Incontro regionale del gruppo Sicilia
“Don Luigi Sturzo”
2011
Caltagirone – 4 settembre 2011
Impegno sociale e paideia politica
Villa Nazareth – Fondazione Comunità Domenico Tardini ONLUS
Via D. Tardini 33-35, 00167 Roma – Tel. 06-666971, Fax. 06-6621754
E-mail: [email protected], [email protected], [email protected]
Sito web: www.villanazareth.org, www.vnstudenti.org
Incontro culturale del Gruppo Sicilia Caltagirone
4 settembre 2011
Sede: Fondo Sturzo
Contrada Russa dei Boschi
Tel: 093350072
Programma
ore 9.30 Momento comunitario: accoglienza e saluti alle famiglie.
Saluto e interventi di Monsignor Claudio Maria Celli e della
Prof.ssa Angela Groppelli.
ore 10.30 Saluto di Mons. Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, e relazioni:
- Mons. Michele Pennisi, vescovo di Piazza Armerina e
presidente della causa di canonizzazione di don Luigi
Sturzo
- Prof. Gaspare Sturzo, magistrato ordinario e docente di
diritto penale del lavoro presso la Libera Università degli
Studi Maria SS. Assunta (LUMSA) di Roma.
- Dott. Vincenzo Di Natale, segretario generale della
Fondazione Mons. Di Vincenzo.
Moderatore: Antonino Catalano
Don Luigi Sturzo
Impegno sociale e paideia politica
Referenti in loco: Angelo Tumminelli
Chiara Strano
Referenti coordinatori: Antonino Catalano
Simona Serra
INDICE
Programma………………………………………………………………………………………………………………………2
Biografie dei relatori……………………………………………………………………………………….….……………3
Articolo n. 1 L'APPELLO AL PAESE……………………………………………………………………………………4
.
Articolo n. 2 I DIRITTI UMANI NEL PENSIERO DI LUIGI STURZO……...……...……......…………. 5
Articolo n. 3 INTERVISTA A GABRIELE DE ROSA……………………………………………………………...6
Articolo n. 4 INTERVISTA A SALVATORE MARTINEZ……………………………………………………..…9
Articolo n. 5 CATTOLICI E SPIRITO DI SERVIZIO NELLA DOTTRINA DI DON STURZO………..10
Articolo n. 6 MORALIZZARE LA VITA PUBBLICA…………………………………………………………...13
ore 13.00: Pranzo presso Fondo Sturzo
ore 15.00: Visita alla Fondazione “Casa Museo Sturzo”
ore 16.00: Santa Messa presso la Chiesa del Santissimo Salvatore
(Mausoleo di don Luigi Sturzo) celebrata da Mons. Calogero Peri,
Mons. Claudio Maria Celli e Mons. Michele Pennisi.
ore 17.30: Saluti e partenze.
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Biografie dei Relatori
Gaspare Sturzo
Magistrato ordinario di Corte d’Appello, pro nipote di Don Luigi Sturzo, ha prestato servizio
presso le Procure di Termini Imerese e di Palermo. Componente della Direzione Distrettuale
Antimafia di Palermo, fino al 2001, ha coordinato diverse indagini in tema di contrasto alle
infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione e nel settore degli appalti pubblici,
specializzandosi in tema di anti corruzione e di lotta al riciclaggio di capitali illeciti. Ha fatto
parte del pool dei magistrati palermitani che ha raccolto le dichiarazioni del collaboratore di
giustizia Angelo Siino, definito il ministro degli appalti di “cosa nostra”, nonché del gruppo
che ha diretto le ricerche del super latitante Bernardo Provenzano. Successivamente ha
presieduto il collegio penale del Tribunale di Tivoli, svolgendo le funzioni di Presidente
vicario del Tribunale. Nel 2004 è stato nominato esperto giuridico presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri, Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi. Nel 2007 è stato nominato
consigliere giuridico dell’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione
nella Pubblica Amministrazione. Dal 2008 è esperto giuridico presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri. Collabora con la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione ed
è docente di diritto penale del lavoro presso l’Università LUMSA di Roma. Ha fatto parte del
comitato scientifico che ha curato il Convegno Internazionale Sturziano di Catania. È autore
di numerosi saggi e articoli sul popolarismo e don Luigi Sturzo, tra cui “Mafia e questione
meridionale nelle analisi di Luigi Sturzo”. È coautore di testi specialistici in materia di
antiriciclaggio. Collabora con le riviste Rinascimento Popolare, Il Sudsidiario, Rivista
Giuridica del Mezzogiorno, La Società.
Michele Pennisi
(Licodia Eubea, 23 novembre 1946) è un vescovo cattolico italiano. Attualmente è vescovo
di Piazza Armerina. Dopo gli studi per la preparazione al sacerdozio, viene ordinato
sacerdote il 9 settembre 1972 da mons. Carmelo Canzonieri. Dal 1985 al 1992 rettore del
Seminario vescovile di Caltagirone. Dal 1997 al 2002 è stato Rettore dell'Almo Collegio
Capranica. Papa Giovanni Paolo II lo nomina vescovo di Piazza Armerina il 12 aprile 2002.
Viene consacrato vescovo, nella Basilica-Cattedrale di Piazza Armerina, il 3 luglio 2002.
Attualmente è presidente della Associazione Bibliotecari Ecclesiastici Italiani (ABEI). Dal
2007 è Priore Costantiniano per la Sicilia. Nella Conferenza Episcopale Italiana è membro
della Commissione episcopale per l'educazione cattolica, la scuola e l'università. Nella
Conferenza Episcopale Siciliana è delegato per la Dottrina della Fede e la Catechesi.
Presidente comitato scientifico dell'Istituto di Sociologia "L. Sturzo" di Caltagirone.
Presidente della causa di canonizzazione di don Luigi Sturzo. Si è impegnato attivamente per
far assegnare a delle cooperative di detenuti ed ex-detenuti i terreni confiscati a mafiosi.
Nel febbraio 2008 gli è stata assegnata la scorta, dopo aver ricevuto un volantino con
minacce di morte dalla mafia gelese, per essersi rifiutato di celebrare il funerale in
cattedrale, del boss mafioso "Daniele Emmanuello", ucciso il 3 dicembre 2007 in un
conflitto a fuoco con la polizia. È vescovo dal 2002 ed ha reso la diocesi un motore
antimafia. Ha partecipato in modo convinto per concretizzare il progetto di legalità sentito
dal popolo di Gela come una urgenza prioritaria.
Dott. Vincenzo Di Natale
Si è laureato in Scienze politiche all’Università degli Studi di Catania;
Ha conseguito un Master universitario in “Management pubblico” presso la Facoltà di
Economia dell’Università di Catania e una Specializzazione in “Direzione della Pubblica
Amministrazione” presso la Scuola di Milano dell’Albo dei Segretari e Direttori generali della
Regione Lombardia.
Ha svolto attività di consulenza di direzione per le pubbliche amministrazioni locali per il
Formez, Consiel Enti locali, Nomisma, presso diversi Comuni d’Italia.
Ha svolto un percorso formativo sulla comunicazione nei gruppi e la gestione dei team di
lavoro che lo ha portato a conseguire un Master in “Comunicazione nei gruppi di lavoro”.
Ha conseguito un diploma biennale frequentando il Corso di “Dottrina Sociale della Chiesa”
presso la Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice e la Pontificia Università Lateranense
di Roma.
Al piacere per l’attività di consulenza per le pubbliche amministrazioni ha sempre unito
l’amore per la formazione degli adulti, svolgendo attività di libero docente e formatore per
Enti, Scuole ed Università.
Attualmente dirige anche un Centro di Formazione Professionale regionale ad Enna, città
dove vive con la sua famiglia;
Dal 2007 è impegnato a dare un contributo professionale e umano al Progetto “Polo di
Eccellenza Mario e Luigi Sturzo” di Caltagirone (progetto rivolto alla povertà del mondo
carcerario) attraverso la Fondazione Istituto di Promozione Umana “Mons. Francesco Di
Vincenzo” di cui è Segretario Generale.
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Articolo n. 1
La fondazione del partito popolare italiano, promossa da don Luigi Sturzo, allora prosindaco di
Caltagirone e vicepresidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia, fu decisa da un gruppo
rappresentativo di esponenti cattolici, deputati al parlamento, amministratori provinciali e comunali,
organizzatori di sindacati e di cooperative, riuniti a Roma (Via dell'Umiltà) tra la fine di novembre e la
metà di dicembre del 1918, appena dopo l'armistizio in séguito al discorso tenuto da Sturzo a Milano,
che si riporta in appendice, e che diede luogo a lettere, interviste, articoli sulla stampa cattolica e
liberale. L'assemblea dei promotori nominò Sturzo segretario politico di una commissione provvisoria,
la quale approvò il testo del programma e dell'appello emanato il I8 gennaio 19191, da lui redatto. Il
conte Carlo Santucci e don Sturzo furono incaricati di fare un passo presso il Cardinal Segretario di
Stato, Pietro Gasparri, per la cessazione completa del non expedit, che fu poi decisa nel novembre del
1919.
L'APPELLO AL PAESE
A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini
supremi della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché, uniti insieme,
propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà. E mentre i rappresentanti delle nazioni
vincitrici si riuniscono per preparare le basi di una pace giusta e durevole, i partiti politici di ogni
paese debbono contribuire a rafforzare quelle tendenze e quei principi che varranno ad allontanare
ogni pericolo di nuove guerr-e, a dare un assetto stabile alle nazioni, ad attuare gli ideali di giustizia
sociale e migliorare le condizioni generali del lavoro, a sviluppare le energie spirituali e materiali di
tutti i paesi uniti nel vincolo solenne della società delle nazioni. E come non è giusto compromettere i
vantaggi della vittoria conquistata con immensi sacrifici, fatti per la difesa dei diritti dei popoli e per le
più elevate idealità civili, così è imprescindibile dovere di sane democrazie e di governi popolari
trovare il reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali e le perenni ragioni
del pacifico progresso della società. Perciò sosteniamo il programma politico-morale, patrimonio delle
genti cristiane, ricordato prima da parola augusta e oggi propugnato da Wilson, come elemento
fondamentale del futuro assetto mondiale, e rigettiamo gli imperialismi che creano i popoli
dominatori e maturano le violente riscosse; perciò domandiamo che la società delle nazioni riconosca
le giuste aspirazioni nazionali, affretti l'avvento del disarmo universale, abolisca il segreto dei trattati,
attui la libertà dei mari, propugni nei rapporti internazionali la legislazione sociale, la uguaglianza del
lavoro, le libertà religiose contro ogni oppressione di setta, abbia la forza della sanzione e i mezzi per
la tutela dei diritti dei popoli deboli contro le tendenze sopraffattrici dei forti.
Al migliore avvenire della nostra Italia - sicura nei suoi confini e nei mari che la circondano - che per
virtù dei suoi figli, nei sacrifici della guerra ha con la vittoria compiuta la sua unità e rinsaldata la
coscienza nazionale, dedichiamo ogni nostra attività con fervore d'entusiasmi e con fermezza di
illuminati propositi. Ad uno stato accentratore, tendente a limitare e regolare ogni potere organico e
ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente
popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali - la
famiglia, le classi, i comuni, - che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private. E
perché lo stato sia la più sincera espressione del volere popolare, domandiamo la riforma dell'istituto
parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, non escluso il voto alle donne, e il senato
elettivo, come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e
sindacali; vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della
legislazione; invochiamo il riconoscimento giuridico delle classi, l'autonomia comunale, la riforma degli
enti provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali. Ma sarebbero vane queste riforme e
senza contenuto, se non reclamassimo, come anima della nuova società, il vero senso di libertà
rispondente alla maturità civile del nostro popolo e al più alto sviluppo delle sue energie: libertà
religiosa, non solo agl'individui ma anche alla chiesa, per la esplicazione della sua missione spirituale
nel mondo; libertà di insegnamento, senza monopoli statali; libertà alle organizzazioni di classe, senza
preferenze e privilegi di parte; libertà comunale e locale secondo le gloriose tradizioni italiche.
Questo ideale di libertà non tende a disorganizzare lo stato, ma è essenzialmente organico nel
rinnovamento delle energie e delle attività che debbono trovare al centro la coordinazione, la
valorizzazione, la difesa e lo sviluppo progressivo. Energie che debbono comporsi a nuclei vitali, che
potranno fermare o modificare le correnti disgregatrici, le agitazioni promosse a nome di una
sistematica lotta di classe e della rivoluzione anarchica, e attingere dall'anima popolare gli elementi di
conservazione e di progresso, dando valore all'autorità come forza ed esponente insieme della
sovranità popolare e della collaborazione sociale. Le necessarie e urgenti riforme nel campo della
previdenza e della assistenza sociale, nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della
piccola proprietà, devono tendere alla elevazione delle classi lavoratrici; mentre l'incremento delle
forze economiche del paese, l'aumento della produzione, la salda ed equa sistemazione dei regimi
doganali, la riforma tributaria, lo sviluppo della marina mercantile, la soluzione del problema del
Mezzogiorno, la colonizzazione interna del latifondo, la riorganizzazione scolastica e la lotta contro
l'analfabetismo varranno a far superare la crisi del dopoguerra e a tesoreggiare i frutti legittimi e
auspicati della vittoria. Ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale,
ispirandoci ai saldi principi del cristianesimo, che consacrò la grande missione civilizzatrice dell'Italia;
missione che anche oggi, nel nuovo assetto dei popoli, deve rifulgere di fronte ai tentativi di nuovi
imperialismi, di fronte a sconvolgimenti anarchici di grandi imperi caduti, di fronte a democrazie
socialiste che tentano la materializzazione di ogni idealità, di fronte a vecchi liberalismi settari che,
nella forza dell'organismo statale centralizzato, resistono alle nuove correnti affrancatrici.
A tutti gli uomini moralmente liberi e socialmente evoluti, a quanti nell'amore alla patria sanno
congiungere il giusto senso dei diritti e degl'interessi nazionali con un sano internazionalismo, a quanti
apprezzano e rispettano le virtù morali del nostro popolo, a nome del partito popolare italiano
facciamo appello e domandiamo l'adesione al nostro programma.
Roma, 18 gennaio 1919.
LA COMMISSIONE PROVVISORIA del PPI
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Articolo n. 2
I DIRITTI UMANI NEL PENSIERO DI LUIGI STURZO
Il pensiero, gli scritti, tutto il patrimonio culturale e politico che don Luigi Sturzo ha costruito
attingendo dal Vangelo e dalle Encicliche sociali è stato studiato da pochi ed applicato assai meno. Lui
stesso ne era consapevole e il 9 novembre 1928, durante l’esilio, in una lettera mai spedita a Barbara
Carter, traduttrice delle sue opere così scriveva: ”per diverse ragioni non solo non sono stato
compreso, ma sono stato frainteso, alterato nella mia fisonomia politica e morale, nei miei intenti,
nelle mie attività. I miei scritti sono stati valutati e letti solo come un prodotto polemico e occasionale,
come a giustificare o mettere in luce la mia attività e quella del partito o della tendenza a cui
appartenevo… e i miei popolari mi amavano e stimavano assai, ma pochi, assai pochi, penetrarono il
mio pensiero e la ragione dei miei atteggiamenti… E il fondo del mio pensiero? E’ rimasto li, proprio in
fondo, senza che sia compreso nel suo giusto valore né da amici né da avversari; anzi di più, senza che
si siano accorti, tranne pochissimi, che lì c’è un pensiero e che valga la pena di discuterlo e svilupparne
i germi”. Lo stesso isolamento è avvenuto per Encicliche sociali, tenute chiuse nelle biblioteche , ma
assai poco studiate e comprese. Perchè le idee di don Luigi Sturzo e delle Encicliche sociali non hanno
circolato? Perché lo spirito del tempo che stiamo vivendo già da alcuni secoli è caratterizzato , come
affermava Giovanni Paolo II , da una grande e decisiva controversia sull’umano, un conflitto su chi è in
verità l’uomo. Quando con il pensiero illuministico si è iniziato a teorizzare l’autosufficienza dell’uomo,
la sua autonomia assoluta da Dio, si pensava che anche mettendo fra parentesi ogni fondamento
teologico, l’essere umano avrebbe seguito il bene non per timore di una punizione divina, ma per una
libera e consapevole scelta, puramente responsabile. A distanza di qualche secolo, l’uomo che basta a
sé stesso, non solo non è riuscito a mantenere le sue pretese di eticità, ma ha rinunciato ad
identificare sé stesso nella sua ragionevolezza e nella sua moralità, finendo per attribuirsi un
contenuto puramente materiale. Nel pensiero dominante l’umanità dell’uomo è definita dal proprio
corpo e dai propri desideri che si pretende di trasformare in diritti. Il comune convincimento che
l’uomo basta a se stesso, non rimane solo un’affermazione teorica ma diventa automaticamente
criterio di azione, il principio su cui si tenta di modellare la convivenza umana e costruire le città
come se Dio non ci fosse. Ho fatto questa premessa per capire il motivo del silenzio attorno al
pensiero di don Sturzo e del Magistero della Chiesa. Oggi, dopo il fallimento delle ideologie, la
Dottrina sociale della Chiesa rappresenta il pensiero che vale la pena di discutere e di sviluppare per la
riscoperta della verità sull’umano. G.Paolo II nella Centesimus annus scrive : ” ciò che fa da trama e, in
certo qual modo , guida tutta la Dottrina sociale della Chiesa, è la corretta concezione della persona
umana e del suo valore unico, in quanto l’uomo… in terra è la sola creatura che Dio abba voluto per se
stessa. In lui ha scolpita la sua immagine e somiglianza, conferendogli una dignità incomparabile.”
Leggendo il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa e numerosi documenti del Magistero fra
cui: Rerum novarum, Quadrigesimo anno, Pacem in terris, Mater et Magistra, Evangelium vitae,
Dignitatis humanae, Centesimus annus, Veritatis splendor, possiamo trovare sviluppati molti scritti di
don Sturzo sui diritti umani, la democrazia, la libertà , il bene comune, i diritti delle nazioni .
Le sue riflessioni sono nate dalla rivelazione cristiana e quindi si fondano sulla verità dell’uomo. In
tema di diritti umani , nella “Pacem in terris” Giovanni XXIII afferma che ogni diritto è connesso ad un
dovere e sottolinea l’incoerenza di coloro che rivendicano solo diritti senza curarsi dei propri doveri:
con questo atteggiamento si rischia di “costruire con una mano e distruggere con l’altra”. Don Luigi
Sturzo così scrive nel 1935 in La società: sua natura e leggi: “La base della giustizia naturale , o dirittodi
natura, può fissarsi nella coesistenza dei diritti e reciprocità dei doveri. Se tutti avessero diritti senza
doveri, cesserebbe la coesistenza sociale, se tutti avessero doveri senza diritti, mancherebbe la
obbligatorietà dei doveri…E’ la personalità dell’uomo, in quanto razionale, non solo soggetto del
diritto ma sorgente del diritto, non è la società o lo Stato, come alcuni pensano, la sorgente del
diritto… La legge naturale dei diritti e dei doveri viene integrata dalla legge evangelica dell’amore
reciproco che è come l’anima che vivifica il corpo. Non c’è ordine giuridico che non sia basato sopra un
ordine etico, quello che evade dall’ordine etico manca di base, non può reputarsi ordine, ma
disordine…La risoluzione etica è un fatto necessario per la stabilità dell’ordine giuridico e per
impedirne la disgregazione ed è insieme atta a dare alla legge un valore oggettivo ed intangibile.
Perchè ciò avvenga la legge deve avere un contenuto evidente di giustizia, qualche cosa di sacro e di
fondato in natura, un chiaro rapporto con un principio superiore all’uomo, e che può essere espresso
dalle parole che tutti venerano come simbolo e come realtà: giustizia,onore,santità. Mentre l’idea di
giustizia si riferisce ai rapporti fra gli uomini, quella di onore mette in rilievo la personalità e la dignità
spirituale di ciscuno, quella della santità indica il marchio divino che è in noi, ovvero il nostro rapporto
di religione verso Dio e la sua autorità sovrana. Solo allora la legge diviene veramente qualche cosa di
sacro e si rivela atto di autorità, consenso di coscienza pubblica, eticità fondamentale”. Nel 1938 in
Politica e morale scrive : “E’ impossibile trovare un essere umano che abbia diritti senza doveri, o
doveri senza diritti, se non nella mostruosa ineguaglianza di una società senza natura… Diritti e doveri
sono correlativi, non si dà un diritto senza un dovere corrispondente. L’operaio ha diritto al giusto
salario, ma ha il dovere di fare il lavoro bene: le qualità di giusto per il salario e di buono per il lavoro
sono anch’esse correlative, perché inerenti il rapporto economico che implica un rapporto morale. Il
cittadino ha il diritto di essere governato bene, secondo le tradizioni ed i mezzi che ha un paese; ma
ha il dovere di inviare ai posti pubblici elettivi persone moralmente integre e politicamente
preparate”. Quando viveva don Luigi Sturzo era ancora diffusa una cultura ancorata alla tradizione
cristiana con una precisa coscienza della differenza dei sessi, del rapporto uomo-donna, l’importanza
della famiglia, ma si sfilacciava sempre di più il legame fra morale personale ed etica pubblica e le
dittature schiacciavano i diritti del cittadino. Per questo alcuni suoi libri : Politica e morale, La società:
sua natura e leggi, La comunità internazionale e il diritto di guerra, La Vera vita,sociologia del
soprannaturale affrontano problematiche specifiche. Oggi nella dimensione sociale emerge con
chiarezza e drammaticità il grande conflitto intorno alla verità dell’uomo , a partire dal diritto alla vita
e al diritto di libertà religiosa. Il richiamo di don Luigi Sturzo che “la libertà esige verità” è di grande
attualità perché porta la questione al fondamento del problema antropologico che stiamo vivendo e la
vera identità dell’umano che anima il Magistero sociale della Chiesa. Quando don Sturzo scrive sui
diritti umani ha una concezione antropologica integrale che ha come perno la dignità umana ancorata
a Dio. A partire dalla realtà della persona, definita dalla dinamica della sua ragione e della sua libertà
in relazione con la verità, molti suoi scritti sono indirizzati al cittadino come membro attivo di una
comunità politica. La relazione tra libertà e verità lo ha spinto a denunciare una democrazia senza
valori, una democrazia intesa solo come pura regola procedurale, come forma politica del relativismo
etico. Le battaglie di Don Sturzo per la libertà di coscienza e la libertà religiosa nascono dalla
convinzione che la persona è caratterizzata da ragione e volontà, ossia dal fatto di essere una libertà
consapevole con il compito di autodeterminarsi in relazione al dialogo della sua coscienza con la
verità, con il vero bene. Essendo la dignità della persona a fondamento dei diritti è chiaro che la fonte
ultima dei diritti umani non si situa nella mera volontà degli esseri umani, o nella realtà dello Stato, o
nei poteri pubblici, ma nell’uomo stesso e in Dio suo creatore. La persona quindi è originariamente
titolare dei diritti politici che per poter essere esercitati necessitano delle premesse di ordine
concreto: benessere diffuso, diffusa proprietà dei beni produttivi, estesa responsabilità in campo
economico, diffusa libertà d’istruzione.
La vocazione di portare Dio nella politica attraverso l’educazione della coscienza dei cittadini al fine di
renderli consapevoli della propria dignità, dei diritti, dei doveri, ha portato don Sturzo a tradurre sul
piano istituzionale uno Stato fondato sulla persona umana. I poteri locali sono per don Luigi il punto di
5
partenza unito alla partecipazione effettiva dei lavoratori e dei cittadini alle decisioni economiche,
sociali e politiche. Oggi la crisi prima di tutto morale della politica chiede l’umiltà di riscoprire,
discutere e sviluppare i germi del pensiero di don Luigi Sturzo e il Magistero della Chiesa. In Friuli
Venezia Giulia lo ricordardiamo continuando il suo impegno alla formazione della coscienza umana ed
organizzando un corso triennale di formazione socio-politica sulla Dottrina sociale della Chiesa il cui
programma è nel sito www: centrosturzo.fvg.it
Daniela Vidoni
responsabile regionale Friuli V.G.
Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo
di meglio Sturzo ha scritto, o di più importante Sturzo ha scritto sui problemi del Mezzogiorno. E
quindi qui si comprendono dai primi scritti giovanili, che risalgono al 1897 fino al suo ritorno in Italia,
fino a qualche mese prima della sua scomparsa. Quindi in un unico volume noi possiamo anche
studiare, vedere, analizzare la parabola del meridionalismo sturziano, il meridionalismo che era
connesso con la stessa questione romana, con la stessa questione della formazione dello sviluppo
delle prime organizzazioni cattoliche fino al passaggio al periodo nittiano potremmo dire, filo-nittiano
in cui Sturzo utilizza alcune tesi di Nitti sulla questione del Mezzogiorno fino alla sua presa di posizione
durante il periodo del partito popolare e infine le grosse questioni connesse con la battaglia
regionalistica del secondo dopoguerra.
Articolo n. 3
Pozzi
Professor De Rosa, lei ha dedicato gran parte del suo lavoro di storico alla figura e all’opera di Luigi
Sturzo, ha anche avuto con lui una lunga frequentazione, ha raccolto in un interessante volume
pubblicato dalla Morcelliana, i testi di queste sue conversazioni con Don Sturzo. Però prima di
inoltrarci nella descrizione, sia pure sommaria di questo nuovo volume, una domanda sul titolo
“Mezzogiorno e classe dirigente”, perché questa scelta?
INTERVISTA A GABRIELE DE ROSA
Cari amici buon pomeriggio a tutti da Piersilverio Pozzi. L’intero spazio di questa 27^ puntata di
Agenzia Asiago 86 sarà occupato da una lunga e articolata intervista con il professor Gabriele De Rosa,
storico, ordinario di storia contemporanea all’Università “La Sapienza” di Roma, già Rettore
dell’Università di Salerno e presidente dell’Istituto Luigi Sturzo. Fra le tante sue opere vi ricordo la
storia del movimento cattolico in Italia dalla restaurazione all’età giolittiana, pubblicata in due volumi
da La Terza e la grande biografia di Luigi Sturzo pubblicata dalla Utet. Con il Professor De Rosa, in
occasione della pubblica di un recente interessante volume da lui curato parleremo di Luigi Sturzo e la
questione meridionale. Luigi Sturzo, sacerdote e uomo politico e sociologo, è nato a Caltagirone, in
Sicilia, nel 1871 ed è morto a Roma nel 1959. Ha fondato nel 1919 il Partito Popolare italiano, e
durante il periodo fascista è stato costretto all’esilio. Ha volto un largo lavoro culturale e le sue opere
complete, raccolte in più di 30 volumi, sono state pubblicate a cura della Fondazione a lui intitolata
dall’editore Zanichelli e dall’edizione Cinque Lune. Il margine al tema principale “Luigi Sturzo ed il
Mezzogiorno” con il professor De Rosa parleremo brevemente anche di Don Giuseppe De Luca,
scrittore nato a Sasso di Castalda in provincia di Potenza e morto a Roma nel 1962. De Luca si è
occupato di letteratura specialmente religiosa, e di movimenti spirituali. Ha pubblicato vari volumi di
saggi. E con il professor De Rosa parleremo anche della casa editrice fondata da Don Giuseppe De Luca
Le Edizioni di Storia e Letteratura. Ma ascoltiamo l’intervista con il professor Gabriele De Rosa che ho
registrato l’altro ieri.
Mi trovo a Palazzo Lancellotti, che si affaccia sulla raccolta Piazza San Simeone, piazza che unisce i due
tronconi di via dei Coronari. In questo palazzo, eretto alla fine del Cinquecento per incarico del
cardinale Scipione Lancellotti su progetto di Francesco da Volterra e ultimato da Carlo Maderno,
hanno la propria sede le Edizioni di storia e letteratura, casa editrice fondata da Don Giuseppe De Luca
ed ora diretta dal Professor Gabriele De Rosa. Sono nello studio del Professor De Rosa, l’occasione di
questo incontro mi è stata offerta dalla pubblicazione da parte delle Edizioni di Storia e Letteratura di
un ponderoso volume di 700 pagine intitolato “Mezzogiorno e classe dirigente” nel quale vengono
raccolti gli scritti di Luigi Sturzo sulla questione meridionale, dalle prime battaglie politiche siciliane
della fine dell’Ottocento fino agli anni del ritorno di Sturzo dall’esilio nel secondo dopoguerra.
Professor De Rosa, la bibliografia su Luigi Sturzo è ormai ricchissima, direi sterminata, gli stessi scritti
raccolti in questo volume sono già stati stampati in vari volumi miscellanei, perché allora ha ravvisato
la necessità di raccoglierli in questo volume?
De Rosa
Ho pensato che fosse opportuno che un lettore avesse, nelle proprie mani, in un unico volume quanto
De Rosa
Non so quante volte negli articoli di Sturzo ricorre il richiamo al mezzogiorno che deve fare da sé,
all’attesa della formazione di una classe dirigente locale, fornita di senso dello Stato, di senso civile
attenta ai problemi del territorio. Quindi questa classe dirigente che è vista fin dagli inizi del nuovo
secolo, fin dalle sue battaglie del periodo giolittiano come qualche cosa che lui si attende che possa
nascere nel Mezzogiorno e possa veramente accreditare la fisionomia di una classe politica finalmente
libera da schemi clientelari, da tentazioni trasformistiche e veramente preoccupata di offrire una
immagine del Mezzogiorno a livello appunto di una società moderna, di uno Stato moderno.
Pozzi
Nelle citate conversazioni da lei avute dal 1954 al 1959, anno della sua morte, con Don Sturzo, lei
riferisce che un giorno si lamentò dicendo: non mi hanno letto, non mi leggono e non mi leggeranno,
anche se da diversi uomini politici si sente spesso citato chiedo a lei: viene veramente letto Don
Sturzo?
De Rosa
Questo è veramente un grosso problema, è una domanda che in un certo senso perseguita anche me.
Io non ho la sensazione che Sturzo sia una lettura non solo facile ma sia una lettura ricercata,
desiderata, a tutti i livelli, faccio un solo esempio: la questione del voto segreto. Si è dimenticato
completamente il fatto che Sturzo sul voto segreto ha ingaggiato una delle sue battaglie pubblicistiche
più serrate, più continue, battaglia che faceva parte di tutta ... nel suo più generale impegno per la
moralizzazione della vita pubblica del Paese. Nemo profeta in patria, ho questa sensazione che ancora
si continua a considerare Sturzo come qualcuno, come un personaggio, non vorrei adoperare la solita
parola scomoda, ma un personaggio che è meglio mettere da parte, che è meglio non ascoltare fino in
fondo perché non è un personaggio che offre delle caramelle a delle soluzioni facili per la nostra vita
politica del Paese. E’ un personaggio che presuppone nelle sue requisitorie sempre lo scioglimento
della grossa questione morale, al solito di una formazione di classe dirigente veramente preoccupata
del bene comune e degli interessi generali del Paese.
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Pozzi
Cerchiamo ora di mettere in evidenza alcune linee del suo pensiero e della sua azione di
meridionalista cominciando dagli anni della sua prima attività di municipalista, Sturzo stesso parlando
di questi anni, di questa sua prima esperienza pubblica, usa il termine “regionalismo di sentimento”.
Perché?
De Rosa
Perché era un regionalismo il suo molto impetuoso, molto polemico, in funzione antitrasformistica,
quindi con poca attenzione a quelli che sono i problemi di una articolazione dei fatti regionalistici con
gli interessi generali dello Stato. La prima fase sua ha un carattere nettamente antigiolittiano e
antitrasformistico, utilizza anche le tesi di Nitti sulla sperequazione tributaria del Mezzogiorno,
sull’alto prezzo pagato dal Mezzogiorno per l’unificazione rispetto alle altre aree dell’Italia,
specialmente quelle dell’Italia settentrionale, per portare questa sua tesi della critica alla politica
accentratrice dello Stato, della politica asservita a grossi interessi clientelari e trasformistici. Poi
questa tesi qui incomincia a modificarsi e ad assumere una consistenza più programmatica, più
aderente alle circostanze politiche nel periodo che va da all’ultima fase dell’età giolittiana fino al
partito popolare, dove il suo regionalismo diventa qualche cosa di più equilibrato, diventa un’arma
non per polemizzare contro lo Stato ma un’arma per fare politica tendente a una ristrutturazione
dell’organizzazione di base dello Stato, con il riconoscimento della validità non solo economica, sociale
ma anche culturale delle varie regioni d’Italia, cioè il suo regionalismo diventa un regionalismo che si
inscrive in una visione pluralistica dello sviluppo del nostro Stato.
Pozzi
Quale significato ha avuto nella successiva elaborazione culturale, la esperienza di Sturzo di quegli
anni, questa esperienza sociale e politica, soprattutto il fatto di essere stato per tanti anni sindaco di
Caltagirone?
De Rosa
Ha avuto una enorme importanza nel senso che ha rafforzato in lui i suoi convincimenti autonomistici,
i suoi convincimenti regionalistici, cioè che lo Stato non può partire nella sua programmazione
dall’alto, dai vertici della cosiddetta camera dei bottoni, come si è chiamata qualche volta nel
dopoguerra, ma deve partire da una analisi, da una ricognizione di carattere non soltanto economico
sociale ma anche antropologico culturale della nazionale, del Paese.
Qui vorrei sottolineare un aspetto a mio avviso che è molto importante in Luigi Sturzo, e cioè la sua
maggiore fiducia nella possibilità di una politica di incentivazione da parte dello Stato, da una politica
di intervento diretto immediato attraverso grossi processi di industrializzazione nel Mezzogiorno.
Questo qui – potremmo dire – fin dalle origine della sua battaglia meridionalista, è una costante del
pensiero sturziano, troppo presto e rapidamente si è detto che Sturzo era un ruralista, cioè legato a
programmi fondati semplicemente sullo sfruttamento dell’agricoltura, sulla liquidazione del latifondo
e così via e anti-industrialista. La questione non va posta in questi termini, Sturzo era favorevole a un
processo di industrializzazione del Mezzogiorno ma non un processo di industrializzazione catapultato
dall’alto, ma un processo di industrializzazione che partisse appunto da una ricognizione del territorio
e valorizzasse questo territorio attraverso industrie congeniali con l’ambiente, congeniali con quel
territorio, comunque sia non grandi faraoniche industrie, non le c.d. cattedrali del deserto ma le
medie, le piccole industrie, quelle che appunto sono legate anche alla formazione di una classe
dirigente di tipo imprenditoriale.
Pozzi
Quindi due sono le linee di lotta portate avanti da Sturzo in questa sua prima esperienza di politico
laico: la polemica contro l’invadenza burocratica e lo sfruttamento economico da parte del nord e la
lotta serrata contro l’opera delle clientele e dei gruppi di potere. Ma professor De Rosa non sono le
stesse battaglie che condurrà negli anni ‘50 dopo il ritorno dall’esilio con le sue polemiche sul partito,
sulla classe dirigente e sull’affarismo di Stato?
De Rosa
C’è una continuità con il periodo precedente, con il periodo pre-fascista, ma ci sono anche delle
novità: una attenzione maggiore, per esempio, agli interventi a livello di amministrazione pubblica.
Per esempio mentre Sturzo era contrario alle cattedrali del deserto, era contrario per esempio a certi
interventi della gestione statale dettata appunto da strategie che non partivano da una diagnosi di
carattere storico economico e antropologico dell’ambiente, era però, Sturzo, al tempo stesso, nel
secondo dopoguerra, attento a che gli aiuti Marshall, gli aiuti americani non fossero destinati ad
essere utilizzati sempre e solo per le industrie che già c’erano, per le economie che avevano già i mezzi
per autofinanziarsi e per svilupparsi, ma avrebbe voluto per esempio un’altra politica degli aiuti
americani, sempre tendente a quella valorizzazione del Mezzogiorno come area che avrebbe dovuto
coronarsi, per così dire, di una moltiplicità di iniziative industriali, mettendo da parte i grossi progetti
di una industrializzazione massiccia.
Pozzi
Incominciai la lotta politica affrontando il mondo delle clientele locali e lottando contro di esse
pensavo di liberare la Chiesa. Con questa affermazione di Don Sturzo si apre un interessante capitolo
da lui affrontato sulla corruzione e sulla passività del clero meridionale. E aprendo con lei questo
capitolo vorrei associare a Don Sturzo Don Giuseppe De Luca, anch’egli prete del sud, siciliano il
primo, lucano il secondo. L’occasione per associare queste due grandi e diverse figure di preti me l’ha
offerta lei stesso. Nel libro già citato Sturzo mi disse – così scrive – Mi sono sentito messo in rete da
questi due sacerdoti del sud, afflitti egualmente da una pietà e intelligenza secolari rapidi nel cogliere i
segni delle nostre più nascoste emozioni, capaci di gesti e di grande sincerità ma sempre tutelati da
una vigile e costante malizia.
De Rosa
Fra i due uomini c’era qualche cosa in comune, e credo che questo qualche cosa in comune fosse,
appunto, la pietà, il profondo amore per la chiesa e il fatto che erano due uomini provenienti da aree
culturali, da una storia culturale speculativa, molto profonda. Appunto una storia che ha radici lontane
nel Mezzogiorno. Io appunto rimasi sempre impressionato dai discorsi di questi personaggi, tanto di
De Luca che di Sturzo, mi sembrava di sentire sempre in loro l’eco di qualche cosa che era molto
lontana, di verità che venivano dal cuore profondo di questo mezzogiorno di cui la pietà costituite
tanta parte della sua storia. Una delle formule più assurde che io ho trovato sempre nei miei studi è
quella appunto del “Cristo si è fermato ad Eboli”. Cristo non si è fermato ad Eboli, tra l’altro appunto,
come ho detto altra volta, bisognerebbe vedere se si è fermato venendo dalla Palestina o venendo da
Roma, il Mezzogiorno è profondamente legato a una storia della pietà, appunto, che non nasce né con
il concilio Vaticano I, né con il concilio di Trento, né con il concilio Vaticano II, è una pietà che fa parte,
è il sangue stesso della vita della chiesa nel sud, sangue ricco di suggestioni, di radici lontane. Lo
stesso De Luca, in un certo suo scritto bellissimo, diceva che non poteva attraversare (lui prete che si
era formato alla scuola della grande erudizione romana), non poteva attraversare certe aree del
Mezzogiorno senza sentire vibrare proprio, nell’atmosfera, un senso di religiosità profonda alla quale
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era richiamato anche da certi toponimi, da certi nomi antichissimi che non erano un fatto di forma,
erano per lui un fatto di sostanza. E questa stessa componente spirituale, questa stessa componente
di vita della pietà era in Luigi Sturzo, solo che in Luigi Sturzo si traduceva anche in un impegno
operativo, era, vorrei dire quasi meno contemplativo. In Don Giuseppe forse c’è più della
contemplazione, diciamo così, del grande uomo di spiritualità eccezionale, in Sturzo questa pietà
diventa attiva, diventa operativa, forse per circostanze diverse, forse per il fatto che lui ha vissuto in
mezzo ai contadini della Sicilia orientale, fatto sta che erano due personalità, apparentemente tra loro
diverse, ma che si incontravano come si possono incontrare due persone sedute davanti a uno stesso
fiume: il fiume della corrente metafisica del Mezzogiorno.
Pozzi
Parliamo ora, brevemente, dell’opera cultura di Don Giuseppe De Luca, soprattutto dell’opera svolta
attraverso la casa editrice Edizioni di Storia e Letteratura. Parlando di Don De Luca lei, professor De
Rosa, ha scritto che fu artefice di uno dei sodalizi intellettuali di circolarità europea che non credo
possa più rinnovarsi. In che senso le chiedo? Cioè sono cambiati i tempi o perché era dovuto alla
figura singolare ed irripetibile di Don De Luca?
De Rosa
L’uno e l’altro, un po’ era dovuto alla figura irripetibile di quest’uomo, il quale aveva rapporti non
soltanto con uomini di curia o sacerdoti ma aveva rapporti anche con laici che si sentivano lontani da
Dio, ha avuto a che fare con uomini di eccezionale levatura intellettuale che nei suoi discorsi, negli
incontri con lui si ritrovavano in un ambiente di fiducia, in un ambiente aperto, dove appunto
l’erudizione si sposava anche a un atteggiamento di aperta fiducia nel cuore, nella intelligenza
dell’uomo, quanto di meno clericale si possa immaginare.
Don Giuseppe De Luca ha creato, sembra straordinario, una casa editrice la meno clericale possibile
eppure tra le più luminose e importanti nel campo dell’erudizione non soltanto ecclesiastica ma laica,
appunto perché portava in questo suo impegno qualche cosa che era legato strettamente alla sua
personalità e che io ritengo personalmente non sia ripetibile. Per altro verso però la casa editrice, più
esattamente dovrebbe chiamarsi una accademia, perché quanti giovani si sono formati senza nessuna
etichetta particolare di partito politico o ideologica in questa casa editrice? A quanta gente Don
Giuseppe De Luca ha dato la possibilità di realizzare la propria personalità, di vedere le proprie opere
pubblicate e opere sempre di alto livello? Non si contano ormai. Questa casa editrice continua,
diciamo così, a vivere non solo sul ricordo ma su quello che ha costituito la eredità di questi giovani
collaboratori che portano avanti la sua impresa.
Pozzi
Don Sturzo, a proposito di Don De Luca, così si esprimeva: egli è noto da anni in Italia ed all’estero per
valore scientifico, scelta di testi, ampiezza e gusto culturale. Lei in parte ha già anticipato alcune
caratteristiche di questa casa editrice, soprattutto parlando di questa accademia che si era costituita
intorno alla sua figura. Oggi come si pone sul mercato, anche se questo termine è un po’ brutto, sul
mercato editoriale questa casa editrice?
De Rosa
Anzitutto c’è un certo filone che conferma che porta avanti le stesse indicazioni di ricerca e di studio di
Don Giuseppe De Luca, quindi con molta attenzione alla parte erudita della produzione libraria. D’altra
parte questa casa editrice, senza assolutamente interrompere la tradizione di De Luca, anzi
mantenendosi in qualche modo ancora coerente con la sua impostazione, ha arricchito la sua
produzione libraria con varie collane editrici, per esempio cito una tra le tante che ora mi viene in
mente: il thesaurus ecclesiarum italiae che sarebbe piaciuto certamente a Don Giuseppe De Luca, che
lui avrebbe affiancato certamente al suo archivio per la storia della pietà in Italia. Questo thesaurus
ecclesiarum italiae raccoglie, regesta le visite pastorali delle diocesi italiane dal medioevo fino ai nostri
giorni, costituendo quindi una fonte primaria, potremmo dire, per quel tipo di storia religiosa dal
basso che sta diventando, è diventata da qualche tempo, un modo di fare storia abbastanza originale
e nuovo, cioè rivedere la storia della Chiesa non più attraverso i vertici istituzionali ma attraverso
appunto il religioso vissuto, cioè come praticamente quella religione viene vissuta apportando,
mettendo in luce il valore di una certa documentazione ecclesiastica, non soltanto ecclesiastica ma
anche economica, perché la Chiesa non era soltanto fede, era anche economia, basti pensare alle sue
proprietà, ai suoi benefici, alle sue rendite e così via, ai suoi ospedali, ai suoi xenodochi e avanti di
questo passo. Quindi è tutto un settore qui della storia che si sta muovendo, nel senso appunto di una
storia sociale, di una storia anche sociale, di una storia non soltanto quindi erudita ma di una storia
che pone attenzione ai problemi del rapporto della chiesa con la società, tutta quanta intera. Questo,
diciamo così, è l’aspetto più nuovo della casa editrice, del resto confortato anche dalla presenza,
ormai di riviste che Don Giuseppe non ha visto nascere ma che certamente avrebbe approvato
perché si muovono sostanzialmente nella linea di certe sue intuizioni affidate al famoso testo, forse il
miglior testo, più mirabile testo di De Luca all’introduzione alla storia della pietà.
Pozzi
Professor De Rosa, al termine di questa conversazione ritorniamo all’occasione del nostro colloquio, a
questo libro da lei curato “Mezzogiorno e classe dirigente” che raccoglie gli scritti di Luigi Sturzo sulla
questione meridionale. Riproporre alla nostra riflessione queste grandi anime, questi penetranti
ricercatori, quale significato ha oggi?
De Rosa
Riproporre certi testi di Sturzo, riproporre certi testi di De Luca oppure continuare nel solco delle cose
intuite magistralmente da De Luca vuol dire ancora offrire soprattutto ai giovani la possibilità di
riflettere, vorrei dire sui fondamenti dell’operare non soltanto religioso ma civile anche del nostro
Paese. Quindi avere qualche cosa, un punto di riferimento più stabile, più sicuro di quello che può
offrire certa letteratura o certa pubblicistica che può solo affidarsi ai mass-media. Nei mass-media non
entreranno mai né Sturzo né De Luca, però Sturzo e De Luca possono entrare nella vita dello spirito,
nella vita culturale delle nuove generazioni con una profondità e fertilità ancora insospettata.
Pozzi
Ringrazio il professor De Rosa per quanto ci ha detto. Prima di terminare questa puntata devo dare
una comunicazione a voi che ci ascoltate: da sabato prossimo, fino al termine dell’anno, Agenzia
Asiago 86 sarà condotta da Massimo Forleo che voi tutti che seguite i nostri programmi regionali
avete avuto occasione di conoscere ed apprezzare. Ringrazio Cosimo Langiano, per la preziosa
collaborazione fornita, a voi tutti un cordiale a risentirci da Piersilverio Pozzi.
Abbiamo trasmesso Agenzia Asiago 86, occasioni di intervento scelte e coordinate da Piersilverio
Pozzi.
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Articolo n. 4
INTERVISTA A SALVATORE MARTINEZ
- LA SICILIA 03/09/09
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Articolo n. 5
CATTOLICI E SPIRITO DI SERVIZIO NELLA DOTTRINA DI DON LUIGI STURZO
1. Il compito educativo e l’incivilimento complessivo secondo Luigi Sturzo.
Gli studiosi di Luigi Sturzo hanno sempre rivendicato la sua laicità politica facendone risaltare le sue
analisi sulla diversa questione della separazione tra Stato e Chiesa e tra potere temporale e spirituale.
La costruzione sociale di Luigi Sturzo è ancorata alla dottrina sociale della Chiesa e alla Rerum
Novarum. Proprio l’enciclica di Leone XIII apre a don Sturzo la via dell’impegno sociale e poi di quello
politico, consentendogli di affermare che il popolarismo, come dottrina politica e fondamento teorico
del Partito Popolare Italiano, afferma il suo carattere cristiano, “perché non vi può essere etica e
civiltà che non sia cristiana”. Il compito educativo assume importanza strategica in tutto il messaggio
sociologico e politico sturziano. Don Luigi richiama a tale azione soprattutto gli storici, chiedendo che
assumano il compito di “insegnare alla gente che il processo di sviluppo dell’umanità nei suoi risultati
è lento e difficile”. Il sociologo calatino si dice convinto che lo sviluppo delle persone e della comunità
locale non possa incentrarsi solo sul fattore economico, ma sia legata a un insieme di azioni, cioè
l’“incivilimento complessivo”. Questo per Sturzo è legato alla educazione del popolo partendo proprio
dal valore e dalla dignità della persona, dai suoi diritti e doveri, che devono essere vissuti nella
famiglia, nella società, nello Stato, rispettando sempre i principi morali e religiosi che sono la guida
dello sviluppo di un popolo. L’incivilimento è lo sviluppo della coscienza individuale e sociale del
popolo, la piena rappresentazione del suo diritto di partecipare consapevolmente alla cosa pubblica,
anche attraverso il diritto di elettorato; è la formazione culturale, religiosa, morale, insomma la
creazione della coscienza critica. Oggi proviamo a declinare l’incivilimento complessivo secondo
quattro “invarianti”: il lavoro, la famiglia, la cultura e la Chiesa. Non deve sorprendere il richiamo
costante di Luigi Sturzo all’importanza dell’educazione delle persone come fondamento della
democrazia. In un suo articolo dedicato allo “Spirito della democrazia” egli afferma: “il problema
dell’educazione è fondamentale per la democrazia. Essa è necessaria in democrazia per poter avere
delle élites tratte da ogni classe e categoria, aperte a tutti, sempre rinnovate e portatrici di
rinnovamenti.” Don Sturzo ribadisce la necessità della liberazione delle persone dalla schiavitù
dell’ignoranza come via per l’affermazione di una democrazia compiuta. Si coglie l’idea sociale
cristiana del superamento del conflitto di classe attraverso il libero accesso alla cultura e all’istruzione,
come parte del generale percorso dell’educazione dell’uomo, incentrato sul valore e la dignità della
persona. Un ingresso libero a tutti i cittadini, senza limiti di censi o di caste, per consentire la
migliore trasformazione delle classi dirigenti del Paese, concorrendo nel portare nuove idee per il
bene della Nazione. Don Sturzo non rinuncerà mai a questa visione dell’educazione morale, sociale,
religiosa e politica del popolo, così in qualità di senatore a vita, nel corso della fiducia a uno dei tanti
Governi degli anni cinquanta, sentirà la necessità di richiamare la Carta Costituzionale come
fondamento della nostra democrazia: “La Costituzione è il fondamento della repubblica democratica.
Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e
dal parlamento, se è manomessa dai partiti, se non entra nella concezione nazionale, anche attraverso
l'insegnamento e l'educazione scolastica e post-scolastica, verrà a mancare il terreno sodo sul quale
sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà.” Questa frase, come molti dei discorsi
di Luigi Sturzo, rende giustizia all’attualità del suo pensiero e alla odierna difficoltà di ancorare la
democrazia, le sue istituzioni e la libertà dei cittadini a un “terreno sodo”, mentre soffriamo di una
malevola fibrillazione che sconvolge ogni angolo della vita nazionale. Spesso mi capita, durante le mie
lezioni di diritto con le nuove generazioni di discenti, di riflettere sulla storia d’Italia e di difesa della
legalità; ho notato come manchi la conoscenza ormale della Carta Costituzionale e non ci sia
consapevolezza di tutte quelle vicende che hanno portato i Costituenti a trasferire in essa i valori
offesi dalla tragedia delle tirannidi, i disastri del male umano, la distruzione di intere nazioni. I nostri
studenti sanno poco dei riferimenti sociali, culturali, religiosi e politici di questi eroi positivi; né sanno
cosa è successo negli anni della lenta attuazione della Carta Costituzionale. Per restare nel campo del
popolarismo, non sanno nulla della Rerum Novarum e dell’Appello ai Liberi e Forti, né del Codice di
Camaldoli. Poi non hanno idea di cosa sia stata, nel più recente passato, tangentopoli e la reazione
giudiziaria denominata “mani pulite”. Così è facile capire l’enorme difficoltà di formare delle nuove
élites prescindendo dalla conoscenza e coscienza del bene o del male, delle cose giuste o sbagliate,
quando noi stessi e i nostri figli non abbiamo un’idea compiuta della storia del nostro Paese.
2. L’organizzazione sociale e la libertà secondo l’Appello ai Liberi e Forti.
Questa lacuna può essere colmata rileggendo l’Appello ai Liberi e Forti, carta costitutiva del Partito
Popolare Italiano del 1919, indicandolo come l’ancoraggio della nostra società a un sistema di valori
che sia base forte, o “terreno sodo”, della costruzione delle istituzioni pubbliche e dello Stato come
organizzazione al servizio dei cittadini. Luigi Sturzo e i coraggiosi costituenti del primo partito
nazionale aconfessionale di ispirazione cristiana hanno saputo costruire un manifesto di civiltà non
solo attuale, ma attuabile, che ha finito per permeare la stessa Carta Costituzionale. Una dichiarazione
di principi che, a oltre sessant’anni dalla sua emanazione, attende di essere studiata e in grandissima
parte attuata. Sono sicuro di essere nel giusto nel richiamare le parole di Sturzo e dei dieci costituenti,
in particolare quando chiesero uno Stato veramente popolare, in grado di sostituire lo Stato liberale,
fortemente accentratore. Essi volevano una grande riforma costituzionale attraverso cui lo Stato
nazionale avrebbe dovuto riconoscere i limiti della propria attività, rispettando i nuclei e gli organismi
naturali, cioè la famiglia, le classi, i comuni e la personalità individuale dell’uomo, incoraggiando,
infine, le iniziative private. Una riforma che includesse nel sistema democratico l'autonomia
comunale, la riforma degli Enti Provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali, per creare
spazi istituzionali dove questi corpi intermedi potessero esprimere la loro forza programmatica. Una
energia necessaria per animare la nuova società che si voleva costituire, dopo la tragedia della prima
guerra mondiale, rivendicando da subito alcune libertà fondamentali: “libertà religiosa, non solo
agl'individui ma anche alla Chiesa, per la esplicazione della sua missione spirituale nel mondo; libertà
di insegnamento, senza monopoli statali; libertà alle organizzazioni di classe, senza preferenze e
privilegi di parte; libertà comunale e locale secondo le gloriose tradizioni italiche.” Con questo Appello
i popolari presentavano per la prima volta una indipendenza politica da ogni altro soggetto
preesistente e un autonomo progetto di costruzione dello Stato, rivendicando una “nostra bandiera
morale e sociale, inspirandoci ai saldi principi del Cristianesimo, che consacrò la grande missione
civilizzatrice dell'Italia”. La forza morale di quelle idee è tanto più attuale oggi che siamo nella
necessità di difenderne i valori trasfusi nei principi costituzionali. Da proteggere sono proprio le norme
attraverso cui lo Stato ha riconosciuto i limiti della propria attività e ha cominciato a rispettare, ad
esempio, la famiglia formata sul matrimonio o ha dato il giusto significato al valore e alla dignità della
persona umana, incoraggiandone l’iniziativa privata. Di contro, è ancora in corso un lento processo
di assestamento delle riforme che riguardano il completamento dell'autonomia comunale, mentre si
prospetta la necessità di riorganizzare gli Enti Provinciali; poi ci prepariamo ad una serie di interventi
nel campo del regionalismo per dare concretezza alle riforme del titolo V della Carta Costituzionale.
3. Le origini del “popolarismo” come dottrina politica.
La costruzione del Partito Popolare Italiano non è il fatto di una sola persona, tanto meno
estemporaneo, frutto di suggestioni di popolo o convenienze elettorali. È una lenta costruzione che
prende vita dal “Non Expedit” di Pio IX, destinato a vietare la partecipazione attiva dei cattolici alla
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vita politica nazionale del neo costituito stato unitario italiano. Sin da quel momento, contro l’idea dei
blocchi elettorali, nasce il disegno di un movimento politico cattolico, che possa attivamente
farsi portatore di un nuovo progetto sociale che superi la violenza della lotta di classe
e della dittatura del proletariato o l’egoismo dell’individualismo illuminista. L’enciclica Rerum
Novarum di Papa Leone XIII è la chiamata all’impegno per molti e, al contempo, la strategia dottrinale
per i nuovi cattolici che intendano impegnarsi nella vita pubblica. Tra questi emerge anche Luigi
Sturzo, sacerdote siciliano, laureato in filosofia, che scopre a Roma la vera povertà morale e materiale
del popolo e che, tornato in Sicilia, organizza un vasto movimento cattolico per aprire le porte dei
governi locali a tutti i cittadini. Nasce da qui la lotta di don Sturzo per liberare i municipi dal partito
affarista siciliano, quello dei nobili, dei censi, dei latifondisti, dei mafiosi; per affrancare gli enti locali
dagli sfruttatori e dai parassiti di ogni specie; per portare il popolo all’interno delle istituzioni; per
moltiplicare e consolidare l’idea di partecipazione democratica; è ancora la difesa del lavoro nelle
leghe sindacali bianche; l’organizzazione del lavoro nella cooperazione, la solidarietà mutualistica, il
credito locale; è la battaglia per l’educazione e la formazione della libera coscienza del popolo
attraverso libri, giornali, seminari; è la riqualificazione degli spazi sociali del teatro; della parrocchia,
dell’oratorio e dell’azione cattolica per la costruzione di un grande progetto sociale di amore per il
prossimo. Nasce così, pian piano, dall’azione di Sturzo il partito municipale democristiano che, tra il
1900 e il 1905, lo porta alla carica di pro sindaco di Caltagirone con la maggioranza assoluta dei seggi.
Il progetto sociale neo cattolico si articola così in un programma politico, che attraverso Sturzo e i suoi
consiglieri di Caltagirone si diffonde in tutta la Sicilia e prende le forme di un nuovo modo di
amministrare i municipi. Sarà Sturzo nel discorso di Caltanisetta del 1902 dedicato al “Programma
municipale dei cattolici” e nel discorso di Caltagirone del dicembre del 1905 su “I problemi della vita
nazionale dei cattolici italiani” a segnare la via di un percorso che porterà nel 1919 alla nascita del
partito politico, cioè del Partito Popolare Italiano. Prende corpo una nuova dottrina politica definita da
Sturzo con il nome di popolarismo e quindi il partito come strumento per affermare i diritti di libertà e
democrazia, saldandoli ad una forte ispirazione cristiana.
4. Il regionalismo come avvicinamento del popolo alla democrazia.
Lo sforzo di riportare l’uomo al centro della democrazia italiana vede don Sturzo schierato dalla parte
del regionalismo sin dai tempi dell’Appello ai Liberi e Forti. Venticinque anni dopo il sacerdote calatino
combatte dall’esilio americano una battaglia per salvare l’unità nazionale dalle azioni disgregatrici dei
separatisti, comprendendo che costoro altro non sono che i vecchi gruppi del partito affarista siciliano,
quello dei nobili, dei censi, dei latifondisti e dei mafiosi, quali nuovi garanti armati, che senza il popolo
vogliono imporre il ritorno degli sfruttatori e dei parassiti di ogni specie; egli denuncia da New York
l’errore dei centri di potere, più o meno occulti, legati agli Angloamericani che vogliono garantire una
nuova stabilità al centro del mediterraneo; attraverso una infinita serie di articoli sui giornali
statunitensi, cerca di far capire al popolo americano che una vera democrazia moderna in Italia non
può essere realizzata senza o contro la volontà popolare. Tornato in Italia, nel settembre del 1946,
difende la “giovane” Regione Siciliana (maggio 1946) dagli attacchi del centralismo romano e dalla
burocrazia pubblica, incapaci di comprendere l’importanza della scelta regionale come modo di
avvicinare i cittadini al potere per meglio soddisfarne le esigenze di democrazia secondo l’interesse
generale. Don Sturzo difenderà sempre la scelta del regionalismo come autentico volano di sviluppo
civile, anche se il suo ottimismo dovrà fare più tardi i conti con la degenerazione del regionalismo in
un nuovo centralismo, sempre più marcato dalle sacche di inefficienza e di spreco: “sarà bene che i
cittadini si rendano conto dei nuovi diritti e doveri che li riguardano, perché la regione risponda ai fini
per i quali viene creata: cooperazione civica libera e autonoma nel quadro dello stato; decentramento
statale per dare responsabilità alla vita locale; educazione amministrativa e legislativa nel campo degli
interessi specifici di ogni singola regione, coordinando insieme le attività e le responsabilità delle
province e dei comuni nella stessa regione. Solo così potrà articolarsi la macchina statale,
che oggi è affidata a una burocrazia regolamentarista e diffidente, tarda e ingombrante”.
5. L’uomo al centro della costruzione sociale.
La costruzione politica sturziana è sempre legata alla centralità dell’uomo, soggetto di sviluppo della
comunità attraverso il corretto uso della politica verso il bene comune. A chi gli chiedeva nel 1946
quale potesse essere una sua nuova vocazione politica egli rispondeva: ”Se oggi potessi a mio grado
scegliere un posto di lavoro, tornerei a fare il consigliere comunale e il sindaco di Caltagirone. Uno dei
motivi sarebbe quello di tornare a essere il più vicino possibile alla realtà vissuta, alla concretezza dei
fatti, al contatto immediato con le popolazioni minute, con l'individuo uomo. Il comune è un ente
concreto, più che non lo sia una provincia, una regione, lo stato. Fra il popolo e l'autorità che
amministra non vi è alcun diaframma, sia questo il parlamento o la burocrazia, sia la distanza
territoriale o le ipostasi disprezzate quali « stato », « governo », « ministero ».” In queste parole si
coglie il senso di una politica fatta di servizio per il popolo, dove i bisogni della persona umana devono
essere curati per agire nella ricerca del bene comune guardando alla realtà e non alle proiezioni
demoscopiche, ai fatti concreti e non ai proclami, al contatto immediato con la gente e non alla
rappresentazione di una democrazia mass mediatica. Don Sturzo delinea, così, una costruzione sociale
che parte dall’uomo e che si articola nella capacità di associarsi con il prossimo e nella volontà di
intessere relazioni. È la costruzione dell’organismo sociale al quale l’uomo singolo cede sempre
qualcosa della sua sovranità ottenendo in cambio un beneficio di ordine e stabilità. Il ragionamento
“sociale” di don Sturzo chiarisce questo sforzo di progresso umano: “(..) è l'uomo la cellula attiva ed
efficiente di ogni organismo sociale; non c'è una squadra di cacciatori senza il cacciatore, né un gruppo
di navicelle di pescatori senza il pescatore. Così la famiglia ha il marito e la moglie, i genitori e i figli; lo
stato ha il capo, i senatori, i cittadini, i militari. L'uomo che si muove, che pensa, che vuole, che crea,
che reagisce, che si perpetua e che muore. Quest'uomo non può agire da solo; egli è parte di un
organismo, che egli stesso forma e riforma, inizia e continua, distrugge e rifà”. Agli occhi di don Sturzo
ciò che rileva è la libertà di scelta dell’uomo, magari quella di sbagliare; è la necessità di usare il
proprio raziocinio mirando alla Verità e alla Giustizia; è l’intera vita dell’uomo fatta di un dinamismo
creativo che è posto all’interno di strutture organizzate in continua evoluzione per la stessa opera
umana. Tutto ciò l’uomo può fare da solo? Forse si, ma più spesso ha bisogno di credere in qualcosa di
esterno, di più alto e puro, per trovare ogni giorno la forza di progredire. Sono convinto che c’è
sempre uno spazio difficile da attraversare nella vita di ogni uomo; nella simbologia cristiana sarà il
deserto, il mare, le acque del lago; un’immensità solitamente piena di insidie. Spesso mi viene da
pensare a Pietro sulla barca dei pescatori, al quale Gesù chiede di camminare sulle acque per
raggiungerlo. Come sappiamo, Pietro ad un certo punto ha paura di non farcela e comincia ad
affondare. Ha così bisogno della mano di Gesù. La nostra vita personale, familiare, sociale, politica è
come camminare sulle acque, o hai fiducia in un qualcosa di puro, di alto e vai avanti, oppure hai
paura e affondi nelle miserie umane. Pietro ebbe paura e Gesù lo prese per mano accompagnandolo
verso la Verità. Quella mano per chi crede è la nostra Fede Cristiana che, seppur nella comune voglia
di progredire, ci fa differenti dagli altri. Ci chiede un qualcosa in più; ci obbliga a essere inflessibili con
noi stessi rispetto agli obblighi comuni nella vita privata e pubblica. È la necessità di fornire la
testimonianza di essere cristiani. Nel Vangelo secondo Matteo (5,43-48) c’è un passo in cui Gesù
chiede di dare qualcosa in più rispetto ai pubblicani e ai pagani: amare i nostri nemici e
pregare per i nostri persecutori.
6. La politica come strumento umano per realizzare il benessere sociale.
Un campo applicativo della testimonianza d’essere cattolico è il mondo della politica. Scartiamo subito
la questione ancestrale della politica come cosa sporca, che è un trucco meschino per amministrarla a
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piacimento da chi vuole dominare il prossimo. Molti ne parlano come di una soluzione tecnica, l’arte
del possibile, spesso basata sul compromesso; la capacità di utilizzare la mediazione per sapere
convergere verso una soluzione; l’idea di correre in direzione del bene comune.
Tutto bene. Attenzione però che dietro queste soluzioni non ci sia la logica dell’opportunismo o della
convenienza, che poi finisce per diventare clientela, dominio, parassitismo, malaffare, corruzione,
mafia. Cioè più la soluzione diviene tecnica, più il compromesso si trasforma in gestione consociativa,
più si stabilizzano i collateralismi con i poteri oscuri o poco trasparenti e minore sarà la capacità di
rispettare la propria identità e i valori che essa intende tutelare. Più il mezzo del compromesso si
struttura e diviene regola di potere e maggiormente c’è il rischio che sia l’unico fine della politica.
7. Il dovere di testimonianza dei cattolici.
Secondo don Sturzo la politica è una cosa diversa. Certo è un’arte che può essere realizzata anche
dagli orecchianti, ma servono persone che si preparino bene allo scopo, non improvvisino, siano in
grado di confrontarsi e discutere serenamente ogni progetto. Si badi bene che il sacerdote calatino
non parla dei professionisti della politica, di quelli buoni per ogni tempo e per ogni responsabilità, anzi
collezionisti di incarichi, magari tutti molto remunerosi. Parla di persone in grado di sentire la politica
come un servizio, un dovere di solidarietà verso il prossimo, atto di amore e di giustizia sociale. Una
politica che non si trasformi mai in un’arte di dominio sul prossimo, volta a soddisfare interessi
personali, di parte, di gruppo. Per don Luigi fare buona o cattiva politica dipende dalle scelte personali
del politico, dalla rettitudine dell’intenzione, dalla bontà dei fini da raggiungere, dai mezzi onesti da
impiegare per raggiungere lo scopo. Ecco una definizione sturziana che è assolutamente laica e che, se
concretamente praticata, può consentire di raggiungere il bene comune e il benessere sociale. Una
enunciazione che può andar bene per tutti coloro che non vogliono seguire il motto machiavellico del
fine che giustifica i mezzi. C’è però da aggiungere quel valore in più di cui devono essere testimoni i
cristiani. Don Sturzo non hai mai dimenticato di ricordarlo ai suoi amici democristiani, usando spesso
parole dure. Il seguente ammonimento è contenuto in un articolo (“Democratici”) scritto il 4
novembre 1948 per il quotidiano “Popolo e Libertà” di New York: “Sotto un punto di vista generale,
per un cattolico tutto è e deve essere cristiano: la vita individuale, la famiglia, l'attività economica, la
concezione filosofica, la creazione artistica, l'arte politica, sì da non esservi nessun angolo del proprio
essere che non sia impregnato di cristianesimo. Pertanto, la specifica denominazione di cristiano
messa a democratico o afferma una concezione di vita del cristiano o non ha significato. Peggio, quel
democristiano può degenerare in demicristiano, in quanto una politica sporca infetta la fede e la
pratica cristiana del soggetto infedele al suo ideale di vita.” È questo il senso del progresso legato
all’idea sturziana dell’incivilimento complessivo dell’uomo e della comunità sociale che, come ho
detto, oggi chiamiamo le quattro “invarianti” dell’azione umana. È in questo spazio che deve essere
costruita l’azione politica secondo la testimonianza cattolica, quella legata all’amore cristiano per il
prossimo.
8. La famiglia come fondamento indispensabile per la società.
Se vogliamo domandarci quale sia il luogo principale, la palestra di esercizio di questo amore cristiano
per il prossimo, prima ancora del campo associativo e politico, la risposta ci conduce verso quel
delicatissimo mondo di sentimenti finissimi e di solidarietà intense, che è la famiglia e prima ancora lo
stesso matrimonio. Il matrimonio, per don Sturzo, è il primo atto della relazione sociale che tende a
formare una stabile società tra uomo e donna. C’è l’incontro, la conoscenza, il desiderio, l’amore, il
progetto e la creazione; di più c’è la rifondazione concreta e quotidiana dell’impegno sacro, basata
spesso sull’abne gazione, il dono, la rinuncia. Tutto ciò è la base di ciò che il sacerdote calatino chiama
la coscienza di coppia che tende alla costruzione della società familiare, cioè la consapevolezza da
parte dell’uomo e della donna che uniti assieme costituiscono una società tipica, il cui vincolo è
fondato in natura, la cui attuazione dipende dalla loro volontà cooperante e dallo sviluppo
dell’affettività umana. Quest’ultima all’interno della famiglia procede per cicli, dall’affettività
coniugale, alla materna e paterna, alla filiale e poi, da questo punto, si rinnova il ciclo. C’è un amore
dinamico, che don Luigi chiama la ragione unificatrice, che ogni giorno coscientemente rinasce
e si moltiplica, sulla base di azioni responsabili finalizzate, ad esempio, a preservare i propri figli da
ogni male, fisico o spirituale. Per don Sturzo il matrimonio, quale sede naturale della società familiare,
in ogni tempo, luogo e ordinamento, ha avuto il suo riconoscimento giuridico formale. Ma nel vincolo
stabile del matrimonio il sociologo calatino individua qualcosa in più. Il diritto naturale della donna di
essere pari all’uomo e rispettata nell’ambito della fedeltà reciproca, affermando che: “la donna non è
più una serva, una cosa, un oggetto di soddisfazione, è la metà completiva che dà e riceve allo stesso
livello dell'uomo, in una comunione di spirito e di corpo unica e non partecipabile ad altri.”. Si esalta
così il senso di responsabilità della coppia, la stabilità del legame familiare e l’eccezionale importanza
del vincolo. L’unione delle due metà e la comunione in un corpo morale e sociale unico e indivisibile
crea la base solida della famiglia. È questa per don Sturzo la prima cellula che con la sua solida
struttura compone e costruisce il corpo della società umana, la ragione principale per cui essa va
difesa dalla aggressione di tutte le altre strutture sociali più o meno libere, legali, democratiche: “La
famiglia è un fondamento indispensabile per la società e per i popoli, e anche un bene insostituibile
per i figli. È una vera scuola di umanità e di valori perenni”. Questa definizione, che appare
assolutamente laica, evidenzia come l’intera comunità sociale, gli stessi popoli, privati della famiglia,
vedrebbero compromesso gravemente il loro ordinato sviluppo. Probabilmente è ciò che distingue
l’uomo razionale da ogni altro essere in natura, in cui la comunione familiare crea un indistruttibile
cordone ombelicale, attraverso cui nel tempo viene nutrita la concezione dell’amore, della solidarietà,
della sussidiarietà, dei ricordi, delle tradizioni. Un bagaglio che si trasferisce di generazione in
generazione e che crea l’identità storica delle famiglie, che è parte di quella delle comunità locali e
nazionali. Si dirà don Sturzo è un sacerdote. Infatti trovo meravigliosa questa sua idea della famiglia
cristiana legata al momento del concepimento dei figli come attimo di cooperazione tra i genitori e
Dio, e alla educazione come vocazione divina alla salvezza umana dal male: “Nella concezione religiosa
della famiglia cristiana, la finalità soprannaturale sboccia da quella, tutta naturale, di generare ed
educare i figli e di mutualmente aiutarsi, alimentando l'amore umano nobilitato dalla religione. La
vocazione cristiana di tutte le famiglie è di cooperare alla salvezza dei propri figli. I parenti nel
generarli cooperano con Dio, che in quell’istante crea le nuove anime con cui informare i corpi”. C’è
l’incontro tra l’amore umano e quello infinito di Dio. Quel fiato divino che introduce nell’evento
naturale della procreazione, il miracolo soprannaturale dell’anima e che ne affida alla vocazione
religiosa della famiglia la maggiore cura per il fine della salvezza eterna.
9. La crisi familiare e la vita politica della Nazione.
Abbiamo già osservato come per don Sturzo la famiglia sia energia pulsante, base della costruzione
sociale, che comunica ad ogni altra forma essenziale della costruzione sociale la sua energia. Possiamo
parlare di una pila atomica, che non si esaurisce, che trova sempre la forza per potere superare ogni
difficoltà, dare il suo contributo, un consiglio, un indirizzo educativo, un apporto economico. Questo è
il significato profondo del ritmo di sviluppo di una comunità, legato all’elemento umano, educativo,
religioso, culturale. La riprova la possiamo trovare nei gravi guasti sociali causati delle politiche
dirigiste che hanno imposto fenomeni migratori di massa, a partire dagli anni sessanta, con
l’urbanizzazione selvaggia dei quartieri dormitorio e l’abbandono dei centri minori. Si è distrutto il
tessuto familiare originario, quello connesso alla famiglia in senso ampio, culla della solidarietà e della
sussidiarietà; si è azzerato il valore positivo della integrazione nella comunità locale, incentrato sul
buon vicinato e sulla sana amicizia “paesana”. Si è cancellato il sistema di autodisciplina e di controllo
preventivo legato al vincolo di comunità locale dove, tutti si conoscono e, solitamente, per garantire
l’equilibrio familiare, amicale o dei rapporti di conoscenza, riescono a intervenire per neutralizzare i
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pericoli della deriva criminale di qualcuno. Insomma, si è cancellata l’idea del “cives” e della comunità
locale base della partecipazione popolare al potere comunale del Municipio e del suo continuo
confronto con il campanile della Chiesa. La piazza come luogo di integrazione sociale.
Di contro abbiamo costruito orribili quartieri dormitori, frutto degli incubi notturni di discutibili artisti
dell’architettura. In questi luoghi, privi di ogni servizio essenziale, abbiamo alloggiato tutte le fasce più
deboli della nazione che, inseguendo i miti del lavoro e magari del guadagno facile, sono divenute
marginalità sociali, culturali, religiose oltre che economiche. Che danno grave è stato prodotto
al tessuto sociale nazionale e alla sua identità culturale; quale grande vantaggio si è dato ai
moltiplicatori del male e del crimine, che hanno potuto condizionare profondamente questo serbatoio
di umanità infelice e solitaria. Probabilmente occorre parlare di una “ecologia familiare”, cominciando
a ripensare i prossimi piani casa, favorendo la ripresa dei piccoli centri, salvandone le scuole, gli
ospedali, gli spazi di aggregazione, le aree produttive. Ripensare una strategia di sviluppo che
coinvolga la famiglia e i corpi intermedi nella gestione diretta o partecipata, di questi servizi in
collaborazione con gli enti locali. Immettere nuove energie umane e risorse economiche per
infrastrutturare queste aree del Paese che sono state abbandonate all’oblio e al degrado. Sarebbe più
semplice se la famiglia contasse veramente qualcosa nella vita sociale, culturale, economica e politica
del Paese. Se, ad esempio, sul “quoziente familiare” si potesse andare oltre le mere dispute. Sappiamo
che la battaglia va combattuta sul piano culturale oltre che politico, perché nel tempo l’istituzione
familiare è stata attaccata dai movimenti sessantottini e dai collateralismi politici, dalla ghettizzazione
neo illuministica, dalla criminalizzazione radicalizzante. In questi ultimi anni siamo passati da
improbabili studi sul familismo amorale come causa delle mafie, a quelli demenziali sulla famiglia culla
delle violenze su donne e bambini. Scambiando il vero soggetto danneggiato, la famiglia, per l’autore
del danno, senza imputare all’individualismo, egoismo, prepotenza, sogni di facili guadagni, modelli
consumistici irreali e malaffare, tutte le ragioni che si scatenano in quel piccolo spazio di rapporti
umani, una volta venuto meno il senso di comunione dell’amore, della solidarietà e della sussidiarietà.
Per comprendere meglio la necessità di una forte spinta culturale sulla centralità della famiglia, voglio
ancora richiamare le parole di Luigi Sturzo: “Nel rallentarsi del costume familiare, molti, postisi al di
fuori di ogni concezione religiosa, vanno perdendo il senso della moralità, sì che i rapporti
extrafamiliari sono resi più facili e tolleranti. A parte l'introduzione del divorzio e la facilità della sua
applicazione presso molti stati, l'educazione stessa della gioventù e la diffusione di teorie e abitudini
materialistiche ed edonistiche, contribuiscono alla dissoluzione della vita familiare”. Bisogna anche
considerare come don Sturzo abbia compreso, fin dagli anni Cinquanta, l’incipiente pericolo della crisi
dell’istituzione familiare, fornendo una chiave di lettura sul pericolo di considerare il nucleo familiare
come una somma di individui anaffettivi e le famiglie come luoghi e spazi temporalmente contingenti,
senza stabilità e privi di rilevanza sociale: “La famiglia, concepita individualisticamente, ha perduto
l'importanza sociale di un tempo: non influisce che indirettamente sulla vita politica del paese; non ha
più garanzie di stabilità economica; nella limitazione della prole cerca un ripiego per contenere le
spese, ripiego che deriva da volontà egoistica. I divorzi sono divenuti frequenti man mano che la
famiglia si è impoverita spiritualmente; onde questa sarebbe del tutto decaduta, se la religione non
avesse supplito con la sua disciplina alla mancanza di sostegno e di rilevamento sociale”.
Sembra di leggere la cronaca di questi giorni, alla quale occorre aggiungere il declino del fattore
religioso. Disgraziatamente anche la pratica religiosa è stata resa individuale e intimistica,
incomunicabile agli altri nella vita pubblica e privata. In tale contesto non può sorprendere se il mondo
della politica, dell’economia e della finanza, intendano la famiglia solo come uno strumento da usare
secondo i propri fini.
10. Conclusione: è importante difendere la nostra identità di popolo cristiano.
La profonda capacità di analisi di don Sturzo lo aveva reso edotto del grave pericolo della
scristianizzazione della società nazionale, impegnandolo solitariamente su un fronte contro il quale
anche noi oggi siamo chiamati alla battaglia. La scristianizzazione come effetto della causa del laicismo
e allora, ieri come oggi, emerge la necessità di salvare la nostra comunità e la sua identità culturale
dalla disgregazione, attraverso un percorso di rivendicazione che ne riaffermi la sua comune essenza,
o meglio, seguendo le parole del sociologo calatino possiamo affermare che “non vi può essere etica e
civiltà che non sia cristiana”. Don Sturzo, nei suoi studi sociali, è riuscito a individuare le varie tappe di
aggressione dell’azione dei laicisti. Un accanimento contro il cristianesimo legato all’affermazione
della scuola delle nozioni, all’imposizione di una (dis)educazione giovanile, alla creazione di una
diversa (non)cultura, allo statalismo nella beneficenza e nell’assistenza e, infine, l’assalto all’ultimo
baluardo, la famiglia tradizionale. Perché tanta violenta determinazione nel cancellare l’identità di una
parte consistente della Nazione? Don Sturzo ha una sua risposta: “Ma la più sottile presunzione dello
stato moderno consiste nella scristianizzazione: della scuola, dell'educazione giovanile, della cultura,
della beneficenza e assistenza sociale, della famiglia stessa, in nome di un « laicismo » che si vuol fare
passare per tutelatore della libertà. Lo stato oramai ha tutta la società in mano, è divenuto il vero
Leviathan moderno, che esige allo stesso tempo adoratori e schiavi”. Sturzo, con le sue parole,
denuncia la costruzione dello Stato etico, buono a fare tutto e pronto ad occuparsi di tutti, dalla
nascita alla morte dell’individuo. Uno Stato che oggi fa i conti con “centri di potere forte” che sono
aldilà della legittimazione democratica o che, attraverso nuclei di pressione anche illeciti, sono in
grado di determinare decisioni non condivisibili per noi cattolici. Uno Stato che non guarda più al
valore e alla dignità della persona umana e al complesso sistema di affetti familiari e di aggregazione
di sussidiarietà, ma esalta il ruolo dell’uomo solo, monade slegata dal prossimo, autore di un destino
temporalmente limitato. Quello che per legalizzazione dello Stato potrà nascere perfetto,
intelligentissimo e immortale, secondo il censo dei genitori. Quello che se malato potrà essere
burocraticamente autorizzato a morire, o meglio, depurato dal rischio di accanimento terapeutico.
Credo che oggi sia necessario andare oltre la difesa dell’ultimo baluardo dei valori non negoziabili,
cercando di intraprendere una azione sociale per far comprendere che spesso questi valori sono
diffusi, anche se in piccolissima parte, all’interno di altri beni umani che si ritengono, a torto,
negoziabili, talché il compromesso sui secondi finisce, inevitabilmente, per indebolire i primi e l’intero
sistema valoriale.
Quaderni del CISS - N° 1 - Luglio 2010 – Gaspare Sturzo.
Articolo n. 6
MORALIZZARE LA VITA PUBBLICA
Una parola “moralizzare la vita pubblica”! Dove e quando essa è stata mantenuta sulla linea della
moralità? Non ieri; non oggi; non da noi; non dai nostri vicini; non dai paesi lontani. Eppure, è questa
l'aspirazione popolare: giustizia, onestà, mani pulite, equità. Che cosa è mai la concezione dello Stato
di diritto se non quella di uno Stato nel quale la legge prende il posto dell'arbitrio; l'osservanza della
legge sopprime l'abuso; la malversazione e la sopraffazione non restano impuniti?
Bene, facciamo come si fa nelle case; in primavera e in autunno pulizia generale; si rivedono tutti gli
angoli; si spolverano tutti i mobili; si buttano via stracci e carte inutili: pulizia, ci vuole. È vero, ci
sporchiamo le mani; ma c'è l'acqua e il sapone a ripulirle più volte. Presentiamo un programma per la
terza legislatura repubblicana; lasciamo che i partiti si vestano di meriti veri o presunti per quel che
hanno fatto di bene al Paese, alle varie categorie di cittadini, ai singoli collegi e circoscrizioni; lasciamo
che si presentino puliti e lucenti, nascondendo le falle, gli errori, le disfatte, per poter ottenere nuova
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e più larga fiducia. Noi vogliamo che lo Stato, come ente tipicamente responsabile della pubblica
amministrazione, pur facendo valere le proprie benemerenze, riveda le proprie colpe e si emendi: in
primo luogo giustizia, fundamentum regni, onestà, correttezza della pubblica amministrazione,
equità politica verso i cittadini.
Ai tempi del filosofo Gentile si parlava dello Stato etico (etico, cioè morale); si attribuiva l’eticità allo
Stato quali ne fossero gli atti emessi dagli organi statali; si trattava di una specie di immunizzazione
contro il male o meglio di una permanente trasformazione del male operato in bene insito. La teoria
non reggeva e non regge: lo Stato non immunizza il male né lo tramuta in bene; fa subire ai cittadini gli
effetti cattivi delle azioni disoneste dei propri amministratori, governanti e funzionari, mentre produce
benefici effetti con la saggia politica e la onesta amministrazione.
Ci vuole un lavaggio generale, per supplire alla pulizia che è mancata nei dieci anni delle due
legislature repubblicane, dopo quella specie di assoluzione del passato che il corpo elettorale diede
largamente il 18 aprile 1948 per i primi cinque anni gravi di difficoltà, specialmente per una classe
politica impreparata dopo ventuno anni di dittatura.
Il Ministro del Tesoro sta dando corso alla legge sulla eliminazione degli enti superflui; una operazione
non solo strettamente amministrativa, ma anche morale e moralizzatrice. Si tratta di un
provvedimento a passo ridotto; certi enti non solo superflui ma addirittura dannosi, e non sono pochi,
non saranno mai toccati per i favori reciproci che danno e ricevono dai partiti, dai profittatori e dalla
stampa. Il Governo ha le mani legate. Chi oserà sciogliere un ente, anche semifallimentare, se i partiti
lo sostengono e ne approfittano? e non dico solo i partiti di Governo; anche quelli della opposizione,
che sono doppiamente pericolosi, e quegli altri che, usando il metodo del ricatto parlamentare, se ne
avvantaggiano ancora di più. È nota la vecchia vicenda dell'UESISA.
Di recente, la Nuova Stampa di Torino ha fatto giustizia della ENDIMEA, per la quale io ebbi ingiurie e
minacce; il materiale farmaceutico di tale ente andato a male è stato notevole; per la liquidazione
ordinata nel 1950 sono occorsi da cinque a sei anni. La GRA è stata per ben quattro anni protetta al
Senato unguis et rostribus. Così di seguito; anche le gestioni passate al Tesoro per una sollecita
liquidazione sono state là a giacere per anni. Fino a poco tempo fa era ancora in piedi un certo ente
per la riforma e bonifica in Albania; l'ho perduto di vista. Non parliamo degli enti di Libia; un gruppo di
impiegati è ancora là che attende con trepidazione i provvedimenti governativi; pur improntati a
comprensiva umanità, questi debbono portare alla eliminazione di quel che non regge in piedi. Non
sono le persone che si perseguitano; coloro che han semiro la pubblica amministrazione dovranno
avere non solo quanto loro spetta, ma quella possibile sistemazione o quelle agevolazioni, che
serviranno loro a guardare l'avvenire con una certa fiducia. Ma profittatori, no; far nulla per anni e
decenni e prendersi lo stipendio, no; sono sistemi deplorevoli, che demoralizzano l'intera classe
impiegatizia. Più grave è l'andazzo di molti uffici centrali e periferici, statali e locali, per il disbrigo degli
affari privati. Se nella mente dei cittadini è penetrata l'idea che per avere disbrigato un affare occorre
la bustarella, o la percentuale per il premuroso intermediario, si deve concludere che le storielle
circolanti di bocca in bocca non siano tutte inventate. Sono troppo dettagliate per essere solo
millanterie, insinuazioni, sospetti, indizi, apparenze. Che ci stanno a fare nei corridoi e nelle antisale
dei ministeri e per le scale stesse, certe persone che oramai gli uscieri conoscono? Perché non tenere
sgombri gli ambulacri? Anche nelle antisale delle banche si vedono certi figuri ben noti ai funzionari.
Parecchi sono là a rappresentare società più o meno fittizie. Non parliamo di quella rete di società
private che si sviluppano attorno agli enti pubblici. L’affare dell'INA di parecchi anni fa, sollevò un velo;
e un altro velo sollevò quello dell'Alto Commissariato dell'Igiene e Sanità. Sarebbe bene vederne la
consistenza e la funzionalità e individuare i responsabili.
Ho sott'occhio gli appunti di un affare di distribuzione di metano nell'Alta Italia rivelatore di certi
sistemi alquanto equivoci. Si tratta di una catena di società, per studi, progettazione, costruzione e
gestione di impianti di gas metano. All'estrazione il metano vale, sì e no, un paio di lire al metro cubo;
la SNAM lo cede a lire 16; la società suddetta lo cede ai privati a lire 51 per i primi 15 mc., a lire 30 per
i seguenti; agli artigiani a lire 26; così di seguito.
Per quanto sto segnalando non vorrei dare l'impressione che tutta l'amministrazione statale sia
corrotta; farei torto al personale tradizionalmente corretto e zelante; ma il sistema dei controllaticontrollori, da me denunziato dieci anni fa, vige ed è generalizzato perfino con leggi recenti; le
responsabilità dei capi sono attenuate o elise dalle decisioni di commissione o dai pareri dei comitati
consultivi ministeriali e interministeriali; le promozioni a salti mortali sono non dico frequenti, ma
meno rare del passato e demoralizzano coloro che contano sulla regolarità della carriera e sulla
disciplina del personale. Per giunta, la differenza di stipendio fra il personale dei dicasteri statali e lo
stipendio (aumentato da indennità, partecipazione agli utili e simili) degli enti statali e parastatali
(specialmente nelle posizioni gerarchiche di responsabilità e nelle funzioni tecniche), è tale da
ripercuotersi sul morale di tutta la classe impiegatizia e sulla stessa pubblica opinione. Ciò spinge i più
audaci e più fortunati a darsi alla politica; chi può, otterrà anche un seggio di deputato o di senatore
(fino a ieri cumulando indennità e stipendi, ora non più per i deputati, i quali possono scegliere
l'emolumento più alto). Quanto sia incongruo che il personale impiegatizio possa sedere in
Parlamento, risulta chiaro a chiunque abbia un po' di buon senso. Ma la interpretazione data ad un
certo articolo della Costituzione e la mancanza di una legge che contempli tutte le incompatibilità,
rendono difficile un provvedimento limitativo, come era per il Parlamento pre-fascista, nel quale solo
dieci professori universitari potevano essere eletti deputati. Oggi, perfino magistrati, presidenti e
consiglieri di Stato si levano la toga e scendono in piazza a sollecitare i voti degli elettori. L'anello di
congiunzione della partitocrazia con la burocrazia politicante e con il funzionarismo degli enti statali e
parastatali, che amministra miliardi senza rischio e senza corrispondente responsabilità, è un incentivo
allo sperpero, al favoritismo, alla inosservanza delle leggi, e rende difficile qualsiasi retta
amministrazione governativa e arriva a paralizzare, in certi settori, anche il Parlamento.
Pensare che in dieci anni dall'approvazione della Costituzione, non è stato possibile discutere qualsiasi
disegno di legge sullo sciopero, legge che la Costituzione prescrive tassativamente, è il colmo, ma è
così. Manca inoltre una legge che definisca i caratteri democratici dei partiti che la Costituzione
ammette e dei quali riconosce i gruppi in Parlamento; sfido a poter dimostrare la democraticità dei
partiti quando, per vivere e funzionare, hanno bisogno, e che bisogno, del denaro donato o procurato.
Ne ho parlato altra volta, affermando la necessità di dare una regola per il finanziamento dei partiti, se
non altro come in Germania, dove è prescritta la pubblicità delle entrare e delle spese. Da noi si sente
parlare da tempo di finanziamenti diretti e indiretti, da parte delle imprese private e da parte dell'ENI
e dell'IRI, a partiti, a gruppi e a correnti; ma chi se ne interessa sul serio? e chi levala parola per
provvedimenti necessari ed urgenti?
Pulizia! pulizia morale, politica e amministrativa; solo così potranno i partiti ripresentarsi agli elettori
in modo degno per ottenerne i voti; non mai facendo valere i favori fatti a categorie e gruppi; non mai
con promesse personali di posti e di promozioni; ma solo in nomi degli interessi della comunità
nazionale, del popolo italiano, della Patria infine; perché la moralizzazione della vita pubblica è il
miglior servizio che si possa fare alla Patria nostra.
E non abbiate vergogna, candidati di tutti i partiti, di parlare di Patria, perché la Patria, come ideale
collettivo, indica giustizia, moralità, equità, onore, rispetto della personalità.
Luigi Sturzo
Il Giornale d’Italia, 2 gennaio 1958
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Incontro regionale del gruppo Sicilia_don Sturzo_settembre 2011