Crisi, riforme e nuovi assetti
di welfare: alcune riflessioni
Nicola Matteucci
DESS - Facoltà di Economia, UNIVPM, Ancona
UNU-MERIT, Maastricht
Struttura dell’intervento
 Lo stato del welfare italiano (in prospettiva
comparata), e il lungo e tormentato processo di
implementazione del nuovo welfare “decentrato”
 Alcune evidenze di breve-medio periodo sulle
politiche sociali ed economiche in Italia
 Il dibattito su crisi economica e crisi sociale:
alcuni spunti dalla letteratura (inclusa quella:
“Happiness and Economics”)
 Le sfide all’orrizzonte nell’età della
globalizzazione
Fr
an
ci
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a
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(
Es a)
Le ton
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a
(a
)
Spesa per la protezione sociale nei paesi Ue - Anno 2006
(% PIL)
35
30
Fonte: Eurostat, Esspros
(a) Dati provvisori.
Ue27 (a)
25
20
15
10
5
0
Fin
Por
Gre
Slo
Un
Spa
Lus
Pol
Re
Cip
Irla
Ma
Slo
Bul
Ro
Litu
Spesa per protezione sociale -UE- 2006 (€ pro capite)
Paesi
Valori Paesi
Valori
Lussemburgo
14.672 Portogallo
3.724
Danimarca
11.764 Cipro
3.517
Svezia (a)
10.589 Slovenia (a)
3.496
Paesi Bassi (a)
9.683 Malta
2.271
Francia (a)
9.078 Repubblica Ceca
2.064
Austria
8.908 Ungheria
1.989
Belgio
8.845 Polonia
1.373
Finlandia
8.429 Estonia
1.316
Regno Unito (a)
8.317 Slovacchia (a)
1.209
Germania (a)
8.088 Lituania (a)
936
Irlanda
7.584 Lettonia (a)
859
ITALIA (a)
6.689 Bulgaria
632
Grecia
4.652 Romania
491
Spagna (a)
4.632 Ue27 (a)
6.349
Spesa per prestazioni di protezione sociale in Italia per funzione Anni 2002-2008 (Quote %)
Malattia/salute
Invalidità
Vecchiaia
Superstiti
Famiglia, maternità, infanzia
Disoccupazione e altra esclusione sociale
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
2002
2003
Fonte: Istat, Conti economici nazionali
2004
2005
2006
2007
2008
Protezione sociale: un bilancio bloccato?
FUNZIONI
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Malattia/salute
25,5
25,1
26,1
26,7
27,0
26,2
26,5
Invalidità
6,0
6,2
6,0
5,9
5,8
6,0
5,9
Vecchiaia
51,7
51,9
51,1
50,8
50,7
51,4
51,2
Superstiti
10,4
10,2
10,0
9,9
9,8
9,7
9,5
Famiglia,
maternità,
infanzia
4,3
4,4
4,5
4,4
4,5
4,7
4,6
Disoccup. e
altra
esclusione
sociale
2,1
2,2
2,2
2,3
2,3
2,1
2,3
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Dieci anni dopo la legge 328/00…
 La legge quadro 328/00: riarticolazione delle politiche socioassistenziali tra i due livelli – Stato e Regioni/Enti locali, con
l’introduzione di un livello minimo uniforme di tutela nazionale
(tuttora mancante) e il decentramento della potestà di definizione e
gestione delle politiche sociali a livello regionale/locale.
 Questa linea di intervento veniva supportata dalla successiva
riforma del Titolo V della Costituzione, che riconosceva nelle
Regioni i soggetti più idonei a formulare e monitorare l’assistenza
secondo i bisogni emergenti dal territorio.
 Alla delega legislativa, però, non è finora corrisposta la delega
“sostanziale”, ossia quella delle risorse economiche, certe e
pianificabili.
 Quello che è stato dato negli anni precedenti (poco), viene
drasticamente tagliato in tempi di crisi.
 Spiegazione basata sui vincoli finanziari, o sulle priorità di azione
politica?
 La mia tesi finale punterà sulle seconde, allargate a considerazioni
di ordine filosofico-ideologico.
Ente locale: articolazione fondamentale
del sistema di politiche sociali
 Nel corso di questo decennio, il livello decentrato di intervento
(specie i comuni) ha fatto fronte, insieme al “volontarismo” del Terzo
Settore e della società civile, alla progressiva espansione del
disagio sociale nella società italiana:
 Indizi: estensione dell’area al di sotto della soglia di povertà,
disuguaglianza reale, scarsa mobilità sociale e polarizzazione dei redditi
e della ricchezza (10% italiani raccoglie il 50%) (cfr. Franzini, 2010,
ISTAT, OECD)
 Qualche cifra su questo ruolo: nel 2008, i Comuni italiani (da soli o
in associazione) hanno speso in interventi e servizi sociali 6.662
milioni € (0,42% Pil) (cfr. ISTAT, 2011a).
 2003-2008: spesa media pro capite dei Comuni esibisce una
dinamica di leggera crescita reale: dai 90 € nel 2003 ai 111€ nel
2008 (+8,9% sul periodo, al netto inflazione).
 Forti differenze territoriali tra aree geografiche: dai 30 € per
residente della Calabria ai 280 € della Provincia autonoma di Trento.
 Quali diritti di cittadinanza? Stimolo alla continuazione dei fenomeni
migratori e spopolamento SUD.
I FONDI STATALI DI CARATTERE SOCIALE
 Vediamo il periodo più recente, con la dinamica dei
FSCS, caso emblematico.
 I FSCS rappresentano una quota di finanziamento
importante per le politiche socio-assistenziali, sia centrali
che locali, in quanto “dedicata”.
 Consta di 10 fondi:4 introdotti nel 1997-98, 6 nel 2006-07
 Essi racchiudono vari capitoli di spesa, diretti
all’individuo, alla famiglia o a comunità di vario genere.
 Vari gli ambiti di intervento (dalla disabilità alla
formazione, dal recupero e reinserimento sociale alla
tutela del potere di acquisto di classi deboli, dal
volontariato civile ai servizi per l’infanzia).
 Una parte di essi, erogata attraverso le Regioni e i
Comuni, supporta la rete dei servizi sociali territoriali.
I FONDI STATALI DI CARATTERE SOCIALE
 FSCS: a dispetto della quota ridotta, oggetto di continui
tentativi di tagli, a cui seguono rinegoziazioni e talora
parziali recuperi, grazie a Conferenza delle Regioni e
delle Province Aut. (cfr. CONF REG 2010)
 I tagli ai FSCS vengono “da lontano”: nel 2005,
clamorosa rottura dei rapporti istituzionali fra Governo e
Regioni per il dimezzamento del Fondo nazionale
politiche sociali
 Nel periodo più recente (2008-11), anche scontando
alcuni cambiamenti intervenuti nella definizione dei
singoli Fondi e capitoli di spesa, emerge una dinamica
negativa generalizzata dei FSCS (cfr. grafici seguenti)…
 …una buona celabrazione per l’Anno Europeo di lottà
alla povertà e all’esclusione sociale…
I FONDI STATALI DI CARATTERE SOCIALE
(Bil. Prev. Stato – milioni €., www.nens.it )
Fondo per le politiche 1000
della famiglia
Fondo pari opportunità 900
Fondo politiche giovanili
800
700
Fondo infanzia e
adolescenza
Fondo per le politiche
sociali (*)
Fondo non
autosufficienza
Fondo affitto
600
500
400
300
200
Fondo inclusione
immigrati
Fondo servizi infanzia
Fondo servizio civile
100
0
2008
2009
2010
2011
2012
2013
I FONDI STATALI DI CARATTERE SOCIALE: la
riduzione della “torta”
(Bil. Prev. Stato – milioni €. e variazioni % )
2008
Totale
FSCS
2009
2010
2011
2012
2013
2.526,7 1.757,3
1.472
538,3
340
271,1
-30,4%
-16,2%
-63,4%
-36,8%
-20,3%
Δ % anno
preced
Δ % 201108
Δ % 201308
-78,7%
-89,3%
Δ ass. 2013-08:
-2.255,6
I FSCS: il perché della riduzione della
“torta”
 Il calo dell’aggregato totale dei FSCS è stato
particolarmente drastico nel 2011.
 Rispetto all’anno precedente, i valori previsivi parlano di
un calo del 63%
 Rispetto ai valori iniziali (del 2008): il taglio dei FSCS ad
oggi è del 79%
 Al 2013 (dati di previsione) il taglio intervenuto nei FSCS
sarà del 89%
 In termini assoluti, questo significherà la cancellazione, a
regime, di 2.255,6 milioni €
 “E’ tutta colpa della crisi”?
 E, al di la della causa, esistono valide ragioni
economiche, oltre che socio-politiche, per farlo?
I cinque maggiori FSCS al 2008
Mil. € 2008
% 2008
% 2011
% 2013
346,5
13,7%
9,6%
11,6%
Fondo politiche
sociali
I
929,3
36,8%
50,9%
16,5%
Fondo non
autosufficienza
300,0
11,9%
0,0%
0,0%
Fondo affitto
205,6
8,1%
6,1%
5,3%
Fondo servizio
civile
299,6
11,9%
20,6%
41,7%
2.526,7
100%
100%
100%
Fondo politiche
famiglia
TOTALE FSCS
II
FSCS: esiste una logica nei tagli?
 Oltre al dato macroscopico dell’entità del taglio, colpisce anche la
erratica riallocazione delle poche risorse:
 Il fondo per le politiche sociali, destinatario di oltre un terzo delle
risorse nel 2008, ne raccoglierà il 16% nel 2013
 Altri fondi espressione di bisogni incomprimibili (Fondo non
autosufficienza) vedono azzerate le loro dotazioni, in assenza di
misure alternative
 Indizi di una “logica finanziaria” e di una gestione “per cassa” delle
politiche sociali (cfr. più oltre)
 IMPATTO: da un mero punto di vista economico (facciamo cioè
l’avvocato del diavolo….lasciamo stare valutazioni di impatto
sociale, politico ed infine, etico):
 Innanzitutto, l’entità del taglio costringe i soggetti eroganti i servizi a
cancellare ogni piano di consolidamento e/o strategia di espansione
delle attività e dei livelli di servizio (FUTURO).
 Ancor più, simili rapidi tagli minano la stessa sostenibilità economicofinanziaria (e quindi operativa) dell’esistente (PRESENTE).
ESITI ECONOMICI DEI TAGLI
 A differenza di altri settori economici, questo settore non può
riorganizzare in fretta le proprie fonti di finanziamento e di
remunerazione delle attività, per la natura prevalente “non vendibile”
dei servizi offerti
 Molte di queste attività sono gestite da enti locali già colpiti dalle
manovre di finanza pubblica, sotto altri fronti (es: altri divieti imposti
dai coevi provvedimenti di stabilità)
 Contemporaneamente, alcune redditizie attività per l’ente locale
sono bloccate dall’imposizione di forzose (!) partnership con il
privato (gestione rifiuti, energie alternative), limitandone
ulteriormente l’autonomia operativa e strategica.
 Inoltre, dal lato della domanda, questa riduzione di offerta interessa
bisogni di assistenza dotati di un forte grado di persistenza
temporale (in alcuni casi cronico-irreversibili)
 Vi sono poi chiare esigenze sociali crescenti (si pensi ai crescenti
fenomeni migratori e all’azzeramento del relativo Fondo, o
all’invecchiamento della popolazione in genere).
 Domanda elastica al prezzo, rigida ai bisogni, con contestuale
riduzione offerta: ESPULSIONE DALLA FASCIA DI PROTEZIONE
ESITI ECONOMICI DEI TAGLI
 Distruzione di parte delle reti di strutture e servizi assistenziali
faticosamente organizzate sul territorio in oltre un decennio di
“stentata” applicazione della legge quadro 328/00.
 Distruzione di professionalità critiche, non reimpiegabili altrove, e
mortificazione di operatori in professioni già ad alto rischio di
“burnout”
 Notevole impatto negativo dei tagli sui redditi e i consumi, a
motivo della natura labour-intensive del settore.
 Miopia delle politiche fiscali restrittive, di fronte ad una crisi
macroeconomica di chiaro deficit di domanda (crollo dei consumi
e vincolo di cambio)
 Effetti chiaramente recessivi delle attuali politiche di stabilità, che
si aggiungono a quelli degli shocks esterni (cfr. www.lavoce.info).
VERSO QUALE MODELLO DI WELFARE
DECENTRATO?
 Nei tagli, esiste un briciolo di visione strategica?
 Tagli simili, anche per le modalità, contraddicono il
principio di sussidiarietà (invalso sin dalla legge
59/1997): il privato sociale, prima chiamato come partner
ad affiancare l’ente locale nella progettazione e gestione
dei servizi, in periodo di vacche magre viene “scaricato”,
proprio quando il suo ruolo sociale diviene critico…e lui
non può delocalizzare….!!!!
 In prospettiva, bozze di federalismo fiscale ambigue
lasciano intravedere nuove leve di imposizione fiscale
sul territorio per finanziare i servizi sociali…ma non si
pensa al quadro economico profondamente sfibrato,
quanto a capacità produttiva e competitiva, e quindi
quanto a potenziale impositivo (cambiamento strutturale
dell’economia e riconversione, delocalizzazione
all’estero…)
A proposito di priorità sbagliate di politica
economica e fiscale…
 Rafforzamento ammortizzatori sociali con “Pacchetto
giochi” (nuovi tipi di gioco – VLT, slots “intelligenti” -più
licenze, nuove scommesse), per gettito addizionale
previsto di 1.000 mil. €.
 Cfr. il finanziamento alla Ricerca Universitaria dopo i tagli
con il cosiddetto Scudo Fiscale (cifre ?).
 Gioco (d’azzardo) di Stato: settore di 120.000 addetti
(terza industria dopo ENI e FIAT). 400.000 utenti (o
gioco-dipendenti?)
 Crescita recente a due cifre: 2008: 47.500 mil, 2009:
54.780 mil, 2010: 61.500 mil (4% PIL). 2011: 80.000 mil.
(stima)
 Ormai le slots sono ovunque. Pervasive in ambienti
frequentati da minori.
 Quali controlli? (gli stessi delle macchinette distributrici di
sigarette?)
 E i maggiorenni (pensionati in primis), chi li controlla?
A proposito di priorità sbagliate di politica
economica e fiscale…
 Tassazione nel complesso molto generosa: 2% dei
proventi per le videolotterie,3% poker,12% slot machines
e Bingo, 23,5% “Win for life”, etc.
 98.000 mil.€ la penale da mancato gettito dovuta dalle
società concessionarie allo Stato per le violazioni
pregresse (cfr. Corte dei Conti).
 NB: la penale è pari a 43 volte l’entità dei tagli odierni ai FSCS
 Tralascio le denuncie di infiltrazioni mafiose in alcune
società concessionarie attuali, residenti in paradisi
fiscali, e i dubbi sull’operato dei MS.
 Gettito attuale (2010): circa 10.000 mil.€
 Qualcuno dei Ministeri competenti si è mai chiesto
quanta marginalità sociale, devianza, criminalità (es:
usura) esse provocano, e a quali costi per la collettività?
 E i partiti (molti), che programma hanno sul punto?
Il nostro modello di sviluppo e di welfare:
leve di azione e (in)sostenibilità
Welfare  f ( PIL, PoliticheSoc, PoliticheEcon)
PIL
OccupQualif
Diplom & Laurea
PIL 
*
*
* Occup
OccupQualif Diplom & Laurea
Occup
PIL
Occup
PopEtàLav
PIL 
*
*
* Popolazione
Occup PopEtàLav Popolazione
VERSO UN NUOVO WELFARE
VERSO UN NUOVO
PARADIGMA ECONOMICO
Economia dello sviluppo capitalistico→?
 Di fronte alle prossime temibili sfide (invecchiamento demografico,
migrazioni, processi di globalizzazione e deindustrializzazione), il
discorso sul nuovo welfare va agganciato a quello sul bisogno di un
nuovo modello di economia di mercato, diverso da quello
capitalistico, e dai suoi presupposti antropologici.
 La cultura capitalistica ha artificialmente espunto dal discorso e
dall’azione economica alcuni fondamentali supporti culturali, etici ed
istituzionali, relegandoli ai margini dell’economia di mercato (la
“riserva indiana” del Terzo Settore) (cfr. Bruni e Zamagni, 2004,
Bruni, 2010)
 Metafora mitologica dell’Homo Oeconomicus dei nostri testi di
studio.
 Invece, le azioni di produzione, scambio e consumo sono radicate in
relazioni interpersonali, reti sociali, cultura e istituzioni locali (D.
North,1994, Premio Nobel).
 Se mancano questi supporti, l’economia reale si sfalda.
 ES: Lo stesso scambio è basato sulla “fiducia” (categoria non
economica)
 Oltre alla sfera economica, il modello individualista-efficientista pare
un presidio sempre meno efficace per i diritti sociali e le libertà
fondamentali della persona, anche nelle democrazie dell’Occidente
I fondamenti individualistici dell’economia capitalistica
 Se l’unico criterio etico-comportamentale è l’interesse/profitto,
l’interesse dell’individuo spesso soccombe di fronte all’interesse del
conglomerato/lobby. Esempi tra tanti:
 USA: tagliate le politiche sociali, il disagio viene medicalizzato.
Lo stato sociale “degli antidepressivi” della lobby farmaceutica.
 Gli homeless del centro di San Francisco lasciati dai tagli sociali
repubblicani
 ITALIA: nel 2008-2009 800.000 donne riferiscono che, nel corso
della loro vita lavorativa, per gravidanza, sono state licenziate o
“dimissionate”. Solo 4/10 ha ripreso l’attività (ISTAT 2011b).
 Comportamenti individualistici (modelli imprenditoriali di tipo
“mordi e fuggi”) stanno destrutturando la base manifatturiera
europea, italiana e marchigiana.
 Rincorsa del più alto profitto, sotto l’alibi della cosiddetta disciplina
dei mercati finanziari.
 Quale responsabilità sociale di impresa? Quando ne vedremo bene
gli effetti (tra qualche anno), sarà troppo tardi per recuperare.
 In sintesi, la cultura personal-individualistica, derivanteci
dall’Antichità classica, oggi evidenzia i suoi limiti nella soluzione dei:
 Fallimenti del mercato
 Fallimenti dello Stato sociale
Il bene comune ed i beni pubblici/collettivi
 La categoria di bene comune e “beni collettivi” è stata a lungo
espunta dalla riflessione economica contemporanea
 Più in generale, la gestione comunitaria delle risorse
pubbliche/collettive studiata poco e male.
 Liquidate frettolosamente dalla storiografia (la “enclosure”
(privatizzazione) dei Commons)
 Qualche segnale incoraggiante: Nobel a Elinor Ostrom nel 2009
 Dopo le privatizzazioni degli anni Ottanta/Novanta, molti beni
pubblici e patrimoni industriali impoveriti dal privato
 La triste parabola di molte privatizzazioni in Italia:
 Il caso Telecom Italia: il declino tecnologico, le buonuscite milionarie del
top management ed i “cosiddetti” esuberi di personale
 Il razionamento del credito delle banche concentrate e de-localizzate.
 SEGNALI POSITIVI: in America Latina (e anche in Europa) si è
tornati indietro sulla privatizzazione di alcuni servizi pubblici
essenziali, e si sono introdotti modelli di gestione pubblica
“controllati dal basso”.
 Anche qui, l’Italia è in controtendenza…
La proposta dell’economia civile.
 E’ possibile conciliare mercato (≠ capitalismo), vita buona e felicità.
 La teoria economica contemporanea ha perso ogni strumento di
comprensione della natura civile del concetto di felicità,
abbandonata nel corso degli ultimi secoli per il suo mero equivalente
edonico (benessere materiale).
 La proposta dell’Economia civile (Bruni, Zamagni, 2004):
 Radici nel Medioevo
 Monasteri benedettini come “imprese sociali” e cooperative antelitteram. Opere pubbliche.
 Strumenti creditizi nascono da esigenze di coesione sociale.
Monte dei Pegni di origine francescana.
 Gli stessi pilastri del welfare moderno sono basati sul concetto di
reciprocità/solidarietà: sistemi pensionistici, CIG, mobilità,
indennità disoccupazione, sistemi fiscali ad aliquota progressiva.
I fondamenti antropologici dell’economia civile
 Necessità di una visione relazionale (o trinitaria) dell’Uomo. Uomorelazione, perfino capace di gratuità!
 PARADOSSO PER l’H-O. Il dono autentico suscita reciprocità
“allargata” e convinta, sostenibile quando assistita da sanzione per
chi devia (Bruni, 2008).
 Segreto della migliore sostenibilità dei sistemi di welfare NordEuropei
 Effetti di moltiplicazione della produttività e della ricchezza in
presenza di fiducia, collaborazione e reciprocità (patto sociale), a
lungo negletti.
 “Fai all’altro quello che vorresti fosse fatto a te” (norma presente in
molte grandi religioni e culture, anche laiche).
 Comportamenti moltiplicatori di “felicità” (Happiness and Economics)
 Molti aspetti della nostra vita quotidiana si basano su comportamenti
di gratuità e reciprocanti.
 L’economia domestica e le scelte di fertilità
 Nessuno di noi in questa giornata ha compiuto in maggioranza
contratti e atti di scambio. Contate gli scontrini che avete in
tasca. E paragonateli con le cose che avete detto e fatto per/con
gli altri.
Economia della reciprocità per la società multi-culturale
 Le categorie della fiducia “contagiosa”, gratuità e reciprocità (con
sanzione per il deviante) sono enfatizzate da recenti nuovi modelli di
produzione, consumo, e cooperazione (eterodossi).
 Impresa sociale, Economia di Comunione, Commercio Equo e
Solidale, Banca etica, Microcredito.
 Abbisognano però di una formazione nuova della persona alla
relazione aperta, “non finalizzata” dall’interesse individuale.
 Ruolo della scuola e…delle Facoltà di Economia!
 Letteratura: Bruni, Gui, Pelligra, Porta, Sudgen e Zamagni:
“Reciprocity, Happiness and Economics”
 Lo stile comunitario e l’”Homo ‘reciprocans’” è proprio quello che ci
avvicina alle tante culture del SUD presenti nelle nostre città…
 Le società comunitario-solidali dell’Africa sub-sahariana
 Il modello sociale “olistico” diffuso in Asia.
Economia della reciprocità per la società multi-culturale
 Su questa nuova base paritaria (come dignità culturale),
possiamo pensare insieme a nuovi modelli economici
inclusivi e sostenibili.
 Per chi ha un occhio curioso e scevro da dogmatismi
ideologici, gli esempi non mancano.
 Cfr. le esperienze già citate. Ma anche:
 Il volontariato internazionale
 Il turismo solidale. Il consumo etico. La “filiera corta” tra
produttori e consumatori, per favorire la “fiducia”
 I fenomeni legati a Internet:
Gli user generated content: creatività e gratuità
L’Open Source: ingegno, collaborazione, rete
Concretizzazioni dell’”Ubuntu” africano
Sintesi e proposta operativa per gli
operatori di politiche sociali
 Emerge una valutazione molto critica sull’attuale modello di stato e
mercato (e connesso welfare), basati su un modello antropologico
individualista e riduzionista sulla natura umana
 Modello che anche l’Italia pare aver imboccato con decisione
 Occorre riconoscere che il modello di sviluppo capitalistico attuale,
come talora le politiche economiche e fiscali che lo accompagnano,
è “malato” poiché crea endogenamente disagio sociale.
 Non ha senso (nemmeno economico) accettarne i costi sociali
intervenendo ex post, filantropicamente, per lenire le ferite.
 I processi produttivi e lavorativi vanno ri-umanizzati “ab origine”.
 Ma per questo il mercato e le imprese falliscono. Nemmeno il
singolo stato può, nell’epoca della globalizzazione.
 La regolamentazione abbisogna di un sovra-stato autorevole. UE?
ONU?
 Terzo Settore: occorre che esso rifletta su questi “fondamenti ultimi”,
per non limitarsi a battaglie minimaliste
 Né indulgere nel lobbying individualistico e competitivo per risorse
scarse, che sconfessa la propria identità e dignità
 PROPOSTA; associarsi in rete tra “diversi ma euguali”.
Riferimenti bibliografici e sitografia







Bruni, L. Zamagni, S. (2004) Economia Civile, Il Mulino, Bologna.
Bruni, L. (2008), Reciprocity, altruism and civil society, Routledge, London.
Bruni, L. (2010) L’ethos del mercato. Mondadori, Torino.
Conferenza Regioni e Provincie Autonome (2010), Dossier Politiche sociali (30.09),
http://www.regioni.it
Franzini, M. (2010), Ricchi e Poveri. Disuguaglianze, crescita e crisi, Università Bocconi Editrice,
Milano.
ISTAT (2011a) Gli interventi e i servizi sociali dei Comuni singoli e associati, Statistiche in breve,
Anno 2008, Roma.
ISTAT (2011b) Rapporto annuale 2010. Roma
…
Grazie per la vostra attenzione
Per ogni ulteriore informazione:
[email protected]
www.univpm.it/nicola.matteucci
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alcune riflessioni Dott. Nicola Matteucci