ANDROMACA
Il dramma risale ai primi anni della
Guerra del Peloponneso e riprende un
tema già trattato in una tragedia
sofoclea andata perduta, l’Ermione.
Malgrado non abbia goduto di successo
e sia stato spesso oggetto di critiche
relative alla coerenza interna ed
all’unità del dramma,presenta una
ricchezza di temi che sono la prova
della capacità di Euripide di trattare in
modo innovativo il repertorio mitico ed
epico.
Nella tragedia ci viene presentata
Andromaca come una donna provata
da molte sventure, ma capace di
sopportarle dignitosamente, ricca
sempre di umanità, in grado di provare
sentimenti di amore e di affetto
materno per il figlio avuto da
Neottolemo, tanto da non esitare ad
accettare la morte per lui.
Ermione,invece, è la donna altera, superba, consapevole della sua superiorità
che le viene dalla ricchezza, dal potere, dalla bellezza, ma profondamente
insicura, lacerata dalla gelosia per il figlio di una schiava, cui addossa tutte le
colpe e la responsabilità della sua infelicità. Quando il tentativo di eliminare
Andromaca ed il figlio falliscono grazie all’intervento di Peleo, Ermione non
esita ad addossare la colpa alle “ altre donne” che con le loro chiacchiere
malevole hanno suscitato in lei sospetti e rancori e l’hanno spinta alla gelosia ,
false amiche che ora l’hanno abbandonata. In realtà sia Andromaca che
Ermione sono entrambe legate da un medesimo destino di dolore,sotto la
spinta della Necessità Anche il Coro delle donne di Ftia che prende parte alla
sofferenza di Andromaca, nella parodo, dandole consigli moderati , pone le due
rivali sullo stesso piano e manifesta la sua comprensione ora per l’una (117sgg.)
ora per l’altra (465 gg.).
“Andromaca prigioniera” Frederic Leighton
“Andromaca piange Ettore”-J.L.David
Quando il Coro dice :“ Nel matrimonio il
mio sposo ami solo il letto di marito non
reso comune ( ad altra)” ( vv.468-470)
è evidente che, in qualche modo,
partecipa alla sciagura di Ermione,
sentendola affine. Secondo gli
ordinamenti giuridici vigenti ad Atene,
dove si praticava la monogamia, non vi
era parità fra i coniugi e mentre per la
donna la fedeltà era considerata un
obbligo inderogabile la libertà dell’uomo
era normalmente accettata. Nella
tragedia e più in particolare nel I
Episodio in cui si assiste ad un
confronto tra Ermione ed Andromaca,
la prima è portavoce di una concezione
monogamica , al contrario la seconda
appare concretamente consapevole del
fatto che tale pratica non è di fatto
attuata e poiché una donna non può
controllare in modo assoluto il proprio
marito se vuole mantenerlo legato a sé,
deve mettere da parte gelosia e senso
esclusivo di possesso ed adduce, a
riprova, la sua personale esperienza di
moglie sempre innamorata che non ha
mai provato odio verso le donne per le
quali Ettore si sentiva occasionalmente
attratto.
Le parole di solidarietà con la vicenda di
Ermione, espresse dal Coro sulla questione
matrimoniale, si collegano, subito dopo
nell’Antistrofe, ad una riflessione politica in
cui si deplora che nella città il potere sia
diviso tra due persone. Il labile nesso con
quanto detto precedentemente, fa
comprendere come ad Euripide stesse a cuore
esprimere la sua opinione sul modo in cui deve
essere governata una città. Più avanti nei vv.
481 sgg. utilizzando il paragone con la nave,il
Coro dice che è preferibile che uno solo tenga
il timone, seppur di modesta intelligenza,
piuttosto che un gran numero di saggi. Queste
notazioni potrebbero far riferimento alla
problematica situazione politica generatasi
alla morte di Pericle. Di fronte al forte
contrasto che opponeva i radicali ai moderati,
Euripide non prende posizione , ma esprime il
suo profondo turbamento, incominciando a
delinearsi , come dice lo studioso Di
Benedetto, quella perdita di contatto tra
Euripide e la classe politica del suo tempo”…
che era destinato ad avere un’influenza
enorme sul suo stesso modo di porsi di fronte
alla realtà e anche sugli aspetti più
propriamente formali della sua produzione
artistica”.
Pericle
In questo dramma è evidente anche
un altro tema oltre a quello delle
norme di convivenza matrimoniale: il
rapporto fra liberi e schiavi. Se
pensiamo che l’Andromaca fu
rappresentata dopo l’inizio della
Guerra del Peloponneso in cui molti
cittadini liberi avrebbero rischiato
di diventare schiavi in conseguenza
dell’evento bellico, è chiaro che la
rappresentazione di Andromaca
barbara e schiava ma che era stata
regina non poteva lasciare
indifferente il pubblico ateniese
abituato a considerare normale la
schiavitù quando erano i Barbari ad
essere tali. In realtà Euripide
attraverso la figura di Andromaca
vuole dimostrare che
l’appartenenza ad una delle due
categorie non era necessariamente
definitiva come sottolinea la figura
di Ecuba nelle Troiane, ma
presentava in modo innovativo una
schiava barbara di animo molto più
nobile della principessa greca cui la
sorte l’aveva assegnata .
La figura di Menelao subisce, attraverso la creazione artistica euripidea,
una profonda trasformazione: da eroe omerico è diventato un triste
tiranno, subdolo, sanguinario e vile come dimostra di essere davanti a
Peleo. Il dialogo tra i due richiama quello di una Commedia, con gli accenti
sarcastici con cui Peleo apostrofa Menelao mentre rievoca con tagliente
aggressività le sue disavventure coniugali e sferra un colpo alle abitudini
poco morigerate delle donne spartane, una delle diverse allusioni taglienti
agli Spartani che si ritrovano nel dramma. Neoptolemo è presente” in
absentia” come già suo padre nell’Iliade, tuttavia rimane il vero
protagonista epico di tutto il dramma, come il pubblico poteva
immaginare attraverso le parole del messaggero che narra della sua
strenua difesa contro uno stuolo di nemici.
Menelao ed Elena
La sua fine ordita da Oreste per poter sposare la promessa sposa
Ermione, il quale giustifica la pretesa nuziale, sottolineando che non può
unirsi a donne straniere in quanto esule (v.971), è legata a motivazioni di
carattere strettamente personale, potremmo dire,borghesi. Anche qui
Euripide innova il mito che voleva secondo la tradizione pindarica ( Peana
VI) Neoptolemo punito da Apollo per aver ucciso Priamo mentre aveva
trovato rifugio presso l’altare domestico oppure a Delfi da un uomo a
causa di una lite scoppiata per delle vittime immolate al dio ( Nemea
VII).Riprendendo, pertanto, il motivo della rissa, Euripide ne
attribuisce la causa ad Oreste per interessi privati.
Neottolomeo uccide Priamo
Anche il modo in cui viene ucciso è significativo: Oreste invece di
affrontare il rivale, convince gli abitanti di Delfi che Neoptolemo ed il
suo scudiero vogliono depredare il tesoro del dio e per questo viene
barbaramente massacrato. L’ Oreste eschileo è solo un ricordo.
Attraverso la morte di Neoptolemo Euripide rievoca molti particolari
epici : il suo scudo è tempestato da una grandine di dardi, come quello di
Aiace quando difende le navi ( Il. ,XVI, 101-111), i suoi balzi per evitare
i nemici sono paragonati alla danza di guerra in cui eccelleva Ettore
(Il.,VII, 240); la sua morte richiama quella di Patroclo ( Il. XVI,805808); lo scempio sul suo corpo operato dagli abitanti di Delfi evoca il
trattamento destinato al cadavere di Ettore (Il., XXII, 371).
Il Prologo
Il prologo non ha funzione esteriore, ma il compito di mettere in
evidenza la condizione di Andromaca che occupa l’altare da supplice e
rimane sulla scena durante la parodo fino a quando sopraggiunge Ermione
ed anche dopo. All’inizio del prologo Andromaca rievoca le sue vicende
felici di un tempo, le nozze con Ettore, il fasto e la ricchezza in terra
d’Oriente. Unica consolazione il pensiero del figlio nato dal
concubinaggio con Neopltolemo, ma pur sempre a lei caro. Ora però
anche questa speranza sta venendo meno al pensiero dell’ira di Ermione.
Il passo che si propone in traduzione, facente parte della fine del
prologo è interessante dal punto di vista metrico: è una monodia in
distici elegiaci, un unicum nei drammi attici a noi pervenuti. Qui Euripide
fonde l’eco di antiche melopee popolari con la melodia dell’elegia,
creando un canto che ha lo scopo di tratteggiare la figura di Andromaca,
come donna e madre, cui la vita ha dato così tante prove di umiliazione e
di dolore da produrre in lei un profondo cambiamento, sicchè nel suo
animo non rimangono che le emozioni e gli affetti che sono legati ad
un’umanità quasi istintuale, in una dimensione totalmente diseroicizzata.
Il dolore di Andromaca
“ … e noi innalzeremo al cielo
i lamenti, i pianti e le lacrime in mezzo
ai quali ci troviamo sempre;infatti è innato nelle donne
trovare una dolcezza delle sventure presenti
avendole sempre sulla bocca e sulle labbra.
E per me non c’è un solo motivo di piangere, ma molti:
la mia città patria, la morte di Ettore,
e il mio duro destino al quale sono legata,
caduta indegnamente in una vita di schiavitù.
Non bisogna mai dire che qualcuno dei mortali è felice,
prima di vedere in che modo, dopo morto,
andrà sotto terra,compiuto l’ultimo giorno.
All’alta Ilio Paride non come sposa, ma come maledizione
condusse Elena, sua moglie, nel talamo.
Per causa sua, o Troia, ti distrusse col ferro e col fuoco,
Euripide
conquistata i guerra, l’impetuoso Ares dalle mille navi
venuto dall’Ellade; e uccise il mio Ettore, sposo di me infelice,
che il figlio della mamma Teti trascinò intorno alle mura
col carro; e io stessa fui condotta dal talamo sulla riva del mare,
avendomi gettato sul collo una dolorosa schiavitù.
Molte lacrime mi inondarono il volto, quando lasciai
la città e il talamo e lo sposo nella polvere.
Ahimè infelice, perché dovevo ancora vedere la luce
schiava di Ermione? Logorata dall’odio di costei,
avendo gettate, supplice, le braccia, intorno a questo simulacro
della dea, mi sciolgo in pianto, come sorgente che bagna la roccia.”
( trad. I. Biondi) (vv.91-116)
In questi distici il ritmo diventa incalzante mentre Andromaca enumera le
terribili sciagure che ha dovuto subire: il ricordo di Elena evoca l’ armata greca
che ha distrutto la città , la morte di Ettore e lo strazio del suo cadavere, poi
l’umilazione della prigionia e il dolore di abbandonare i propri luoghi cari. Perciò
dalla memoria del passato Andromaca torna al suo infelice presente
paragonando il suo pianto ad una sorgente perenne che bagna la roccia da cui
scorre.
E’ questo un esempio di come Euripide tratti i suoi personaggi, non per farne
paradigmi eroici di comportamento ma semplicemente uomini.
La citazione gnomica di spirito sapienziale greco attribuita ad un personaggio
femminile e per di più barbaro relativa alla felicità umana, appartiene alla
prima parte del passo quando Andromaca ha ancora la capacità di ragionare sui
suoi mali osservandoli con distacco. Poi subentra maggiore pathos, in cui i
ricordi si accavallano senza tregua per concludersi in una dolorosa
autocommiserazione che contiene in sé quella “ dolcezza delle sventure” che fu
cara alla musa euripidea.
Andromaca nell’ Eneide
Nel III libro dell’Eneide Enea approda in Epiro a Butroto dove regna
Eleno figlio di Priamo che ha sposato Andromaca . Commovente l’incontro
tra Enea ed Andromaca che ricorda il tempo passato, lontano dalla sua
terra di cui insieme allo sposo ha cercato di ricostruire le sembianze. Ma
proprio l’ambiente surreale da cui sono circondati nella dolorosa
finzione, rende ancor più forte la nostalgia della patria perduta.
“ Presto vediamo sparire le aeree rocche Feace
e costeggiamo l’Epiro ed entriamo nel porto
Caonio, arriviamo all’eccelsa città di Butroto.
Qui notizia incredibile mi riempie gli orecchi,
Eleno figlio di Priamo regna su città greche,
possiede la sposa e lo scettro dell’Eacide Pirro,
Andromaca ancora a frigio marito è passata.
Ne resto attonito, il cuore acceso d’amore incredibile
di parlare con l’uomo, di saper tanto fatto.
Salgo dal porto, lasciando flotta e compagni:
solenni offerte, per caso, malinconici voti,
davanti al borgo, nel bosco, d’un falso Simòenta alla riva,
libava Andromaca al cenere, e i mani invocava,
d’Ettore sopra il tumulo, che vuoto, d’erba e di terra
gli aveva eretto, e, stimolo al pianto, due are.
Come mi vide venire,come intorno troiane
armi, smarrita, si scorse, attonita a così gran miracolo,
sbarrò gli occhi, il calore le fuggì dalle ossa:
sviene, e a stento dopo un tempo lungo mi parla.
<< Vera forma, nunzio vero, dunque, mi arrivi
figlio di Venere? E vivi? O se l’alma luce è fuggita.
Ettore dove è?>>
Virgilio tra le muse dell’epica e della
commedia,Calliope e Talia
Disse, e scoppiò in lagrime e tutto
empì il luogo di grida. Poco e a stento a quel fremere
replico, sillabo poche parole, turbato:
<< Vivo, sì, fra estremi dolori trascino la vita:
non stare in dubbio, vedi cose reali,
Ma tu? quale vita te, priva del grande marito,
accolse? O forse una sorte migliore è tornata
per Andromaca d’Ettore? Serbi le nozze di Pirro?>>
Chinò il volto, rispose con un filo di voce:
<< O sopra l’altre felice la figlia di Priamo, che vergine
del nemico sul tumulo, sotto le mura alte di Troia
fu fatta morire, e non seppe sorteggio,
di vittorioso padrone non toccò, schiava, il letto!
Noi, arsa la patria, in lunghi esilii condotte,
l’orgoglio del figlio d’Achille, l’uomo superbo,
schiave subendo servimmo: poi lui bramò
Ermione Ledea, volle nozze spartane;
e me serva al servo Eleno diede in possesso.
Ma, per la sposa strappata d’amore bruciando,
e dalle furie sconvolto dei delitti, lo colse
Oreste, incauto, e l’abbattè, del padre presso l’altare.
Con la morte di Pirro, toccò ad Eleno in sorte
Una parte del regno, e disse Caonie le piane,
e tutto il paese Caonia, da Caone troiano,
e questa Pergamo, iliaca rocca, innalzò sulle
cime.
Ma tu? che venti, che fati la rotta ti diedero?
O quale dio ti guidava, ignaro, alle nostre
contrade?
E il piccolo Ascanio? vive? e l’aria respira?
Che a te, mentre Troia…
Che amore conserva il bambino della madre
perduta?
Come all’antica virtù, al coraggio guerriero,
il padre Enea, lo zio l’incita, Ettore?>>
Così si sfogava piangendo e lunghi moveva
invano i singhiozzi. E dalle mura ecco il figlio
di Priamo, l’eroe Eleno, da molti seguito, che
viene
e i suoi riconosce, e lieto li guida alle porte,
e molto di lagrime mescola ad ogni parola.
E io procedo, e una piccola Troia, e fatta uguale
alla grande una Pergamo, e un povero rio, che
Xanto si chiama
saluto, e d’una Porta Scea mi chino a baciare la
soglia.”
(trad. R.Calzecchi Onesti) ( Aen. III, vv.290 sgg.)
L’Andromaque di Racine
Nel XVII a Parigi Racine
prende spunto proprio da
questa dolente
personificazione virgiliana per
farne la protagonista del suo
dramma. “ Racine correggendo
Euripide, disegnava lo schema
ideale di una pura tragedia
dell’impossibile, impossibilità
retta non sulle cose ma sui
sentimenti… Ed è questa donna
una prigioniera, che vive
nell’atmosfera e nell’orrore del
proprio passato, così disarmata
che appare sulla scena soltanto
poche volte, a suscitare e a far
dolorosamente risuonare tutti
gli anelli di quella catena
assurda , sempre oscillante sul
disordine dei cuori e delle
volontà” ( Macchia, La
letteratura francese, I
Mondatori, Milano 1987,
pp.875-876).
Ermione
L’ Andromaque viene rappresentata nel
1667: è il primo successo di Racine.
L'azione di questa tragedia in cinque atti,
si svolge a Butroto in Epiro, nel palazzo di
Pirro. Dopo la distruzione di Troia
Andromaca vedova di Ettore, e suo figlio
Astianatte, sono suoi prigionieri. Pirro,
dimentico delle promesse fatte a Ermione,
è innamorato di Andromaca, che si invece
vuole restare fedele alla memoria di
Ettore. Pirro le promette di proteggere
Astianatte, che una delegazione di greci
(con a capo Oreste) vuole uccidere.
Andromaca accetta un compromesso:
sposerà Pirro, ma si ucciderà subito dopo
la cerimonia. Ermione accecata dalla
gelosia si promette a Oreste, purché
questi uccida Pirro prima del matrimonio.
Oreste torna e le annuncia l'uccisione:
Ermione sconvolta corre a uccidersi sul
corpo di Pirro. Andromaca ha intanto
sollevato il popolo dell'Epiro contro i Greci
mentre Oreste impazzisce.
Morte di Astianatte
Dice Racine a proposito della sua
Andromaca: “ Andromaca non conosce
altro marito che Ettore né altro figlio
che Astianatte . la maggior parte di
quelli che hanno sentito parlare di
Andromaca la ritengono solo vedova di
Ettore e madre di Astianatte. Non si
pensa che debba amare un altro marito,
né un altro figlio. Le lacrime di
Andromaca non possono essere versate
per un altro figlio se non per quello da
lei avuto da Ettore”. Ed a proposito
delle variazioni da lui apportate
rispetto al mito aggiunge: “ E’ chiaro
che Astianatte vive un po’ più di quello
che è vissuto ma a proposito di qualche
contraddizione di questo genere un
antico commentatore di Sofocle osserva
molto acutamente: “ che non bisogna
divertirsi a cavillare coi poeti per
qualche cambiamento che abbiano
potuto portare nella favola, ma che
bisogna considerare l’uso che hanno
fatto di tali modifiche e l’ingegnosità
con cui hanno saputo adattare la favola
al loro argomento”.”
Jean Racine
Il Cigno Di Baudelaire
Anche Baudelaire sarà suggestionato
dal dolore della figura dell’ Andromaca
virgiliana ma in lei leggerà il dramma
corale di tutti i senza patria, i profughi,
gli esiliati, scandito dall’incalzare del
tempo che passa. Egli stesso nel
mandare il suo componimento intitolato
“ Il Cigno” a Hugo dice: “Quello che era
importante per me , era dire in breve
tutto ciò che un accadimento,
un’immagine può contenere di
suggestione e come la vista di un
animale sofferente spinga lo spirito
verso tutti gli esseri che amiamo che
sono assenti e che soffrono, verso tutti
coloro che sono privati di qualcosa
perduta per sempre”.
Charles Baudelaire
I
Corre a voi il mio pensiero, Andromaca…Il piccolo fiume,
come uno specchio triste dove un tempo
bruciò l’immensa maestà del vostro vedovo dolore,
questo Xanto irreale, gonfio dei pianti vostri
ha fecondato d’un tratto la mia memoria fertile
un giorno, attraversando il nuovo Carrousel.
La vecchia Parigi non è più (la forma di una città
Cambia più presto, ahimè, del cuore d’un uomo);
come in sogno m’appare il campo delle baracche,
l’ammasso confuso dei capitelli sbozzati e dei fusti,
le erbe, le grandi pietre verdi nell’acqua dei fossati,
e l’inutilità, a illudere dietro le vetrine.
Là stava, un tempo,una gabbia di animali;
e là, un mattino, - ahi nell’ora che desta la Fatica –
quando fa freddo e fa chiaro, e la nettezza
solleva un turbine oscuro nel silenzio dell’aria
un cigno io vidi fuggire di prigione;
traeva sul pessimo suolo il bianco piumaggio,
i piedi palmati battevano un lastricato secco.
Becco spalancato su ruscello senz’acqua,
nervosamente forse lavava le sue ali nella polvere.
Parlava, gonfio il cuore del suo bel lago ove nacque:
“ Acqua, quando cadrai? esploderai quando, fulmine?”
Vedo quell’infelice, mito lontano e fatale,
la testa avida sul collo convulso
tendere al cielo, come l’uomo di Ovidio,
al cielo ironico e crudelmente blu;
gettare in faccia a Dio così la sua rabbia
II
Parigi cambia. Niente, nella mia malinconia
è cambiato. Un edificio nuovo, un ponteggio, pietre,
vecchi quartieri, tutto mi diventa allegoria,
e i miei cari ricordi gravano più che sasso.
Ora, davanti a questo Louvre, m’opprime un’immagine:
il mio pensiero corre al grande cigno dei deliri,
ridicolo e sublime come lo sono gli esuli
e roso da un desiderio che non cessa. E poi a voi,
Andromaca, dalle braccia di un grande sposo precipitata,
bestiame vile, sotto la mano di Pirro superbo,
chinata in estasi su quella tomba vuota…
Vedova d’Ettore, ahi, e donna di Eleno!
Penso alla negra scarna e tubercolotica,
che sguazza nel fango, che cerca, allucinata,nell’occhio
di là dal muro della nebbia immensa,
gli assenti palmizi di un’Africa superba;
ad ognuno che perse ciò che non si ritrova
mai, mai…ai cercatori di pianto
che tettano il dolore come una lupa buona,
agli orfani spenti che muoiono come le foglie.
Nella foresta che il mio spirito nasconde, il Ricordo
soffia nel corno immensamente un suono…
Penso ai marinai su un’isola dimenticati,
ai prigionieri, ai vinti… e a molti altri ancora.”
Andromaca, esule, schiava, privata di tutto fuor che della sua
dignità, diventa simbolo di tutti coloro che soffrono la
lontananza dalla loro terra, che si sentono estranei al
mondo in cui vivono, esuli, per sempre alla ricerca di un
Paradiso perduto: è questa la magica attualità di un mito,
ancor oggi, drammaticamente vivo.
Prof.ssa Maria Grazia Coccoluto
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Andromaca