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COMPOSTI BIOATTIVI DELLA DIETA
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INTRODUZIONE
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La ricerca scientifica ha individuato una grande varietà di sostanze (quasi tutte di origine
vegetale da cui deriva il nome inglese di phytochemicals, cioè fitocomposti), comunemente
assunte con la dieta, che possono influenzare positivamente la salute e quindi contribuire alla
prevenzione di malattie. Questi composti non sono dei nutrienti in senso classico, ossia atti a
far sviluppare, crescere e mantenere un organismo umano, ma possono essere definiti come
sostanze in grado di modulare numerose attività biologiche e importanti funzioni
dell’organismo. Le attività da essi esercitate sono molteplici, tra le quali l’attività antiossidante
e antinfiammatoria, la modulazione degli enzimi di detossificazione, la stimolazione del
sistema immunitario, la modulazione del metabolismo ormonale, l’attività antibatterica e
antivirale, l’attività antiproliferativa e proapoptotica, ecc., tuttavia gli studi che permettono di
evidenziarne il ruolo sulla salute non sono ancora conclusivi e risultano generalmente
focalizzati su composti specifici e sui loro effetti su un numero limitato di marcatori. Ancora
da chiarire sono inoltre molti aspetti legati alla loro biodisponibilità, al metabolismo e
all’escrezione, all’interazione con la matrice alimentare e con i nutrienti e altri componenti di
interesse nutrizionale, ecc.. (Carratù B, Sanzini E. 2005) A ciò va aggiunto che alcune di queste
sostanze possono avere effetti sia positivi sia negativi sulla salute (spesso in relazione alle
quantità assunte) oppure essere presenti in alimenti il cui consumo non va promosso per altri
motivi (bevande alcoliche).
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Infine è importante ricordare che la risposta dei singoli individui alla loro assunzione può
essere influenzata anche da fattori genetici (es. polimorfismi). Alla luce di quanto detto risulta
pertanto difficile al momento formulare raccomandazioni nutrizionali per i fitocomposti. La
loro assunzione nell’ambito di una dieta varia, ricca di alimenti di origine vegetale e ben
equilibrata è ancora la strategia migliore per mantenere e promuovere la salute. Studi futuri,
che si potranno anche avvalere di nuovi approcci sperimentali, quali la nutrigenomica, la
metabolomica, la bioinformatica, potranno fornire ulteriori evidenze sulle loro funzioni e i
meccanismi di azione in condizioni fisiologiche e/o patologiche e permettere, quindi, di
suggerire i livelli di assunzione di riferimento per le diverse fasce di popolazione..
L’attenzione dimostrata dai ricercatori per questi composti e i dati interessanti e promettenti
che emergono dalle ricerche effettuate, inducono a fare alcune brevi e sintetiche
considerazioni sulle evidenze acquisite e sugli aspetti che meritano ancora approfondimento
per poterne chiarire il ruolo sulla salute., Tutto ciò anche in relazione al fatto che l’interesse
alla conoscenza delle funzioni specifiche di questi composti si accompagna allo sviluppo dei
cosiddetti “alimenti funzionali”, per i quali i consumatori sembrano dimostrare grande
interesse (Shibamoto et al, 2008). A livello europeo, come pure a livello nazionale, non esiste
una definizione legale di alimento funzionale, tuttavia le indicazioni (claim) salutistiche che è
possibile attribuire ai prodotti alimentari sono strettamente regolate da una normativa
dell’Unione Europea (regolamento 1924/2006), che si avvale del parere tecnico dell’EFSA
(Autorità europea per la sicurezza alimentare) per esprimersi sui dossier scientifici presentati
dalle aziende produttrici. L’evidenza delle funzioni biologiche di questi composti sarà quindi
di grande importanza anche ai fini della valorizzazione di specifici alimenti.
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Nel presente capitolo sono presentati, raggruppati per classi , i più noti composti bioattivi
presenti negli alimenti: i carotenoidi, i polifenoli ed i glucosinolati.
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CAROTENOIDI
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I carotenoidi sono una classe di composti organici ampiamente presenti in piante e alghe.
Sono stati identificati oltre 600 carotenoidi che vengono suddivisi in due classi: i caroteni
idrocarburici, contenenti cioè solo carbonio e idrogeno, e le xantofille, che hanno anche atomi
di ossigeno e sono per questo meno idrofobiche.
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I carotenoidi costituiscono un’importante famiglia di composti antiossidanti con
caratteristiche molto peculiari. Grazie alla loro struttura sono in grado di agire da spazzini dei
radicali (radical scavenger) e ritornare in breve alla forma originaria: quindi non si
consumano per esercitare l’attività antiossidante, come invece accade ai composti che
funzionano da agenti riducenti. Sono le molecole più efficaci nell’eliminare l’ossigeno
singoletto e per questo molto utili per proteggersi dalla radiazioni UV. Inoltre, mentre tutti gli
altri antiossidanti esogeni vengono rapidamente metabolizzati ed escreti, i carotenoidi hanno
un’emivita più lunga; la loro concentrazione nel plasma e nei tessuti è relativamente costante
nel tempo ed è un buon indicatore delle abitudini alimentari. I caroteni più rilevanti dal punto
di vista alimentare sono il carotene, che si può trovare nelle forme beta e alfa, e il licopene,
mentre la luteina è la principale xantofilla.
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Beta carotene
Il beta carotene è una molecola terpenica costituita da 8 unità isopreniche. Può essere
accumulato nel fegato e nel tessuto adiposo per generare vitamina A (retinolo); da ogni
molecola di beta carotene, infatti, si producono due molecole di vitamina A secondo le
necessità dell’organismo e senza rischio di ipervitaminosi A, perché la conversione a retinolo
avviene in modo relativamente lento.
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Attività biologiche
Come gli altri carotenoidi il beta- carotene è un antiossidante che agisce come scavenger
dell’ossigeno singoletto ed interagisce con il tocoferolo inibendo l’ossidazione lipidica
particolarmente nelle lipoproteine LDL. Nonostante i moltissimi studi fatti in vitro ed in vivo
non è stato possibile stabilire con certezza una correlazione tra beta carotene assunto con la
Fonti alimentari e metabolismo
Il beta carotene si trova nella frutta e verdura di colore arancione (melone, pesche, albicocche,
zucca, loti, carote) e negli ortaggi di colore verde scuro (spinaci, bieta, lattuga). In generale più
intenso è il colore arancione del vegetale maggiore la sua concentrazione. Il beta carotene di
origine sintetica, inoltre, viene aggiunto come colorante in molti prodotti alimentari (E160a).
Come per gli altri carotenoidi l’assorbimento è favorito dalla contemporanea assunzione di
grassi e dalla cottura. Si accumula prevalentemente nelle lipoproteine LDL. Recenti studi
hanno messo in evidenza che la concentrazione di beta carotene nel sangue non dipende solo
dalla sua assunzione alimentare, ma è correlata alla assunzione totale di sostanze
antiossidanti. Questo suggerisce che la sua concentrazione nel plasma possa essere
considerata un indice della quantità totale di antiossidanti introdotti con la dieta.
In USA l’assunzione stimata di beta carotene è di 5,4 mg/die mentre in Europa 1,5 - 5,0
mg/die con notevoli differenze tra i diversi Paesi (Ervin et al., 2004). Dai dati dell’indagine
INRAN-SCAI 2005-06 (Leclercq et al., 2009) utilizzando i dati di composizione della banca dati
USDA (USDA, Release 24) integrati con dati di alimenti italiani, quando disponibili, i valori
mediani di assunzione di beta-carotene stimati nella popolazione adulta italiana sono 2407
g/die nelle donne (media: 2991 g/die) e 2407 g/die negli uomini (media: 3032 g/die)
(vedi anche capitolo vitamina A); le fonti principali sono rappresentate dai gruppi “Verdura e
ortaggi” e “Frutta”.
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dieta e ossidabilità delle LDL, che risulta invece evidente quando si considera il consumo di
frutta e verdura.
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Attività biologiche
Studi in vitro su cellule tumorali mostrano che il beta carotene ne inibisce la proliferazione
cellulare e induce apoptosi. Ci sono evidenze epidemiologiche e sperimentali che hanno
correlato il consumo di frutta e verdure ricche in beta carotene con un minore rischio di
cancro soprattutto al polmone (IARC Working Group (1998) Carotenoids. Lyon: WHO
International Agency for Research on Cancer). Tuttavia la maggior parte degli studi non
trovano correlazioni significative tra assunzione di beta carotene e rischio di tumori e il
rapporto del World Cancer Research Foundation (WCRF) del 2007 ha confermato che non ci
sono evidenze per un effetto protettivo del beta carotene sul cancro. Sovradosaggi di beta
carotene possono essere controproducenti come ha dimostrato un famoso studio del 1994
dove la supplementazione con beta carotene e vitamina E ad un gruppo di fumatori
aumentava il rischio di tumore invece di ridurlo (The Alpha-Tocopherol, Beta Carotene
Cancer Prevention Study Group, 1994; Goodman et al, 2004).
Il beta carotene è in grado di stimolare la produzione di enzimi detossificanti (enzimi di fase
II) del fegato. Le evidenze ottenute finora su animali devono essere ancora confermate
sull’uomo.
Ci sono evidenze epidemiologiche che associano l’elevato consumo di alimenti ricchi in
carotenoidi con una riduzione delle malattie cardiovascolari. Tuttavia gli studi di intervento
non hanno mai dimostrato un’associazione tra carotenoidi della dieta oppure concentrazione
di carotenoidi nel sangue e minor rischio di malattie cardiovascolari.
Nonostante le interessanti evidenze in vitro e su modelli animali i risultati degli studi di
intervento sull’uomo sono stati costantemente deludenti e in nessun caso sono state ottenute
evidenze convincenti che una somministrazione di beta carotene possa avere uno specifico
beneficio su specifiche patologie o sulla loro prevenzione.
Alfa carotene
L’alfa carotene è la seconda forma più comune del carotene dopo quella beta da cui differisce
per la configurazione relativa degli anelli beta alle due estremità. Proprio per questo motivo
solo metà dell’alfa carotene viene convertito in Vitamina A.
Fonti alimentari e metabolismo
L’alfa carotene si trova in molti dei prodotti che contengono beta carotene, ma in quantità
rilevanti soprattutto nella carota, da cui dipende l’80-90% dell’assunzione dietetica
giornaliera stimata in diverse nazioni europee; la mediana dell’assunzione quotidiana risulta
pari a 0,74 mg/die in Francia (rispetto a 5,84 mg/die di beta carotene) e 1,01 mg/die nel
regno Unito (rispetto a 5,55 mg/die di beta carotene) (O’Neill et al.2001). Dai dati
dell’indagine INRAN-SCAI 2005-2006 (Leclercq et al,2009) è stato possibile effettuare una
stima dell’apporto di alfa-carotene utilizzando i dati di composizione della banca dati USDA
(USDA, Release 24) integrati con dati di alimenti italiani (Miglio et al, 2008; Pellegrini et al,
2010; Tonucci et al, 1995), quando disponibili. I valori mediani di assunzione di alfa-carotene
stimati nella popolazione adulta italiana sono 180 g/die nelle donne (media: 608 g/die) e
149 g/die negli uomini (media: 576 g/die) e le principali fonti sono rappresentate dai
gruppi “Verdura e Ortaggi” e “Acqua e bevande analcoliche” (succhi di frutta).
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A parte la minore efficacia come pro-Vitamina A non ci sono studi che evidenzino differenze
tra le proprietà biologiche dell’alfa e del beta carotene.
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La biodisponibilità del licopene è influenzata da diversi fattori, inclusi la trasformazione
tecnologica e la composizione della dieta. Normalmente il trattamento termico e
l’omogeneizzazione ne aumentano la biodisponibilità poiché favoriscono la distruzione della
matrice cellulare e il rilascio del licopene dai tessuti, come pure l’isomerizzazione a isomeri
cis, più solubili e meglio assorbibili a livello intestinale. Tuttavia, trattamenti eccessivi o la
conservazione in maniera inadeguata (esposizione alla luce e all’ossigeno) possono favorirne
l’ossidazione o la degradazione.
La composizione della dieta può influenzare la biodisponibilà soprattutto in relazione alla
presenza di lipidi, essendo il licopene liposolubile. I dati presenti in letteratura relativi alla
biodisponibilità del licopene sono generalmente bassi e, comunque, molto variabili in
funzione della matrice alimentare e delle condizioni sperimentali adottate, per cui è
impossibile riportare dei valori medi.
La presenza contemporanea di altri carotenoidi può influenzarne l’assorbimento in seguito a
fenomeni di competizione (Story et al, 2010). La quantità totale di licopene assorbibile non
sembra variare notevolmente in funzione della quantità assunta.
Il licopene assunto con la dieta viene metabolizzato nell’organismo e i metaboliti fino ad ora
identificati e caratterizzati sono numerosi; per alcuni di essi sono state anche dimostrate
specifiche bioattività (Lindshield BL et al. 2007; Ross AB et al. 2011). Come gli altri
carotenoidi, il licopene non si accumula in concentrazioni elevate nel siero e nei tessuti, anche
se è quello presente in quantitài più elevate. Mediamente la sua concentrazione nel siero non
supera 0.14 micromol/dL, anche con una dieta ricca. Nel siero è presente prevalentemente in
forma cis. I tessuti dove se ne trovano concentrazioni maggiori sono i testicoli, le ghiandole
surrenali e il fegato (Stahl & Sies, 1996).
Licopene
Il licopene è un carotenoide idrocarburico di formula C 40H56. Non ha attività provitaminica A
poiché non possiede l’anello beta iononico terminale. La presenza di 11 doppi legami
coniugati e 2 non coniugati comporta un elevato livello di isomerizzazione, anche se pochi
sono gli isomeri effettivamente presenti in natura, prevalentemente tutto-trans.
Fonti alimentari e metabolismo
Quantità significative di licopene sono presenti in un numero limitato di alimenti: pomodoro,
anguria, guava e pompelmo rosa. In Italia la maggior parte del licopene deriva dal pomodoro e
dai suoi derivati (passata, concentrato, salsa, ecc.).
Dai dati dell’indagine INRAN-SCAI 2005-2006 (Leclercq et al, 2009) è stato possibile
effettuare una stima dell’apporto di licopene utilizzando i dati di composizione della banca
dati USDA (USDA, Release 24) integrati con dati di alimenti italiani (Leonardi et al, 2000;
Tonucci et al, 1995; Graziani et al, 2003), quando disponibili. I valori mediani di assunzione di
licopene stimati nella popolazione adulta italiana sono 5125 g/die nelle donne (media: 5641
g/die) e 6535 g/die negli uomini (media: 7102 g/die) e la principale fonte è
rappresentata dal gruppo “Verdura e ortaggi”.
Attività biologiche
E’ ampiamente dimostrato che il licopene è un eccellente antiossidante in vitro, uno dei
principali antiossidanti dietetici, specialmente in qualità di scavenger dell’ossigeno singoletto
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(Di Mascio et al. 1989). A questo proposito il licopene presente nella pelle risulta
particolarmente sensibile ai raggi UV, anche più del beta-carotene (Ribaya-Mercado JD et al,
1995), a conferma del suo ruolo protettivo nei confronti dell’esposizione alle radiazioni
ultraviolette. E’ stato anche ipotizzato che abbia attività nei confronti dei radicali perossilici
nelle LDL e nelle membrane cellulari. Tuttavia, anche se il licopene è 10 volte più efficiente
dell’alfa-tocoferolo come scavenger dell’ossigeno singoletto, la sua bassa concentrazione
nell’organismo fa pensare che difficilmente possa svolgere un ruolo significativo come
antiossidante liposolubile nei confronti delle LDl e di altri lipidi plasmatici. (Erdman et al.
2009).
Il licopene è stato ritrovato nel nucleo di cellule tumorali prostatiche e questo spiega la sua
capacità di inibire in vivo il danno ossidativi al DNA (Liu A et al, 2006), come pure di
contrastare lo stress ossidativi indirettamente attraverso la modulazione degli enzimi
detossificanti di fase II (van Breemen & Pajkovic, 2008).
Ci sono dati in vitro che suggeriscono che il licopene induce l’apoptosi nelle cellule
cancerogene (Salman et al, 2007).
Diversi studi in vitro dimostrano che il licopene è in grado di inibire la proliferazione di
diversi tipi di cellule tumorali, comprese quelle del seno, polmone ed endometrio. Induce
anche la differenziazione cellulare. Servono tuttavia più studi in vivo per verificare se il
licopene altera la progressione del ciclo cellulare (Heber & Lu 2002; Kelkel M et al, 2011)).
Alcuni studi epidemiologici hanno trovato una correlazione inversa tra IGF-1 e incidenza di
tumore alla prostata, ma complessivamente le evidenze in vivo sull’impatto dell’assunzione di
licopene sui livelli di IGF-1 non sono univoche (Erdman et al. 2009).
Ci sono alcune evidenze in vivo che supportano una associazione positiva tra la
comunicazione attraverso le giunzioni strette e l’assunzione di licopene (Wertz et al. 2004).
L’assunzione di licopene sembra essere in grado di ridurre la concentrazione degli androgeni,
fattore di rischio per il tumore alla prostata. Allo stesso modo, gli studi in vivo disponibili
suggeriscono che il licopene può ridurre l’attività estrogenica (Cui et al. 2008).
Numerosi studi epidemiologici e su modello animale suggeriscono che il licopene riduca i
livelli di alcuni marker di infiammazione , tuttaviagli studi di intervento sono insufficienti per
confermare il legame diretto tra assunzione di licopene /pomodoro e prevenzione
dell’infiammazione. . I meccanismi proposti sono numerosi: oltre all’attività antiossidante,
l’inibizione della sintesi e del rilascio di citochine pro-infiammatorie, cambiamenti
nell’espressione delle ciclossigenasi e delle lipossigenasi, la modulazione della sintesi degli
eicosanoidi e la modulazione delle vie di trasduzione del segnale (Palozza et al, 2010). Sono
quindi necessari ulteriori studi e, specialmente, studi di intervento dietetici ben disegnati.
E’ importante sottolineare che molti degli studi in vivo presenti in letteratura sull’attività del
licopene, sono stati in effetti eseguiti con pomodoro o suoi derivati, e in questo caso non si
può escludere un ruolo degli altri composti bioattivi presenti (altri carotenoidi, flavonoidi,
vitamina C, ecc.). D’altra parte sono sempre più numerose le evidenze a sostegno del ruolo
prevalente degli alimenti interi, rispetto ai singoli componenti, nel ridurre il rischio di
numerose patologie.
Per quanto riguarda la tossicità del licopene, utilizzato frequentemente come colorante, il
panel dell’EFSA sugli additivi alimentari, aromatizzanti, coadiuvanti tecnologici e materiali a
contatto con gli alimenti (AFC) nel 2008 ha stabilito una dose giornaliera accettabile (ADI,
Acceptable Daily Intake) pari a 0,5 mg/kg peso corporeo/die da tutte le fonti, precisando che
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per la maggior parte dei consumatori l’assunzione giornaliera di licopene rientra in questi
valori. Tuttavia il panel fa presente che bambini in età scolare o pre-scolare che siano forti
consumatori di alimenti che contengono licopene come colorante (es. bevande analcoliche)
potrebbero
superare
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livelli
(http://www.efsa.
europa.eu/en/press/news/ans080414.htm).
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La luteina è una xantofilla di formula C40H56O2, spesso presente in forma di estere (mono o
diestere), che non possiede attività pro-vitaminica A.
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La cottura dei cibi può aumentarne la biodisponibilità grazie alla dissociazione dei complessi
proteici in cui è incorporata.
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Essendo, come il licopene, una molecola lipofila, il suo metabolismo è legato a quello dei grassi
che, con la loro presenza nel duodeno, stimolano la produzione di sali biliari e di conseguenza
la formazione di micelle, indispensabili per l’assorbimento. Il trasporto nei tessuti avviene ad
opera delle lipoproteine plasmatiche (HDL, LDL).
La luteina si accumula in molti organi (fegato, mammella, colon, cervice uterina) ed in
particolare nell’occhio, a livello di retina, iride e cristallino. In particolare la luteina si
concentra nella macula, una piccola area della retina responsabile della visione centrale e
dell’acutezza visiva.
Luteina
Fonti alimentari e metabolismo
La luteina è presente prevalentemente negli ortaggi a foglia verde con una concentrazione
variabile dai 2 ai 20 mg per 100 g di prodotto (soprattutto spinaci, ma anche cavoli, zucchine,
piselli, broccoli). Piccole quantità di luteina si ritrovano anche in alcuni frutti e nel tuorlo delle
uova.
I livelli di assunzione medi di luteina della popolazione occidentale si attestano intorno ai 2.0
mg/die (circa 1.7 mg per gli USA e 2.2 mg/die per la popolazione europea). Dai dati
dell’indagine INRAN-SCAI 2005-2006 (Leclercq et al,2009) è stato possibile effettuare una
stima dell’apporto di luteina e zeaxatina utilizzando i dati di composizione della banca dati
USDA (USDA, Release 24) integrati con dati di alimenti italiani (Calucci et al, 2003; Panfili et
al, 2004; Granado et al, 1992; Hidalgo et al, 2010; Tonucci et al, 1995; Miglio et al, 2008;
Pellegrini et al, 2010; Dias et al, 2009; Tlili et al, 2009; Ferracane et al, 2008; Muller et al,
1997; Daly et al 2010), quando disponibili. I valori mediani di assunzione di luteina e
zeaxantina stimati nella popolazione adulta italiana sono 2207 g/die nelle donne (media:
3728 g/die) e 2270 g/die negli uomini (media: 3792 g/die) e la principale fonte è
rappresentata dal gruppo “Verdura e ortaggi”.
Attività biologiche
La luteina esplica la sua funzione filtrando la luce blu ad alta energia dello spettro della luce
visibile; inoltre svolge i) un’azione antiossidante a livello dei fotorecettori che sono
particolarmente soggetti al danno ossidativo; ii) un’azione antinfiammatoria; iii) un’azione
immunomodulante; iv) un’azione antitumorale.
Diversi studi hanno correlato l’assunzione di luteina ad un miglioramento generale della
salute dell’occhio, alla riduzione del rischio di degenerazione maculare senile e alla salute
della pelle. Studi osservazionali hanno associato il consumo di almeno 6.0 mg/die ad una
riduzione della degenerazione della macula (AMD) (Seddon, 1994) e dell’insorgenza di
cataratta senile (Chassan Taber, 1999). Inoltre dati epidemiologici hanno messo in evidenza
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una correlazione tra bassi livelli di assunzione di luteina con la dieta e un maggior rischio di
insorgenza della AMD.
D’altra parte gli studi di intervento condotti fornendo supplementi contenenti 10-20 mg/die
di luteina hanno dato risultati non univoci su diverse patologie oculari (Trumbo & Ellwood,
2006). In particolare si è costantemente osservato un aumento della densità del pigmento
maculare ma non è chiaramente riconosciuto che questo parametro sia sufficiente per
determinare un effettiva riduzione del rischio di insorgenza di patologie dell’occhio. Proprio
per questo motivo al momento attuale non ci sono evidenze sufficienti per stabilire una
correlazione fra assunzione di luteina ed il minor rischio di incorrere nella AMD o nella
cataratta.
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I polifenoli sono un gruppo di sostanze chimiche di derivazione vegetale, ubiquitariamente
diffusi e fondamentali nella fisiologia delle piante. Essi contribuiscono alla resistenza nei
confronti di microrganismi, luce e insetti, alla pigmentazione fondamentale per la
riproduzione e anche alle caratteristiche organolettiche dei prodotti vegetali.
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I polifenoli si caratterizzano per possedere almeno un anello aromatico con legato uno o più
gruppi ossidrilici. Nel regno vegetale sono state identificate oltre 8000 diverse strutture di
polifenoli. Esse comprendono composti semplici, dal basso peso molecolare, con un solo
anello aromatico, fino a complessi polimerici dal peso molecolare molto elevato. Possono
essere classificati in due gruppi: flavonoidi e non flavonoidi (acidi fenolici, stilbeni, lignani) in
funzione del numero degli anelli fenolici e degli elementi strutturali che legano tali anelli; in
genere si trovano in forma coniugata con zuccheri o acidi organici.
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A differenza delle vitamine, i polifenoli non sono necessari né per l’accrescimento e lo
sviluppo, né per il mantenimento delle funzioni dell’organismo durante la vita. Tuttavia, esiste
evidenza epidemiologica sul fatto che alimenti ricchi di polifenoli siano in grado di ridurre il
rischio di alcune malattie croniche.
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Nonostante alcune tra le proprietà nutraceutiche dei polifenoli siano degne di attenzione e
promettenti, risulta molto complicato attribuire il merito ad una piuttosto che all’altra
categoria di molecole. Salvo rare eccezioni, la presenza concomitante di tutti questi composti
negli alimenti di origine vegetale ha reso impossibile una corretta interpretazione dei dati
provenienti da studi di popolazione. In ogni caso, una dieta ricca e variata in frutta e verdura
può da sola apportare quantità non trascurabili di polifenoli. Il tè, verde e nero, il cacao e il
vino rosso contengono elevatissime quantità di questi composti. Tuttavia, visto il
concomitante contenuto di alcool nel vino e di grassi nel cacao, queste ultime due fonti non
possono essere promosse. Non a caso la legislazione prevede che nessuna bevanda alcolica
possa riportare indicazioni nutrizionali o di salute (Regolamento CE n. 1924/2006).
Ugualmente non sembra prevedibile questa possibilità per la cioccolata in quanto ricca di
grassi e di zucchero. Il tè ed il caffé, con la dovuta attenzione alla caffeina, possono essere
inclusi nel regime alimentare come potenziale fonte rispettivamente di flavan-3-oli a ridotto
(verde) o elevato (nero) peso molecolare e di acidi idrossicinnamici.
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Infine, l’effetto di queste sostanze sull’organismo è influenzato dalla loro biodisponibilità,
ossia la loro capacità di essere efficacemente assorbiti dall’organismo. Studi recenti
sull’assorbimento dei polifenoli nell’uomo, ed in particolare sui livelli raggiunti nel plasma
dopo assunzione di alimenti che ne sono ricchi (vino, caffè, tè, cacao), dimostrano che la loro
biodisponibilità varia a seconda della classe di molecole. In aggiunta, la letteratura scientifica
POLIFENOLI
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più recente dimostra che questi composti risultano altamente metabolizzati da parte
dell’organismo, subendo reazioni che possono alterare drammaticamente le proprietà della
molecola originariamente contenuta nell’alimento.
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Infatti, una volta ingeriti, i composti polifenolici subiscono drastiche modifiche strutturali in
due tratti successivi dell’apparato gastrointestinale. Nell’intestino tenue e, dopo un parziale
assorbimento, nel fegato, queste molecole vanno invariabilmente incontro ad una serie di
reazioni che vengono generalmente denominate “coniugazioni” ad opera di enzimi
abitualmente associati alla detossificazione. In pratica, si tratta di reazioni di trasformazione
simili a quelle cui vanno incontro i farmaci: i composti fenolici vengono metilati, associati ad
acido glucuronico e a gruppi solfato, divenendo più idrofili e, di conseguenza più facilmente
eliminabili per via urinaria. Questo tipo di “detossificazione”, tuttavia, alterando la struttura
dei composti originali, ne può alterare la bioattività ed esistono numerosi lavori in letteratura
che dimostrano come a tali modifiche strutturali possano corrispondere, a seconda dei casi,
un aumento o una riduzione delle specifiche attività biologiche all’interno dell’organismo.
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Il secondo livello di modifiche strutturali a carico dei composti fenolici avviene nell’intestino
crasso, dove la residente flora microbica esercita profonde trasformazioni chimiche nei
confronti della frazione di composti non assorbita (che costituisce sempre almeno il 90%
della quantità ingerita). Tali ulteriori modifiche sono chimicamente più drastiche e vanno
dalla semplice “riduzione” alla frammentazione delle strutture flavonoidiche in molecole più
piccole (in particolare acidi fenolici). A complicare ulteriormente il modello, i prodotti della
degradazione microbica possono poi essere assorbiti e trasportati al fegato, dove,
invariabilmente, subiscono reazioni di coniugazione del tutto simili a quelle descritte nel
paragrafo precedente.
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In conclusione, uno dei principali motivi per cui non si possono fornire indicazioni precise
sull’effetto dei composti polifenolici sulla salute dell’uomo è legato proprio alla complicata
serie di reazioni cataboliche a cui sono esposti dopo il consumo. Per individuare un possibile
meccanismo d’azione, fondamentale per chiarire qualunque effetto biologico, si dovrà
aspettare che la scienza individui le principali forme “circolanti” dei polifenoli introdotti con
la dieta e che ne descriva le attività rilevanti sulla fisiologia umana. Il processo è già
cominciato, ma non ci è dato sapere quando si concluderà.
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Le principali famiglie di polifenoli considerate sono flavonoidi, flavonoli, antocianine ed
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isoflavoni
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Flavonoidi
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Dal punto di vista strutturale, i flavonoidi presentano due anelli aromatici, A e B, collegati da
una catena a 3 atomi di carbonio, formando un anello ossigenato eterociclico, anello C. Sono
presenti in elevate concentrazioni nell’epidermide foliare, nella buccia e nella polpa dei frutti.
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Questa classe di molecole ha suscitato l’interesse del mondo scientifico dopo che il loro
apporto con la dieta è stato messo in relazione con una significativa riduzione di rischio di
alcune malattie cronico degenerative.
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Le principali classi di flavonoidi sono i flavonoli, i flavan-3-oli (catechine e
proantocianidine), gli isoflavoni, i flavanoni e le antocianidine .
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Flavan- 3- oli
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I flavan-3-oli o “catechine” sono la classe di polifenoli più complessa, che va dal semplice
monomero di catechina e il suo epimero epicatechina, fino a strutture di grandi dimensioni
(proantocianidine oligomeriche o polimeriche). Possono inoltre trovarsi in forma esterificata
con acido gallico, come nel caso di epicatechina gallato ed epigallocatechina gallato. Le
proantocianidine, note anche come tannini condensati, sono ampiamente diffuse nel regno
vegetale.
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Fonti alimentari
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Le catechine si ritrovano in molti tipi di frutta, nell’uva rossa (e di conseguenza nel vino rosso)
e specialmente nel tè verde e nel cacao. Le proantocianidine sono abbondanti negli alimenti
vegetali in genere, ma, come per i flavan-3-oli, ne sono ricchi l’uva (e di conseguenza il vino),
dove inducono il sapore amaro, la sensazione di astringenza ed esercitano una significativa
influenza sull’alterazione del colore, e il cacao.
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Attività biologiche
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Le attività attribuite ai flavan-3-oli nei confronti della salute sono svariate e molto spesso
poco sostanziate da evidenze indiscutibili. Tra le molte attività biologiche riportate, le più
degne di nota sono l’effetto sulla funzione endoteliale (ossia la capacità di mantenere le
arterie più dinamiche nei confronti delle modificazioni di pressione) e sulla prevenzione del
carcinoma prostatico. Tuttavia, allo stato attuale, nessuna delle azioni benefiche di questa
classe di molecole è stata dimostrata con un sufficiente livello di certezza. Inoltre, il vino, così
come in tutte le bevande alcoliche, sono classificate cancerogene dall’Agenzia Internazionale
di Ricerca sul Cancro (IARC), indipendentemente dalla presenza di sostanze bioattive.
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Flavonoli
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I flavonoli costituiscono la sottoclasse di polifenoli più diffusa in assoluto. I principali
rappresentanti di questa sottoclasse sono quercetina, kaempferolo, miricetina e isoramnetina
e si ritrovano in maniera quasi ubiquitaria nel regno vegetale sotto forma di glicosidi.
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Fonti alimentari
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Gli alimenti che ne contengono in maggior quantità sono cipolla, cavolo riccio, porri, broccoli,
mirtilli, uva rossa e tè. I flavonoli sono presenti negli alimenti in forma glicosilata. La molecola
di zucchero che legano è generalmente glucosio o ramnosio, ma anche altri zuccheri possono
essere presenti (galattosio, arabinosio, xylosio e acido glucuronico).
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Queste molecole sono presenti soprattutto nei tessuti più esterni (buccia e foglie) dal
momento che la loro biosintesi è stimolata dalla luce.
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Attività biologiche
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Un consumo elevato di composti appartenenti a questa subclasse nel contesto di una dieta
equilibrata è stato associato ad un ridotto rischio di malattie cardiovascolari.
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Antocianine
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Le antocianine sono la versione coniugata con vari tipi di zuccheri delle antocianidine,
flavonoidi responsabili della colorazione rossa, blu e porpora di molte strutture vegetali
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(foglie, petali, bacche e radici). Le principali molecole appartenenti a questa sottoclasse sono
pelargonidina, cianidina, delfinidina, peonidina, petunidina e malvidina. La funzione di questa
sottoclasse di flavonoidi è principalmente legata alla protezione delle piante dalla luce e
all’attrazione degli insetti per l’impollinazione.
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Fonti alimentari
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Le principali fonti alimentari di anticianine e antocianidine sono i frutti di bosco, l’uva rossa
(e di conseguenza il vino rosso), le rape rosse, le arance rosse.
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Attività biologiche
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Alle antocianine e antocianidine sono state attribuite numerose proprietà positive per la
salute del consumatore. Tuttavia, nessuna delle suddette è mai stata confermata da evidenze
scientifiche definitive.
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Isoflavoni
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Gli isoflavoni sono la sottoclasse dei flavonoidi più caratteristica. La loro struttura differisce
chimicamente per il legame in posizione 3 anziché 2 dell'anello B sull'anello C. I principali
composti appartenenti a questa sottoclasse sono Daizdeina e Genisteina e, a differenza di
molti altri flavonoidi, sono praticamente incolori.
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Fonti alimentari
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Le principali fonti alimentari di isoflavoni sono i legumi, tra cui principalmente la soia, la
frutta secca, qualche verdura (funghi) e qualche cereale integrale (orzo).
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Attività biologiche
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I benefici attribuibili al consumo di isoflavoni sono legati al loro effetto sulla densità ossea,
specificamente nelle donne in menopausa. La caratteristica di queste molecole è, infatti, quella
di mimare l’effetto degli ormoni estrogeni. Altre evidenze riguardano l’attenuazione dei
sintomi della menopausa. Tuttavia, nessuna di queste ultime caratteristiche è stata dimostrata
in maniera definitiva. Per quanto riguarda la relazione con i tumori i risultati sono
contrastanti. Le proprietà di questi interferenti endocrini fanno si che abbiano anche effetti
negativi sulla salute. In particolare, il consumo abituale di alimenti a base di soia, ricchi di
isoflavoni ed in particolare di genisteina (ad esempio nei soggetti allergici al latte o nelle
famiglie vegetariane) è stato correlato all’aumentato rischio di cancro mammario e ad effetti
negativi sullo sviluppo nei neonati alimentati con formule lattee a base di soia.
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Flavanoni
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I flavanoni sono una sottoclasse di flavonoidi estremamente reattiva e si trovano quasi
sempre in forma metilata, idrossilata o glicosilata. I principali rappresentanti di questa
sottoclasse sono l’esperidina (esperetina rutinoside), insapore, la neoesperidina (esperetina
neoesperidoside) e la narnigina (naringenina neoesperidoside) che sono organoletticamente
caratterizzate da un forte sapore amaro.
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Fonti alimentari
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La principale fonte alimentare dei flavanoni sono gli agrumi, in particolare arancio e
pompelmo.
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Attività biologiche
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Ad oggi, non esistono evidenze scientifiche relative all’effetto positivo di questa sottoclasse di
polifenoli sulla salute.
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Apporti con la dieta
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Dai dati dell’indagine INRAN-SCAI 2005-2006 (Leclercq et al,2009) è stato possibile
effettuare una stima dell’apporto di flavonoidi monomerici (antocianine, isoflavoni, lignani,
flavoni, flavonoli, flavan-3-oli, diidrocalconi, flavononi) utilizzando i dati di composizione della
banca dati phenolexplorer (Neveu et al, 2010) integrati con dati di alimenti italiani (Raffo et
al, 2002; De Pascale et al, 2007; Miglio et al, 2008; Ferracane et al, 2008; Pellegrini et al,
2010), quando disponibili. I valori mediani di assunzione di flavonoidi monomerici stimati
nella popolazione adulta italiana sono 87 mg/die nelle donne (media: 112 mg/die) e 99
mg/die negli uomini (media: 122 mg/die) e le principali fonti sono rappresentate da “Acqua e
bevande analcoliche” (caffè e succhi di frutta), “Bevande alcoliche” e “Verdura e Ortaggi”.
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Dai dati della stessa indagine (Leclercq et al, 2009) è stato possibile effettuare una stima
dell’apporto di flavonoidi polimerici (procianidine a grado di polimerizzazione >1)
utilizzando i dati di composizione della banca dati phenolexplorer (Neveu et al, 2010)
integrati con quelli della banca dati USDA (USDA, 2004). I valori mediani di assunzione di
flavonoidi polimerici (procianidine) stimati nella popolazione adulta italiana sono 97 mg/die
nelle donne (media: 121 mg/die) e 92 mg/die negli uomini (media: 116 mg/die) e le
principali fonti sono rappresentate dal gruppo “Frutta”, “Prodotti dolciari e sostituti” e
“Bevande alcoliche”.
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Non flavonoidi
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Acidi fenolici
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Gli acidi fenolici, derivati degli acidi idrossicinnamico e benzoico, metaboliti secondari delle
piante, fanno parte dei fitochimici a struttura fenolica associati con l’effetto benefico della
frutta e dei vegetali verso le patologie cronico-degenerative.
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Fonti alimentari
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Gli acidi idrossicinnamici (principalmente acido caffeico ed acido ferulico) sono i composti
fenolici più abbondanti nella dieta, essendo presenti in tutto il mondo vegetale. Gli acidi
fenolici si trovano negli alimenti prevalentemente in forma esterificata con acidi organici,
zuccheri e lipidi. In letteratura (dati INRA http://www.phenol-explorer.eu/) sono riportati
circa 120 derivati degli acidi fenolici tra forme libere e legate (glicosilate, glucuronidate,
solfatate e metossilate).
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La stima dell’apporto alimentare di acidi fenolici e del loro effetto biologico è complicata
(come per altri fitocomposti) dalla non completezza sia dei dati sulla composizione degli
alimenti che sull’assorbimento e biodisponibilità dei vari composti. Vino, caffé e té sono le
maggiori fonti alimentari di acidi fenolici. Ad esempio, un bevitore di caffé può ingerire fino a
800 mg al giorno di acidi idrossicinnamici.
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Dai dati dell’indagine INRAN-SCAI 2005-2006 (Leclercq et al, 2009) è stato possibile
effettuare una stima dell’apporto di acidi fenolici (come somma degli acidi idrossibenzoici e
idrossicinnamici) utilizzando i dati di composizione della banca dati phenolexplorer (Neveu et
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al, 2010) integrati con dati di alimenti italiani (Raffo et al, 2002; De Pascale et al, 2007; Miglio
et al, 2008; Ferracane et al, 2008; Pellegrini et al, 2010), quando disponibili. I valori mediani
di assunzione di acidi fenolici stimati nella popolazione adulta italiana sono 332 mg/die nelle
donne (media: 377 mg/die) e 373 mg/die negli uomini (media: 426 mg/die) e le principali
fonti sono rappresentate dal gruppo “Acqua e bevande analcoliche” (caffè e succhi di frutta),
“Frutta” e “Verdura e Ortaggi”.
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Attività biologiche
Come detto, l’interesse verso tali composti dipende dal potenziale ruolo protettivo che si
ottiene attraverso l’ingestione di frutta e vegetali. Inizialmente l’effetto protettivo è stato
imputato alle proprietà antiossidanti di tali molecole, in grado di diminuire i livelli di radicali
liberi nell’organismo. Attualmente, si sta consolidando l’ipotesi scientifica che siano i
metaboliti degli acidi fenolici (come nel caso di altri composti bioattivi) ad avere sia la
capacità di modulare processi cellulari (apoptosi, proliferazione, espressione genica) e che
attività enzimatica.
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Stilbeni (resveratrolo)
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Il resveratrolo (3,5,4′-triidrossistilbene), è sintetizzato sulla buccia delle uve come risposta ad
infezioni fungine e, una volta presente, agisce come fitoalesina, prevenendo la proliferazione
dei patogeni.
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Fonti alimentari
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Numerose uve particolarmente utilizzate per vinificare vino rosso contengono alte
concentrazioni di resveratrolo. La buccia ed i semi di queste uve ne possono contenere da 50 a
100 µg/g. L’uva ed il vino rosso sono quindi considerate le principali fonti di resveratrolo,
insieme con bacche e frutti di bosco.
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Attività biologiche
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Il resveratrolo possiede numerose proprietà biochimiche e fisiologiche (attività estrogenica,
antiaggregante, antiinfiammatoria, cardioprotettiva, anticarcinogenica), tuttavia la sua
biodisponibilità è piuttosto bassa e le concentrazioni necessarie ad esercitare un effetto
rilevabile sono decisamente superiori a quelle osservate in vivo. L’attività biologica dei suoi
metaboliti ed il suo accumulo negli organi è in corso di studio. L’eventuale azione
anticarcinogenica si potrebbe comunque espletare solo se la fonte di resveratrolo fosse la
frutta e non il vino, poiché qualsiasi bevanda alcolica, vino rosso incluso, è considerata
carcinogena (IARC, 2010).
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Lignani
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I lignani sono una classe di metaboliti secondari delle piante caratterizzati da una struttura
costituita da dimeri di fenilpropanoidi. Sono presenti in natura principalmente in forma
libera, mentre i glicosidi costituiscono solo una percentuale trascurabile di questa classe di
polifenoli.
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Fonti alimentari
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I lignani sono distribuiti in maniera ubiquitaria nel mondo vegetale (radici, rizomi, foglie, semi
e frutti). Le fonti alimentari preferenziali sono i cereali (frumento, orzo e avena in
particolare), i legumi (fagioli, lenticchie e soia) e alcuni vegetali come l’aglio, gli asparagi, i
broccoli e le carote.
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Attività biologiche
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Gli effetti biologici associati al consumo di lignani sono probabilmente legati alla loro attività
estrogenica. Il consumo di lignani è stato messo in relazione ad un ridotto rischio di malattia
cardiovascolare negli anziani e nelle donne in menopausa. Tuttavia, anche in questo caso,
l’evidenza non è conclusiva e i potenziali effetti negativi caratteristici degli interferenti
endocrini non possono essere esclusi.
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GLUCOSINOLATI
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I glucosinolati (GLS) sono un ampio gruppo di sostanze idrosolubili presenti nelle piante e da
queste utilizzati come protezione verso i patogeni. Dal punto di vista chimico sono tioglucosidi N-idrossisolfati con una catena R e uno zolfo legato a un anello -Dglucopiranosico. In funzione della catena R, i GLS si dividono in alifatici, aromatici e indolici.
Complessivamente ne sono stati identificati circa 120, anche se un numero limitato è presente
nelle piante commestibili.
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Fonti alimentari e metabolismo
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I glucosinolati sono presenti in tutte le parti delle piante, anche se in diversa quantità, della
famiglia delle Brassicaceae tra cui cavoli, broccoli, cavolfiori, cavolini di Bruxelles, rape,
rapanelli, rucola, rafano, crescione e mostarda.
I glucosinolati sono molecole stabili, presenti nel citoplasma delle cellule vegetali, e privi di
attività biologica per l’uomo. Sono però facilmente idrolizzati a composti odorosi e dal sapore
pungente, alcuni con attività biologica, per azione di un enzima, la mirosinasi. Questo enzima è
presente nella cellula vegetale, ma confinato in organelli, ed è rilasciato in seguito a rottura
della cellula. Il contatto tra i GLS e la mirosinasi determina la formazione di prodotti d’idrolisi,
tra cui isotiocianati, tiocianati, indoli e nitrili, e può avvenire durante i processi di
preparazione e cottura a cui sottoponiamo questi vegetali o anche direttamente durante il
consumo (ad esempio durante la masticazione). La struttura chimica dei prodotti d’idrolisi
che si formano dipende dalla catena laterale del GLS, dall’attività della mirosinasi e dalle
condizioni in cui avviene la reazione, ad esempio un pH neutro (tra 6 e 7) favorisce la
formazione di isotiocianati (composti a cui si attribuisce la maggior attività biologica), mentre
pH acidi e basici favoriscono la formazione di nitrili (Verkerk et al, 2009). Anche i processi di
cottura hanno una complessa influenza sul contenuto di GLS e dei prodotti d’idrolisi
nell’alimento poiché possono 1) inattivare l’enzima mirosinasi, anche se questo è piuttosto
resistente al calore ma meno alle microonde, 2) determinare una parziale perdita di
glucosinolati e prodotti di idrolisi per solubilità nel mezzo di cottura e per degradazione
termica, 3) determinare una parziale perdita dei cofattori enzimatici (acido ascorbico e Fe)
utili per l’attività della mirosinasi e 4) aumentare l’estraibilità chimica dei GLS (Verkerk et al,
2009). La migliore modalità di cottura per preservare il contenuto di GLS e dei loro prodotti
d’idrolisi negli alimenti è quella effettuata con poca acqua e per tempi brevi (es. cottura al
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vapore o nel microonde). Infatti, la bollitura determina perdite consistenti per solubilità dei
GLS nell’acqua che dipendono dal tipo di verdura, dal tempo di cottura, dal rapporto
acqua/alimento e dal tipo di GLS. La cottura a microonde porta in generale a piccole perdite
che però aumentano in presenza di acqua e che dipendono molto dalla potenza utilizzata
durante la cottura. La cottura a vapore determina perdite ridotte di glucosinolati, in qualche
caso anche un aumento per maggiore estraibilità dall’alimento. Nel caso dei prodotti surgelati,
qualunque modalità di cottura determina consistenti perdite di GLS (Pellegrini et al, 2010).
Dopo l’ingestione di alimenti contenenti la mirosinasi in forma attiva, i GLS sono velocemente
convertiti nel tratto digerente nei loro prodotti d’idrolisi e assorbiti. In seguito a consumo di
alimenti cotti, nei quali la mirosinasi è stata parzialmente o totalmente inattivata, i GLS
raggiungono il colon in forma intatta. Questa frazione è convertita in prodotti d’idrolisi dalla
mirosinasi di origine batterica, anche se questo enzima ha una minore efficienza di
conversione rispetto a quello presente nei vegetali. Nell’organismo la maggior parte dei
prodotti d’idrolisi dei GLS viene velocemente metabolizzata tramite una serie di reazioni
enzimatiche: questi composti sono inizialmente coniugati con il glutatione, con una reazione
catalizzata dalla glutatione transferasi, e successivamente idrolizzati fino alla formazione di
composti di escrezione urinaria detti acidi mercapturici (Herr & Büchler, 2010).
Gli studi finora effettuati suggeriscono che la biodisponibilità dei prodotti d’idrolisi dei GLS è
maggiore negli alimenti dove la mirosinasi non è inattivata, come quelli crudi e cotti con
trattamenti blandi, rispetto a quelli contenenti l’enzima inattivato (Rungapamestry et al,
2007). Tuttavia, l’assorbimento di questi composti è influenzato da diversi fattori, tra cui
principalmente la tipologia di verdura e la relativa modalità di consumo, ma anche la
composizione del pasto, l'età e il genere dei soggetti possono contribuire. Nell'uomo le
concentrazioni ematiche di questi composti sono molto basse, a causa della velocità con cui
sono metabolizzati, e i metodi analitici disponibili non consentono di determinare tutti i
prodotti di escrezione urinaria. Infine, gli enzimi coinvolti nella metabolizzazione di questi
composti sono soggetti a diversi polimorfismi. Tutte queste variabili non permettono
attualmente di fornire un dato di biodisponibilità e rendono quindi difficile la valutazione del
loro potenziale effetto protettivo nell’uomo. A questo si aggiunge il fatto che gli alimenti
contengono miscele complesse di GLS insieme ad altri fotocomposti, che probabilmente
contribuiscono all’effetto protettivo suggerito per questi alimenti.
Dai dati dell’indagine INRAN-SCAI2005-2006 (Leclercq et al, 2009) è stato possibile effettuare
una stima dell’apporto di glucosinolati utilizzando dati di composizione disponibili in
letteratura (Kim et al, 2006; Ciska et al, 2000; McNaughton and Marks, 2003; Fenwick et al,
1983; Barbieri et al, 2008; Miglio et al, 2008; Pellegrini et al, 2010; Song and Thornalley,
2007; Cieslik et al, 2007; Volden et al, 2009; Slominski and Campbell, 1989; Charron et al,
2005; Kushad et al, 1999; Wennberg et al, 2006; Verkerk and Dekker, 2004; Volden et al,
2008). I valori mediani di assunzione di glucosinolati stimati nella popolazione adulta italiana
sono 0 mg/die nelle donne (media: 9 mg/die) e 0 mg/die negli uomini (media: 10 mg/die).
Attività biologiche
Modulazione degli enzimi detossificanti
Numerosi studi in vitro e in modelli animali dimostrano che i prodotti d’idrolisi dei
glucosinolati (principalmente isotiocianati e indoli) sono in grado di modulare gli enzimi,
soprattutto quelli di fase II, deputati alla detossificazione di composti cancerogeni, rendendoli
meno attivi e aumentandone l’escrezione (Steinkellner et al, 2001). Questa aumentata attività
di detossificazione riguarderebbe soprattutto le nitrosammine, gli idrocarburi policiclici
aromatici, le ammine eterocicliche e, nel caso degli indoli, anche gli estrogeni, e potrebbe in
parte giustificare le evidenze epidemiologiche che suggeriscono che il consumo di alimenti
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contenenti GLS può ridurre il rischio di insorgenza di alcune forme tumorali, tra cui
soprattutto quelle del colon, del polmone, della prostata e del seno. Quest’attività biologica,
pur essendo emersa anche in alcuni studi d’intervento nell’uomo dopo consumo di
Brassicaceae, necessita ancora di conferma.
Attività antiossidante
In diversi studi in vitro e in vivo su animali è stato dimostrato che i prodotti d’idrolisi dei
glucosinolati possono proteggere il DNA dal danno ossidativo (Jude et al, 2007). Preliminari
evidenze emerse in alcuni recenti studi nell’uomo, effettuati somministrando in cronico alcuni
tipi di Brassicaceae, sembrano supportare questa attività.
Inoltre, anche se i prodotti d’idrolisi dei GLS non sono degli antiossidanti, studi in modelli
cellulari hanno dimostrato che lo possono essere indirettamente poichè stimolano l’attività di
enzimi coinvolti nelle difese antiossidanti cellulari o aumentando il contenuto cellulare di
composti implicati nel mantenimento dello stato red-ox della cellula, tra cui il glutatione (Jude
et al, 2007).
Apoptosi
In diversi studi condotti in modelli cellulari è emersa la capacità di indurre l’apoptosi cellulare
attraverso diversi meccanismi da parte di prodotti d’idrolisi dei GLS tra cui principalmente il
sulforafane il cui precursore, la glucorafanina, è presente principalmente nei broccoli (Jude et
al, 2007). Attualmente non ci sono però studi nell’uomo a supporto di questa attività.
Attività antiproliferativa e differenziazione cellulare
Ci sono evidenze, ottenute soprattutto in vitro su cellule di colon, prostata, seno ecc, che
suggeriscono che i prodotti d’idrolisi dei GLS agiscono come anticancerogeni arrestando il
ciclo cellulare a differenti stadi della sua progressione. Quest’attività potrebbe essere svolta,
secondo una recente scoperta, attraverso la capacità di questi composti di inibire le istone
deacetilasi (Myzak et al, 2007), enzimi la cui aumentata attività è stata messa in relazione con
l’insorgenza di cancro.
Attività antiinfiammatoria
Preliminari studi in modelli cellulari e animali sembrano suggerire un effetto
antiinfiammatorio soprattutto del sulforafane attraverso la regolazione di geni implicati nei
processi infiammatori (Jude et al, 2007).
Attività antibatterica
Alcuni studi epidemiologici caso-controllo hanno mostrato un effetto protettivo del consumo
di Brassicaceae sul rischio di cancro dello stomaco. Questo effetto potrebbe essere in parte
legato all’azione antibatterica di queste verdure e dei prodotti d’idrolisi dei GLS, tra cui
soprattutto il sulforafane, nei confronti dell’Helicobacter pylori, un noto fattore di rischio del
cancro gastrico. E’ quanto emerso recentemente in studi sperimentali e clinici (Herr &
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