■ L’analisi
La riforma della Politica comune della pesca:
gli effetti socioeconomici di breve periodo
Alessandra Borello*
Premessa
Il settore ittico europeo sta attraversando oramai da anni una profonda crisi alla
quale, secondo quanto riportato nel Libro Verde, hanno contribuito alcune carenze strutturali della Politica comune della pesca (Pcp).
La congiuntura economica negativa ha effetti preoccupanti sulla pesca in Italia,
al punto tale che tra il 2002 e il 2007 si è assistito alla fuoriuscita dal settore da parte di ben 4.635 addetti, pari a circa il 15% degli occupati totali (tabella 1). Questo
andamento riflette lo stato di recessione che sta attraversando il settore ittico europeo ma va attribuito in parte anche all’adozione di misure volte a rendere sostenibile lo sfruttamento delle risorse. Misure come il divieto di alcuni tipi di pesca e la
riduzione dello sforzo di pesca hanno sia determinato la perdita di posti di lavoro
sia aggravato il fenomeno dell’abbandono del settore dovuto agli scarsi livelli di remunerazione.
La situazione della pesca in Italia è resa ancor più preoccupante dal fatto che il
Programma Operativo Fep 2007-2013, al quale era stato affidato l’ambizioso compito di incrementare le condizioni di competitività del settore ittico e al contempo
di aiutare i suoi operatori ad affrontare le conseguenze negative del processo di ammodernamento strutturale, sembra non aver soddisfatto pienamente le aspettative.
Secondo i risultati di una recente indagine organizzata dalla Fondazione Metes al fine di identificare le criticità che finora hanno caratterizzato l’esperienza del Fep in
Italia, le imprese di pesca reputano che «alcuni obiettivi del programma non sono
stati raggiunti, ad esempio quello dell’incremento o almeno del mantenimento dell’occupazione, altri solo parzialmente» e che «le misure del Programma ignorino le
reali esigenze del mondo della pesca» (Borrello, D’Alessio, 2012).
Per colmare le carenze strutturali della Pcp la Commissione europea ha presentato una riforma95, la cui normativa di riferimento dovrebbe entrare in vigore a par-
*
Economista agraria.
Pacchetto di proposte di riforma della Politica comune della pesca: Com (2011) 417, Com (2011)
425, Com (2011) 416, Com (2011) 424, Com (2011) 418.
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tire dal 1° gennaio 2013, che si propone di introdurre importanti innovazioni nei
meccanismi di funzionamento della Politica comune della pesca (Massimo sfruttamento sostenibile, Regionalizzazione, Sistema di concessioni di pesca trasferibili,
Divieto dei rigetti, Dimensione sociale). Nell’ambito del processo di riforma la
Commissione europea intende, inoltre, proporre anche un nuovo meccanismo di
finanziamento della Pcp attraverso la costituzione del Fondo europeo per gli affari
marittimi e la pesca (Feamp), che nel periodo 2014-2020 dovrebbe poter contare
su circa 6,7 miliardi di euro.
La riforma ha come obiettivi prioritari la protezione, la conservazione e il risanamento delle risorse ittiche e degli ecosistemi, perché la sostenibilità ambientale è ritenuta essenziale per il raggiungimento di quella sociale ed economica. D’altro canto, quanto meno nel breve termine, gli obiettivi ecologici sono fortemente in conflitto con quelli socioeconomici per cui è spontaneo domandarsi quali saranno gli
effetti a breve della riforma della Pcp sulle condizioni di vita degli operatori del settore ittico e soprattutto se i lavoratori si sentiranno confortati dalle novità introdotte oppure riceveranno un’ulteriore spinta verso l’abbandono del settore.
Il presente articolo intende presentare brevemente la situazione di difficoltà in cui
si trova il settore della pesca in Europa e in Italia e fornire una sintesi dei contenuti della proposta di riforma e delle principali novità che il Feamp introdurrà, per poi
offrire qualche spunto di riflessione in merito ai possibili effetti che tali innovazioni avranno sulle condizioni socioeconomiche degli operatori del settore, già fortemente vessati dalla crisi economica.
La crisi del settore ittico in Europa e in Italia
«... Il continuo declino delle catture praticate dalla flotta europea si è arrestato intorno al 2015... La pesca eccessiva e indiscriminata, con il vasto impatto che ne deriva per l’economia delle regioni costiere, è ormai un ricordo del passato... La disponibilità di popolazioni ittiche più abbondanti, composte da esemplari maturi e
di taglia più grande, rende più redditizia la pesca, che i giovani delle comunità costiere sono tornati a considerare una professione stabile e interessante... Efficiente e
indipendente dal finanziamento pubblico, il segmento industriale della flotta è
commisurato alle risorse di cui è autorizzata la cattura e opera con imbarcazioni che
rispettano l’ambiente... il settore europeo dell’acquacoltura è all’avanguardia dello
sviluppo tecnologico e continua ad esportare know-how e tecnologia nei paesi extraeuropei... Gli operatori del settore alieutico sono concretamente incentivati a
comportarsi in modo responsabile...» (Commissione europea, 2009). Ecco alcuni
dei punti salienti che descrivono lo scenario ideale per la pesca europea nel 2020,
descritto nel Libro verde sulla riforma della politica comune della pesca che la Com-
96
Eurostat, database commercio estero (http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/external_
trade/data/database).
L’analisi
missione europea ha pubblicato il 22 aprile del 2009. Eppure, come si evince anche
dal documento stesso, siamo lontanissimi da un simile scenario e l’obiettivo della
sostenibilità della pesca è un traguardo ancora distante.
La situazione reale che il Libro verde presenta è drammatica: secondo stime recenti, ben il 30% degli stock comunitari rischia di esaurirsi in modo definitivo.
Quasi il 90% di essi è sfruttato oltre il livello del massimo rendimento sostenibile
e numerose popolazioni sono costituite prevalentemente da individui giovani, poiché le catture indiscriminate non consentono loro il raggiungimento dell’età riproduttiva.
Ciò ha conseguenze gravissime dal punto di vista non solo ecologico ma anche
economico: la produttività delle popolazioni ittiche è in continua diminuzione, oltre ad essere notevolmente inferiore rispetto a quella che si otterrebbe allentando la
pressione di pesca. Inoltre, la dipendenza del mercato comunitario dalle importazioni è in crescita.
Secondo i dati Eurostat96, le catture totali europee si sono ridotte di circa 3 milioni di tonnellate di peso vivo in meno di quindici anni, passando dal valore di 8
milioni di tonnellate relativo al 1995 a quello di circa 5 milioni del 2008. Nello stesso intervallo di tempo, le importazioni dai Paesi terzi sono passate da poco meno di
4 milioni di tonnellate a circa 6 milioni.
Per capire a fondo la gravità della situazione si pensi che la gran parte della flotta europea non potrebbe sopravvivere senza gli aiuti comunitari e che, addirittura,
in molti paesi membri «l’incidenza della pesca sul bilancio nazionale supera il valore totale delle catture» (Commissione europea, 2009).
La crisi, comunque, non coinvolge solo il settore di cattura ma l’intera industria
della pesca e il depauperamento degli stock rappresenta solo una delle numerose sfide che oggi essa deve affrontare. Tra queste vi sono l’aumento dei prezzi del carburante, i cambiamenti delle abitudini dei consumatori e la maggiore convenienza dei
prodotti allevati nei Paesi terzi rispetto a quelli comunitari.
La congiuntura negativa ha profonde ricadute anche dal punto di vista sociale.
«Da numerosi anni si sta assistendo ad una contrazione del numero di pescatori a
bordo dei pescherecci comunitari. Dal 1996/98 al 2002/3 sono infatti diminuiti del
20%, ovvero all’incirca del 4-5% all’anno» (Ismea, 2007). A ciò hanno contribuito, da un lato, le politiche adottate dalla Commissione al fine di ridurre lo sforzo di
pesca e, dall’altro, fattori contingenti quali, ad esempio, le migliori prospettive occupazionali all’esterno del settore, la riduzione dei livelli di retribuzione, l’immagine negativa del settore, ecc.
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La situazione del settore ittico italiano riflette quella descritta a livello europeo.
Come evidenziano i dati dell’Istituto di ricerche economiche per la pesca e l’acquacoltura (Irepa), la produzione ittica nazionale è diminuita enormemente nell’arco di
un solo decennio. Dal 2000 al 2010, essa è passata da quasi 760.000 tonnellate a
un volume pari a meno del 60% di tale valore (tabella 2). La riduzione ha interessato sia l’acquacoltura sia la pesca in mare nonostante per quest’ultima si sia registrata la maggiore contrazione. Anche in termini economici il trend ha avuto un andamento simile e, come per i volumi, la riduzione del fatturato derivante dall’allevamento è stata più contenuta di quella dei ricavi relativi alle attività di pesca.
«Il ridimensionamento della produzione ittica totale va attribuito soprattutto alla riduzione dello sforzo di pesca e in misura minore ad una diminuzione della produttività giornaliera» (Irepa, 2011). In particolare, l’aumento dei costi di produzione, i minori fatturati medi e la stabilità della domanda interna hanno determinato
un calo delle attività di cattura e quindi della produzione nazionale.
Per quanto riguarda il lavoro, la riduzione delle remunerazioni medie e dello sforzo di pesca nonché l’immagine negativa di un settore oramai in declino hanno determinato l’abbandono del settore da parte di numerosi addetti. Tra il 2002 e il
2007 gli occupati si sono ridotti del 15%, ben 4.635 lavoratori sono fuoriusciti dal
settore. Vale la pena di evidenziare, comunque, che, a fronte di tale riduzione, nell’intervallo di tempo considerato il numero di donne occupate nel settore è aumentato dell’8% (tabella 1).
La proposta di riforma
Secondo quanto riportato nel Libro Verde, le carenze della Pcp che hanno contribuito in maggior misura al depauperamento delle popolazioni ittiche, e quindi
anche alla crisi dell’industria della pesca, sono l’eccessiva capacità della flotta comunitaria rispetto all’effettiva disponibilità di risorse97, la carenza di obiettivi politici precisi e quindi di orientamenti chiari per i policy maker, la limitata responsabilizzazione del settore, il mancato rispetto delle regole e la visione miope sulla
quale si basa la Pcp attuale che ha lasciato che venisse attribuita troppa importanza ai ricavi di breve periodo a discapito della sostenibilità del settore a lungo termine98.
97 Il problema della sovraccapacità della flotta è aggravato dall’avanzamento tecnologico che rende possibili catture per unità di sforzo crescenti.
98 Si pensi che è di uso comune la pratica del rigetto a mare del pescato che non può essere venduto
o che ha scarso valore commerciale e che i rigetti rappresentano una quota molto elevata del pescato,
in alcune pesche anche superiore al 50% del volume totale.
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La normativa di riferimento dovrebbe entrare in vigore a partire dal 1° gennaio 2013.
L’approccio precauzionale è definito dall’art. 3 comma 1 lett. i del reg. (CE) n. 2371/02 del Consiglio del 20 dicembre 2002 relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell’ambito della politica comune della pesca: «la mancanza di dati scientifici adeguati non deve giustificare il rinvio o la mancata adozione di misure di gestione per la conservazione delle specie
bersaglio, delle specie associate o delle specie dipendenti, nonché delle specie non bersaglio e del relativo habitat».
101 Si stima che se tale obiettivo venisse raggiunto le catture totali aumenterebbero di circa il 17% e i
margini di profitto potrebbero addirittura triplicarsi, rendendo il settore ittico molto meno dipendente
dal sostegno pubblico.
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L’analisi
Al fine di tali limiti, la Commissione ha recentemente proposto una riforma molto ambiziosa99 che ridisegna finalità e strumenti di funzionamento della Pcp con
l’obiettivo di gestire il settore in modo sostenibile e di ricondurre lo stato degli stock
di pesca ad una condizione tale da garantire la vitalità del settore.
La proposta di riforma contiene numerosi elementi innovativi rispetto al presente. In primo luogo il settore ittico dovrà essere gestito mediante la realizzazione di
piani pluriennali che garantiscano un basso impatto sugli ecosistemi e rispettino il
principio precauzionale100. Tali piani dovranno interessare più popolazioni al contrario degli attuali piani di gestione monospecifici e far sì che entro il 2015 tutti gli
stock siano sfruttati in modo sostenibile, ovvero che i volumi totali catturati consentano alle popolazioni di mantenere il loro livello massimo di produttività (Maximum sustainable yield - Msy)101.
Sempre con l’obiettivo di ridurre lo sfruttamento delle risorse e rendere la pesca
profittevole, la Commissione europea ha proposto l’istituzione a partire dal 2014 di
un sistema di «concessioni di pesca trasferibili», secondo il quale esse saranno distribuite in modo equo agli Stati membri che le divideranno a loro volta tra i propri pescatori.
La proposta di riforma dà molta importanza alla responsabilizzazione degli operatori, soprattutto nell’intento di ridurre l’impatto delle attività di cattura sulle popolazioni ittiche e gli ecosistemi. Essa infatti prevede un maggiore sostegno economico alle azioni collettive e l’attribuzione di un ruolo maggiore rispetto al passato
alle organizzazioni di produttori nella gestione, nel monitoraggio e nel controllo
collettivi. Le organizzazioni dovranno assicurarsi che i propri membri rispettino la
normativa in materia di pesca e di ambiente, gestiscano le catture indesiderate delle specie commerciali e attuino misure in favore della commercializzazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura.
Di estrema importanza per il raggiungimento dell’obiettivo di una pesca «a basso impatto» è anche la decisione di abolire i rigetti, che non solo contribuiscono a
compromettere lo stato degli stock, ma rendono impossibile la raccolta di dati attendibili sulle risorse disponibili. L’abolizione dei rigetti sarà graduale e avverrà con
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una tempistica ben definita fino all’entrata in vigore definitiva che è prevista per il
1° gennaio 2016.
Accrescere la disponibilità di dati scientifici attendibili e aggiornati sullo stato
delle risorse è ritenuto un elemento chiave per migliorare la gestione del settore, soprattutto per quanto riguarda la definizione delle norme finalizzate alla salvaguardia
delle popolazioni. Per questo motivo, la riforma prevede, da un lato, la stesura di
rapporti non più basati sugli sbarchi ma sul totale delle catture e, dall’altro, la raccolta, il mantenimento e la condivisione dei dati scientifici sullo stato delle risorse
nell’ambito di programmi di ricerca istituiti a livello nazionale.
L’ultimo elemento della proposta che affronta in modo specifico il problema del
depauperamento delle popolazioni ittiche riguarda le relazioni con i paesi terzi e, in
particolare, la decisione di sostituire gli accordi di pesca attuali con altri che prestino maggiore attenzione alla sostenibilità delle attività di pesca e alla salvaguardia degli ecosistemi.
All’obiettivo di salvaguardare le risorse alieutiche, la Commissione affianca quello
di potenziare il settore nel suo complesso. A tal fine, assume enorme importanza l’acquacoltura, che è ritenuta una valida soluzione per aumentare l’offerta di prodotti ittici, ridurre il deficit della bilancia ittica comunitaria e sviluppare le zone costiere e
rurali. Tra le principali proposte riguardanti l’acquacoltura vi sono la realizzazione da
parte degli Stati membri, a partire dal 2014, di piani strategici per lo sviluppo sostenibile del settore, l’obbligo per gli stessi di raccogliere anche dati per l’acquacoltura
nell’ambito del programma di raccolta dati per la pesca e la realizzazione di un comitato consultivo che fornisca consulenza sulle problematiche del settore.
Nella stessa direzione vanno gli interventi in favore dell’innovazione nel settore
della pesca e la creazione di una nuova Organizzazione comune dei prodotti della
pesca e dell’acquacoltura102.
Secondo la proposta saranno modificati anche gli standard di mercato e le norme di commercializzazione in materia di etichettatura, qualità e tracciabilità. Ad
esempio, i prodotti allevati dovranno essere distinguibili da quelli catturati.
Tra le proposte della Commissione vi sono anche la semplificazione della normativa e l’attuazione di una gestione decentralizzata. La prima dovrà attuarsi mediante la riduzione del numero di programmi e di strumenti differenti e l’istituzione di un quadro strategico comune per i fondi in gestione concorrente. La seconda
prevederà una suddivisione chiara dei compiti tra l’amministrazione centrale, a cui
102
Alcuni dei principali obiettivi della nuova Organizzazione comune del mercato sono: migliorare la
competitività dell’industria, la trasparenza del mercato e la sua efficienza, fornire incentivi e premi per
l’adozione di pratiche sostenibili, assicurare parità di condizioni per tutti i prodotti commercializzati,
migliorare le possibilità di previsione, la prevenzione e la gestione delle crisi di mercato.
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Una delle tappe più importanti di tale processo di semplificazione è stata l’adozione (6 ottobre
2011) di un Regolamento che prevede un sistema comune di gestione controllo finalizzato a ridurre
l’onere amministrativo e i tempi necessari per la creazione di tali sistemi.
L’analisi
spetterà il compito di definire il quadro generale, i principi guida, gli indicatori di
risultato e la tempistica, e gli Stati membri che decideranno quali misure attuare per
raggiungere gli obiettivi dei piani pluriennali e collaborare a livello regionale.
Al comparto della piccola pesca vengono riservate attenzioni particolari. Esso ha
un ruolo importantissimo dal punto di vista sociale ed economico in molte aree costiere comunitarie, ma è necessario un sostegno specifico perché tali realtà possano
sopravvivere. A tal riguardo i due elementi principali della proposta di riforma sono il diritto degli Stati membri di limitare la pesca nella fascia compresa all’interno
delle 12 miglia nautiche dalla costa fino al 2022 e l’esenzione della piccola pesca dal
sistema delle concessioni trasferibili. La proposta prevede anche un contributo finanziario per l’attuazione di misure in favore della sopravvivenza e dello sviluppo
delle comunità costiere e interne dipendenti dalla pesca.
Per quanto riguarda le modalità di finanziamento della nuova Pcp, nell’ambito
del processo di riforma, la Commissione europea ha proposto l’istituzione di un
fondo unico per le politiche Ue in materia di affari marittimi e pesca (il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca - Feamp), che nel periodo 2014-2020 dovrebbe poter contare su circa 6,7 miliardi di euro.
Le priorità del Feamp coincideranno con gli obiettivi strategici di lungo periodo
della Politica comune della pesca (Pcp) e della Politica marittima integrata (Pmi) e
cioè, per la Pcp, favorire la sostenibilità e competitività della pesca e dell’acquacoltura e, per la Pmi, garantire un quadro politico coerente e contribuire allo sviluppo
territoriale equilibrato ed integrato delle zone di pesca. In linea con tali obiettivi
strategici, il Feamp si articolerà intorno a 4 pilastri: pesca intelligente ed ecocompatibile, acquacoltura intelligente ed ecocompatibile, sviluppo territoriale sostenibile e inclusivo e politica marittima integrata.
Uno degli obiettivi prioritari del Feamp sarà la semplificazione delle formalità
burocratiche. A tal riguardo l’unificazione degli strumenti finanziari della Pmi e
della Pcp implicherà anche quella delle relative norme, decisioni finanziarie, procedure di rendicontazione, controllo103 e valutazione e garantirà quindi una notevole semplificazione, nonché una riduzione dei costi amministrativi. Inoltre, per
armonizzare la gestione del Feamp con quella relativa agli altri Fondi dell’Ue, esso
rientrerà nell’ambito del quadro strategico comune che raggrupperà tutti i fondi
strutturali.
Un’altra importante novità rispetto al passato consisterà nella condizionalità, cioè
nella stretta connessione tra il finanziamento e gli obiettivi della riforma della Pcp.
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Secondo tale principio, il contributo finanziario sarà garantito solo agli operatori e
agli Stati membri che dimostreranno di utilizzare i fondi comunitari per il raggiungimento degli obiettivi della Pcp riformata e nel rispetto delle sue norme.
Il Feamp avrà il compito di sostenere gli imprenditori ittici durante la fase di
transizione verso una pesca a basso impatto sull’ambiente e sulle risorse. Di conseguenza esso fornirà incentivi all’adozione di pratiche in grado di ridurre l’impatto
negativo sulle risorse e sugli ecosistemi, all’acquisto di attrezzature a bordo e a terra
per l’utilizzo degli scarti di pesca, alla diversificazione delle attività e alla valorizzazione della produzione.
Saranno supportate anche la promozione e la trasformazione dei prodotti e la realizzazione di progetti innovativi, soprattutto se promossi dalla collettività (approccio bottom-up). Verranno incrementati gli aiuti a favore delle flotte costiere artigianali e la disponibilità di risorse per le consulenze scientifiche, la raccolta dati e il controllo. Inoltre, saranno rafforzati i meccanismi di sorveglianza e controllo.
Sempre nel quadro di una gestione sostenibile del settore ittico le organizzazioni
della produzione riceveranno assistenza per pianificare la loro produzione in modo
tale da rispondere al meglio alle esigenze della domanda. Il Feamp sosterrà la collaborazione tra la ricerca e i pescatori e favorirà il coinvolgimento di questi ultimi nelle iniziative per la protezione e la ricostruzione degli ecosistemi marini nonché in
quelle per il mantenimento della biodiversità.
Altre rilevanti novità rispetto al passato saranno l’introduzione di misure per mitigare i cambiamenti climatici, l’eliminazione degli aiuti per l’arresto definitivo delle attività di pesca e il sostegno in favore dei coniugi ai quali viene riconosciuto un
ruolo importante all’interno delle imprese di pesca a conduzione familiare.
Gli effetti socioeconomici di breve periodo sul settore ittico italiano
I contenuti della proposta di riforma indicano chiaramente che la nuova Pcp avrà
quale obiettivo prioritario la protezione, conservazione e risanamento delle risorse
ittiche e degli ecosistemi. «La sostenibilità socioeconomica non può prescindere dall’esistenza di stock ittici produttivi e da ecosistemi marini sani. Solo ripristinando la
produttività degli stock è possibile preservare la vitalità economica e sociale del settore della pesca. A lungo termine, quindi, non vi è alcuna incompatibilità tra obiettivi ecologici, economici e sociali» (Commissione europea, 2009). D’altronde, a
breve termine esiste un chiaro conflitto tra gli aspetti ecologici e socio-economici e,
a tal riguardo, la Commissione sottolinea che è l’obiettivo della sostenibilità ecologica di lungo termine a guidare le scelte politiche a livello comunitario: «È essenziale che qualsiasi compromesso volto a mitigare gli effetti socio-economici immediati di eventuali riduzioni delle possibilità di pesca sia compatibile con la sosteni-
L’analisi
bilità ecologica a lungo termine, in particolare per quanto riguarda l’instaurazione
di modelli di sfruttamento atti a consentire il rendimento massimo sostenibile, l’eliminazione dei rigetti e la riduzione dell’impatto ecologico della pesca» (Commissione europea, 2009).
Ciò premesso, è legittimo domandarsi quali saranno, in Italia, gli effetti socioeconomici della riforma della Pcp nel breve periodo e, soprattutto, se essa sarà in
grado di supportare i lavoratori già tanto colpiti dalla crisi economica o, al contrario, peggiorerà ulteriormente la loro condizione spingendoli ad abbandonare il
settore.
Va aggiunto anche che in Italia gli addetti al settore sentono fortemente l’esigenza di un cambiamento. L’Italia è attualmente impegnata nell’attuazione del Programma operativo Fep (Fondo europeo per la pesca) 2007-2013 ma gli operatori ritengono che esso «non sia stato in grado, almeno fino ad oggi, di venire incontro
alle esigenze delle imprese né, tantomeno, di favorire lo sviluppo sostenibile del settore» (Borrello, D’Alessio, 2012). Durante l’implementazione del Po Fep 20072013 sono emerse numerose criticità (assenza di integrazione del programma con
altri fondi strutturali, eccessiva complessità delle procedure, scarsa coerenza tra
obiettivi prestabiliti e scelte strategiche effettuate, ecc.) che hanno rallentato enormemente l’attuazione delle misure non permettendo agli operatori del settore di cogliere a pieno le occasioni di sostegno e di sviluppo offerte dalle risorse comunitarie
per la pesca.
In particolare alla luce degli effetti che la crisi economica sta avendo sul settore
ittico e dato che l’attuale momento storico impone il massimo rigore nella spesa dei
fondi pubblici, è evidente l’esigenza di una riforma che metta a disposizione dell’industria del pesce misure quanto più possibile efficaci ed efficienti.
L’analisi dei contenuti della proposta di riforma della Pcp e del nuovo strumento finanziario per gli Affari marittimi e la pesca suggerisce che alcune delle novità
potrebbero essere molto utili al settore ittico italiano non solo ai fini della sostenibilità ambientale, ma anche di quella socioeconomica. D’altro canto, esse potrebbero favorire l’attenuazione di alcune criticità che hanno caratterizzato la programmazione in corso poiché risultano coerenti con le esigenze emerse. Ciononostante,
il pacchetto di proposte appare eccessivamente incentrato sulla gestione delle risorse e alcune di esse sembrano non tenere sufficientemente in considerazione le sfide
socio-economiche alle quali è soggetta la pesca.
Tra gli obiettivi prioritari del Feamp vi è la semplificazione delle formalità burocratiche che è indispensabile sia per facilitare la gestione e l’attuazione dei programmi da parte delle amministrazioni, sia per consentire agli operatori di accedere agevolmente ai finanziamenti. A tal riguardo gli strumenti finanziari della Politica marittima integrata e della Politica comune della pesca saranno integrati in un unico
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fondo. Questa novità implicherà l’unificazione di norme, decisioni finanziarie, procedure di rendicontazione, controllo104 e valutazione e dovrebbe quindi garantire
una notevole semplificazione nonché una riduzione dei costi amministrativi. Su
questo tema comunque ci sono opinioni discordanti e il dibattito è ancora acceso.
Ad esempio, secondo quanto riportato nel documento della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che contiene le prime osservazioni sulle proposte
di riforma della Pcp, vi è il timore che «l’integrazione degli strumenti finanziari esistenti (Fep, sostegno alla Pmi e dispositivi dell’Organizzazione comune dei mercati) in un unico Fondo... di fatto possa implicare un aumento della complessità burocratica delle disposizioni normative, provocando un non auspicabile aumento dei
costi di gestione amministrativi e un rallentamento nell’utilizzo dei fondi relativi al
periodo di programmazione 2014- 2020».
Il Feamp, inoltre, rientrerà nell’ambito di un quadro strategico comune che raggrupperà tutti i fondi strutturali (Fesr, Fse, Fondo di coesione, Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e il futuro Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca). Questo dovrebbe favorire l’integrazione e il coordinamento tra le iniziative finanziate con le risorse dedicate al settore ittico e quelle promosse dagli altri fondi
strutturali e, quindi, lo sviluppo di sinergie. Conseguentemente, il settore ittico italiano dovrebbe poter beneficiare non solo delle risorse economiche del Feamp ma
anche di quelle disponibili su altri fondi, tramite, ad esempio, il potenziamento della ricerca o la formazione degli operatori e degli impiegati della pubblica amministrazione.
Altri due elementi della proposta di riforma che potranno incidere positivamente sul grado di soddisfazione sociale post-riforma sono il maggiore sostegno che verrà garantito alle azioni collettive, comprese la commercializzazione e la produzione,
e il rafforzamento del ruolo delle organizzazioni di produttori. Entrambe le novità
dovrebbero essere accolte di buon grado dagli operatori del settore, visto che le azione collettive si basano su un approccio bottom-up, in cui gli interventi sono attuati dagli operatori stessi.
Anche la condizionalità, cioè la connessione tra il finanziamento e gli obiettivi
della riforma della Pcp, favorirà le imprese di pesca, se non altro quelle che rispettano le regole. La condizionalità non consentirà che le già scarse risorse economiche
vengano utilizzate in modo improprio e garantirà una maggiore disponibilità per le
imprese virtuose. Infatti, come precedentemente accennato, il contributo finanziario sarà garantito solo agli operatori che dimostreranno di utilizzare i fondi
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Una delle tappe più importanti di tale processo di semplificazione è stata l’adozione (6 ottobre
2011) di un Regolamento che prevede un sistema comune di gestione e controllo finalizzato a ridurre
l’onere amministrativo e i tempi necessari per la creazione di tali sistemi.
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Produzione dati sulla pesca necessari ad una corretta gestione, controllo delle attività di pesca e
adozione di un approccio strategico alle attività di acquacoltura.
L’analisi
comunitari per il raggiungimento degli obiettivi che la Pcp riformata si prefigge e
nel rispetto delle sue norme. In particolare i pescatori non rispettosi delle regole
rischieranno la riduzione degli importi, il divieto di accesso ai contributi o dovranno restituire le somme già ricevute. È doveroso sottolineare, comunque, che l’efficacia di questo sistema è strettamente connessa a quella dei meccanismi di controllo e sorveglianza perché esso si baserà sulla capacità di dimostrare le eventuali inadempienze da parte dei pescatori.
La condizionalità riguarderà però anche gli Stati membri per i quali il finanziamento sarà condizionato al rispetto della normativa e alla creazione delle precondizioni per la corretta attuazione del Feamp105. I Paesi membri che non rispetteranno queste condizioni andranno incontro all’interruzione, alla sospensione o alla
rettifica del finanziamento. Questo, al contrario, potrebbe non incontrare il favore
degli operatori perché potrebbe tradursi in un’interruzione del flusso di risorse dovuto a carenze gestionali delle amministrazioni pubbliche, a danno dell’intera industria.
La decisione di fornire un sostegno in favore dei coniugi, per il finanziamento
della loro formazione e la realizzazione di attività economiche collegate alla pesca è
particolarmente adatta al contesto ittico italiano, dove le donne hanno una grande
importanza all’interno delle imprese di pesca a conduzione familiare. Ad esempio in
alcune realtà siciliane esse si occupano dell’impresa di famiglia dal momento in cui
il pesce viene sbarcato fino a quando viene venduto. Tra l’altro, come precedentemente osservato, la percentuale di donne che lavorano nel settore ittico è in aumento benché il numero di occupati nel settore si stia riducendo.
Anche le iniziative supportate dal Feamp in favore di un aumento del reddito dei
pescatori (diversificazione delle attività, valorizzazione e promozione dei prodotti,
realizzazione di progetti innovativi, ecc.) saranno senza dubbio gradite agli operatori
del settore, purché le amministrazioni si sforzino di ideare un pacchetto di misure
in grado di tradurre i buoni propositi in risultati concreti.
Per quanto riguarda l’acquacoltura, l’Ue punta al suo potenziamento, in un’ottica di sostenibilità ambientale. A tal fine, il Feamp favorirà l’innovazione di prodotto (es. produzione di specie per il consumo non alimentare) e di processo (es. acquacoltura offshore), la multifunzionalità del settore, cioè l’integrazione delle attività di allevamento con attività turistiche o educative, la vendita diretta, ecc. Tutte
queste iniziative sono pienamente coerenti con il fatto che, in Italia, vi è poca sperimentazione nel settore dell’acquacoltura e la variabilità delle produzioni è piuttosto ridotta. Tra l’altro, la modifica degli standard di mercato e i nuovi obblighi sul-
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la chiarezza delle etichette, previsti nell’ambito della Pcp riformata, miglioreranno
il livello di consapevolezza dei consumatori e li metteranno in condizione di
scegliere i prodotti che desiderano acquistare106. Questo darà la possibilità ai consumatori di sostenere sia la pesca responsabile sia l’acquacoltura e di boicottare la
pesca irresponsabile.
Un altro elemento di rilievo consiste nel fatto che il Feamp sosterrà la collaborazione tra la ricerca e i pescatori. Nel mondo della pesca vi è una certa sfiducia nei
confronti del ruolo della ricerca per lo sviluppo del settore e appare quindi preziosa
l’occasione fornita dal nuovo fondo di rafforzare il dialogo con gli operatori al fine
di indirizzare le attività di ricerca in direzioni più proficue per il settore ittico, evitando, inoltre, duplicazioni di ricerche e sprechi di risorse. Tra l’altro la realizzazione
di partnership tra scienziati e operatori del settore contribuirà a «migliorare la qualità e la disponibilità dei dati e di introdurre un livello più trasparente sia nella fase
preparatoria che nella fase di attuazione della Pcp» (Conferenza delle regioni periferiche marittime d’Europa, 2011).
Anche la scelta di intensificare gli aiuti a favore della piccola pesca e della sostenibilità economica delle comunità costiere e interne dipendenti dalla pesca, potrebbe
avere un’enorme utilità per il settore ittico nazionale. Basti pensare che dei 13.839
natanti, che risultavano iscritti nell’Archivio licenze di pesca alla fine del 2007, circa il 65% erano afferenti al segmento della piccola pesca. È necessario però che per
la programmazione futura vengano superati gli ostacoli dovuti alla mancata coincidenza tra la definizione comunitaria di «small scall fisheries» e quella italiana di «piccola pesca». Dato che le due definizioni non coincidono, una parte della «piccola
pesca» italiana rientra, secondo la classificazione Ue, nel segmento industriale e, di
conseguenza, non ha diritto ai contributi.
Una novità introdotta dal Feamp in merito alla quale il dibattito è particolarmente acceso è l’eliminazione degli aiuti per l’arresto definitivo (attuale misura 1.1)
e per l’arresto temporaneo delle attività (attuale misura 1.2), decisione dovuta al fatto che queste tipologie di intervento non sono risultate efficaci a garantire il miglioramento della condizione degli stock di pesca.
Nella situazione di crisi in cui da anni si trova il settore, il sostegno economico
previsto dalle misure 1.1 e 1.2 dell’attuale programmazione ha avuto un ruolo determinante per la sopravvivenza di molte imprese della pesca, soprattutto di piccole
dimensioni. In particolare, il contributo alla demolizione della flotta ha assunto il
ruolo di «valore dell’usato dell’imbarcazione» e ha mantenuto in vita imprese che
grazie ad esso, da un lato, hanno avuto la possibilità di accedere al credito e dall’al106
Ad esempio in base alla nuova normativa i prodotti della pesca dovranno essere distinguibili dai
prodotti dell’acquacoltura.
107
La European Transport Worker’s Federation (Etf) rappresenta più di 2,5 milioni di lavoratori nel
settore del trasporto e della pesca e 235 sindacati in 41 paesi europei.
L’analisi
tro, di saldare, al momento della fuoriuscita dal settore, eventuali debiti contratti in
precedenza. Ciò premesso, è indubbio che se la riforma prevederà l’abolizione immediata del contributo alla demolizione della flotta, come previsto dalla proposta,
numerose imprese non riusciranno a rimanere in vita. D’altro canto, la situazione
sarà ancora più grave se non verranno attuate opportune misure a favore dell’ingresso nel settore di giovani lavoratori.
Appare dunque condivisibile la posizione della Federazione europea dei lavoratori dei trasporti107 (Etf) in merito alla necessità di introdurre nella nuova programmazione delle misure che affrontino i problemi sociali in modo diretto e che aiutino
i pescatori e, in particolare, i lavoratori salariati, ad affrontare i cambiamenti in atto.
Particolarmente importanti in tal senso dovranno essere gli interventi di riconversione degli addetti soprattutto poiché il paese sta andando incontro ad una situazione
economica tale che è assolutamente utopistico pensare che gli operatori che fuoriescono dal settore ittico possano trovare facilmente un’occupazione alternativa. Inoltre, anche al fine di evitare sprechi di risorse, sarà opportuno contestualizzare gli interventi per la diversificazione e la riconversione, considerando adeguatamente aspetti quali la vetustà delle imbarcazioni, l’età degli operatori, la vocazionalità del territorio per attività alternative come il pescaturismo, e così via.
Sorgono alcune perplessità anche relativamente all’obiettivo di vietare il rigetto a mare delle catture indesiderate. Essendo la pesca nei nostri mari di tipo multispecifico, inevitabilmente il mix di specie oggetto di cattura include una certa
quantità di pesce indesiderato che in alcuni casi e in alcuni periodi dell’anno può
risultare anche piuttosto consistente. L’obbligo di sbarcare interamente il pesce
catturato si tradurrebbe perciò nella necessità di stoccare a bordo quantità variabili di prodotto non destinato alla vendita e quindi in una riduzione dello spazio
destinato a quello di interesse commerciale, cosa particolarmente problematica
per le imbarcazioni di piccole dimensioni che rappresentano un’ampia quota della flotta nazionale. Tra l’altro, il volume delle celle frigorifero a bordo delle imbarcazioni dovrebbe aumentare e le imbarcazioni sarebbero costrette a tornare a
riva più frequentemente con un conseguente aggravio dei costi. A questo problema si somma quello della mancanza di strutture tecniche e amministrative a terra atte a registrare il prodotto «di scarto», conservarlo e assicurare che sia poi destinato al consumo non umano o alla beneficenza, come previsto dalla proposta
di riforma. In ultimo va osservato che la proposta di riforma non prevede l’esistenza di misure finalizzate in modo specifico a scoraggiare i rigetti e a formare gli
operatori del settore sulle modalità applicative della nuova normativa, né consi-
a
e
93
9-10/2012
a
e
94
dera gli effetti che le nuove regole avranno sui lavoratori, ad esempio in termini
di orario di lavoro e sicurezza.
Tali considerazioni suggeriscono che la proposta di abolire i rigetti, sebbene si
proponga di raggiungere l’indiscutibile obiettivo di rendere lo sfruttamento delle risorse in mare più razionale, dovrebbe essere rivista, prestando maggiore attenzione
ai problemi tecnici e alle conseguenze sui lavoratori e, soprattutto, considerando la
specificità sia delle realtà costiere sia dei tipi di pesca. A riprova di tali necessità si
consideri che inizialmente la Commissione europea aveva deciso addirittura di
escludere temporaneamente il bacino del Mediterraneo dall’applicazione di questa
misura e di effettuare azioni pilota finalizzate ad affrontare nel modo opportuno i
problemi tecnico-economici di ciascuna realtà locale, anche se successivamente tale
scelta è stata rivista.
La proposta di riforma prevede l’istituzione a partire dal 2014 di un sistema di
«concessioni di pesca trasferibili», con la convinzione che esso, da un lato, conferirà maggiore flessibilità al settore e maggiore responsabilità agli operatori e, dall’altro, obbligherà gli Stati membri a riequilibrare le dimensioni della flotta alla disponibilità di risorse. Le opinioni in merito all’opportunità di introdurre nel settore il
sistema delle concessioni trasferibili sono molto controverse.
In particolare, la maggior parte delle Ong e delle Organizzazioni della pesca che
hanno partecipato alla fase di consultazione sulla riforma hanno espresso un parere
negativo sul sistema delle concessioni di pesca trasferibili (Cpt).
La principale motivazione a sfavore è il fatto che non è giusto privatizzare una
risorsa pubblica e che dovrebbe essere invece lo Stato ad assegnare nuovamente le
concessioni che si liberano quando gli operatori fuoriescono dal settore. In questo
modo gli Stati membri potrebbero anche controllare i diritti di pesca e rilasciarli
solo ai pescatori che dimostrano di rispettare le regole. Come suggerito dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, in caso di adozione delle Cpt potrebbe essere utile «l’introduzione di una clausola di condizionalità che vincoli l’assegnazione delle Cpt alle imprese al rispetto da parte delle imprese della Pcp, delle leggi sociali e di sicurezza sul lavoro e dei contratti collettivi nazionali. In relazione a ciò, in un quadro di maggiore chiarezza nel nuovo strumento finanziario
in materia di ammortizzatori sociali assegnati agli Stati membri, analoga clausola
di condizionalità dovrebbe prevedere il sostegno economico degli equipaggi nei periodi di sospensione del lavoro» (Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, 2012).
La seconda ragione è che, mentre i proprietari dei pescherecci sarebbero agevolati nella fuoriuscita dal settore dalla vendita dei diritti di pesca, i pescatori salariati
non riceverebbero nessuna forma di compensazione in caso di interruzione dell’attività. In altri termini tale sistema non garantirebbe la continuità dell’occupazione.
Esiste inoltre il rischio che le attività di pesca si concentrino nelle mani di pochi
gruppi economicamente più forti, dando origine ad ingiustizie e fenomeni speculativi e riducendo il potere delle comunità costiere come è accaduto nei paesi in cui
sono stati introdotti i diritti di pesca trasferibili.
Al di là di tali rischi, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome individua numerosi ostacoli applicativi che tale sistema incontrerebbe nel Mar Mediterraneo data la multispecificità che caratterizza le attività di pesca in questo mare,
ma si rimanda al documento che riporta le sue osservazioni sulle proposte di riforma della Pcp presentate nel 2011 per una trattazione approfondita.
La Commissione europea ha recentemente presentato un pacchetto di riforme
con il quale intende risolvere i problemi strutturali dell’attuale Pcp. La proposta, che
prevede cambiamenti molto rilevanti in tutti gli ambiti della Pcp, ha scatenato un
acceso dibattito sulle possibili conseguenze socioeconomiche in Italia, dove la crisi
economica e le misure adottate per la salvaguardia delle risorse hanno già causato la
fuoriuscita dal settore di numerosi addetti.
Il presente articolo si è posto l’obiettivo di presentare brevemente i contenuti
della proposta di riforma e di offrire qualche elemento su cui riflettere relativamente ai suoi probabili effetti di breve periodo sulle condizioni di vita degli addetti
al settore.
La proposta di riforma appare nel complesso eccessivamente incentrata sulla
gestione delle risorse. Alcuni suoi elementi hanno la potenzialità di migliorare,
anche nel breve periodo, non solo lo stato delle risorse ittiche ma anche le condizioni socioeconomiche dei lavoratori. Altri, al contrario, se verranno attuati così
come suggerisce l’attuale proposta, potrebbero determinare un peggioramento
delle condizioni di vita dei lavoratori e contribuire ad aggravare il fenomeno dell’abbandono del settore. Alcuni aspetti della riforma sui quali il dibattito è particolarmente acceso sono l’introduzione del divieto di rigetto, l’eliminazione degli
aiuti per l’arresto definitivo delle attività di pesca e l’istituzione del sistema delle
concessioni di pesca trasferibili. Soprattutto a queste questioni, quindi, andrebbe
dedicata una maggiore attenzione. I possibili impatti socioeconomici di tali innovazioni dovrebbero essere valutati attentamente e caso per caso, in modo tale
da acquisire le conoscenze necessarie a rivedere la proposta minimizzandone gli
effetti negativi.
L’analisi
Conclusioni
a
e
95
a
e
v.a. %
1.426
4
31.737 96
33.163 100
v.a. %
1.342
4
31.835 96
33.177 100
v.a.
1.495
31.354
32.849
%
5
95
100
2004
Produzione (t)
Pesca marittima
Acquacoltura
Totale produzione
409.284
257.600
666.884
2000
348.562
261.450
610.012
2001
314.383
259.600
573.983
2002
329.343
191.650
520.993
2003
307.101
232.800
539.901
2004
282.365
234.100
516.465
2005
Tabella 2. Evoluzione della produzione del settore ittico italiano dal 2000 al 2010
Femmine
Maschi
Totale
Fonte: Mipaaf-Irepa
2003
2002
Tabella 1. Evoluzione del numero addetti al settore della pesca dal 2002 al 2007
96
296.523
241.900
538.423
2006
276.650
179.634
456.284
2007
v.a. %
11.469 36
30.412 95
31.881 100
2005
9-10/2012
227.011
157.872
384.883
2008
2009
242.437
162.325
404.762
v.a. %
1.483
5
29.359 95
30.842 100
2006
224.758
162.325
387.083
2010
v.a. %
1.449 5
27.093 95
28.542 100
2007
-45
-37
-42
Var. %
(2000-2010)
8
-15
-14
Var. %
(2002-2007)
Borrello A., D’Alessio M., Effetti del Fep sul settore e la Pesca dopo il 2013, Rapporto conclusivo di una ricerca organizzata dalla Fondazione Metes nell’ambito del
Progetto pesca, Edizione Flai Cgil, 2012.
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Bruxelles, 2009.
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L’analisi
Bibliografia
a
e
97
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La riforma della Politica comune della pesca: gli effetti