di Pedagogia Generale presso l’Università di Messina
Come recita l’art. 3 dello Statuto, “L’associazione persegue – senza fini di lucro –
scopi di natura culturale. Non ha carattere sindacale né collocazione ideologica, politica, religiosa, ma si avvale del dialogo fra
persone di diverso orientamento culturale
e valoriale per realizzare i propri scopi.
In particolare si propone il miglioramento e il rinnovamento della scuola e di ogni
altra istituzione a carattere educativo, nonché la valorizzazione, il potenziamento e lo
sviluppo degli studi e delle ricerche pedagogiche ed a tal fine organizza ogni triennio un Congresso Nazionale di Pedagogia,
teso ad approfondire una o più tematiche
di particolare rilievo ed attualità in campo
educativo e pedagogico. La sua opera è rivolta, prevalentemente, alla realizzazione
e alla progettazione di attività quali la formazione, l’aggiornamento e la qualificazione dei docenti e di quanti s’impegnano nel
settore educativo.”
L’Associazione è perciò riconosciuta dal
Ministero della Pubblica Istruzione come
Ente qualificato per la formazione e l’aggiornamento. Tali funzioni sono assunte
e svolte anche dalle sezioni locali presenti
86 • QUALEDUCAZIONE
nel territorio nazionale. Pertanto, le iniziative che l’As.Pe.I. avvia coinvolgendo soggetti, istituzioni e contesti educativi, possono essere annoverate come percorsi formativi, d’aggiorna-mento e di ricerca per
tutti i destinatari.
5. Guido Giugni, addio
È ritornato alla Casa del Padre. Il mondo pedagogico continuerà ad ascoltarlo nella sua straordinaria produzione scientifica
(50 libri pubblicati dal 1945 al 1999 con editori prestigiosi). Era nato ad Aieta, patria
di centinaia di professionisti, nel 1918; era
anche cittadino onorario di Praia dal 1990,
su proposta della Fondazione Serio.
Aveva iniziato la sua carriera di professore nel liceo scientifico di Praia a Mare
(1944); l’anno successivo era passato all’istituto magistrale Lucrezia della Valle di Cosenza, poi al liceo classico di Sapri, al liceo
Margherita di Savoia di Salerno, Umberto
I di Napoli conseguendo sempre la qualifica
di ottimo (i docenti ora non sono più qualificati). Nel 1954 il MPI lo nominò direttore
responsabile dell’Educa-zione Fisica presso
il Centro Didattico Nazionale (non è esiste
più); nel 1956 vinse il concorso ad ispettore centrale della P.I. (funzione che non esiste più, ora vi sono gli ispettori tecnici del
MPI); nel 1961 vinse il concorso di libero
docente di pedagogia; insegnò nell’università di Napoli. Nel 1962, lascia Napoli per
Perugia dove fu chiamato come professore
incaricato di Pedagogia generale; nel 1971
il MPI gli conferì l’incarico di direttore del
Centro Nazionale Didattica: contemporaneamente svolgeva ruoli di alto livello culturale (ispettore centrale del MPI, direttore
del Centro Nazionale Didattico, professore
universitario, di direttore del Centro nazionale di Orientamento professionale.
È il periodo di massima notorietà: Collabora alla RAI come esperto di pedagogia;
membro dell’Istituto Regionale di Ricerca
Educativa dell’Umbria, della Consulta nazionale delle riviste pedagogiche nel perio-
do (1985-2000) in cui chi scrive queste note, era il coordinatore nazionale, dona 800
volumi alla biblioteca comunale di Praia.
A maggio prossimo, la comunità scientifica della fondazione Serio lo ricorderà come maestro indimenticabile nella sessione
inaugurale del Convegno internazionale
che si svolgerà a Praia a Mare dal 21 al 23
maggio di quest’anno (“Educazione all’onestà, oggi, nella famiglia, nella scuola e nelle istituzioni”) al quale interverranno due
dei suoi allievi prediletti, i proff. Antonio
Pieretti, pro-rettore dell’università di Perugia, e Gaetano Mollo, direttore dell’Istituto di Pedagogia della stessa università.
Il prof. Giugni era stato sempre presente
come relatore ai convegni della fondazione Serio ed era stato anche collaboratore
di Qualeducazione, rivista internazionale
di Pedagogia, che, nel fasc. 73 pubblicherà la sua bio-bibliografia essenziale curata dalla compagna della sua vita, la prof. a
Ada Lettieri.
Giuseppe Serio
6. Educare all’onestà, oggi,
nella famiglia nella scuola nelle istituzioni
L’Associazione culturale Gianfrancesco Serio ha realizzato con successo il XV
convegno internazionale, in collaborazione all’università della Calabria, all’Associazione Pedagogica Italiana e con il patrocinio delle Amministrazioni comunali di
Praia e Scalea. Dopo anni di obbligata lontananza, il 56° evento culturale della benemerita associazione, è ritornato nella sua
sede naturale in virtù del nuovo clima ripristinato dall’assessore alla cultura Pietro De Paola.
All’evento hanno partecipano 11 università di cui 2 europee; 30 tra relatori, presidenti di sessione, coordinatori delle tavole
rotonde, 9 intervenuti (tra cui i sindaci di
Praia, dott. Carlo Lomonaco, e di Scalea,
dott. Mario Russo con i rispettivi assessori
alla Cultura).
Hanno partecipato 65 dottorandi, ricercatori, studenti universitari di Catania,
Cosenza, Messina, Palermo, Ragusa; docenti dell’UCIIM, dell’Aspei, dell’Associazione docenti europei.
Sono entrati in rete il Museo comunale, la Pro loco cittadina, il Centro di Attività Musicali Ensemble vocale; Il Pro Rettore dell’Università di Perugia, prof. Antonio
Pieretti che ha aperto i lavori leggendo il
messaggio del Presidente della Repubblica.
Il 23 è stato presente il dott. Nicola Gratteri, sostituto procuratore della Direzione
distrettuale antimafia di Reggio Calabria
che ha confermato all’Associazione il suo
impegno di promozione della cultura della legalità dopo Madre Teresa di Calcutta,
Antonino Zichichi, Don Antonio Riboldi,
Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Mandela ecc.
Tra i relatori, hanno offerto elevati contributi culturali Luciano Corradini, cittadino onorario di Praia; Concetta Sirna (Presidente nazionale dell’ Associazione Pedagogica), Don Giovanni Mazzillo, teologo della
pace; Don Marcello Cozzi, vice-presidente
di Libera; Gianni Novello della Pax Christi; i proff. Benner dell’università di Berlino, Giuseppe Spadafora e Michele Borrelli dell’Unical; Sira Serenella Macchietti e
Sergio Angori dell’università di Siena; Simon Villani e Graziella Scuderi dell’Università di Catania ecc.
Il seminario, nella ricerca delle regole di
vita fondate sull’onestà, si è rivolto ai docenti della scuola, destinatari privilegiati
e interessati nel ri-pensare il Piano dell’offerta formativa del prossimo triennio; inoltre si è rivolto agli studenti universitari e
ai dottorandi interessati per le loro tesi di
laurea sul tema dell’onestà.
La Comunità scientifica dell’Associazione Serio – a nome del Popolo calabrese e
alle città di Praia e Scalea –, ha invitato il
dott. Gratteri a continuare la sua opera di
alacre magistrato, con tenacia e intelligenza che convoglia la solidarietà delle persone oneste. La Rai TV, come sempre, ha redatto il servizio curato da Carla Monaco
QUALEDUCAZIONE • 87
mandandolo in onda il 25 maggio nella rubrica “Buon Giorno Regione”, nel TG delle
14 e poi in quello delle 19.20.
Il presidente dell’Associazione ha ringraziato le Amministrazioni comunali delle
due città per aver patrocinato e reso possibile un processo di gemellaggio culturale
tra i due centri della riviera calabra di ponente, grazie alla creatività dell’Assessore
alla cultura De Paola che ha fatto pervenire all’Associazione presieduta da Giuseppe Serio un comunicato stampa in cui, tra
l’altro, si sottolinea l’alto livello culturale
dell’evento (dal messaggio del Presidente
della Repubblica alla sessione dei giovani,
coordinata da Egidio Lorito.
7. ENCICLICA “CARITAS IN VERITATE”
Vulgata dell’Agenzia Asca
L’ECONOMIA NON È SOLO PROFITTO
MA DONO E GIUSTIZIA SOCIALE
Il mercato, se ridotto alla mera logica del
“profitto” e dello scambio in vista di un guadagno, “non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben
funzionare” e “non può risolvere tutti i problemi sociali”; per questo, l’attività economica deve aprirsi anche all’apporto di altri di
soggetti e di altre ‘logiché, a cominciare da
quella della “gratuità” e del “dono” propria
del messaggio cristiano, senza dimenticare
l’importanza di “leggi giuste” e di “forme di
ridistribuzione guidate dalla politica” e assicurate dagli Stati. Si può riassumere così
la concezione del mercato e dell’economia
esposta da papa Benedetto XVI nella parte
centrale della sua enciclica ‘Caritas in veritate’, diffusa oggi.
Il pontefice chiarisce che la Chiesa non è,
di principio, contraria al mercato e all’ “agire economico” e di non condividere “la visione di quanti pensano che l’economia di mercato abbia strutturalmente bisogno di una
quota di povertà e di sottosviluppo per poter funzionare al meglio”.
“La Chiesa – chiarisce papa Ratzinger –
88 • QUALEDUCAZIONE
ritiene da sempre che l’agire economico non
sia da considerare antisociale” e, anzi, “la società non deve proteggersi dal mercato, come
se lo sviluppo di quest’ultimo comportasse
‘ipso facto’ la morte dei rapporti autenticamente umani”.
Allo stesso modo, però, il papa ammonisce
che “l’attività economica non può risolvere
tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile” e non
a caso “la dottrina sociale della Chiesa non
ha mai smesso di porre in evidenza l’importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale per la stessa economia di mercato”. Per promuovere la “emancipazione”
dell’uomo, e soprattutto dei poveri, l’economia “deve attingere energie morali da altri
soggetti che sono capaci di generarle”.
Tra questi, naturalmente, Ratzinger mette in primo piano il messaggio cristiano, e la
sua ‘logica’ del “dono” e della “gratuità” che
“come espressione della fraternità possono
e devono trovare posto entro la normale attività economica”, non solo alla luce dell’attuale crisi mondiale ma anche per “un’esigenza della stessa ragione economica”.
Allo stesso tempo, però, non bisogna mai
dimenticare le esigenze della giustizia e
dell’equità, che non devono essere mai disgiunte dalla pratica economica. “Forse
un tempo era pensabile affidare dapprima
all’economia la produzione di ricchezza per
assegnare poi alla politica il compito di distribuirla. Oggi tutto ciò risulta più difficile,
dato che le attività economiche non sono costrette entro limiti territoriali, mentre l’autorità dei governi continua ad essere soprattutto locale”.
“STOP A PRECARIETÀ, LAVORO DECENTE PER TUTTI”.
Garantire a tutti “l’accesso al lavoro” – e
anzi a un lavoro “decente” –, rafforzare e
rilanciare il ruolo dei sindacati, combattere la precarizzazione e anche – a meno che
non comporti reali benefici per entrambi i
Paesi coinvolti – la “delocalizzazione” dei
posti di lavoro: papa Benedetto XVI, nella
sua enciclica ‘Caritas in veritate’, lancia un
forte appello contro la frequente “violazione
della dignità del lavoro umano” nel mondo
contemporaneo, che spesso sta alla radice
della “povertà”.
La “dignità del lavoro”, scrive infatti papa
Ratzinger, spesso viene violata “sia perché
ne vengono limitate le possibilità (disoccupazione, sotto-occupazione), sia perché vengono – prosegue il pontefice citando Giovanni Paolo II – svalutati i diritti che da esso
scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del
lavoratore e della sua famiglia”.
“La dignità della persona e le esigenze
della giustizia – argomenta il testo dell’enciclica – richiedono che, soprattutto oggi, le
scelte economiche non facciano aumentare
in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza e che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo
dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti”.
Tutti, insomma, hanno diritto a un lavoro “decente”. Ma cosa significa, si chiede il
papa, “la parola ‘decenza’ applicata al lavoro?”. “Significa – è la risposta – un lavoro
che, in ogni società, sia l’espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna: un lavoro scelto liberamente, che associ
efficacemente i lavoratori, uomini e donne,
allo sviluppo della loro comunità; un lavoro
che, in questo modo, permetta ai lavoratori
di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione; un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli, senza che questi siano costretti essi stessi a lavorare; un lavoro che
permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di far sentire la loro voce; un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale,
familiare e spirituale; un lavoro che assicuri
ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa”.
Il papa mette in guardia da una eccessiva
“mobilità” e “deregolamentazione” del mercato del lavoro, che rischia di compromettere il “capitale umano” dei lavoratori: “Quando l’incertezza circa le condizioni di lavoro,
in conseguenza dei processi di mobilità e
di deregolamentazione, diviene endemica,
si creano forme di instabilità psicologica,
di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza, compreso anche quello
verso il matrimonio.
Conseguenza di ciò è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale”. Non a caso, è proprio “la scienza economica a dirci che una strutturale situazione di insicurezza genera atteggiamenti antiproduttivi e di spreco di risorse umane, in quanto il lavoratore tende ad adattarsi passivamente ai meccanismi automatici,
anziché liberare creatività”.
Allo stesso modo, forti riserve avanza ‘Caritas in veritate’ sui processi di “delocalizzazione” della produzione e del lavoro. Papa
Ratzinger non nega che, in linea di principio, la “delocalizzazione, quando comporta
investimenti e formazione, possa fare del
bene alle popolazioni del Paese che la ospita. Il lavoro e la conoscenza tecnica sono un
bisogno universale”. Ma, ricorda, “non è lecito delocalizzare solo per godere di particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento, senza apportare alla società locale
un vero contributo per la nascita di un robusto sistema produttivo e sociale, fattore
imprescindibile di sviluppo stabile”. Inoltre, prosegue il pontefice, la “delocalizzazione dell’attività produttiva può attenuare nell’imprenditore il senso di responsabilità nei confronti di portatori di interessi,
quali i lavoratori, i fornitori, i consumatori,
l’ambiente naturale e la più ampia società
circostante, a vantaggio degli azionisti, che
non sono legati a uno spazio specifico e godono quindi di una straordinaria mobilità”.
Infine, questo processo ha portato ad una
“competizione tra Stati allo scopo di attirare centri produttivi di imprese straniere, mediante vari strumenti, tra cui un fisco favorevole e la deregolamentazione del
mondo del lavoro”, che ha comportato però
“la riduzione delle reti di sicurezza sociale
in cambio della ricerca di maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i
QUALEDUCAZIONE • 89
diritti fondamentali dell’uomo e per la solidarietà attuata nelle tradizionali forme dello Stato sociale”. In questo modo, “i sistemi
di sicurezza sociale possono perdere la capacità di assolvere al loro compito, sia nei
Paesi emergenti, sia in quelli di antico sviluppo, oltre che nei Paesi poveri”.
Alcune riflessioni il papa le dedica anche
al ruolo dei sindacati che, ricorda, sono “ da
sempre incoraggiate e sostenute dalla Chiesa”. Il pontefice invita le organizzazioni sindacali a “instaurare nuove sinergie a livello
internazionale, oltre che locale” per contrastare quei “governi” che, “per ragioni di utilità economica, limitano spesso le libertà sindacali o la capacità negoziale dei sindacati
stessi”. Ancora più che ai tempi della prima
enciclica sociale della Chiesa, la ‘Rerum novarum’ di Leone XIII del 1891, è necessario
oggi “dar vita ad associazioni di lavoratori
per la difesa dei propri diritti”. Papa Ratzinger invita però i sindacati a rinnovarsi, “superando le limitazioni proprie dei sindacati
di categoria” e riflettendo sul “conflitto tra
persona-lavoratrice e persona-consumatrice”: “Senza dover necessariamente sposare
la tesi di un avvenuto passaggio dalla centralità del lavoratore alla centralità del consumatore – scrive infatti il papa –, sembra
comunque che anche questo sia un terreno
per innovative esperienze sindacali”.
“LAVORATORI IMMIGRATI NON SIANO SOLTANTO UNA MERCE”.
Gli stranieri che arrivano dai Paesi più
poveri in quelli più ricchi in cerca di un lavoro “non possono essere considerati come
una merce o una mera forza lavoro” e hanno
“diritti fondamentali inalienabili che vanno
rispettati da tutti e in ogni situazione”. Lo
scrive papa Benedetto XVI, nella sua terza
enciclica ‘Caritas in veritate’, diffusa oggi.
Il fenomeno delle migrazioni, scrive il
pontefice, “impressiona per la quantità di
persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche
che pone alle comunità nazionali e a quella
internazionale”.
90 • QUALEDUCAZIONE
L’immigrazione è, quindi, “fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una
forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica – prosegue papa
Ratzinger – va sviluppata a partire da una
stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano” e
“va accompagnata da adeguate normative
internazionali”.
“Nessun Paese – ammonisce il papa – da
solo può ritenersi in grado di far fronte ai
problemi migratori del nostro tempo” ed è
per questo che, anche se la sua gestione rimane “complessa” e “nonostante le difficoltà connesse con la loro integrazione”, non si
può dimenticare che i “lavoratori stranieri”
recano “un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro
lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine
grazie alle rimesse finanziarie” e “ovviamente” “non possono essere considerati come
una merce o una mera forza lavoro”.
“Ogni migrante – conclude il papa – è una
persona umana che, in quanto tale, possiede
diritti fondamentali inalienabili che vanno
rispettati da tutti e in ogni situazione”.
“ACQUA E CIBO DIRITTI UNIVERSALI.
SERVONO RIFORME AGRARIE”.
“L’alimentazione e l’accesso all’acqua”
sono “diritti universali di tutti gli esseri
umani, senza distinzioni né discriminazioni”. Lo afferma con chiarezza papa Benedetto XVI, nella sua terza enciclica, ‘Caritas in
veritate’, diffusa oggi. “Il diritto all’alimentazione, così come quello all’acqua – si legge nel testo –, rivestono un ruolo importante per il conseguimento di altri diritti, ad
iniziare, innanzitutto, dal diritto primario
alla vita”.
Il pontefice condanna anche con forza l’
“accaparramento delle risorse, specialmente dell’acqua”, che “può provocare gravi conflitti tra le popolazioni coinvolte”.
Allo stesso modo, la ‘Caritas in veritate’ chiede il coinvolgimento delle “comunità locali nelle scelte e nelle decisioni relative all’uso della terra coltivabile” e una
“equa riforma agraria nei Paesi in via di
sviluppo”.
Per la Chiesa, infatti, “’dare da mangiare agli affamati’, è un imperativo etico”, da
perseguire con ancora più determinazione
nel tempo presente nel quale “la fame non
dipende tanto da scarsità materiale, quanto
piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più
importante delle quali è di natura istituzionale”. “Manca – spiega infatti il papa – un
assetto di istituzioni economiche in grado sia
di garantire un accesso al cibo e all’acqua regolare e adeguato dal punto di vista nutrizionale, sia di fronteggiare le necessità connesse con i bisogni primari e con le emergenze
di vere e proprie crisi alimentari, provocate
da cause naturali o dall’irresponsabilità politica nazionale o internazionale”.
“DIVARIO RICCHI-POVERI È UN RISCHIO. RIVALUTARE RUOLO STATO”.
“L’aumento sistemico delle ineguaglianze
tra gruppi sociali all’interno di un medesimo Paese e tra le popolazioni dei vari Paesi, ossia l’aumento massiccio della povertà
in senso relativo tende a erodere la coesione sociale, e per questa via mette a rischio
la democrazia”. Lo scrive papa Benedetto
XVI nella sua enciclica ‘Caritas in veritate’, diffusa oggi, aggiungendo che l’aumento del divario tra poveri e ricchi ha “un impatto negativo sul piano economico” perché
provoca la “progressiva erosione” del “capitale sociale”, ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto
delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile”.
Il papa afferma però che, anche se la globalizzazione e l’aumento dell’interconnessione globale ha ridotto per certi versi il potere
e la capacità di azione degli Stati, “ragioni
di saggezza e di prudenza suggeriscono di
non proclamare troppo affrettatamente la
fine dello Stato”.
Anzi, grazie alla necessità di trovare una
“soluzione della crisi attuale, il suo ruolo
sembra destinato a crescere, riacquistando
molte delle sue competenze”. “Oggi – argomenta il pontefice – facendo tesoro della le-
zione che ci viene dalla crisi economica in
atto che vede i pubblici poteri dello Stato impegnati direttamente a correggere errori e
disfunzioni, sembra più realistica una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere, che vanno saggiamente riconsiderati e
rivalutati in modo che siano in grado, anche
attraverso nuove modalità di esercizio, di far
fronte alle sfide del mondo odierno”.
“CONTRO CRISI ALIMENTARE PRENDERE IN CONSIDERAZIONE OGM”.
Di fronte alla crisi alimentare mondiale,
“potrebbe risultare utile considerare le nuove frontiere che vengono aperte da un corretto impiego delle tecniche di produzione
agricola tradizionali e di quelle innovative,
supposto che esse siano state dopo adeguata verifica riconosciute opportune, rispettose
dell’ambiente e attente alle popolazioni più
svantaggiate”: un’apertura, anche se prudente e velata, che papa Benedetto XVI fa
nei confronti degli organismi geneticamente modificati (Ogm) nella sua terza enciclica
‘Caritas in veritate’, diffusa oggi.
Per affrontare il problema dell’ insicurezza alimentare potrebbe altresì risultare “utile considerare le nuove frontiere che vengono aperte da un corretto impiego delle tecniche di produzione agricola tradizionali e di
quelle innovative, supposto che esse siano
state dopo adeguata verifica riconosciute opportune, rispettose dell’ambiente e attente
alle popolazioni più svantaggiate”.
Infatti, “sostenendo mediante piani di finanziamento ispirati a solidarietà i Paesi
economicamente poveri – scrive Benedetto
XVI – perché provvedano essi stessi a soddisfare le domande di beni di consumo e di
sviluppo dei propri cittadini, non solo si può
produrre vera crescita economica, ma si può
anche concorrere a sostenere le capacità produttive dei Paesi ricchi che rischiano di esser compromesse dalla crisi”.
“DIFENDERE SIA VITA CHE AMBIENTE. O DANNEGGEREMO ENTRAMBI”.
La difesa dell’ambiente e quella della vita
“dal concepimento alla morte naturale” de-
QUALEDUCAZIONE • 91
vono andare di pari passo oppure si creerà
una “grave antinomia della mentalità e della prassi odierna” che finirà per “avvilire la
persona, sconvolgere l’ambiente e danneggiare la società”. Lo afferma papa Benedetto XVI nella sua enciclica ‘Caritas in veritate”, collegando – come già aveva fatto in
occasione della messa di Pentecoste dello
scorso 31 maggio – l’ecologia “ambientale”
con quella “umana”.
“La Chiesa – scrive infatti il pontefice –
ha una responsabilità per il creato, e deve
far valere questa responsabilità anche in
pubblico”. Ma questa responsabilità, oltre
alla difesa dell’aria, dell’acqua e della terra,
deve puntare soprattutto “a proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso”. “Il degrado della natura – argomenta infatti papa
Ratzinger – è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana”: per
il papa, “se non si rispetta il diritto alla vita
e alla morte naturale, se si rende artificiale
il concepimento, la gestazione e la nascita
dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani
alla ricerca, la coscienza comune finisce per
perdere il concetto di ecologia umana e, con
esso, quello di ecologia ambientale”.
Difesa dell’ambiente e difesa della vita,
del matrimonio, della famiglia, della sessualità cattolica sono come pagine del “libro della natura uno e indivisibile” e “i doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione
con gli altri”.
“RIFORMARE FINANZA PER IMPEDIRE SCANDALOSE SPECULAZIONI”.
La finanza va regolata per “impedire scandalose speculazioni” che provocano “effetti
deleteri sull’economia reale” e cercano solo
il “profitto di breve termine”. Lo scrive papa
Benedetto XVI in alcuni passaggi della sua
enciclica ‘Caritas in veritate’, diffusa oggi.
Il pontefice mette in guardia da “un’attività
finanziaria mal utilizzata e per lo più speculativa”. Oggi, è la sua analisi, il “mercato dei
capitali” è “stato fortemente liberalizzato e
le moderne mentalità tecnologiche possano
92 • QUALEDUCAZIONE
indurre a pensare che investire sia solo un
fatto tecnico e non anche umano ed etico”.
E se “non c’è motivo per negare che un certo capitale possa fare del bene, se investito
all’estero piuttosto che in patria” è necessario però salvaguardare “i vincoli di giustizia,
tenendo anche conto di come quel capitale si
è formato e dei danni alle persone che comporterà il suo mancato impiego nei luoghi
in cui esso è stato generato”.
“Bisogna evitare – scrive ancora il pontefice – che il motivo per l’impiego delle risorse
finanziarie sia speculativo e ceda alla tentazione di ricercare solo profitto di breve termine, e non anche la sostenibilità dell’impresa a lungo termine, il suo puntuale servizio all’economia reale e l’attenzione alla
promozione, in modo adeguato ed opportuno, di iniziative economiche anche nei Paesi bisognosi di sviluppo”.
Bollino verde, invece, nell’enciclica arriva nei confronti del microcredito e della microfinanza, esperimenti che “affondano le
proprie radici nella riflessione e nelle opere degli umanisti civili – penso soprattutto
alla nascita dei Monti di Pietà –”, e che “suscitano apprezzamento e meritano un ampio sostegno”. “I loro effetti positivi – scrive
il papa – si fanno sentire anche nelle aree
meno sviluppate della terra”. Queste esperienze vanno “rafforzate e messe a punto, soprattutto in questi momenti dove i problemi
finanziari possono diventare drammatici per
molti segmenti più vulnerabili della popolazione, che vanno tutelati dai rischi di usura
o dalla disperazione”, non solo nel Sud del
mondo ma anche nei Paesi ricchi, particolarmente “in una fase di possibile impoverimento della società stessa”.
L’enciclica esprime anche un parere favorevole sul commercio “equo e solidale”,
purché “non s’associno a simili esperienze
di economia per lo sviluppo visioni ideologiche di parte”.
“PER FUNZIONARE BENE ECONOMIA
HA BISOGNO DELL’ETICA”.
“L’economia ha bisogno dell’etica per il suo
corretto funzionamento”. Lo scrive papa Be-
nedetto XVI nella sua enciclica ‘Caritas in
veritate’, precisando: “Non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona”.
Il papa loda gli sviluppi della “finanza etica, soprattutto medianto il microcredito e,
più in generale, la micronfinanza” ma, aggiunge, “occorre adoperarsi perché l’intera
economia e l’intera finanza siano etiche e lo
siano non per un’etichettatura dall’esterno,
ma per il rispetto di esigenze intrinseche
alla loro stessa natura”. Allo stesso modo,
il pontefice mette in guardia da un uso della
parola ‘etica’, “ideologicamente discriminatorio, lasciando intendere che non sarebbero etiche le iniziative che non si fregiassero
formalmente di questa qualifica”.
Per papa Ratzinger, invece di distinguere tra “imprese finalizzate al profitto (profit) e organizzazioni non finalizzate al profitto (non profit)” bisogna tenere in considerazione la “ampia area intermedia” tra questi
due modelli sorta negli ultimi decenni. Essa,
spiega, è “costituita da imprese tradizionali, che però sottoscrivono dei patti di aiuto
ai Paesi arretrati; da fondazioni che sono
espressione di singole imprese; da gruppi di
imprese aventi scopi di utilità sociale; dal
variegato mondo dei soggetti della cosiddetta economia civile e di comunione”.
Per papa Ratzinger, “il fatto che queste
imprese distribuiscano o meno gli utili oppure che assumano l’una o l’altra delle configurazioni previste dalle norme giuridiche
diventa secondario rispetto alla loro disponibilità a concepire il profitto come uno strumento per raggiungere finalità di umanizzazione del mercato e della società” ed è quindi
“auspicabile che queste nuove forme di impresa trovino in tutti i Paesi anche adeguata configurazione giuridica e fiscale”. “Esse
– conclude il pontefice –, senza nulla togliere all’importanza e all’utilità economica e
sociale delle forme tradizionali di impresa, fanno evolvere il sistema verso una più
chiara e compiuta assunzione dei doveri da
parte dei soggetti economici. Non solo. È la
stessa pluralità delle forme istituzionali di
impresa a generare un mercato più civile e
al tempo stesso più competitivo”.
“GLOBALIZZAZIONE VA GOVERNATA
MA NO A PROTEZIONISMI”.
Di fronte alla “globalizzazione” non bisogna assumere “atteggiamenti fatalistici” perché, come già detto da papa Giovanni Paolo II, essa “a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne
faranno”. Lo scrive papa Benedetto XVI
nella sua enciclica ‘Caritas in veritate’. Se
da una parte, ragiona infatti il pontefice,
il processo di mondializzazione “è stato il
principale motore per l’uscita dal sottosviluppo di intere regioni e rappresenta di per
sé una grande opportunità”, dall’altra “potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica, divenuta essa stessa un potere ideologico”. Quel che conta, quindi, è “governare
la globalizzazione e a orientarla verso un
vero sviluppo umano”.
Per papa Ratzinger, anche in questa fase
di crisi mondiale, “la diffusione delle sfere
di benessere a livello mondiale non va frenata con progetti egoistici, protezionistici o
dettati da interessi particolari”. Allo stesso
tempo, è però importante che gli uomini non
siano “vittime, ma protagonisti” del processo di globalizzazione: “Opporvisi ciecamente
sarebbe un atteggiamento sbagliato, preconcetto, che finirebbe per ignorare un processo contrassegnato anche da aspetti positivi, con il rischio di perdere una grande occasione di inserirsi nelle molteplici opportunità di sviluppo da esso offerte”. Essi, infatti,
“adeguatamente concepiti e gestiti, offrono
la possibilità di una grande ridistribuzione
della ricchezza a livello planetario come in
precedenza non era mai avvenuto; se mal gestiti, possono invece far crescere povertà e
disuguaglianza, nonché contagiare con una
crisi l’intero mondo”. Bisogna, quindi, “correggerne le disfunzioni, anche gravi, che introducono nuove divisioni tra i popoli e dentro i popoli e fare in modo che la ridistribuzione della ricchezza non avvenga con una
ridistribuzione della povertà o addirittura
con una sua accentuazione”.
“ONU E ONG COSTOSE E BUROCRA-
QUALEDUCAZIONE • 93
TICHE. ORA NUOVO GOVERNO GLOBALE”.
“Gli Organismi internazionali dovrebbero
interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici e amministrativi, spesso
troppo costosi”. La denuncia arriva da papa
Benedetto XVI, che nella sua enciclica ‘Caritas in veritate’ mette l’accento sui costi
eccessivi e sulla poca trasparenza di organizzazioni internazionali – come l’Onu e le
sue agenzie – e Ong, fino ad arrivare a chiedere la nascita di una “vera Autorità politica mondiale”.
Per il pontefice, in alcuni casi, “chi è destinatario degli aiuti diventi funzionale a chi
lo aiuta e che i poveri servano a mantenere
in vita dispendiose organizzazioni burocratiche che riservano per la propria conservazione percentuali troppo elevate di quelle risorse che invece dovrebbero essere destinate allo sviluppo”. Per questo, prosegue,
“sarebbe auspicabile che tutti gli Organismi
internazionali e le Organizzazioni non governative si impegnassero ad una piena trasparenza, informando i donatori e l’opinione
pubblica circa la percentuale dei fondi ricevuti destinata ai programmi di cooperazione, circa il vero contenuto di tali programmi, e infine circa la composizione delle spese dell’istituzione stessa”.
Ma per il papa anche questo potrebbe non
bastare e i problemi dell’attuale assetto internazionale sono strutturali. Quindi, aggiunge, “di fronte all’inarrestabile crescita
dell’interdipendenza mondiale, è fortemente sentita, anche in presenza di una recessione altrettanto mondiale, l’urgenza della
riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica
e finanziaria internazionale”. Di fronte alle
molteplici sfide globali, dalla crisi alle migrazioni, dal riscaldamento globale al disarmo, oggi “urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale” già auspicata da
papa Giovanni XXIII.
Per papa Ratzinger, “una simile Autorità
dovrà essere regolata dal diritto, attenersi
in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla re-
94 • QUALEDUCAZIONE
alizzazione del bene comune” e, inoltre, dovrà essere “da tutti riconosciuta, godere di
potere effettivo per garantire a ciascuno la
sicurezza, l’osservanza della giustizia, il rispetto dei diritti”. “Ovviamente – aggiunge –, essa deve godere della facoltà di far
rispettare dalle parti le proprie decisioni,
come pure le misure coordinate adottate nei
vari fori internazionali. In mancanza di ciò,
infatti, il diritto internazionale, nonostante i grandi progressi compiuti nei vari campi, rischierebbe di essere condizionato dagli
equilibri di potere tra i più forti”.
In particolare, il papa mette l’accento sul
principio della “sussidiarietà” che dovrebbe
ispirare il nuovo governo mondiale. Si tratta, spiega, “di un principio particolarmente
adatto a governare la globalizzazione”: “Per
non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico – conclude –, il governo della globalizzazione deve essere di
tipo sussidiario, articolato su più livelli e
su piani diversi, che collaborino reciprocamente. La globalizzazione ha certo bisogno
di autorità, in quanto pone il problema di
un bene comune globale da perseguire; tale
autorità, però, dovrà essere organizzata in
modo sussidiario e poliarchico, sia per non
ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace”.
“DIFESA VITA CREA SVILUPPO MA
OCCIDENTE IMPONE DENATALITÀ”.
“L’apertura alla vita è al centro del vero
sviluppo” ma, nei Paesi poveri, Ong, governi
e donatori internazionali impongono spesso
aborto, controllo delle nascite e sterilizzazione in cambio degli aiuti allo sviluppo e dei
fondi dei programmi internazionali di sostegno. È la forte denuncia contenuta nella terza enciclica di papa Benedetto XVI, ‘Caritas
in veritate’, diffusa oggi i Vaticano.
Per il papa, non solo “alcune Organizzazioni non governative operano attivamente per la diffusione dell’aborto, promuovendo talvolta nei Paesi poveri l’adozione della
pratica della sterilizzazione, anche su donne
inconsapevoli”: c’è anche il “fondato sospetto” che, “a volte”, i Paesi poveri siano vitti-
me di una sorta di ricatto e che “gli stessi
aiuti allo sviluppo vengano collegati a determinate politiche sanitarie implicanti di
fatto l’imposizione di un forte controllo delle nascite”. A questo scenario si aggiunge il
fatto delle “preoccupanti” “legislazioni che
prevedono l’eutanasia” e delle “pressioni di
gruppi nazionali e internazionali che ne rivendicano il riconoscimento giuridico”.
Papa Ratzinger non manca di sottolineare come gli aiuti internazionali siano stati spesso “distolti dalle loro finalità, per irresponsabilità che si annidano sia nella catena dei soggetti donatori sia in quella dei
fruitori” e denuncia poca trasparenza e eccessivi costi burocratici di Ong e organismi
internazionali. Ma soprattutto, la sua attenzione si concentra sul “tema del rispetto
per la vita, che non può in alcun modo essere disgiunto dalle questioni relative allo
sviluppo dei popoli”.
A bloccare lo sviluppo non sono solo gli
“alti tassi di mortalità infantile” dovuti alla
povertà ma anche le “pratiche di controllo
demografico” e le “politiche di forzata pianificazione delle nascite” ancora diffuse in varie parti del mondo, dove i governi “diffondono la contraccezione e giungono a imporre anche l’aborto”. Per il papa, “considerare
l’aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal
punto di vista economico”, come dimostrano
i “segni di crisi rilevabili nelle società in cui
si registra un preoccupante calo della natalità”. “Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita – prosegue –, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi
a servizio del vero bene dell’uomo.
Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita,
anche altre forme di accoglienza utili alla
vita sociale si inaridiscono”. Non a caso, il
pontefice registra come nei “Paesi economicamente più sviluppati”, le “legislazioni contrarie alla vita” siano ormai “molto diffuse”
e abbiano ormai “condizionato il costume
e la prassi, contribuendo a diffondere una
mentalità antinatalista che spesso si cerca
di trasmettere anche ad altri Stati come se
fosse un progresso culturale”.
Il papa però non esclude che si debba “prestare la debita attenzione ad una procreazione responsabile”, senza ridurre la sessualità “a mero fatto edonistico e ludico” o “semplice fonte di piacere”. Per il papa, un ruolo
centrale in questo ambito deve averlo la famiglia, mentre i programmi di “educazione
sessuale” non possono ridursi “a un’istruzione tecnica, con l’unica preoccupazione di difendere gli interessati da eventuali contagi
o dal ‘rischio’ procreativo”.
Quindi, per papa Ratzinger “l’apertura
moralmente responsabile alla vita è una
ricchezza sociale ed economica”. “Grandi
Nazioni – argomenta – hanno potuto uscire
dalla miseria anche grazie al grande numero e alle capacità dei loro abitanti. Al contrario, Nazioni un tempo floride conoscono
ora una fase di incertezza e in qualche caso
di declino proprio a causa della denatalità,
problema cruciale per le società di avanzato benessere. La diminuzione delle nascite,
talvolta al di sotto del cosiddetto ‘indice di
sostituzione’, mette in crisi anche i sistemi
di assistenza sociale, ne aumenta i costi,
contrae l’accantonamento di risparmio e di
conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la disponibilità di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei “ cervelli “ a cui attingere per le necessità della Nazione. Inoltre, le famiglie di
piccola, e talvolta piccolissima, dimensione
corrono il rischio di impoverire le relazioni
sociali, e di non garantire forme efficaci di
solidarietà”.
“Proporre ancora alle nuove generazioni
la bellezza della famiglia e del matrimonio”
diventa allora, per il pontefice, “una necessità sociale, e perfino economica,”. “In questa prospettiva – conclude –, gli Stati sono
chiamati a varare politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia,
fondata sul matrimonio tra un uomo e una
donna, prima e vitale cellula della società,
facendosi carico anche dei suoi problemi economici e fiscali, nel rispetto della sua natura relazionale”.
QUALEDUCAZIONE • 95
“TERRORISMO E ATEISMO DI STATO
MINACCIANO LIBERTÀ RELIGIONE”.
Tra i fenomeni che oggi minacciano lo sviluppo, c’è anche la “negazione del diritto alla
libertà religiosa”, rappresentata non solo
dal “terrorismo a sfondo fondamentalista”
e dal “fanatismo religioso” ma anche dalla
“promozione programmata dell’indifferenza religiosa o dell’ateismo pratico da parte
di molti Paesi”. Lo afferma papa Benedetto XVI, nella sua terza enciclica ‘Caritas in
veritate’, diffusa oggi.
Per papa Ratzinger, anche se nelle “lotte” e nei “conflitti” che nel mondo si “si combattono per motivazioni religiose” a volte
la matrice religiosa “è solo la copertura di
ragioni di altro genere, quali la sete di dominio e di ricchezza”, resta il fatto che ancora oggi “spesso si uccide nel nome sacro
di Dio”. Queste violenze “frenano lo sviluppo autentico e impediscono l’evoluzione dei popoli verso un maggiore benessere socio-economico e spirituale”, soprattutto nel caso del “terrorismo a sfondo fondamentalista, che genera dolore, devastazione e morte, blocca il dialogo tra le Nazioni
e distoglie grandi risorse dal loro impiego
pacifico e civile”.
Accanto a questi fenomeni di fanatismo
religioso che “impedisce l’esercizio del diritto di libertà di religione”, però, il pontefice segnala però il rischio della “promozione programmata dell’indifferenza religiosa o dell’ateismo pratico da parte di molti
Paesi” che “contrasta con le necessità dello
sviluppo dei popoli, sottraendo loro risorse
spirituali e umane”.
“Dio – spiega infatti papa Ratzinger – è il
garante del vero sviluppo dell’uomo” e per
questo “quando lo Stato promuove, insegna,
o addirittura impone, forme di ateismo pratico, sottrae ai suoi cittadini la forza morale
e spirituale indispensabile per impegnarsi
nello sviluppo umano integrale e impedisce
loro di avanzare con rinnovato dinamismo
nel proprio impegno per una più generosa
risposta umana all’amore divino”.
Questo rischio diventa poi ‘contagioso’
quando i “Paesi economicamente sviluppa-
96 • QUALEDUCAZIONE
ti o quelli emergenti esportano nei Paesi poveri questa visione riduttiva della persona
e del suo destino”. “È il danno – conclude il
papa – che il ‘supersviluppo’ procura allo
sviluppo autentico, quando è accompagnato dal ‘sottosviluppo morale’”.
“DA CULTURA DI MORTE SCENARI INQUIETANTI PER FUTURO UMANITÀ”.
Le biotecnologie, l’aborto, l’eutanasia,
la clonazione e l’eugenetica sono segni di
una “cultura di morte” sempre più diffusa
che apre “scenari inquietanti” per il futuro
dell’umanità . Lo scrive papa Benedetto XVI
in conclusione alla propria enciclica ‘Caritas
in veritate’ dedicata ai temi dello sviluppo
mondiale. Per il pontefice, al giorno d’oggi,
“la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso
che essa implica il modo stesso non solo di
concepire, ma anche di manipolare la vita,
sempre più posta dalle biotecnologie nelle
mani dell’uomo”. Per papa Ratzinger, “stupisce” che da una parte si condanni il degrado sociale ed economico e dell’altra si tollerino “ingiustizie inaudite” in campo bioetico.
“La fecondazione in vitro, la ricerca sugli embrioni, la possibilità della clonazione e dell’ibridazione umana nascono e sono
promosse nell’attuale cultura del disincanto totale, che crede di aver svelato ogni mistero, perché si è ormai arrivati alla radice
della vita”, argomenta il pontefice, che invita quindi a non “minimizzare gli scenari
inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi
potenti strumenti che la ‘cultura della morte’ ha a disposizione”.
“Alla diffusa, tragica, piaga dell’aborto –
mette infatti in guardia il pontefice – si potrebbe aggiungere in futuro, ma è già surrettiziamente in nuce, una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite. Sul versante opposto – prosegue –, va facendosi strada
una mens eutanasica, manifestazione non
meno abusiva di dominio sulla vita, che in
certe condizioni viene considerata non più
degna di essere vissuta”.
“Dietro questi scenari stanno posizioni
culturali negatrici della dignità umana” che
rendono difficile, secondo papa Ratzinger, la
possibilità di uno sviluppo globale. “Come ci
si potrà stupire dell’indifferenza per le situazioni umane di degrado – si chiede –, se
l’indifferenza caratterizza perfino il nostro
atteggiamento verso ciò che è umano e ciò
che non lo è?”.
“Stupisce – prosegue – la selettività arbitraria di quanto oggi viene proposto come
degno di rispetto. Pronti a scandalizzarsi
per cose marginali, molti sembrano tollerare ingiustizie inaudite. Mentre i poveri del
mondo bussano ancora alle porte dell’opulenza, il mondo ricco rischia di non sentire più quei colpi alla sua porta, per una coscienza ormai incapace di riconoscere l’umano. Dio svela l’uomo all’uomo; la ragione e la
fede collaborano nel mostrargli il bene, solo
che lo voglia vedere; la legge naturale, nella
quale risplende la Ragione creatrice, indica la grandezza dell’uomo, ma anche la sua
miseria quando egli disconosce il richiamo
della verità morale”.
“CARITÀ SÌ, MA NELLA VERITÀ E
CONTRO IL RELATIVISMO”.
“Caritas in veritate”, “la carità nella verità”: è questo il titolo scelto da papa Benedetto XVI per la sua terza enciclica, dedicata –
come spiegato nel titolo – al tema dello “sviluppo umano integrale nella carità e nella
verità” e rivolta “ai vescovi, ai presbiteri e
ai diaconi, alle persone consacrate, ai fedeli
laici, e a tutti gli uomini di buona volontà”.
127 pagine, 79 paragrafi corredati da 159
note a pie’ di pagine, quasi 30mila parole,
530mila copie già stampate dalla Libreria
Editrice Vaticana per il lancio di oggi. Il titolo, come di consueto, è tratto dalle prime
parole della prima frase, che infatti recita:
“La carità nella verità, di cui Gesù Cristo
s’è fatto testimone con la sua vita terrena
e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per
il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera”.
Mettendo al centro della sua riflessione il
concetto di “carità nella verità”, papa Rat-
zinger ha scelto, consapevolmente, di rovesciare una famosa espressione di San Paolo,
che nella lettera agli Efesini parla invece di
“veritas in caritate”: la verità, per l’Apostolo delle Genti, va letta nel quadro e ‘a servizio’ di quella che carità che “non avrà mai
fine” ed è la “più grande” delle virtù e delle
capacità del cristiano.
Papa Ratzinger – come spiega egli stesso nei primi paragrafi della sua nuova enciclica – ha preferito invece mettere l’accento sulla “verità” da esprimere nella carità perché “consapevole degli sviamenti e
degli svuotamenti di senso a cui la carità è
andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal
vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la
corretta valorizzazione”. “La carità – spiega
– va compresa, avvalorata e praticata nella
luce della verità”, contribuendo così ad “accreditare la verità, mostrandone il potere
di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale”: un risultato, commenta il pontefice, “di non poco conto oggi,
in un contesto sociale e culturale che relativizza la verità, diventando spesso di essa
incurante e ad essa restio”.
“Senza verità – mette ancora in guardia
–, la carità scivola nel sentimentalismo” e
“l’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente”. In “una cultura senza
verità”, l’amore è infatti fatalmente “preda
delle emozioni e delle opinioni contingenti
dei soggetti, una parola abusata e distorta,
fino a significare il contrario”.
Invece, per il pontefice, “la verità libera la
carità dalle strettoie di un emotivismo che
la priva di contenuti relazionali
e sociali, e di un fideismo che la priva di
respiro umano ed universale”.
Anche nella sfera globale, spiega Ratzinger, “un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per
una riserva di buoni sentimenti, utili per
la convivenza sociale, ma marginali”; senza “un vero e proprio posto per Dio nel mondo”, “senza la verità – denuncia –, la carità
viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni”.
QUALEDUCAZIONE • 97
Non a caso, il pontefice ripete qui la sua
condanna dell’“attuale contesto sociale e
culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero”. Contro queste tendenze, conclude, “vivere la carità nella verità
98 • QUALEDUCAZIONE
porta a comprendere che l’adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo
utile, ma indispensabile per la costruzione
di una buona società e di un vero sviluppo
umano integrale”.
Recensioni
Andrea Porcarelli, Cammini del
conoscere, Giunti, Firenze 2008,
pp. 142, E 9.50
Il saggio fa parte della collana della Giunti “Diogene, filosofia on the road”. La metafora
del cammino non serve all’Autore solo per dare, con la dovuta sinteticità, il titolo al volume: essa è utilizzata sistematicamente per tutto lo svolgimento del discorso, dalla prefazione
di sapore autobiografico, che
rintraccia nel vissuto infantile e adolescenziale la “pulsione
interna” per l’“avventura della
conoscenza”, alla conclusione bibliografica, intitolata “taccuino
di viaggio”. In esso si indicano i
testi di cui l’Autore si è servito
in maniera antologica, per “nutrire la mente” del lettore, durante lo svolgimento dell’avventura cognitiva, immaginata con
un’allieva chiamata Cristina,
eco letteraria del dialogo educativo vissuto fra Cartesio e la
regina Cristina di Svezia.
Andrea Porcarelli affronta il
tema dell’educazione dell’intelligenza in generale e dell’educazione al pensiero filosofico in
particolare, attraverso la consolidata metafora del cammino,
utilizzata qui in modo originale e suggestivo, sulla base della
sua non comune esperienza di
viaggiatore, di escursionista e
di scalatore, formatosi durante
anni di giovanile militanza nello
scautismo. La narrazione infatti è ambientata in una serie di
escursioni nei luoghi più svariati e con le più diverse tipologie
di terreno e difficoltà: a ciascun
terreno corrisponde (in senso
metaforico) un contesto o una
modalità di apprendimento.
a cura di F. SERIO
L’intreccio fra gli scenari e
gli itinerari immaginati e realisticamente descritti, e il dialogo didattico ed educativo fra
docente e discente, è condotto
senza forzature, con lo stupore
di chi riesce a mettere la sua
competenza “tecnica” di escursionista e la sua competenza
culturale di docente di filosofia
a servizio della sua allieva e di
tutti gli allievi a cui è dedicato
questo esempio di dialogo formativo. Non mancano, fra gite
ed escursioni, spedizioni interessanti di gruppo, come quella finalizzata a raccogliere funghi: il che serve per parlare di
cooperazione e di discussione,
con l’aiuto di Cicerone, di Aristotele e con quello delle dispute medievali, di cui si forniscono suggestive citazioni, fruibili
anche didatticamente.
Vengono in mente al lettore
(ma l’autore si guarda bene dal
citare imbarazzanti confronti
con l’“alta fantasia” del sommo
Poeta) alcune situazioni tipiche dei tre viaggi danteschi, in
cui la descrizione dei “luoghi” e
delle avventure anche corporee
dell’Allievo di Virgilio e di Beatrice si sposa con l’evocazione di
tutto il sapere utile a commentare i vissuti di questo illustre
Allievo, per consentire a lui e a
tutti i suoi lettori di conquistare non solo conoscenza, ma fiducia in se stesso, sicurezza e
maturità umana.
Con altro ricordo a noi più vicino si può evocare quanto Mauro Laeng diceva dell’esperienza
di suo padre Gualtiero, insigne
naturalista, che ricercava e elaborava studi e proposte didattiche attraverso le sue escursioni
sulle Alpi. E lui stesso di pre-
sentava come viaggiatore (fu a
lungo membro del direttivo del
Touring Club) che metteva la
sua curiosità, le sue ricerche e
le sue conquiste conoscitive, ad
un tempo scientifiche, filosofiche, psicologiche e pedagogiche,
a disposizione dei suoi allievi e
dei suoi molti lettori, anche attraverso la rivista Didattica delle scienze.
Torniamo a Porcarelli. Che
cosa vuol dire apprendere? In
che senso la gioia del conoscere
si esprime nella meraviglia? …
e quando la conoscenza diventa “faticosa”? C’è una dimensione “amorosa”, una “passione”, che porta a desiderare la
conoscenza? E se questa produce sofferenza, come suggerisce la Bibbia? Come rapportarsi con l’esperienza dell’errore e dei pregiudizi? Si tratta di
domande che accompagnano la
vita di ciascuno di noi, soprattutto quando ci interroghiamo
sul mistero affascinante della
nostra conoscenza e sulle sfide
che continuamente essa rivolge da millenni all’intelligenza
umana. Più ancora tali interrogativi accompagnano il lavoro degli educatori e degli insegnanti, che si chiedono come
aiutare le persone loro affidate
a progredire nel cammino della vita, di cui il “cammino della
mente” rappresenta non l’unica,
ma certamente una dimensione
importante.
Tra le esperienze che ho avuto modo di condividere con Porcarelli vi è quella dei seminari
estivi di formazione organizzati dall’UCIIM e da lui diretti, in
collaborazione con il Comando
Truppe Alpine: esperienze veramente uniche, che hanno con-
QUALEDUCAZIONE • 99
sentito ai docenti partecipanti di formarsi su tematiche di
grande attualità, in particolare
sull’educazione alla pace e alla
cittadinanza, proposte “dai luoghi della guerra”, nel suggestivo scenario dolomitico, in cui si
è potuto fare esperienza di una
formazione all’aperto: in tali occasioni effettivamente il cammino fisico compiuto con l’aiuto di guide esperte ed il cammino della conoscenza si intrecciavano in sintesi sempre nuove.
E a qualcuno dei meno giovani, come il sottoscritto, è capitato di ricordare e di mettere a
frutto le esperienze vissute nei
“campi scuola” della GIAC degli anni ’50, dove s’interiorizza
“dal vivo” lo schema della vita
come ascesi e come compagnia,
anche attraverso le “lezioni attive” proposteci dai “capi”.
In effetti il contesto dell’apprendimento, direttamente vissuto o ricostruito con l’immaginazione, gioca un ruolo cruciale nella costruzione dell’identità personale. Il cammino potrà
essere piano e gradevole, ma capiterà anche di incontrare terreni incerti e scivolosi. Per questo conviene dedicare, come fa
Porcarelli, un’attenzione speciale alla motivazione dell’allievo e alla qualità del dialogo con
lui. Si può sviluppare, in questo
dialogo, un interesse (Eros per i
greci) che “mette le ali” all’anima e le consente di raggiungere le più alte vette della conoscenza: il che, nell’intreccio degli itinerari metaforici, è rappresentato da un’appassionante ascensione sui ghiacciai del
Monte Rosa.
Questo non significa che
nell’esperienza del conoscere
manchino le difficoltà, come
sappiamo anche per esperienza
diretta. Ma anche gli “incidenti
critici” che si verificano sul cammino della conoscenza (simili ad
alcune “scivolate” che si possono
100 • QUALEDUCAZIONE
sperimentare camminando sui
pendii bagnati dopo una pioggia abbondante), possono essere istruttivi e aiutarci a crescere, così come cresciamo imparando dalle nostre esperienze
e dai nostri errori.
Tutto il testo è pervaso anche
da un’altra istanza, una metafora nella metafora, che è quella di pensare a come il cammino dell’apprendimento (rappresentato dall’allieva Cristina) s’
intreccia con il percorso di colui che insegna (rappresentato dall’io narrante dell’autore),
evidenziandone, anche sulla
scorta delle classiche analisi di
Agostino e di Tommaso, la funzione e la responsabilità. Diceva
don Milani che “il sapere serve
solo per darlo”. Se è pur vero che
l’apprendimento è anche fonte
di gioie che sono premio a se
stesse, a mano a mano che progredisce il cammino della conoscenza dovrebbe crescere contestualmente la volontà di accompagnare altri su tale cammino:
una gioia spirituale che, se viene condivisa, risplende di una
luce ancora più vivida.
Nel racconto, che è anche riflessione e meditazione, compaiono situazioni e concetti che si
trovano sparsi qua e là nella ricerca didattica contemporanea
sulle conoscenze, sulle abilità,
sulle competenze, sugli obiettivi, sui progetti e sui percorsi. Il
camminare, vissuto e rievocato,
è più vicino alle esistenze delle persone, e consente di vivere l’esperienza della “fatica del
concetto” di hegeliana memoria,
a partire da sensazioni, da emozioni e da eventi conosciuti o almeno rappresentati con l’immaginazione e con l’identificazione nel racconto del maestro. In
fondo ogni classe dovrebbe essere un po’ come uno scenario di
montagna e come una palestra
di roccia, in cui il docente “fa sicurezza”, e ogni insegnante un
po’ come Cartesio, alla ricerca
di una sua regale Cristina: la
quale però, dato che la fantasia
può correre, dovrebbe avere abitudini non così mattutine come
la regina di Svezia, e non addormentarsi durante una lezione
di… alpinismo culturale.
Andrea Porcarelli, Lineamenti
di Pedagogia sociale, Armando,
Roma 2009, pp. 176, E 16,00.
Sarà capitato a molti, come
al sottoscritto, di occuparsi di
pedagogia sociale senza saperlo, ossia senza avere riflettuto,
con attenzione epistemologica,
su quel tipo di sapere che è comparso col nome di Sozialpaedagogik solo nel 1899, con Paul
Natorp, e che da noi è arrivato
in primis per l’impegno teorico di Aldo Agazzi, Carlo Perucci e Mario Mencarelli: i quali,
in dialogo non sempre esplicito
con i colleghi di ascendenza deweyana, come Raffaele Laporta,
hanno aperto una strada utile
ad ottenere la piena disciplinarizzazione della pedagogia sociale in sede accademica. Mauro Laeng le ha dedicato un’apposita voce, affidata a Domenico Izzo, nella sua Enciclopedia
pedagogica, solo nell’ultimo volume (Appendice A-Z, La Scuola, 2003). Gli autori citati, nel
corso degli anni ’70, anni caratterizzati dal ribollire di un
magma sociale spesso sequestrato da istanze di tipo movimentistico, politico e giuridico,
si sforzarono di guadagnare un
punto alto, ma non fumoso, di
riflessione pedagogica, utile a
capire e a cambiare la realtà sociale, senza confondere il “nuovo” sapere con la pedagogia generale, con la filosofia sociale,
la sociologia dell’educazione, o
addirittura con l’educazione sociale. Sono giunti poi, motus in
fine velocior, i lavori di Claudio
Volpi, Luisa Santelli, Giuditta
Alessandrini, Vincenzo Sarracino, Mario Pollo, Franco Blezza,
Luigi Pati.
Un ulteriore contributo, utile a chiarire questa materia e
a presentarla agli studenti in
modo insieme chiarificatore e
formativo, sobrio e “nutriente”, viene ora da questi Lineamenti di Andrea Porcarelli, che
mi pare abbia sostanzialmente
raggiunto l’obiettivo di fornire una panoramica complessiva della genesi e della natura
teorica e pratica di questa disciplina, a partire dalle sue radici greche, con l’abilità di non
cadere nelle secche dell’epistemologismo spinto, e neppure di
naufragare nel mare magnum
della società, dei suoi conflitti
e del suo sempre problematico
e insieme indispensabile compito educativo.
Le discussioni di natura epistemologica sull’identità della
PS come scienza trovano una
naturale continuità nella riflessione che – in conclusione della prima parte del libro (p. 77 e
sgg.) – si interroga sulla “cultura professionale” degli educatori che sono investiti di una
responsabilità esplicita a livello sociale.
La seconda parte del libro
propone una selezione esemplificativa di alcuni grandi temi
della pedagogia sociale, con l’intento di mostrare come i catalizzatori teorici messi fuoco nella prima parte possano venire
messi “alla prova” in alcuni contesti specifici.
Di particolare interesse è il
tentativo di rileggere il senso
complessivo dei più celebrati documenti internazionali
(UNESCO, OCSE, UE) in una
prospettiva pedagogico-sociale, di tipo personalistico, che
valorizza, come sfondo integratore, la Dichiarazione universale dell’ONU sui diritti uma-
ni. L’A. si chiede quali possano essere le “leve pedagogiche”
per la rigenerazione delle competenze sociali e civiche di cui
parla la stessa UE. Senso del
“noi” da ricostruire, ai diversi
livelli (familiare, scolastico, locale, regionale, nazionale europeo e mondiale) col ricupero di
“grandi narrazioni” troppo presto liquidate, sono le premesse
per la costruzione di una “città
interiore” che intercetti quanto
resta della “città educativa” di
Edgar Faure (1972), con l’impegno di ricuperarne, anche nella
logica della sussidiarietà e del
volontariato, le valenze formative ancora da esplorare nella
società mondializzata, multiculturale e informatizzata del
nostro tempo.
Luciano Corradini
Nicola Gratteri Antonio Nicaso Valerio Giardina, Cosenza,
’ndrine, sangue e coltelli, Cosenza, Pellegrini 2009, pp. 190
E 15.00
Dopo il successo del saggio/
denuncia Fratelli di Sangue;
del Grande Inganno ad opera
dei primi due coautori e di Michele Borrelli per la parte didattica; arriva quest’altro, sempre
ad opera dei primi coautori a
cui si aggiunge il tenente colonnello dei Carabinieri Giardina,
noto investigatore della Procura di Reggio Calabria. A Gratteri, sostituto Procuratore della
Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, recentemente la Fondazione Culturale Gianfrancesco Serio di Praia
a Mare ha conferito il 15° Impegno per la pace nell’ambito
delle tre giornate del convegno
internazionale sull’Educazione
all’onestà (già conferito a Madre Teresa di Calcutta, Antonino Zichichi, Don Antonio Riboldi ecc.). Con Nicaso e gli altri ha
pubblicato i tre libri – editi da
Pellegrini – ottenendo grande
successo, soprattutto nel mondo
giovanile in cui gli Autori hanno
raccolto e raccolgono consensi
significativi da parte di studenti e intellettuali impegnati nell’
educazione alla legalità.
Cosenza, ’ndrine, sangue, coltelli è il primo volume della nuova collana editoriale voluta da
Walter Pellegrini che, sin dal
primo volume della precedente
collana, Il filo di Arianna, che
si è soprattutto occupata delle mafie in prospettiva storica,
ha dimostrato e dimostra il coraggio necessario di un grande
editore meridionale che si propone di far conoscere non solo
e non tanto al vasto pubblico
interessato al problema della
piovra quanto, soprattutto, ai
mondi della politica sporca e
collusa con le mafie e della Politica autentica presente sulla frontiera dell’onestà. Seguiranno poi i volumi riguardanti
le altre quattro province della
regione bruzia.
La ’ndrangata non va solo
raccontata, ma spiegata, capita, combattuta, anzi, prevenuta “inforcando occhiali con lenti bifocali” per spaziare nel globale dove si occupa di tutto essendo nelle condizioni di poter
comprare tutto, anche la politica (sporca) e nel locale… dove sa
infiltrarsi con astuzia … Chi legge questo libro, a primo acchito,
si sente a disagio, diventa triste,
disorientato, sgomento! Si rende
conto che i fatti tragici, avvilenti raccontati dai tre Autori
aprono la finestra da cui si scorge un mondo diverso da quello
in cui ci si illude di vivere… Le
lenti bifocali dischiudono il “globale” (in cui operano spregiudicatamente uomini senz’anima –
i mafiosi, appunto –) e il “locale” sulla punta del nostro naso:
quelle lenti di Gratteri, Nicaso e
Giardina mettono sotto i nostri
QUALEDUCAZIONE • 101
occhi smarriti la Calabria vera,
la Cosenza vera gestita da “un
mix di sangue e potere”; altro
che l’isola felice di cui si è tanto
stupidamente parlato con il falso linguaggio di una certa Cosenza in cui si è sviluppato “un
sistema disumano di violenza”,
un’orribile connessione di finanza e politica.
Le mani sporche di sangue di
certi delinquenti, vestiti con gli
abiti dei potenti, si sono posate, invece, dappertutto: su droga, usura, rifiuti tossici, prostituzione, lavoro nero … Ma la
’ndrnagheta, – dicono gli Autori – non è invincibile! La si
può vincere se il potere assume
il volto del servizio civico e se i
giovani, la Scuola, l’Università,
la Chiesa si organizza coraggiosamente per abbattere il muro
dell’ipocrisia, come dice Badolati nella Prefazione; se con gli
Autori anche i lettori, i cittadini
della Calabria, “onestamente” ,
“amaramente” riflettono sulla
storia degli ultimi 50 anni di “litanie false” e dolorosamente nefande; se tutti, oggi, riflettiamo
Schede
Franco Emilio Carlino, La
scuola che cambia. Ieri e oggi
vista dal di dentro, Grafosud
Rossano 2006
C’è la prefazione dell’ispettore del MIUR Franco Martignon
il quale dice che “l’autore colloca la sua testimonianza fra gli
elementi stessi del cambiamento e il suo ‘io c’ero’ fa diventa-
102 • QUALEDUCAZIONE
seriamente sull’analisi devastante di Eugenio Facciolla con
cui si conclude il volume.
La riflessione serve per sperare, ciascuno a seconda del ruolo che gli compete (magistrato o
politico o prelato o cittadino) in
un futuro fondato sull’onestà a
condizione che ciascuno lo sia
sempre e dappertutto (nella famiglia, nella scuola, nelle istituzioni). Dunque, grazie agli
Autori e all’Editore per il regalo dell’estate 2009.
Giuseppe Serio
Antonia Rosetto Ajello Dalla piramide al batterio. Pedagogia
del lavoro e delle risorse umane per la pubblica Amministrazione Milano 2009, Franco Angeli editore
Nella Piramide sono collocate geometricamente gli elementi irrazionali e a-razionali che
costituiscono il mondo del lavoro: fabbriche, uffici e negozi
che “sono le strutture della vita
organizzata secondo una razio-
nalità strumentale in cui i rapporti si vuole seguano direzioni
e piste ben definite.” (dall’Introduzione, p. 7). L’A fa riferimento, nel corso della sua originale o quanto meno poco praticata attività di ricerca, a “filosofi
e pensatori di matrice diversa”
(Idem, p12).
Le tematiche affrontate hanno un vasto fondamento bibliografico da Bobbio a bufera, da
Maritain a Morin, a Weil) passando dalle Coordinate pedagogiche per ripensare il lavoro
al Cambiamento organizzativo nella Pubblica Amministrazione e negli Enti Locali; dai
Nodi cruciali per una gestione
formativa delle risorse umane
alle Conclusioni ragionate della ricerca in cui Rosetto Ajello
esprime la sua convinzione “che
sia possibile sen’altro migliorare la qualità della vita” (p. 130)
per dare all’uomo che lavora fiducia e speranza nel futuro (in
cui responsabilità e cittadinanza orientino l’attività umana rispettosa delle “regole” di vita.
Giuseppe Serio
rubrica diretta da F. SERIO BRUNELLI
re vissuto ciò che solitamente è
narrato, rende diretto ciò che
abitualmente è raffreddato dal
documento o appannato dall’incertezza delle prove”; il volume
raccoglie, perciò, le espressioni
“della vita in diretta” di un docente cattolico impegnato..
Segue l’introduzione dall’autore che, dopo aver riepilogato
le sue precedenti pubblicazioni,
afferma di non voler “interrompere il ritmo frenetico del mio
lavoro” e trova anche il modo
di continuare a “riflettere sul
cammino fatto e fare una accurata analisi, in questi anni,
realizzato”.
L’analisi si estende per tutta
la lunghezza di circa 300 pagine
del libro passando per i seguenti argomenti Autonomia e rifor-
ma scolastica (Cap. I suddiviso
in 61 argomenti); Formazione e
funzione docente (Cap. II in 45
sottotitoli); Problemi e gestioni
degli organi collegiali (Cap. III,
50); L’orientamento scolastico e
professionale (Cap. IV, 20 tematiche); L’impegno associativo
nell’ UCIIM (Cap. V, l’Appendice in 19 punti della storia della
sua sezione e della sua fedeltà
e coerenza associativa.
Insomma, è un’analisi panoramica e, qua e là, anche puntuale di tematiche forti che hanno fin qui caratterizzato il percorso critico e non sempre rettilineo del processo di sviluppo
del sistema scolastico italiano.
Per questa enorme, vasta testimonianza, tra l’altro anche documentata, credo che si debba
dire grazie a Carlino per aver
contribuito a costruire la storia
della scuola dell’Italia repubblicana.
(G.S.)
Franco Carlino (a cura di),
Le attività della Sezione giorno dopo giorno. Bilancio di un
sessantennio, Grafo Sud Rossano 2007
Il curatore, come già in passato, ha raccolto i “Percorsi” della
Sezione UCIIM di Rossano che
rappresentano le attività svolte durante l’arco di sessant’anni dai soci di Rossano Calabro in
cui si sono succeduti vari presidenti tra cui Anna Biscazza Madeo e il curatore del saggio.
Si tratta della raccolta degli
atti della sezione e dei documenti che l’hanno accompagnata lungo i suoi sessant’anni di
vita prosperosa ed evolutiva.
Ministero per i Beni e le Attività culturali, Libro bianco sul
dialogo interculturale, Vivere
insieme in pari dignità, Strasburgo 7 maggio 2008
Consiglio d’Europa, Ministri
degli Affari Esteri. Tous differents, tous ègaux. Come rispondere alla diversità delle persone
nel mondo globalizzato? La risposta è del Ministro Bondi assieme ai suoi 47 colleghi europei. Nella prefazione, il Ministro sottolinea che il libro è stato elaborato dal Consiglio d’Europa ed è lo “strumento per per
promuovere la cultura del dialogo democratico, rafforzare la
cittadinanza partecipativa” (p.
7) sviluppando una sensibilità
interculturale che sia capace
di promuovere la cultura della convivenza pacifica, fondata, naturalmente, sulla giustizia sociale.
Segue la presentazione di
The Right Homorutable Terry
Davis, Segretario Generale del
Consiglio d’Europa, il quale precisa che “il dialogo interculturale è un lavoro in continuo divenire” nell’ Europa e nel mondo
in trasformazione veloce e continua.. L’importante strumento conclude il libro con
11 raccomandazioni sulla
lotta al razzismo e alle discriminazioni razziali.
lo dedica ai figli affinché “coltivino responsabilmente la cultura del risparmio” proprio in un
momento in cui il consumismo
si manifesta senza regole, senza
responsabilità., con lo stile della
cicala che mangia e canta senza
pensieri per la testa.
Nella prefazione alla I Edizione si legge che “il risparmio
è un principio dell’Educazione”
(G Jusi, indimenticabile educatore, autentico Maestro, dolcissimo amico ritornato nella Casa
del Padre da alcuni anni). Jusi
contina precisando che “Luigi
Pellegrini non ha inteso risolvere il problema né ha voluto
una definizione della didattica
del risparmio”, bensì ha offerto
preziosi suggerimenti ai docenti
della scuola primaria svolgendo
delle considerazioni tuttora valide e preziose.
(G.S.)
Luigi Pellegrini, La didattica del risparmio, Cosenza, Editore Pellegrini, pp.
42, 2007 II edizione.
Nella copertina, curata da Francesco Lupinacci, campeggia un salvadanaio geometrico che sintetizza l’idea con cui Pellegrini senior da vita alla
nuova collana dell’Editrice
(da lui fondata nel 1952):
Educazione alla responsabilità; un’idea forte per accogliere altri saggi come il
suo in contro-tendenza con
la moda contemporanea
nel campo dell’Economia e
dell’Etica. Il saggio, infatti,
QUALEDUCAZIONE • 103
Stampato da
Pellegrini Editore
Cosenza
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